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• ANNO XXX - MENSILE - N° 9 - NOVEMBRE 2009
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RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
I nostri defunti nella gioia di Dio
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Andate - Ammaestrate Mt 28,1-10.16-20
Liturgia Il dono della Missione
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li Undici andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro fissato” (28,16). Qui si compie quanto Gesù disse loro sulla via del Getsemani: “... il gregge sarà disperso, ma dopo essere stato risuscitato, vi precederò in Galilea ” (26,32). I discepoli sapevano anche il luogo dove l’avrebbero rivisto vivo. E qui dalle parole di Gesù, cioè dalla rivelazione, sappiamo che si è compiuto quanto Gesù ha detto davanti al Sinedrio: “D’ora in
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poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio e presentarsi sulle nubi del cielo ” (26,64). Si è perciò compiuta in Gesù la profezia di Daniele 7,1314. Il Crocifisso-Risorto si è davvero presentato davanti al Vegliardo, la cui veste era candida come la neve e “il Vegliardo gli diede potere e gloria e regno; tutte le nazioni e lingue lo serviranno”. Gesù-Risorto si presenta in Galilea ai suoi discepoli e dice: “Mi è stato dato
ogni potere in cielo e sulla terra ” (28,18). Egli è il solo vero Signore e Maestro e come Signore del mondo e della storia, può affidare una missione universale e unire a sé tutti coloro che accettano di essere suoi discepoli e formare parte della sua Chiesa. È dall’autorità che Gesù ha ricevuto dal Padre che nasce la missione e per Gesù il compito di “essere con loro (con noi) sino alla fine dei secoli ” (28,20),
Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole...
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e - Insegnate cioè di mettere tutto il suo potere a servizio dei suoi inviati, di non abbandonarli mai. E Gesù mantiene le sue promesse; non ci abbandona mai. Nella missione egli è sempre accanto a noi e noi al suo servizio, colmi come lui di amore per tutti, con il desiderio di condurre tutti al Padre, di immergere tutti nell’amore trinitario. Ascoltiamo il mandato: “Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato ” (28,19s). Come si vede la missione viene precisata da due verbi “battezzare ” e “insegnare ”. Per noi che battezziamo i neonati, prima c’è il “battesimo”, a cui segue l’obbligo di fare poi prendere coscienza al battezzato di quanto è avvenuto in lui e di portarlo attraverso un solido insegnamento ad accettare il proprio battesimo. Quando invece si tratta di catecumeni adulti, prima c’è l’insegnamento e poi il battesimo. E qui è bello costatare che Gesù stesso stabilisce con chiarezza il contenuto dell’insegnamento: “osservare tutto ciò che io vi ho comandato ”. Le parole di Gesù ci impongono una domanda e un esame di coscienza. Chiediamoci con sincerità: “È davvero Gesù il centro del nostro insegnamento?”. È chiaro che se Gesù mi dice: “Come io vi ho amati, amatevi anche voi... Fate come io ho fatto”, l’insegnamento non si limita a quello che lui ha detto, ma si estende a tutto ciò che
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Foto Fernando Manfredi
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Il battesimo: dono gratuito di Dio.
ha fatto, a come egli si è rivelato e “Chi” mi ha rivelato. “I due verbi osservare e comandare – dice Martini – evocano la volontà di Dio che Gesù ha proclamato in virtù del suo potere di Signore, come nel Discorso della Montagna. Ma bisogna guardarsi dal limitare l’ordine di Gesù alle sole raccomandazioni o prescrizioni di ordine morale. Tutto l’insegnamento di Gesù fatto di parole, di gesti, di comportamenti ha un carattere di esigenza... L’intero Vangelo costituisce per sua natura profonda e per il suo contenuto una regola di vita per i discepoli. Questa regola di vita dev’essere insegnata integralmente, senza indebolire quello che sa di radicale”. “Inoltre – dice sempre Martini – la formula trinitaria non è da intendersi in senso statico ma dinamico: La vita e l’opera di Gesù sono l’opera e la vita del Padre nello Spirito Santo”. Il Dio cristiano è il Dio Uno e Trino; non è un Dio solitario ma un Dio che fa comunione e che ci chiama alla comunione con lui. Per questo siamo battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e chiamati a testimoniare e ad an-
nunciare ad altri la nostra fede perché tutti possano essere in comunione con noi e affinché la nostra comunione sia con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo nello Spirito Santo. Questo compito lo compiremo se cercheremo di far sì che Gesù sia colui che dà senso alla nostra vita intima e se la nostra testimonianza e il nostro annuncio trovano sempre il suo senso solo in Gesù. È un compito grande ed entusiasmante. Preghiamo Signore Gesù, vogliamo renderti grazie sempre e ovunque per la missione che ci hai affidato. Donaci di sentire ogni giorno nel cuore la tua Parola: Andate... Ammaestrate... Se non ci dimenticheremo mai di questo tuo mandato la nostra vita cristiana sarà totalmente assorbita dal desiderio di farti conoscere agli altri in modo che tutti trovino solo in te il senso vero dell’esistenza. Solo così la nostra vita si colmerà di vera gioia. Grazie, Signore Gesù! Mario Galizzi (2 - fine)
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La Catechesi di Benedetto XVI
I Dodici
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ontinuando la nostra catechesi sugli Apostoli, oggi prendiamo in considerazione Simone il Cananeo e Giuda Taddeo (da non confondere con Giuda Iscariota). Li consideriamo insieme, non solo perché nelle liste dei Dodici sono sempre riportati l’uno accanto all’altro (cfr Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13), ma anche perché le notizie che li riguardano non sono molte, a parte il fatto che il Canone neotestamentario conserva una lettera attribuita a Giuda Taddeo.
Simone il Cananeo: pieno di zelo per Dio Simone riceve un epiteto che varia nelle quattro liste: mentre Matteo e Marco lo qualificano “cananeo”, Luca invece lo definisce “zelota”. In realtà, le due qualifiche si equivalgono, poiché significano la stessa cosa: nella lingua ebraica, infatti, il verbo qanà’ significa “essere geloso, appassionato” e può essere detto sia di Dio, in quanto è geloso del popolo da lui scelto (cfr Es 20,5), sia di uomini che ardono di zelo nel servire il Dio unico con piena dedizione, come Elia (cfr 1 Re 19,10). È ben possibile, dunque, che questo Simone, se non appartenne propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno caratterizzato da un ardente zelo per l’identi4
Gli Apostoli Simone i l e Giuda Taddeo tà giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge divina. Se le cose stanno così, Simone si pone agli antipodi di Matteo, che al contrario, in quanto pubblicano, proveniva da un’attività considerata del tutto impura. Segno evidente che Gesù chiama i suoi discepoli e collaboratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione. A Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, Simone il Cananeo, in un dipinto di scuola caravaggesca, con in mano lo strumento del suo martirio.
nel quale tutti si ritrovavano uniti. Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità. Teniamo anche presente che il gruppo dei Dodici è la prefigurazione della Chiesa, nella quale devono avere spazio tutti i carismi, i popoli, le razze, tutte le qualità umane, che trovano la loro composizione e la loro unità nella comunione con Gesù. Giuda Taddeo: testimone forte Per quanto riguarda poi Giuda Taddeo, egli è così denominato dalla tradizione, unendo insieme due nomi diversi: infatti, mentre Matteo e Marco lo chiamano semplicemente “Taddeo” (Mt 10,3; Mc 3,18), Luca lo chiama “Giuda di Giacomo” (Lc 6,16; At 1,13). Il soprannome Taddeo è di derivazione incerta e viene spiegato o come proveniente dall’aramaico taddà’, che vuol dire “petto” e quindi significherebbe “magnanimo”, oppure come abbreviazione di un nome greco come “Teodòro, Teòdoto”. Di lui si tramandano poche cose. Solo Giovanni segnala una sua richiesta fatta a Gesù durante l’Ultima Cena. Dice Taddeo al Signore: «Signore, come è accaduto che devi ma-
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i l Cananeo nifestarti a noi e non al mondo?». È una questione di grande attualità, che anche noi poniamo al Signore: perché il Risorto non si è manifestato in tutta la sua gloria ai suoi avversari per mostrare che il vincitore è Dio? Perché si è manifestato solo ai suoi Discepoli? La risposta di Gesù è misteriosa e profonda. Il Signore dice: «Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,22-23). Questo vuol dire che il Risorto dev’essere visto, percepito anche con il cuore, in modo che Dio possa prendere dimora in noi. Il Signore non appare come una cosa. Egli vuole entrare nella nostra vita e perciò la sua manifestazione è una manifestazione che implica e presuppone il cuore aperto. Solo così vediamo il Risorto. A Giuda Taddeo è stata attribuita la paternità di una delle Lettere del Nuovo Testamento che vengono dette “cattoliche” in quanto indirizzate non ad una determinata Chiesa locale, ma ad una cerchia molto ampia di destinatari. Essa infatti è diretta “agli eletti che vivono nell’amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo” (v.1). Preoccupazione centrale di questo scritto è di mettere in guardia i cristiani da tutti coloro che prendono pretesto dalla grazia di Dio per scusare la propria dissolutezza e per traviare altri fratelli con insegnamenti inaccettabili, introducendo divisioni all’interno della Chiesa “sotto la spinta dei loro sogni” (v. 8), così definisce Giuda que-
Giuda Taddeo in un affresco opera di Bicci di Lorenzo (Firenze, 1440).
ste loro dottrine e idee speciali. Egli li paragona addirittura agli angeli decaduti, e con termini forti dice che “si sono incamminati per la strada di Caino” (v. 11). Inoltre li bolla senza reticenze “come nuvole senza pioggia portate via dai venti o alberi di fine stagione senza frutti, due volte morti, sradicati; come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno” (vv. 12-13). Vivere in pienezza la propria fede Oggi noi non siamo forse più abituati a usare un linguaggio così polemico, che tuttavia ci dice una cosa importante. In mezzo a tutte le tentazioni che ci sono, con tutte le correnti della vita moderna, dobbiamo conservare l’identità della nostra fede. Certo, la via dell’indulgenza e del dialogo, che il Concilio Vaticano II ha felicemente intrapreso, va sicuramente proseguita con ferma costanza. Ma questa via del dialogo, così necessaria, non deve far dimenticare il
dovere di ripensare e di evidenziare sempre con altrettanta forza le linee maestre e irrinunciabili della nostra identità cristiana. D’altra parte, occorre avere ben presente che questa nostra identità richiede forza, chiarezza e coraggio davanti alle contraddizioni del mondo in cui viviamo. Perciò il testo epistolare continua così: “Ma voi, carissimi – parla a tutti noi –, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna; convincete quelli che sono vacillanti...” (vv. 20-22). La Lettera si conclude con queste bellissime parole: “A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e nella letizia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore: gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e sempre. Amen” (vv. 24-25). Si vede bene che l’autore di queste righe vive in pienezza la propria fede, alla quale appartengono realtà grandi come l’integrità morale e la gioia, la fiducia e infine la lode, essendo il tutto motivato soltanto dalla bontà del nostro unico Dio e dalla misericordia del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, tanto Simone il Cananeo quanto Giuda Taddeo ci aiutino a riscoprire sempre di nuovo e a vivere instancabilmente la bellezza della fede cristiana, sapendone dare testimonianza forte e insieme serena. Benedetto XVI L’Osservatore Romano, 12-10-2006
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Un anno sacerdotale Vita della Chiesa
Essere testimoni più che maestri Il pontefice sottolinea “le numerose situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dai destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, perseguitati fi6
© Archivio Servizio Diocesano Terzo Mondo
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i sono tanti preti veri e autentici, fedeli e dediti all’apostolato, e non “è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri che può giovare alla Chiesa”, né alla società. Ma “le infedeltà dei sacerdoti non sono mai abbastanza deplorate”, perché “è la Chiesa a soffrirne” ed “è il mondo a trarne motivo di scandalo e di rifiuto”. Per questo, Benedetto XVI nel richiamare i preti a “una forte e incisiva testimonianza” ricorda “la fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione”. In questa chiave il Papa scrive e indirizza ai presbiteri di tutto il mondo la “Lettera per l’apertura dell’Anno sacerdotale” in occasione del 150º della morte, il «dies natalis», di San Giovanni Maria Vianney (1786-1859). “Anno” inaugurato dal Papa in San Pietro e dai vescovi e preti nelle diocesi lo scorso 19 giugno 2009, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.
Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me (Mt 25,40).
no alla suprema testimonianza del sangue?”. Ratzinger traccia l’identikit del sacerdote e della sua missione sull’esempio del Santo Curato d’Ars con riferimenti particolarmente belli e interessanti. Oltre al ricordo dei preti “martiri” e alla condanna delle “infedeltà”, il Pontefice – a partire dai ricordi personali come l’incontro con il primo parroco che aiutò dopo l’ordinazione – considera “doveroso estendere sempre più gli spazi di collaborazione ai fedeli laici con i quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale”. Se il Concilio – ricorda – ha chiesto di riconoscere “la dignità dei laici”, i preti “siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi
dell’attività umana, in modo da poter insieme riconoscere i segni dei tempi. Solo preti incarnati e capaci di una profonda vita spirituale, possono trasformare il cuore e la vita di tante persone facendo loro percepire l’amore misericordioso di Dio”. Perché come diceva già Paolo VI, il mondo contemporaneo “ascolta più volentieri i testimoni che i maestri”. Il Papa accenna alla necessità che i preti vivano in comunità, accolgano con fiducia i movimenti ecclesiali e siano obbedienti ai vescovi. Chiede “una fraternità sacerdotale effettiva e affettiva: solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo”. Molto efficace il riferimento
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al ministero della riconciliazione, il Sacramento più difficile e più dimenticato: “I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli verso il Sacramento della confessione”. Dal Curato d’Ars, patrono dei parroci, “noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel Sacramento che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del «dialogo di salvezza» che in esso si deve svolgere”. Nella Francia postrivoluzionaria “la confessione non era né più facile né più frequente che ai San Giovanni Maria Vianney, curato d’Ars e patrono dei parroci.
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Nella confessione il sacerdote è strumento della misericordia di Dio.
nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica”. Far percepire a tutti la misericordia di Dio “Diede così vita a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero a imitarlo recandovisi per visitare Gesù e fossero sicuri di trovarvi il loro parroco disponibile all’ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno”. Riscoprire la penitenza significa “ricordarsi della misericordia di Dio”. Il Curato d’Ars “ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge an-
che nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’amore. (...) Con esemplare obbedienza restò sempre al suo posto perché lo divorava la passione apostolica per la salvezza delle anime. Cercava di aderire totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa. Teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale. E mortificava se stesso per il bene delle anime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione dei tanti peccati ascoltati in confessione”. Spiegava la sua ricetta “Do ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”. Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, “occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica. Nonostante il male che vi è nel mondo Cristo ci dà la forza per guardare con fiducia al futuro”. Da qui i preti devono partire per essere “nel mondo messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace”. Pier Giuseppe Accornero 7
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La Visitazione di Maria ad Elisabetta /2
Spiritualità mariana La grazia di Dio non conosce ritardi «
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aria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda» (Lc 39-40). È una bella immagine questa di Maria, giovane ragazza coraggiosa e determinata, che, aggregandosi a qualche carovana in marcia verso Gerusalemme, “in fretta” vuole raggiungere l’anziana cugina ad Ain Karen, quasi 150 km a sud di Nazaret. Questo aspetto dinamico della Visitazione è sempre stata fonte di ispirazione e di riflessione per la Chiesa. La mariologia conciliare e quella contemporanea hanno continuato a mettere in rilievo questa “itineranza” di Maria, vedendovi in essa un modello per l’intera Chiesa vista come popolo in cammino verso Dio. Non solo ma anche per ogni singolo discepolo di Cristo alla sequela del Maestro (si veda anche il concetto di “peregrinatio fidei” di Maria in Lumen Gentium n. 58 e Redemptoris Mater n. 2). Come Gesù è la Via al Padre (Gv 14,6), la Chiesa ha sempre indicato Maria come la più perfetta discepola di Cristo (la prima vera “cristiana”), e quindi la via più sicura per andare a Lui e con Lui al Padre. Maria è la “Odighitria” cioè colei che indica la strada per andare a Cristo. L’evangelista Luca aggiunge che Maria aveva “fretta” di raggiungere Elisabetta e di mettersi al suo servizio. Una fretta divina (non quella nostra spesso di natura nevrotica), una fretta posta in lei dallo Spirito. Sant’Anbrogio scriverà: “La
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Maria, donna di carità grazia dello Spirito Santo non conosce ritardi”. Chi è guidato dallo Spirito non indugia in calcoli umani, spesso solo umani e quindi egocentrici. “Intuiamo che è lo Spirito a muovere Maria e a donarle tale libertà, tale creatività nell’uscire dalle abitudini” (Carlo M. Martini). Maria dopo l’Annunciazione è ormai la “kekaritomene” cioè “colei che è la ricolma di grazia” cioè ricolma di Dio e del suo Dono, lo Spirito. Lei non solo è la “cristofora” perché porta Cristo nel suo grembo, ma è anche la “pneumatofora” cioè “portatrice dello Spirito”. Ma nello stesso tempo è lei stessa portata dal Figlio e dallo Spirito. Quello stesso Spirito presente e determinante per lei non solo nell’Annunciazione, ma anche in seguito: sarà infatti lui che la sosterrà, la consolerà, e la guiderà gradualmente alla verità su Gesù.
Maria è portatrice di pace «Entrata nella casa di Zaccaria salutò Elisabetta». Un saluto alla maniera ebraica, in cui ci si augura la “pace” (Shalom), la vera pace che può essere data solo dal Signore perché “la visita del Signore è la pace per la casa dell’uomo”. Un saluto speciale tra due donne, una era madre ancora vergine, l’altra madre dopo che era stata sterile, l’una giovanissima e l’altra anziana, parenti tra di loro, tutte e due incinte e rese protagoniste dalla bontà divina, sorrette e guidate dallo Spirito. Maria, segno del Nuovo che realizza l’Antico Testamento porta in sé la beatitudine di quel dono che è Dio stesso, principio e principe della pace, compimento di ogni desiderio umano. Il racconto della Visitazione, unico del genere in tutto il Nuovo Testamento, è pieno di bel-
Dopo il lungo viaggio da Nazaret ad Ain Karin, vicino a Gerusalemme, Maria saluta la cugina Elisabetta. Rimarrà al suo servizio per circa tre mesi.
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lezza e di delicatezza femminili. Una pagina biblica di vero protagonismo femminile. Ha scritto suor Maria Ko Ha Fong: “Maria ed Elisabetta: due donne protese verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile, un miracolo stupendo. La coscienza di essere rese oggetto di particolare predilezione di Dio le unisce, la missione comune di collaborare con Dio per un progetto grandioso le entusiasma e le fa esplodere in benedizione ed in canto di lode, l’esperienza della maternità prodigiosa le rende solidali. Il prodigio di Dio in Elisabetta è stato per Maria un segno che l’ha aiutata a pronunciare il suo fiat; ora il prodigio di Dio in Maria è segno per Elisabetta, un segno che suscita in lei una confessione di fede. Così le due donne, sono, l’una per l’altra, luogo di scoperta di Dio, epifania della sua grandezza e motivo per cui lodarlo e ringraziarlo” (Lectio Divina, in Theotokos 1997, p. 177-195). Per questo motivo Elisabetta, guidata dallo Spirito, esulta lei stessa e sente sussultare di gioia il suo bambino. Lei infatti riconosce in Maria il compimento delle promesse fatte ad Israele. In Maria, Elisabetta vede l’Arca della nuova Alleanza, e come l’Arca di Dio portava gioia e benedizione solo con la sua stessa presenza (2 Sam 6,2-11), così Maria. E così, mossa dallo Spirito, Elisabetta la chiama la “Madre del mio Signore”, cioè la Madre del Figlio di Dio, del Messia, invocato e sospirato per tanti secoli. Proprio quella sua giovane cugina portava in grembo l’Atteso delle genti, il Salvatore promesso.
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Maria, discepola del Figlio suo, è stata sempre anche una perfetta missionaria di Gesù, cominciando già nella Visitazione ad Elisabetta.
È propriamente la Visitazione di Cristo a Giovanni C’è un bel commento di Sant’Ambrogio su questo incontro di Maria ed Elisabetta: “Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia; essa udì secondo l’ordine della natura, egli esultò in virtù del mistero; essa sentì l’arrivo di Maria, egli del Signore; la donna l’arrivo della donna, il bambino l’arrivo del bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri realizzano la grazia ed il mistero della misericordia a profitto delle madri stesse: e questo per un duplice miracolo profetizzano sotto l’ispirazione dei figli che portano. Del figlio si dice che esultò, della madre che fu ricolma dello Spirito, ma fu il figlio, ripieno dello Spirito Santo a ricolmare anche la madre. Esultò Giovanni, esultò anche lo Spirito di Maria. Ma mentre di Elisabetta si dice che fu ricolma di Spirito Santo allorché Giovanni esultò, di Maria, che era già ricolma di Spi-
rito Santo, si dice che allora il suo spirito esultò. Colui che è incomprensibile operava in modo incomprensibile nella madre. L’una, Elisabetta, fu ripiena di Spirito Santo dopo la concezione, Maria invece prima della concezione” (Lc 2,19-22). E Adrienne von Speyr precisa: “La visita, nel suo più profondo significato, non è una visita di Maria ad Elisabetta, ma una visita di Cristo a Giovanni. Entrambe le madri fungono ora solo da mediazione per i figli”. Come si vede anche nella Visitazione il protagonista dell’incontro è lo Spirito Santo, lo Spirito di quel Gesù che deve ancora nascere, ma al quale sta preparando il terreno ispirando parole profetiche ad Elisabetta e santificando il figlio. Questi diventerà il “profeta dell’Altissimo, camminerà davanti al Signore” (Lc 1,76), sarà come la sintesi di tutti i profeti perché il precursore di Cristo, il Messia. Due Bambini, ma che differenza tra loro. Commenta San Gregorio di Nazianzio: “Dopo la prima incerta luce del precursore, viene la Luce stessa, che è tutto fulgore. Dopo la voce, viene la Parola, dopo l’amico dello Sposo, viene lo Sposo stesso” (Discorso 45,28). Maria è la prima missionaria di Cristo Gesù Cristo è stato definito il primo Missionario, cioè il primo inviato ad annunciare il Regno di Dio; per questo egli stesso si autodefinì spesso “Colui che il Padre ha mandato”. Anche Maria è Missionaria, perché, come afferma Giovanni Paolo II nella RM n. 20, essendo Madre di Gesù, è diventata “in un certo senso, la prima discepola di suo Figlio”. 9
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Nella stessa enciclica (n. 21) viene messa in risalto la sua sollecitudine materna per gli uomini, “il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni”. Il suo stile è attivo, solidale, interessato, intraprendente e anche creativo (ricordiamo le nozze di Cana e anche la Visitazione). Anche il Papa Paolo VI così si esprime: “La donna contemporanea, con lieta sorpresa, constaterà che Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante... e riconoscerà in lei una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio...” (Marialis Cultus, n. 37). Il viaggio di Maria quindi è un viaggio di natura missionaria. Dopo l’Annunciazione lei stessa si percepisce come “Colei che è stata ricolmata di grazia” da parte del Signore Altissimo, che è stata amata totalmente ed “evangelizzata per prima” avendo ricevuto la lieta notizia dell’Incarnazione, prima di tutti gli altri. Nella Visitazione abbiamo insieme la prima evangelizzata che diventa la prima evangelizzatrice diventando così come il prototipo di tutti i missionari proprio perché sospinta solo dall’amore di e per Cristo (2 Cor 5,14). Origene, un Padre della Chiesa, ha scritto: “Gesù, che era nel seno di lei, aveva fretta di santificare Giovanni che si trovava nel grembo della madre” (Omelie su Luca VII, 1). Ecco che Maria diventa lo strumento per attuare questa “fretta evangelizzatrice” di Gesù verso il cugino. Vangelo significa “buona o bella notizia” ed è quella che ha annunciato Gesù Cristo portan10
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do nel mondo la salvezza, la riconciliazione con Dio e la gioia. Sono infatti le belle notizie che ridanno la gioia persa ed il coraggio di andare avanti. Il Vangelo è Gesù Cristo stesso (Origene parla di “Autobasileia”), la vera bella notizia che ha riportato nel mondo la gioia, comincian-
“Maria ed Elisabetta: due donne protese verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile” (Maria Ko Ha Fong).
do dalla Madre Maria, da Elisabetta e da Giovanni. Maria è portatrice di gioia, segno della Nuova Alleanza Ogni nuova vita nel mondo non è che un piccolo riflesso di Dio Creatore ed un invito da parte sua a sperare nel futuro. Lui stesso, Dio della vita e di ogni vita, non può non sorridere davanti ad ogni forma di vita. Ma lo fa specialmente davanti ad un bambino. Dio Padre, anche lui, avrà sorriso di gioia davanti a quelle
sue due figlie, ambedue donne incinte e future madri, felici e festanti, perché si sentivano benedette dall’Alto. Commenta ancora Maria Ko Ha Fong: “La gioia di Maria è ben più grande di quella di qualsiasi madre. Il Figlio nascosto nel suo grembo non è solo un sorriso di Dio, ma è il Dio del sorriso, il Dio della gioia, di una letizia contagiosa, coinvolgente... Intorno a Maria la gioia si espande. Alla sua presenza, anche Zaccaria, chiuso nel suo mutismo incredulo, sente avvicinarsi l’adempimento della promessa fattagli dall’angelo «Avrai gioia ed esultanza» (Lc 1,149)”. Ed il teologo Bruno Forte precisa ancora: “La gioia nasce dal sentirsi amati: perciò il cristiano, che sa nella fede di essere infinitamente amato da Dio, avvolto e custodito dalla tenerezza del suo amore fedele, è fatto per la gioia... La gioia scaturisce dall’umile riconoscimento dei tanti doni che riempiono l’esistenza, dal cielo sopra di noi, al cuore che batte in noi, all’amore che ci dona coraggio e vita... La gioia è proclamata in maniera nuova e definitiva dalla buona novella dell’Avvento del Dio con noi: «Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10)”. La Visitazione sembra proprio costituire il primo lampo di gioia messianica portata dalla presenza di Gesù in sua Madre Maria. Quella stessa gioia che sarà portata dal Vangelo predicato e testimoniato da tanti altri missionari e missionarie nel nome di Gesù e sull’esempio di Maria. Mario Scudu
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Meditazione Io Perché vuoi che ti chiami “papà”? Papà Gesù mi chiamava così: “Abbà”, non significa “padre”, ma “papà”... un nome familiare, persino fanciullesco... I Addirittura fanciullesco? P Non ti ricordi quando ti ho chiesto di sentirti “bambino”? A livello materiale, e pure a livello intellettuale, ormai sei grande, sei capace di fare tante cose... ma a livello spirituale (e lo Spirito Santo è il mio amore) sei sempre un bambino, che ha bisogno di tutto... Ed io ti amo così, come il mio bambino! I Allora, tu non vuoi nessuna formalità? Posso trattarti con assoluta confidenza? P Certo, bambino mio! Abbandonati in me come una volta ti abbandonavi tra le braccia dei tuoi genitori! Senza nessun timore! Lo sai che io ti sognavo ancora prima che creassi il mondo? E sognavo proprio te, personalmente, non un figliolo qualsiasi, ma proprio te! E mi sono preoccupato che dai lunghi millenni dell’umanità non nascesse nessuno al tuo posto, ma che nascessi tu! I Grazie, papà, grazie mamma... Perché mi sto accorgendo che tu sei tanto papà quanto mamma! Come mamma, mi hai fatto nascere, come papà mi fai crescere, fiero di te! Come papà mi sorreggi, come mamma mi consoli... La tua mano mi sostiene e mi accarezza... P È proprio così! Non lo dicono anche i Salmi di un tempo? I E dicono pure: “io sono tranquillo e sereno, come un bambi-
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Una chiacchierata col papà no in braccio a sua madre”! Quindi, vedo che tutto combina... Quello che invece non combina, sono proprio io! Mi sento così sporco, di fronte alla purezza del tuo amore... P Lo so, i bambini cadono e si sporcano sovente... Ma i genitori li amano lo stesso, anche prima di poterli lavare... I Ma tu mi dici, nelle parole della Bibbia, che anch’io devo fare la mia parte... E quando cado, non la faccio! P È vero, devi fare la tua parte... Ma te ne do io il desiderio e la forza... Io stesso ti regalo “il volere e l’operare” perché tu faccia bene! I Ma allora, perché non lo faccio? P Perché non me lo chiedi con fede! Quando mi chiedi di vivere secondo il mio cuore, e ti fidi di me, io noto la tua buona volontà: il resto te lo do io! I Allora è facile! Adesso che mi sento amato, adesso che capisco che mi aiuti con tanta premura...
P Vedi, se io ti ho voluto al posto di tanti altri che non esisteranno mai, l’ho fatto solo per renderti felice, non per vederti preoccupato! Sta’ tranquillo, tu sei il mio bambino, e ti voglio sereno in qualsiasi momento! I Anche quando mi rendo conto d’aver fatto male? P Anche allora! Dimmi soltanto che ti dispiace, perché non hai corrisposto al mio disegno d’amore... e poi, lasciati andare tra le mie braccia! La Confessione è come un bel bagno che lava e ristora, porta una forza nuova, è il mio bacio consolatore: io voglio che tu ti riprenda subito, che tu sia sempre pieno di vita! La tua vita è la mia vita... I Grazie, Papà. È bello averti capito, finalmente! Ed è meraviglioso vivere con te! Antonio Rudoni “Dio è papà, più ancora è madre” Giovanni Paolo I, Angelus del 10-091978.
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La terza Enciclica di Benedetto XVI
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na nuova enciclica su temi sociali, dirà qualcuno. Ma da che cosa può esser motivata se non dai grandi cambiamenti di questi ultimi tempi? Se da un lato, la Chiesa resta ferma sui grandi princìpi della sua dottrina sociale, dall’altro, le situazioni cambiano, anche in modo drammatico, ed esigono un insegnamento autorevole e aggiornato per orientare e sostenere i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà nel loro impegno quotidiano. Papa Benedetto XVI firma la sua terza enciclica.
Benedetto XVI prende lo spunto da un’enciclica di Paolo VI, la Populorum progressio del 1967, per riparlare di sviluppo dell’uomo e dei popoli nel tempo della globalizzazione, che si rivela una continua provocazione e, al tempo stesso, un inquietante disorientamento per le coscienze. L’intento della nuova enciclica è, appunto, quello di offrire una “bussola” sicura e affidabile, sintetizzata nel titolo stesso del documento: Caritas in veritate. 12
Caritas in Veritate Cultura del dono e della gratuità La carità, anzitutto, muove all’impegno coraggioso per la giustizia, la pace e il bene comune; la verità, a sua volta, evidenzia i valori umani e sociali sui quali progettare uno sviluppo integrale dell’uomo e dei popoli. Esiste il rischio, denunciato da Benedetto XVI, che questo mondo globalizzato, qualora non sia guidato dalla “bussola” della carità nella verità, provochi danni sconosciuti e nuove pericolose divisioni nella famiglia umana. Se da una parte, le difficoltà e le minacce provenienti dall’economia e dalla finanza globalizzate creano disorientamento, dall’altra, costituiscono l’occasione propizia per ripensare con sapienza l’attuale modello di sviluppo. Quale sarà, allora, la via da percorrere per uno sviluppo effettivamente integrale? La sorprendente risposta del Papa è il dono e la gratuità. E la ragione di ciò è che «l’essere umano è fatto per il dono», anzi lui stesso è dono. Non solo. Esistono già esperienze dove la produzione dei beni si sposa con la solidarietà. Il Papa, parlando di dono e di gratuità, non fa che assumere e rilanciare autorevolmente tutte le forme di economia solidale, civile e di comunione che si sono affermate nel corso degli ultimi decenni dentro la grande economia di mercato. Per il Papa, la cultura della solidarietà dentro al mondo della produzione e dell’eco-
nomia è la sola che può liberare l’uomo contemporaneo da una concezione della vita fortemente individualistica ed utilitaristica senza speranza. Uomini di relazione Uno degli aspetti più vistosi di questa cultura individualistica è la “rivendicazione di diritti senza doveri”. «Molte persone, oggi – scrive il pontefice – tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse». Le nostre società del benessere sono teatri dove si rappresentano quotidianamente scandalose contraddizioni tra chi rivendica il diritto al superfluo, «addirittura alla trasgressione e al vizio», e chi, invece, manca del necessario per vivere: cibo, acqua, istruzione e altro ancora. All’“uomo individuo”, Benedetto XVI contrappone l’“uomo relazione”. Del resto, ogni uomo è creato a immagine di un Dio che è Trinità. L’uomo in quanto relazione si realizza soltanto mediante relazioni interpersonali. E ciò che vale per le
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mondo del lavoro, delle organizzazioni sindacali, della finanza, delle associazioni dei consumatori... Non ultimi gli organismi mondiali, che incidono sulle relazioni politiche, economiche, finanziarie della famiglia umana. Occhi e cuore nuovi
persone, vale anche per i popoli. L’esperienza insegna che la povertà e la mancanza di relazioni sono sempre fonte di solitudini e di isolamento a tutPer il Papa occorrono “occhi nuovi e un cuore nuovo” proprio come quelli limpidi di un bambino. In alto, la copertina dell’enciclica.
ti i livelli, compreso quello tra i popoli. Quali relazioni potranno governare la globalizzazione e orientarla verso uno sviluppo umano? Sussidiarietà e solidarietà è la risposta della dottrina sociale della Chiesa. In questo contesto di relazioni mondiali sono richiamate criticamente non poche questioni del momento, quali la cooperazione allo sviluppo, l’accesso all’educazione, il turismo internazionale, nonché il complesso fenomeno delle migrazioni. Merita richiamare quanto il Papa scrive: «Ogni migrante è una persona e in quanto tale possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione». L’elenco delle relazioni si allunga con riferimento al
L’ultimo capitolo, dedicato alla tecnica, è quello più drammatico e radicale perché – scrive il Papa – in questo àmbito l’unico criterio che vale è l’efficienza e l’utilità. Di conseguenza, la mentalità tecnica emargina ogni questione che riguardi il senso e la verità delle cose. A tutti i problemi umani offre sempre e soltanto soluzioni tecniche. Ciò è particolarmente vero in tutte le questioni che riguardano l’uomo: la sua vita, la sua morte, il suo nascere, ecc. Simile radicalità del dominio tecnico sull’uomo fa dire a Papa Benedetto XVI che «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica». La conclusione – se tale può essere – è che nella fase di ideologizzazione tecnologica c’è bisogno di «occhi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degli avvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un “oltre” che la tecnica non può dare». In definitiva, per il Papa «la maggior forza a servizio dello sviluppo è quindi un “umanesimo cristiano” ravvivato dalla carità e guidato dalla verità». In definitiva, la Caritas in veritate è un documento denso, molto articolato che affronta praticamente tutte le questioni sociali del momento con un intento molto chiaro: offrire all’umanità di oggi la “bussola” per navigare verso un futuro e uno sviluppo più umano e più solidale. Sabino Frigato Università Pontificia Salesiana - Torino
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“La gioia di comunicare Cristo”
Foto Antonio Cutillo
Avvenimenti
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abato 26 settembre, al Colle Don Bosco (Asti) e domenica 28 settembre a Valdocco in Torino si è svolta la 20ª edizione dell’“Harambée”, l’incontro più significativo dell’Animazione Missionaria Salesiana Italiana. Quest’anno aveva come titolo “Veramente non c’è niente di più bello che incontrare e comunicare Cristo a tutti”, e si ricollegava all’enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI. A questa edizione, oltre ai giovani provenienti dalle Ispettorie salesiane d’Italia, hanno partecipato alcuni gruppi di Ispettorie europee. La scorsa estate quasi tutti hanno vissuto un mese nelle Comunità Salesiane o Diocesane in diverse parti del mondo. Questa esperienza, un cammino di formazione missionaria, ha permesso loro di condividere la dedizione dei Salesiani verso i giovani, incontrare altre culture, analizzare insieme le cause della povertà e contribuire a definire nuovi progetti di sviluppo. 14
Il Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva, nono successore di Don Bosco, consegna il crocifisso a un salesiano missionario.
Proprio grazie ai racconti di chi ha partecipato alle esperienze di formazione missionaria, l’Harambée è da sempre un appuntamento intenso ed emozionante. È un’occasione per conoscere la vita dei giovani nei Pae-
si in via di sviluppo e per comprendere come, oggi, sia sempre più indispensabile la scelta di un progetto di vita serio e definitivo. Il termine stesso Harambée – parola presa in prestito dalla lingua swahili, che significa “lavorare insieme”, “incontro” o “raduno festoso” – racchiude in sé il senso più profondo di questo appuntamento annuale. Per un mese, in missione, pagando di tasca propria tutte le spese, quei giovani sono stati chiamati ad essere “segno dell’amore di Dio”. Adesso sono chiamati a continuare la loro missione nei luoghi dove loro vivono. L’emozione che ogni volta l’Harambée instilla nel cuore di ognuno è il desiderio e la volontà di ascoltare con il cuore la chiamata di Cristo verso la missione. Ogni anno, dopo questo week end di confronto, riflessione e preghiera, aumenta il numero dei giovani che chiedono di iniziare un discernimento vocazionale per
Due momenti dell’Harambée 2009, a Valdocco.
Foto Antonio Cutillo
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capire se la missione è la strada che il Signore sta disegnando per loro. L’Harambée è rivolta a tutti, sia a chi è partito per Paesi lontani, sia a chi ha animato i nostri oratori e campi scuola: è un’esperienza significativa di Pastorale Giovanile, perché la consegna del crocifisso e il mandato missionario testimoniano la vitalità della congregazione e rafforzano il cammino vocazionale di coloro che vi partecipano. Nel pomeriggio di sabato, presso il teatro del Colle Don Bosco, c’è stato il saluto di don Vaclav Klement, Consigliere Generale per le Missioni. Poi, si sono alternate alcune testimonianze sull’esperienza estiva; a seguire, i giovani si sono ritrovati in gruppo per confrontarsi sulle esperienze vissute e su come convertire il bene ricevuto in missione in gesti concreti ora che sono ritornati in Italia. Nella serata, si è svolta la prevista fiaccolata “aux flambeaux”, la recita del rosario e la successiva “buonanotte” di suor Alaìde Deretti, Consigliera Generale per le Missioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Domenica mattina i partecipanti si sono spostati a Torino-
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Valdocco, dove hanno incontrato il Rettor Maggiore dei Salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, che ha sviluppato il tema dell’incontro. La due giorni si è arricchita del contributo di Massimo Zortea, Presidente del VIS, che ha presentato i volontari della ONG in partenza, e di don Franco Fontana, Animatore Missionario Na-
zionale, che ha guidato tutta la manifestazione. Nella basilica di Maria Ausiliatrice in Torino, da dove l’11 novembre 1875 Don Bosco inviò il primo gruppo di missionari in Patagonia, il Rettor Maggiore ha presieduto l’Eucaristia, e con un gesto rituale di Don Bosco, che si ripete da 140 anni, accanto a madre Yvonne Reungoat, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha consegnato il crocifisso e il mandato missionario ad alcuni Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, provenienti da tutto il mondo e in partenza per le missioni, ed ai laici che presteranno servizio per due anni come volontari internazionali. A loro don Chávez ha ricordato che sono come quel gruppo di giovani che il 18 dicembre 1859 scelsero di seguire il sogno di Don Bosco. “L’essere missionario/a è un dono dello Spirito che chiama incessantemente tutti i cristiani ad essere discepoli, testimoni ed apostoli del Signore Crocifisso e Risorto, ad andare ovunque per annunciare la salvezza che Dio ci ha offerto nel suo Figlio Diletto e a tradurla nell’impegno di rendere più umana la vita di tutti attraverso la donazione della propria vita nel campo dell’evangelizzazione, dell’educazione, della promozione umana e dell’impegno sociale”. Quest’anno, poi, data la concomitanza con il 150º anniversario della Fondazione della Congregazione Salesiana, la spedizione missionaria ha acquistato un significato speciale. Non resta che concludere con le parole del Rettor Maggiore: “Il cristianesimo non è un’etichettatura, ma una prassi di vita!”. Don Luca Barone Donatella Bosa Ufficio Animazione missionaria Salesiani Piemonte e Valle d’Aosta
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I Novissimi
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Celebrazione
In cammino verso le ultime realtà IN CAMMINO VERSO IL CIELO Siate sempre pronti
Insieme e guidati dallo Spirito Santo, con lo sguardo fisso in Gesù, il nostro fratello maggiore, costruiamo il Regno di Dio qui in terra, in cammino verso il cielo. Chi non desidera entrare là dove la gioia è sovrana, unitamente a tutti i suoi cari? È la fede che ce lo conferma. Nessuno è mai riuscito ad arrivare all’appagamento dei suoi desideri senza farne partecipi gli amici. Una donna ha trovato la sua moneta in un angolo nascosto, allora ha chiamato le sue amiche e ha fatto festa. Questi gesti costruiscono il Regno di Dio. Anche l’uomo più crudele, accarezza nel suo cuore una fibra di amore. Quando uno si mette al servizio dei fratelli, nota che è più il bene che riceve che non quello che dona. Mettiamo insieme tutte le nostre buone risorse, in vista del Regno celeste, dove l’esser lieti sarà la cosa più agognata. E dire che non sappiamo neppure immaginare che cosa produca in noi la vista del volto di Gesù e l’abbraccio del Padre. Con semplicità e sicurezza Don Bosco diceva: “Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto”. Il buon ladrone disse a Gesù: “Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno”. E la risposta pronta e netta fu: “Oggi tu sarai con me in Paradiso”. Non c’è cosa più bella al mondo che stare sempre con Gesù, in terra e in cielo. Preghiamo con il Salmo 121 Rit.: Lodiamo il Signore, nostro Dio. Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra. Rit. Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele. Rit. 16
Il Signore è il tuo custode, il Signore sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Rit. Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita. Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre. Rit. I nostri preparativi Quando saremo stanchi della vita fredda e vuota di questo mondo e saremo pronti e decisi di rinnegare le lusinghiere arti di satana, allora soltanto potremo gustare il Regno di Dio Padre che Gesù ha inaugurato in questa terra. Egli non ci promette qui un paradiso di benessere, ma, per gli uomini di buona volontà, i suoi doni sono: pace interiore, amore vero, rispetto reciproco, coscienza pura, in attesa del suo abbraccio misericordioso. Se uno non entra nel Regno dell’amore di Dio qui in terra, come potrà entrare nel cielo? Ma tu non spaventarti della tua fragilità perché sei un povero peccatore: se uno accoglie con buona volontà la parola di Gesù e si sforza di metterla in pratica, la Parola stessa porterà a compimento in lui ciò che essa annuncia. Il Regno di Dio che è in mezzo a noi, lo dobbiamo sempre accogliere come un dono preziosissimo. Si tratta del più bel tesoro che esista qui in terra e che pertanto merita una speciale attenzione perché esso è tutto ciò che realmente possediamo e dobbiamo cedere tutto il resto per farlo nostro. Questo Regno lo possiamo paragonare a una perla costosissima e che merita possederla: vendi dunque ogni cosa per comprarla. Non badare se attorno a te vedi pochi impegnati alla costruzione di questo Regno: tu, che appartieni a Cristo, puoi e devi fare la tua piccola parte. Il Regno che ora vivi e che costruisci con fede e amore, un giorno ti sarà ricambiato all’infinito, perché incontrerai Dio con tutti quelli che hai amato. Diamoci dunque tutti da fare. Ogni battezzato ha
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ricevuto il mandato di annunciare, con le parole di Gesù: Il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,14). Lo dirai con la bocca ma più ancora con l’esempio. Ama Dio e il tuo prossimo Queste sono le due pietre fondamentali che ti aprono le porte del paradiso. Ed ecco i mattoni che ognuno di noi deve portare per la costruzione del Regno di Dio. Voi siete il sale della terra, dice il Signore, voi siete la luce del mondo. Dunque siamo impegnati a illuminare la nostra chiesa e accendere dei fari per quelli che camminano nelle tenebre. Usare il sale della sapienza per guarire quelli che hanno lo spirito affranto e ridonare il gusto agli sfiduciati. Non uccidete con la spada né con la parola, dice ancora il Signore, ma amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e per quelli che non vi ascoltano.
I cristiani sono “luce del mondo”, fari per quelli che camminano nelle tenebre.
Non adiratevi contro il vostro fratello ma vivete in pace con tutti, senza giudicare né condannare nessuno. Non commettete adulterio, ma tu neppure devi guardare una donna o un uomo per desiderarlo. Il tuo cuore ami d’intenso amore fratelli e sorelle come li ama il Signore Gesù. State bene attenti: con la misura con la quale misurate gli altri, sarete misurati voi stessi. Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. (cf Mt 5-7). Un buon costruttore del Regno di Dio, prima di tutto, prega intensamente e dice: Venga il tuo Regno, o Padre. In secondo luogo si impegna di dare la sua bella testimonianza cristiana con il suo esem-
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pio, sia in casa che fuori. Altri opereranno secondo i doni che lo Spirito darà loro. Ma tutti dobbiamo credere e compiere le parole di Gesù: Io sono la vite e voi i tralci, chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto per il Regno del Padre. Così vive colui che ama Gesù, così si costruisce il suo Regno qui in terra e così tutti insieme vivremo nel Regno celeste che Dio ci ha già preparato. Creati a immagine di Gesù L’uomo vivente è la gloria di Dio Padre in terra e in cielo. Creato a immagine dell’eterno Figlio del Padre, vivrà sempre, perché Dio è fedele, immutabile nelle sue decisioni, la sua parola rimane in eterno (cf 1Pt 1,25). La morte non sarà un ritorno al nulla, perché Cristo ha vinto la morte. Sì, la morte e il peccato del mondo saranno distrutti, e non l’uomo. San Pietro, scrivendo ai primi cristiani, ci invita a rafforzare il dono divino della speranza perché il nostro cuore sia pieno della sicura certezza che un giorno saremo accolti in paradiso. Esso esiste veramente? Che cosa ci dice la Sacra Scrittura? In questa troviamo immagini e descrizioni di un mondo totalmente e radicalmente nuovo, diverso in tutto dal presente. Quello di cui parla la Bibbia non è possibile che si realizzi qui da noi. Un mondo che qualcuno potrebbe definire utopia, pura fantasia. Mentre si tratta di realtà, come è vero che Dio esiste. Vedremo, e sarà la nostra patria, la nuova Gerusalemme la splendida Sposa dell’Agnello, nostra vera gioia (cf Isaia 62,1-5). San Pietro ci addita una Speranza gioiosa, così: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo” (1 Pt 1,1-5). Preghiera O Spirito Santo, sposo della Vergine Maria Madre del Signore nostro Gesù, per questi due nostri Amori, prendici per mano, salvaci e portaci nella incantevole tenda del nostro buon Padre che ci aspetta a braccia aperte. E sarà gioia senza fine. Don Timoteo Munari 17
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INSERTO
Orientamenti e impegni per il 2010 Per la nostra Associazione, anche il prossimo anno sarà ricco di iniziative. Da un lato, grazie alle nuove tecnologie informatiche, sarà più semplice diffondere le nostre notizie. Dall’altro, si coinvolgeranno altre coppie e famiglie giovani. Ecco, dunque, qualche anticipazione. 1 - Cammino formativo ADMA 2010 L’invito del Rettor Maggiore a tutta la Famiglia Salesiana ad agire come un vero movimento di discepoli ed apostoli di Gesù e ad impegnarsi nell’evangelizzazione dei giovani, ha stimolato anche l’ADMA ad accettare la sfida di aiutare i giovani “a guardare gli altri non più soltanto con i propri occhi e con i propri sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo”. Come segno concreto di sintonia con questo impegno, proponiamo uno strumento formativo di 10 schede che seguendo il magistero di Papa Benedetto XVI, vogliono aiutare i gruppi ADMA a focalizzare alcuni contenuti chiave dell’evangelizzazione. L’itinerario è reperibile al seguente indirizzo internet: http://www.donboscotorino.it/ita/adma/Archivio/2009/01-Cammino_Formazione-2010.html. 2 - ADMAonline Tutti siamo invitati a valorizzare “ADMAonline” come strumento di comunione, formazione e informazione. Esce il 24 di ogni mese in cinque lingue. È reperibile sul sito sia in formato “pdf” (da utilizzare soprattutto per le bacheche dell’Associazione), sia in formato “word” (solo testo da utilizzare per gli incontri dei gruppi, per l’animazione della preghiera e altro). È uno strumento attraverso il quale, sotto la guida di Maria, cresciamo nel senso di appartenenza all’Associazione e alla Famiglia Salesiana (www.donbosco-torino.it/ita/adma). 18
3 - Terzo “Quaderno di Maria Ausiliatrice” Questa collana è edita dalla Elledici di Torino. Dopo i primi due numeri (“Don Bosco in trincea” e “Ave Maria Ausiliatrice”), sta per essere pubblicato il terzo, fondamentale per la vita dell’Associazione. Il volumetto, dal titolo “ADMA: un itinerario di santificazione e di apostolato secondo il carisma di Don Bosco”, presenta l’Associazione ed è destinato alla formazione degli iscritti e a quanti desiderano conoscere la storia e lo spirito dell’ADMA. 4 - Coinvolgimento di coppie e famiglie giovani Il carisma salesiano nell’animazione della famiglia ritorna alle sue origini e nell’incontro con lo spirito di Don Bosco la famiglia acquista dinamicità e gioia evangelica. Tutta la Chiesa ha preso coscienza delle difficoltà che la famiglia oggi incontra e per questo, offre aiuti straordinari per la sua formazione, il suo sviluppo e l’esercizio responsabile del suo compito educativo. Anche noi dobbiamo fare in modo che la pastorale giovanile sia sempre più aperta alla pastorale familiare. In concreto, si sono già costituiti gruppi zonali di famiglie e coppie giovani, con incontri mensili di formazione, preghiera e condivisione.
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L’A D M A nel mondo PORTO ALEGRE (Brasile). L’Associazione di Maria Ausiliatrice ha vissuto il 17 maggio, nella parrocchia S. Antônio de Joinville il Primo Incontro ispettoriale dell’ADMA. Aveva come obiettivo riunire i diversi gruppi dell’Associazione esistenti sul territorio ispettoriale per una giornata di riflessione, preghiera, conoscenza reciproca in vista della costituzione del Consiglio Ispettoriale. Erano presenti i gruppi di Ponta Grossa (Paróquia Nossa Senhora Auxiliadora, PR), Curitiba (Paróquia Menino Jesus de Praga, PR), Joinville (Paróquia Santo Antônio, SC), Massaranduba (Paróquia Sagrado Coração - Comunidade de Nossa Senhora Auxiliadora de Benjamim Constant, SC) e Itajaí (Colégio Salesiano). Il gruppo di Novo Lar de Viamão, RS, non poté partecipare. Attualmente l’Associazione di Maria Ausiliatrice raccoglie 135 membri tra i diversi gruppi presenti sul territorio ispettoriale, insieme a un buon numero di aspiranti, che si stanno preparando per emettere la promessa. Il
P. Tarcisio Paulo Odelli, Animatore Ispettoriale dell’ADMA presentò una riflessione sopra la figura di Maria nella spiritualità salesiana, dal titolo “L’Ausiliatrice dei cristiani e il Regolamento dell’ADMA”. L’incontro si è concluso con la benedizione di Maria Ausiliatrice, impartita dall’Ispettore. Quindi tutti sono stati invitati a partecipare alla 6ª Processione mariana promossa dalla Parrocchia San Antonio, con il patrocinio dell’ADMA locale. KAUNAS (Lituania). Il 23 maggio 2009, in occasione della festa di Maria Ausiliatrice, la parrocchia salesiana Maria SS.ma Regina del Rosario di Kaunas-Palemonas in Lituania ha accolto l’iscrizione all’ADMA dei primi 30 fedeli che hanno pregato dopo la Comunione davanti alla statua di Maria Ausiliatrice, primo segno di speranza del
Don Massimo Bianco, direttore dell’Opera di Kaunas-Palemonas, in Lituania.
cammino dell’ADMA in terra lituana. Alla S. Messa delle ore 10 hanno partecipato i salesiani e fedeli di Kaunas – parrocchia Maria SS.ma Regina del Rosario, i salesiani e fedeli di Vilnius – parrocchia San Giovanni Bosco, salesiani cooperatori e amici dell’opera di Don Bosco provenienti anche da altre località lituane. La S. Messa è stata trasmessa in diretta anche dalla Radio Maria lituana, ed è stata una gioia per me annunciare a un pubblico più vasto l’erezione in Lituania dell’ADMA. Al termine della S. Messa si è svolta la processione solenne con la statua di Maria Ausiliatrice, con il canto delle litanie e il rosario, per le strade del quartiere di Palemonas, terminando poi in chiesa con la benedizione. In concomitanza con il giubileo salesiano dei 150 anni di fondazione della congregazione e dei 75 anni della fondazione in Lituania della prima comunità salesiana, in sintonia con la strenna del Rettor Maggiore sulla Famiglia Salesiana, è stato bello poter festeggiare la nascita dell’ADMA tra noi. Sono tempi non facili, di crisi economica e morale, di incertezza e di fatica, proprio per questo la presenza di Maria Ausiliatrice è tanto necessaria e preziosa. Come ha sottolineato nell’omelia della S. Messa don Alessandro Barelli, direttore di Vilnius, Maria Ausiliatrice è stata sia a Lepanto, sia in seguito, e in particolare nella vita di Don Bosco e dei suoi salesiani, la presenza sicura di Aiuto a cui ricorrere in ogni nostra necessità. Pier Luigi Cameroni 19
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MADRE TERESA TUTTO INIZIÒ NELLA MIA TERRA Collana: Tempi e figure Edizioni San Paolo, pagine 208, € 16,00 Cristina Siccardi, apprezzata collaboratrice del nostro periodico, è laureata in lettere moderne con indirizzo storico. Specializzata in biografie, si cimenta ora con Madre Teresa di Calcutta, albanese d’origine e indiana d’adozione, proponendone lettere inedite e scritti, che – altra singolare coincidenza – sono stati tradotti da Giuseppe Pelizza, sino al mese scorso direttore di questa rivista. Madre Teresa è stata maestra di vita per tutti coloro che l’hanno conosciuta e continua a esserlo ancora oggi per migliaia e migliaia di persone. Lo è anche attraverso gli scritti e le riflessioni che ha lasciato. Attraverso questi scritti, testimonianze e documenti inediti, viene qui ricostruita l’influenza che la formazione ricevuta in famiglia e il legame con i congiunti hanno avuto sull’esistenza e sulle scelte della Madre di Calcutta. Da tutto questo emerge la ricchezza della spiritualità di Madre Teresa. Sorella Carità, chiamata a dissetare Cristo, invitata a portare il sorriso di Dio fra i sofferenti, ha vissuto la purificazione della “notte oscura”, quella dei mistici, per trasmettere ai piccoli il sorriso di Dio Padre. Dalle tenebre in cui era calata la sua anima, usciva per gli altri una luce intensa, trasfigurante. Cristo viveva in lei.
SALESIANI DON BOSCO - SDB / CASA MADRE di TORINO-VALDOCCO
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Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice Cappella Pinardi Chiesa di San Francesco di Sales Camerette di Don Bosco San Giovanni Bosco (vita) ADMA: Associazione di Maria Ausiliatrice CSDM: Centro Documentazione Mariana Rivista “Maria Ausiliatrice” (storia) INFO VALDOCCO • Foto Galleria
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Italiano LITURGIA DELLA DOMENICA RIVISTA “MARIA AUSILIATRICE” Archivio virtuale dal 2000
ADMA News
ADMA on line Letture della Domenica Meditazione sulla Parola di Dio Omelie di approvondimento spirituale FORMAZIONE CRISTIANA FORMAZIONE MARIANA
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Tra i modi proposti dalla Chiesa per suffragare i defunti, ci sono le Indulgenze. L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, a favore dei defunti. Essi non possono meritare per se stessi, ma possono ricambiare la nostra carità pregando per noi. La Chiesa prende dal suo tesoro spirituale, costituito dai meriti di Gesù Cristo, dalle preghiere dei Santi e dalle opere buone compiute da tutti i fedeli, quanto viene offerto a Dio perché Egli condoni alle anime dei defunti la pena che essi devono trascorrere nel Purgatorio. La preminenza della carità nella vita cristiana è confermata anche dalle indulgenze, che non possono essere acquistate senza una sincera conversione e senza l’unione con Dio, a cui si aggiunge il compimento delle opere prescritte. “Nell’indulgenza, si manifesta la pienezza della misericordia del Padre, che a tutti viene incontro con il suo amore” (Giovanni Paolo II). Le indulgenze plenarie che si possono acquistare in occasione della Commemorazione di tutti i Defunti, a favore delle anime del Purgatorio sono: 1. Un’indulgenza plenaria dal mezzogiorno del 1º novembre fino a tutto il giorno 2 novembre visitando una chiesa e pregando secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, recitando il Padre Nostro e il Credo. 2. Un’indulgenza plenaria, ogni giorno dal 1º all’8 novembre visitando devotamente il cimitero e pregando anche solo mentalmente per i fedeli defunti. Vanno adempiute queste altre condizioni: – la confessione sacramentale (può essere fatta anche nei giorni precedenti o seguenti. Con una sola confessione sacramentale si possono acquistare più indulgenze, purché permanga nel fedele l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato, anche veniale); – la comunione eucaristica (si può fare nello stesso giorno, in quelli precedenti o seguenti).
La Basilica di Maria Ausiliatrice accoglie volentieri le vostre intenzioni di preghiera mediante la celebrazione di Sante Messe. Santa Messa: l’offerta per una singola Messa, secondo l’intenzione richiesta dall’offerente, è di € 10,00. Sante Messe Gregoriane: trenta messe celebrate in giorni consecutivi, per un solo determinato defunto. L’offerta è di € 330,00. 21
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29 NOVEMBRE 1932 - APPARIZIONE DELLA MADONNA A BEAURAING (BEL GI
Calendario mariano
La Vergine “dal c
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eauraing è un tranquillo villaggio di provincia nel Belgio, al confine con la Francia. Lì, la sera del 29 novembre 1932 la Vergine appare per la prima volta ai tre fratelli Alberto, Gilberta e Fernanda Voisin (rispettivamente di 11, 13 e 15 anni) e alle sorelle Andreina e Gilberta Degeimbre (14 e 9 anni). Quella sera papà Voisin incarica Alberto e Fernanda di andare ad incontrare Gilberta all’uscita dalla scuola del Pensionato delle Suore della Dottrina Cristiana. I due passano ad invitare le sorelle Degeimbre. Cammin facendo, come al solito, si divertono a dare qualche scampanellata alle porte del vicinato e ad aprire la porta della drogheria della vecchia Maria, che esce brontolando. Sono le 18,30: Alberto corre avanti, suona alla porta, si volge indietro verso le ragazze ed ecco che sopra gli alberi vede una figura luminosa. «Guardate – grida – la Vergine passeggia al di sopra degli alberi!». Alberto ha la fama di birichino e la sorella Fernanda gli risponde rudemente senza neppure voltarsi: «Taci, forse si tratta dei fari di qualche macchina che passa per la strada». Alberto insiste e quando le ragazze si voltano, anche loro vedono una splendida figura di giovane donna, con le mani giunte, rivestita di un lungo abito bianco dai riflessi azzurri. Dal suo capo, ricoperto da un velo, partono raggi luminosi che formano come una corona. I ragazzi chiamano la suora portinaia, ma que22
La statua della Madonna venerata a Beauraing.
sta non vede nulla, mentre Gilberta, che esce in quell’istante, vede la Vergine. In preda all’eccitazione, i ragazzi corrono verso casa. La piccola Gilberta, rimasta indietro, inciampa e cade. I quattro più grandi tornano indietro per aiutarla e la visione è ancora là, luminosa. Giunti nelle rispettive case, raccontano ansimando di aver visto la Madonna. Com’è prevedibile, nessuno crede loro, anzi papà Voisin minaccia di picchiarli se continuano a raccontare tali storie. Ferdinanda, la più grande, replica con fermezza: «Papà, noi abbiamo visto la Santa Vergine. Mi puoi picchiare se vuoi, ma io dico ancora di aver visto la Santa Vergine». Il papà li manda a letto senza cena. La mamma della piccola Gilberta, donna forte e decisa, la castiga non concedendole l’ambìto privilegio di dormire con lei nel letto grande. Le altre apparizioni La sera seguente i genitori, armati di bastoni, accompagnano i figli per perlustrare il giardino delle suore e scoprire eventuali burloni intenzionati a spaventare i bambini. Giunti alla cancellata, i ragazzi vedono di nuovo la Vergine, luminosa, sorridente come la sera precedente. La notizia si diffonde nel paese e crea enorme imbarazzo nei genitori, che non sanno come togliere dalla testa dei loro ragazzi quella che reputano una fissazione. Non valgono le lusinghe, né le minacce.
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EL GIO)
l cuore d’oro” Le apparizioni si susseguono quasi ogni giorno fino al 3 gennaio 1933. Ogni sera, alle 18,30, i cinque ragazzi si recano davanti alla cancellata del giardino, seguiti da una marea di gente. Appena arrivati, iniziano a recitare il rosario e, come avviene la visione, crollano in ginocchio e la loro voce acquista un timbro particolare, più limpida e più sonora. I medici eseguono alcuni esperimenti su di loro: danno loro dei pizzicotti, li pungono con la punta del temperino, fanno ardere fiammiferi sotto le loro mani, ma i ragazzi non si accorgono di nulla. Ciò che ha detto la Vergine È difficile attribuire all’apparizione di Beauraing un messaggio particolare. Si può dire che essa si pone in continuità con le apparizioni più recenti, soprattutto quelle di Lourdes e di Fatima. La Vergine si presenta
come la Madre di Dio e la Regina del Cielo, l’Immacolata. Mostra il suo cuore d’oro e raggiante di luce. Chiede che si venga in pellegrinaggio e si costruisca una cappella. Promette che avrebbe convertito i peccatori. Nel 1943 il Vescovo di Namur permette il culto di Nostra Signora di Beauraing; poi, nell’ottobre del 1945 benedice la prima statua della Madonna e il 2 luglio 1949 riconosce il carattere soprannaturale delle apparizioni. Nel frattempo, nel 1947, era stata posata la prima pietra della cappella, concepita come una solenne abside aperta sul giardino delle apparizioni e con una precisa simbologia mariana. Davanti alla cappella è scavata una cripta e in seguito, nel 1968, si erige una vasta chiesa, capace di accogliere oltre cinquemila
Nelle foto di questa pagina, alcuni particolari del Santuario.
persone, con criteri tali da non alterare l’ambiente delle apparizioni. In questi ultimi anni Beauraing, come la vicina Banneux, si è affermata come il più importante santuario del Belgio, mèta di pellegrinaggi provenienti da ogni nazione. Il luogo accogliente e le celebrazioni sobrie fanno sì che le semplici frasi del messaggio della Madonna penetrino nell’animo, facendo riflettere e pregare. Fernanda e Andreina, le più grandi dei veggenti, sono decedute qualche anno dopo la visione. Gli altri tre non si sono fatti religiosi, come molti si aspettavano, ma si sono sposati e hanno avuto una numerosa famiglia felice. Mario Morra
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Storia illustrata dei Papi
Centro di Documentazione
I Papi della prima m del quarto secolo
San Marcellino (296-304) Il pontificato di San Marcellino coincide con il periodo più acuto della persecuzione dell’imperatore Diocleziano. Il Liber pontificalis pone il suo martirio il 25 ottobre del 304, nello stesso giorno in cui Diocleziano abdica, mentre la persecuzione dei cristiani continuerà, furibonda e sanguinosa, fino all’editto di Costantino del 313. San Marcello I (308-309) Di lui si ricorda il comportamento tenuto con quei cristiani che avevano rinnegato la fede per paura. A differenza di altri, papa Marcello I li riaccoglieva dopo un periodo di penitenza. Papa Damaso I (366-384) ha scritto di lui: “Manifestò ai lapsi l’obbligo di espiare il loro delitto con lacrime di penitenza: da quei miserabili fu considerato come un terribile nemico... Per il delitto di uno, che anche durante la pace rinnegò Cristo, Marcello è stato deportato, vittima della crudeltà di un tiranno”. La Chiesa commemora Marcello I il 16 gennaio. È sepolto a Roma, nel cimitero di Balbina, lungo la via Ardeatina. Sant’Eusebio (309-310) Greco di nascita, esercita la professione di medico per alcuni anni ed è eletto Papa nel 309 (o 310). Il suo pontificato dura solo pochi mesi, dal 18 aprile al 17 agosto. Esiliato dall’imperatore Massenzio, muore in Sicilia e, riportato a Roma, è sepolto nelle Catacombe di San Callisto. 24
Papa Marcellino operò durante la terribile persecuzione di Diocleziano. Fu sepolto nelle catacombe di Priscilla.
San Milziade o Melchiade (311-314) Dopo un periodo di incertezza a causa della persecuzione, è elet-
to Papa, l’11 luglio 311, San Milziade di origine africana. Grazie all’editto di Costantino, il suo pontificato segna l’inizio di una nuova era per la Chiesa, un’era
Papa Damaso I (366-384) scrisse di Papa Marcello I: “Manifestò ai lapsi l’obbligo di espiare il loro delitto con lacrime di penitenza”.
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a metà di pace, di prosperità, di libertà e di espansione. Già nel 312, dopo la vittoria sul feroce persecutore Massenzio, Costantino abroga le leggi persecutorie, restituisce i beni confiscati ai cristiani e richiama tutti gli esiliati. L’anno successivo, il 313 emana il celebre Editto di Milano con il quale promulga la libertà della Chiesa e la tolleranza del culto cristiano. Il Papa pone la sua residenza nella domus Faustae che diventerà il Palazzo del Laterano, nel quale abiteranno tutti i suoi successori fino al Medioevo.
mulgati alcuni canoni liturgici e disciplinari. Il suo pontificato, ricco di importanti avvenimenti e trasformazioni, si chiude il 31 dicembre, giorno in cui la Chiesa ne ricorda la memoria.
San Silvestro I (314-335)
San Giulio I (337-352)
Nato a Roma, è eletto Papa a fine gennaio del 314; il suo pontificato è il primo che abbraccia un periodo lungo 21 anni. Nonostante l’editto di tolleranza di Costantino, esplode nuovamente la persecuzione ad opera dell’augusto Licinio, imperatore d’Oriente, che provoca numerose vittime specialmente in Asia Minore. Costantino affronterà Licinio e lo sconfiggerà nella battaglia di Crisopoli nella primavera del 324. La conquista della libertà religiosa non segna però la fine delle eresie, anzi ne favorisce l’esplosione e la diffusione. Le più turbolente si scatenano proprio durante il suo pontificato. Nella Chiesa d’Africa sorge l’eresia donatista e le Chiese orientali sono lacerate dall’eresia ariana. San Silvestro convoca a Roma un sinodo di 275 vescovi nel quale sono ratificati i decreti del Concilio di Nicea del 325 e sono pro-
Dopo il brevissimo pontificato del Papa San Marco – durato da
Papa Eusebio fu deportato in Sicilia dall’imperatore Massenzio. È sepolto nelle Catacombe di San Callisto.
gennaio ad ottobre 336 – il 6 febbraio 337 è eletto Papa Giulio I romano. Egli assume il governo della Chiesa in piena crisi ariana. A lui si attribuisce la costruzione di numerose chiese. La sua festa si celebra il 12 aprile, giorno della morte.1 Mario Morra 1
BATTISTA MONDIN, Nuovo Dizionario Enciclopedico dei Papi, storia e insegnamenti (Roma, Città Nuova 1995). Nuova Edizione, aprile 2006.
BIBBIA TOB Nuova traduzione CEI Editrice Elledici, pagine 2944, rilegato con copertina in ecopelle (offerta lancio € 29,00 anziché € 35,00) e brossura (offerta lancio € 24,00 anziché € 28,00). Acquistabile anche online: http://www.elledici.org L’obiettivo della nuova Bibbia TOB 2009 è quello di offrire in un unico volume uno strumento aggiornato e insostituibile. Aggiornato con il nuovo testo CEI, insostituibile perché la Bibbia TOB rappresenta a tutt’oggi il massimo consenso mai raggiunto nel campo dell’esegesi e dell’interpretazione tra biblisti di diversa confessione. Inoltre il gruppo di lavoro del commento TOB rimane il più autorevole mai riunito a collaborare. 25
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notizie notizie e avvenimenti A cura di Mario Scudu
Quali sono le differenze fra Cristianesimo e Islam, se adorano ambedue lo stesso Dio? Sono tantissime e non si possono esaurire in poche battute. Semplificando molto si può dire che, alla base di tutto, l’Islam manca della trinità e di Gesù Cristo: è rimasto all’Antico Testamento. Cristo è venuto a rivelare che Dio è uno solo, ma in tre Persone uguali e distinte, che esprimono l’essenza divina, che è amore e si fa uomo. Per l’Islam invece, è la Legge del Sinai, il Dio assoluto e impenetrabile che giudica e punisce. La radice di tutte le abissali differenze fra Cristianesimo e Islam sta proprio in questo: all’Islam manca Cristo. Gesù è venuto a rivelare la dignità di ogni uomo, quindi i diritti dell’uomo, la libertà dell’uomo anche di fare il male, perché Dio non s’impone con la forza, ma chiede a sua volta amore e libera corrispondenza. La Sharia (legge islamica) è fondata invece su una triplice disuguaglianza: tra musulmano e no, tra uomo e donna, tra libero e schiavo. Il cristianesimo ha abbattuto
© Archivio Servizio Diocesano Terzo Mondo
Cristianesimo e Islam
Gerusalemme, città santa di tre religioni. La basilica del Santo Sepolcro.
tutte le barriere del razzismo e del sessismo, come dice San Paolo: “Voi tutti siete figli di Dio per mezzo di Gesù Cristo (...). Non ha più alcuna importanza l’essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna, perché uniti a Cristo siete diventati un sol uomo” (Gal 3,26-28). Diverso anche l’atteggiamento di fronte alla violenza: per il cristiano la vera fede non si impone con la spada. Nell’Islam fin dall’inizio la fede si diffonde anche con la conquista militare dei popoli, convertiti con la forza delle armi. È vero che pure nel Cristianesimo abbiamo non pochi esempi del genere, ma sempre contro il Vangelo, mentre la “violenza per Dio” è parola del Corano. Oggi i “riformisti” islamici tentano di interpretare diversamente la guerra santa,
Spesso il pirata agisce sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti. Per questo decide di sottrarsi alle proprie responsabilità. Hanno rilievo consistente anchi i casi di veicoli con assicurazioni scadute o addirittura false. 323 episodi / 93 morti / 331 feriti. Tra i morti o i feriti: 54 anziani / 41 bambini. Smascherato il 77,1% degli autori. Alcol e droga presenti nel 43,8% dei casi. 31,3% gli stranieri. Il 53,6% degli atti di pirateria avviene di giorno. Al primo posto la Campania, con 39 casi. Età media dei pirati della strada: tra 18 e 44 anni. (Fonte Asaps) 26
Vincenzo Tersigni / Eidon
PIRATI DELLA STRADA 2008
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UN DECALOGO DELLA FELICITÀ
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Accettarsi come siamo e con gioia. Prestare attenzione più a quello che abbiamo ricevuto che a quanto ci manca. Ringraziare Dio anziché lamentarci. Dire sempre bene degli altri e dirlo ad alta voce. Non paragonarci mai agli altri: il confronto porta all’orgoglio o alla disperazione, e non rende mai felici. Vivere nella verità, senza temere di chiamare bene ciò che è bene e male ciò che è male. Risolvere i contrasti col dialogo e non con la forza: mantenere il rancore vuol dire chiudersi nella tristezza. Nel dialogare cominciare sempre da ciò che unisce, e solo dopo affrontare ciò che divide. Fare il passo della riconciliazione prima di sera. Credere sempre che perdonare è più importante che avere ragione. Anonimo
che per loro vorrebbe dire guerra contro le proprie passioni, mortificazione. Ma tutta la storia dell’Islam dimostra il contrario e la tradizione della “guerra santa per Dio” continua ancor oggi. Dove i musulmani sono maggioranza a volte impongono la fede islamica con violenza, come nel Sudan o nell’Afghanistan dei talebani, condannando a morte i musulmani che si convertono a un’altra religione, eccetera. All’Islam manca la distinzione tra religione e politica, tra sacro e profano, fra comunità religiosa e comunità civile; quindi fra dittatura teocratica e democrazia, fra libertà e pensiero unico anche in campo religioso... Da un’intervista a Padre Piero Gheddo, missionario del PIME e fondatore di “Asia News” e “Mondo e Missione”, apparsa in “Pagine Aperte”, 2009.
Dormite al volante? Il sonno e la stanchezza sono uno dei nemici per chi guida. Si stima che tra il 15 e il 40% degli incidenti più gravi sia imputabile a
Foto Barbarina Scudu
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Alba su Torino.
sonno o stanchezza, il più delle volte associato ad altre concause: alcol, medicinali, pasto abbondante. Sono considerati fattori di rischio: l’età, l’eccesso di cibo o alcol, l’appartenenza ad alcune categorie professionali, i disturbi del sonno, ma anche il russare sonoramente e l’assunzione di farmaci. Sono invece considerate situazioni a rischio: il tempo eccessivo di guida, viaggiare da soli, guidare in ore notturne, stress e affaticamento, l’eccessiva regolarità del viaggio, la temperatura troppo alta nell’abitacolo, la guida sotto il sole o nella nebbia. Come evitare il colpo di sonno? Prima di tutto iniziare il viaggio ben riposati; poi evitare di guidare in ore notturne, o con temperature interne troppo alte. Ed è inutile bere caffè, bagnarsi il viso con acqua fredda, alzare lo stereo e fumare. Sul sito www.aci.it è possibile affettuare un test per capire che probabilità ci sono di assopirsi o addormentarsi alla guida. Da ACI (Automobile Club d’Italia)
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Sacerdote, vescovo Avvenimenti
S
ono trascorsi 30 anni dalla morte del vescovo di Asti mons. Giacomo Cannonero, ma io sento ancora il suo mandato, il giorno della mia Cresima, l’8 luglio 1956, mentre mi ungeva la fronte con il sacro crisma: “Io ti segno con il segno della Croce e ti confermo con il crisma della salvezza...”. E poi, all’omelia, nella chiesa gremita, rivolto in primis ai cresimati: “Gesù Cristo! Gesù Cristo solo e nessun altro! La vita come milizia. Milizia di Gesù Cristo. Abbi l’orgoglio di essere cattolico. Sempre. A fronte alta. Come i militi e i martiri della Vandea!”. (La Vandea è la regione nel nord della Francia, dove ai tempi della rivoluzione, gli abitanti cattolicissimi insorsero contro il governo rivoluzionario, che combatteva Cristo e la Chiesa, e preferirono essere sterminati – il primo genocidio della storia moderna – piuttosto che rinnegare la fede). Un giorno, lo stesso Vescovo, celebrando la Santa Messa nella mia parrocchia di Costigliole d’Asti, durante l’omelia ricordò: “Era l’11 settembre 1921. Io avevo 20 anni ed ero chierico nel Seminario di Acqui (AL). Vestendo abiti civili, partecipai al Congresso dei giovani cattolici a Roma. Ma subimmo l’attacco delle guardie regie, ordinato dal governo, che aveva proibito la ma28
nifestazione. C’ero anch’io. In quel parapiglia, si distinse un giovane di Torino, Piergiorgio Frassati, che pur finendo arrestato con altri amici, seppe difendere dall’assalto la bandiera del Circolo Cattolico. Io ritornai in Seminario più fiero di appartenere a Cristo, di prolungare la sua vita nel sacerdozio, di spendermi per Lui e per le anime. Ecco, anche voi, ragazzi e giovani miei amici, dovete vivere e spendere la vita per Gesù, per la Chiesa e per le anime. Qualcuno di voi – anzi molti di voi – deve sentire la sua voce: «Vieni e seguimi», e farsi sacerdote. Io l’ho ascoltato Gesù, l’ho seguito, e sono qui La Collegiata San Secondo, martire, patrono di Asti, dove Mons. Cannonero parlava alle autorità civili della Diocesi, affinché “fossero sempre gentiluomini cristiani cattolici”.
oggi, a portare la sua Croce, come Vescovo, sempre a fronte alta, domani, nella vita eterna. Ecco, è lassù, in Paradiso, che dobbiamo arrivare tutti”. Nell’Azione Cattolica Chi parlava così, senza mai lasciare dormire nessuno, era mons. Giacomo Cannonero, nato a Ovada (AL), il 31 gennaio 1902. Il 13 luglio 1924, a soli 22 anni, era stato ordinato sacerdote. Aveva completato gli studi con la laurea in teologia a Genova e una seconda laurea in Diritto Canonico all’Apollinare a Roma. Tra i suoi maestri, mons. Alfredo Ottaviani; tra i suoi giovani amici, don Giuseppe Siri, i quali, entrambi, faranno parlare di sé a lungo nella Chiesa e oltre. Tutt’altro che uno sprovveduto questo don Giacomino, che già allora aveva fede robustissima e parola forte, ed era un innamorato di Gesù e della sua Chiesa, incapace di compromessi. Per tre anni, è viceparroco, poi segretario del suo Vescovo, mons. Lorenzo Bel Ponte, e docente di Teologia Dogmatica in Seminario. Conosce bene gli errori che circolano nel mondo e nel suo insegnamento li confuta: li distrugge, spiega e difende la Verità tutta intera del dogma cattolico. Lavora a fondo in
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o e maestro di verità Giacomo Cannonero 31 gennaio 1902
1º agosto 1977
Il vescovo di Asti, saluta amorevolmente un sacerdote durante una visita pastorale (6 maggio 1956).
mezzo alla gioventù: “All’Azione Cattolica – dirà un giorno – oltre che alla mia famiglia e al mio Seminario, devo la mia formazione spirituale e fui, per una quindicina d’anni, assistente della gloriosa G.I.A.C.: tutto ciò non lo potrò mai dimenticare, perché è diventato come una necessità del mio vivere, una legge del mio operare” (27 dicembre 1952). Dunque, la vita e il sacerdozio vissuti come culto a Dio e impegno a tempo pieno a condurre le anime a Lui e radicare Cristo nella società. È anche predicatore di missioni al popolo: quando parla, la sua parola è apologia della Fede e della Chiesa, e conquista di cuori a Gesù Cristo. Neppure gli anni terribili della guerra, riescono a fermarlo. E dopo la guerra, offre il
suo forte contributo per la ricostruzione delle famiglie e della società “in Christo Jesu”. Propone modelli di vita ai quali è lui il primo a guardare per imitarli: San Giovanni Bosco (18151888), mons. Giuseppe Marello (1844-1895), prete astigiano e Vescovo di Acqui (canonizzato nel 2001), e la giovane Teresa Bracco (1924-1944), martire a 20 anni per difendere la sua verginità, proprio in terra acquese, e oggi beata. Nel 1950, l’Anno Santo voluto da Pio XII il 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, mons. Giacomo Cannonero è consacrato Vescovo: sarà coadiutore, con diritto di successione, di mons. Umberto Rossi, Vescovo di Asti, al quale succede l’11 novembre 1952. Pastore di anime Ancora da Vescovo coadiutore, il 18 giugno 1951, così scrive “ai sacerdoti giovani”: “Figli di questa povera generazione ammalata e distratta, superficiale e nervosa... hanno spesso delle magnifiche doti esterne, ma alla loro attività manca l’anima. Dimenticano una Verità fondamentale, la Verità espressa da Gesù con le parole: «Chi è unito a me, porta molto frutto». Ora l’unione vitale e abituale con Cristo, si attua solo per mezzo dello spirito di preghiera. I preti che lasciano solchi profondi nelle anime sono ancora e sempre i preti che conoscono le ore di intimità con Dio e non quelli che si danno
arie di modernità e credono di rinnovare il mondo, solo perché sono presuntuosi e gonfi di se stessi”. È il ritratto e lo stile di mons. Cannonero e negli anni del suo episcopato astense, in fondo, non ripeterà che questa lezione, sotto forme diverse. Nella sua prima lettera pastorale (27 dicembre 1952) afferma con autorevolezza: “Quando fui designato all’onore e all’onere dell’episcopato e dovetti scegliere tra l’altro uno stemma, volli nella parte inferiore un mare tempestoso; nella parte superiore una stella: la Madonna! In fondo, le parole del salmo 118: «Servus tuus sum ego». Nella mia intenzione, erano parole rivolte alla Madonna, nello spirito della santa schiavitù d’amore di quel grandissimo santo che fu San Luigi De Montfort”. Sarà il Vescovo della Madonna e dell’Eucaristia, così come apparirà evidente dai Congressi Eucaristici Mariani da lui celebrati in diversi centri della diocesi, e nelle lettere pastorali, numerose e di singolare bellezza, come si può vedere solo scorrendone i titoli: “La Madonna che piange” (1954); “San Domenico Savio e la Madonna; salviamo la gioventù” (1955); “O Chiesa mio amore!” (1956); “Messaggio materno per i nostri tempi” (1957); “La divina Maternità di Maria” (1958); “La Chiesa, Corpo mistico di Cristo” (1959); “Il Regno di Dio sulla terra” (1960); “Io sono la vita” (1961)... Bastano questi titoli a far risaltare mons. Cannonero, come maestro della Fede, sacerdote di Dio e padre delle anime a immagine di Cristo, il pastore lucido e forte che vede e vigila e difende dai lupi la porzione di gregge che gli è stata affidata, anche dai lupi travestiti da agnelli o, peggio, da falsi pastori, che non mancano mai in mezzo al gregge. ➠ 29
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La bellissima Cattedrale di Asti, dedicata a Maria Assunta, dove Mons. Cannonero ordinava i suoi sacerdoti e parlava al popolo.
Il primato del Crocifisso Nella primavera del 1962, insieme ai suoi sacerdoti, mons. Cannonero svolge ad Asti un sinodo che promuove una legislazione dove è delineata la chiara identità del sacerdote – del parroco – il suo essere “alter Christus”, il suo ufficio di evangelizzatore e di santificatore delle anime, soprattutto con il ministero delle Confessioni e della direzione spirituale, con la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa. Se la diocesi di Asti avesse messo in pratica queste disposizioni sinodali, sarebbe diventata fiorente di vita cristianacattolica, di santità nel laicato e nel sacerdozio, ricolma di vocazioni. Invece, come disse Papa Paolo VI, “è arrivata la tempesta!” (15 luglio 1970). Al Concilio Vaticano II, mons. Cannonero, insieme ai suoi “amici” Cardinali Ottaviani, Siri, Ruffini, Antoniutti, e a Vescovi come Carli, è difensore della vera Dottrina cattolica, “da ogni vento di follìa che spira attorno”, come si esprime il Card. Journet nelle sue lettere a Maritain. Gli anni del post-Concilio lo vedono al suo posto, senza mai cedere alle mode correnti, sicuro che quando 30
viene meno una sola Verità del Credo e della Morale Cattolica, tutto, presto, si disgrega, e grande è la rovina. Al centro della sua azione rimane per tutto il suo episcopato quanto ha scritto con semplicità e chiarezza nella sua prima lettera pastorale: “È nostro dovere conservare nella sua piena validità e nella sua piena efficienza questa forma insuperabile di formazione cristiana, questo strumento potentissimo di rinascita spirituale. Altre manifestazioni esterne possono illudere e deludere, questa no; qui si punta direttamente su quelle che sono le sorgenti della vita cristiana; la Confessione e la Comunione”. Discorso da vero sacerdote, cioè colui che si offre a Dio e dona Dio, nella preghiera, nell’intimità con Gesù, nella disponibilità per le Confessioni e per la direzione spirituale, nella lotta contro il peccato e contro gli errori del laicismo, dell’ateismo, del comunismo, del relativismo oggi dilagante, della negazione di Dio sotto ogni forma, nella predicazione e nella difesa della Verità immutabile, andando spesso contro-corrente. Questo ministero, questo stile contro-corrente al mondo, mons. Cannonero lo pagò sopportando
la beffa e l’impopolarità, mentre “il mare” del secolo si faceva più tempestoso, prendendo parte nel suo cuore e nella sua carne, sino alla fine, alla Passione di Gesù, per e con Gesù Crocifisso, l’unico Amore della sua vita. Il 1º agosto 1977, in Piemonte, festa di Sant’Eusebio, Vescovo di Vercelli e patrono della Regione piemontese, difensore della divinità di Cristo al tempo di Sant’Atanasio, mons. Cannonero va incontro a Dio. L’ultima gioia l’aveva avuta il 13 luglio 1974, suo 50º di sacerdozio, con la lettera, l’elogio e la benedizione personale di Papa Paolo VI. Quel suo Cattolicesimo non facile, ma forte e felice, è l’unico che può rifare la storia a immagine di Cristo e darci l’eternità beata. Ancora oggi sento la sua voce, come una squilla, una chiamata che innamora e scuote a ritrovare la nostra identità cattolica e il gusto della nostra missione: “O fratelli, o figli, o mio popolo, stringiti attorno a Cristo Crocifisso, stringiti al suo Cuore, con la forza dei militi della Vandea, con la luce e la potenza dei nostri santi, a spendere la vita per Lui. Non temere. Tutto passa. Gesù solo resta con la fronte redimita di spine... e di gloria”. Paolo Risso
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La pagina del Rettore
Carissimi amici, l mese di novembre si apre con la festa di tutti i Santi, a ricordarci che la meta e l’impegno della santità è per tutti i cristiani e non solo per alcuni privilegiati. A tutti è rivolta la Parola del Signore: “Perciò, dopo aver preparato la vostra mente all’azione, siate vigilanti, fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si rivelerà. Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri d’un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: Voi sarete santi, perché Io sono santo” (1Pt 1,13-16). Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, la “Lumen Gentium”, ci ricorda: “È chiaro dunque a tutti, che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità... Nei vari generi di vita e nei vari uffici un’unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio” (LG 40-41). Certo alcuni nostri fratelli e sorelle hanno vissuto questa dimensione in modo straordinario, ma questo non deve farci pensare che la santità sia riservata a pochi eletti, creandoci una specie di alibi per giustificare la nostra medio-
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“Voi sarete santi perché Io sono santo” crità e il nostro disimpegno. Così si esprimeva Sant’Agostino parlando dei Santi: “Se questi e quelli, perché non io?”. Non sarà necessario per noi finire nelle nicchie e sugli altari delle chiese, ma sarà necessario, fedeli alla volontà del Signore, vivere in pienezza la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità: “Ognuno, secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità” (LG 41). Questa è la santità, la sfida, in piena conformità al volere del Padre. Il cammino di santità, quindi, non è un optional, ma un impegno di tutti i cristiani, che segnati dallo Spirito Santo nel Battesimo hanno ricevuto questa possibilità e questo compito. Don Bosco nella sua semplicità e concretezza così un giorno predicò ai suoi ragazzi: “Dio vuole che ci facciamo santi; è facile farsi santi; un gran premio è preparato per La santità: fare in modo straordinario le cose ordinarie.
chi si fa santo”. Fra gli ascoltatori c’era Domenico Savio, che afferrò al volo queste parole, si affidò alla guida di Don Bosco, e, in pochi anni, percorse con gioia il cammino di santità nella vita quotidiana. A volte siamo bloccati in questo cammino perché pensiamo che per raggiungere la santità bisogna fare cose straordinarie, percorrere strade sublimi, darsi a penitenze durissime. Forse una certa agiografia del passato può averci indotti a questi pensieri. Non si tratta di fare cose straordinarie, ma fare in modo straordinario, cioè pieno d’amore, le cose ordinarie. San Francesco di Sales e Don Bosco ce lo hanno insegnato con molta chiarezza. Maria, la tutta Santa, ci accompagni in questo cammino e ogni giorno, pensando a Lei e ai Santi, aiuti anche noi a ripetere con slancio e verità: “Se questi e quelli, perché non io?”. Con un ricordo per tutti in Basilica. Don Franco Lotto Rettore
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SOMMARIO
Io vedo un universo di fremiti lucenti che palpitano, ma non sono materia. Sono luoghi di gloria canora e dolce dove lieti per sempre trionfano i tuoi Santi, e vivono intrecciando con misure di grazia storia nel cuore dei viventi.
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Piera Paltro, “Al di là”, Italscambi, Torino 1984. Il giudizio universale (parcicolare Il Paradiso), Fra Angelico (1400-1455)
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La vergine “dal cuore d’oro” - Calendario mariano - MARIO MORRA
Orientamenti e impegni... L’Adma nel mondo PIER LUIGI CAMERONI
I Papi della prima metà del quarto secolo - Centro di Documentazione - MARIO MORRA
e avvenimenti 26 Notizie M S Cannonero - Santi di ie28 Giacomo R ri e di oggi - P sarete santi perché io sono 31 “Voi santo” - La pagina del Rettore ARIO
CUDU
AOLO
“La gioia di comunicare Cristo” Avvenimenti - L. BARONE E D. BOSA
ISSO
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