Spedizione in abb. postale 45% - art. 2 comma 20B - Legge 662/’96 - D.C./ D.C.I. - Torino - Tassa Pagata / Taxe Perçue
• ANNO XXX - MENSILE - N° 6 - GIUGNO 2009
06 MA-giu.2009-impaginato 19-05-2009 11:05 Pagina 1
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
San Pietro la roccia della Chiesa
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 2
Un’immagine di Chie Gv 21,1-14
Gesù narra il Padre
P
ersonalmente pensiamo che l’autore di questo breve capitolo (25 versetti) sia stato un collaboratore dell’Evangelista che ha recuperato due dati importanti della tradizione sinottica. Il primo è quello di evidenziare una parola di Gesù: “Dopo la mia Risurrezione vi rivedrò in Galilea (Mc 26,22; 28,30), e lo fa narrando una pesca miracolosa sul mare di Tiberiade (21,114). Il secondo dato è quello del primato di Pietro sempre rimasto in ombra nel Vangelo di Giovanni e tanto importante nella tradizione (Mt 16,16-20): “Su di te fonderò la mia Chiesa” e Luca 32,32: “E tu una volta ravveduto conferma nella fede i tuoi fratelli”. Lo sviluppo è meraviglioso (21,15-19). Segue quello che Gesù ha detto a Pietro sul discepolo che egli amava (21,2023). Infine una breve conclusione (21,24-25). Una pesca significativa (21,1-14) Dopo questi fatti Gesù si manifestò di nuovo ai suoi discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare”. Gli dissero gli altri: “Anche noi veniamo con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca, ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba Gesù 2
si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No!”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore”. Simon Pietro appena udì che era il Signore si strinse la veste attorno ai fianchi perché era svestito e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci. Infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco acceso con dei pesci sopra e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”. E nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò: prese del pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli dopo essere risorto dai morti. Nello stile di Giovanni gli eventi o le cose raccontate sono un “segno”. Questo ci obbliga ad andare oltre la materialità delle cose per scoprire il profondo significato del racconto. Così, al-
l’inizio si dice che lì sulla sponda del mare di Tiberiade c’erano sette discepoli: il primo Pietro. La domanda è ovvia: dov’erano gli altri cinque? È forse inutile chiederselo, perché il numero dodici è simbolo di Israele mentre il sette indica l’universalità, l’immenso campo della missione della Chiesa. I pesci Ora Pietro a un certo punto dice: “Vado a pescare” e gli altri risposero: “E noi veniamo con te” e salirono sulla barca. Quando venne l’alba, Gesù si presentò ai discepoli i quali non lo riconobbero e chiese loro: “Figlioli, avete qualcosa da mangiare?”. Risposero: “No”. Non avevano preso nulla quella notte. E Gesù a loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e la rete si riempì di centocinquantatré grossi pesci e non si ruppe. Su questo numero, nella storia della Chiesa si sono avute varie interpretazioni. La più suggestiva può essere quella che vede il numero come la somma di 76 + 77 ossia del valore numerico delle parole Simon e Ichthys (pesce). Quindi un’identificazione fra Pietro e Gesù, indicato dal simbolo del pesce. Un’altra interpretazione si rifà al testo del profeta Ezechiele (capitolo 47) che vede un fiume uscire dal Tempio di Gerusalemme per irrigare tutta la Palestina portando una quantità incredibile di pesci; i pescatori stanno presso il mare a En-eglaim e getta-
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 3
Pesca miracolosa (cartoni), Raffaello (1515), Victoria and Albert Museum, Londra.
iesa
Con la pesca miracolosa, Gesù, poiché è il Signore, dimostra il suo perdono ai discepoli, richiamandoli alla comunione con Lui.
no le reti: il valore numerico delle consonanti ebraiche di EnEglaim è 153. Noi oggi sappiamo che nel mondo antico non è mai stato attribuito, né dai pagani, né dai rabbini, un particolare valore simbolico a questo numero. Per cui la sua presenza in questo testo deve avere un significato del tutto particolare. Un significato oscuro, tanto che ha fatto dire a Sant’Agostino che questo numero è «un grande mistero», oppure ha un significato così semplice che sfugge alle interpretazioni contorte che si sono avute nel corso dei secoli. Orbene, l’origine di questo numero così preciso (altre volte Giovanni fa sempre precedere l’espressione “circa” davanti all’uso dei numeri), probabilmente, va ricercata nella volontà di richiamare l’attenzione sul fatto che quanto è stato riferito è il rapporto di un testimone oculare che indica il numero esatto di una pesca decisamente abbondante. Ed è per questo che di fronte a tutto ciò, il discepolo che Gesù amava disse a Pietro:
“È il Signore”. Pietro si strinse la sopravveste e si gettò in acqua per arrivare prima. Ma Gesù non gli fece caso; forse era una prova, e continuò a parlare a tutti. Lì sulla spiaggia c’era un fuoco acceso con del pesce sopra e anche del pane. Il fuoco Il fuoco che è acceso sulla spiaggia è un fuoco di carbonella. Il termine usato è molto raro. Solo in Giovanni 18,18 al momento del tradimento di Pietro, Giovanni usa questo termine per indicare il fuoco presso il quale Pietro si era seduto. Un riferimento al momento del tradimento? Certo è che il Gesù che Pietro vede presso il fuoco la notte dell’arresto è il Gesù abbandonato e di lì a poco, sfigurato, ora è il Gesù glorioso e risorto che convoca i suoi per inviarli nel mondo. Inoltre, è anche il Gesù che, abbandonato, ora chiama alla comunione con Lui, all’intimità del convivio, all’affet-
tuosa amicizia che solo l’Amore trafitto può offrire all’uomo. Per questo, Gesù disse: “Portate un po’ del pesce che avete preso. Lo dice a tutti, ma è il solo Pietro che va e trae fino a terra la rete. Ciò che non fu possibile a tutti, fu possibile a uno: È lui il Pescatore. Del resto la barca era sua. Qui si compie la promessa di Gesù: è davvero pescatore di uomini qui simboleggiati dai pesci. “E la rete non si ruppe”. È lui nella comunità il centro visibile dell’unità della Chiesa e lo sarà finché avrà portato a termine la totalità degli uomini: senso simbolico del numero 153. Compiuto ciò, segue il banchetto, simbolo del banchetto eterno quando Gesù ci farà sedere a mensa nel suo regno e ci servirà (Lc 12,37; 22,30). Qui prende il pane e lo dà, come ha fatto quando moltiplicò i pani e si era come qui presso il mare di Tiberiade (6,1-15). Nel capitolo 20, Gesù era il dispensatore dei doni: pace e Spirito Santo. Ora il Risorto dispensa la vita e tutti lo vedono e non è più il tempo di fare delle domande. Giovanni usa un verbo assai raro che indica: indagare, interrogare. Se si pensa che la domanda. «Chi sei?», viene rivolta a Gesù dai Giudei in 8,25 e che ora i discepoli non osano più fare questa domanda, si deve concludere che l’impatto della scena è decisamente forte. Ora i discepoli non conosco più Gesù come lo avevano conosciuto prima, ora sono entrati con lui in una nuova relazione. Se prima anche loro dubitavano ed erano incerti, ora nessuno di loro osa domandare, perché, come insegnavano i rabbini, quando ci si trova dinanzi a Dio solo lo stolto rivolge delle domande a Dio. Ora, invece, tutto è chiaro: Gesù vive davvero in mezzo a loro. Lui è il Signore, il Risorto dai morti! Mario Galizzi 3
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 4
La Catechesi di Benedetto XVI
D
elineare compiutamente la figura di Matteo è quasi impossibile, perché le notizie che lo riguardano sono poche e frammentarie. Ciò che possiamo fare, però, è tratteggiare non tanto la sua biografia quanto piuttosto il profilo che ne trasmette il Vangelo.
Matteo Mare di Galilea, cioè del Lago di Tiberiade (cf Mc 2,13-14). Si può da ciò dedurre che Matteo esercitasse la funzione di esattore a Cafarnao, posta appunto “presso il mare” (Mt 4,13), dove Gesù era ospite fisso nella casa di Pietro. Dio non rifiuta nessuno
Dono di Dio Intanto, egli risulta sempre presente negli elenchi dei Dodici scelti da Gesù (cf Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13). Il suo nome ebraico significa “dono di Dio”. Il primo Vangelo canonico, che va sotto il suo nome, ce lo presenta nell’elenco dei Dodici con una qualifica ben precisa: “il pubblicano” (Mt 10,3). In questo modo egli viene identificato con l’uomo seduto al banco delle imposte, che Gesù chiama alla propria sequela: “Andando via di là, Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9,9). Anche Marco (cf 2,13-17) e Luca (cf 5,27-30) raccontano la chiamata dell’uomo seduto al banco delle imposte, ma lo chiamano “Levi”. Per immaginare la scena descritta in Mt 9,9 è sufficiente ricordare la magnifica tela di Caravaggio, conservata a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Dai Vangeli emerge un ulteriore particolare biografico: nel passo che precede immediatamente il racconto della chiamata viene riferito un miracolo compiuto da Gesù a Cafarnao (cf Mt 9,1-8; Mc 2,1-12) e si accenna alla prossimità del 4
Sulla base di queste semplici constatazioni che risultano dal Vangelo possiamo avanzare un paio di riflessioni. La prima è che Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gen-
te estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di “pubblicani e peccatori” (Mt 9,10; Lc 15,1), di “pubblicani e prostitute” (Mt 21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cf Mt 5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come “capo dei pubblicani e ricco” (Lc 19,2), mentre l’opinione popolare li associava a “ladri, ingiusti, adulteri” (Lc 18,11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a ta-
Accanto alla tela della chiamata, sempre a Roma è conservata anche quella del martirio di San Matteo, sulla cui storicità poco si conosce di certo.
Martirio di San Matteo, Caravaggio (1599), San Luigi dei Francesi, Roma.
I Dodici
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 5
ze disoneste. Una volta Egli ebbe a dire senza mezzi termini: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel regno dei cieli; poi vieni e seguimi” (Mt 19,21). È proprio ciò che fece Matteo: si alzò e lo seguì! In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l’adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù.
vola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l’importante dichiarazione: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Mc 2,17). Chiamati al lavoro Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, “il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»”. E Gesù commenta: “Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato” (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, San Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo –
Il primo annuncio Matteo scrisse il suo Vangelo originariamente in lingua ebraica, forse addirittura in aramaico. Matteo e l’Angelo, Guido Reni (1635), Alte Pinakothek, Monaco di Baviera.
“poiché non c’è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57,363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario. Al seguito di Gesù Un’altra riflessione, che proviene dal racconto evangelico, è che alla chiamata di Gesù, Matteo risponde all’istante: “egli si alzò e lo seguì”. La stringatezza della frase mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un cespite di guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile l’applicazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchez-
Ricordiamo, infine, che la tradizione della Chiesa antica è concorde nell’attribuire a Matteo la paternità del primo Vangelo. Ciò avviene già a partire da Papia, Vescovo di Gerapoli in Frigia attorno all’anno 130. Egli scrive: “Matteo raccolse le parole (del Signore) in lingua ebraica, e ciascuno le interpretò come poteva” (in Eusebio di Cesarea, Hist. eccl. III, 39,16). Lo storico Eusebio aggiunge questa notizia: “Matteo, che dapprima aveva predicato tra gli Ebrei, quando decise di andare anche presso altri popoli scrisse nella sua lingua materna il Vangelo da lui annunciato; così cercò di sostituire con lo scritto, presso coloro dai quali si separava, quello che essi perdevano con la sua partenza” (ibid., III, 24,6). Non abbiamo più il Vangelo scritto da Matteo in ebraico o in aramaico, ma nel Vangelo greco che abbiamo continuiamo a udire ancora, in qualche modo, la voce persuasiva del pubblicano Matteo che, diventato Apostolo, séguita ad annunciarci la salvatrice misericordia di Dio e ascoltiamo questo messaggio di San Matteo, meditiamolo sempre di nuovo per imparare anche noi ad alzarci e a seguire Gesù con decisione. Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 30-08-2006
5
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 6
Maria, di speranza font Spiritualità mariana
M
aria di Nazaret è vissuta, anche lei, di fede in Dio: si è fidata e affidata a Dio in tutta la sua vita, specialmente dopo l’Annunciazione. E questo lo ha fatto in maniera totale. Ma è vissuta non solo di fede ma anche di speranza (e naturalmente di carità). Sembra banale ricordarlo, eppure è importante perché ha dei risvolti anche sulla nostra spiritualità mariana, e sugli atteggiamenti spirituali che devono strutturarla. Da secoli la Chiesa la invoca con la Salve Regina, chiamandola “Madre di Misericordia, vita, dolcezza, speranza nostra, salve”. Questa invocazione di Maria di Nazaret come speranza per il cristiano in cammino verso la meta finale che è Dio, non è sfuggita al sommo Dante che nel Canto 33 del Paradiso ha scritto: “Se’ di speranza fontana vivace”. Come dire che Maria è una fonte viva e vivente, continua, produttiva e ricca di speranza, non un semplice ricordo del passato e basta. Sant’Efrem, altro grande cantore di Maria, la pregava: “Dio ti salvi... o speranza dell’anima mia, o salute certa dei Cristiani, o aiuto dei peccatori...”. Anche il Concilio Vaticano II ha ricordato il rapporto tra Maria di Nazaret e la speranza scrivendo (in Lumen Gentium n. 68) che Maria è “segno di certa speranza per il peregrinante popolo di Dio” e quindi può essere presa, in senso teologale e esistenziale, come modello dai credenti (nn. 61-65). 6
Dio “stupito” della nostra speranza Tra i poeti moderni c’è Charles Peguy che si è distinto nel cantare e magnificare la bellezza, l’importanza e la fragilità della speranza. Per questo scrittore, Dio si commuove proprio per la speranza: “La fede non mi stupisce. La carità non mi stupisce. Ma la speranza... ecco quello che mi stupisce. Questa piccola speranza, che ha l’aria di non essere nulla. Questa bambina speranza... La fede è una cattedrale. La carità è un ospedale. Ma, senza la speranza, tutto questo non sarebbe che un cimitero”. La fede di Maria ha come fondamento la fede del suo popolo che sviluppò la sua adesione a Dio a partire dalla fede di Abramo.
Ecco la bella immagine: Dio che è “meravigliato” della nostra fede, della nostra carità ma che si “stupisce” della speranza. Quasi fosse la più importante e la più difficile delle tre. Queste sono le virtù teologali, perché hanno per oggetto Dio, e quindi sono fondanti la nostra vita spirituale. Sono le “tre sorelle” assolutamente inseparabili, necessarie a tutti i credenti (ma solo a loro?), che si richiamano, si “aiutano” l’una con l’altra. Senza fede non c’è speranza, e senza speranza non c’è traccia di amore per sostenere il nostro vivere giorno per giorno. E la nostra carità vive della speranza che è in noi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1812) ci ricorda che “le virtù teologali si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino”. Sono anche le tre virtù che Maria di Nazaret, tra tutti i santi e le sante della storia, ha vissuto in sommo grado durante la sua vita terrena (per questo la chiamiamo Santissima), ed è giustamente invocata come modello di fede, di speranza e di amore. La fede è fondamento della speranza Parlando di fede e di speranza e del loro reciproco influenzarsi, non si può non richiamare il versetto della Lettera agli Ebrei (11,1) che recita: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 7
Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio”. E subito dopo l’autore propone all’ammirazione una lunga lista di personaggi biblici, eroi della fede in Dio, animati nel loro cammino e nella loro azione (l’amore) dalla speranza che la parola di Dio avrebbe realizzato le promesse che contenevano. E questo anche quando c’era da “sperare contro ogni speranza” (Rm 4,18), vedi Abramo “nostro padre nella fede” ed esempio supremo di speranza incrollabile nella promessa di Dio (un dramma per la sua fede e speranza fu l’episodio di Isacco in Gen 22). Abramo “credette”, Abramo “levò la tenda”, Abramo “obbedì”, “Abramo partì verso il luogo che gli aveva indicato il Signore”. Abramo aderì fortemente a Dio, stette saldamente fermo e fondato sulla parola che gli aveva rivolto, visse sempre ancorato alla grande promessa che Dio gli aveva fatto. Nonostante tutto, cioè nonostante la apparente contraddittorietà (umanamente parlando) del progetto di Dio su di lui. Qui era fondata la sua speranza: nella sua fede fondata saldamente sulla parola (che era poi una promessa) che Dio gli aveva detto. Sant’Agostino affermò di se stesso, (ma vale per tutti, da Abramo a Maria di Nazaret) che “è perché hai promesso, o Dio, che mi hai fatto sperare”. Il promettere ha una grande valenza antropologica e psicologica, ed un valore altamente dinamico per l’esistenza. “Promettere è far sperare ed è dare forma al tempo. Biblicamente la promessa crea la sensatezza del tempo, crea la storia... Etimologicamente promettere (dal latino pro-mittere) si-
Santa Famiglia, Caesar van Everdingen (1617-1678), Museum Catharijnconvent, Utrecht.
ntana vivace
Maria visse e trasmise la sua fede a Gesù che nella Santa Famiglia crebbe come un vero israelita.
gnifica “mandare avanti” o anche “mettere davanti, creare un orizzonte che consente un cammino” (L. Manicardi). Pensiamo alle famose parole e promesse che si fanno i veri innamorati: “Ti amo” o “Ti amerò per sempre”. Il sentirsi dire questo da una persona è come ricevere una forza dinamica per affrontare il futuro. È come una sorta di ipoteca sul nostro avvenire che così ci sembra sfuggire all’anonimato esistenziale e alla banalità quotidiana. Il futuro, in forza di quella promessa che psicologicamente per noi è una certezza, non appare più indefinito, incerto, senza orizzonte, senza senso, ma preciso, garantito, valorizzato. Quell’amore promesso diventa energia rigenerante e ristrutturante il nostro passato che abbiamo lasciato e soprattutto il fu-
turo che ci aspetta davanti. La nostra vita futura ci fa meno paura perché qualcuno ci ha promesso il suo amore. E questo sembra una garanzia sufficiente per affrontarla lottando, nonostante tutto. Così per Abramo, così per Maria. Così dovrebbe essere per noi. Fede e speranza di Maria: come Abramo, più di Abramo Sant’Agostino ha scritto che “è solo la speranza che ci fa propriamente cristiani”. Non bisogna dimenticarlo. Ed è anche vero che “homo viator, spe erectus” che cioè l’uomo ha il coraggio di stare in piedi (erectus) e di poter così camminare (viator) sulla faticosa strada verso Dio, che è la nostra condizione, solo perché è sorretto dalla speranza (spe) di una 7
19-05-2009
meta o di un obiettivo da raggiungere. Per lui è un bene desiderato e anche garanzia della propria felicità futura. In termini teologici Dio diventa il Bene Assoluto, che porterà (a suo tempo) la totale ed eterna beatitudine. Ma come definire la speranza? Cicerone scrisse che la speranza è “Expectatio boni, expectatio mali”, e San Tommaso, gli ha fatto eco, affermando che essa è tensione dell’anima “verso un bene difficile ad acquistare o timore per un male difficile da evitare”. Quindi essa è, in generale, un’aspettativa, una tensione esistenziale verso un qualcosa del futuro, visto come un bene (e quindi apportatore di sicurezza e felicità) per noi, per me. E Maria di Nazaret su che cosa o meglio su Chi fondava la speranza? Maria era culturalmente e religiosamente una figlia di Israele. La sua vita spirituale era fondata sulle parole e sulle azioni dette e fatte da Dio lungo la storia; ma soprattutto sulla promessa del Messia e Salvatore del popolo (e per l’umanità, secondo Isaia). Non c’è dubbio che la speranza di Maria, dopo l’esperienza matrice dell’Annunciazione, si è basata sempre sulla parola di Dio e su quel Figlio che le cresceva nel grembo e che lei credeva decisivo per il popolo della promessa, Israele: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre, regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, ed il suo regno non avrà fine”. Parole fondanti per il destino dell’umanità e una promessa che strutturavano in maniera piena e definitiva l’esistenza di Maria. Maria, la prima “cristiana” Dall’Annunciazione in poi lei è vissuta solo e totalmente per quel Bambino, che era di Dio e anche suo. Ogni azione, anche la più semplice e ovvia era vissuta per amo8
11:05
Pagina 8
Andreas Lothar
06 MA-giu.2009-impaginato
Prima dei discepoli, Maria espresse la sua fede nella divinità e nella missione del Figlio suo Gesù.
re di quel Figlio, dono di Dio certamente ma anche frutto della propria carne. È certo che ogni sua parola, gesto, progetto, sofferenza, decisione sono stati in funzione di Gesù. Lei si era autodefinita e sarà solo e sempre “la serva del Signore” e perciò solo e sempre “relativa a Lui”. Per tutta la vita. Possiamo dire che Maria così diventava la “prima cristiana. Se non è cristiana lei, chi è mai cristiano?” (Card. Anastasio Ballestrero). San Paolo un po’ in tutte le sue lettere ha il tema della speranza come tema di fondo, ancorando il tutto al Cristo Risorto, fonte e garanzia di ogni speranza per il credente. Egli vede Gesù Cristo come colui nel quale si sono adempiute tutte le promesse: queste in lui sono diventate “sì” definitivo di Dio all’uomo (2 Cor 1,20), e quindi lo chiama “Cristo Gesù nostra speranza” (1 Tim 1,1). E ai cristiani di Colossi ha scritto: “Non vi lasciate allontanare dalla speranza pro-
messa nel Vangelo” (Col 1,23). Per Maria di Nazaret il Vangelo cioè la Buona Notizia di Dio al mondo era suo Figlio. In Gesù lei credeva totalmente (vedi a Cana) ed in lui aveva posto ogni speranza di salvezza. Anche lei, come Abramo e più di Abramo (che non vide morire il figlio Isacco), ha “sperato contro ogni speranza” sempre, anche quando Gesù moriva in croce. Lei aspettava l’adempimento delle promesse, attraverso quel suo Figlio che moriva apparentemente come un fallito e abbandonato, ma che era sempre il Figlio di Dio, e Dio, lei credeva fermamente, non poteva non mantenere le promesse di salvezza. Non poteva essere delusa da Lui, mai. “In questa fede, che anche nel buio del Sabato Santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua” (Benedetto XVI, Spe Salvi, n. 50). E così la sua speranza fu premiata con la visione del Risorto. Mario Scudu
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:05
Pagina 9
Don
Testimoni
C
inquant’anni fa, prima di morire il 12 aprile 1959, Don Primo Mazzolari ebbe due intimi momenti di gioia: il 25 gennaio 1959, Papa Giovanni annunciava il Concilio e il 5 febbraio il Papa bergamasco lo riceveva in udienza, a suggello di una «riabilitazione ecclesiale» alla quale aveva dato un contributo determinante il Cardinale Giovanni Battista Montini chiamandolo a predicare nella «Missione di Milano». Una riabilitazione ampiamente meritata se il Cardinale Carlo Maria Martini, afferma: «Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio. Il suo è un messaggio prezioso anche per l’oggi». Con gli immigrati
Primo Mazzolari nasce al Boschetto, periferia di Cremona, il 13 gennaio 1890 da una famiglia di contadini. A 10 anni con la famiglia si trasferisce a Verolanuova, nella Bassa bresciana, nel 1902 entra nel Seminario di Cremona e, dopo gli studi, il 25 agosto 1912 è ordinato sacerdote nella chiesa parrocchiale di Verolanuova dal Vescovo di Brescia Mons. Giacinto Gaggia. È lo stesso vescovo che il 29 maggio 1920 ordinerà Don Montini, di 7 anni più giovane di Mazzolari. Viceparroco a Spinadesco e
Primo Mazzolari al Boschetto, insegnante di lettere nel Seminario di Cremona, nell’estate 1914 va in Svizzera, ad Arbon, per gli emigrati italiani rimpatriati dalla Germania. Infatti nel 1915 l’Italia entra in guerra e Don Mazzolari è soldato semplice a Genova, poi caporale all’ospedale militare di Cremona, infine nel 1918-20 cappellano militare: delle truppe italiane in Francia, degli Alpini sul Piave, poi nell’Alta Slesia in Polonia. Una vita di sofferenza e condivisione che lo segnano profondamente, come la morte al fronte del fratello Giuseppe e l’abbandono del sacerdozio dell’amico Don Carletti. Al rientro, nel 1921 il Vescovo, Mons. Giovanni Cazzani lo nomina parroco di Cicognara. Inflessibile la sua opposizione al fascismo: nel 1931 gli squadristi sparano tre colpi di pistola alla sua finestra. Nel 1932 è nominato parroco di Bozzolo da dove inizia un percorso ecclesiale e pastorale, letterario e sociale legato ai movimenti politici italiani. Dal 1941 partecipa a Milano al movimento clandestino neoguelfo contro il nazifascismo e, dopo l’8 settembre 1943, collabora alla resistenza partigiana: arrestato e rilasciato tre volte, ricercato dalle SS per un mandato di cattura, entra in clandestinità e si nasconde a Gambara (BS) e poi a Bozzolo. Dopo la Liberazione cerca di evitare le vendette e prepara i giovani a una nuova stagione democratica. Nel 1949 fonda il quindicinale Adesso di cultura sociale e politica, che gli procura dieci richiami dall’autorità ec-
clesiastica e la chiusura temporanea nel 1951. In quell’anno convoca a Modena un convegno sulla pace proponendo agli italiani «un patto di fraternità». Nel 1954 il Sant’Uffizio – guidato dal Cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio», gli proibisce di predicare fuori dalla diocesi e di scrivere. Ma dopo il pontificato pacelliano, arrivano Papa Giovanni e il Concilio. Montini lo invita a predicare nella «Missione di Milano» e Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata. Due riconoscimenti importanti, anche se Don Primo Mazzolari espresse fin dall’inizio del suo ministero pastorale la sua adesione convinta e libera alla Chiesa tanto da volerla libera da ogni costrizione e sottomissione ai regni umani.
9
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
in extremis. Colpito da ictus mentre predica nella Messa domenicale, Don Primo muore a Cremona il 12 aprile 1959.
11:05
Pagina 10
veri, la Chiesa casa della testimonianza. La parrocchia come casa
Sempre nella Chiesa Don Mazzolari, nonostante le censure ecclesiastiche, non si sente fuori ma dentro la Chiesa con un’incredibile capacità di profezia: avverte acutamente i passaggi della storia, le tensioni politiche, le sofferenze dei poveri, i dubbi dei lontani, le attese dei giovani. Dalla sua terra «nella Bassa» apre gli occhi sulla Chiesa nel mondo, con uno sguardo profetico che sa coniugare l’«adesso» e il «domani», il «già» e il «non ancora». Nella sua terra, sugli argini del Po, egli legge in varie occasioni «la Parola che non passa», il Vangelo, e recupera nei gesti e nelle parabole di Gesù alcune sollecitazioni che segnano profondamente il travaglio della sua coscienza e le sue scelte che passano sotto il segno dei chiodi. Nell’ascolto della Parola di Dio, Mazzolari rilegge «la più bella avventura», quella del perdono di Dio al figliol prodigo e del giudizio del fratello maggiore. Proprio la sua rilettura del perdono di Dio lo farà cadere in disgrazia. Il libro, La più bella avventura sarà condannato per «le idee erronee» ma per Don Primo segna l’inizio del dialogo con i lontani, fissa la distinzione tra errore ed errante – che caratterizza l’esperienza e il magistero di Papa Roncalli – gli insegna la tolleranza. Per lui la Chiesa è «la casa» dove Dio torna ad amare continuamente l’uomo e dove si impara che «Dio è amore». La Chiesa come «casa» è coniugato in cinque modi: la Chiesa casa del Padre, la Chiesa casa della redenzione, la Chiesa casa della libertà, la Chiesa casa dei po10
In questa concezione di Chiesa aperta, attenta e in ascolto non c’è spazio né per il clientelismo né per il clericalismo. Nella Lettera sulla parrocchia Mazzolari insiste sulla parrocchia come «casa»: «Nella parrocchia la Chiesa fa casa con l’uomo: la sua missione gerarchica, dottrinale e carismatica vi si inizia e vi si fissa, e l’uomo concreto – nome, volto, cuore, fragilità e destino eterno – si innesta e rifluisce nel corpo mistico del Cristo». In una casa così – aggiunge – «il parrocchiano ha diritto di incontrarvi il suo travaglio, la sua passione, la sua fatica quotidiana; non solo come spesso accade, attraverso l’asprezza del pulpito o del bollettino, ma nella verità del giudizio cristiano, il quale mentre dà il criterio di ciò che dovrebbe essere, dà pure la forza di superare certe posizioni incom-
plete e false. Anche gli errori vi hanno voce poiché la Chiesa, pur condannandoli, rispetta ogni rettitudine di ricerca e ricapitola ogni briciola di verità». Il modello del prete Dalle sue pagine emerge un modello di prete che mette al centro della propria spiritualità l’ascolto di Dio e l’incontro con l’uomo dentro e fuori la parrocchia. Di questa preoccupazione traboccano i suoi scritti, le pagine di Diario e alcuni articoli di Adesso sul quale il 5 giugno 1949 scrive: «Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome una a una. Crediamo che possa bastare il generico, mentre c’è un bisogno di essere capiti come siamo e di essere portati a spalla sull’esempio del buon pastore. Ne viene di conseguenza che se non andiamo a cercarli dove sono, se non li comprendiamo come sono, se non li amiamo come sono, qualcuno lo potremo tra-
Per Don Primo Mazzolari ogni parrocchia doveva essere la casa di tutti, accogliente e materna, sempre pronta a spalancare la porte a tutti coloro che si rivolgono a lei.
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
piantare nell’orto del presbiterio, ma la massa resterà fuori anche quando un richiamo spettacolare ce la porterà in processione o in chiesa. La parola è spada e tritolo, che spacca e sommuove, sa urlare e imprecare; è una grazia che bisogna domandare, a costo di finire come di solito finiscono i profeti. Questa parola che non rende, che brucia e consuma chi la porta, è la sola che il popolo può ancora capire, perché l’Evangelo è stato portato sulla terra per essere predicato al popolo». Da Bozzolo egli vede e scruta i «segni dei tempi» con il linguaggio della carità, indicato chiaramente nei due scritti Il samaritano e I lontani. Nella carità e nei poveri vede i «segni dei tempi» che interpellano la credibilità della Chiesa. Così nel volumetto La parrocchia rilegge questa istituzione in chiave di servizio dei poveri: «Una parrocchia senza poveri cos’è mai? Una casa senza bambini, forse anche più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri, che abbiamo l’impressione di starci bene. I bambini scomodano, i poveri scomodano».
11:05
Pagina 11
I SUOI LIBRI Le sue opere principali sono: – La più bella avventura (1934), – Il Samaritano (1938), – Tra l’argine e il bosco (1938), – La Via Crucis del povero (1939), – Tempo di credere (1941), – Impegno con Cristo (1943), – La samaritana (1944), – Il compagno Cristo (1945), – La pieve sull’argine (1952), – La parola che non passa (1954), – Tu non uccidere (1955), – La parrocchia (1957), – I preti sanno morire (1958). Titoli secchi, contenuti alti e forti per quei tempi, per la Chiesa e la società.
Il compito dei giovani Ai giovani, che considera importanti in parrocchia e nella costruzione della città, dedica Impegno con Cristo – la quarta edizione nel 1963 sarà dedicata a Giovanni XXIII, «parroco del mondo» –, un manuale di educazione alla responsabilità civile e sociale. Scrive Mazzolari: «È mortificante la carità, che suggerisce a un giovane: basta che gli diate da mangiare per questa sera. Vi dico che basta ancor meno. Ma se voi ponete un limite di
questo genere o di altro genere alla carità, se la riducete a un’assistenza materiale, se impedite al mio occhio di vedere “cieli nuovi” e “terra nuova”, se mi togliete di arrischiare qualcosa di mio per questa novità che mi splende nel cuore, non so che farmene della vostra carità. Io voglio una carità che mi impegni mente, cuore, sogno: che mi invada con la sua pietà, la quale grida da ogni parte del mondo con il grido del Crocifisso: “Perché mi hai abbandonato?”. È mortificante ogni carità che vuole togliermi il dovere della rivolta verso un mondo che moltiplica l’infelicità. Molti possono mangiare, bere, ruminare e divertirsi in pace, perché non sono straziati dalle voci del dolore. C’è ancora troppa gente che si illude che basterà una legge per regolare i guai di quaggiù, senza impegnarsi a fondo, senza impegnare la nostra coscienza contro il nostro egoismo». La prima e la seconda guerra mondiale, l’interventismo e il patriottismo lo inducono a sposare con audacia la scelta dell’obiezione di coscienza alle armi, che illustra in una serie di articoli in risposta ad alcuni quesiti sulla guerra e sul servizio militare posti da alcuni giovani della Fuci, e poi nel libro Tu non uccidere. Il volume, pronto nel 1952, fu pubblicato da “La Locusta” nel 1955, dopo che vari editori avevano rifiutato la pubblicazione: «Come cristiani dovremmo essere davanti nello sforzo comune verso la pace. Davanti per vocazione, non per paura, opponendoci a militari, politici e banchieri che sono i signori della guerra. Alcuni diranno che la nostra tesi sarà sfruttata dai comunisti. Noi crediamo che non sia una ragione valida tacere una cosa che si sente di dover dire perché può servire la tesi avversaria». Pier Giuseppe Accornero 11
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
Anno Paolino Le raccomandazioni alla Chiesa di Dio
D
opo aver visto negli altri articoli le idee che avevano guidato Paolo nella formazione delle diverse comunità cristiane, diamo ora uno sguardo alle sue preoccupazioni pastorali. Prendiamo in considerazioni quali furono le raccomandazioni che Paolo fece alle sue Chiese. La prima è rivolta alla Chiesa che è in Roma. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Rm 12,1). È la raccomandazione che Paolo rivolge ai cristiani di Roma, invitandoli a lodare Dio non solo con l’atto esterno del
11:06
Pagina 12
Paolo di Tarso e la Chiesa pri m culto ma con tutta la vita. Lo stesso corpo per il cristiano è strumento per lodare Dio e ogni scelta comportamentale è occasione di preghiera o di lontananza da Dio. La seconda alla comunità di Efeso. “È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,11-12). Contro il rischio di chiusura in se stessi, presente nella comunità di Efeso, l’Apostolo raccomanda di mettere i propri carismi a disposizione della Chiesa, per poterla edificare e diffondere. La terza concerne l’atteggiamento che deve avere il vero pastore.
Ai pastori piuttosto minimalisti, Paolo raccomanda la cura della propria preparazione, al fine di guidare in modo santo e sapiente la Chiesa di Dio: “Proponendo queste cose ai fratelli sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito come sei dalle parole della fede e della buona dottrina che hai seguito. Rifiuta invece le favole profane, roba da vecchierelle” (1 Tm 4,6-7). Ancora rivolgendosi alla comunità di Corinto, Paolo esprime il suo pensiero riguardo alla solidarietà. Era, infatti, usanza presso i cristiani della comunità di Corinto ritrovarsi nell’appartamento di un credente per consumare il pasto “al sacco” con vivande portate da casa e poi celebrare l’Eucaristia. Questo creava una situazione paradossale tra la ce-
Dalla missione alla morte 45-49: – Paolo compie il primo viaggio missionario, accompagnato da Barnaba. Tocca le regioni di Cipro, Perge, Antiochia di Pisidia, Licaonia, dove incontra una forte ostilità da parte di altri Ebrei. La causa della discordia era il parere contrario di Paolo sul fatto che i gentili, per diventare cristiani, dovessero passare attraverso l’ebraismo, facendosi circoncidere, e solo dopo ricevere il battesimo. Questo causa l’incidente di Antiochia, ovvero il dissenso con Pietro che a sua volta sosteneva il parere della sensibilità giudaica. 49-50: – Paolo è al Concilio di Gerusalemme. – Con l’editto di Claudio giudei e cristiani vengono espulsi da Roma. 49-52: – Paolo compie il secondo viaggio missionario. È il viaggio più importante: Paolo predica in Europa e tiene il discorso all’Areopago di Atene. – Si consuma la rottura con Barnaba, circa l’inclusione di Marco nella predicazione. Sila è il nuovo compagno di Paolo. 51: – Paolo è a Corinto dove incontra il proconsole Gallione. Questa è la sola data certa della biografia paolina, le altre sono ricavate da questa per estrapola-
12
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:06
Pagina 13
L’Apostolo Paolo consumò la sua vita nel tentativo di suscitare la fede in tutti, fino a rendere ciascuno simile al Cristo crocifisso e risorto.
i mitiva
/3
lebrazione dell’unità della Chiesa attorno all’unico altare e la spaccatura dei ceti sociali che si manifestava con la diversità di cibo che variava dai pochi legumi dei poveri, fino alle grasse vivande dei ricchi. Inoltre, in seguito a lauti pasti e brindisi tra amici, la celebrazione eucaristica avveniva spesso con evidente stato di ebbrezza di non pochi “fedeli”. Paolo non poteva ammettere questa contraddizione e non risparmiò la sua raccomandazione ed il suo prono rimprovero: “Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per manzione. – Incontra Aquila e Priscilla che fanno il “medesimo mestiere... fabbricatori di tende ” (At 18,1-3). – Fonda la sua chiesa principale: Corinto. 53-58: – Paolo compie il terzo viaggio missionario in cui fonda la chiesa di Efeso. – Compie la visita in Asia ed incontra Apollo, passa per la Macedonia e va a Gerusalemme via Tiro. – A Gerusalemme vuole dimostrare che i gentili sono perfettamente cristiani. – Arrestato e condotto davanti al Sinedrio: gli ebrei gerosolimitani ormai lo odiavano. – I Romani lo salvano trasferendolo a Cesarea: Felice, governatore, vuole un compenso in denaro ma Paolo non acconsente. 54-57: – Sosta a Efeso (cf Gal, 1-2 Cor e Rm). 58: – A Gerusalemme è arrestato e condotto in carcere a Cesarea, in custodia cautelare. 58-60: – Festo succede a Felice e riapre il processo a Paolo che si appella al suo diritto romano e chiede di essere giudicato da Cesare Nerone (cf At 22,28). 60-68: – Paolo compie il suo ultimo viaggio a Roma (cf Fil e Fm) dove è tenuto prigioniero fino alla condanna a morte per decapitazione, avvenuta nella zona delle Acque Salvie, dove oggi sorge, in sua memoria, la chiesa delle Tre Fontane.
giare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!” (1 Cor 11,20-22). I versetti che seguono sono il primo racconto scritto, precedente cronologicamente gli stessi Vangeli, riguardante l’ultima cena e l’istituzione dell’Eucaristia. Essa è proposta da Paolo come invito alla solidarietà e all’unità attorno alla Pasqua di Cristo. “Mi sono fatto tutto a tutti” Potrebbe essere questa espressione della Prima Lettera ai Corinti la sintesi del ministero e della personalità di Paolo. La lezione greca originale tois pàsin gégona pànta usa il verbo ghinomai che esprime il divenire di una situazione ed è usato per evocare il cammino di fede come il “divenire credente”. Il termine pasin deriva dall’aggettivo pas, il quale in modo ambivalente può significare “tutti”, inteso come collettività e “ciascuno”, inteso come insieme delle individualità. Parafrasando pertanto il versetto potremmo tradurre con la formula chiastica “per tutti sono diventato ciascuno e per ciascuno sono diventato tutti”. L’Apostolo consumò così la sua vita, nel tentativo di essere utile a tutti e a ciascuno, suscitando la fede con istruzioni, raccomandazioni e rimproveri, al fine di modellare il volto sempre più armonioso e splendente dell’unica Chiesa di Cristo. Fabio Ferrario 13
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
Bibbia e Spiritualità
I
Padri della Chiesa rappresentano un’epoca che non va ignorata, sia per il loro prezioso patrimonio di fede, sia per la loro riflessione biblico-teologico-vitale, fonte perenne di ogni autentica teologia. Voler riassumere il loro contributo e il loro insegnamento non è facile. Ci limitiamo a cogliere i loro preziosi insegnamenti, perché in questo i Padri sono stati maestri ineguagliabili. Oggi, non possiamo ritornare a ripetere le loro spiegazioni, poiché essi non avevano i validi strumenti, che invece oggi la scienza biblica moderna ha messo nelle nostre mani, né possiamo ripristinare il metodo allegorico, che spesso ha abusato del testo sacro forzandolo a proprio piacimento. Quello che possiamo fare, invece, è di cogliere un aspet-
11:06
Pagina 14
Il senso spiritu a della Scrittura to luminoso della loro ricerca, ossia quello di porre al centro di ogni interesse, approfondimento e successivo sviluppo del pensiero cristiano, la Parola di Dio. La teologia patristica ha infatti per anima la Parola di Dio. Non è eccessivo dire che i Padri sono essenzialmente «gli interpreti della Parola», «i commentatori dei libri sacri».1 La Bibbia per i Padri non è un semplice libro di riferimento, ma «il libro» della loro vita, la via sicura che li porta alla scoperta del mondo di Dio ed alla comunione con lui. La loro formazione teologica si basa sulla Scrittura: essa li penetra ed essi vi si introducono come in un giardino segreto, nel quale si muovono e vivono. I Padri, per riprendere un’espressione di Sant’Atanasio, «respirano la Scrittura»2 che di-
La Parola di Dio è la base della spiritualità cristiana, perché in essa è Dio che, mediante la Chiesa, parla all’uomo di ogni tempo.
14
venta per loro il pane ed il nutrimento della loro «quotidiana ruminazione».3 Questo libro della loro formazione, essi lo commentano nelle catechesi e nella predicazione alle loro comunità cristiane, riproponendo una lettura reinterpretativa dell’evento salvifico consegnato nelle Scritture alla loro situazione. Questo tentativo metodologico è chiamato dai Padri «senso spirituale». La Scrittura letta in profondità Lo scopo principale a cui tende l’interpretazione scritturale dei Padri è quello di raggiungere il messaggio che Dio ha rivelato all’uomo per mezzo delle Scritture (cf DV 12). Questo risultato tuttavia si ottiene solo attraverso una diligente ricerca, una vigile pazienza, un silenzio umile e pieno di fede. La Bibbia ci introduce nel dialogo con Dio. Essa però lo avvierà solo in colui che ha penetrato le sue ricchezze e compreso le sue dimensioni, perché la Bibbia, pur essendo un tesoro preziosissimo, è anche un tesoro nascosto, le cui profondità si raggiungono solo al termine di un lungo cammino accompagnato da continua riflessione e preghiera. Severiano di Gabala († dopo il 408) siriano e famoso predicatore per la sua eloquenza e scienza biblica, nel commentare il passo di Giovanni 5,39: «Scrutate le Scritture», dice: «Scrutatele non con una lettura frivola,
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
u ale ma ricercate ed esaminate le profondità dei loro detti. Dio, che in realtà ha messo a nostra disposizione le Scritture, ha nascosto il senso delle sue parole: egli ci ha donato le Scritture, ma senza svelarci la loro nascosta interpretazione; egli ha lasciato questa ricerca allo zelo disciplinato dei nostri sforzi, per esercitare la nostra intelligenza, così che si possa verificare se noi serviamo le Scritture o se le usiamo violenza».4 Così Clemente Alessandrino: «Ci sono buoni motivi per cui la Scrittura nasconde il senso delle sue parole e questo anzitutto perché noi ricerchiamo e ci applichiamo a trovare il significato delle parole di salvezza».5 Sant’Agostino scrive: «Ieri comprendevi un poco, oggi comprendi di più, domani comprenderai più ancora: la luce stessa di Dio cresce in te».6 La stessa cosa dirà Gregorio Magno: «La Parola di Dio cresce con il suo lettore».7 Più ci si addentra nei misteri della Parola più si è in grado di coglierne il senso. I Padri però, a più riprese, affermano che il senso ultimo e pieno della Scrittura si raggiunge solo quando si realizzano determinate condizioni, a cui si rimane fedeli. Una ricerca spirituale I Padri, consapevoli che Dio ci parla attraverso il tessuto biblico (cf DV 12), compiono anzitutto sul dato rivelato un lavoro esegetico. Ma la loro esegesi, nonostante che sia ricca di belle in-
11:06
Pagina 15
tuizioni, a volte è assai carente del senso storico, che sfugge loro per mancanza di conoscenze filologiche e insicurezza di metodo. In questo caso resta vana l’impresa di penetrare nel significato profondo e spirituale della Bibbia: la loro ricerca è un insieme di scacchi e di squarci di genio. Essa tuttavia, Nella Scrittura dobbiamo sempre trovare Cristo che reaper Sé il senso profondo del testo. I Padri della Chiequando si è col- lizza sa, avendo ben compreso questo livello di lettura, cercato il vero senso vano in tutta la Bibbia la presenza del divin Salvatore. letterale, non è solo studio teccupati di nutrire vitalmente i lonico, un valorizzare mezzi e caro fedeli, è spontaneo e familiapacità umane aderenti alla verire il passaggio dall’esegesi crità biblica, ma uno sbocciare semstologica, oggetto fondamentapre in una ricerca spirituale aple della Scrittura, a quella ecprofondita con quell’atteggiaclesiologica e individuale, che mento di fede, di disponibilità tocca l’itinerario dell’anima verpiena allo Spirito, convinti che so Dio. In cima ai loro pensieri solo questa presenza può aprire c’è sempre la realizzazione delgli animi all’intelligenza della l’uomo concreto, che sulla base Scrittura e coglierne i segreti. della Parola di Dio, deve essere Ricorda Sant’Agostino che in ben relazionato verso Dio e verun passo qualsiasi della Scrittuso i fratelli. ra, se noi non riusciamo a trovaGiorgio Zevini re Gesù Cristo, noi restiamo ad un livello inferiore del senso scrit1 turale e quindi non abbiamo colAGOSTINO, De Trinitate 2, 1, 2: CCh 50, 81, 3; Sermones 270, 3: PL 38, 1240. to il testo.8 2 ATANASIO, Ep. ad Alr. 4: PG 26, 1036 B. La penetrazione cristiana del3 la Scrittura, per i Padri cioè, è GREGORIO MAGNO, Hom. in Ez. l, 5: PL 76, 821 C. cercare Cristo, averlo come mo4 SEVERIANO, Sermone 7: ed.Venezia 1827, dello nella vita di fede, con l’impp. 268. 270. pegno di lasciarsi convertire e 5 CL. ALESSANDRINO, Stromates 6, 15, 126, guidare da quella Parola che egli 1: GCS 495, 18. ci dona. La loro intuizione bibli6 AGOSTINO, In Joh. trac. 14, 5: CCh 36, ca fondamentale è il cristocen144, 34. trismo, è «il Figlio di Dio disse7 GREGORIO MAGNO, Hom. in Ez. 1,7: PL 9 minato nelle Scritture». 76, 843 CD. Siamo ben lontani dall’aridi8 Cf AGOSTINO, In Ps. 96, 2: PL 37, 1237; tà e dal vuoto spirituale, per non Serm. 160: PL 38, 876. dire teologico, di tanta esegesi 9 IRENEO DI LIONE, Adv. Haer. 4, 20, 39, storico-filologica moderna. Per i in W. W. HARVEY, II, Ridgewood 1965, Padri, pastori di anime e preocp. 172. 15
06 MA-giu.2009-impaginato
I Novissimi
19-05-2009
11:06
Pagina 16
/13
Celebrazione
In cammino verso le ultime realtà L’INFERNO Parliamo dell’Inferno per non andarci La preghiera che Maria ha suggerito ai veggenti di Fatima, è molto appropriata per comprendere questa sezione delle nostre celebrazioni: O Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’Inferno e porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia. Il punto centrale della nostra riflessione è che Dio ha creato l’uomo libero e responsabile e rispetta quindi le sue decisioni. Il Paradiso o l’Inferno sono il capolinea naturale della fine della nostra vita terrena. Siamo stati fedeli o infedeli all’amore di Dio? Per Lui non ci sono privilegiati a tutti i costi: bisogna adeguarsi ai suoi insegnamenti, è necessario accogliere la sua misericordia, è oltremodo opportuno e conveniente lasciarci amare da lui, qui e ora. Siamo in possesso del passaporto valido per l’aldilà? Non basta amare Dio, ci vuole assolutamente amore e misericordia verso il nostro prossimo a cominciare dalla propria famiglia. Dio non bacchetta chi sta per peccare, egli ti avvisa, ti mette in guardia e fa di tutto per farti capire che stai sbagliando. Il Padre eterno non infierisce, non si sfoga sui peccatori, Egli usa sempre misericordia, egli non sa altro che amare come ama una madre. Come uno si costruisce l’Inferno Alla domanda: “Come si concilia l’esistenza dell’Inferno con l’infinita bontà di Dio?”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde: Dio, pur volendo “che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3,9), egli rispetta le decisioni di ogni uomo. È l’uomo stesso che, in piena autonomia, si esclude volontariamente dalla comunione con Dio se, fino al momento della propria morte, persiste nel peccato mortale, rifiutando l’amore misericordioso di Dio. (CCC supplemento n. 213). 16
Chi invece sta nell’amore di Dio, vive già ora la vita eterna beata. Infatti: “Chi crede nel Figlio Gesù ha la vita eterna”, dice il Signore (Gv 3,36; 6,47). E ancora: “Chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio di condanna, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24). Quelli che sono di Cristo Gesù hanno messo a morte le loro passioni e le opere del peccato: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere (Gal 5,18-25). Chi compie queste opere non erediterà il regno di Dio, a meno che durante la sua vita terrena egli si decida di convertirsi facendo sbocciare i frutti dello Spirito che sono: amore, gioia, pace, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5). Preghiamo con il Salmo 1 Rit.: Chi segue me porterà frutti di vita eterna. Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Rit. Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Rit. Non così, non così gli empi: ma come pula che il vento disperde. Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina. Rit. La nostra scelta La Buona Novella di Gesù è un meraviglioso annuncio di vita nuova, ma che mette gli uditori di fronte alla scelta del Bene o del Male, della salvezza o della perdizione, di Dio o di Mammona. “Chi avrà detto empio a suo fratello, sarà condannato al fuoco della Geenna” (Mt 5,22).
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:06
Pagina 17
Alla domanda: «“Chi è il più grande nel Regno dei Cieli?”, Gesù dà due risposte. La prima: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli”. La seconda: “Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco” (Mt 18,1-10). Che cos’è l’Inferno? Il vocabolo Inferno viene dal latino e vuol dire “inferiore”, cioè luogo sotto terra. “Geenna”, dall’ebraico, vuole indicare “la valle di Ennom”, luogo di raccolta di rifiuti che venivano dati alle fiamme. Dunque la parola “Inferno” traduce il significato vero delle parole usate da Gesù: il Giudizio di condanna, il Fuoco eterno che brucia e non consuma (Mt 18,8-9). Geenna è il luogo maledetto riservato a quelli che non entrano nel Regno dei Cieli, nel Regno della Vita. L’appello di Gesù è appello alla conversione, al-
Inferno, Fra’ Angelico (1432-1435) Museo di San Marco, Firenze.
Rifiutando l’amore di Dio, l’uomo costruisce il suo inferno già su questa terra.
la vita, al Regno dei Cieli. Chi pertanto non lo accoglie e non fa suo il richiamo del Salvatore, costui si trova davanti alla sua scelta: l’Inferno, già da questa vita terrena. Uno se vuole può guadagnare tutto o perdere tutto, uno può essere salvato o andare in perdizione. Gesù è fortemente radicale nel suo annunzio, non si può tenere il piede in due staffe. La sua proposta è seria, non vi sono altre vie che si possano percorrere per salvarsi. Egli è il Signore della vita: questo vale per tutti gli uomini. L’Inferno non è uno spauracchio per bambini. Ci vuole una decisione forte e coraggiosa per il Signore. È necessario che Cristo regni nel tuo cuore, altrimenti perdi tutto. Egli non ci dà semplicemente delle informazioni su l’Inferno, egli non soddisfa le nostre curiosità. Quando parla degli operatori di iniquità, e cioè dei peccatori, egli afferma che saranno gettati nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13,42). Gesù paragona i peccatori alla zizzania che cresce in mezzo al grano, ma che poi viene gettata nel fuoco. Non vuole descrivere quale sarà il loro tormento, ma li mette in guardia perché non vi cadano, e allo stesso tempo presenta a loro i «giusti che splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro» (Mt 13,43). E quando un tale gli pone il quesito: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”, Gesù non risponde affatto alla domanda, ma insiste nell’annuncio di salvezza, perché vuole che tutti si salvino, e insiste dicendo: “Sforzatevi di entrare” (Lc 13,23-24). Ognuno prenda in mano la sua responsabilità. Quando Gesù mi parla è tutta la Sacra Scrittura che mi istruisce e che mi mette davanti a questa realtà: io stesso sono responsabile delle mie decisioni, non solo di quelle che riguardano l’oggi ma anche per quella che concerne l’aldilà. Oggi Gesù mi parla seriamente con l’amore del suo Santo Spirito, perché oggi devo decidermi per lui, affinché non avvenga che io mi separi da lui per sempre. Preghiera O Padre, per il tuo Amore, è nato dal più bel fiore intatto, l’uomo Gesù, il buon Pastore, l’innamorato di questo mondo peccatore. Non meno siamo cari a te, che tutti vuoi salvare in cielo, dimmi: “Quanto hai sofferto presso la croce insanguinata del tuo Diletto?”. Don Timoteo Munari 17
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
Musica e Fede Nel guardare indietro alla mia vita, ringrazio Dio per avermi posto accanto la musica come compagna di viaggio, che sempre mi ha offerto conforto e gioia. Benedetto XVI in occasione del concerto per gli 80 anni del Papa (16-04-2007)
L
’armonia del compositore russo Pëtr Il’ič Čajkovskij è di tale delicatezza e bellezza da coinvolgere anche l’ascoltatore più alieno. Ascoltando l’ultima delle “Sei sinfonie”, nota con il nome di Patetica, si ha veramente la sensazione di una proiezione verso l’immenso, di uno sguardo in un orizzonte diafano e purissimo, nel quale tuttavia è come palpabile la presenza di una nebbia che arresta il balzo verso l’infinito.
La formazione e i primi lavori Nato a Votkinsk, il 7 maggio 1840 da un ingegnere e da una pianista – che ebbero altri cinque figli – fu iniziato alla musica dalla madre. Dopo un breve impiego ministeriale a San Pietroburgo, dove per volere del padre si era iscritto alla facoltà di legge, nel 1861 si dedicò totalmente alla musica, sua vera vocazione, iscrivendosi al conservatorio della grande città. Tra i suoi maestri, Anton Grigorevič Rubinštein (1829-1894), uno dei più brillanti pianisti e compositori del suo tempo, fu quello che più lo formò al gusto occidentale romantico, contrapposto a quello del “gruppo dei Cinque”, 18
11:07
Pagina 18
Una barriera nell’infinito volto alla ripresa della musica popolare e nazionale russa. Rubinštein intuì il superiore talento del giovane Pëtr e nel 1865, come direttore del conservatorio di Mosca, gli assegnò la cattedra di armonia, incarico che egli mantenne per dieci anni. L’avvenire era dunque assicurato, ma sull’animo del giovane gravavano conflitti da cui non riusciva ad affrancarsi; la perdita della madre (1855), alla quale era profondamente attaccato, costituì una prova durissima; le privazioni economiche, provocate dai rovesci finanziari del padre, accentuarono il senso di instabilità emotiva che era in lui una costante. Cadde in preda ad una forma di vittimismo che assunse talora gli Lo schiaccianoci a forma di soldatino viene distrutto per dispetto da Fritz, fratello di Clara a cui è stato regalato. Nella notte, la bambina fa un sogno e la sua stanza si anima di musica e ballerini.
aspetti di un’autentica mania di persecuzione, nonostante i numerosi attestati di stima provenuti dai suoi primi lavori. Nel 1868 conobbe la cantante belga Désirée Artot: la relazione ebbe presto fine, mettendo drammaticamente in evidenza le sue difficoltà affettive. A questo travagliato periodo seguì la prima fase di particolare fervore creativo in cui Čajkovskij compose il poema sinfonico Destino (1868), la Seconda e la Terza sinfonia (187275) e la prima grande opera, Opri nik, tragedia ambientata nella Russia del Cinquecento, dove grava la crudele ombra di Ivan il Terribile (che non appare nell’opera) e la cui protagonista è la forte principessa Morozova capace di tenere testa alla tremenda opricnika, il corpo di guardia che opprime la Russia. Il grande successo dell’opera (Teatro Marinskij di San Pietroburgo, 1-4-1872), che pareva una risposta in chiave occidentale al patriottismo del Boris Godunov di Musorgskij, attizzò la polemica con i Cinque, di cui Čajkovskij avversava il nazionalismo musicale. Ma le grandi scene di massa, geniali e potentissime in Musorgskij, non toccarono mai la sua ispirazione, limitandosi ad una spettacolarità pomposa e solenne, dalla quale il suo animo subito si allontanò. La sua produzione, nell’ultimo terzo dell’Ottocento, fu quindi determinante per la formazione di uno stile russo occidentale: in 27 anni di attività teatrale, dal 1865 al 1892, compose dieci opere, tre balletti e diverse mu-
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
siche da camera. Iniziatore del balletto sinfonico, i valori della sua melodia risiedono nella fenomenale capacità di tradurre in suoni le realtà psicologiche e gli stati emotivi. Il suo talento culmina laddove si scoprono i sentimenti del tragico e le passioni più profonde e invincibili, oppure dove il suo dramma personale trova più diretta manifestazione e partecipazione sonora (ad esempio nella Quarta, Quinta e Sesta sinfonia). Nel 1876, durante il viaggio a Bayreuth, la “città santa” del wagnerismo, Čajkovskij indirizzò il suo orientamento musicale anche nell’area tedesca, fino a quel momento guidato dal melodramma italiano, in particolare da Donizetti, Bellini e Verdi. Nel 1877 si lasciò convincere al matrimonio, ma poche settimane dopo aveva già abbandonato la moglie, Antonina Ivanovna. Questa esperienza lo portò sull’orlo della pazzia, e solo l’amicizia con la ricca vedova Nadežda von Meck, madre di dodici figli, nella quale Čajkovskij vide un surrogato di madre, lo indusse ad accettare da lei un cospicuo aiuto finanziario che gli permise di dedicarsi per il resto della vita alla composizione. Trascorse l’ultimo quindicennio viaggiando lungamente in Europa e in America. Questi viaggi, segno di profonda inquietudine, indicano il tormento dell’animo di questo Grande, al quale tanto l’umanità è debitrice. Forse, se avesse conosciuto Cristo, avrebbe trovato la strada certa per la libertà da ogni soggezione, e dalle spire soffocanti di un’interiorità che non gli apparteneva. La sua vita sofferta dimostra come coscienza morale e coscienza di fede possono fondersi in un unico disegno di comportamento personale e collettivo, arduo ma possibile, il cui obiettivo è la pace, non come la dà il mondo, ma come la dona Cristo (Gv 14,27). La morte lo colse il 6 novem-
11:07
Pagina 19
Čajkovskij eseguì lo Schiaccianoci fra il 1891-92 su specifica richiesta dei regnanti russi.
bre 1893, a San Pietroburgo, durante un’epidemia di colera. Non mancano ancora oggi storici che suppongono il suicidio. I capolavori e lo stile Ancora legati ai modi elegantemente salottieri del primo periodo creativo, pur appartenendo alla maturità compositiva, sono i tre celebri balletti Il lago dei cigni (1876), La bella addormentata (1889) e lo Schiaccianoci (1892). L’orchestrazione perfetta e la melodia purissima fanno di questi spartiti elementi inalienabili del pensiero umano. Allo stesso arco di tempo risalgono le opere più note: Evgenij Oneghin (1878) e La dama di picche (1890), oggi costantemente rappresentate. Le altre sono meno note, ma altrettanto affascinanti. Čajkovskij si mantenne sempre fedele a un concetto aulico del linguaggio musicale, considerando irrinunciabile il canone della bellezza formale al di là delle esigenze espressive. Mozart, Beethoven e gli italiani assumono ai suoi occhi il valore vincolante dei classici. Le due opere maggiori costituiscono capolavori del patrimo-
nio musicale di ogni tempo. Entrambe provengono da Aleksandr Puškin (1799-1837), rispettivamente da un romanzo in versi e da una novella. In Evgenij Oneghin la figura indimenticabile è quella di Tatiana: la giovane, che insieme a madre e sorella conduce una vita agiata e amorfa, si innamora di Oneghin; costui, irrequieto e incostante, la respinge. La sua instabilità lo condurrà ad un duello in cui uccide il rivale; dopo molti anni ritroverà Tatiana, sposa di un principe; capirà quanto ha perduto in quella donna forte e generosa, e comprenderà di amarla. Tatiana resta fedele al marito e lo congeda per sempre. Con la sua sensibilità profonda, Tatiana è un tipico personaggio della letteratura russa. Con la sua grande statura morale e forza d’animo con cui nell’ultimo atto respinge Oneghin, assurge al rango di vera eroina. Lo stesso vale nell’altra opera, con il personaggio di Liza, appassionata protagonista della Dama di picche, in cui il cinico ufficiale Hermann sacrifica l’amore della fanciulla alla micidiale passione per il gioco. In quest’opera, con un’abilità melodica geniale, Čajkovskij denuncia il potere fatale delle carte (come di qualunque altra dipendenza) che si abbatte come un fulmine sull’apatica vita quotidiana di una società stanca ed inerte. Gli studiosi si chiedono come abbia fatto Čajkovskij a creare personaggi femminili dai sentimenti così nobili e profondi, che risultano sempre più significativi dei protagonisti maschili. Probabilmente ciò deriva dalla sensibilità acutissima del Maestro e dalla sua capacità di leggere nelle sofferenze nascoste del cuore umano, come forse dalla coscienza che solo l’amore di una famiglia avrebbe potuto dare un senso alla sua vita gloriosa e inappagata. Franco Careglio 19
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
L’ADMA nel mondo
11:07
Pagina 20
INSERTO
Da mihi animas cetera tolle 5. NUOVE FRONTIERE 5.2 Altre priorità: famiglia, comunicazione sociale, Europa Una particolare attenzione va riservata alla situazione attuale della famiglia che è il soggetto originario dell’educazione e il primo luogo dell’evangelizzazione. Particolare preoccupazione suscita, in quasi tutti i contesti, la situazione della famiglia. Essa è minacciata non solo dal diffuso relativismo etico, ma anche da processi di delegittimazione istituzionale. Si giunge fino alla disgregazione e al riconoscimento di altre forme di unioni, con conseguenze gravi sul piano educativo, quali l’abbandono dei minori, le convivenze imposte, le violenze intrafamiliari. Tutta la Chiesa ha preso coscienza delle gravi difficoltà nelle quali essa si trova e avverte la necessità di offrire aiuti straordinari per la sua formazione, il suo sviluppo e l’esercizio responsabile del suo compito educativo. Per questo anche noi siamo chiamati a fare in modo che la pastorale giovanile sia sempre più aperta alla pastorale familiare. Ci sentiamo pure interpellati dalle nuove tecnologie della comunicazione sociale e dalle sfide educative che esse pongono. Le opportunità comunicative di oggi diventano per i giovani un modo abituale per incontrarsi, scambiare messaggi, partecipare con rapidità e mobilità, ma anche in modo impersonale e virtuale. La cultura dei personal media può compromettere la maturazione della capacità di relazione ed espone soprattutto i giovani al pericolo di incontri e dipendenze fortemente negative; è in questo “cortile” che dobbiamo farci presenti per ascoltare, illuminare, orientare. Abbiamo tuttavia consapevolezza che molteplici sono i mondi virtuali abitati dai giovani e che non sempre siamo capaci di condividerli e di animarli per mancanza di formazione, di tempo e di sensibilità. Condividiamo la preoccupazione della Chiesa per le sorti del Vangelo nel mondo occiden20
tale e, in particolar modo, in Europa. Si va infatti indebolendo sempre più il riferimento alle radici cristiane che hanno contribuito alla identità del continente, ispirato pensiero, costume ed arte, orientato la storia dei popoli, arricchito la Chiesa di splendide figure di santità, nutrito per secoli lo slancio missionario in tutto il mondo. In forza dell’interdipendenza tra i popoli, il destino dell’Europa coinvolge il mondo intero e diventa preoccupazione della Chiesa universale. Si apre così una nuova frontiera rispetto al passato; un invito a “rivolgere un’attenzione crescente all’educazione dei giovani alla fede” (Ecclesia in Europa n. 61).
Un salesiano grande innamorato di Maria Ausiliatrice
Padre Joaquín SÁENZ MARTÍNEZ * Logroño - España 16-08-1922 † La Paz - Bolivia 27-02-2009
Il 27 febbraio celebrava la sua Pasqua il salesiano Joaquín SÁENZ MARTÍNEZ che in Bolivia è stato il grande diffusore della devozione a Maria Ausiliatrice. Il Padre Joaquín nacque in Logroño (provincia Rioja-Spagna) il 16 agosto del 1922, profes-
Il Padre Joaquín Saenz accanto al Nunzio apostolico.
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:07
sò come salesiano il 16 agosto del 1941 e fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1950. “Qualis vita, finis ita”, la morte del giusto, la soddisfazione del dovere e della missione compiuta, la conferma del detto paolino: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno”. Sereno e cosciente fino alla fine, con la piena certezza di camminare verso il felice incontro, con il pensiero fisso in Maria e lo sguardo sereno della Vergine Immacolata Ausiliatrice di Guadalupe che, sopra la parete laterale della sua camera, rivolgeva il suo sguardo verso il Padre Joaquín. Circondato e accompagnato dai confratelli salesiani, che lo hanno confortato con tutti gli aiuti spirituali, ha vissuto in modo consapevole il suo esodo pasquale, concelebrando l’Eucaristia del Viatico e dell’Unzione degli Infermi e recitando con profonda devozione, per l’ultima volta, la preghiera di consacrazione a Dio per le mani di Maria Ausiliatrice. Le spoglie mortali sono state esposte nella Basilica di Maria Ausiliatrice circondate da fiori, corone, preghiere, canti, ricordi, lacrime, rendimento di grazie a Dio per il dono della sua vita e della sua testimonianza. Una prima Eucaristia di suffragio è stata celebrata dal nuovo nunzio apostolico in Bolivia Mons. Giambattista Diquatttro, anche come segno di riconoscenza da parte della nunziatura per il servizio reso per oltre 20 anni dal Padre Joaquín come consigliere spirituale e confessore di alcuni dei nunzi che si sono succeduti nel tempo. I funerali sono stati presieduti dall’Arcivescovo di La Paz e successivamente la salma è stata trasferita a CochabambaFátima-Don Bosco per essere sepolta nel “Giardino salesiano”, così com’era desiderio del Padre Joaquín. Uomo fine, amabile, semplice, rispettoso; sacerdote pieno di fervore, zelante per la vita di grazia, confessore instancabile, al cui confessionale si sono rivolte migliaia di persone di ogni classe sociale, livello culturale e età. Ha sempre mantenuto una grande relazione con l’ADMA Primaria di Torino, in particolare nella persona di Don Sebastiano Viotti con il quale aveva stabilito una lunga e fruttuosa amicizia. Tra gli aspetti caratterizzanti questa promozione del culto mariano e della diffusione della devozione all’Ausiliatrice ci piace ricordare: – il riconoscimento nell’anno 2000 della dichiarazione a Basilica Minore del santuario di Maria Ausiliatrice in La Paz; – la diffusione annuale del calendario con l’im-
Pagina 21
magine dell’Ausiliatrice. Questo calendario viene diffuso nelle case, nelle officine, nei negozi e quest’anno ha avuto una tiratura di ben 170.000 esemplari; – l’organizzazione del terzo Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice in Cochabamba nel 1999; – la promozione dei gruppi ADMA in tutte le opere salesiane della Bolivia; – la nascita dei gruppi dell’ADMA GIOVANILE in diverse opere salesiane, giungendo a veder realizzato il Primo Congresso Nazionale dell’ADMA Giovanile in Cochabamba nel giugno del 2008; – la pubblicazione mensile di una lettera Circolare per i devoti di Maria Ausiliatrice.
L’A D M A nel mondo
L’Adma di Potenza è una presenza attiva nella vivace opera salesiana.
POTENZA (Italia). I giorni 28 febbraio e 1º marzo, su invito del Direttore, Don Italo Sammarro e della Famiglia Salesiana di Potenza, l’animatore Don Pier Luigi Cameroni ha incontrato sia la Famiglia Salesiana che il gruppo ADMA di questa città, che vanta una vivace presenza salesiana. Nel corso dell’anno pastorale diverse iniziative vengono infatti promosse e condivise dai diversi gruppi e in questa occasione è stata chiesta una comunicazione che presentasse il ruolo di “Maria Ausiliatrice in Don Bosco e nella sua azione educativa”. Il gruppo ADMA con oltre 120 membri è presieduto con grande passione e dinamicità dal Sig. Rocco Pecoraro e animato dal salesiano Don Vincenzo Adesso. Don Pier Luigi Cameroni 21
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
89
Santuari mariani CASALPUSTERLENGO (LO) Santuario Madonna dei Cappuccini Frati Minori Cappuccini Indirizzo: Piazza Cappuccini, 1 Tel. 0377 84.880 Diocesi: Lodi. Calendario: festa patronale il giorno dell’Ascensione; inoltre, si festeggiano l’incoronazione della Madonna nella prima domenica di settembre; il 21 febbraio, commemorazione della morte di padre Carlo d’Abbiategrasso.
Il Santuario della Madonna dei Cappuccini venne fondato nel 1574 dal padre provinciale Mattia Bellintani di Salò, dopo le apparizioni della Madonna. Si racconta che nel XIV secolo un vasaio, che voleva modellare una statua della Madonna, venne aiutato da uno sconosciuto pellegrino e la posa in una cappellina, detta di San Salvario, cioè del Santissimo Salvatore Gesù, che aveva custodito un antico simulacro della Vergine. Nel maggio del 1574, gli L’accogliente area del Santuario della Madonna dei Capuccini a Casalpusterlengo.
22
11:07
Pagina 22
Santuari della Lombard i abitanti di Casalpusterlengo, per quindici sere consecutive, videro scendere dal cielo, sopra la cappellina, una processione di frati con le candele accese per venerare l’immagine della Vergine. Tali fatti furono interpretati come segno esplicito che la Vergine Maria desiderava che la sua statua fosse custodita in quel luogo dai frati Cappuccini. Alla fine del 1576 i frati arrivarono veramente e costruirono Santuario e convento. Nei primi decenni del Seicento ebbe inizio la costruzione del nuovo Santuario, che incorporò la cappella della Madonna, con la nicchia sul lato destro. Cinquant’anni dopo l’apparizione, il 5 novembre 1624, fu consacrata la chiesa dedicata al Santissimo Salvatore e a San Francesco, che ebbe come festa titolare l’Ascensione. All’interno troviamo la tela dell’Ascensione di Battista Trotti del 1593 e la statua della Vergine che, rivestita di manto re-
gale, il 7 aprile 1780, venne solennemente incoronata. Ai lati dell’altare della Vergine sorsero l’altare di San Giuseppe, a sinistra, con una tela di Pietro Maggi e, a destra, del primo santo cappuccino, San Felice da Cantalice, raffigurato da Tommaso Formenti, mentre riceve dalle mani della Madonna il Bambino Gesù. Sotto la volta del Santuario si ammirano tre affreschi di Paolo Zambellini (1921), che rappresentano: il pellegrino che completa la statua della Madonna, mentre il vasaio assiste meravigliato; nel riquadro centrale, l’apparizione della Madonna e dei frati alla gente di Casalpusterlengo; la Madonna che ritorna alla cappellina accompagnata dagli angeli. Sulla parte interna della facciata si presenta un quadro della Visitazione, di Ferdinando Brambilla; mentre l’altare del Sacro Cuore con la statua di Cristo morto è opera di Lentignani.
06 MA-giu.2009-impaginato
d ia
19-05-2009
11:07
Pagina 23
/5
CASTELLEONE (CR) Santuario Santa Maria della Misericordia Indirizzo: Piazzale Santuario Tel. 0374 58.577 Diocesi: Cremona. Calendario: Le festività maggiori sono celebrate nei giorni delle apparizioni, in particolare l’11 maggio, precedute da una novena. Note: l’11 maggio ha sempre luogo una suggestiva processione. Inoltre nel Santuario il gruppo di preghiera di Padre Pio si raduna una volta al mese.
La statua lignea del XVI secolo della Madonna della Misericordia di Castelleone. Opera di Giovan Battista Maltempo. Interno e veduta aerea del Santuario di Santa Maria della Misericordia. Opera eseguita su disegno dell’architetto De Fondutis.
Il Tempio si trova a 1,5 km dall’abitato di Castelleone, raggiungibile oltre l’arco trionfale. Nel maggio del 1511 la Madonna è apparsa quattro volte a una pia vedova di Castelleone, Domenica Zanenghetta. La Vergine si è presentata assisa sul tronco di un albero al quale la donna si era appoggiata per piange-
re e pregare. Le apparizioni si verificarono dall’11 al 14 maggio. La Madonna diede un messaggio: preghiera e penitenza, richiedendo la costruzione di un Santuario con il titolo di «Santa Maria della Misericordia». L’edificazione della chiesa avvenne tra il 1513 e il 1525. Il Santuario primitivo, eretto da Agostino de’ Fondutis, è ancora autentico, ha forme rinascimentali con tiburio d’ispi-
razione bramantesca lombarda. Meravigliosa la cupola. Successivi rifacimenti deturparono la purezza dello stile rinascimentale. Ma dopo gli ultimi restauri, il Santuario è tornato al suo antico splendore. Nel 1910 è stata aggiunta una seconda arcata per dare maggiore spazio ai pellegrini. Il Santuario si presenta senza affreschi, ma ci sono diversi quadri, alcuni di firma ignota altri di pittori dell’inizio del Novecento. Cristina Siccardi 23
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:07
Pagina 24
23 GIUGNO 1607 - APPARIZIONE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE IN ARDE SI
Calendario Mariano
L
a città di Ardesio, situata a 38 chilometri da Bergamo, nell’Alta Valle Seriana Superiore, in un aperto pianoro dove la Valle, superando il Serio, si restringe, nell’antichità era rinomata per le vene di argento (ormai esaurite) e per le ricche cave di marmo nero e rosato. Da queste cave di ardesia deriva forse il suo nome. Un’altra etimologia del nome si ricava pure dallo stemma del Comune che sotto la nera Fenice, mitologico uccello che risorge dalle proprie ceneri, porta il motto «Ardeo et Renascor» «Brucio e Risorgo» a ricordo di un incendio del primitivo nucleo abitato, in località Balatroni con la frazione Ustigno (da ustus = bruciato). Al di là però delle vicende storiche, la gloria di Ardesio è legata allo stupendo Santuario sorto in seguito alla apparizione della Madonna delle Grazie.
Andiamo a ve L’apparizione della Madonna Nella casa di Marco Salera si trova una stanza, chiamata dei Santi, fatta affrescare nel 1449 da un pio Sacerdote con una serie di immagini sacre. Il gruppo centrale rappresenta il Crocifisso con la Madonna Addolorata, San Giovanni Battista, San Giorgio e Sant’Agostino, da un lato, e dall’altro Santa Maria Maddalena, San Pietro, San Paolo e San Giovanni Evangelista. Questa stanza così decorata dimostra la grande fede di quel pio Sacerdote e la devozione della gente del luogo che si esprime pure attraverso alle tante devote cappelle dedicate alla Madonna nei dintorni. La vita cristiana si svolge in un clima di fede e di devozione che contribuisce alla salvaguardia della dottrina cattolica, in quegli anni insidiata dalle idee luterane e cal-
Interno del Santuario della Madonna della Grazie di Ardesio, i cui lavori iniziarono nel 1608.
24
viniste che dalla Svizzera si diffondono nella Valle. L’apparizione della Madonna in Ardesio è perciò sentita come una difesa della integrità della fede cattolica di fronte alle tendenze ereticali provenienti dal nord. Oltre al padre Marco, la famiglia Salera è composta dalla madre Maddalena e dalle figlie Maria di 11 e Caterina di 7 anni. Non si conoscono le condizioni economiche della famiglia; dai documenti si può arguire che possegga un mulino e dei prati per la fienagione. Difatti, nell’imminenza del temporale, la mamma è preoccupata per il fieno ancora sparso nel campo. La signora Maddalena poi, in una deposizione, parla di un mulino verso il quale è diretta di primo mattino. Nel tardo pomeriggio del 23 giugno del 1607, dense nubi minacciose scendono dalle montagne preannunciando un furioso temporale. Spaventata e preoccupata per il raccolto, la mamma manda le due bambine ad implorare la Madonna, nella “Stanza dei Santi”. Mentre pregano, nell’oscurità minacciosa del temporale, le due bimbe vedono, ai piedi del Crocifisso, uno splendore ed accanto, su un trono d’oro, la Vergine Maria con in braccio il Figlio, in gesto di materno aiuto. Come di incanto il vento si calma, la furia del temporale si smorza, riappare il sereno in un magnifico tramonto. Le bambine urlano «La Madonna! La Madonna!». Accorrono i familiari, i vicini e si grida al miracolo.
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:07
Pagina 25
DE SIO (BG)1
vedere! La notizia si diffonde in un baleno, la gente accorre: «è apparsa la Madonna nella casa dei Salera in Ardesio, andiamo a vedere!». La Vergine non parla! Il fatto rimane isolato e non si ripetono successive apparizioni. La Madonna si mostra una sola volta ai piedi del quadro della “Stanza dei Santi”, ma fenomeni inspiegabili si susseguono per tutto il mese di giugno, luglio e parte di agosto. Il Parroco si preoccupa ed informa il Vescovo di Bergamo che costituisce, per esaminare il caso, un tribunale canonico, composto da un pubblico notaio, da due sacerdoti e da altre ragguardevoli persone in funzione di giurati. Il tribunale accerta le varie deposizioni dei testimoni, ora conservate nell’Archivio del Santuario, quindi il Vescovo riconosce la realtà dei fatti, legittima il Semplice e solenne è la costruzione del Santuario di Ardesio.
Dipinto della Crocifissione che sovrasta l’altar maggiore del Santuario.
culto e autorizza l’erezione di una Cappella. Il Santuario Ottenuta la desiderata autorizzazione ad erigere una chiesa in ricordo dell’apparizione, il Consiglio Comunale, nella riunione del 13 gennaio 1608, destina la somma di 4.300 Lire imperiali per l’acquisto della casa di Marco Salera e di altre adiacenti che vengono demolite, mentre la stanza dei Santi è tenuta intatta per formare la Cappella Maggiore della Chiesa. Il 24 giugno 1608, con solenne processione, il Parroco Don Gaffuri colloca la prima pietra, con la scritta su piombo, in latino: «Nel giorno 24 giugno 1608, essendo Papa Paolo V e Doge in Venezia Leonardo Donati, Vescovo di Bergamo Giovanni Battista Milani, la prima pietra di questa Chiesa è posta per mano del sacerdote Andrea Gaffuri, parroco». I lavori procedono con solerzia. Il Comune, con decisione unanime «acciò detta Vergine Maria interceda presso Dio per questo Comune», mette a disposizione i suoi boschi per il legname ed altre somme per pagare la manodopera. La popolazione presta la sua collaborazione of-
frendo, a turno, una giornata di lavoro. Già il 5 agosto 1608, finita la Cappella dell’Altare Maggiore, il Parroco Don Gaffuri ha la gioia di celebrare la prima Messa, quindi una seconda Messa solenne è celebrata dall’Arciprete di Clusone. Questa data sarà ricordata con solennità fino al 1691, anno in cui la festa del Santuario viene fissata il 23 giugno, giorno dell’apparizione della Madonna. L’anno seguente, con breve del 27 gennaio 1609, il Papa Paolo V concede l’Indulgenza plenaria a chi visita il Santuario nel giorno dell’Annunciazione della BeataVergine Maria. Con il tempo, l’amore dei fedeli per la Madonna delle Grazie va crescendo con riconoscenza, il Santuario si abbellisce di innumerevoli opere d’arte, ed il 24 giugno 1872, il Vescovo di Bergamo Mons. Luigi Speranza, circondato dai Vescovi di Como, Cremona e Crema, procede alla solenne Incoronazione della devota immagine. Don Mario Morra 1
Memoria intorno alla Prodigiosa Apparizione e al Santuario della Madonna delle Grazie in Ardesio Coronata nell’anno 1872, Fiorano di Serio - P. Masserini 1913. Autori vari: Il Santuario di Ardesio, Rovetta (BG), 1986.
25
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:07
Pagina 26
Storia illustrata dei Papi
Centro di Documentazione
I Papi della prima m del terzo secolo
San Zefirino (199-217) Romano di origine, ha un pontificato molto turbato a causa sia di lotte teologiche interne, sia per gli editti di persecuzione dell’imperatore Settimio Severo. Tra le eresie che iniziano a svilupparsi nella Chiesa, la più preoccupante è quella chiamata monarchianismo, la quale sostiene che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono persone distinte tra loro, ma soltanto dei modi di manifestarsi della medesima essenza divina. Viene così difesa l’unità di Dio ed il suo assoluto (monarchico) governo su tutte le cose celesti e terrestri, ma viene negata la trinità delle Persone uguali e distinte.
San Callisto legò il suo nome alle celebri Catacombe sulla Via Appia Antica che ancor oggi sono visitate da centinaia di migliaia di pellegrini ogni anno.
Riprende poi pesantemente la persecuzione dell’imperatore Settimio Severo, convinto che la religione cristiana costituisca un pericolo per la stabilità dell’ordinamento statale. Numerosissime sono le vittime della persecuzione che colpisce anche i catecumeni ed i neofiti non solo a Roma, ma anche a Cartagine, ad Alessandria ed in altre città dell’impero. Zefirino è il primo Papa Zefirino combatté l’eresia che negava la presenza di tre persone all’interno dell’unità di Dio.
26
Papa ad essere sepolto nel cimitero di San Callisto sulla via Appia. San Callisto I (217-222) Secondo la testimonianza di Ippolito, Callisto è uno schiavo incaricato dal suo padrone cristiano dell’amministrazione di una banca. Avendo perduto il denaro di alcuni risparmiatori e disturbato una riunione degli ebrei nella loro sinagoga, finisce per essere condannato ai lavori forzati nelle miniere di Sardegna. Rimesso in libertà, grazie all’intervento di Marcia, una favorita dell’imperatore Commodo, rientra in Italia, è ordinato diacono dal Papa ed incaricato della gestione delle catacombe. Il suo pontificato dura solo cinque anni, ma è ricordato per
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:08
Pagina 27
a metà Papa Urbano I poté rafforzare la presenza della Chiesa grazie al clima di tolleranza che si sviluppò sotto il dominio dell’imperatore Alessandro Severo.
ai tempi di Papa Callisto, al quale rimproverava una eccessiva clemenza verso gli eretici ed i pubblici peccatori. Condannato all’esilio in Sardegna, muore dopo soli cinque anni di pontificato. Mario Morra
Papa Ponziano, venne esiliato in Sardegna e successivamente sepolto nella cripta dei Papi delle Catacombe di San Callisto.
aver condannato alcuni movimenti ereticali e confermato la fede nella unità e trinità di Dio. La Chiesa celebra la sua memoria il 14 ottobre. Sant’Urbano I (222-230) Poche sono le notizie certe che lo riguardano. Il suo pontificato di otto anni si svolge durante l’impero di Alessandro Severo in un clima di pace e di tolleranza verso i cristiani. San Ponziano (230-235) Nato a Roma, è amareggiato dallo scisma di Ippolito, prete romano che si è ribellato già
COMUNITÀ DI BOSE
LETTURE PER OGNI GIORNO Editrice Elledici, pagine 735, € 25,00 Ogni giorno una lettura edificante, assecondando il ritmo della liturgia delle ore e seguendo il calendario liturgico. Brani scelti dalla comunità monastica di Bose che hanno selezionato tanti autori religiosi e no mentre trattano in profondità e grande sensibilità esperienze di vita volte a cercare Dio, con un amore pratico e vissuto, per un’intensa spiritualità e vita interiore. Un’opportunità in più per meditare e nutrire l’anima e il pensiero, per ricaricarsi ogni giorno dedicandosi a piacevoli quanto confortanti letture. 27
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:08
Pagina 28
Dodici anni per Santi di ieri e di oggi
S
prizzava gioia solo a vederlo: un ragazzino lieto e simpatico, dallo sguardo intelligente e buono. Era nato a Pianello del Lario (Como) il 26 aprile 1878 – 130 anni fa – quando in paese era ancora parroco Don Carlo Coppini. È il secondo figlio di Natale e Domenica Mazzucchi. Al battesimo lo chiamano Alessandro, in omaggio al nonno paterno che vive in casa. Sarà Sandrino per familiari e amici. Quando ha tre anni, a Pianello giunge un parroco eccezionale, Don Luigi Guanella, che era stato allievo di Don Bosco e Salesiano per qualche anno. È un bambino vivace, Sandrino, ma la sua fanciullezza è piena di lutti: perde la sorella maggiore, ancora bambina, quindi il padre Natale, quando ha solo sette anni. Rimane in casa con la mamma e il fratello più giovane di lui, Leonardo, cui sarà
molto legato. La sua famiglia, all’inizio benestante, aveva perso molti dei suoi beni per aiutare un parente, finito in fallimento. Così, per vivere gestivano in paese un negozio con trattoria. Un ragazzo comune... Un ambiente cui non mancano difficoltà di lavoro e di vita. Ma Sandrino cresce sereno, aiutato dalla forte e dolce educazione cristiana che gli viene dalla mamma amatissima e dal parroco Don Guanella. Fin dall’inizio è preso dall’amore per Gesù che dominerà tutta la sua vita. A 5 anni, è maturo per andare a scuola dalla brava maestra del paese Giuseppina Lombardi. A otto anni, supera gli esami di terza elementare con ammirazione del direttore didattico di Como, venuto ad interrogarlo. La mamma gli raccomanda di
Alessandrino tenuto per mano dal fratello sacerdote nell’affresco del nuovo Museo Don Guanella di Como.
studiare: lui, guardandola con i suoi occhi sereni e spalancati come per lo stupore di sempre nuove scoperte, ride di gusto: una lettura sola gli basta per apprendere benissimo la lezione. Impara a scrivere per gioco, correttamente tanto con la mano destra che con la sinistra, e ci ride sopra, assai divertito. A scuola, i compagni lo chiamano “grembiulone”, perché porta addosso, come tutti loro e come divisa scolastica, il grembiule, solo che questo è sempre un po’ largo per la sua personcina. Ma Sandrino accetta gli scherzi senza adombrarsi, anzi rispondendo con altri scherzi innocenti. Sta volentieri con i compagni e gioca con loro. Ama disegnare: sono disegni semplici e gentili, case, giardini, monti, persone e spesso chiese e cappelle con chierichetti. In questo ambiente così comune sboccia la bontà lieta e attiva di Sandrino, sul quale testimonieranno la mamma, il fratello minore Leonardo, il parroco Don Luigi Guanella, i suoi educatori di Pianello e di Como. I suoi compagni di scuola, interrogati molti anni dopo, ricorderanno ancora con freschezza il suo volto luminoso e il suo stile di ragazzo esemplare. ... ma straordinario Il suo biografo G. Tamburelli, (nel libro Alessandro Mazzucchi, Edizioni Paoline, Bari, 1933, ristampato nel 1961) scrive di lui: “Era di fisionomia aperta, di costituzione piuttosto gra-
28
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:08
Pagina 29
er Gesù cile; un bel viso pieno di candore; gli occhi grandi, ridenti e sereni che ti guardavano con attenta ingenuità; vi traspariva la sua innocenza e intelligenza non comune, l’affettuosità tenera e calda”. Su queste doti precoci di intelligenza e di bontà, s’innestano subito le più belle virtù cristiane portate sempre più innanzi dalla Grazia santificante che gli dà la fisionomia di un piccolo Gesù, con la sua intensa preghiera, la sua purezza, la carità teologale verso Dio e verso il prossimo. Subito è indicato agli altri, quando passa per il paese: “Chi è quel bambino? È Sandrino Mazzucchi!”. Un vero segno della presenza di Dio, in mezzo agli altri. Tocca il cuore di tutti il suo stile di gioia e di singolare bellezza interiore. Don Guanella, alla cui spiritualità crebbe il giovane Alessandrino.
Alessandrino Mazzucchi 1878 -1890
L’ambiente con negozio e trattoria preoccupa la sua mamma che lo tiene il più possibile lontano dal locale e gli consiglia distarsene in casa tranquillo e raccolto. Sandrino cresce formandosi una coscienza davvero cristiana: Don Luigi Guanella, suo parroco (oggi “beato”) è il suo modello sulla terra; San Luigi Gonzaga (1568-1591) è il suo modello in cielo. Alla loro scuola, impara a controllarsi, a evitare
pericoli e a crescere sulle orme di Gesù. Ai suoi tempi, un’educazione austera portava a ritardare la 1ª Comunione (non era ancora venuto S. Pio X) e a condurre spesso le anime alla Confessione. Sandrino, andato a scuola a cinque anni, viene preparato ad accostarsi alla Confessione tutti i mesi: la sua sensibilità religiosa e morale matura intensamente, nel clima dolce e forte portato a Pianello da Don Guanella. Quando finalmente può accostarsi a ricevere Gesù nella Comunione, oh sì, allora è festa grande per lui: sarà l’intimo amico di Gesù per sempre! Ha un senso profondo di Dio, lo sente vicino – come davvero è vicino, anzi intimo nella vita della Grazia santificante – e gli parla nella preghiera a lungo, ogni giorno. Chiede soprattutto di evitare il peccato e di crescere nell’amore per Lui. Quasi senza accorgersene, diventa maestro di preghiera per i suoi fratellini, suscitando, qualche volta, la benevola ironia di qualche adulto che lo chiama “pretino”. Ma Sandrino va avanti per la sua strada: si sente in compagnia degli angeli, dei santi e della Madonna, che chiama “Mamma”. Vive già, sulla terra, tra i suoi monti, come in Paradiso: Gesù, nel Tabernacolo, è il suo Paradiso. Il fratello Leonardo (nato nel 1883) ricordava come un giorno gli avesse insegnato la Salve Regina in latino: lui 4-5 anni, Sandrino 9-10, già maestro di latino. Leonardo diventerà sacerdote guanelliano, con molti incarichi di responsabilità nella Congregazione. La passione per la Messa Molto presto Don Guanella chiama Sandrino nel gruppo dei suoi chierichetti in parrocchia. Impara a servire Messa, rispon29
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
dendo in latino, e ad entusiasmarsi fino alle lacrime per la presenza di Gesù, Sacerdote e Vittima, sull’altare. Non manca mai ai suoi turni di servizio, anche nei giorni feriali, quando la Messa viene celebrata prestissimo: d’estate alle quattro. Veramente dormirebbe vo-
11:08
Pagina 30
ragazzo che ha dello straordinario!”. Anche Don Guanella lo giudica così: quel ragazzo che gli serve la Messa, inginocchiato sui gradini dell’altare, tutto fervoroso, è proprio straordinario. Un giorno, dopo una luminosa predica sulla Messa e sul sacerdozio ordinato appunto per Tomba dei fratelli Mazzucchi all’interno del Santuario del Sacro Cuore di Como.
lentieri, ma scongiura la mamma perché lo svegli, perché lui a tutti i costi dev’essere presente ad un avvenimento tanto grande qual è il Sacrificio di Gesù. Come gli ha insegnato Don Guanella con diverse spiegazioni, risponde in un latino quasi perfetto e sa persino salmodiare in latino ai Vespri della domenica e all’ufficio dei defunti. È la presenza di Gesù che lo rapisce. Don Guanella lo osserva al catechismo, attento e sempre pronto a domandare per saperne di più, a spiegare e ripetere ai compagni che non hanno capito. Lo vede all’oratorio, allegro, vivace, simpatico: corre, ride, scherza, gioca a pallone con mirabile destrezza nell’ampio prato presso la chiesa parrocchiale. La gente commenta: “Sandrino ha un’aria particolare; è un 30
la Messa, Don Guanella si ferma un momento con Sandrino, si toglie il tricorno dal capo e lo pone sulla sua testolina, domandandogli: “Ti piacerebbe così? Ti piacerebbe farti prete?”. Giunto a casa, racconta tutto alla mamma: “Oh, se potessi farmi prete... celebrare anch’io la Santa Messa, come Don Luigi!”. Piange di gioia. Così, il 26 aprile 1888, Sandrino entra nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata a Como da Don Guanella stesso. È il primo seminarista che inaugura l’Istituto di Don Guanella. Lì studia con profitto e cresce nelle virtù, pensando di poter salire l’altare quando giungerà la sua ora. Per due anni, quella è la sua casa, di cui sarà il primo angelo, destinato a diventare un modello per quelli che sarebbero entrati dopo di lui.
Piccolo seminarista Si distingue e si fa voler bene per la sua allegria e amabilità, per l’amore grandissimo a Gesù Eucaristico, che adora ogni giorno, a lungo, davanti al Tabernacolo. È pieno di carità verso i sofferenti ospitati nella casa. Per invito di Don Guanella, fa ogni mese il “pio esercizio della buona morte”, scegliendo come giorno il 21 di ogni mese, in onore di San Luigi Gonzaga. Confida a Don Guanella: “Come mi piacerebbe morire come morì San Luigi, nel giorno della sua festa!”. Il 21 giugno 1890, festa di San Luigi e onomastico di Don Guanella, viene da Pianello a Como la sua mamma a fargli visita, ma Sandrino preferisce mangiare con un compagno malato, Lino Crosta, per fargli compagnia. Dopo pranzo, va a giocare sull’altalena, in cortile. C’è un clima di festa quel giorno. Sandrino, per un improvviso capogiro, cade dall’altalena e batte con la testa sul suolo. Privo di sensi, riceve l’assoluzione da Don Guanella, quindi va incontro a Dio la sera di quello stesso giorno, sacro al suo modello San Luigi, come aveva desiderato. Sepolto tra il pianto grande del suo Istituto e della sua parrocchia, nel cimitero di Pianello, dal dicembre 2007 riposa a Como nel Santuario del Sacro Cuore, vicino al fratello Don Leonardo Mazzucchi. Don Guanella aveva sofferto moltissimo per quella sua morte prematura, lo ricordava spesso e ne parlava con vivo rimpianto proponendolo a modello: “Ah, era proprio un fiorellino eletto e il Signore se l’è portato in Paradiso. Sia fatta la sua volontà”. Ne aveva dettato l’epigrafe per la tomba e il biografo già citato commenta: “Lì un santo sintetizza vita e virtù di un altro santo”. Paolo Risso P.za Umberto I, 30 - 14055 Costigliole d’Asti (AT)
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
La pagina del Rettore
Carissimi amici, l mese di maggio è ormai alla fine e certamente in questo mese ognuno di noi ha saputo dare alle sue giornate quell’impronta mariana che caratterizza la nostra spiritualità cristiana. Guardando a Maria cogliamo però con chiarezza che ella ci conduce a Cristo, indica Lui come punto di riferimento della nostra vita e ci invita a se-
I
guirlo ripetendoci costantemente: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Il mese di giugno orienta il nostro sguardo verso la persona di Gesù, rivelatosi come “Sacro Cuore”: “Ecco quel cuore che tanto ha amato gli uomini”. La devozione al Sacro Cuore vuole celebrare la grandezza dell’amore
11:08
Pagina 31
GESÙ è sempre con noi di Dio per ognuno di noi. Dio ci ha amato dall’eternità, non c’è stato un momento nell’eternità che Dio non abbia pensato a noi e non abbia amato ciascuno di noi, dice infatti la Parola di Dio: “Ti ho amato di amore eterno” (Ger 31,3). Per noi Dio si è fatto uomo, è vissuto con noi e in mezzo a noi, rinunciando al suo onore, alla sua stessa vita fino a morire in Croce. E come se non bastasse aver dato la sua vita, ci ha anche lasciato se stesso nel sacramento dell’Eucaristia per restare sempre con noi e farsi nostro cibo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). È forte nel nostro cuore l’anelito alla felicità, ma questa suppone l’appagamento di tutti i nostri desideri, mortificati dalla instabilità delle cose. Il più profondo desiderio è quello di amare ed essere amati. Per questo ci si tuffa spesso su tutto ciò che sembra colmare questo vuoto di amore, ma se ne rimane scottati perché l’amore umano, così limitato e volubile, le cose, il successo, il prestigio... non ci appagano pienamente. Gesù ci presenta il suo Cuore come sede del vero amore, di un amore perenne; ci rivela che solo in questo amore noi possiamo trovare la felicità di cui siamo tanto assetati, “il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te” ci ricorda Sant’Agostino. Ma tutto questo a un patto: che ci poniamo in sintonia con la volontà del Padre. Non è il Signore che ha bisogno di noi, ma noi che senza il suo amore, e la redenzione che ci ha regalato, resteremmo chiusi nei nostri limi-
San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d'Ars.
ti, nelle nostre paure, nelle nostre angosce. Siamo invitati a non essere indifferenti a questo amore. Il mese di giugno vedrà anche l’inizio dell’«Anno sacerdotale», indetto dal Papa per ricordare il Santo Curato d’Ars, modello e patrono dei sacerdoti. Senza sacerdoti non c’è l’Eucaristia, non c’è il sacramento del perdono, non c’è la predicazione della Parola di Dio, non c’è la ricchezza di quell’amore che Gesù ci ha manifestato con la sua croce e la sua risurrezione. Per questo dobbiamo pregare per le vocazioni sacerdotali. La voce di Cristo possa raggiungere il cuore di tanti giovani. Un caro saluto e un ricordo in Basilica. Don Franco Lotto Rettore
31
06 MA-giu.2009-impaginato
19-05-2009
11:08
Pagina 32
AVVISO PER IL PORTALETTERE
In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente - C.M.S. Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino il quale si impegna a pagare la relativa tassa.
MENSILE - ANNO XXX - N° 6 - GIUGNO 2009 Abbonamento annuo: € 12,00 • Amico € 15,00 • Sostenitore € 20,00 • Europa € 13,00 • Extraeuropei € 17,00 • Un numero € 1,20 Spediz. in abbon. postale - Pubbl. inf. 45%
Direttore: Giuseppe Pelizza – Vice Direttore: Mario Scudu (Archivio e Sito Internet) Diffusione e amministrazione: Teofilo Molaro – Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione al Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Torino – Grafica e impaginazione: S.G.S.-TO - Giuseppe Ricci Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino Telefoni: centralino 011.52.24.222 - rivista 011.52.24.203 - Fax 011.52.24.677 Abbonamento: ccp n. 21059100 intestato a Sant. M. Ausiliatrice, Via M. Ausiliatrice 32 - 10152 Torino E-mail: rivista.maus@tiscali.it - Sito Internet: www.donbosco-torino.it
FOTO DI COPERTINA:
SOMMARIO
O glorioso San Pietro, ottienici la grazia di una fede viva che non abbia timore di palesarsi apertamente nella sua integrità e nelle sue manifestazioni. Impetraci vero attaccamento alla nostra Santa Madre Chiesa, fa’ che ci teniamo sinceramente uniti al Romano Pontefice, l'erede della tua fede, della tua autorità, unico vero Capo visibile della Chiesa Cattolica. Fa’ che seguiamo docili gli ammaestramenti e i consigli e ne osserviamo i precetti, al fine di poter giungere un giorno all'eterno premio del Cielo.
2 4 6 9 12 14 16
Un’immagine di Chiesa - Gesù racconta il Padre - MARIO GALIZZI Matteo I Dodici - BENEDETTO XVI Maria, di speranza fontana vivace Spiritualità mariana - M. SCUDU Don Primo Mazzolari Testimoni - PIER GIUSEPPE ACCORNERO Paolo e la Chiesa primitiva/3 Anno paolino - FABIO FERRARIO Il senso spirituale della Scrittura Bibbia e Spiritualità - GIORGIO ZEVINI I novissimi/13 Celebrazione - TIMOTEO MUNARI
18 20 22 24 26 28 31
Una barriera nell’infinito Musica e Fede - FRANCO CAREGLIO Da mihi animas - L’Adma nel mondo - DON PIER LUIGI CAMERONI Santuari della Lombardia/5 - Santuari mariani/89 - CRISTINA SICCARDI Madonna delle Grazie di Ardesio Calendario mariano - MARIO MORRA Storia illustrata dei Papi - Centro di Documentazione - MARIO MORRA Dodici anni per Gesù Santi di ieri e di oggi - PAOLO RISSO Gesù è sempre con noi - La pagina del Rettore - FRANCO LOTTO
Altre foto: Teofilo Molaro - Archivio Rivista - Archivio «Dimensioni Nuove» - Centro Documentazione Mariana - Redazione ADMA - Guerrino Pera - Andreas Lothar - Gabriele Viviani - Mario Notario - ICP - Ed. Elledici.
Se non siete ancora abbonati a questa rivista e desiderate riceverla in
saggio gratuito per tre mesi o se siete già abbonati e desiderate farla conoscere a qualche persona di vostra conoscenza, ritagliate questo tagliando e spedite in busta affrancata con € 0,60 al seguente indirizzo: Rivista Maria Ausiliatrice - Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino ❖ Favorite inviare in saggio gratuito per tre mesi la Rivista “Maria Ausiliatrice”, al seguente indirizzo: COGNOME E NOME __________________________________________________________________________________ VIA ___________________________________________________________________________ N. _____________ CAP ______________ CITTÀ ______________________________________________________ PROV. __________
Ringrazio.
FIRMA _________________________________________________________________________
I dati forniti dal Cliente saranno inseriti negli archivi elettronici e cartacei della Rivista Maria Ausiliatrice e sono obbligatori per adempiere all’ordine. I dati non verranno diffusi né comunicati a terzi, salvo gli adempimenti di legge, e saranno utilizzati esclusivamente dalla rivista, anche per finalità di promozione della stessa. Il Cliente può esercitare i diritti di cui all’art. 7 D. Lgs 196/03 “Codice della Privacy” rivolgendosi al titolare del trattamento: Rivista Maria Ausiliatrice, con sede in Torino, Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152. Al medesimo soggetto vanno proposti gli eventuali reclami ai sensi del D. Lgs. 185/99.