Rivista Maria Ausiliatrice n.8/2010

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353 /2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art.1, comma 2 e 3 - CB-NO/TORINO

ANNO XXXI - MENSILE - Nยบ 8 - NOV.- DIC. 2010

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Rivista della Basilica di Torino-Valdocco

La Luce splende

Contiene inserto redazionale


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Attività & iniziative hic domus mea Cari amici,

inde gloria mea Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Rivista 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Collaboratori: Corrado Bettiga Lorenzo Bortolin Nicola Latorre Per Bonifici: Codice IBAN: IT15J076 0101 0000 0002 1059 100 PayPal: abbonamento.rivista @ausiliatrice.net

Abbonamento annuo: .................. € 13,00 Amico .................... € 20,00 Sostenitore ............ € 50,00 Europa .................. € 15,00 Extraeuropei .......... € 18,00 Un numero ............ € 1,30 Spediz. in abbonam. postale Pubblicità inferiore al 45%

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grazie per l’attenzione con la quale ci seguite. Ne abbiamo prova dalle tante vostre lettere e telefonate d’informazione, di richiesta e di sostegno economico. Cominciamo da questo aspetto. Dal 1º aprile, il Governo ha annullato le tariffe postali agevolate per tutta l’editoria: in pratica, le spese di spedizione sono aumentate di oltre il 120%, con pesanti ripercussioni sui bilanci. Per compensare il maggior costo, noi abbiamo dovuto pubblicare abbinati alcuni numeri, come questo, datato novembre e dicembre. Per quanto riguarda i contenuti della Rivista, abbiamo cercato di affrontare temi d’attualità e sulla famiglia. In questo numero ci rivolgiamo anche ai ragazzi, proponendo il racconto evangelico della nascita di Gesù sotto forma di fumetto: una “storia” che alcuni di voi avranno la gioia di leggere insieme ai nipotini. Proprio da questa novità, ecco l’idea di pubblicare l’anno prossimo altri due “supplementi”. Non basta. Come per ciascuno di noi, che da bambino diventa ragazzo e poi adulto, anche per un giornale di tanto in tanto è opportuno qualche cambiamento. Così da gennaio, la Rivista diventerà bimestrale (anche per contenere le spese postali), avrà un formato più grande e le pagine saliranno dalle attuali 32 a 48: in pratica, oltre il 50% di testo in più. Ci saranno, quindi, “firme” nuove, impegnate su rubriche e temi nuovi, quali esperienze di vita e attualizzazione della Parola di Dio, con spazio riservato a voi lettori. Ci auguriamo di incontrare il vostro gradimento. Fateci sapere le vostre impressioni e se, come speriamo, sarete contenti, aiutateci a diffondere la Rivista tra conoscenti ed amici. Grazie di cuore. Un saluto dalla Basilica. La Direzione direzione.rivista@ausiliatrice.net


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La pagina del Rettore

Novembre, mese dei santi Carissimi amici, novembre è da sempre il mese dei santi e del ricordo dei defunti, accomunati in uno dei misteri più consolanti della nostra fede: la “comunione dei santi”, che significa il nostro camminare quaggiù in perenne compagnia della Vergine Maria, degli angeli, dei santi, dei nostri cari defunti. Un’immensa rete di relazioni che ci lega gli uni con gli altri, con Dio e con la realtà del Paradiso. Oggi, alcuni timori incombono su di noi e sulla società: malattia, disoccupazione, solitudine e sofferenze che non si notano all’esterno, come il dolore per le proprie ferite spirituali, per la paura e l’angoscia di un tempo che appare sempre più difficile. È normale che nelle difficoltà le persone cerchino aiuto. Nella storia del cristianesimo, nei momenti difficili, i cristiani si sono sempre rivolti alla Madonna e ai santi. In loro onore hanno edificato chiese, come appunto il nostro Santuario, dove si sono recati in pellegrinaggio per implorare soccorso. Naturalmente il vero salvatore è soltanto Dio. Ma quando andiamo in pellegrinaggio a un santuario dove sono venerati Maria, oppure un santo, o una santa, ci rivolgiamo a Dio con la stessa fiducia che questi ponevano in Lui. Noi sappiamo che l’incontro con gli uomini può essere anche una strada che conduce a Dio. E così nella vita dei santi vediamo che cosa può fare Dio nelle anime che a lui si affidano. I santi sono segni di speranza, ma anche compagni di viaggio nel nostro personale cammino verso Dio. Essi possono soprattutto interce-

dere per noi presso Dio. Ovviamente, noi possiamo rivolgerci direttamente a Dio, ma è così rassicurante sapere di essere rappresentati presso Dio anche da persone che nel loro corpo, proprio come noi, hanno fatto esperienza delle difficoltà di questa vita. In questo modo, ci sentiamo compresi e possiamo rivolgerci a loro per chiedere di presentare a Dio le nostre preoccupazioni. Come possiamo chiedere ad altre persone di pregare per noi, lo stesso possiamo fare anche con Maria e con i santi. Ci sentiamo sorretti dalla loro solidarietà, dalla loro compassione. Allora non siamo più soli dinanzi a Dio. Rivolgendoci a loro, troviamo, grazie a loro, una strada sicura che conduce a Dio. Se siamo con loro, siamo più vicini a Dio e il nostro personale cammino di santità, a cui tutti siamo chiamati, si fa più facile e più sicuro. Don Franco Lotto, Rettore

" Colgo l’occasione di questo numero doppio per inviare a tutti voi un saluto particolare dalla Basilica, anche in occasione del prossimo Natale.

"

lotto.rivista@ausiliatrice.net

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Editoriale

Nate dalla Speranza per semi n Le Figlie di Maria Ausiliatrice

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Suor Angela Schiavi, nata a San Colombano al Lambro (MI), è Ispettrice FMA del Piemonte e Valle d’Aosta dal settembre 2009. © Archivio FMA Piemonte

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icevere una chiamata per vivere nell’Ispettoria piemontese è sorprendente e interrogante. Viverci è un’esperienza unica e appassionante. Percorrerla è vitalmente evocante e stimola a intraprendere il cammino che i nostri santi hanno vissuto. Un cammino di Speranza assunta e donata sino all’eroismo. Mi chiedo che cosa possa significare, oggi, in questa terra, essere segno di Speranza come Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) per i giovani, per la gente, per recuperare il ritmo della “respi-

razione” cristiana e salesiana. Qui siamo ancora tante (56 presenze in Piemonte e Valle d’Aosta), con un buon bagaglio di esperienza e di età, ma anche con cuore generoso e missionario, e con segnali positivi di giovani che chiedono di condividere la nostra vita e la nostra missione. Così come siamo, ci chiediamo: “Cos’è missione oggi, dove tutto cambia in modo vorticoso, dove alcune certezze sembrano diventate gelatinose, dove la frenesia non dà la serenità di poggiare il capo e il cuore al sicuro? Co-


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i nare Speranza me dare e dire Speranza? Può la nostra missione configurarsi come Speranza?”. Ebbene, “possiamo vedere come sta emergendo – anche in mezzo a grandi fragilità – un volto nuovo della Chiesa, perché si stanno diffondendo esempi ed esperienze di comunità fraterne e solidali, di preghiera, coraggiose e perseveranti nel bene, vigilanti nella compassione, audaci nelle iniziative e felici nella speranza” (Instrumentum Laboris, II Congresso mondiale VR, 2004). Noi FMA facciamo parte di questo volto nuovo della Chiesa e siamo chiamate a tessere una nuova spiritualità che generi vita e speranza per tutti. C’è grande nostalgia di speranza, c’è bisogno di credere in ciò che non si vede, in un futuro migliore che ci attende e che possiamo costruire. La Speranza come l’amore, come la pace, come tutto ciò che è bello, vero e giusto, ha in sé il contagio e può dare riposo al nostro cuore, convertire le nostre angosce e darci il coraggio di vivere questo presente che a volte sembra duro. In questo tempo, così com’è, con le domande di sempre, quelle dei filosofi e di ogni uomo che pensa, quelle dei nostri giovani – “Chi sono, da dove vengo, dove vado, che cosa spero, che cosa mi attende?” –, in questo tempo, dunque, chi veramente spera, ha una marcia in più. La Speranza è un antidoto alla paura, alla tristezza, all’angoscia, alla minaccia del non senso. Don Bosco era un sognatore. Madre Mazzarello ha sognato ad occhi aperti. L’unione dei loro sogni ha da-

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to gambe a pensieri di speranza, tradotti in progetti per i giovani e ora realtà che aprono nuovi solchi di creatività e di fantasia apostolica. In questa terra benedetta vogliamo alimentare la visione di un mondo felice, giusto, salvato. Vogliamo avvolgere il presente di un nuovo dinamismo. E allora si illuminerà il cammino. Dio ha fatto alleanza con questa terra, e Dio è fedele. Questo Dio ci chiede di fare alleanza tra noi con l’esperienza che su tutte ha il maggiore impatto: quella dell’amore, generatore di fiducia e di speranza, e se è amore preveniente ha il sapore genuino e profumato dell’amore di un Dio che è Padre, Fratello, Presenza pervasiva, illimitata e infinita e di una Madre come Maria che, sempre gravida di nuovi figli, non perde mai di vista quelli già generati. In terra piemontese e valdostana affiniamo i sensori della mente e del cuore per cogliere i battiti, talora impercettibili ma reali, di quanti, giovani e meno giovani, sentono venir meno l’olio che alimenta la speranza nella vita, e per donarlo senza misura. Per noi nate dalla Speranza, è una chiamata a seminare Speranza, sapendo soffrire le vere domande, con le donne e gli uomini d’oggi, e ponendoci alla ricerca umile e autentica delle vere risposte, ricche di un dono che abbiamo ricevuto gratuitamente da due sognatori a occhi chiusi e a occhi aperti: Don Bosco e Madre Mazzarello. È la nostra missione oggi.

T Di fianco in basso: il celebre quadro con i due “sognatori”. © Editrice Elledici

I “La speranza ha in sé il contagio e può darci il coraggio di vivere questo presente che a volte sembra duro”. © Archivio FMA Piemonte

Suor Angela Schiavi Ispettrice FMA Piemonte e Valle d’Aosta redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Leggiamo i Vangeli

Lo sconvolgente “Seguimi” all’esatto r P

resso una delle principali vie che congiungevano la Galilea a Damasco, allungato sulla sponda del lago di Tiberiade, sorgeva Cafarnao: villaggio importante, in contatto con l’Ellenismo della Decapoli e con le più grandi città di Tiberiade e di Magdala, sede di una guarnigione militare (Mt 8,513) e di un posto di dogana. Gesù sceglie di andarvi a vivere (Mt 4,12) dopo gli spiacevoli fatti accaduti a Nazaret (Lc 4,16-30). Così Cafarnao diventa la «sua città» (Mt 9,1). Chi l’ha potuta visitare conosce bene quale sia il fascino che emana da suoi resti archeologici: le pietre bianche e ben sagomate della Sinagoga e quelle scure degli altri edifici custodiscono intatta l’eco delle parole di Gesù e la memoria dei miracoli che egli moltiplicò in quel luogo.

I Le rovine di Cafarnao, dove Gesù ha incontrato, tra gli altri, l’evangelista Matteo. © Editrice Elledici

La Parola del perdono Parole ed opere che l’evangelista Matteo – chiamato Levi da Marco e

Luca – raccoglie in una lunga sezione del suo vangelo (Mt 4,23-9,35) perché si capisca al meglio che Gesù è il Messia in cui Dio continua a farsi vicinissimo e a perdonare. Non a caso Matteo sceglie allora di esporre l’inizio della propria storia col Nazareno incastonandola tra il racconto del miracolo del paralitico (al quale Gesù dice: “Ti sono rimessi i tuoi peccati... Prendi il tuo letto e và a casa tua!”; Lc 9,2.6) ed il resoconto di un banchetto in cui il Signore si intrattiene in modo scandaloso con i peccatori pubblici ed afferma: “Non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Insomma se i farisei non avevano ancora ben inteso chi fosse veramente quel Gesù che aveva perdonato e guarito il paralitico, almeno si sforzassero di capirlo vedendolo chiamare un peccatore a far parte del suo gruppo e sentendolo pronunciare per i peccatori parole di compassione, mentre siede a tavola con loro. Dalla sequenza dei tre racconti emerge forte un solo messaggio: Gesù è Dio che perdona e fa di uomini “malati” persone “sane”, capaci di rialzarsi e di seguirlo. La Parola della sequela Una “buona notizia” che non fu colta dai farisei, ma fu accolta da Matteo che ne scrive non per averla sentita, ma per averne esperimentato i benefici. È lui infatti a sentirsi dire “Seguimi”, mentre al banco riscuote le tasse. È lui ad alzarsi e a seguirlo. È ancora lui ad ospitare Gesù nella propria casa (Lc 5,29-32) per un banchetto in cui vuo-

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o re delle tasse le esprimergli comunione! Non è forse meraviglioso che Matteo abbia voluto parlarci di sé senza nasconderci di essere un pubblicano, ossia un esattore delle tasse ritenuto per definizione ladro e connivente con l’autorità romana, proprio per far rilucere la misericordia di Gesù e per farci afferrare ciò che i farisei non vollero capire? Il “Seguimi” detto a Matteo e la sua reazione pronta recano pertanto una preziosa eredità da interiorizzare. La Parola della novità Il “Seguimi” ha da dirci innanzitutto che il nucleo dell’appello alla vita cristiana, così come ad ogni particolare vocazione nella chiesa, sta proprio nell’assoluta iniziativa di Gesù. È un suo atto di amore e di passione per noi. È lui che vede e chiama (v. 9a). A noi cosa spetta? Impariamolo dall’evangelista stesso: “Ed egli si alzò e lo seguì” (v. 9b). Questo deve essere vero anche per noi: accogliere la Parola e rispondere ... niente altro ci è chiesto per essere di Cristo! La Parola di Gesù a Matteo ribadisce anche che qualsiasi chiamata fattaci dal Signore è un imperativo ad abbandonare stabilità e sicurezze per incamminarci dietro a lui sulla via del sempre nuovo e del cambiamento. Il contesto narrativo in cui il comando è scritto ci suggerisce infine che i più grandi cambiamenti sono ri-

T La pronta risposta di Matteo al “Seguimi” detto da Gesù è una scelta da imitare. © Editrice Elledici

chiesti al nostro cuore e alla nostra mente: non è mica facile accettare di scrivere il proprio nome sulla lista dei peccatori e non su quella dei giusti! Eppure senza questa sincerità ed umiltà, come potrà il Signore diventare il nostro medico per sradicare da noi il cuore di pietra e darcene uno di carne? È questo infatti il suo desiderio: “Darò loro un cuore nuovo – dice il Dio di Israele – uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, perché seguano le mie leggi, osservino le mie norme e le mettano in pratica: saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Is 11,19-20). Senza disposizione al cambiamento interiore, alla conversione, come potrà venire a noi il perdono che solo ci abilita ad una vera vita in Cristo e ad un’ autentica appartenenza a Lui? Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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Spiritualità mariana

Maria accolta in cielo d Il dogma visto con occhi cinesi

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U L’immmagine di Maria Assunta nell’iconografia cinese. © Leung Yau

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a Costituzione apostolica Munificentissimus Deus, con la quale il 1º novembre del 1950, Papa Pio XII definì il dogma dell’Assunzione di Maria, vede in questo dato di fede la conseguenza piena dei legami singolarissimi che stringono Maria a Gesù, suo Figlio. Maria è assunta in cielo, è accolta dal Figlio risorto e glorioso a quel “posto” che egli ha preparato a tutti i suoi discepoli, a tutti quelli che lo vogliono seguire. Prima di lasciare questo mondo, Gesù dice espressamente: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). È giusto che sua Madre, per l’intima unione con il Figlio e l’intensa partecipazione al suo mistero di salvezza, sia la prima ad essere assunta accanto a lui, la prima a partecipare alla sua gloria. Per la cultura dell’Asia orientale e in particolare per i cinesi, l’annuncio di questo dato di fede non troverebbe, penso, grande difficoltà. Nell’etica cinese tradizionale, fedeltà (zhong), pietà filiale (xiao) e benevolenza (ren) sono i concetti fondamentali che tengono in armonia la relazione umana: nel piccolo

cerchio della famiglia e poi, nella società, nello Stato e in tutto l’universo. L’applicazione di questi princìpi determina il buon funzionamento della famiglia, dei sistemi sociali e politici. In particolare l’ideale della pietà filiale è radicata nel cuore e nella coscienza dei cinesi e degli asiatici. I riti di venerazione agli antenati, che non sono stati immediatamente compresi da tutti i missionari e che purtroppo hanno dato occasione a una controversia lunga un secolo e mezzo (dall’inizio del Seicento sino a 1742), scaturiscono dalla profonda pietà filiale dei cinesi verso i genitori e gli antenati. La pietà filiale radice di tutte le virtù Per Confucio, la pietà filiale è il punto iniziale del cammino verso l’integrità e la perfezione. La parola xiao appare, infatti, più di settanta volte negli Analecta di Confucio. Il Maestro è convinto che chi non pratica il xiao in famiglia, non è capace di praticare il zhong e il ren nelle relazioni umane fuori della famiglia. Il xiao non è l’adempimento di formalità o di doveri obbliganti, ma deve emergere dall’intimo del cuore, è l’espressione spontanea dell’amore e della riconoscenza. Tra i classici della letteratura cinese, c’è il Libro della pietà filiale (Xiao Jing), composto probabilmente al tempo della dinastia Han (II-I sec. a.C.) da autore ignoto. Il libro inizia così: “La pietà filiale è la radice di tutte le virtù”. Ogni cinese conosce sin dall’infanzia i 24 racconti edificanti della pietà filiale. È una raccolta di 24 esempi sto-


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o da Gesù rici di persone che hanno praticato in modo esemplare il xiao verso i genitori, soprattutto verso la madre. Tra questi racconti, ve ne sono alcuni di persone che, sostenute dall’affetto materno, hanno ottenuto grande successo dopo dure prove; una volta raggiunta la gloria, esaltano la madre attribuendo a lei il merito più grande. Nei catechismi cinesi, nei libri popolari di dottrina cristiana e nelle raffigurazioni artistiche l’assunzione di Maria è presentata comunemente come un incontro: Maria e Gesù. Maria è accolta nella gloria da Gesù. È il Figlio che accoglie la madre con gioia, venerazione e affetto. In Paradiso saremo insieme Una condivisione dalla mia esperienza personale. Provengo da una famiglia di tradizione buddista. Mio padre, da giovane studente, ha conosciuto alcuni missionari salesiani italiani e si è convertito al cristianesimo. Mia mamma è venuta a contatto con il cristianesimo attraverso il papà e ha ricevuto il battesimo pochi giorni prima del matrimonio, anzi, per essere più precisa, ha ricevuto cinque sacramenti in due settimane. Io sono stata battezzata da bambina. Quando avevo sei anni, mio nonno paterno morì, e morì buddista. A quel tempo mi era stato insegnato che soltanto chi ha ricevuto il battesimo può andare in paradiso. Nel lutto per il nonno, più della sua morte in sé, ero addolorata per il fatto che non era battezzato. Chiedevo con insistenza a mio padre: “È vero che in paradiso saremo pienamente felici?”;

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alla sua risposta affermativa, la mia incomprensione e confusione crebbero di più. “Ma come potrai essere felice in paradiso se il nonno non sarà con te? Come puoi avere felicità perfetta se tuo padre non gode con te?”. Alcuni anni dopo, anche mia nonna paterna si convertì al cristianesimo. Siamo stati noi a convincerla a iscriversi tra i catecumeni. Tra le motivazioni che le presentavamo, la più efficace era: “Nell’aldilà saremo insieme, non rischiamo di andare a due paradisi diversi”. Certamente la maternità di Maria non è l’unico fondamento della sua assunzione e il rapporto fra Gesù e Maria è molto più della pietà filiale. Tuttavia questo forte senso di vincolo familiare permette ai popoli dell’Asia di pensare con molta naturalezza a Maria assunta nella gloria accanto a Gesù. La gloria del Figlio comprende la gloria della Madre. In questo senso l’assunzione di Maria ha una prospettiva cristologica molto marcata ed è bello pensare che l’amore tra madre e figlio è eterno, è più forte della morte, va oltre il tempo e lo spazio. Maria Ko Ha Fong

© Foto Carla Milone

I Maria Ausiliatrice in un “santino” di Hong Kong.

kohafong.rivista@ausiliatrice.net

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Maria nei secoli

Il difensore dell’Immacolata C Il Beato Duns Scoto Se dunque Cristo ci ha riconciliati in modo pieno e perfetto con Dio, ha certamente meritato che a qualcuno venisse risparmiato questo gravissimo castigo, cioè il peccato originale, e per chi altro ha potuto fare ciò se non per la Madre sua? Duns Scoto

Y Domenico Savio è il fondatore della Compagnia dell’Immacolata. © Editrice Elledici

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no straordinario chiarore soprannaturale illuminò il volto del Papa, il Beato Pio IX, commosso al punto da interrompersi più volte per il singhiozzo e le lacrime, quando la mattina dell’8 dicembre 1854, alla presenza di duecento cardinali e vescovi, proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Un colpo di cannone fu sparato da Castel Sant’Angelo: era il segnale affinché le campane di Roma suonassero a festa dalle undici alle dodici. L’esultanza dei romani fu condivisa dai cattolici di tutto il mondo. Anche a Torino, nell’Oratorio di Valdocco, immensa fu la gioia di Don Bosco e di Domenico Savio, il fondatore della “Compagnia dell’Immacolata”. In realtà, il Popolo di Dio, guidato dal sensus fidei, cioè dalla capacità infusa dallo Spirito Santo che abilita alla comprensione delle realtà di fede, più con il cuore che con la mente, aveva sempre creduto che la Madonna fosse stata concepita priva del peccato originale. I fedeli partecipavano volentieri alle feste liturgiche che si celebravano per onorare questo suo privilegio e, in preghiera, si affollavano dinanzi agli altari intitolati all’Immacolata Concezione. Per giungere alla definizione del

dogma, tuttavia, era necessario un argomento teologico “forte”. E questo fu fornito al Papa da un grande teologo francescano, vissuto nel XIII secolo. Si tratta di Duns Scoto. Chiamato così perché nato in Scozia, studiò nell’università più importante del suo tempo, quella di Parigi, e, conseguiti brillantemente i gradi accademici, insegnò teologia in Inghilterra e poi in Francia e Germania. Muore in questo Paese, a soli 43 anni, lasciando, però, un numero considerevole di opere dove il suo pensiero colpisce per acutezza e profondità. Giustamente è stato definito “doctor subtilis”. Come tutti i francescani, anche Duns Scoto nutriva una grande devozione per la Madonna. Mosso da tale sentimento di pietà filiale, questo eccellente teologo volle rispondere all’obiezione, apparentemente insormontabile, che molti ponevano riguardo alla Concezione Immacolata di


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a Concezione

T Papa Pio IX ha proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione nel 1854. © Il Timone nº 2 marzo-aprile 2003

Maria. Questi sostenevano che poiché Cristo è il Redentore di tutti gli esseri umani, se si afferma che la Madonna è nata senza il peccato originale, si nega l’universalità dell’azione salvifica di Cristo, cosa evidentemente contraria alla Rivelazione. Quei pensatori, che pure amavano la Madonna, ritenevano che ella fosse stata santificata nel grembo di sua madre, sant’Anna, o al momento della nascita, ed in modo superlativo, ma pur sempre dopo essere stata segnata dal peccato originale. Ed ecco il colpo di genio di Duns Scoto, che giustamente Papa Giovanni Paolo II definì “cantore dell’Immacolata Concezione”. L’argomento da lui elaborato è tecnicamente definito “redenzione preservativa”. Parte da una premessa inoppugnabile: la mediazione salvifica di Cristo è stata perfetta. Questa perfezione comporta che almeno una creatura sia stata preservata in anticipo, ancora prima del suo concepimento, dal peccato originale. Questa creatura purissima è la Madre del Signore, cui si addiceva il “non plus ultra” della santità proprio a motivo della sua missione nella storia della salvezza. Ecco le parole di Scoto: “Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria. Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale”. Da quel momento, non soltanto la gente semplice e pia, ma anche i dotti e i sapienti aderirono senza riserve

I Duns Scoto è stato definito “cantore dell’Immacolata” da Giovanni Paolo II.

alla convinzione che la Madonna, la creatura più pura e bella, è stata concepita del tutto immune dal peccato originale. Teologi come San Pietro Canisio e San Roberto Bellarmino spiegavano questo insegnamento nei loro catechismi, molto diffusi e studiati. Santi predicatori, come Alfonso de’ Liguori, parlavano con trasporto di questo privilegio mariano, infiammando i loro ascoltatori. In molte università spagnole ed italiane i professori giuravano di difendere questa dottrina fino alla morte, se fosse stato necessario. Si giunse così all’8 dicembre del 1854 quando Papa Pio IX, con la sua infallibilità in materia di fede, dichiarò l’Immacolta Concezione un articolo di fede da credersi. Merito anche di quel teologo francescano che aveva fatto capire, più di cinque secoli prima, che la Madonna, senza peccato originale, è il capolavoro della Redenzione di Cristo. Roberto Spataro

Duns Scoto ci insegna che nella nostra vita l’essenziale è credere che Dio ci è vicino e ci ama in Cristo Gesù, e coltivare, quindi, un profondo amore a Lui e alla sua Chiesa. Maria Santissima ci aiuti a ricevere questo infinito amore di Dio di cui godremo pienamente in eterno nel Cielo. Benedetto XVI

spataro.rivista@ausiliatrice.net

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Il Papa ci parla

Cosa succede se Dio si fa bambino Che cos’è il Natale secondo Benedetto XVI? Ecco alcune sue limpide riflessioni, dalla prima Omelia natalizia del suo pontificato, nella notte santa del 2005. Un invito a entrare nel cuore della festa, e nel cuore della vita cristiana.

U Natale. Una bambina con le statuine del presepe. © Agenzia SIR

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« n Gesù Cristo, il Figlio di Dio – Dio stesso, Dio da Dio – si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: “Tu sei mio figlio”. L’eterno oggi di Dio è disceso nell’oggi effimero del mondo, e trascina il nostro oggi passeggero nell’oggi perenne di Dio». Così ha esordito Benedetto XVI nell’Omelia natalizia, la notte santa del 2005. Per proseguire: «Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo, e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi, e continui a operare per nostro tramite. Questo è Natale: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato!”». «Dio – ha proseguito il Papa – è diventato uno di noi perché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe. Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell’oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare, e alla quale dobbiamo sottometterci». Quindi il Papa ha descritto il Natale come una gran luce, che viene percepita solo dagli uomini vigilanti, mentre resta ignota per quelli distratti. E compito degli uomini vigili è portare agli altri la gran luce del Natale. 1. Natale, una grande luce Benedetto XVI ha richiamato il «Libro del profeta Isaia: “Su coloro che

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abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse” (9,1)... È l’irruzione della luce divina nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti... Luce significa soprattutto conoscenza, significa verità, in contrasto col buio della menzogna e dell’ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi – ha proseguito il Papa – la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c’è amore, emerge una luce nel mondo; dove c’è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attendeva. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria: la gloria dell’amore che dà in dono se stesso, e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell’amore». 2. Natale, luce percepita dai vigilanti Ecco l’ulteriore precisazione del Papa: «Solo le persone vigilanti sono in grado di scorgere la gran luce del Natale, percepirne lo straordinario valore, farne tesoro per la loro vita». Dunque, vigilanti come? Il Papa ha indicato come i pastori, là allora in Palestina, dalle parti della grotta. «Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati, ritenuti poco affidabili, e in tribunale non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici». Ma, ha aggiunto il Papa, «erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliava-


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no vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’Annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità, disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa». 3. Il buio di chi non attende Dio «Dio – ha continuato il Papa – ama tutti, perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima: il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio, non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono pure miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa, la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace». Di qui un risvolto del Natale, indicato dal Papa, che coinvolge e impegna i credenti: «Dio cerca persone che portino e comunichino la pace!».

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san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d’Avila a Madre Teresa di Calcutta – vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo, Dio oppone in quel Bambino la sua bontà, e ci chiama a seguire il Bambino». Ha concluso il Papa: «Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace, proprio nel nostro tempo». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net

Lasciarci prendere per mano Dopo Natale, Dio non è più un nome: è un amico, un parente, un fratello. Ecco perciò il consiglio del Papa: «Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prendere per mano dal Bambino di Betlemme. Non temere, fidati di Lui!». Benedetto XVI

I L’albero di Natale in piazza San Pietro. © Agenzia SIR

4. La luce da portare agli altri «La luce di Betlemme – ha ricordato Benedetto XVI – non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, “li ha avvolti di luce”. Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità, la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi – da Paolo ed Agostino fino a

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Vita della Chiesa

Assetato di assoluto Il Beato John Henry Newman

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I Durante il recente viaggio in Gran Bretagna, Papa Benedetto XVI è stato ricevuto dai Reali inglesi. © Agenzia SIR

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omo assetato di assoluto, che ha trascorso la vita cercando la verità. Questo è stato John Henry Newman, beatificato domenica 19 settembre a Birmingham, a coronamento del viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna (dal 16 al 19 settembre scorso, con tappe a Edimburgo, Glasgow, Londra e, appunto, Birmingham). Newman è chiamato “il padre del Vaticano II” o “il padre assente del Concilio”: sebbene il suo nome sia stato più volte pronunciato dai «padri» conciliari, nei documenti del Vaticano II non si trovano riferimenti alle sue numerose e profonde opere. Eppure lui non soltanto predisse con certezza che ci sarebbe stato un altro Concilio dopo il Vaticano I (1869-1870), ma i suoi scritti anticipano molti temi conciliari e molti teologi – cattolici, anglicani e protestanti – sono stati positivamente influenzati da lui. Tra loro c’è anche Joseph Ratzinger, che ha sempre avuto una particolare ammirazione per l’anglicano inglese convertito al cattolicesimo. E pa-

pa Ratzinger, parlando del viaggio Oltremanica, nell’udienza generale del mercoledì dell’8 settembre, ha detto: “Sarà una gioia particolare per me la beatificazione del venerabile John Henry Newman. Questo veramente grande inglese ha vissuto una vita sacerdotale esemplare e attraverso i suoi numerosi scritti ha fornito un contributo duraturo alla Chiesa e alla società, sia nella sua terra natale che in molte altre parti del mondo. È mia speranza e preghiera che sempre più persone possano beneficiare della sua saggezza gentile e possano essere ispirate dal suo esempio di integrità e santità di vita”. Dio: una Persona che gli disse “Tu” John Henry nasce a Londra il 22 febbraio 1801. Il padre è un banchiere dalla religiosità incerta, la madre discende dagli ugonotti francesi. È un ragazzo alto e magro, dagli occhi grigio-scuri, intelligentissimo. A 10 anni ha la certezza di essere chiamato a “servire la gloria di Dio”; a 15 incontra Dio “non come una nozione, ma come una persona che mi disse «Tu»”. I suoi studi sono una carriera rapida e brillante: entrato all’“Oriel College” dell’Università di Oxford a 21 anni, nel 1822 è promosso “fellow”, membro con borsa di studio. Nel 1824 è ordinato prete anglicano e diventa tutor, professore assistente. A 27 anni è parroco di Santa Maria di Oxford, ma conserva la docenza universitaria e pubblica opere di patrologia e di storia della Chiesa. È uno dei cervelli più acuti della Gran


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Bretagna, ma è insoddisfatto e cerca la verità attraverso una nuova strada. Predica al popolo ed è ascoltatissimo; affascina i giovani di Oxford con le sue lezioni, ma è insoddisfatto della sua fede. Nel luglio 1833 compie un lungo viaggio in Italia. A Roma avverte il lacerante contrasto nel suo animo: l’avversione al Papa – i cattolici, dagli anglicani sono spregiativamente chiamati papisti – e il fascino della roccia di Pietro su cui poggia la Chiesa. Incontra il sacerdote Nicola Wiseman, rettore del Collegio inglese, desideroso di ridare dignità ai cattolici d’Inghilterra, da secoli reietti in patria: con lui parla a lungo (Wiseman diventerà cardinale arcivescovo di Westminster). Il viaggio prosegue in Sicilia, dove si ammala gravemente, ma è sicuro: “Non morirò perché ho un lavoro da compiere in Inghilterra”. Guarisce e prega: “O Dio, luce gentile, guidami tra le tenebre. Nera è la notte, lontana la casa: guidami tu. Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami tu”. Rientrato a Oxford, si unisce a un gruppo di anglicani che trattano problemi spinosi: la vera natura della Chiesa, il rapporto con la Tradizione, l’autorità papale. Sotto il suo pulpito si accalcano numerosi fedeli. Il 24 settembre 1843 vi sale per l’ultima volta e rivolge i rimproveri più dolorosi e severi alla Chiesa anglicana. Apprezzato anche da Don Bosco Trascorre un periodo di silenziosa meditazione e di travagliata riflessione. L’8 ottobre 1845 davanti al passionista Domenico Barberi della Madre di Dio pronuncia l’abiura dell’anglicanesimo e diventa cattolico. Scriverà: “Fu per me come entrare in un porto, dopo una crociera burrascosa. La mia felicità è senza interruzione”. Gladstone, premier britannico, commentò: “Mai la Chiesa romana, dopo la Riforma, ha

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T John Henry Newmann è chiamato il “padre del Concilio Vaticano II”.

riportato una vittoria più grande”. La sua conversione è un evento e molti lo imitano: in un anno saranno oltre 300 le conversioni di intellettuali, professori, teologi. Intanto Newman va a Roma. Nel collegio di Propaganda Fide completa gli studi teologici e il 26 maggio 1847 riceve l’ordinazione sacerdotale. Incoraggiato da Pio IX, torna in patria. Ormai cinquantenne, vive la stagione più bella perché è sicuro di aver raggiunto la Verità, di essere in comunione con Cristo, la Chiesa e il Papa. Entra nell’Oratorio di San Filippo Neri e fonda oratori a Maryvale, Birmingham, Londra, Edgbaston. Ma arriva un periodo di grandi prove. Newman si trova solo e incompreso. Ma nulla lo scoraggia. Nell’oratorio di Birmingham si occupa dell’educazione intellettuale e morale dei ragazzi e dei giovani con bontà e amorevolezza. Don Bosco aveva saputo di lui e della sua conversione e lo apprezzava molto. Nel 1879 Leone XIII lo crea cardinale ed egli commenta: “Le nubi sono cadute per sempre”. L’11 agosto 1890 l’indefesso cercatore della verità va incontro al suo Dio “luce gentile”. Sulla tomba vuole scritto “Ex umbris et imaginibus in veritatem”, dalle ombre e dalle figure alla verità. Pier Giuseppe Accornero

I Papa Benedetto XVI arriva a Westminster Hall, lo scorso 17 settembre. © Agenzia SIR

redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Vita del Santuario

Il “sì” di 72 salesiani 141º mandato missionario

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I Il Rettor Maggiore don Pascual Chávez mentre consegna una croce missionaria. Foto Mario Notario

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omenica 26 settembre, nella basilica di Maria Ausiliatrice, il Rettore Maggiore dei Salesiani don Pascual Chávez ha consegnato la croce del 141° mandato missionario a 42 salesiani (nove in più rispetto allo scorso anno), a otto Figlie di Maria Ausiliatrice e a 22 volontari laici, pronti a portare in tutto il mondo la Parola di Dio in perfetto spirito salesiano. Spirito salesiano che il Rettore Maggiore ha potuto vedere già il giorno precedente, visitando per la prima volta l’oratorio torinese “Michele Rua”, in occasione del centenario della morte del beato.

Rivolgendosi ai ragazzi, don Chávez aveva detto: “La vostra fama vi precede. Mi è capitato di sentir parlare di questo oratorio come di una delle opere salesiane più significative nel mondo! Ma io oggi più che di «opera» voglio parlarvi di «presenza». L’opera dà il senso di una costruzione definita e statica, mentre voi rappresentate qualcosa di vivo, dinamico e mutevole, ma sempre fedele allo spirito con cui il beato Michele Rua, primo successore di Don Bosco, ha voluto edificare questi centri di diffusione del carisma salesiano a cui voi siete rimasti fedeli”. Testimoni anche in Europa Il mattino seguente, a Valdocco, i missionari sono stati i protagonisti indiscussi. Si è iniziato con la loro presentazione alla gioventù salesiana e si è proseguito con la solenne celebrazione nella basilica di Maria Ausiliatrice. Dei 42 figli di Don Bosco che hanno ricevuto il crocifisso dalle mani del Rettore Maggiore dei Salesiani don Pascual Chávez Villanueva, tre non erano presenti perché già in missione: due ad Haiti ed uno nelle isole Fiji. Per quanto riguarda la loro provenienza, 24 sono originari delle regioni asiatiche e di questi, dieci dal Vietnam. Gli altri arrivano dall’Europa (sette), dalle Americhe e dall’Africa (cinque ciascuno). E come ha ricordato don Chávez, “finalmente dopo 30 anni di missioni in Africa, questo continente ci dona per la prima volta più missionari di quanti ne riceva”. Inoltre, coerentemente con gli ultimi orientamenti della Congregazione, undici di loro andranno in missione in


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Paesi europei, dove spesso si annidano aree di povertà materiale e spirituale. Nuovi stili di vita Rievocando lo spirito con cui Don Bosco l’11 novembre 1875 diede avvio alle prima missione, don Pascual Chávez nella sua omelia ha affermato: “Amate la povertà! In questo contesto neo-liberista, la parabola di Lazzaro e del ricco descritta dall’evangelista Luca assume una dimensione universale. Le disuguaglianze, ampliate ulteriormente dalla crisi economica, potranno essere colmate soltanto puntando su una rinnovata evangelizzazione dei popoli e su nuovi stili di vita”. Nuovi modelli di mondo e di uomo che il Rettore Maggiore vede chiaramente indicati nell’enciclica Caritas in Veritate: “Seguite il magistero che il 29 giugno del 2009 ci ha consegnato Papa Benedetto XVI. Questo mondo incline all’autodistruzione potrà essere rivoluzionato soltanto attraverso l’esercizio di una carità illuminata dalla potente verità rappresentata dal Vangelo. Incoraggiate durante la vostra mis-

sione lo sviluppo integrale della persona umana. Sia il buon samaritano modello per voi che partite e per noi che restiamo. In breve, la Parola di Dio oggi può essere sintetizzata così: lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato, per portare la buona notizia”. Una verità che apre uno spiraglio per un’umanità migliore da edificare concretamente e quotidianamente nello spirito di Don Bosco e dei suoi successori. Michelangelo Toma redazione.rivista@ausiliatrice.net

U Le croci consegnate in questo 141º mandato missionario. Foto Antonio Saglia

I Attorno al Rettor Maggiore i giovani che hanno partecipato all’esperienza missionaria estiva. Foto Antonio Saglia

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Maria nell’arte

Un programma di “buon governo” La “Maestà” del senese Simone Martini

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imone Martini era senese e per i concittadini era il migliore pittore della città. Anche il Ghiberti, famoso scultore e scrittore di cose d’arte, fiorentino d’origine, era dello stesso avviso e lo disse: “Nobilissimo pittore e molto famoso”. Nato a Siena verso il 1284, Simone fu messo a bottega da Duccio di Buoninsegna, e così gli rimase sempre addosso la delicatezza tipica del maestro. I senesi, infatti, si erano appena abituati alla “Maestà” di Duccio, quando Simone dipinse la sua Madonna per una sala del Palazzo Pubblico cittadino. Stesso tema, ma con risultati diversissimi: il suo sarebbe diventato il manifesto di una pittura nuova che, in se-

Y Simone Martini concluse la Maestà nel 1315.

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guito, sarà chiamata Gotico Internazionale. Si recò, poi, ad Assisi, dove nella chiesa inferiore della basilica di San Francesco dipinse ad affresco la cappella di San Martino. E poi, produsse tavole e polittici. La sua più famosa opera su tavola è senza dubbio l’Annunciazione, oggi nella Galleria fiorentina degli Uffizi. Da ultimo, lavorò ad Avignone, quando per la presenza della curia papale, la città era un centro culturale di prim’ordine. Morì nel 1344 in quella città, carico di gloria e di onori. Di lui non rimangono che affreschi consunti, larve dello splendore antico. In quel periodo, miniò per Francesco Petrar-


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ca il frontespizio di un famoso manoscritto, il “Vergilius cum notis Petrarcae”, ora alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Ciascuno fa la sua parte Ma torniamo alla “Maestà”. Simone Martini la concluse nel 1315. Nel 1321, però, i committenti lo richiamarono per una “reactazione” dell’affresco, un aggiornamento iconografico, diremmo noi oggi. Nel frattempo, l’artista aveva lavorato ad Assisi e aveva assorbito la lezione di Giotto. Ed ecco che lui cambia alcuni volti dei santi. Aggiunse anche lunghi cartigli nelle mani dei quattro celesti protettori della repubblica, perché fosse ben chiaro il loro ruolo. In una parola, con i suoi 70 metri quadrati di superficie, la Maestà non è soltanto una grande impresa pittorica, ma è anche un programma di governo. Nella Siena comunale e guelfa del

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primo Trecento, il governo popolare dei “Nove” aveva bisogno di realizzare un solido programma pubblico di consenso per immagini, basato sui temi di concordia, giustizia, buon governo. E sulle pareti delle sale di Palazzo Pubblico fiorirono i capolavori di Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini. Non a caso, nel cartiglio della Vergine, a risposta delle suppliche, si legge, in sintesi, “Io farò la mia parte, ma chi vi governa deve fare la sua”. Gigantesco reliquiario gotico La Maestà è stata definita un gigantesco reliquiario gotico (misura 970 x 763 cm). Contro il cielo di un azzurro oltremare si dispongono in bell’ordine, attorno al trono della Vergine, figure di santi, angeli e apostoli. Ai piedi del trono sono genuflessi i quattro santi patroni di Siena: Crescenzio, Vittore, Savino e Ansano. La composizione è incorniciata da una larga fascia con venti medaglioni, separati da motivi vegetali. Poi, si svolge su due piani: quello simbolico, suggerito dalla fascia a tondi e girali, quasi fosse un arazzo, e quello reale, evidenziato dalla cornice dentellata aggettante, quasi a voler dare l’impressione che il muro si apra e la conversazione celeste investa i fatti della Terra e segnatamente, quelli della Repubblica Senese. Al termine degli ultimi restauri si è potuta apprezzare finalmente la suprema qualità degli incarnati. I volti, dalla saldezza plastica e dall’eleganza suprema, sono esemplari precorritori di una successiva civiltà figurativa, tanto da essere degni di figurare accanto a opere dipinte un secolo dopo, dal francese Fouquet o da un qualche altro grande del gotico europeo. Natale Maffioli

U La nota Torre del Mangia in piazza del Campo a Siena. © Photoxpress.com Foto Comugnero Silvana

maffioli.rivista@ausiliatrice.net

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Il Vangelo a fumetti

Un fumetto “giovane” su un gran d Rivisitare il Natale

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esù – Figlio di Dio – si fece uomo e venne ad abitare tra gli uomini. È il Mistero del Natale, uno dei pilastri su cui si fonda il credo dei cristiani. Fragile, indifeso e bisognoso di cure, Gesù venne accolto nella grotta di Betlemme da Maria, sua madre, e dallo sposo di lei, Giuseppe. Per prepararci a fare memoria di quest’atto d’amore di Dio nei confronti dell’umanità la rivista Maria Ausiliatrice propone ai lettori il racconto evangelico della nascita e della prima infanzia di Gesù illustrati dal disegnatore Massimo Ungarelli.

I Massimo Ungarelli mentre sta disegnando uno dei suoi fumetti.

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Il Vangelo, lezione d’amore Classe 1968, primo di tre fratelli e

padre di due figli, Massimo si appassiona alle matite, ai colori e all’arte fin dalle elementari. “Sono felice che i miei disegni vengano pubblicati su Maria Ausiliatrice – esordisce – perché è proprio nel santuario di Valdocco che, quattro anni fa, è cominciato il mio cammino di fede”. Un’infanzia come tante in un comune della cintura di Torino, gli studi da perito grafico, le prime collaborazioni con case editrici presti giose. “Sembra incredibile – racconta – ma quando, negli anni ’80 e ’90, gli editori mi proponevano di illustrare libri di argomento religioso rifiutavo. Non mi interessava. La mia unica fede era la famiglia che stavo costruendo: lì riponevo ogni aspirazione e ogni speranza”. Ma nel 2002 venne una grande crisi. “Mi è crollato il mondo addosso – continua – e ho trascorso anni terribili. Un giorno che mi sentivo più a terra del solito mio fratello Marco, che fa parte dell’ordine dei cappuccini, mi ha donato un Vangelo. È stata una rivelazione: sono rimasto conquistato dalla vita e dalle parole di Gesù e, come un condannato a morte alla vigilia dell’esecuzione, ho congiunto le mani e ho cominciato a piangere e a pregare”. Da allora Massimo vive e approfondisce la propria fede, con un occhio di riguardo verso la Basilica di Maria Ausiliatrice, che definisce “luogo di rifugio e di pace”.


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n de atto d’amore In attesa del Figlio di Dio Le tavole disegnate da Massimo per la rivista Maria Ausiliatrice ripercorrono fedelmente il testo del Vangelo di Matteo, di Luca e di Giovanni. “Li ho letti e riletti decine di volte – confida – e mi emoziono ogni volta per l’umile fede di Maria, che si lascia coinvolgere in una storia che non sa dove la porterà, e per la fiduciosa comprensione di Giuseppe di fronte a eventi umanamente inspiegabili”. La maggior parte dei disegni si soffermano sugli sguardi e sui volti dei protagonisti. “Ho scelto di relegare i paesaggi in secondo piano e di concentrarmi sulle figure umane per cogliere le espressioni, i sentimenti e le emozioni di chi stava per accogliere il Figlio di Dio”.

Una delle cose più strane, osservando le tavole, è la raffigurazione di Giuseppe, assai diversa da come la propone l’iconografia classica... “Non l’ho immaginato come un anziano ma come un giovane sulla trentina. Se consideriamo che Maria era una teen ager, il mio Giuseppe ha quasi il doppio dei suoi anni. Il Vangelo parla poco di lui, ma ogni tratto ne rivela la bontà: avrebbe potuto accusare Maria di adulterio e abbandonarla, invece si è fidato di lei e ha amato, come un padre, quel figlio destinato a cambiare la Storia”. Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

I Massimo si appassiona alle matite, ai colori e all’arte fin dalle scuole elementari.

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Catechesi & dintorni

Parabole... al contrario P

U Essere liberi vuol dire non attaccarsi alle cose. © Photoxpress.com Foto Petr Gnuskin e Anna Karwowska

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oco dopo l’inizio dell’anno scolastico sono ripresi anche gli incontri di catechismo. Saluti, abbracci, racconti delle vacanze... Tra questi, uno interessante ai fini della catechesi. Gianluca ha ricordato che “una domenica sono andato a Messa con tutta la famiglia. Alla fine, però, mio padre ha detto che non gli era piaciuta per niente la parabola al contrario letta nel Vangelo. Me la spieghi tu? Così questa sera posso fare bella figura con papà”. Dal suo racconto confuso, riesco a capire che si tratta della parabola del cattivo amministratore (Lc 16, 1-13). La leggiamo insieme. Cerco di trascinare il gruppo verso il messaggio finale, la cui comprensione sembra più semplice: non possiamo servire Dio e il denaro. Ma tra i ragazzi sorgono penosi interrogativi: “Ma allora dobbiamo per forza essere poveri? Vivere come barboni? Dobbiamo bruciare i soldi?”. No: il denaro deve essere un mezzo per vivere dignitosamente e per aiutare chi è meno fortunato di noi. Il Vangelo dice che non dobbiamo servire, e non che non dobbiamo usare. Sapete che cosa significa servire qualcuno?, chiedo. “Oh, sì – rispondono – vuol dire fare tutto quello che piace ad un altro, non essere liberi”. Ci siamo: servire il denaro vuol dire pensare soltanto a quello, temere di non averne mai

abbastanza, avere una fifa blu di perderlo o di essere derubati... Il Vangelo, invece, vuole che ci liberiamo da queste ansie e che impariamo ad usare la ricchezza con libertà, con serenità, accettando anche l’idea di poterne fare a meno. Il discorso non piace ai ragazzi (come non piacerebbe agli adulti) e la cosa si complica quando parlo degli altri beni materiali che non devono schiavizzarci, compresi certi programmi televisivi, o i videogiochi, o Facebook. “Hai spiegato bene – commenta Gianluca –, ma forse è meglio che non ripeta questa lezione a mio padre”. Dopo lunghe trattative ci lasciamo con il proposito di rinunciare a dieci minuti di videogiochi. “Ma soltanto per oggi!”, osserva uno. Monica, la più saggia del gruppo, aggiunge: “Se noi che siamo istruiti facciamo tanta fatica a capire queste cose, come avrà fatto a capirle la gente al tempo di Gesù?”. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net


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Il poster

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el canto natalizio “Tu scendi dalle stelle” di Sant’Alfonso, mi ha sempre impressionato l’espressione “Ah! Quanto ti costò l’avermi amato”, ripetuto due volte, perché potessimo memorizzarne il messaggio. Le parole sono rivolte a quel Bambino, che noi crediamo il Figlio di Dio incarnato in mezzo a noi. Il contenuto è chiaro: l’amore ha un costo, l’amore vero costa sofferenza, costa fatica, e Cristo ha pagato a caro prezzo il suo amore per noi. Sì, perché la contemplazione di quel Bambino non deve fermarsi alla Grotta di Betlemme (rischiando il sentimentalismo) ma deve includere anche la tappa definitiva del Calvario a Gerusalemme. E proprio sul quel monte l’amore di Cristo per l’umanità ha pagato il prezzo più alto. Proprio in quel momento abbiamo la dimostrazione di quanto siamo costati. Quanta fatica, fatta per amore, ha sopportato Dio per la nostra salvezza, attraverso quel Figlio in croce. Dio ci ha tanto amato da affrontare questa fatica per noi. E noi? Abbiamo il coraggio di fare qualche piccolo sforzo per Dio per aiutarlo a salvarci? San Bernardo ci ricorda: “Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui... Riconosci quanto tu vali per lui e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità” attraverso la sua fatica affrontata per amore di noi, di ciascuno di noi. Nel mondo moderno, iper tecnologico, la parola fatica o sforzo non godono piena accoglienza. Ho sempre pensato al telecomando, che spesso nelle famiglie è fonte di baruffe. Telecomando significa comando a distanza, senza la fatica di alzarsi dalla propria sedia e cambiare canale televisivo o qualcos’altro. Un’azione, un “lavoro” raggiunto senza sprecare ener-

gie, senza una vera fatica. Massimo risultato con sforzo quasi nullo. E Dio? Dio creatore mediante il suo semplice pensare e volere non ha forse creato tutto l’universo compreso l’uomo? Per salvarci poteva farlo usando il suo “telecomando” onnipotente, cioè la sua

Natale: l’amore e la fatica di Dio volontà? Poteva farlo, una parola sarebbe stata sufficiente. Ci ha salvato invece nella debolezza dell’incarnazione, nel camminare sulle strade polverose di questo nostro mondo, nel convivere con noi uomini... che sappiamo dalla lettura dei Vangeli è stata molto difficile. Un Cristo “debole”, insomma, che ha condiviso la fatica del vivere e del morire dell’uomo debole, di ogni uomo. Dio in Gesù Cristo ci ha salvato, certo per amore, ma accettando la fatica che quell’amore comportava. Gli siamo costati molto, è stato un amore a caro prezzo. Siamo noi, solo noi, la “fatica di Dio” la sua sofferenza, il suo lavoro più duro. F. Nietzsche ha detto che l’amore di Dio per l’uomo è il suo inferno, cioè la sua sofferenza. L’uomo, io, tu, non certo gli angeli. La contemplazione del Bambino deve portarci anche a queste riflessioni, che poi dovranno tradursi in azioni positive per Dio e per il prossimo, nell’amore e nella fatica. Mario Scudu

Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell’umanità. Manifestandosi Dio nell’uomo non più esserne nascosta la bontà... Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver assunto Egli la nostra stessa miseria... Non domandare, uomo che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto Lui... San Bernardo di Chiaravalle

scudu.rivista@ausiliatrice.net

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Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. (Mt 25,40)

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RIVISTA MARIA AUSILIATRICE - nยบ 8 - 2010


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Tu scendi dalle stelle...

U Sant’Alfonso Maria de’ Liguori autore del celebre canto natalizio.

Tu scendi dalle stelle o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino, io ti vedo qui a tremar. O Dio beato! Ah! Quanto ti costò l’avermi amato. Ah! Quanto ti costò l’avermi amato.

“Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!». Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive”. Jean Paul Sartre, da Bariona o Il figlio del tuono, scritto durante la prigionia a Treviri, Germania 1940

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A te che sei del mondo il Creatore, mancano i panni e il fuoco, o mio Signore. Mancano i panni e il fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto, quanta questa povertà più mi innamora, giacché ti fece amor povero ancora. Dunque a morir per me tu pensi, o Dio, e ch’altro amar fuori di te poss’io? O Maria, speranza mia, s’io poc’amo il tuo Gesù, non ti sdegnare, amalo tu per me, s’io nol so amare. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori


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Il volume, in formato Il volume, Il volume, in in formato formato tascabile, raccoglie alcuni Il volume, in alcuni formato tascabile, tascabile, raccoglie raccoglie alcuni dei testi pubblicati su «il tascabile, raccoglie alcuni deidei testi testi pubblicati pubblicati su su «il «il nostro tempo», settimanale dei testi pubblicati su «il nostro nostro tempo», tempo», settimanale settimanale della Diocesisettimanale di Torino, nostro tempo», della della Diocesi Diocesi di di Torino, Torino, nella rubrica «Preghiere, della Diocesi di Torino, nella nella rubrica rubrica «Preghiere, «Preghiere, seminella di speranza» a cura di rubrica «Preghiere, semi semi di di speranza» speranza» a cura a cura di di Maria Grazia D’Agostini. semi di speranza» a cura di Maria Maria Grazia Grazia D’Agostini. D’Agostini. L’intento è gettare “semi di Maria Grazia D’Agostini. L’intento L’intento è gettare è gettare “semi “semi di di speranza” egettare accompagnare L’intento è “semi di speranza” speranza” e accompagnare e accompagnare il lettore nel cammino speranza” e accompagnare il lettore il lettore nelnel cammino cammino di ilgrazia che porta alla lettore nel cammino di di grazia grazia cheche porta porta alla alla manifestazione della gloria di grazia che porta alla manifestazione manifestazione della della gloria gloria del Signore. manifestazione della gloria deldel Signore. Signore. del Signore.

IONE MOZON i NE ccIEO PRO Oa oZ I r r Z Mp MOcit crNriào E cci PRpOePrRO on r O r u I a a Z m p oO cp er p erM i ità O cn it ocà Re n r Pp o u u u r r e m m o4 a o à oeia peecr peeccuo ituro rn 4p amu e c4o pria o copia a4 ceou a ia a cop

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L’abitino di Domenico Savio

Mamme e bambini sotto la sua protezione L

’ “abitino” che San Domenico Savio mise al collo di sua madre, per salvare lei e la sorellina che stava per nascere, continua ancor oggi la sua efficacia in favore delle mamme e dei nze Alcune testimonia bambini. Come noto a a ato, dopo una lung La collega di lavor a e attendeva la namolti, il 12 setint tesa, era rimasta inc nu po Do ) tembre del 1856, a figlia. (... scita della second rre va il ris ch io di festa del Santo co m er os i co nt ro lli, tero portazione dell’u Nome di Maria, emorragia e di as e per la bimba nach il futuro santo Io dopo il parto. An te. an up cc ne era preo scitura la situazio ico en chiede a Don m Do n Sa di o le procurai l’abitin ole di affidarsi con Bosco un giornd da an Savio, raccom olo essione del picc no di permesso rc te ’in all na ve la no e la è nata Francesca per tornare a santo. In gennaio tem ilita in brevissimo Mondonio dalmamma si è ristab ici le hanno detto ed po, tanto che i m i sapno la madre, incina m ; ta na rtu fo che è stata molto merito del tto tu ta e molto sofè e ch o im piamo beniss Anch’io ho parto o. nt ferente. Quansa de an gr o nostr mia ezzo prima della do arriva, le arito un mese e m qu parto ritardato vicine di casa collega, ma con un ) La sera ho invoe (... si di due settiman stretdo rimangono en ten vio Sa cato San Domenico Il giorno seguensorprese delo. itin ab o è to a me il su giunte le doglie ed no so la sua visita te en alm no te fin ogenito Matteo, sa e cercano di nato il mio second o. a) e forte, grazie a Di non farlo saF., Nettuno (Rom lire in came-

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ra. Lui, però, sale, abbraccia forte la mamma e poi esce. D’improvviso, lei non ha più dolori e anche il medico, arrivato poco dopo con il padre, resta sorpreso del miglioramento. Più tardi le vicine trovano al collo della mamma un nastro con attaccato un pezzo di seta piegato e cucito come un abitino. Alla loro sorpresa, lei dice: “Ora comprendo perché mio figlio Domenico, prima di lasciarmi, mi volle abbracciare”. A sua volta, Domenico, tornato a Torino, ringrazia Don Bosco per il permesso e gli confida: “Mia madre è bell’e guarita: l’ha fatta guarire la Madonna che le ho messo al collo”. Non solo: la sorellina, Maria Caterina, nasce senza problemi. Quando Domenico tornerà a Mondonio perché ammalato, prima di morire dirà alla mamma che proprio quell’“abitino” l’ha fatta guarire, aggiungendo: “Vi raccomando di conservarlo con ogni cura, e di imprestarlo quando saprete che qualche vostra conoscente si trova in condizioni pericolose come foste voi in quel tempo; perché come ha salvato voi, così sal-

Nel giugno 2005 è nata la nostra nipotina Giulia. Fin dal primo mese del concepimento, San Domenico Savio è stato invocato da noi con la preghiera che ci è stata inviata con l’abitino. Nonostante le difficoltà incontrate, il parto si è concluso normalmente e la piccola cresce bene. Riconoscenti per tutto questo, noi nonni, invochiamo per lei la protezione del santo e per i suoi genitori la benedizione di San Giovanni Bosco.

Da quando ho saputo che mia figlia era in attesa del suo primo bambino, (...) ho dato l’abitino a mia figlia perché l’indossasse. Essa l’ha sempre portato con sé, anche nella sala parto, e ora l’ha messo nella culla del suo piccolo. Anche il primo nipotino Antonio, ho affidato alla protezione del santo, pregando personalmente all’altare del santo nella basilica di Maria Ausiliatrice a Torino. Lo invoco sempre, affinché protegga questi miei nipotini e le mamme.

A. e G., Santo Stefano d’Aveto (Genova)

A., Vaglio Basilicata (Potenza)


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T L’altare dedicato a San Domenico Savio, nella Basilica dell’Ausiliatrice, è sempre ricoperto di fiocchi, segno della nascita di bambini. Foto Mario Notario

verà le altre. Vi raccomando però d’imprestarlo gratuitamente, senza cercare il vostro interesse”. Cosa che la mamma farà più di una volta. Ebbene, dal 1954, anno della canonizzazione di Domenico Savio, la direzione generale delle Opere Salesiane, ha messo a disposizione delle mamme un “abitino” impreziosito con l’immagine su seta del giovane santo. L’iniziativa è, ovviamente, soltanto un mezzo per impetrare le grazie del Signore mediante l’intercessione di San Domenico Savio. L’abitino non è un amuleto, ma un invito a pregare, frequentare i sacramenti della Confessione e della Comunione e vivere con fedeltà i propri impegni. Di certo, l’“abitino” asciuga le lacrime di tante madri in pena e porta il sorriso, il conforto, la benedizione e la speranza in tante famiglie. E come confermano molte lettere e tele-

fonate alla nostra redazione, al nostro santuario-basilica di Valdocco e anche al “Bollettino Salesiano”, tante grazie a favore di mamme e di bambini sono attribuibili all’intercessione di Domenico Savio e all’aver indossato o fatto indossare una riproduzione dell’“abitino”. Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net

I pellegrini in visita a Torino-Valdocco possono chiedere l’“abitino” direttamente presso il nostro Santuario di Maria Ausiliatrice. Inoltre tutti i lettori che desiderano riceverlo o regalarlo possono richiederlo per lettera a: Rivista Maria Ausiliatrice, Via Maria Ausiliatrice 32 Valdocco, 10152 Torino, oppure telefonando al numero: 011.5224.822. Occorre precisare il colore – azzurro, rosa o bianco – indicando chiaramente l’indirizzo preciso del recapito. Verrà loro inviato prontamente l’“abitino” con il modulo di Conto Corrente Postale per una offerta.

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Esperienze

Ho imparato “... che se cado una volta, una volta cadrò, e da terra, da lì m’alzerò. C’è che ormai che ho imparato a sognare non smetterò...”. Negrita, “Ho imparato a sognare”

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S

ono una donna fortunata. Ho 35 anni, sono un medico anestesista, amo il mio lavoro. Vivo gli anni in cui inizi a raccogliere i primi frutti di quello che hai seminato con i tuoi studi e le fatiche giovanili. Gli anni belli in cui ti godi le amicizie che hai costruito, in cui, se come me, sei inserito in un oratorio parrocchiale da una vita e non sei sposato (e quindi, la famiglia non ha l’ovvia precedenza), sei ormai un’“istituzione” e riesci a restituire un po’ di tutto quello che ti è stato donato. E ho un linfoma. Da più di due anni ormai, la mia vita di medico è stata rivoltata, capovolta. Da medico a paziente. Da calendari fitti di turni e impegni, a lenti giorni in cui aspetti che chiamino per un ricovero, o aspetti che arrivino gli esiti degli esami, o attendi che finisca la flebo delle terapie in day-hospital, o semplicemente che passi il giorno. Dall’avere la vita degli altri nelle mie

mani, a dipendere dagli altri per la mia vita. Confermare il primo “sì” Sin dall’inizio ho vissuto la mia malattia come una chiamata, una vocazione. Come ogni vera chiamata di Dio, molte cose diventano chiare soltanto dopo che le hai vissute, e quando dici il primo “sì” non sai veramente cosa stai accogliendo, ma lo accogli lo stesso, ti fidi. Poi viene il momento di dire il tuo “sì”. Davanti a ogni cambiamento di programma, davanti alle piccole e grandi sofferenze a cui vai incontro, più per le terapie, in realtà, che per la malattia stessa. Ma se la malattia è infida, la si può sconfiggere solo con cure drastiche e pesanti. Davanti alle complicanze, alle ricadute. Ma anche davanti alle cose belle, agli amici che ti stanno vicino, alle piccole gioie quotidiane che diventano sempre più importanti. In questi anni ho imparato innanzi tutto ad avere pazienza. Poi ad essere sempre più disponibile ai “cambi di programma” anche improvvisi. E man mano che le cure si intensificavano, che anche il mio corpo diventava più debole, ho scoperto che la mia forza più grande non è tanto resistere e stringere i denti: è piuttosto quando da sola non ce la faccio, sapermi affidare a Dio, ma sapere anche chiedere una mano agli altri, mettendo da parte il mio orgoglio. È non lottare da sola. Ho scritto che sono passata dall’avere in mano la vita degli altri a dipendere dagli altri per la mia vita. Intendevo quelle parole in senso letterale,


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Per informazioni sul linfoma, sulla donazione di sangue e sul trapianto di midollo, consulta i siti: www.ail.it www.avis.it www.admo.it

T Il valore dell’amicizia e la bellezza della natura sono un segno dell’amore che Dio ha per tutti. © sfondigratis.it Pastorale Giovanile ICP

una per una. La mia vita ora dipende dagli altri. Già tante volte ho avuto bisogno di trasfusioni di globuli rossi e piastrine. Ogni volta ho ringraziato e pregato in silenzio per quei donatori che senza fare rumore, senza mettersi in mostra, semplicemente erano andati a donare il loro sangue, plasma, piastrine. Quante volte quando lavoravo ho richiesto derivati del sangue per pazienti gravi, traumi, emorragie... Ora tocca a me ricevere. L’ignoto donatore

Credo che Dio in questo momento sia molto soddisfatto di lui. Quanto a me, il mio primo “sì” alla malattia è diventato un pozzo a cui attingo sempre nuovi doni. E proprio grazie a quel “sì” continuo a imparare. Imparo la pazienza, imparo la disponibilità ai cambiamenti, imparo ad accettare la sofferenza, imparo a condividere gioie e dolori, imparo a ricevere. Oggi ho imparato la gratitudine. Cosa imparerò domani? Claudia redazione.rivista@ausiliatrice.net

E oggi, la notizia che finalmente hanno trovato un donatore di midollo osseo. Un donatore che renderà possibile il trapianto, che al momento è la mia sola possibilità di guarigione completa. Una persona che, magari con un po’ di fifa per quel che l’aspettava, ha comunque sperato di essere compatibile con me. Una persona che ora affronterà il prelievo di midollo, sicuro e il più confortevole possibile, ma comunque un po’ impegnativo, e sarà orgoglioso perché sa che sta cercando di salvare una vita. Non so se sia credente, ma penso che il suo dono gratuito non possa non piacere a Dio.

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La pagina dell’ADMA

Con gioia verso Czestochowa ADMA news Per informazioni complete e aggiornate sull’ADMA nel mondo consultate il sito: www.donbosco-torino.it adma-on-line

È

con gioia che iniziamo un cammino molto speciale per la nostra Associazione e per tutta la Famiglia Salesiana che ci porterà al grande evento del VI Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice fissato dal 3 al 6 agosto 2011 a Czestochowa in Polonia, presso il Santuario di Jasna Gora, ove si venera la Madonna Nera. Ricono-

sciamo la grazia di celebrare il Congresso in un luogo santo, ricco di fede, storia e spiritualità e segnato dalla testimonianza di santità di tanti uomini e donne di Dio. Sarà un dono speciale per l’Associazione e per la Famiglia Salesiana soprattutto nella grande sfida della difesa della vita, del rinnovamento della famiglia e dell’evangelizzazione. “Tutti tuoi!”, l’Affidamento a Maria Ausiliatrice, sarà il tema del Congresso e vogliamo prepararci con due attenzioni: un intenso cammino di preghiera e un itinerario di formazione spirituale che ci porti a comprendere e a vivere la bellezza e la grazia dell’affidamento a Maria Santissima. Segnaliamo il nuovo Quaderno di Maria Ausiliatrice preparato con competenza da don Roberto Carelli professore di teologia presso lo studentato teologico di Torino-Crocetta che costituisce un prezioso aiuto per approfondire il significato del vivere la vita cristiana in unione con Maria.

ADMA nel mondo ADMA Giovanile Villa d’Adda (Bergamo) Dal 25 al 31 luglio, duecento giovani della Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio (Brescia) e 120 giovani provenienti da gruppi giovanili ed oratori di varie parti d’Italia hanno condiviso una settimana di animazione nello spirito dell’oratorio di Don Bosco, in

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un vero “Prato dei sogni”. Il tema della settimana, “La bellezza”, si proponeva di rendere i giovani di oggi capaci di stupirsi, di provare meraviglia di fronte ad una persona, ad un fiore... senza rubare e calpestare tutto con desiderio egoista. ADMA Primaria Esercizi Spirituali Famiglie Giovani “Per loro io offro me stesso - Il sacerdozio della Nuova Alleanza”. È questo il tema formativo che ha accompagnato gli esercizi spirituali delle giovani coppie dell’ADMA, svoltisi in due turni dal 1º al 14 agosto, con la partecipazione di oltre 70 famiglie, a Pracharbon (Valle d’Aosta). Le giornate molto intense sono state arricchite dalla testimonianza di “maternità sacerdotale”: storie di donne, madri e consacrate, che hanno vissuto una fecondità spirituale accompagnando il cammino vocazionale di sacerdoti con la preghiera, la testimonianza ed anche l’offerta della vita. Venezuela XXII Incontro nazionale

gi Cameroni, animatore spirituale, ha visitato dal 1º al 6 settembre il Paese. In particolare si è recato al santuario di Maria Ausiliatrice di Guiripe, paese natale del cardinale salesiano Rosalio José Castillo Lara (1922-2007), dove il 2 settembre scorso è stato eretto e aggregato il nuovo gruppo ADMA, con l’impegno di adesione di 12 nuovi soci. Momento centrale della visita è stata la partecipazione al XXII Incontro nazionale dell’ADMA venezuelano, con la rappresentanza dei 23 gruppi, composti da oltre 800 soci, nella casa salesiana di S. Antonio de Los Altos.

U In senso orario: un momento degli esercizi spirituali per famiglie e giovani, dell’ADMA venezuelana e dei giovani del bergamasco “prato dei sogni”. © Archivio ADMA

Su invito del Consiglio Nazionale dell’ADMA del Venezuela, don Pierlui-

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La pagina dell’ADMA

Che festa la XX Giornata Mar i A Valdocco, il 3 ottobre

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U Renata e Luca.

I Don P. L. Cameroni, animatore spirituale dell’ADMA. © Archivio ADMA

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romuovere la venerazione al SS. Sacramento e a Maria aiuto dei cristiani”. È l’“anima” dell’ADMA (Associazione di Maria Ausiliatrice) che domenica 3 ottobre a Valdocco ha festeggiato la XX edizione della Giornata mariana. C’erano proprio tutti in teatro e nel pomeriggio in basilica: le sezioni locali, i membri della Famiglia salesiana, i devoti di Maria Ausiliatrice e tutti gli amici della rivista, che con gioia e semplicità hanno mostrato il volto dell’Associazione e l’importanza di momenti di incontro e di preghiera comune. Renata, da un anno parte dell’ADMA, insieme al marito Luca, racconta: “Si è manifestata la ricchezza e l’eterogeneità dell’associazione. Che bello vedere insieme giovani, famiglie e anziani portare ognuno il proprio carisma e fonderlo per riaffermare l’impegno di tutti nell’annuncio e nella preghiera all’Ausiliatrice. Valdocco, e in particolare la cappella Pinardi – prosegue – sono stati 13 anni fa il luogo della mia conversione: da allora insieme a mio marito, che ho sposato nel 2004, ho intrapreso il cammino di fede e di approfondimento, conoscendo altre famiglie e scoprendo giorno dopo giorno la bellezza della Chiesa, sino a impegnarci per l’ADMA. Una scelta semplice che significa fare entrare nel nostro cuore Maria, che con la sua concretezza e semplicità, ci aiuta ogni giorno ad incontrare Gesù”. La promozione del culto a Gesù Sacramento e la devozione a Maria è la forza del-


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r iana! T Tre immagini di alcuni momenti della XX Giornata mariana. © Archivio ADMA

l’associazione. Lo sottolinea Pablo, 23 anni, studente al Politecnico di Torino: “Essere devoti è tendere ad assomigliare a Maria. Anch’io voglio essere ausilio dei cristiani, di chi mi sta vicino, del prossimo. Far parte dell’associazione mette un paletto nella propria vita: scegliere, e poi agire, scegliere di

non aspettare, sono queste le parole che devono guidare i miei passi”. Idee chiare per un giovane in cammino. I giovani, con la loro gioia e partecipazione, dimostrano la vitalità della Chiesa: ne sa qualcosa Giusy, mamma e nonna di tre nipotini, la quale sin da piccola ha conosciuto la devozione a Maria. “Devo molto alla suora che allora ci insegnava il catechismo e soprattutto a mia mamma che veniva a pregare nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Io non ho fatto altro che copiare da loro e facendolo, ho scoperto l’amore che la Madonna ha per tutti noi. Un amore che possiamo riversare sui nostri cari e nello stesso tempo sui più deboli, sugli ammalati, su chi è in difficoltà. Da quando sono entrata nell’associazione, ho sperimentato la condivisione, il desiderio di dire grazie. Dopo tanti anni trascorsi nell’ADMA mi sento di dare un semplice consiglio a chi volesse conoscere meglio l’associazione: ascolta il tuo cuore, lui può dirti cosa fare”. Maurizio Versaci

I Julian e Pablo. © Archivio ADMA

versaci.rivista@ausiliatrice.net

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Vivere oggi

Il Natale visto da Maria A

© Photoxpress.com Foto Nathalie P. e Vladimir Melnikov

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ndando in montagna e camminando in quota, càpita di passare da un versante all’altro di una stessa valle. Non sempre è facile riconoscere il luogo che si è appena percorso, osservandolo dall’altro versante. È l’effetto, non secondario, del cambio di punto di vista, che di una stessa cosa ci propone aspetti nuovi, non sempre facilmente visibili rimanendo nella stessa posizione. Se pensiamo alla solennità del Natale, siamo commossi, meravigliati, magari travolti o anche interrogati da Gesù che nasce. Ma che cosa accade se questa nascita è osservata dal versante di sua madre, dal versante di Maria? L’incarnazione di Gesù dove è avvenuta? È avvenuta in Maria. Lì si è annidato come tutti noi, nel grembo della sua mamma, e con lei ha iniziato a comunicare usando la stessa biochimica che ciascun figlio usa nel grembo materno. Le più recenti scoperte scientifiche del prenatale ci dicono che la comunicazione tra madre e figlio c’è, ed è intensa già nei primi giorni di vita del figlio. È abbastanza “curioso” che la Chiesa, senza microscopio e fibre ottiche o senza documentari di Super Quark, ponga l’accento su questa accoglienza iniziale e proponga a tutti noi, da

secoli, di festeggiare il concepimento di Gesù proprio 270 giorni prima della sua nascita, cioè il 25 marzo. A Firen-

Nella Cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice (a sinistra guardando la facciata)

12ª MOSTRA di Presepi e

Il Natale nell’arte: • Immaginette • Incisioni • Stampe antiche


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ze è gran festa il 25 marzo d’ogni anno proprio nel ricordo del concepimento di Gesù. È anche bello pensare che al centro dell’Evento che cambierà il mondo – l’incarnazione di Gesù – ci sia stata l’esperienza della maternità di cui tutti siamo debitori e di cui metà dell’umanità ha fatto diretta esperienza. Ci sarà da apprendere qualche cosa in più ponendoci sul versante della maternità? Senza andare troppo lontano, noi che leggiamo queste righe siamo stati accolti da nostra madre? Direi di sì, altrimenti non ci saremmo! La mamma che ci ha generati è stata aiutata nel suo compito straordinario di ospitare dentro di sé il figlio per 270 giorni? Come è stata l’attesa? Quali pensieri l’hanno ornata? Nell’attesa di questo Natale proviamo a metterci dal punto di vista di Maria che accoglie, sente e nutre con grande trepidazione questo suo Figlio. Di lì a poco, dopo il parto, per Lei si tratterà di fuggire, a piedi, sino in Egitto, ma l’accoglienza saprà vincere ogni difficoltà. Valter Boero MPV (Movimento per la vita - Torino) redazione.rivista@ausiliatrice.net © Photoxpress.com Foto Xavier Marchant

— Dal 16 dicembre 2010 al 9 gennaio 2011 — Orario: Feriali: ore 15 -18 — Domenica e Festivi: ore 10 -12 • 15 -18 Ingresso libero facilitato ai disabili Per informazioni e per comitive-scolaresche: Centro Salesiano di Documentazione Storica e Popolare Mariana Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino Tel. 011.5224.254 - 011.5224.822 - Cell. 334.3639921 e-mail: csdm.valdocco@gmail.com - Internet: www.donbosco-torino.it 37


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Wellness educativa

Nuove tecnologie? Sì, g r Ma sem p

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U Marco Mazzaglia, IT Manager di un’azienda leader per la creazione di videogames. © Agenzia Reporters / La Stampa Foto Maurizio Bosio

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i avvicina Natale e chi dei nostri bambini scrive ancora la letterina a Gesù Bambino (speriamo siano tanti!), tra i «desiderata» sicuramente elencherà l’ultimo telefonino di nuova generazione (quelli con la “tastiera” per scrivere meglio i messaggi), i-pod, i-pad, ebook, wii, nintendo ds, play-station, videogiochi... Sì, perché le nuove tecnologie oramai non riguardano soltanto gli adolescenti, ma – genitori volenti o nolenti – interessano anche i più piccoli, precocemente circondati, appunto, da computer, videogiochi e cellulari, che sin dai primi anni di vita consentono nuovi modi di comunicare, di divertirsi e di apprendere. Se in famiglia non c’è un papà e una mamma informatici di mestiere o «appassionati di computer», come si fa a districarsi nella scelta giusta del videogioco adatto all’età per contenuti e messaggi? Sul tema sono stati versati fiumi di inchiostro e le opinioni degli educatori sono discordi per lo spauracchio dei mostri (leggi: pedofili) in agguato nella rete e per la pre-

sunta minaccia di questi nuovi strumenti per la salute fisica e mentale di chi è in crescita. Alcuni genitori non permettono ai figli di avvicinarsi a cellulari e videogiochi (ma sono così sicuri che i video-giochi o il nitendo non saltino fuori a scuola od a casa degli amichetti?). Altri, invece, lasciano per ore i “pargoli” davanti al video (televisione, pc, wii), perché a conti fatti que-


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g razie! m pre con mamma e papà sti costano meno di una baby-sitter... Noi siamo dell’idea che, come in tutte le cose, si possa trovare un equilibrio e che scelte educative troppo rigide o all’opposto, troppo remissive siano controproducenti... Molti dubbi e ansie sui rischi collegati all’uso delle nuove tecnologie nascono dalla poca conoscenza e talvolta dai mass media che mettono – giustamente – in guardia dalle numerose potenzialità diseducative, legate al cattivo uso di internet e videogiochi. Tuttavia la paura dei genitori rischia di negare ai bambini la possibilità di esplorare nuovi modi allegri e multisensoriali per imparare il linguaggio di un futuro che... è già qui. Il problema, piuttosto, è quello di informarsi su come non finire intrappolati nella rete delle nuove tecnologie, ma come dominarle per arricchire le conoscenze dei nostri figli e perché no, anche quelle di noi genitori nati e cresciuti nell’èra ormai “quaternaria” della macchina da scrivere... Allora, cosa devono fare, ad esempio, la zia o la nonna che vogliono accontentare il nipotino che ha chiesto a Gesù Bambino il videogioco xy e desiderano essere sicure di non regalare un oggetto “nocivo”? “Un modo per valutare la serietà dei contenuti proposti nei videogiochi c’è – spiega Marco Mazzaglia, 36 anni, informatico torinese, con un passato di educatore in Azione Cattolica, IT

Manager di un’azienda leader nella creazione di videogames –. È un marchio, chiamato Pegi, ed è il tentativo dei produttori di videogiochi per aiutare i genitori nella scelta dei games per i figli e per dare ai consumatori di intrattenimento digitale un indice rapido delle caratteristiche dei diversi titoli. È un marchio presente nelle confezioni dei videogiochi: indica la fascia di età a cui è rivolto il gioco e i suoi contenuti. L’età è apposta sulla copertina del gioco (da 3 anni in su, oltre i 7, oltre i 12, oltre i 16 e da 18 in su) ed è la garanzia per impedire che certi titoli finiscano nelle mani dei più piccoli”. Dunque, la prima cosa da chiedere al negoziante o da controllare nello scaffale informatico dell’ipermarket è la presenza dell’etichetta «PEGI» nella custodia del gioco. Il marchio è un’iniziativa dell’Isfe, l’associazione dei produttori di software europei, adottata dai distributori di 16 Paesi europei, compresa l’Italia. “È ovvio, poi, che l’etichetta PEGI non basta – conclude Mazzaglia –. Ai genitori consiglio sempre di «videogiocare» insieme ai figli, perché anche il videogioco può essere un’occasione per comunicare e divertirsi insieme in modo sano”. Dunque, nuove tecnologie sì, ma a piccole dosi e mai senza mamma e papà. Marina Lomunno

U Il marchio PEGI aiuta i genitori nella scelta dei videogames.

T La tecnologia offre ai bambini la possibilità di “esplorare” il mondo in modo allegro e multisensoriale. © Photoxpress.com Foto Leah-Anne Thompson

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Amare i giovani

Che fare? Hikikimori, balconing, papa boy o...

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I I giovani vanno amati così come sono e non per come appaiono. © Photoxpress.com Foto Ricardo Alves

o scrittore Robert Musil, nel suo capolavoro “L’uomo senza qualità”, ci descrive una realtà umana che può aiutare a capire la situazione esistenziale di tanti giovani di oggi. Ulrich, il protagonista del romanzo, non avendo ereditato o definitivamente acquisito qualità umane, deve conquistare qualunque qualità da lui desiderata in un mondo impregnato di segnali sconcertanti, repentini ed assolutamente imprevedibili. Finisce per cadere in un modo di vivere con poco senso. Un tempo la società, come quella in cui è vissuto Don Bosco, era ben strutturata, lenta e compassata nei cambiamenti. In essa ognuno aveva un ruolo ben definito: Dio, re, religione, patria. La famiglia si radicava nei valori e nelle tradizioni tramandate dagli antenati. Le funzioni interne erano ben delineate. Nulla era lasciato al caso. I

giovani dovevano semplicemente assimilare, volenti o nolenti, i valori che venivano loro proposti senza la possibilità di interloquire. In questo contesto le parole ragione e religione assumevano valori rassicuranti. Il termine di Don Bosco amorevolezza, invece, finiva per suonare un po’ strano e contro la comune prassi educativa costruita sull’imposizione autoritaria, povera di relazione amorevole. L’amore in famiglia c’era, ma ben mimetizzato dietro una ruvida scorza di autoritarismo, che esigeva un’obbedienza non certo dialogata. Chi non accettava queste usanze era emarginato. Ora la situazione è completamente ribaltata. Ulrich non è più l’eccezione, ma la regola. La ragione e la religione, nell’attuale contesto giovanile, sono state duramente messe alla prova dallo straripante nichilismo figlio di Nietzsche e del consumismo. L’amorevolezza, invece, è diventata l’autentica sfida educativa salesiana di oggi, soprattutto se vissuta come tenerezza robusta, presente, matura e maturante. Nuove tribù Il sociologo Zygmunt Bauman parla nei suoi scritti della moderna società definendola “liquida”. Secondo lui, l’attuale modo di vivere ha finito per liquefare nel mondo dell’indifferenza indefinibile non soltanto la società ed i sentimenti, ma anche la gioventù. Le famiglie si sciolgono, le religioni evaporano lasciando una struggente nostalgia di senso ultimo, la politica ha abbandonato le rive del servizio per ap-

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spesso finiscono per trovare la morte o seri danni cerebrali. Ci sono i “fumatori” ed i “bevitori”, che cercano un senso alla loro noia nello spinello e nell’etilismo. Ci sono i “papa boy” che riempiono le piazze, ma lasciano deserte le chiese. Ci sono quelli che si sbattono per un mondo più giusto, quelli che pregano e quelli che sprangano, quelli che curano e quelli che feriscono, quelli che vivono e quelli che vegetano... E poi ci sono i componenti della famiglia salesiana che davanti a questa realtà così poliedrica, si pongono il sempre attuale interrogativo di Lenin: “Che fare?”. Cuori coraggiosi

prodare all’utilitarismo individualista, i giovani, in grande maggioranza, hanno perso il senso della bellezza della relazione per blindarsi in una solitudine caratterizzata da una presenza ossessiva di tecnologia, musica, chat, twitter, face book e relazioni virtuali. Sono spuntate nuove tribù di giovani. Sul palcoscenico della vita giovane troviamo gli “hikikimori” di estrazione giapponese, ma ormai presenti in tutto il mondo, che vivono da moderni eremiti, chiusi nelle loro camere con la sola compagnia dei loro computer trasformatisi in autentica paranoia. Ci sono i giovani “balconing” che per dimostrare agli altri il loro coraggio, si divertono a buttarsi nelle piscine dai piani alti degli alberghi, talora lasciandoci la pelle o subendo gravi menomazioni. Ci sono i giovani tutto “rave party”, tutto ketamina ed alcool, che

Un grande salesiano, definito dal Bollettino Salesiano “l’uomo delle Ande”, don Ugo De Censi, consiglia di proporre ai giovani non ciance, ma testimonianza di vita, fatta di presenza continua in mezzo a loro; di trasmettere il gusto dell’impegno gratuito e sacrificato; di vivere in modo moderno, aggiornato ed essenziale; di essere robusti, sinceri e leali nella relazione educativa; di incarnare un’autentica passione per Gesù; di ricordare loro che nulla è dovuto, ma tutto deve essere guadagnato con fatica e sudore; di non organizzare eventi, ma di vivere un grande amore; di insegnare che la vita è un’arte alimentata dalla bellezza e dall’armonia. Certo, è un andare controcorrente rispetto alla mentalità di oggi. Ci vuole un grande cuore coraggioso: quello del nostro Padre Don Bosco: ancora attuale, ma così disatteso! Ermete Tessore

© Photoxpress.com Foto Scott Griessel e Yam

tessore.rivista@ausiliatrice.net

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Attualità

H AITI e PAKISTAN tra dramma e rinascita l’avanzamento del piano di rinascita, concordato tra tutte le realtà salesiane nella Visitatoria. Molti lavori sono già stati svolti in collaborazione con le ONG salesiane, le Procure missionarie, tra cui Missioni Don Bosco, VIS, AGIRE e la Fondazione Don Bosco nel Mondo. Soltanto da Piemonte e Valle d’Aosta, grazie ai privati, sono giunti circa 600 mila euro e l’organizzazione degli aiuti è curata attualmente dalla Fondazione Rinaldi, di Haiti. Fame, freddo e senza scuole

H UI Alcune immagini della rinascita di Haiti nei centri salesiani. © Agenzia Ans

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aiti, Centroamerica, 12 gennaio 2010: in 32 secondi il terremoto sconvolge l’isola. Pakistan, Asia, agosto 2010: i monsoni mettono in ginocchio un’intera nazione. Che cosa si è fatto per aiutarli? Che cosa si può ancora fare? A Port-au-Prince, la capitale haitiana, la parola d’ordine è: “Non ricostruzione, ma rinascita”. Gran parte delle persone accolte nelle tende, ha trovato una sistemazione in strutture leggere in legno, alimentate da pannelli solari. Intanto, è in corso la verifica del-

A otto mesi di distanza, nel mondo non si parla più di Haiti. Il dramma, però, rimane, insieme alla fame e al freddo. Senza una scuola e senza i maestri ad accoglierli, i bambini tornano sulla strada. Per questo, saranno riattivati tutti i centri, nel rispetto delle ultime norme antisismiche e del bisogno di spazi, specie palestre e aule. Enam è nuovamente operativa, per ora con i prefabbricati in legno. Cité de Soleil verrà ricostruita, come le piccole scuole di Padre Bonhen. Il centro di formazione per sacerdoti diocesani di Fleuriot sorgerà ex novo di fronte al vecchio plesso, ormai inuti-


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lizzabile. Ma il piano riguarda anche Drouillard, Gressier, Thorland e in generale tutte le opere compromesse. Servono ancora cibo, fornito dai produttori locali, e il necessario ad assicurare la qualità dell’educazione. A riguardo, l’Ufficio salesiano di Sviluppo delle Antille ha lanciato la campagna “Solidarietà per Haiti”, per raccogliere materiale per i 12.500 allievi delle scuole di Don Bosco. E il 24 dicembre, sulla Rai, andrà in onda il Concerto promosso dalla Fondazione Don Bosco nel Mondo per mobilitare tutte le nazioni. Kit di sopravvivenza a migliaia di famiglie In Pakistan, le inondazioni hanno prodotto quasi 4 milioni di vittime, 900 mila case danneggiate, 20 milioni di profughi. Dietro ogni numero, una persona, con una storia e una vita sommerse dall’acqua. Da poco si è conclusa la prima fase di intervento. A fine agosto, il centro Don Bosco di Quetta ha allestito campi organizzati per assistere chi non ha più nulla. Circa 1500 famiglie – 150 mila persone – hanno ricevuto il “kit di sopravvivenza”, pensato per durare un mese: 50 kg di farina, 5 kg di olio, 10 kg di lenticchie, 6 kg di the e zucchero, medicinali, spezie, acqua minerale e alcune stoviglie. Ogni kit costa 8.800 rupie (81,50 euro). La distribuzione è stata affidata a 20 giovani, in quattro gruppi coordinati a Quetta da don Peter Zago, mentre don Miguel Angel Ruíz, incaricato della presenza salesiana di Lahore, ha guidato un gruppo di 50 persone, tra insegnanti, formatori e giovani del centro. Il nuovo traguardo è il sostegno di altre 1500-1800 famiglie isolate dalle inondazioni: a Yaqubabad, (a 480 km dal centro Don Bosco), a Multan, (a 650 km da Quetta), e in una località an-

cora più lontana. Questo, senza dimenticare i campi già allestiti, con il kit mensile agli sgoccioli. Solo a emergenza conclusa si potrà dare il via ai trasferimenti nei territori e ai lavori abbandonati per l’alluvione. Il 1º novembre, a Roma, la terza edizione della Corsa dei Santi ha destinato i proventi a questo intervento. È una lotta contro il tempo. Ma con l’impegno di tutti e l’aiuto della Provvidenza, nulla è impossibile. Luca Mazzardis

U Migliaia di famiglie pakistane continuano ad essere aiutate dalla generosità di tante persone. © Agenzia Ans

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Appuntamenti mariani

Caro ai mantova n 23 novembre - Festa della Incoronazione della Beata Ver g SANTUARIO BEATA VERGINE DELLA COMUNA Via Comuna Santuario, 22 46035 Ostiglia (MN) Tel. 0386.802933

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ulla riva sinistra del Po, nell’estremo lembo della provincia di Mantova, ai confini con le province di Verona e di Rovigo, sorge la città di Ostiglia, chiamata dallo storico latino Publio Cornelio Tacito “borgata veronese”. Poco fuori dell’abitato, immerso nel verde della campagna, si incontra il Santuario della Madonna della Comuna, le cui origini risalgono al lontano 1300.

L’apparizione a una pastorella muta

Y La statua venerata nel santuario mantovano.

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Secondo quanto ci tramanda la tradizione, una fanciulla muta dalla nascita, mentre sorveglia il gregge al pascolo, vede improvvisamente apparire su un salice, tra grande splendore, una Signora che la chiama a sé, le rivela il suo nome di Madre di Dio e le manifesta il desiderio che si costruisca in quel luogo una chiesa in suo onore. L’innocente fanciulla, colpita da grande stupore e da immensa gioia, riacquista improvvisamente l’uso della parola e si fa portatrice della volontà della Madonna presso gli abitanti di Ostiglia. Tutti conoscono la bontà e la sincerità della ragazza, fino a quel momento priva della parola, la considerano veramente miracolata e credono al suo messaggio. Per soddisfare il desiderio della Madonna, costruiscono una piccola Cappella chiamata “del Casone”, probabilmente perché vicino si trova un capannone costruito di tronchi e coperto di paglia, nel quale i contadini, in estate, sono soliti depositare la legna

ed il fieno, e d’inverno i pastori vi passano la notte con il gregge. Di questa cappella non rimane che qualche residuo di muro ed uno sbiadito affresco del Quattrocento raffigurante la Madonna con il Bambino, tra le figure di Sant’Antonio Abate e di Santa Lucia, gelosamente custodito sulla parete esterna dell’attuale Santuario, a testimonianza della storia. Ben presto il concorso dei fedeli si intensifica, i prodigi si moltiplicano, ma con il tempo e l’avversità degli eventi, la cappella va in rovina. Allora le autorità comunali, con l’autorizzazione del Vescovo di Verona, dal quale a quei tempi dipendeva Ostiglia, as-


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a ni, e non solo er gine della Comuna, a Ostiglia sumono l’iniziativa della ricostruzione della chiesa. Da allora la Madonna viene chiamata della Comuna, cioè della Comunità, del Comune. La munificenza dei Gonzaga e il genio di Giulio Romano Nel 1533 i dirigenti comunali si rivolgono alla munificenza di Federico II Gonzaga, quinto marchese e primo duca di Mantova, il quale interviene anche in riconoscenza alla Madonna per la nascita del primogenito Francesco, figlio di Margherita Paleologa, marchesa del Monferrato. Come ancora ricorda la scritta posta sullo stipite marmoreo della porta, la costruzione del nuovo Santuario è affidata al celebre architetto Giulio Romano. Nel corso dei secoli, dolorose vicende colpiscono le popolazioni della zona, ma mai vengono meno l’aiuto e la protezione della Madonna della Comuna. Memorabile, nel settembre del 1618, la spaventosa inondazione del Po! Le acque limacciose ed impetuose travolgono gli argini del fiume e sommergono ogni cosa. Gli abitanti di Ostiglia si rivolgono fiduciosi alla Madonna della Comuna e le loro vite sono salve. Nel 1796 le soldatesche francesi invadono l’Italia e non risparmiano le popolazioni del Mantovano. Le Chiese sono profanate e spogliate dei loro tesori d’arte; anche il Santuario della Comuna è depredato dei tanti segni della devozione e della riconoscenza

dei fedeli alla Madonna. Ma la fiducia in Maria della popolazione di Ostiglia non viene meno. La corona d’oro e le indulgenze papali In seguito a numerosissime grazie ottenute, il 23 novembre del 1920 la Madonna della Comuna è onorata con solenne rito della Corona d’oro, come segno di gratitudine. Alle grandiose feste per l’Incoronazione intervengono il Patriarca di Venezia, il Vescovo di Adria già parroco di Ostiglia, il Vescovo di Rovigo, di Mantova ed un’enorme folla. Per l’occasione, il Santo Padre Benedetto XV concede numerose indulgenze ed invia la sua personale benedizione tramite il Segretario di Stato, il Cardinal Pietro Gasparri. Mario Morra morra.rivista@ausiliatrice.net

CSDM online Consultate l’archivio on-line del Centro di documentazione. Troverete anche nuove informazioni ed approfondimenti. www.donbosco-torino.it Questo mese: storia illustrata dei Papi della seconda metà del VII secolo.

I Nel ’600 la costruzione del santuario di Ostiglia è stata affidata all’architetto Giulio Romano.

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Lettere a suor Manu

Solidarietà. Quella v “S

ono un’insegnante in una scuola secondaria di primo grado e, nonostante io sia molto convinta dei valori in cui credo, faccio sempre più fatica a comunicarli ai miei alunni. Ho l’impressione che la maggior parte di loro, in casa, riceva un messaggio opposto, con espressioni del tipo: “Non lasciarti mettere i piedi in testa da nessuno”, oppure “non stare vicino agli stranieri”, “fai vedere chi sei”! Ritengo sia una grande opportunità per i ragazzi la presenza di compagni di altre nazioni, ma c’è ancora troppo razzismo. La solidarietà, prima di essere un valore cristiano è un sentimento umano, dovrebbe essere naturale, invece... Come possono crescere solidali i ragazzi, se non lo sono i genitori?

© Photoxpress.com Foto Aramanda

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Educare all’accoglienza del “diverso” è decisamente una delle imprese più faticose di questi tempi. Il diverso ci fa paura, ci preoccupa, ci disturba anziché suscitare in noi curiosità, interesse, stupore... La solidarietà non è soltanto un sentimento umano, è il sentimento per eccellenza. A questo proposito c’è uno stimolante racconto di Bruno Ferrero, che abbiamo utilizzato nella nostra scuola per le assemblee di inizio anno. «“Se non me lo lasci fare non potrò andare a scuola! Mi vergognerei troppo... È terribilmente importante, mamma!”. Elena scoppiò a piangere. “Uffa, fa’ come vuoi...” brontolò la madre. “Sembrerai un mostro. Peggio per te!”. In altre 23 famiglie stava avvenendo una scenetta più o meno simile. Erano i ragazzi della Seconda B della Scuola Media “Carlo Alberto di Savoia”. Per quel gior-


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a vera! no avevano preso una decisione importante. Ma gli allievi della Seconda B erano 25. In effetti, solo nella venticinquesima famiglia, le cose stavano andando in un modo diverso. Elisabetta era un concentrato di apprensione, la mamma e il papà cercavano di incoraggiarla. Era la quindicesima volta che la ragazzina correva a guardarsi allo specchio. “Mi prenderanno in giro, lo so! Non aspetteranno altro!”. Grossi lacrimoni salati ricominciarono a scorrere sulle guance della ragazzina. Cercò di sistemarsi il cappellino sportivo che le stava un po’ largo. Il papà la guardò con la sua aria tranquilla: “Coraggio Elisabetta. Ti ri-

© Photoxpress.com Foto Poco-bw

cresceranno presto. Stai reagendo molto bene alla cura e fra qualche mese starai benissimo”. “Sì, ma guarda!”. Elisabetta indicò con aria affranta la sua testa che si rifletteva nello specchio, lucida e rosea. La cura contro il tumore che l’aveva colpita due mesi prima le aveva fatto cadere tutti i capelli. La mamma l’abbracciò: “Forza Elisabetta! Si abitueranno presto, vedrai...”. Elisabetta tirò su con il naso, si infilò il cappellino, prese lo zainetto e si avviò. Davanti alla porta della Seconda B, il cuore le martellava forte. Chiuse gli occhi ed entrò. Quando riaprì gli occhi per cercare il suo banco, vide qualcosa di strano. Tutti, ma proprio tutti, i suoi compagni avevano un cappellino in testa! Si voltarono verso di lei e sorridendo si tolsero il cappello esclamando: “Bentornata Elisabetta!”. Erano tutti rasati a zero, anche Marisa così fiera dei suoi riccioli, anche Paolo, anche Elena e Giangi e Francesca... Tutti! Ma proprio tutti! Si alzarono e abbracciarono Elisabetta che non sapeva se piangere o ridere e mormorava soltanto: “Grazie...”». (Bruno Ferrero, Ma noi abbiamo le ali). Non so se sia un racconto vero, oppure no. Ma è vero che i ragazzi sono capaci di solidarietà più dei loro genitori. Solidarietà. Quella vera! Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net

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Nº 8 - NOVEMBRE-DICEMBRE 2010

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Novembre, mese dei santi La pagina del Rettore don Franco Lotto

Natale: l’amore e la fatica di Dio Il Poster a cura di Mario Scudu

Nate dalla Speranza per seminare Speranza Editoriale suor Angela Schiavi

Mamme e bambini sotto la sua protezione L’abitino di Domenico Savio Lorenzo Bortolin

Lo sconvolgente “Seguimi” all’esattore delle tasse Marco Rossetti Leggiamo i Vangeli

Ho imparato Esperienze

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Claudia

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Maria accolta in cielo da Gesù Maria Ko Ha Fong Spiritualità mariana

Con gioia verso Czestochowa La pagina dell’ADMA

Il difensore dell’Immacolata Concezione Roberto Spataro Maria nei secoli

La pagina dell’ADMA

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Che festa la XX Giornata Mariana Maurizio Versaci

Cosa succede se Dio si fa bambino Enzo Bianco Il Papa ci parla

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Il Natale visto da Maria Valter Boero Vivere oggi

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Assetato di assoluto Pier Giuseppe Accornero Vita della Chiesa

Nuove tecnologie? Sì, grazie! Ma sempre con mamma e papà Marina Lomunno Wellness educativa

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Il “sì” di 72 salesiani Michelangelo Toma Vita del santuario

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Che fare? Amare i giovani

Un programma di “buon governo” Natale Maffioli Maria nell’arte

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Haiti e Pakistan tra dramma e rinascita Luca Mazzardis Attualità

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Un fumetto “giovane” su un grande atto d’amore Carlo Tagliani Il Vangelo a fumetti

Caro ai mantovani, e non solo Mario Morra Appuntamenti mariani

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Solidarietà. Quella vera! Manuela Robazza Lettere a Suor Manu

Parabole... al contrario Catechesi & dintorni Anna Maria Musso Freni

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Ermete Tessore

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FOTO DI COPERTINA: Adorazione, Gerard Hont Horst (1590-1656), Uffizi, Firenze.

Basilica di Torino Rivista della

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27-02-2004 n.

46) art.1, comma

2 e 3 - CB-NO/TORINO

ANNO XXXI -

MENSILE - Nº

8 - NOV.-DIC

. 2010

saggio gratuito per due numeri

nde

La Luce sple

Poste Italiane S.p.A.

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