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• ANNO XXX - MENSILE - N° 8 - SET./OTT. 2009
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
Regina del santo Rosario prega per noi
Andate - Ammaestrate Mt 28,1-10.16-20
Liturgia
E
cco il mandato di Gesù Risorto ai suoi primi discepoli, e oggi a ciascuno di noi. Chi si incontra con il Risorto deve andare, deve far sì che altri diventino discepoli del Signore, deve insegnare loro quanto il Signore ci ha insegnato e continua ad insegnarci. Anzi solo nel compimento di questo mandato abbiamo la certezza che ci siamo davvero incontrati con il Risorto. Prendiamo atto di questo compito che ci attende, riflettendo prima sull’annuncio della Risurrezione, e poi sul comando di andare in tutto il mondo.
L’annuncio della Risurrezione Mt 28,1-10 ha il suo parallelo in Mc 16,1-8 e Lc 24,1-9. Ma se confrontiamo anche solo il primo versetto ci accorgiamo che Matteo cammina per la sua strada: le donne non portano il vasetto dei profumi, non vanno ad ungere il corpo di Gesù, vanno solo a “visitare il sepolcro”, forse nella attesa del compimento della parola di Gesù: “Dopo tre giorni risorgerò” (27,63). Altra differenza: mentre in Marco e Luca, le donne trovano il sepolcro aperto: “la pietra era già stata rotolata via”, secondo Matteo, invece, esse vedono che “la pietra viene rotolata via da un angelo”. Questo introduce una diversità nel tempo in cui si sono recate alla tomba. È un problema degli storici precisare quando le donne sono andate al sepolcro. Per noi il motivo è che Matteo sta 2
scrivendo per la comunità cristiana di origine ebraica, che aveva un suo modo di calcolare il tempo. Inoltre c’è pure il fatto che Matteo usa lo stesso verbo che ha usato Luca quando afferma che fecero in fretta la sepoltura “perché già splendevano le luci del sabato” (23,54). Per Luca era la sera del venerdì, quando alla luce delle prime stelle iniziava il sabato. Matteo, usando lo stesso verbo dice, che “passato il sabato, quando già splendevano le luci del primo giorno della settimana, le donne andarono a visitare la tomba”. I primi lettori di Matteo, giudeo-cristiani, potevano solo pensare alla sera del sabato, quando alle prime luci delle stelle ini-
ziava la nuova settimana.1 Quindi siamo di notte, ed è di notte che l’angelo scende dal cielo, come nella notte dell’Esodo; è nella notte che si scuote la terra, come dopo la morte di Gesù, quando pure c’erano le tenebre; e poi qui le donne vedono che la pietra viene sbalzata via e l’angelo che vi si siede sopra. Le guardie sono tramortite e le donne sono piene di paura. Questi sono tutti segni che ben sottolineano la partecipazione celeste al mistero che si svolge presso il sepolcro. Come nel racconto del Calvario, anche qui Matteo ci sta parlando di una teofania. L’angelo è lì seduto, quale vincitore, sulla pietra rotolata via, una pietra che era stata ben si-
gillata per seppellire per sempre la parola di Gesù: “dopo tre giorni risorgerò” (27,63). Ma la sua parola non può essere incatenata; quanto ha detto si realizza davvero, e l’annuncio dell’agire di Dio in Gesù riprende il suo corso. L’annuncio si divulga per mezzo delle donne che Dio ha scelto come “prime testimoni della Risurrezione di Cristo”. Un dato questo che verrà poi, purtroppo, messo in sottordine da gente ancora ammalata di maschilismo. L’attuale Papa però ha, giustamente, rivalutato il ruolo di queste prime testimoni del Signore Risorto. Andate e dite: “È risorto!” L’angelo dice alle donne: “Non abbiate paura voi. So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui; è stato risuscitato come aveva detto. Andate...”. Da queste parole è chiaro che il crocifisso e il Risorto sono la stessa persona, che “il sepolto”, colui che veramente è morto, “è stato risuscitato”. Traduciamo all’attivo questo passivo teologico e avremo il primo atto di fede della comunità cristiana: “Dio lo ha risuscitato dai morti” (1 Ts 1,10; Rom 10,9; At 3,15; ecc.). La Risurrezione è opera di Dio ed è compimento della parola di Gesù: “come aveva detto”, così come lo è stata la sua passione (26,2) e la sua sepoltura (26,12). Un dato risulta chiaro: nessuno ha visto Gesù risorgere; nessuno ha visto uscire vivo Gesù dal sepolcro. È un atto di Dio che ha un prima e un dopo e che
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© Elledici / G. Schnoor
e - Insegnate
perciò si inserisce negli eventi storici, ma come ogni atto di Dio può essere solo conosciuto nella fede, può essere oggetto di annuncio, non di indagine storica. Dalla storia posso solo sapere che colui che è morto e fu sepolto, è stato visto vivo dopo la morte. E soltanto chi accoglie l’annuncio nella fede, può capire perché la tomba è vuota. Non è lecito dire: “il sepolcro è vuoto, perciò è stato risuscitato”. Chi non ha fede, vedendo vuota una tomba che conteneva un cadavere, solo può dire che il suo corpo è stato rubato e nascosto altrove (28,13; Gv 20,2.13.15). Ma per chi ha fede e accoglie l’annuncio inizia una vita nuova. È il compito che viene affidato alle donne, che tende al compimento di un’altra parola di Gesù: “Presto, andate, dite ai suoi discepoli: «È stato risuscitato dai morti, vi precede in Galilea»” (28,7; 26,32). Ed esse, abbandonarono “in fretta il sepolcro e corsero a dare l’annuncio”. “Presto... in fretta”: sono parole che fanno sentire l’urgenza del-
l’annuncio, anche per noi che non abbiamo visto con i nostri occhi il Risorto. Anche le donne non l’avevano visto; credettero e corsero ad annunziare la sua Risurrezione. E solo mentre andavano: “Gesù venne loro incontro e le salutò”. Chi è in atteggiamento di annuncio si incontra con Gesù, per sentirsi ripetere dallo stesso Gesù il comando dell’angelo: “Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea, là mi vedranno”. Una constatazione: Gesù non ha dimenticato i suoi discepoli; anche se l’hanno abbandonato, sono sempre suoi, anzi sono suoi fratelli, e ricorda loro l’appuntamento dato in precedenza (26, 32). La Risurrezione fa guardare avanti. Mario Galizzi (1 - continua) Purtroppo le traduzioni di solito vogliono uniformare il testo di Matteo a quello di Marco e Luca e traducono “all’alba del primo giorno della settimana”. Ma così si manca di rispetto al testo.
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La Catechesi di Benedetto XVI
I Dodici
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egli antichi elenchi dei Dodici, l’apostolo Bartolomeo viene sempre collocato prima di Matteo, mentre varia il nome di quello che lo precede e che può essere Filippo (cf Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14) oppure Tommaso (cf At 1,13). Il suo nome è chiaramente un patronimico, perché formulato con esplicito riferimento al nome del padre. Infatti, si tratta di un nome di probabile impronta aramaica, bar Talmay, che significa appunto «figlio di Talmay». Un uomo che attende Di Bartolomeo non abbiamo notizie di rilievo; infatti, il suo nome ricorre sempre e soltanto all’interno delle liste dei Dodici citate sopra e, quindi, non si trova mai al centro di nessuna narrazione. Tradizionalmente, però, egli viene identificato con Natanaele: un nome che significa «Dio ha dato». Questo Natanaele proveniva da Cana (cf Gv 21,2) ed è quindi possibile che sia stato testimone del grande «segno» compiuto da Gesù in quel luogo (cf Gv 2,1-11). L’identificazione dei due personaggi è probabilmente motivata dal fatto che questo Natanaele, nella scena di vocazione raccontata dal Vangelo di Giovanni, è posto accanto a Filippo, cioè nel posto che ha Bartolomeo nelle liste degli Apostoli riportate dagli altri Vangeli. A questo Natanaele, Filippo aveva comunicato di aver trovato «colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Na4
L’Apostolo Bartolomeo zaret» (Gv 1,45). Come sappiamo, Natanaele gli oppose un pregiudizio piuttosto pesante: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46a). Questa sorta di contestazione è, a suo modo, importante per noi. Essa, infatti, ci fa vedere che, secondo le attese giudaiche, il Messia non poteva provenire da un villaggio tanto oscuro come era appunto Nazaret (vedi anche Gv 7,42). Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo. D’altra parte, sappiamo che Gesù in realtà non era esclusivamente «da Nazaret», ma che era nato a Betlemme (cf Mt 2,1; Lc 2,4) e che ultimamente veniva dal cielo, dal Padre che è nei cieli. Un uomo che viene coinvolto Un’altra riflessione ci suggerisce la vicenda di Natanaele: nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle so-
le parole. Filippo, nella sua replica, fa a Natanaele un invito significativo: «Vieni e vedi!» (Gv 1,46b). La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù; in modo analogo i Samaritani, dopo aver sentito la testimonianza della loro concittadina che Gesù aveva incontrato presso il pozzo di Giacobbe, vollero parlare direttamente con Lui e, dopo questo colloquio, dissero alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42). Un uomo che si decide per Gesù Tornando alla scena di vocazione, l’evangelista ci riferisce che, quando Gesù vede Natanaele avvicinarsi esclama: «Ecco davvero un Israelita, in cui non c’è falsità» (Gv 1,47). Si tratta di un elogio che richiama il testo di un Salmo: «Beato l’uomo ... nel cui spirito non c’è inganno» (Sal 32,2), ma che suscita la curiosità di Natanaele, il quale replica con stupore: «Come mi conosci?» (Gv 1,48a). La risposta di Gesù non è immediatamente comprensibile. Egli
re di vista né l’una né l’altra di queste due componenti, poiché se proclamiamo di Gesù soltanto la dimensione celeste, rischiamo di farne un essere etereo ed evanescente, e se al contrario riconosciamo soltanto la sua concreta collocazione nella storia, finiamo per trascurare la dimensione divina che propriamente lo qualifica. Un Apostolo che rende testimonianza
Secondo la tradizione, San Bartolomeo è stato scorticato vivo. Nella Cappella Sistina, Michelangelo l’ha raffigurato mentre mostra la propria pelle. Curiosamente il volto sulla pelle è un autoritratto dell’artista.
dice: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico» (Gv 1,48b). Non sappiamo che cosa fosse successo sotto questo fico. È evidente che si tratta di un momento decisivo nella vita di Natanaele. Da queste parole di Gesù egli si sente toccato nel cuore, si sente compreso e capisce: quest’uomo sa tutto di me, Lui sa e conosce la strada della vita, a quest’uomo posso realmente affidarmi. E così risponde con una confessione di fede limpida e bel-
la, dicendo: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele» (Gv 1,49). In essa è consegnato un primo, importante passo nell’itinerario di adesione a Gesù. Le parole di Natanaele pongono in luce un doppio complementare aspetto dell’identità di Gesù: Egli è riconosciuto sia nel suo rapporto speciale con Dio Padre, di cui è Figlio unigenito, sia in quello con il popolo d’Israele, di cui è dichiarato re, qualifica propria del Messia atteso. Non dobbiamo mai perde-
Sulla successiva attività apostolica di Bartolomeo-Natanaele non abbiamo notizie precise. Secondo un’informazione riferita dallo storico Eusebio del secolo IV, un certo Panteno avrebbe trovato addirittura in India i segni di una presenza di Bartolomeo (cf Hist. eccl. V, 10,3). Nella tradizione posteriore, a partire dal Medioevo, si impose il racconto della sua morte per scuoiamento, che divenne poi molto popolare. Si pensi alla notissima scena del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, in cui Michelangelo dipinse San Bartolomeo che regge con la mano sinistra la propria pelle, sulla quale l’artista lasciò il suo autoritratto. Sue reliquie sono venerate qui a Roma nella Chiesa a lui dedicata sull’Isola Tiberina, dove sarebbero state portate dall’imperatore tedesco Ottone III nell’anno 983. Concludendo, possiamo dire che la figura di San Bartolomeo, pur nella scarsità delle informazioni che lo riguardano, resta comunque davanti a noi per dirci che l’adesione a Gesù può essere vissuta e testimoniata anche senza il compimento di opere sensazionali. Straordinario è e resta Gesù stesso, a cui ciascuno di noi è chiamato a consacrare la propria vita e la propria morte. Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 04-10-2006
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Vita della Chiesa
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arà l’emergenza educativa il nocciolo degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 che la Conferenza episcopale ha stabilito come programma di lavoro per la Chiesa italiana. Lo ha fatto nella 59ª assemblea generale che si è svolta il 25-29 maggio 2009 in Vaticano. Nei prossimi mesi si metteranno a punto il piano complessivo e si fisserà la tabella di marcia. Il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco spiega che «l’emergenza drammatica dell’educazione è causa di tanti disagi delle famiglie e di tali mali della società». L’episcopato non parte con il piede sbagliato del pessimismo ma si impegna con convinzione propositiva, egregiamente espressa 150 anni fa da San Giovanni Bosco con una formula semplice ed efficace: «L’educazione è cosa di cuore». Nel discorso all’assemblea Benedetto XVI esprime «tutto il mio apprezzamento e il mio incoraggiamento» per la scelta, che da molto tempo è una costante del pontificato e che potrebbe anche essere oggetto di un Sinodo dei vescovi. È un tema urgente «in un tempo in cui è forte il fascino delle concezioni relativistiche e nichilistiche della vita e in cui la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione». La Chiesa italiana – osserva il Papa – constata che «la difficoltà di formare autentici cristiani si intreccia, fino a confondersi, con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi», nei quali e per i quali «la
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Crisi ed educazione coscienza della verità e del bene e la libera adesione a essi siano al centro del progetto educativo». Il vero educatore «sa unire autorità ed esemplarità», come insegnava Paolo VI: «Oggi servono più testimoni che maestri». E una forma essenziale di carità è «la carità intellettuale». Ratzinger cita l’impegno «per la promozione di una diffusa mentalità a favore della vita in ogni suo aspetto e momento, con attenzione particolare a quella segnata da grande fragilità e precarietà». Un impegno testimoniato dal manifesto «Liberi per vivere. Amare la vita fino alla fine», che vede il laicato cattolico «concorde nell’operare affinché non manchi nel Paese la coscienza della piena verità sul-
l’uomo e la promozione dell’autentico bene delle persone e della società. I “sì” e i “no” che vi si trovano disegnano i contorni di una vera azione educativa e sono espressione di un amore forte e concreto per ogni persona». La crisi colpisce le famiglie Come in tutti i discorsi e in tutte le riunioni – consigli permanenti e assemblee generali – il Pontefice e l’episcopato tornano sulla «crisi finanziaria ed economica che da mesi colpisce duramente tutti i Paesi». Nonostante le misure intraprese, «gli effetti sociali della crisi si fanno sentire pesantemente e colpiscono le fasce più deboli, soprattutto le fa-
Don Bosco: “L’educazione è cosa di cuore”.
miglie». Di qui, per il Pontefice, il dovere di intensificare la solidarietà e di inventare nuovi tipi di aiuto perché «non c’è dubbio che dallo spirito cristiano attinga vitalità sempre rinnovata quel senso di solidarietà che è profondamente radicato nel cuore degli italiani e che si esprime con particolare intensità in alcune circostanze drammatiche del Paese, come nel devastante terremoto che ha colpito l’Abruzzo». Benedetto XVI ricorda con accenti addolorati e affettuosi la visita agli sfollati «e i lutti, il dolore e i disastri prodotti dal terribile sisma» e si dice ammirato «dalla fortezza d’animo di quelle popolazioni e dal movimento di solidarietà che si è prontamente avviato da tutta Italia». I vescovi hanno rinunciato, su proposta del nunzio Giuseppe Bertello, al ricevimento in nunziatura e hanno devoluto ai terremotati il corrispettivo di 10 mila euro, che si aggiungono ai milioni stanziati con l’8 per mille, a quelli donati da parrocchie e diocesi, a quelli investiti nei progetti Caritas. Ratzinger elogia la decisione della Cei e dell’Associazione bancaria italiana di lanciare il fondo di solidarietà «Prestito della speranza», che ha avuto nella solennità di Pentecoste «un momento di partecipazione corale con la colletta nazionale», che andrà a favore delle famiglie numerose rimaste senza reddito per la perdita del posto di lavoro e che può essere incrementato con offerte e donazioni di singoli e istituzioni.
Lo studio aiuta a formare, come diceva Don Bosco, “buoni cristiani e onesti cittadini”. Sotto: un giovane all’ultima GMG, svoltasi lo scorso anno a Sydney.
leggerire la nave» quando, contraendosi gli ordinativi e le commesse, «le imprese azionano la leva occupazionale». Da uomo cresciuto in una città di mare, della quale nel settembre 2005 è diventato pastore, l’arcivescovo di Genova invita a «non alleggerire la nave» dei lavoratori, come se si trattasse di «una futile zavorra». Contro le voci gover-
native «che si arrischiano in previsioni rasserenanti», denuncia che la crisi intacca in maniera «diretta e cruenta la solidità delle famiglie», per le quali auspica «un fisco più equo»; che a patire «le maggiori ripercussioni sono i precari»; che la disoccupazione intacca «anche le zone a più radicata tradizione industriale»; che il lavoro flessibile registra «un brusco aumento con la perdita dei posti di lavoro non garantiti»; che il lavoro stabile conosce «l’inquietudine della cassa integrazione»; che «gli ammortizzatori sociali sono davvero modesti». Chiede a politici, imprenditori e sindacati «di ricercare valide soluzioni alla crisi occupazionale e di creare nuovi posti di lavoro». Riscoprire la sobrietà
I lavoratori non sono una zavorra Dice il Card. Bagnasco nella prolusione: i lavoratori non sono «una futile zavorra» con la quale, «talora in tempi e modi alquanto sbrigativi», si può «al-
Queste situazioni «appesantiscono il tessuto sociale, allargano le disuguaglianze, riducono la serenità della gente». La crisi ha gli effetti più deleteri «sull’anello più debole della popolazione e sull’economia già pre7
no i licenziamenti e il governo offra più ammortizzatori sociali. Al ministro Renato Brunetta, per il quale «in Italia la povertà è diminuita», i vescovi contrappongono gravi preoccupazioni «per la crisi occupazionale»; contestano il termine «esubero» perché non tiene nel debito conto «un tessuto sociale che va sfilacciandosi per le disuguaglianze che aumentano invece di diminuire». È quanto ribadisce anche il comunicato finale sui lavori dell’assemblea Cei che invita a «inventare soluzioni nuove», come il «Prestito della speranza». I poteri forti contro la Chiesa
“Ogni bimbo che nasce è il segno che Dio non si è ancora stancato dell’umanità” (Tagore).
caria del Sud del mondo in cui è previsto un aumento di cento milioni di nuovi poveri» ed «è una tragedia vergognosa che un quinto dell’umanità soffra la fame». La globalizzazione ha perso credibilità ed efficacia ed è indispensabile «rivederne i meccanismi». Bagnasco mette in guardia dall’errore di pensare che «dalla crisi che tanto ci angoscia» si possa uscire «con una svalutazione del lavoro, identificato come circostanza casuale e fortuita». Bisogna invece riscoprire «il legame imprescindibile dell’uomo con il lavoro» perché è sbagliata «una concezione meramente mercantile del lavoro, qua8
si fosse una qualunque merce di scambio sottoposta alla legge della domanda e dell’offerta». Bisogna anche che nazioni, categorie e famiglie «si sintonizzino sull’idea che la crisi è un’opportunità concreta per cambiare in meglio gli equilibri comuni e gli stili personali all’insegna di una maggiore sobrietà». La precarietà mina la società L’ondata inarrestabile di licenziamenti, esuberi e precarietà mina le basi della società e delle famiglie e rischia di intaccare valori, storia, futuro del Paese: perciò gli imprenditori eviti-
Bagnasco fa una denuncia molto grave sui poteri forti schierati contro il Papa e la Chiesa: «A livello mondiale parecchi analisti parlano di pressioni molto forti di lobby economiche e finanziarie: se questo è vero, ci sono parti della dottrina cattolica che non sono accettate e che inducono a un’azione contro il Papa e contro la Chiesa». Non cita casi specifici ma, a suffragio della fondatezza della denuncia, basta ricordare il pesante fraintendimento di una frase del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006 sull’Islam; la levata di scudi del mondo ebraico contro il Papa per colpa di un vescovo, lefebvriano e negazionista dell’Olocausto, nel 2008-2009; la montatura dei media e del mondo politico contro la frase di Ratzinger che in aprile nel viaggio in Africa mise in guardia dal pensare che «con il preservativo si possa risolvere la pandemia dell’Aids che colpisce l’Africa». Ad analoga conclusione è pervenuta una recente assemblea dei presidenti delle Conferenze episcopali europee (Ccee) tenuta a Budapest. Pier Giuseppe Accornero
La Visitazione di Maria ad Elisabetta /1
Spiritualità mariana
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eggiamo in Luca (Lc 1,39-56): «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». È uno dei racconti più significativi del Vangelo e fa anche parte dei misteri del Rosario. Una bella pagina in cui vediamo Maria, nostra giovane sorella, che dopo aver creduto alle parole dell’angelo e aver pronunciato il suo “fiat” all’Incarnazione del Figlio di Dio, si fa missionaria e maestra di solidarietà per tutti noi, mettendosi in cammino con grande amore e coraggio. È un bel racconto perché i protagonisti sono due donne e i loro rispettivi bambini, che si muovono guidati dallo Spirito di Dio. Le donne e i bambini: due categorie sociali che nella cultura ebraica, ma non solo, non trovavano molto spazio e non godevano dei diritti come gli altri. Qui invece sono soggetti e protagonisti, tutti con un ruolo importante, tutti guidati dallo Spirito. La Visitazione di Maria mostra ancora una volta l’assoluta libertà di Dio, che agisce al di là degli schemi culturali degli uomini, scegliendo “ciò che nel mondo è disprezzato” per farne strumento di salvezza. Ha scritto Adrienne von Speyr: «La visita nel suo più profondo significato, non è una visita di Maria ad Elisabetta, ma
Maria, donna di carità una visita di Cristo a Giovanni. Entrambe le madri fungono ora solo da mediazione per i figli». È infatti la presenza di Cristo in Maria che fa sobbalzare di gioia Giovanni nel grembo di Elisabetta, quasi a santificarlo e prepararlo per il suo futuro ministero. Questo racconto è anche una bella pagina di spiritualità oltre che di antropologia. «Di recente alcuni esponenti della psicanalisi hanno riscontrato nell’incontro tra Elisabetta e Maria una ricchezza antropologica di grande valore. Ogni donna infatti si può riconoscere in questo traMaria ed Elisabetta: due mamme si incontrano nel segno dell’Amore.
sformare il proprio segreto spirituale ed esistenziale in una condivisione, tipicamente femminile. Quando Elisabetta riconosce in Maria colei che ha ricevuto la grazia di essere la Madre del Signore, e il bambino che è nel grembo di Elisabetta salta di gioia, vengono anticipate le concezioni più moderne del rapporto madre-feto, perché si attribuisce al nascituro una vita psichica, che a lungo era stata negata» (in Theotokos, n. 1, 1997). Il principio “mariano” e “petrino” Il Papa Paolo VI nella sua Marialis Cultus (n. 7) parla della Visitazione ricordando la liturgia che mette in risalto «la beata Vergine Maria... che porta in grembo il Figlio» e che si reca da Elisabetta per «portarle l’aiuto della sua carità e proclamare la misericordia di Dio Salvatore». Importante il risalto dato al duplice obiettivo di Maria: portare aiuto e lodare Dio per la meraviglia operata in lei. Un obiettivo di solidarietà propriamente femminile ed un atto di religiosità: far conoscere agli altri la grandezza di Dio e lodarlo per questo. La Visitazione è quindi una pagina di vita quotidiana, di aiuto e di compagnia umana, il tutto però permeato dalla presenza di Dio, che dà sostanza a tutto ciò che accade. 9
Non c’è quindi niente di difficile. Nel Cristianesimo, specialmente in quello occidentale, c’è sempre stato il rischio di cadere nell’intellettualismo astratto, nella teoria inconcludente o nel legalismo burocratico. Questo racconto ci invita a rivalutare quindi la dimensione corporea e relazionale, ambedue di grande importanza nella prospettiva dell’Incarnazione. Il card. Martini ha scritto che lo “spirito mariano” impedisce di coltivare e di proporre un Cristianesimo solo intellettuale, freddo, distaccato, legalistico, malato di burocraticismo. La Chiesa non può vivere solo del “principio petrino” (che potremmo definire in senso vasto il principio della organizzazione e della istituzione), ma anche del “principio mariano”. Questo richiede nella Chiesa e da parte della Chiesa sensibilità, condivisione e solidarietà, non solo fredda organizzazione, progettualità e valutazione dei risultati. «Maria è al centro della fede e quindi della missione, in quanto assicura la verità dell’Incarnazione. Senza la Theotokos, anche il Figlio diventa un qualunque Maestro di etica, un saggio, un illuminato. Maria garantisce l’ortodossia, ma anche la dimensione “calda” della fede, l’aspetto “affettivo” del Credo, il rispetto e l’assunzione di tutta l’umanità del credente» (Card. Carlo M. Martini). Questo episodio infine era il più caro a San Francesco di Sales. Proprio per questo fonderà una famiglia religiosa, le Suore della Visitazione. In esso vi vedeva tutto il mistero mariano: Maria e Gesù, Maria e Giovanni, Maria nella sua fede, Maria nella sua maternità, Maria nella sua obbedienza alla voce di Dio. Ed infine Maria nel suo coraggioso viaggio della carità e della solidarietà per Elisabetta. Alla base del suo inno di lode a Dio nel Magnificat e di tutta l’azio10
ne di Maria c’è Gesù. In una lettera alla Chantal ha scritto: «Maria con poche ma eccellenti parole, versava dalle sue sacre labbra il miele ed il balsamo prezioso perché era piena di Gesù». In quei giorni Maria si mise in viaggio… È Luca che ci descrive la visita di Maria ad Elisabetta. Una visita tra parenti, che hanno bisogno gli uni degli altri, aiuto non solo materiale ma anche conforto di presenza spirituale ed esistenziale. La visita per eccellenza è, nel linguaggio biblico, quella che fa Dio al suo popolo per salvarlo. Zaccaria stesso nel suo Cantico loda Dio “perché ha vi-
sitato il suo popolo” (Lc 1,68). Anche la contemplazione della visita di Maria è da porre in questo più ampio mistero di un Dio che si fa prossimo del suo popolo, che cammina con lui, che lo visita anche attraverso profeti o altri mediante altri segni diversi. L’espressione «In quei giorni» cosa significa? Certamente queste parole si riferiscono ai giorni dell’Annunciazione, alle parole che l’Angelo Gabriele le aveva detto, all’Incarnazione nel suo grembo del Figlio dell’Altissimo, e anche al riferimento, “Elisabetta, tua parente ha concepito” anzi è già “al sesto mese”, lei “che tutti dicevano sterile, perché nulla è impossibile a Dio”. Scrive Giovanni Paolo II nella Redemptoris Mater (n. 12): «Il motivo della visita va cerca-
Maria è beata per la sua fede Se vi è qualcosa che rivela la grandezza di Maria, è l’esclamazione di Elisabetta. Beata te, che hai creduto (Lc 1,45). Maria credette. E doveva alimentare sempre questa fede. Sempre più forte, sempre più tenace. La sua fede fu più grande che uomo abbia mai avuto. Abramo sovrasta per la formidabile elevatezza della sua fede, ma a lei era chiesto di più che non ad Abramo. Poiché il Santo, che era nato da lei, che crescendo si allontanava da lei, saliva al di sopra di lei, e, distolto da lei, viveva in una distanza infinita: averlo generato e nutrito e veduto nel suo abbandono, e non lasciarsi vilmente smarrire di fronte alla sua maestà, ma anche non esitare nel suo amore, quando la sua protezione materna si trovò superata; e di tutto questo, credere che così era giusto e che vi si compiva il volere di Dio, non stancarsi mai, non annoiarsi mai, anzi a tener duro e fare insieme, passo dopo passo, per forza di fede, il cammino che la persona del Figlio nel suo carattere arcano seguiva: ecco la sua grandezza. Ogni passo che il Signore ha compiuto incontro al suo destino, Maria lo ha percorso con lui, ma per fede. Soltanto la Pentecoste le donò di capire. Allora tutto ella intese quello che precedentemente “aveva serbato in cuore” credendo... Da noi si esige che si lotti in spirito di fede con il mistero di Dio e contro la perversa resistenza del mondo. Non una fede carezzevolmente poetica ci è imposta, ma una fede rude, specialmente in un’epoca in cui s’infrangono i morbidi incanti delle cose e dappertutto è un incalzare di contraddizioni. Quanto più tersa noi ricaviamo dal Nuovo Testamento la figura della Madre del Signore, tanto più grandi cose risultano, come è realmente, per la nostra vita cristiana. (Romano Guardini, da Il Signore, pagg. 11-12).
ma anche per “vedere”, constatare di persona le meraviglie operate dalla potenza di Dio nella cugina che abitava lontana da Nazaret. Non solo ma anche per comunicare con lei l’esperienza di se stessa, giovane ragazza tra i 15 e i 16 anni, già incinta, per condividere il proprio segreto e trovare comprensione, approvazione e sostegno. Maria si mosse non per ansia o per incertezza, non per superficiale curiosità o “per toccare con mano” prima di credere. Si è mossa in fretta perché aveva creduto a ciò che le era stato detto dall’angelo. È andata a leggere il segno che le era stato Maria è “la Serva del Signore”: per questo tutti la chia- indicato e così mano Beata. davanti ad Elisabetta ha compreso il “dono impossibile” che le to anche nel fatto che durante era stato dato. l’annunciazione Gabriele aveva nominato in modo significativo Elisabetta, che in età avanzata Maria aveva concepito un figlio, per la coopera con la grazia di Dio potenza di Dio...». Maria ricordava che l’accenno dell’angelo Scrive Giovanni Paolo II nelad Elisabetta le era stato fatto la Redemptoris Mater (n. 13): quando lei aveva “obiettato” sul «Nell’Annunciazione, infatti, «come è possibile questo? Non Maria si è abbandonata a Dio conosco uomo». Maria quindi si completamente, manifestando era messa in viaggio mossa e guil’obbedienza della fede a colui data dallo Spirito Santo, portanche le parlava mediante il mesdo il suo Bambino nel grembo, saggero e prestando il “pieno osma sostenuta da Lui stesso, cersequio dell’intelletto e della votamente per un impulso di carilontà”. Ha risposto dunque, con tà e solidarietà con Elisabetta,
tutto il suo “io” umano, femminile, ed in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione “con la grazia di Dio che previene e soccorre” ed una perfetta disponibilità all’azione dello Spirito Santo, il quale “perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni”». Maria aveva in sé un segreto ineffabile, ma umanamente pesante e schiacciante, e voleva condividerlo con un’altra donna, non solo parente ma nelle stesse condizioni. Ancora il Card. Martini: «Anche a noi è capitato di portare pesi opprimenti che non possiamo comunicare: problemi, sofferenze senza limiti che altri ci hanno confidato o ci hanno lasciato intravedere. Non dovrebbe essere difficile, quindi, capire qualcosa di Maria che aveva un segreto bellissimo e però pesante: la sua verginità, il rapporto con Giuseppe, la nuova determinazione della sua vita, il mistero in cui cominciava ad entrare e che si sarebbe svelato pienamente con la croce e la resurrezione del suo Figlio. Ecco che, ad un tratto, si sente compresa, avverte che un’altra persona senza bisogno di spiegazioni, sa del suo segreto, glielo conferma, le assicura che ha fatto bene a fidarsi, quasi a dire: “Coraggio, ti ho capita, non aver paura, sei sulla strada giusta, io stessa sto per avere un figlio”» (in Sui sentieri della visitazione, pag. 28). Non diminuiamo la grandezza umana e soprannaturale di Maria o la genuinità della sua fede al progetto di Dio, se ipotizziamo anche in lei un desiderio, umanissimo, di venire confermata da altri nei propri propositi e decisioni esistenziali, e anche per ricevere un po’ d’incoraggiamento. Questa conferma e sostegno da parte di Elisabetta faranno esplodere in Maria il cantico della pura lode a Dio, il Magnificat. Mario Scudu 11
Avvenimenti
I
l processo di beatificazione di Giovanni Paolo II è alla stretta finale? Proprio in questi giorni a Roma, presso la Congregazione per le cause dei santi si è riunita una commissione, composta da otto teologi più il promotore della fede, Monsignor Sandro Corradini, per valutare vita, opere e scritti di Karol Wojtyla e dare il via libera alla procedura ultima. In pratica, la commissione deve esaminare il lavoro compiuto nell’ambito della prima fase del processo di beatificazione, quella che è chiamata “processo diocesano”, e soprattutto esaminare le prove di santità raccolte e ordinate dal postulatore, cioè dall’avvocato difensore” della causa, Monsignor Slawomir Oder, in un documento di 1500 pagine. Se la commissione approverà il lavoro del tribunale diocesano e quello dell’avvocato difensore, il giorno fatidico della beatificazione di Giovanni Paolo II dovrebbe essere molto vicino. Quanto vicino? Tutti se lo chiedono. Ma è impossibile stabilirlo. Viene in mente la frase “santo, santo subito” gridata dalla folla durante le esequie di Papa Wojtyla, la mattina dell’8 aprile 2005, e poi diventata uno slogan. Celebrava il rito il cardinale Ratzinger e con lui concelebravano 157 cardinali. Erano presenti 700 vescovi e 3000 tra prelati e sacerdoti. Da ogni parte del mondo era12
Papa Wojtyla: santo presto o q u no giunti i potenti della terra: 169 delegazioni straniere con 10 monarchi, 59 capi di Stato, 3 principi ereditari, 17 capi di governo, primi ministri, presidenti di parlamenti, ministri. E una folla di fedeli calcolata intorno a due milioni, mentre le telecamere di 137 catene televisive di 81 Paesi, trasmettevano la cerimonia in diretta, in mondovisione, raggiungendo un numero di spettatori calcolato sui tre miliardi. C’era la Chiesa e il mondo intero intorno a quella bara povera, posta sulla nuda terra della piazza. E quel grido “Santo, santo subito”, ripetuto durante l’omelia del cardinale Ratzinger pareva una ripetizione corale e quasi dolorosa, rivolta alla Chiesa. Ratzinger, che in quel momento, come cardinale decano, rappresentava la Chiesa, volle rispondere e
lo fece con delle frasi incredibili che, pronunciate in quel momento, davanti alla più grande assemblea ecclesiale che si potesse immaginare e al mondo intero avevano il significato di una proclamazione, di una beatificazione immediata. Con voce sicura, commossa e ispirata, disse: “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice”. Il 28 aprile, poi, cioè sole tre settimane dopo quelle esequie, quando Ratzinger era diventato Papa da nove giorni, volle dare il via libera per l’inizio della causa di beatificazione di Papa Wojtyla, concedendo la deroga alla norma canonica che stabilisce che le cause di beatificazione non possano iniziare prima che siano passati cinque anni dalla morte del candidato. Sembrava quindi che l’invocazione “santo, santo subito” potesse trovare un’immediata risposta. Sono trascorsi quattro anni. Se il processo si concludesse a breve, quel grido avrebbe ancora un significato. Ma, purtroppo, in Vaticano non tutti sono ottimisti. Restano ancora delle ombre, molte ombre, affermano i pessimisti. Ritengono impossibile che, a così breve distanza dalla morte, si sia potuto esaminare con equilibrio e completezza l’esistenza di un pontefice che ha regnato per quasi 27 anni e ha intrattenuto rapporti con i potenti di ogni parte del
Foto Nicola Allegri
q uando?
Un’immagine dell’archivio degli Uffici della Postulazione, dove ogni giorno arrivano centinaia di lettere inviate dai fedeli.
mondo. Inoltre, affermano che non si possa procedere in questo processo senza prima esaminare tutti gli scritti di Wojtyla. Giovanni Paolo II, nel testamento aveva chiesto che tutte le sue carte private fossero bruciate, ma il suo segretario Stanislao Dziwisz le ha conservate e l’immenso archivio è stato trasferito da Roma all’arcivescovado di Cracovia dove però non è ancora stato inventariato e non è stato possibile quindi esaminare il contenuto di quelle carte. Ci sono poi i documenti dei servizi segreti russi e polacchi. Gli 007 di quei Paesi spiarono in continuazione la vita di Wojtyla, ed erano riusciti anche a infiltrare quattro superspie del KGB nello stretto entourage del Papa in Vaticano. Che cosa contengono quei documenti segreti? I dubbi dei pessimisti si scontrano con i sostenitori della tesi “santo, santo subito”. I quali temono che, a voler esaminare tutto, ci si immetta in un labirinto da cui non si sa quando si potrà uscire. Come è accaduto per la causa di beatificazione di Pio XII e, in un certo senso, anche per
quella di Giovanni XXIII. I Papi moderni, che hanno un’attività diplomatica intensissima, con contatti con tutte le nazioni, credenti e non credenti, possono diventare bersaglio di campagne diffamatorie, basate su calunnie e su falsi documenti, che, grazie al frenetico tam tam mediatico tipico della nostra civiltà, diventano baluardi insuperabili. Chi avrà ragione nell’immediato per quanto riguarda la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II? Gli ottimisti o i pessimisti? Ratzinger o i burocrati intransigenti? Per il cronista che cerca una risposta chiara, il Vaticano resta impenetrabile. In attesa che il dilemma si chiarisca, abbiamo visitato gli Uffici della Postulazione, il luogo cioè dove lavora l’avvocato difensore, Monsignor Oder, colui che nel processo di beatificazione ha avuto l’incarico di produr-
re le “prove” della santità di Giovanni Paolo II. Ci ha guidato la dottoressa Aleksandra Zapotoczny che in questi quattro anni ha fatto parte del gruppo dei collaboratori più stretti di Monsignor Oder. Siamo al quarto piano del Palazzo arcivescovile del Vicariato di Roma. Gli Uffici del Postulatore sono francescanamente semplici. Poche stanze e nessun lusso. Aleksandra Zapotoczny è una giovane giornalista polacca nata a Wadowice, la cittadina di Karol Wojtyla. Lavora con il postulatore della Causa fin dall’inizio ed è quindi molto informata sull’argomento. È responsabile del periodico “Totus Tuus”, la rivista ufficiale della causa di beatificazione di Papa Wojtyla, ed ha pubblicato tre libri di testimonianze sulla sua santità. «Ho imparato ad amare Giovanni Paolo II fin da
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bambina», dice. «Mia madre, medico, raccomandava sempre i suoi malati a Papa Wojtyla, e quando lui era in vita, li portava qui a Roma perché li benedicesse. Mia nonna, fu compagna di scuola al liceo di Karol; la mia bisnonna si inginocchiava quando lo vedeva in televisione. Non avrei mai potuto pensare che un giorno la mia vita sarebbe stata così legata a Giovanni Paolo II». Che genere di lavoro è il suo? Aiuto il postulatore a tenere i contatti con la grande famiglia degli ammiratori e dei devoti di Giovanni Paolo II. Famiglia immensa, sparsa su tutta la terra. Monsignor Oder, come postulatore, lavora con la commissione incaricata di raccogliere e valutare tutto quello che riguarda Giovanni Paolo II. Noi invece teniamo i contatti con il pubblico, con i giornali, con la gente. Questo genere di processi erano operazioni macchinose che procedevano su binari vecchi e lenti. Un procedere imbrigliato da antiche consuetudini e lentezze burocratiche. Monsignor Oder, fin dall’inizio del suo mandato ha deciso di utilizzare tutti i mezzi moderni e i canali della comunicazione. In particolare quelli legati a Internet, la rete globale. Quindi, ha voluto che ci fosse un sito, in cui dare le informazioni sul processo in tempo reale: e la posta elettronica, attraverso la quale la gente, in qualunque parte del mondo, poteva inviare notizie e informazioni. Questo sistema ha aiutato molto il lavoro, rendendolo dinamico. Che cosa arriva in questo vostro ufficio? Di tutto. Lettere, e-mail, testimonianze, regali fatti a Papa Wojtyla, invocazioni disperate di aiuto, richieste di preghiere, una valanga di materiale. Le lettere, le 14
e-mail vengono lette, catalogate e conservate. Se necessario, si risponde. Quelle più significative le abbiamo pubblicate sul sito e sulla rivista. Tutti e due, rivista e sito, hanno lo stesso titolo: Totus Tuus. Cosa scrive la gente? Confida il suo amore, la sua devozione per Giovanni Paolo II. Molte lettere contengono richieste di aiuto. Le persone si rivolgono a Giovanni Paolo II come se fosse vivo. Lo chiamano per nome, “Caro Papa”, “Caro Karol”, “Caro Giovanni Paolo”, e anche “Caro papà”. Raccontano le loro pene, le sofferenze, fisiche e morali. A volte le loro tragedie. Certe lettere sono macchiate e si capisce che la persona scrivendo piangeva. Ma ci sono anche tan-
menti per grazie ricevute e i racconti di conversioni, di guarigioni prodigiose. C’è qualche lettera che ricorda in maniera particolare? Le ricordo tutte perché ognuna è come un brandello vivo di sofferenza e di amore. Mi commuovono soprattutto le lettere delle giovani spose che desiderano avere un figlio e non arriva. Sembra che Giovanni Paolo II, dal cielo, sia molto sensibile a questi problemi. Monsignor Oder dice che, quando sarà fatto santo, Papa Wojtyla potrebbe diventare il protettore delle mamme che non riescono ad avere figli. Sono moltissime infatti le lettere di spose che ringraziano Giovanni Paolo II perché hanno avuto la grazia di un figlio dopo cinque e anche dieci anni di attesa. Qualcuna di queste mamme a volte viene a Roma a pregare sulla tomba del Papa e poi vengono qui, nei nostri Uffici, con il bambino in braccio a farcelo vedere. Ci sono lettere che raccontano di qualche guarigione veramente prodigiosa?
“Maria, ancora una volta mi affido a Te e con affetto confidente ti ripeto: sono tutto Tuo!” ha detto il 10 aprile 2003, parlando ai giovani del Lazio.
te lettere di ringraziamento. Persone che raccontano di aver pregato il Papa e di aver ottenuto grazie importanti, guarigioni strepitose, miracoli. Nel primo anno dopo la morte del Papa, le lettere erano prevalentemente dominate dal dolore per la perdita di Giovanni Paolo, persona amatissima. Nel secondo anno invece dominavano le richieste di aiuto. Nelle lettere del terzo anno dopo la morte, prevalgono i ringrazia-
Molte. Le lettere sono servite proprio per conoscere le guarigioni che sono poi state studiate e utilizzate come “prove” di santità. A volte le guarigioni risultavano così strepitose che la gente, pensando che noi non si potesse credere a quanto raccontava, ci inviava anche le cartelle cliniche. Mi ha molto colpito il racconto di una donna di 50 anni. Ammalata di tumore, con metastasi diffuse, fu dimessa dall’ospedale perché potesse morire in famiglia. Lei, cosciente del suo stato, si preparava alla morte pregando Papa Wojtyla. Ma chiedeva anche aiuto, aggiungendo sempre però la frase: “Sia fatta la volontà di Dio”. Era andata perfino a com-
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perare il vestito che voleva indossare da morta. Ma ad un certo momento cominciò a sentirsi meglio. Alla visita di controllo, i medici rimasero stupefatti. Del tumore e delle metastasi non c’era più traccia. La signora sta bene e ogni tanto ci manda i saluti. Un altro caso strepitoso è accaduto in Polonia. Un ragazzo, Davide, fu colpito da un tumore ai reni. Inoperabile. Nella lettera, la mamma racconta che furono tentate tutte le cure possibili, ricovero in ospedali vari, chemioterapia e anche una nuova cura sperimentale americana. Niente. Il male progrediva rapidamente. Si formarono metastasi ai polmoni e il giovane non riusciva più a respirare. Sarebbe morto soffocato. Allora i genitori pensarono di portare Davide a Roma per pregare sulla tomba di Papa Wojtyla, ma Davide si oppose, disse che lui non credeva. I genitori insistettero e riuscirono a convincerlo. Davide non si reggeva in piedi e fu portato sulla tomba del Papa in barella. I suoi genitori pregavano e piangevano, lui guardava in silenzio. Ad un certo momento accadde qualche cosa di stupefacente. Davide si sentì improvvisamente bene. “Usciti dalla Basilica”, scrive la mamma del giovane nella sua lunga lettera “Davide ha cominciato a correre tenendosi con le mani i pantaloni che erano diventati larghi a causa del suo spaventoso dimagrimento e gli cadevano”. Il giovane era guarito e ora sta bene. È un episodio sconvolgente, ma nelle lettere ce ne sono tanti altri di simili. Mi commuovono le lettere dei bambini. Mandano disegni dove tratteggiano il Papa con le ali o con l’aureola dei santi. A volte sulla busta scrivono come indirizzo. “Papa Giovanni Paolo II” e indicano come città “Cielo”. Oppure “Paradiso”. Nient’altro. E la cosa stupenda è che le lettere arrivano qui da noi. Questo significa che molte altre persone,
impiegati delle poste, portalettere delle varie nazioni e città, si danno da fare perché quelle lettere raggiungano il Vaticano dimostrando in questo modo che anche loro amano Papa Wojtyla. Struggenti le lettere di carcerati e sono diverse. Non chiedono di poter tornare liberi, ma piangono sulle loro colpe e chiedono perdono. Ricordo un giovane di 33 anni. Scrisse chiedendo una foto del Papa. Gliela inviammo. Dopo qualche settimana mandò una lettera di 14 pagine nella quale raccontava la sua vita sbagliata e la conversione che era arrivata attraverso il ricordo di Giovanni Paolo II. Voleva collaborare in qualche modo al processo di Beatificazione. Scrisse che non aveva soldi per fare un’offerta. L’unico oggetto prezioso era una collanina d’oro ricordo della sua mamma e mise nella lettera quella collanina d’oro. Non potevamo tenerla. Andai nelle grotte Vaticane e la posi sulla tomba del Papa pregando. Poi la rispedii a quel carcerato che rispose una lettera che faceva piangere. Lei ha raccolto queste lettere anche in alcuni libri Sono testimonianze stupende di fede, di amore. Sono certa che
a conoscerle fa bene. In accordo con monsignor Oder, abbiamo perciò deciso di raccoglierle in un libro che abbiamo pubblicato un anno fa, con il titolo di “Miracoli”. Lo abbiamo pubblicato in Polonia ed è stato un successo strepitoso, centomila copie in pochi mesi. Per questo abbiamo poi pubblicato un secondo libro, “Nuovi miracoli” e un libro con i disegni e le lettere dei bambini che ho curato con il vaticanista Franco Bucarelli. Ora questi volumi saranno tradotti in varie lingue. Il successo era inevitabile. Questi libri contengono storie che non sono frutto di invenzione, della fantasia di uno scrittore, sono storie vere, resoconti semplici di vicende a volte strepitose, come le guarigioni, veramente accadute e raccontate da chi le ha vissute. Ma il successo è dovuto soprattutto perché il protagonista di questi libri è Giovanni Paolo II. È morto da quattro anni, ma la sua popolarità continua ad essere grande, grandissima. Qui nei nostri uffici ne abbiamo la prova. Con il passare del tempo, le lettere, le e-mail, invece di diminuire, aumentano. E arrivano da ogni parte, perché il mondo intero continua a parlare di lui. Renzo Allegri 15
I Novissimi
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Celebrazione
In cammino verso le ultime realtà INTERROGATIVI SULL’INFERNO Tutti gli uomini si salveranno? Il credente non deve dare ascolto a tutti i ragionamenti che si sentono fare sull’inferno. Dove si trova l’inferno? C’è il fuoco e quali altri tormenti? È eterno? Tutti si salveranno? Il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde: “L’inferno consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell’inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l’uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato creato e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno» (Mt 25,41) (CCC. Compendio n. 212). Dunque, l’Inferno non è un luogo, non ci sono fiamme di fuoco, né tormenti vari. L’eterna separazione da Dio: questo è il grande tormento. Qualcuno osa pensare e sperare che Dio non consentirà mai che uno si perda e precipiti nell’inferno, in una situazione così disastrosa ed eterna. Il nostro Dio è tutto misericordia, e ha pagato la salvezza di tutti con l’amore di suo Figlio consegnato alla morte ignominiosa per il nostro riscatto. Dunque chi si mette d’accordo con Gesù si salverà. Ami Dio e il prossimo tuo? L’uomo che non ama Dio e che rifiuta di amare e soccorrere il prossimo suo, e nella sua piena libertà sceglie se stesso e non l’Amore infinito, e non si ravvede prima di morire, si troverà nella reale possibilità di perdersi nell’inferno eterno che egli stesso si è costruito. Dio ama, egli è l’amore, e sa amare più che una mamma terrena le sue creature. La sua casa è la 16
casa dove tutti lo amano e si amano a vicenda. Il peccatore impenitente, che non ama Dio né il suo prossimo, si prepara una casa là dove regna l’odio. Mi domando: quando mai costui potrà anche solo pensare di poter entrare nella casa del Padre, egli che ha scelto in modo definitivo di essere un fiero nemico di Gesù Cristo? Sta di fatto, però, che Dio non abbandona mai il peccatore al suo destino di morte eterna, perché quanto c’è nella creatura di morte e di peccato, egli lo ha voluto caricare sulle spalle del Figlio suo Agnello immolato per la salvezza del mondo. Proprio come sta scritto: Dio, Padre nostro, non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha dato per la salvezza di tutti noi (cf Rm 8,32). Pertanto a tutti è dato sperare, con sicura certezza, nell’aiuto che il Padre dona a tutti i suoi figli. Non solo il Padre amoroso ma anche il Figlio Incarnato e lo Spirito Santo, sono fortemente interessati di tutte le creature umane, perché amando Dio e il prossimo si salvino. Preghiamo con il Salmo 1 Rit.: Beato chi cammina nella luce del Signore. Beato chi non segue il consiglio degli empi e non indugia nella via dei peccatori, ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Rit. Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Rit. Non così, non così gli empi: ma come pula che il vento disperde. Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina. Rit.
Dio vuole che tutti si salvino? Posso io vivere in pace se uno si danna? Ora propongo a me e ai nostri lettori di far nostre le pene e le angosce che Charles Péguy ha vissuto nella sua pelle, pensando all’evento della salvezza o della perdizione eterna, di fronte a questo interrogativo: Io mi salvo, e gli altri? Per lui questo pensiero si era presentato come uno scoglio terribile. Il suo cuore si acquietò quando riuscì a trovarne la soluzione. Egli aveva scoperto che «dobbiamo salvarci tutti insieme. Insieme andare a Dio. Insieme presentarci al suo cospetto. I credenti debbono tenersi stretti gli uni gli altri. Esistere, vivere, sperare, pregare l’uno per l’altro. Sperare significa non escludere nessuno dalla salvezza. Questa speranza ha la sua radice in Dio, e in particolare nella misericordia di Dio, una misericordia piena di sentimenti in nostro favore. Il buon Pastore lascia le novantanove pecore in buona custodia e va in cerca di quella perduta e, trovatala, si rallegra più per quella che non per le novantanove che non si erano smarrite. «Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,12-14). Gesù, l’Incarnato, ha sperimentato l’angoscia dell’amore non corrisposto. Gesù ha saputo sulla sua pelle che cosa voglia dire amare fino alla morte e alla morte in croce. Chi spera in noi è Dio stesso. Gesù è venuto là dove ognuno di noi si è smarrito e perduto. Gesù attende anche l’ultimo dei peccatori. Con trepidazione e speranza Gesù Cristo sta nelle mani di tutti gli uomini peccatori. Noi dobbiamo nutrire gli stessi suoi sentimenti, trepidare e sperare per tutti gli uomini, e vivere nella comunità di coloro che sperano, in modo che nessuno venga mai escluso dall’attesa della salvezza eterna. Proprio come sta scritto: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). Per certo egli ci mette in guardia a non cadere nell’inferno, ma usa tutto il suo amore per convincerci ad accogliere il buon Pastore. Fino a quando hai tempo di salvarti? Fino all’ultimo istante della tua vita, tu, se ti penti, Dio ti salverà. Ma tu, se adesso che stai bene non ti penti mai, sei sicuro di farlo al momento di un infarto, o di uno schianto stradale, o di una lunga malattia? Se tutte le volte che offendi il buon Dio e chiudi il cuore alle necessità dei poveri e non ti penti affatto, sei sicuro di rivolgerti al Padre delle misericordie nell’ora della tua morte? Stiamo ben attenti a non accogliere le affermazioni di coloro che dicono: c’è sempre tempo per chiedere perdono, e poi c’è troppa sproporzione tra col-
Qui sopra e nell’altra pagina: raffigurazioni antiche dell’inferno: all’epoca gli artisti sottolineavano le sofferenze corporali piuttosto che la separazione dall’Amore di Dio.
pa e castigo eterno. No, non c’è affatto sproporzione, perché qui in terra possono essere cancellati anche i peccati più gravi da un serio pentimento, ma dopo la morte peccato e castigo sono un tutt’uno per sempre. Noi sappiamo quanto sia accorato il cuore purissimo di Maria, la madre di Gesù, nei riguardi dei peccatori, soprattutto di quelli più incalliti. Infatti la supplichiamo quale Madre di misericordia e quante volte sale al suo cuore il nostro grido: o Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. L’invito alla preghiera deve stare in cima ai nostri pensieri. Gesù per questo scopo ha sofferto patimenti inauditi e ha stabilito che il suo sacrificio venisse perpetuato in tutti i tempi e in tutti i luoghi fino alla fine dei tempi. Non vi è interesse più grande al mondo per il Padre celeste che questo: la salvezza di tutti. Non bisogna darla vinta al Nemico. Dio è con noi. Preghiera Dimmi, o mio Consolatore, che cosa posso fare perché i più bisognosi di misericordia possano ricevere l’abbraccio del Padre? Certamente, tu che credi e speri puoi fare molto per i peccatori: unito alla passione di Cristo prega il Padre del cielo ed egli Li salverà. Don Timoteo Munari 17
Il senso spirituale dell a Bibbia e spiritualità
L
a volta scorsa avevamo visto i primi tre sensi spirituali con cui i Padri della Chiesa avevano letto la Bibbia. Ora analizzeremo gli altri sensi spirituali che ci aiutano a scendere a fondo nella comprensione del testo sacro.
Il senso tropologico o morale Il senso tropologico ha per oggetto la vita morale dei fedeli. La tropologia non è fare delle moralizzazioni superficiali del testo biblico, ma cogliere il senso che la Scrittura dà alla vita cristiana del credente; è ricercare i riflessi morali che l’economia salvifica, iniziata nell’Antico Testamento può avere nella vita del cristiano e trarre applicazioni tropologiche tanto dalla vita morale del popolo di Israele, quanto dalla vita di Cristo e della Chiesa. Accanto a una tropologia dottrinale, si sviluppa una tropologia mistica, caratteristica dell’esegesi medievale, che ha come massimo rappresentante Gregorio Magno. In questa esegesi c’è l’ansia di oltrepassare «la caligine delle allegorie» per arrivare alle segrete dolcezze dello spirito del Vangelo. Questo cambiamento nell’esegesi è dovuto al fatto che, mentre nel periodo patristico l’intelligenza spirituale della Scrittura consisteva nell’ingresso alla fede cristiana, prefigurato dall’Antico al Nuovo Testamento, nel Medioevo, per il diverso clima di vita cristiana nel quale la fede coesiste con il secolare, si 18
esprimeva nella conversione di vita, nel passaggio dal secolo alla vita monastica. Il «senso spirituale» della Bibbia è dunque il mistero di Cristo e della Chiesa in quanto si riproduce realmente nell’anima e nella vita del fedele: si passa dall’esperienza del peccato, della conversione, della purificazione, della passione di Cristo, alla speranza cristiana della «creatura nuova». Il senso anagogico Questo senso già introdotto nell’esegetica antica da Origene, Gregorio Nisseno e Girolamo, indica il senso della Scrittura che conduce in alto il pensiero dell’interprete. Le forme anagogiche sono due: una speculativo-dottrinale e corrisponde all’escatologia, e l’altra contemplativa e ci introduce nella mistica, ma – dice de Lubac – «entrambe fanno parte del mistero cristiano; nell’uno e nell’altro caso ne costituiscono il vertice, il termine».1 Il mistero di Cristo avrà la sua consumazione gloriosa nel suo ritorno alla fine dei tempi. Il senso biblico di un testo in riferimento a quest’ultimo stadio del mistero di Cristo è dunque il senso anagogico. Per la cristianità antica dunque il senso della Bibbia, pur assumendo dimensioni nuove, è sempre uno solo, perché esprime un’unica realtà: il mistero di Cristo che è insieme mistero di Israele, del credente, dell’eternità di ogni cristiano.
La formulazione dei sensi biblici in storia, allegoria, tropologia ed anagogia rappresenta in modo vero la dottrina autentica e più adeguata al mistero cristiano. La componente ecclesiale La voce vivente della Chiesa ci raggiunge, dopo la Pentecoste, non solo attraverso gli interventi e le decisioni del Magistero o nei riti della preghiera liturgica, ma anche attraverso le parole e gli scritti dei Padri, che sono veramente i nostri antenati nella fede. Un altro loro insegnamento, di grande attualità, è la dimensione ecclesiale della loro esegesi e teologia. Il lavoro di ricerca e di approfondimento delle realtà divine e umane della Scrittura è da loro compiuto sempre nella Chiesa ed a servizio immediato del popolo di Dio. I rapporti storia-teologia sono da loro concepiti sempre all’interno della Chiesa. Essi hanno costantemente scritto, sentito, pensato, parlato dentro la Chiesa e non fuori o contro di essa. Sant’Agostino scrive che «furono maestri nella Chiesa, quelli stessi che furono discepoli in essa »,2 ed il grande Origene, pur sbagliando, mai nel suo cuore ha avuto l’intenzione di andare contro la Chiesa o di sottrarsi al suo giudizio ed affermava: «Io sono uomo della Chiesa vivente nella fede di Cristo e posto nella Chiesa».3 Essi ascoltano, meditano e annunciano la Parola di Dio nella
risuona la Parola di Dio e lo Spirito agisce sia in chi annuncia sia /2 in chi ascolta, dove i misteri della fede proclamati dai Pastori sono poi vissuti insieme da tutti nel culto e nella vita. Il modo della lettura biblica «in Ecclesia» diventa così parte della Tradizione viva. Per i Padri, le divine Scritture, sia l’Ancomunità, radunata per il culto, tico Testamento come rilettura in un clima di vera fede, di aucristiana, sia il Nuovo Testatentica lode e disponibilità allo mento, composte per essere proSpirito. clamate come «kerigma» semGregorio Magno ad esempio, pre vivente ed efficace durante uomo investito del carisma di gola liturgia comunitaria eucaristiverno e di magistero per i fratelca, erano un elemento fondali, non esitava a confessare di se mentale nella Convocazione sanstesso con grande semplicità: ta del Signore, nell’assise pe«Esperimento che molti passi renne del nuovo popolo d’Israedella Sacra Scrittura, che da sole, nella comunità escatologica lo non ho potuto pienamente e messianica intorno all’Agnelcomprendere, li ho compresi lo (cf Es 12,1-13.16; 1 Cor 5,7-8; quando mi sono trovato in mezEb 12,23). zo ai miei fratelli».4 È la Chiesa come comunitàÈ tutta la comunità ecclesiacomunione, destinataria e depole che assume il suo compito prositaria della Parola di Dio, la vefetico nella comune intelligenza ra interprete autentica del Libro e crescita della Parola di Dio e Sacro, l’organo qualificato della diviene così norma della validirilettura salvifica della Scrittura tà della Parola. E la comunità nella situazione storico-vitale. per i Padri è un corpo vivo ed «Solo la Chiesa è la misura organico, è tutto il popolo di Dio, della Bibbia, solo essa ha il cuoè la Chiesa, luogo ideale dove
l a Scrittura
La Parola di Dio è luce ai nostri passi. (Cfr. Sal 118,105).
re così grande da poter comprendere questa parola che sorpassa le capacità naturali e soprannaturali di ciascuno dei suoi figli».5 Sarà tuttavia sotto l’azione dello Spirito Santo che la Chiesa, attraverso le diverse tappe successive del suo cammino, comprenderà sempre meglio questo messaggio e ne presenterà l’approfondimento ai fedeli, con sempre maggiore chiarezza e profondità, consapevole però che lo stesso Magistero «non è superiore alla Parola di Dio ma ad essa serve, insegnando soltanto ciò che è trasmesso» (DV 10). Conclusione L’unità tra Bibbia e spiritualità per gli antichi Padri era un tema così vivo e sentito, che per loro solo il «senso spirituale» poteva dare l’autentico e più profondo senso delle Scritture e far aderire il credente alla totalità del mistero di Dio rivelato in Cristo attraverso la totalità della testimonianza della Chiesa. Anche il Vaticano II su questo punto è stato illuminante, esortando i fedeli a penetrare i misteri della salvezza con gli occhi di tutta la Chiesa estesa nel tempo e nello spazio, per non perdere la totalità dell’esperienza e dell’intelligenza cristiana circa il dato rivelato e le diverse risonanze che la Parola ha ricevuto in tutti gli uomini. Giorgio Zevini H. DE LUBAC, Exégèse médiévale. Les quatre sens de l’Écriture, I, Paris 1959, pag. 624. 2 AGOSTINO, Opus imperfectum con tra Julianum 1, 117: CSEL 85, 1, 134, 8. 3 ORIGENE, In Lev. 1,1: PG 12, 405. 4 GREGORIO MAGNO, Hom. in Ez. 2, 2: PL 76, 948D-949A. 5 G. CHIFFLOT, Comment lire la Bible, in VieSpir 81 (1949) 258. 1
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Prokof’ev Musica e Fede L’arte serve sempre la bellezza, e la bellezza è la felicità di possedere una forma, e la forma è la chiave organica dell’esistenza; quindi l’arte, anche quella tragica, racconta la felicità dell’esistenza. B. L. Pasternak (scrittore sovietico, 1890-1960, da Il dottor Zivago)
C
hi porta il lieto annuncio della pace non può non essere a sua volta illuminato dalla bellezza di un tale annuncio (vedi Isaia, 52,7); così, chi porta la luce, non può non risplendere come un astro, tenendo alta la parola della vita (vedi Filippesi 2,15). Questo non accadde al musicista Prokof’ev, che, insieme a Stravinskij, è il maggiore compositore russo del secolo scorso, impostosi per il vigore della fantasia e per l’enorme sorgente di melodia che il suo genio incessantemente liberava.
La precoce personalità di un genio Sergej Sergeevič Prokof’ev nacque a Sonzovka nel 1891. Il padre, agronomo, aveva una vasta proprietà in Ucraina e la madre era un’ottima pianista. Le innate doti musicali di Sergej poterono quindi svilupparsi in ambiente favorevole: a sei anni era già capace di formare pensieri musicali e due anni dopo scriveva un’opera (Il gigante, di cui restano solo abbozzi per pianoforte). Significativa del suo carattere e della sua intelligenza fu la sua passione per gli scacchi: più della musica, questo gioco 20
portatore della luce che non vide coinvolgente e complesso fu da lui coltivato al punto da potersi confrontare con diversi campioni del suo tempo. Giunto al conservatorio di Pietroburgo, ebbe tra gli altri maestri Rimskij-Korsakov, che ne intuì subito la straordinaria vena musicale. Il giovane aveva però un temperamento ribelle ad ogni forma di accademismo, e il suo istintivo bisogno di opporsi al mondo della tradizione trovò conferma nel successo che ebbero le sue prime cinque opere (tra cui quella citata) scritte tra il 1900 e il 1911. Non sono ovviamente conosciute – il nome di Prokof’ev è legato a tre-quattro opere che gli hanno dato fama I balletti di Prokof’ev resteranno nel repertorio mondiale come altissima espressione dell’arte musicale russa.
mondiale e alle sue composizioni concertistiche – ma, da quanto rimane degli spartiti, si nota come seppe impadronirsi dei mezzi tecnici per esprimere la propria aggressiva creatività. Dalle successive “sonate per pianoforte” emerge un gusto raffinato, manifestato con lucide e sorprendenti soluzioni tonali. Nel 1910 muore il padre e viene meno il suo sostegno economico; ma il giovane compositore è già noto ed apprezzato per potersi mantenere con la propria arte. I suoi primi concerti per pianoforte (1912-13) lo affermano come pianista-compositore. Ascesa e tramonto Nel 1914 lascia il conservatorio con un prestigioso premio come miglior studente; compie il suo primo viaggio all’estero, a Londra, dove conosce Debussy, Ravel, Strauss, e Stravinskij. Pensa ad un’opera basata sul noto racconto Il giocatore di Dostoevskij; scrive il libretto e riassume magistralmente la vicenda (1915-1917), ma la rappresentazione, pur contestata dal teatro Marinskij di Pietroburgo per le innovazioni orchestrali, non può aver luogo per lo scoppio della Rivoluzione di febbraio, salutata con gioia dall’appassionato musicista. D’altronde, per un’infelice nazione
che aveva profuso nella prima guerra mondiale sei milioni di morti, che cento anni prima l’80% della popolazione era di “proprietà” del regime zarista (si pensi alle Anime morte di Gogol) e ora non era gran che migliorata, come non auspicare un avvenire migliore? Prokof’ev si sarebbe reso conto, poi, di ciò che sarebbe stato il regime comunista. Il giocatore vedrà la luce a Bruxelles nel 1929, ma con successo limitato, nonostante la plasticità e l’efficacia del discorso musicale. Nel 1918 lascia la Russia e comincia a viaggiare in Europa e in America. A Chicago, nel 1921, va in scena L’amore delle tre melarance, opera in tre atti su libretto proprio dall’omonima fiaba di Carlo Gozzi (1761). Inesauribile di invenzioni melodiche (la musica sottolinea il carattere di divertimento e di parodia dell’opera tradizionale), il lavoro ebbe successo parziale, quando, già nel 1920, Prokof’ev era tornato in Europa, a Parigi. Seguì L’angelo di fuoco, composta nel 1922-27, tratta dal romanzo del coltissimo letterato Valerij Brjusov (1873-1924), che non venne mai eseguita vivente l’Autore, pur con l’interesse del grande direttore d’orchestra Bruno Walter (1876-1962). Rappresentata a Venezia nel 1955, l’opera ebbe successo trionfale che smentì ogni dubbio sul soggetto inconsueto e sulla musica. Scrisse due balletti, rappresentati a Parigi al Teatro San Bernhardt: Le Pas d’acier, (1927), apoteosi del lavoro in un’officina, con chiare allusioni al riscatto dei lavoratori grazie al nuovo regime sovietico, e L’enfant prodigue (Il figliol prodigo, 1928), tratto dal noto episodio evangelico; questo balletto è rimasto ininterrottamente nel repertorio dei teatri di tutto il mondo. Ritornato definitivamente in Russia nel 1933 con la famiglia,
Prokof’ev verrà emarginato dal sistema comunista come intellettuale scomodo, sempre alla ricerca di quella libertà interiore che l’ideologia atea non poteva offrire.
scoprì che la politica dell’URSS verso la musica era regolamentata da precise regole, che stabilivano quali fossero i generi di musica accettabili. Tale disposizione porterà all’isolamento della comunità artistica sovietica dal resto del mondo. Il Maestro si dedicò allora alla composizione di musica per bambini (lo stupendo Pierino e il lupo, 1936). Subì però rozze stroncature e dovette piegarsi a umilianti autocritiche, nonostante la bellezza di opere come Guerra e pace (1941), altri balletti e le colonne sonore per i film di Sergej Eizenstejn (1898-1948, il famoso regista russo autore di grandi film come La corazzata Potëmkin e Ivan il Terribile). Nel 1941 ebbe un primo attacco cardiaco. Scrisse ancora La storia di un vero uomo (1947) ha per protagonista un aviatore sovietico della seconda guerra mondiale gravemente ferito nell’abbattimento del suo aereo: Prokof’ev sperava, impiegando tutto il suo genio, di giungere ad un buon successo: infatti l’opera è di trainante forza evocativa. Proprio alla prima al teatro Ki-
rov di Leningrado scoppiano i fulmini della condanna da parte del Comitato centrale del PCUS: l’opera di Prokof’ev mostra gravi errori dal punto di vista ideologico e artistico... lo spettatore sovietico si sente offeso nel vedere il pilota, eroe della guerra, così descritto... Da quel momento tutta la produzione del Maestro viene giudicata inadatta alla cultura sovietica (10 febbraio 1948) perché peccava di intellettualismo e di perversioni formalistiche... I suoi ultimi progetti di composizioni vengono quindi cancellati e questo, con la declinante salute, causa il graduale ritiro di Prokof’ev dalle scene. La sua ultima opera è la Settima sinfonia (1952), uno spartito che sarebbe riuscito ancor meglio se non fosse stata imposta all’Autore una determinata impostazione. Prokof’ev morì a Mosca il 5 marzo 1953 per un’emorragia cerebrale. Lo stesso giorno, pochi minuti dopo, morì Stalin. La notizia della morte del Maestro passò inosservata, perché le autorità sovietiche, per focalizzare meglio l’attenzione sulla morte di Stalin, imposero alla stampa di darne notizia solo una settimana dopo. Al suo funerale, celebrato il giorno seguente a quello del dittatore, partecipò solamente una quarantina di persone. La moglie Lina, notevole soprano verdiano, morì nel 1989. Musicista eclettico, sommo compositore del Novecento, Prokof’ev non conobbe la fede. La sua vita di maestro eccelso rivela un’indigenza di fondo: l’ignoranza delle parole di vita eterna. Sono esse che portano luce all’orizzonte quando ci si interroga sul mistero personale e collettivo dell’esistere. Esse sole giustificano in pienezza l’intera vicenda, gloriosa e misera, della storia umana. Franco Careglio 21
INSERTO
L’ADMA nel mondo
Maria la maestra Buona notte di
Madre YVONNE REUNGOAT Superiora delle FMA all’incontro delle Giornate della Famiglia Salesiana /2 Modello di ogni vocazione salesiana. In Maria troviamo una presenza viva e l’aiuto per orientare decisamente la nostra vita a Cristo. Se l’approfondimento vitale dell’identità carismatica di ogni gruppo della Famiglia salesiana è fondamentale perché la Famiglia possa creare cultura e movimento, ciascuno di essi ritroverà in Maria un elemento di bellezza e di grazia, di comunione e di unità che faciliteranno la crescita della Famiglia stessa e la convergenza verso scelte condivise. La testimonianza delle diverse vocazioni all’interno della Famiglia salesiana rende un servizio alla vita e alla gioia delle giovani generazioni, aiuta nella scoperta del senso della propria esistenza come vocazione e come servizio. La società globale presenta lo scenario di tante vite smarrite, inutili, buttate via. Per Don Bosco, per Madre Mazzarello non c’erano persone inutili, non ragazzi perduti. Tutti avevano qualcosa da offrire. Per tutti c’era la gioia del vino nuovo di cui parla il vangelo delle nozze di Cana. Anche il gesto più ordinario diventava segno ed espressione dell’amore con cui Dio ama ogni sua creatura e si china su di lei. Nella prospettiva dei nostri Fondatori le vite sprecate – le anfore vuote poste in disparte – devono essere richiamate alla loro funzione di essere portatrici di acqua, ad una vocazione di servizio. Sapere e sentire di essere utili a qualcosa, sentirsi personalmente raggiunti da questa parola: Dio ti ama è il messaggio più grande che la nostra vita può trasmettere. La cultura della Famiglia salesiana è promozione e difesa della vita, a partire da quella dei più piccoli e deboli. Ma occorre che noi per primi viviamo per qualcosa e per 22
Qualcuno. La spiritualità salesiana è la linfa che alimenta la nostra esistenza personale e le nostre diverse vocazioni all’interno della Famiglia. È la condizione perché essa sia quel Movimento di cui parla il Rettor Maggiore. L’impegno di ritornare alle sorgenti carismatiche, mentre potenzia l’identità specifica di ciascun gruppo, rinvigorisce l’intera Famiglia. Presenza che accompagna. Maria Ausiliatrice è stata l’ispiratrice della Famiglia salesiana, colei che ne ha accompagnato lo sviluppo e la missione e continua ancora oggi ad esserne la Madre e la maestra. Don Bosco, Maria Domenica, tanti fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana hanno alimentato la loro fedeltà e il coraggio di educare con la fiducia nella presenza e nell’aiuto di Maria. Le incomprensioni, gli ostacoli, le fatiche del cammino, le difficoltà nella missione non sono per Don Bosco un impedimento a proseguire. Maria è per lui guida, sostegno, specchio in cui vede riflessa la sua speciale missione tra i giovani. È lei che ha fatto tutto. In lei trova la forza di andare avanti, in abbandono fiducioso alla volontà di Dio. Anche Maria Domenica sottolinea la presenza costante di Maria, il modello a cui guardare, la fisionomia da riprodurre per essere vere immagini di Maria (cf Cronistoria III 216). Creder-
ADMA
la presente nella nostra vita, aiuta a costruirci coL’ nel mondo me famiglia che si rinnova intorno all’Eucaristia ed esprime la comunione in gesti di perdono e di MURSKA SABOTA (Slovenia). Il nostro grupamore donato e ricevuto. L’amore a Maria, l’impo ADMA attualmente conta 96 soci. Quest’anno pegno di somigliarle, rende meno timorosi, più si stanno preparando nuovi aspiranti che faranno la audaci nel proporre alle giovani e ai giovani la vipromessa il 24 maggio 2009 nella cattedrale di San ta nuova donata in Gesù, nel risvegliare l’attenzione Nicolò a Murska Sobota. Come preparazione avreal progetto che Dio ha su di loro. mo gli esercizi spirituali nel prossimo mese di marCome gruppo della Famiglia Salesiana siazo presso i Salesiani di Veržej. Dopo Pasqua faremo chiamate a prolungare la missione matermo il pellegrinaggio a Roma. Abbiamo festeggiana di Maria, ad essere ausiliatrici tra le giovato la festa della vita in prossimità del compleanno ni generazioni in un tempo di forte emergenza di Gesù e abbiamo ringraziato per il dono della vieducativa, come ha dichiarato più volte Benedetta di ciascuno di noi. Radunati nel Collegio Mato XVI. Potremo farlo se, insieme, oseremo prorianum dei Salesiani abbiamo celebrato la Santa porre ai giovani l’ideale della comunione che aiuMessa e approfondito il tema di pastorale giovanita a superare i pregiudizi, la diffidenza e l’estrale sull’esempio di Don Bosco (nell’anno che la neità, libera e potenzia le risorse rendendole diChiesa slovena dedica ai giovani). Ci siamo poi sponibili per un servizio alla vita e alla gioia: se scambiati gli auguri e notizie di famiglia, contielaboreremo progetti che offrano sostegno alle nuando il nostro stare insieme nell’allegria della persone e alle famiglie nelle diverse tappe del lomensa e del canto (Sr. Bernarda Geri FMA - Dero cammino, a partire da una sana educazione dellegata dell’ADMA). l’affettività negli anni della fanciullezza e adolescenza fino all’attenzione verso le coppie e le faLA MERCED (Perù). Gruppo ADMA con Sr. miglie. L’impegno per una cultura della vita diventa Carmela Sánchez, Animatrice nazionale e Sr. Néanche sollecitudine a sviluppare la dimensione lida Samaniego, animatrice locale. Un gruppo molvocazionale intrinseca al processo educativo e supto impegnato e in grande comunione con l’ADMA pone guide competenti e autorevoli. L’amore alla Primaria. vita è una caratteristica tipica della pedagogia salesiana e costituisce il clima dove possono matuFilippine-Nord. Consiglio Ispettoriale delrare esistenze aperte e disponibili, capaci di guarl’ADMA con gli Animatori Spirituali: Sr. Ma. Asedare con sereno ottimismo al futuro. la Chavez, FMA, e Don Nestor Impelido, SDB. Le Maria guida tutta la Famiglia salesiana ad esFilippine-Nord conoscono una grande e crescente sere quel vasto movimento di persone di cui pardiffusione dell’Associazione con 32 gruppi locali la il Rettor Maggiore. Una Famiglia articolata in e con 1368 aderenti (di cui 784 Seniors; 325 Juniors; gruppi diversi che esprimono le differenti vocazioni 259 Aspiranti). nella Chiesa, converge su alcune scelte ispirate Don Pier Luigi Cameroni dalla comune spiritualità ed elabora proposte culturali alternative a quelle dominanti, in rete con gli altri movimenti di ispirazione cristiana. Essa vive ed esprime il EUGENIO ZOLLI sistema preventivo, che è il sistema dell’amore, del rispetto, della difesa dei diritti umani di tutti, priEdizioni San Paolo, pp. 624 - € 42,00 vilegiando i piccoli e indifesi. Il movimento è fatto di dinamismo, L’autore trasporta il lettore nella Padi intreccio di rapporti. Maria ci lestina del I secolo, gli lascia ascolaiuta ad alimentare la fiducia retare le parole di Gesù e cerca di ciproca all’interno di ciascun grupspiegarne il pensiero all’interno delpo e tra i vari gruppi della Famila tradizione ebraica e della lingua glia salesiana. Ci accompagna nelaramaica. Un classico che rimane l’impegno di tessere relazioni di reciprocità e di convergere nella misancora oggi un punto di riferimensione di donare ai giovani motivi to per comprendere il Vangelo endi speranza e di gioia. trando nel grande respiro della tra-
IL NAZARENO
Sr. Yvonne Reungoat
dizione in cui è cresciuto Gesù. 23
13 OTTOBRE 1917 - ULTIMA APPARIZIONE DELLA BEATA VERGINE A FATIMA
Calendario mariano
La Mado nna del
«Io sono la Madonna del santo Rosario. Continuate nella recita del Rosario per la salvezza delle anime e la pace del mondo». La promessa
S
uor Lucia, nelle memorie che scrive per ordine del Vescovo, ricorda che la Madonna il 13 luglio le dice: «Voglio che veniate qui il 13 del mese che viene. Che continuiate a recitare tutti i giorni il rosario in onore della Madonna del rosario, per ottenere la pace al mondo e la fine della guerra, perché solo Lei li potrà aiutare». Lucia, con la solita sua confidenza, chiede «Vorrei chiedervi di dirci chi siete; e di fare un miracolo perché tutti credano che Voi ci apparite». La Madonna, con materna bontà, promette «Continuate a venire qui tutti i mesi. In ottobre dirò chi sono, quello che voglio e farò un miracolo che tutti vedranno e potranno credere». Il 13 di agosto i veggenti mancano all’appuntamento perché impediti dall’autorità civile, ma il giorno 15, rientrati dalla “prigionia” come la chiama Lucia, si trovano con il loro gregge nella località Valinhos, vicino al paese e la Madonna rinnova la sua promessa: «Continuate ad andare a Cova da Iria il giorno tredici; continuate a recitare il rosario tutti i giorni. L’ultimo mese farò un miracolo, perché tutti credano». Nell’apparizione di settembre la Madonna annuncia ancora il miracolo per il mese di ottobre,
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anzi assicura che vi sarà anche San Giuseppe con il Bambino Gesù, ma maternamente proibisce ai tre fanciulli certe loro penitenze. «Dio è contento dei vostri sacrifici, ma non vuole che dormiate con la corda. Portatela solo durante il giorno».
torrenziale non impedisce alla gente di accorrere numerosa. Nemmeno il fango dei sentieri impedisce ai fedeli di inginocchiarsi in umile atteggiamento. “Arrivati a Cova da Iria, racconta Lucia, vicino all’elce, spinta da un movimento interiore, chiesi al popolo che chiudessero gli om-
L’apparizione di ottobre La giornata del 13 ottobre si presenta piovosa, ma la pioggia
L’incontro di suor Lucia con Giovanni Paolo II in occasione della visita del Papa a Fatima (nella foto in alto: il santuario) nel 1982.
e il Bambino parevano benedire il mondo, con dei gesti che facevano con la mano in forma di croce”. “Poco dopo, svanita questa apparizione, vidi nostro Signore e la Madonna, che mi dava l’impressione d’essere la Madonna dei dolori. Nostro Signore pareva benedire il mondo, come aveva fatto San Giuseppe. Svanì questa apparizione e mi parve di vedere ancora la Madonna nelle vesti della Madonna del Carmine”.1
MA
l Rosario brelli per recitare il rosario. Poco dopo vedemmo il riflesso della luce e subito dopo la Madonna sull’elce”. Lucia chiede con confidenza: “che cosa volete da me?” e la Madonna risponde: «Voglio dirti che facciano qui una cappella in mio onore; che io sono la Madonna del rosario; che continuiate a recitare il rosario tutti i giorni. La guerra terminerà e i militari torneranno tra breve alle loro case». “Io avevo molte cose da chiedervi: se guarivate alcuni malati e la conversione di alcuni peccatori, ecc”. «Alcuni sì, altri no; è necessario che si correggano; che domandino perdono dei loro peccati»; – e assumendo un I tre pastorelli di Fatima in una foto dell’epoca delle apparizioni. Sopra: particolare della statua della Madonna di Fatima.
Il sole comincia a muoversi sobbalzando
aspetto più triste – «che non offendano più Dio nostro Signore, che è già molto offeso». “E, aprendo le mani le fece riflettere nel sole; e mentre si elevava, il riflesso della sua stessa luce continuava a proiettarsi contro il sole. Ecco, eccellenza reverendissima, il motivo per cui gridai che guardassero verso il sole. Il mio scopo non era quello di richiamare l’attenzione del popolo da quella parte, perché io non mi rendevo nemmeno conto della sua presenza. Lo feci solo perché trasportata da un movimento interiore che a ciò mi spinse”. “Scomparsa la Madonna nell’immensa distanza del firmamento, vedemmo, vicino al sole, San Giuseppe col Bambino e la Madonna vestita di bianco con un manto azzurro. San Giuseppe
Mentre Lucia, Francesco e Giacinta contemplano estatici i personaggi celesti, ha inizio il miracolo annunciato e tanto atteso; stupendo come nessuno avrebbe osato sperare. Lucia lo annuncia con il grido: “Guardate il sole!”. Interessante la testimonianza del padre di Giacinta: “Noi guardavamo senza difficoltà il sole e non accecava. Pareva che si spegnesse e si accendesse un po’ in un modo, un po’ in un altro. Gettava raggi di luce da un lato e dall’altro e colorava ogni cosa di differenti colori, gli alberi e il popolo, la terra e l’aria. Ma la cosa più stupefacente è che il sole non faceva male alla vista. Tutto era quieto e tranquillo. Tutti tenevano gli occhi rivolti verso il cielo, quando ad un certo punto il sole si fermò e poi cominciò a danzare e a saltare: si fermò un’altra volta e un’altra volta cominciò a danzare, fino al punto che sembrò staccarsi dal cielo e venire sopra di noi. Fu un momento terribile!...”.2 Don Mario Morra Lucia racconta Fatima. Memorie lettere e documenti (Brescia, Queriniana 1987). 2 GIOVANNI DE MARCHI, Era una Signora più splendente del sole (Torino, Missioni della Consolata, 1971). 1
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Storia illustrata dei Papi
Centro di Documentazione
I Papi del terzo se c
Sant’Antero (235-236)
San Cornelio (251-253)
Eletto Papa durante l’esilio di Ponziano, il suo pontificato dura appena quaranta giorni. Le sue spoglie riposano nel cimitero di San Callisto e la Chiesa ne celebra il ricordo il 3 gennaio. San Fabiano (236-250) Secondo la testimonianza di Eusebio di Cesarea, la sua elezione avviene in modo miracoloso. Venuto a Roma per la riunione dei sacerdoti che devono eleggere il successore del Papa defunto, una colomba è vista posarsi sul suo capo. Il popolo ve-
de in questo fatto un segno della volontà di Dio, e lo acclama degno del pontificato. È una delle prime vittime della feroce persecuzione di Decio che in Sicilia causerà anche il martirio di Sant’Agata. È sepolto nel cimitero di San Callisto ed è ricordato il 20 gennaio insieme a San Sebastiano. Sant’Antero ordinò di ricercare gli atti dei martiri perché non andassero perduti o travisati. San Fabiano fu martirizzato sotto l’imperatore Decio.
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Dopo la morte del Papa San Fabiano, nella persecuzione di Decio, la sede di Roma rimane vacante per un anno circa, ed in fine è eletto Cornelio. Il suo breve pontificato dura appena un paio d’anni ed è turbato dallo scisma di Novaziano il quale sostiene che nella Chiesa non vi può essere posto per i peccatori, anche se sono disposti a fare penitenza. Questa idea trova consensi soprattutto in Oriente. San Cipriano, vescovo di Cartagine, in alcune lettere ci presenta Cornelio come un papa buono e generoso. Scoppiata la persecuzione dell’imperatore Gallo, Cornelio è il primo ad essere arrestato e si presenta in tribunale con coraggio e fermezza, seguito da un gran numero di fedeli. Condannato all’esilio a Centocelle (oggi Civitavecchia), dopo breve tempo muore. La Chiesa lo venera il 16 settembre con San Cipriano. San Lucio I (253-254) Eletto nella primavera del 253, subito dopo il martirio di San Cornelio, il suo pontificato dura solo otto mesi. Di lui si ricordano gli interventi nella questione dei lapsi, di quei cristiani cioè
e colo
I Vescovi dell’Africa settentrionale, con a capo San Cipriano, non riconoscono valido il Battesimo degli eretici. La questione viene portata a Roma e Santo Stefano, «fedele alla tradizione» lo riconosce. Santo Stefano e San Cipriano muoiono entrambi martiri nella
San Cornelio è venerato sia dai cattolici sia dai copti. San Dionisio fu particolarmente attento ai bisognosi, sia cristiani che pagani.
che nella persecuzione hanno rinnegato la fede e poi si sono pentiti. Egli segue la condotta moderata del suo predecessore, accogliendo nuovamente nella chiesa questi cristiani. Arrestato e condannato all’esilio subito dopo l’elezione, Lucio può fare ritorno a Roma alla morte dell’imperatore Gallo. La Chiesa lo ricorda il 5 marzo.
persecuzione dell’imperatore Valeriano, a poca distanza di tempo l’uno dall’altro. San Sisto II (257-258) Dopo meno di un anno di pontificato Sisto II affronta il martirio, sotto l’imperatore Valeriano, mentre insegna la divina parola,
assistito dai Diaconi, nel cimitero di San Callisto, ed è sepolto nello stesso luogo del massacro, nella cripta detta dei Papi. San Dionigi o Dionisio (259-268) Dopo la morte di Sisto II, la Chiesa di Roma è retta da un Consiglio di Presbiteri dall’agosto del 258 fino al 21 luglio del 259, quando è eletto Papa Dionigi, dopo un anno di sede vacante. Egli svolge un’intensa attività sia sul piano pastorale che su quello dottrinale. Viene in aiuto a tutti i bisognosi, non solo cristiani, che durante la terribile persecuzione di Valeriano hanno perduto le loro sostanze, ma anche i pagani, vittime della guerra e della carestia. Così pure soccorre la città di Cesarea in Cappadocia, devastata dalla invasione dei Goti, e si adopera per la liberazione degli abitanti fatti prigionieri. In campo dottrinale deve combattere contro diverse eresie riguardanti la divinità di Gesù. La sua memoria si celebra il 26 dicembre.1 Don Mario Morra BATTISTA MONDIN, Nuovo Dizionario Enciclopedico dei Papi, storia e insegnamenti (Roma, Città Nuova 1995). Nuova Edizione, aprile 2006.
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Santo Stefano I (254-257) Il breve pontificato di Santo Stefano è ricordato per due importanti prese di posizione in questioni fondamentali per la Chiesa: quella dei lapsi, già sorta negli anni precedenti, e quella sulla validità del Battesimo degli eretici. Due vescovi, deposti dal Sinodo in Spagna perché lapsi, si appellano a Roma ed il Papa li riammette. Questo dimostra l’autorità del Vescovo di Roma anche nelle altre Chiese. 27
notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu
Ortodossi diventano cattolici Pesceana, in Romania, è stata posta la A prima pietra per la prima chiesa dedicata a Padre Pio. A volerne la costruzione è Padre Victor Tudor, fino ad alcuni anni fa sacerdote ortodosso, passato alla Chiesa cattolica con tutti i suoi parrocchiani dopo essere stato testimone di un miracolo realizzato da Dio per intercessione del santo cappuccino. Questi i fatti: nel 2002 a sua madre Lucrecia fu diagnosticato un tumore al polmone sinistro. Per i medici le restavano pochi mesi di vita. Padre Victor chiese a suo fratello Mariano, giovane pittore che vive a Roma, di contattare specialisti italiani. Questi portò sua madre a Roma e anche qui i medici diagnosticarono l’inutilità dell’operazione. Mariano stava lavorando a un mosaico in una chiesa, e portava la madre con sé. Impressionata da una statua di Padre Pio e fattasi spiegare chi era, Lucrecia cominciò a pregarlo. Dopo circa 15 giorni, i medici constatarono con stupore che il tumore era scomparso. «La guarigione prodigiosa di mia madre, compiuta da Padre Pio a favore di una donna ortodossa, mi colpì molto» ha raccontato Padre Victor. «Tutti conoscevano mia madre e tutti sapevano che era andata in Italia per tentare un intervento chirurgico ma che era poi tornata a casa guarita senza che nessun medico l’avesse operata. Fu così che, nella mia parrocchia, si cominciò a conoscere e ad amare Padre Pio», ha continuato. «Tra la gente si diffuse grande entusiasmo e decidemmo di diventare cattolici per essere più vicini al Padre». Il passaggio dalla Chiesa ortodossa a quella cattolica ha richiesto un lungo iter giuridico e difficoltà di ogni tipo, ma Padre Victor e i suoi parrocchiani non si sono fermati davanti alle difficoltà. Hanno iniziato a raccogliere i fondi necessari per la costruzione di una chiesa da dedicare al Santo, le cui fondamenta sono state iniziate a maggio. In occasione della posa della prima pietra la cerimonia è stata 28
celebrata da Sua Beatitudine Lucian Muresan, Arcivescovo Metropolita di Fagaras e Alba Julia dei Romeni, massima autorità della Chiesa greca-cattolica in Romania. Da Il Timone, 2008
Dialogo tra culture e religioni avorire nella società europea il rispetto e la Fmutua conoscenza reciproca, la tolleranza e la comprensione è stato l’obiettivo dell’incontro tenuto l’8 aprile presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo (Francia) sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. All’incontro hanno partecipato un centinaio di persone, tra cui esponenti di religioni tradizionalmente presenti in Europa, della società civile, di organizzazioni non governative, esperti e osservatori del Consiglio d’Europa. Misna
Quasi mezza Italia si tinge i capelli • Persone che regolarmente tingono i capelli: 24.000.000 • Persone che regolarmente tingono i capelli in un salone: 9.600.000 • Parrucchieri che regolarmente impiegano prodotti per tinture: 90.000 • Numero di addetti: 165.000 • Consumo annuo medio di prodotti in un salone: dagli 8 ai 15 mila euro • Mercato complessivo delle tinture: oltre 1 miliardo di euro Da Espansione, 2008
Movimenti, il nuovo avanza e in Francia il cattolicesimo tradizionale, quello delle parrocchie, conosce da Stempo una fase di stanca, non mancano tuttavia incoraggianti segni di rinnovamento ecclesiale. È il caso di Chemin Neuf, il movimento fondato nel 1973 dal gesuita Laurent Fabre, che riunisce 1500 tra uomini e donne consacrati, celibi, nubili e famiglie. Chemin Neuf ha come vocazione lavorare per l’unità dei cristiani. Domenica 31 maggio, in occasione della solennità di Pentecoste, nella basilica del Sacro Cuore di Parigi 40 fratelli e sorelle della comunità, protestanti e cattolici, fanno la professione perpetua nelle mani del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.
Il decalogo dell’anti-sprecone I
Spegnere le luci prima di uscire di casa II Chiudere l’acqua quando non serve III Preferire la doccia al bagno IV Usare lavatrice e lavastoviglie a pieno carico V Acquistare elettrodomestici classe A o superiore VI Usare lampadine a risparmio energetico VII Spegnere gli elettrodomestici piuttosto che lasciarli in stand-by VIII Scegliere i prodotti di consumo in base al loro impatto ambientale IX Utilizzare i rompigetto per risparmiare acqua X Preferire il trasporto pubblico all’auto privata v.s.
Da Famiglia Cristiana n. 22, 2009
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Salesiani Don Bosco (SDB) di Torino-Valdocco
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alla Rivista di Maria Ausiliatrice anche dalle pagine di questo sito.
Si ricorda che l’invio della Rivista verrà effettuato con il riscontro del pagamento, ad eccezione delle richieste di copie saggio.
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Liturgia della Domenica Rivista «Maria Ausiliatrice»
• Letture della domenica • Meditazione sulla Parola di Dio • Omelie di approfondimento spirituale • Formazione cristiana • Formazione mariana
Archivio virtuale dal 2000 ........................................................................................................................................
•........................................................................................................................................ FOTO di gruppo • ADMA-ON-LINE e ADMA News È stata completata la revisione del sito nelle 7 lingue: sono circa 100 pagine per ogni lingua, con 210 immagini di commento. Il capitolo delle Camerette di Don Bosco è stato rifatto completamente nel testo e nelle immagini. È finita anche la Rubrica delle immagini del Restauro della Basilica di Maria Ausiliatrice: sono state presentate 450 immagini (per 260 MB). Continua (3º anno) la rubrica Liturgia della Domenica con Letture, Meditazione e Omelie di commento. Ha avuto un’accoglienza molto buona. Continua ADMA on Line in italiano, da marzo anche in spagnolo e francese. L’Archivio Virtuale di “Maria Ausiliatrice” (dal 2000) mette a disposizione più di 2100 articoli. È come una “seconda vita” della Rivista (come diceva Don Gianni Sangalli) messo a disposizione dei singoli e per la catechesi nei gruppi ecclesiali. MARIO SCUDU 30
La pagina del Rettore
Carissimi amici, opo la pausa estiva riprendiamo con serenità il nostro cammino e il nostro dialogo nelle pagine della rivista a cui siete affezionati. Il mese di settembre è ricco di feste mariane, non c’è che l’imbarazzo della scelta: la Natività di Maria (8), il nome di Maria (12), la B.V. M. Addolorata (15), la B.V. della Mercede (24); sono tante occasioni per guardare a lei, orientare la nostra vita sul modello suo e invocarla nelle varie situazioni che incontriamo sul nostro cammino. Ottobre sarà invece il mese del Rosario, preghiera antica, ma sempre attuale, da riscoprire e da valorizzare. Il Rosario, imparato fra le braccia di mamma Margherita, ha alimentato tutto il cammino di Don Bosco, ha caratterizzato la sua devozione mariana e lo ha reso capace di seguire con coraggio Gesù. Il Rosario, infatti, anche se presenta una fisionomia mariana, è preghiera che orienta tutta l’attenzione su Gesù e concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, in una semplice, ma ricca sintesi. Alla scuola di Maria s’impara a contemplare la bellezza del volto di Gesù e della sua persona e si comprende la profondità del
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Le “Ave” che ritmano la vita suo amore. Sullo sfondo delle parole dell’Ave Maria passano davanti agli occhi dell’anima i principali episodi della vita di Gesù Cristo. Essi ci mettono in comunione viva con Lui attraverso il Cuore di sua Madre. Nello stesso tempo il nostro cuore può racchiudere in queste decine del Rosario le tante realtà che compongono la vita di ognuno di noi, della nostra famiglia, della nostra comunità, della società, della Chiesa e dell’umanità intera. Vicende personali e vicende del prossimo, delle persone a noi più vicine e di quelle lontane, di tutti coloro che ci stanno più a cuore. La semplice preghiera del Rosario batte il ritmo della vita umana. Se guardiamo alle generazioni che ci hanno preceduto, vediamo che spesso nelle loro mani troviamo la corona del Rosario, recitato in famiglia la sera; una preghiera semplice, ma capace di dare forza per affrontare con fede e speranza la vita e le sue prove. Il Rosario non è una preghiera
vecchia, perché il Vangelo non è vecchio! Oggi vediamo, forse con un po’ di meraviglia, che tanti giovani stanno ritrovando questa preghiera popolare, la stanno amando e sono fedeli alla sua recita. È certamente un segno di speranza per il futuro. Giovanni Paolo II così concludeva la sua Lettera apostolica sul Rosario: “Carissimi fratelli e sorelle! Una preghiera così facile, e al tempo stesso così ricca, merita davvero di essere riscoperta dalla comunità cristiana. Guardo a voi tutti, fratelli e sorelle di ogni condizione, a voi, famiglie cristiane, a voi, ammalati e anziani, a voi giovani: riprendete con fiducia tra le mani la corona del Rosario, riscoprendola alla luce della Scrittura, in armonia con la Liturgia, nel contesto della vita quotidiana. Che questo mio appello non cada inascoltato!” (43). A tutti il nostro saluto e l’assicurazione del nostro ricordo in Basilica per voi. Don Franco Lotto Rettore
Giovanni Paolo II pregava il Rosario più volte al giorno.
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SOMMARIO
Donna, sei tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua disianza vuol volar senz’ali.
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Dante Alighieri (1265-1321) - La Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII.
Andate - Ammaestrate - Insegnate Liturgia - MARIO GALIZZI L’Apostolo Bartolomeo - I Dodici BENEDETTO XVI
Crisi ed educazione - Vita della Chiesa - PIER GIUSEPPE ACCORNERO Maria, donna di carità/1 Spiritualità mariana - MARIO SCUDU Papa Wojtyla Avvenimenti - RENZO ALLEGRI I novissimi/15 Celebrazione - TIMOTEO MUNARI
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Prokof’ev, portatore della luce... Musica e Fede - FRANCO CAREGLIO Maria la maestra - L’Adma nel mondo - DON PIER LUIGI CAMERONI Ultima apparizione della B.V. a Fatima - Cal. mar. - MARIO MORRA I Papi del terzo secolo - Centro di Documentazione - MARIO MORRA Notizie e avvenimenti MARIO SCUDU
Le “Ave” che ritmano la vita - La pagina del Rettore - FRANCO LOTTO
Il senso spirituale della Scrittura Bibbia e Spiritualità - GIORGIO ZEVINI
Altre foto: Teofilo Molaro - Archivio Rivista - Archivio “Dimensioni Nuove” - Centro Documentazione Mariana - Redazione ADMA - Guerrino Pera - Mario Notario - ICP - Editrice Elledici.
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