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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO
1,70 Euro IT
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meno uno!
4 Il Rettor Maggiore
in attesa del bicentenario
28 Tiziano Ferro:
v ivere con Misericordia
46 Sindone. Ostensione in onore di don Bosco”
Sommario
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58 il saluto del rettore 1 T utti invitati il 31 gennaio
IN CAMMINO CON MARIA 14 La Signora Maria, madre di Dio
A tutto campo 4 Da mihi animas, cetera tolle
GIOVANI IN CAMMINO 16 Come sogni la Chiesa di domani?
Sfide educative 7 Una nuova baby sitter: il tablet 8 Un punto di svista: i ragazzi
AMICI DI DIO 18 S ono Valentino. Vi scrivo. MARIA NEI SECOLI 20 Don Bosco tra i presepi
ACCOGLIAMOCI 10 Separarsi è bello. Sì. Forse. Anzi, no.
LA PAROLA QUI E ORA 22 Gesù “riconosciuto” dal Padre
LEGGIAMO I VANGELI 12 Una famiglia nuova
ESPERIENZE 24 Sport in “rete”, come don Bosco 26 Cerea. don Meco! 28 «Vivo i miei giorni chiedendo misericordia»
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40 domus mea ic
32 C’è chi dice no 34 Alla ricerca dell’essenziale
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980
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Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net
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Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)
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poster
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SEMPRE CON NOI 36 Addio a don Giuseppe CaprA MAMME SULLE ORME DI MARIA 38 Madre coraggio 54 Francesco: il papa dall’aforisma facile 56 Quel prete (inesistente?) di Baghdad 58 Domenica non è più domenica 60 Che Cosa fareseti se...
L’AVVOCATO RISPONDE 40 “In vino veritas”
ma può anche uccidere...
DON BOSCO OGGI 42 Don Pagella: campione della musica organista
POSTER
44 ADMA al Capitolo Generale 27
Don Bosco, tra terra e cielo
CHIESA VIVA 46 La Sindone nel Bicentenario di don Bosco 48 IN silenzio nel cuore della città 50 Un panettone, un brindisi... e poi? 52 Nuovo Sinodo:
Fai della tua vita qualcosa che vale
le sfide pastorali della famiglia
Foto di Francesca Moore
“Perché il malato di lebbra cessi di essere lebbroso, bisogna guarire quelli che stanno bene. Bisogna guarire quelle persone terribilmente fortunate che siamo noi da un’altra lebbra, singolarmente più contagiosa e più sordida e più miserabile: la paura. La paura e l’indifferenza che troppo spesso essa porta con sé”. (Raoul Follereau)
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Ninga Shetty, 59 anni, con disabilità causate dalla lebbra. Grazie al sostegno di AIFO è diventato un artigiano locale.
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61^ giornata Mondiale dei Malati di lebbra sotto l’alto Patronato del Presidente della repubblica
26 gennaio 2014 Programma e informazioni sul sito
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AIFO è partner ufficiale dell’OMS-DAR, ed è riconosciuta dal MIUR come ente formativo.
Locandina Lebbra 2014 Hearst Italia 212x280.indd 1
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sfide educative
Un punto di “svista”: i ragazzi Ispirato dalle notizie riguardanti don Giovanni Cocchi, che pochi anni prima di lui aveva tentato di radunare all’interno di un Oratorio i ragazzi disagiati di Torino, don Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Incuriosito dalla vita e dalle opere di san Giovanni Bosco, battendo le strade del mio lavoro, mi sono fermato a riflettere su quale sia la vera povertà e il disagio che attraversano i giovani del mio tempo per diventare adulti. Di fatto la povertà dei nostri tempi, seppur sembri ritornare prepotentemente in auge una concreta mancanza di soldi e lavoro, è figlia di una povertà d’animo e mancanza di desiderio che pare non abbia uguali nella storia dell’umanità. Una gran parte dei ragazzi quasi non sognano più: non combattono per entrare a far parte del mondo, né hanno l’ardire di cambiarlo con le loro idee. Si spengono in una qualche vita tecnologica e sociale che massifica le coscienze e rende le relazioni umane un qualcosa di già visto in tv. Sono annoiati. In declino. La maggioranza degli
adulti, in queste nostre società globali ed informatiche, gli ruba sempre la scena. Così alcuni di loro, seppur talentuosi e forti, non hanno che locali nei quali identificarsi, stare, e transitare. Discoteche, pub, ristoranti, e viaggi. I viaggi per piacere o per studio sembrano ben rappresentarli quali metafora di senso. Non è un caso che gli Ostelli della Gioventù spopolino in tutta Europa. Ma quando stanno male? Quando l’ansia, gli attacchi di panico e la depressione invia loro sms dal profondo, chi li accoglie? Quando somatizzano una mancanza di appartenenza o di riconoscimento, o solamente incominciano a comprendere che l’esistenza è un mistero meraviglioso e duro all’interno del quale stare, a chi possono rivolgersi? Quale Ostello pensato per loro da un adulto gli potrebbe dare ospitalità, rincuorarli, ed accompagnarli nel cammino che devono necessariamente fare per diventare pienamente e responsabilmente essere umani maturi? Chiese, oratori, collegi, e cliniche sono passati di moda. Gli ospedali e le comunità non sono una realtà facile da comunicare, né fanno rima con
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amore e speranza; figurarsi con carità. L’unica è diventare noi adulti uno specchio e un luogo di relazioni possibili e salutari per i nostri ragazzi.
Quando l’ascolto è una parte della soluzione
Esiste. Aiutatelo a crescere.
Da un po’ di tempo ormai, una mia paziente, mi raccontava che trovava un po’ di pace solo immaginando di sistemarsi con il letto all’interno del mio studio. Messa di fronte all’evidenza che sembrava venisse in terapia solo per respirare l’armonia e la calma che uno studio ed un appartamento creativo le donavano, mi sono permesso di ironizzare: «Certo, sa cosa le dico, perché fermarsi a lei? Affitto un locale di alcune stanze, una per i ragazzi, una per le ragazze, più uno studio per me, due bagni, un salotto in comune per studiare e leggere, duplico le chiavi per tutti e metto pure a disposizione uno psicologo un’ora al giorno per un colloquio individuale. Dimenticavo, un medico reperibile in caso di emergenza ed un adulto che controlli che non avvengano contatti promiscui ed il gioco è fatto vero? Aspetti, magari lo chiamo anche Ostello Terapeutico della gioventù, unendo così l’aspetto di soggiorno e quello di cura, e siamo a cavallo». Lei, 22 anni, guardandomi radiosa, mi ha risposto... «Perché no, sarebbe fantastico».
adulto, non si è perso, si sta solo cercando. Cerca un posto all’interno del mondo. Ostello: la location, la cura nell’arredo, è stata studiata per restituire libertà e suscitare desiderio in chi vi entra. Desiderio di apportare il proprio personale contributo all’umanità. Questo nostro Ostello accoglie nella misura in cui un museo di arte contemporanea potrebbe gestire spazi e camere dove si potrebbero tenere corsi di ogni tipo rivolti al benessere psico-fisico-spirituale. L’Ostello è la cura. Terapeutico: il terapeuta torna ad essere concepito come un compagno servitore. È terapeutico, mettersi al servizio di qualcuno ed accompagnarlo nel percorso che riterrà più utile per sé. Gli operatori che gestiscono l’Ostello sono preparati per consigliare il percorso adatto ad ogni giovane forestiero che accoglieranno. Stress, ansia, depressione, attacchi di panico, ludopatie, compulsioni sociali, problematiche di coppia, verranno approcciate sia in maniera classica, con la psicoterapia, sia con tutte le altre attività inserite appositamente per prendersi cura della persona intera che si rivolge all’Ostello. Arte terapia, danza, training autogeno, narrazione del proprio romanzo familiare, momenti di preghiera e silenzio, osteopatia, riflessologia plantare, fino ad arrivare al dentista per i problemi legati alle ansie notturne e al conseguente bruxismo.
Il significato delle parole … Ostello e Terapeutico L’Ostello Terapeutico, si propone come finalità prima quella di essere una realtà nel campo della prevenzione del disagio giovanile, fornendosi come spazio concreto a mezzo tra una casa moderna ed un luogo di tutela della salute psichica e relazionale. L’Ostello Terapeutico è un percorso. Una risposta possibile alle angosce che i giovani adulti sperimentano pensando al loro futuro. Il giovane
L’Ostello Terapeutico garantisce che ogni ragazzo pagherà in base alle proprie reali possibilità economiche. Il resto lo metterà una Fondazione Cristiana appositamente strutturata
Quando Dio mi pensò Arturi Luca Editore Intento, 2013 pagine 160, euro 14,00 acquistabile dal sito www.otelloterapeutico.it
Luca Arturi, psicoterapeuta luca.arturi@hotmail.it
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accogliamoci
Separarsi è bello. Sì. Forse. Anzi, no.
La separazione apre la strada a grandi sofferenze, non soltanto personali. Anche nelle situazioni più difficili si può e si deve valutare sempre la possibilità di ricominciare insieme. C’era una volta una certa tendenza – falsa e ingannevole – che proclamava: «Separarsi è bello, divorziare tutto sommato rientra nelle possibilità della vita di coppia». A sostenere una tesi tanto fuorviante e bugiarda, dannosa per le persone e altrettanto devastante per la società, erano soprattutto – soltanto pochissimo tempo fa – gli oltranzisti di
un certo radicalismo psico-sociale, sostenuti da larga parte di quell’intellighenzia mediatica che predicava il relativismo dei valori e il fai da te dell’etica. Ci sarebbe da indagare sugli effetti devastanti prodotti in tante coscienze fragili da questa ignobile vulgata psico-sociale sull’amore e sul matrimonio che in pochi anni ha intaccato modi di pensare e di
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agire. Ideologie pericolose travestite da verità fasulle che sono diventate convinzioni collettive e hanno fatto breccia ad ogni livello. A diffondere, persuadere, rilanciare con puntuale regolarità gli assiomi più dirompenti sulla vita di coppia anche le redazioni dei giornali, soprattutto certi settimanali femminili, capaci di trasformare in proposte comunemente
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accettate, luoghi comuni senza reale fondamento. Leggendo la posta delle lettrici si incontravano risposte del tipo: «Quando le cose vanno male, meglio separarsi per il bene dei figli». Oppure: «Tronca subito quando ti accorgi di aver fatto la scelta sbagliata. Inutile trascinare una relazione che comincia a fare acqua».
Il bene dei figli C’era una volta, abbiamo detto. Sì, perché oggi, anche questi teorizzatori dei legami fragili, cominciano a rivedere i loro schemi consunti. Se non è una vera e propria marcia indietro, poco ci manca. Eppure le statistiche delle disgregazioni familiari sono sempre quelle, impressionanti nella loro progressiva e inarrestabile crescita. Ci sono altri fattori però, altrettanto potenti e impressionanti, che hanno costretto a riflettere anche i teorizzatori più accaniti dei legami deboli. In pochi mesi il numero di violenze e di reati anche molto gravi di cui si sono macchiati padri separati incapaci di accettare la loro nuova condizione, è cresciuta in modo esponenziale. In un clima di crescente insicurezza sociale, spesso aggravata dalle difficoltà economiche, lo sfaldamento di tante famiglie sta diventando un carico psicologico insopportabile. Da qui tensioni, insofferenze, delitti familiari anche, che innescano, una serie di conseguenze sociali pesantissime da cui nessuno può sentirsi escluso. Eppure non da oggi appare evidente che ogni matrimonio che si lacera e va a pezzi porta con
sé dosi massicce di tensione, di stress, di dolore profondo, di smarrimento interiore. I reati sempre più gravi e numerosi compiuti da uomini incapaci di accettare le conseguenze della separazione sono soltanto l’iceberg di una devastazione sommersa che dovrebbe essere considerata emergenza sociale a tutti gli effetti. Soprattutto quando ci sono bambini e ragazzi costretti a sopportare, prima e dopo la fine del matrimonio, le incomprensioni, le chiusure, le ripicche e purtroppo talvolta le violenze dei genitori. Chi se la sente, di fronte a questi episodi, di proclamare ancora che “separarsi è bello”. Chi può continuare a sostenere per ragioni ideologiche la normalità o addirittura l’opportunità di un amore a tempo determinato?
Ricominciare Ecco perché ora è necessario correre ai ripari soprattutto sul piano culturale ma, soprattutto, sul fronte complesso e delicatissimo
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della formazione delle coscienze. Occorre spiegare, dati e fatti alla mano, che al di là delle possibilità offerte dalla legge, divorziare non è una possibilità ordinaria. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che separarsi e divorziare è un male, che spezzare un legame d’amore è un evento che apre la strada a grandi sofferenze, non solo personali. Dobbiamo dirci con franchezza che anche nelle situazioni più difficili si può e si deve valutare sempre la possibilità di ricominciare insieme. Ma per avviare questa grande operazione a vantaggio di tutti non basta la buona volontà. Servono strumenti legislativi, culturali, anche pastorali, di cui ancora non disponiamo. Pensiamoci. Non è una battaglia confessionale, ma un obiettivo di valore sociale che si inquadra nella prospettiva del bene comune. Luciano Moia, caporedattore Noi genitori&figli - Avvenire redazione.rivista@ausiliatrice.net
IN CAMMINO CON MARIA
La Signora Maria
madre di Dio Doverose premesse
Prima di cominciare a parlare di Maria tutti dovremmo avere l’umiltà di rileggere con attenzione quanto scrive, a suo riguardo, il Concilio Vaticano II nel numero 67 della Lumen Gentium. I padri conciliari esortano, in modo chiaro ed indiscutibile, «tutti i figli della Chiesa, perché generosamente promuovano il culto, specialmente liturgico, verso la beata Vergine». Ma si affrettano ad invitare «caldamente i teologi e i predicatori della parola divina ad astenersi con ogni cura da qualsiasi falsa esagerazione, come pure da una eccessiva ristrettezza di mente nel considerare la singolare dignità della madre di Dio». Per avvicinarsi alla persona di Maria occorrono fede, senso della storia, equilibrio e molta prudenza e discrezione. Anche una grande devota mariana, quale è stata Teresa di Lisieux, ci ammonisce che «non si dovrebbe consentire che in chiesa si raccontino cose inverosimili su Maria. Una predica sulla santa Vergine, per portare frutto, dovrebbe mostrare la sua vera vita, quella che ci lascia intravedere il vangelo, non una vita immaginata». Il biblista Alberto Maggi ci mette in guardia sul fatto che «per molti sembra quasi che della madre di Gesù si possa dire qualunque cosa purché serva ad esaltarla, ma a forza di dire che “di Maria non si dice mai abbastanza”, manca forse il pudore di tacere». Ancora la Lumen Gentium, sempre al numero 67, ci ricorda che «la devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo spinti all’imitazione delle sue virtù». Uno dei più assidui devoti della Vergine, padre Massimiliano Kolbe, così sintetizza il suo amore: «Avvicinarmi a lei, sentirmi simile a lei, permettere che ella prenda possesso del mio cuore, che ella viva ed operi per mezzo mio».
L’assordante silenzio del Nuovo Testamento Chi va a ricercare tracce di Maria nel Nuovo Testamento resta profondamente deluso. Tra gli autori sacri sembra esistere la congiura del silenzio. Paolo, che pure è quanto mai grafoma-
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© Mario Bogani
La devozione non consiste ne in uno sterile e passeggero sentimento, ne in una vana credulità. (LG 67)
ne nello scrivere, si limita ad un semplice accenno indiretto nella lettera ai Galati (4,4) quando precisa che Gesù è «nato da donna». Nelle lettere di Giovanni, di Giacomo, di Pietro e di Giuda il silenzio regna sovrano. Solo nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli si possono riscontrare alcuni accenni. Questo perché la fede della Chiesa delle origini non è incentrata sulla figura di Maria, ma su quella di Gesù. Solo amando e conoscendo il Figlio si arriva a scoprire la Madre. Ribadisce Maggi non «ad Jesum per Mariam», ma «ad Mariam per Jesum», a Maria attraverso Gesù. Per avvicinarci in modo corretto all’affascinante figura della Vergine forse anche per noi, come per l’indimenticabile don Tonino Bello, è necessario togliere dal capo di Maria le innumerevoli aureole, fatte di sterile sentimentalismo che l’appesantiscono, per poterla contemplare in tutta la sua bellezza di donna comune e di madre esemplare, eccezionale non per i suoi innumerevoli privilegi, ma per la continua dedizione e per l’incrollabile fede, che neanche la morte fa venire meno, nel suo Figlio. Tre mesi fa è stato pubblicato un libro di Corrado Augias e di Marco Vannini dal titolo Inchiesta su Maria. Il sottotitolo è al vetriolo e provocante: “La storia vera della fanciulla che divenne mito”. Inaccettabile è la saccenteria sottesa a questa affermazione. È vero, però, che troppi devoti hanno contribuito a rendere un tale giudizio verosimile con le loro asserzioni perentorie e bislacche frutto di un fideismo acritico. Troppo spesso si sente dire: «L’ha detto Maria!». Naturalmente le parole mariane non vengono desunte dalla Scrittura, ma dalle troppe apparizioni della Vergine. La Maria evangelica è terribilmente sobria di parole, mentre quella di certe apparizioni è eccessivamente verbosa. Penso che sia molto importante per ognuno di noi impegnarci seriamente a togliere la figura della Madre di Dio dalle spire di un devozionalismo soffocante ed avvolgente per restituirla al mondo della vera fede impregnata di Parola di Dio e di autentica conversione. Chi è veramente Maria? Cosa possiamo sapere di Lei attingendo alla storia ed alla Scrittura? A quali fonti possiamo attingere per agevolare la nostra conoscenza su di Lei? Quali errori dobbiamo evitare per non ridurla a semplice mito? Sono solo alcuni interrogativi a cui tenteremo umilmente di dare risposta nei prossimi incontri. Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net
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esperienze
Sport
in “rete” come don Bosco Nel calcio rabbioso di oggi, in cui ci si scanna per essere speciali, abita un signore che vorrebbe tanto conservarsi normale, pur allenando nientemeno la Nazionale. Si chiama Cesare Prandelli. «Il calcio ha paura della normalità – ci racconta guardando lontano in una serata di fine ottobre nel chiostro della Basilica di Sant’Andrea a Vercelli, dove sta per ritirare il Premio Piola per le qualità morali ed etiche espresse sia in campo che nel ruolo di allenatore -. È un mondo malato: va veloce, brucia emozioni e sentimenti. Ogni obiettivo viene subito scavalcato da un altro. Da persone sane di mente, la sfida è lavorare senza farsi troppo contagiare».
Un uomo di fede che ha conosciuto più di altri il dolore, Prandelli: i Salesiani lo hanno scelto come testimonial della campagna di comunicazione sociale “La partita educativa” voluta dal Centro Nazionale Opere Salesiane per lo Sport (Cnos Sport) e patrocinata dal Coni e dalla Cei; in una realtà sempre più spesso dominata da violenza, individualismo, inganno e sfruttamento, i Salesiani vogliono così proporre e realizzare un modello diverso di vita sportiva mettendo in rete tutte le realtà ecclesiali e civili italiane (associazioni, polisportive, oratori, palestre, atleti) che già praticano un modello positivo. Che caratteristiche deve avere un ragazzo, oltre a un
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immenso talento, per trasformarsi in campione? Innanzitutto, non deve avere paura di vincere: qualunque sia lo sport, al vero vincente nel momento decisivo non tremano le gambe. Poi deve avere tenacia: le vittorie si costruiscono, con determinazione e lavoro. Infine, deve avere il senso dell’umorismo: niente di peggio di non saper ridere delle proprie fortune (o sfortune). «Lo sport non è la soluzione ai problemi educativi o sociali – spiega il Ct azzurro -, ma può essere strumento per veicolare valori essenziali della competizione e della pratica sportiva: lealtà, abnegazione, voglia di stare insieme e benessere psico-fisico».
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Per essere credibili bisogna essere se stessi L’incontro tra Prandelli e don Bosco è servito? «Don Bosco mi ha insegnato a puntare sui giovani. Il metro con cui si valuta un calciatore oggi troppo spesso non è l’età ma lo stipendio. Guadagni tanto e devi rendere in proporzione. Ma non è giusto. Il buon allenatore deve usare il buon senso. Sapere ascoltare l’altro è una virtù che ciascuno individuo possiede e che chiunque si trovi a gestire risorse umane, come una squadra di calcio o degli atleti individuali dovrebbe praticare con costanza e umiltà». Inizi alla Cremonese, poi la serie A con l’Atalanta, il calcio e la panchina, Prandelli ha visto ragazzi di talento bruciarsi nell’ingannevole luccichio di una rapida fama, con denaro facile in tasca, senza aver provato l’aspro e salutare sapore della conquista. C’è chi ha fatto una brutta fine, c’è chi si è adattato a una mediocrità offensiva per i mezzi di cui la natura lo aveva dotato: l’allenatore della Nazionale non ha conosciuto un solo campione che non lo fosse anche di testa. Il talento senza il
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sostegno del cervello perde il suo valore. E questo da allenatori si può insegnare: «Per essere credibile devi essere te stesso. Alcuni allenatori diventano per i ragazzi un riferimento dal punto di vista tattico e tecnico: sono maestri che trasmettono conoscenze». C’è di mezzo un’idea di vita, non solo il calcio: «Chiedo a tutti di arrivare al campo con la voglia di imparare qualcosa. E non è sempre ovvio per giocatori che hanno già fatto esperienze e credono di aver raggiunto certezze. Ma solo mettendosi in discussione si cresce come calciatori e come persone».
Chi è campione E il campione secondo Prandelli si vede almeno altrettanto fuori dalle righe bianche che delimitano il suo campo: «Un campione
ha spessore, unisce a qualità tecniche straordinarie doti di aggregazione. È un leader, magari silenzioso, e resta tale nel tempo. Con i giocatori dalla forte personalità, bisogna continuare invece a cercare la chiave. Con pazienza». Lo sport è amico: ti risponde, ti asseconda, ti aiuta. L’allenatore dell’Italia lo sa. E l’oratorio riempie d’aria fresca i polmoni di chi negli stadi ha visto di tutto: in campo nessuno ha un’età in cui si possa rivendicare un ruolo, tutti fanno tutto, e l’importante è divertirsi. Ragazzi, imparate al meglio le lezioni che lo sport sa dare per crescere meglio, sembra gridare Prandelli. E dal prossimo 12 giugno lo urlerà anche ai Mondiali di calcio che si apriranno in Brasile. Potrebbe essere quella l’occasione per realizzare il sogno di visitare l’opera Salesiana nel quartiere Jacarezinho, una delle più grandi favelas di Rio. Ricordare ai ragazzini di strada e soprattutto a se stesso di festeggiare i trionfi non come chi quando fa gol tira calci alle bandierine del corner. Ma come chi cerca il compagno che gli ha passato il pallone e lo ringrazia con un abbraccio. Per non dimenticare mai che il calcio, come la vita, è un gioco di squadra. Andrea Caglieris, Giornalista Rai, Segretario Ordine Giornalisti Piemonte
Cesare Prandelli ritira il premio Piola dalle mani di Paola, figlia del famoso Silvio Piola.
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CHIESA VIVA
Un’ostensione “straordinaria” nel suo significato e nelle sue intenzioni: l’ha annunciata mons. Cesare Nosiglia, Custode pontificio della Sindone, mercoledì 4 dicembre 2013 nel palazzo del Seminario, a due passi dal Duomo dove il Telo è custodito. Si terrà nella primavera – estate del 2015, in un periodo ancora da stabilire; durerà circa 45 giorni; e quasi certamente vedrà la visita di Papa Francesco: nella lettera che la Segreteria di Stato ha inviato a Nosiglia per confermare l’ostensione si dice infatti che il Papa ha espresso il desiderio di essere presente, riservandosi però di precisare le date. Francesco infatti intende essere a Torino per venerare don Bosco nel secondo centenario della nascita: e le celebrazioni del giubileo salesiano si terranno lungo l’arco del 2015, per concludersi il 15 agosto (giorno della nascita del santo).
La Sindone a costruire un futuro di cui però è ancora difficile scorgere i contorni. Ma l’impegno della Chiesa a fianco della comunità civile è fuori discussione: anche per questo alla presentazione dell’ostensione erano presenti il sindaco Fassino, il presidente della Regione Piemonte Cota, e insieme con loro le più alte cariche della Magistratura e delle Forze armate, il direttore della Soprintendenza per i Beni Culturali (un partner indispensabile, per gestire la logistica intorno al Duomo). C’erano anche i rappresentanti delle principali fondazioni bancarie (San Paolo, CRT), che già in passato hanno sostenuto le ostensioni.
Il significato L’ostensione, per Nosiglia, vuole essere prima di tutto un segnale forte di speranza, religioso ma anche civile. Torino e il suo territorio sono provati da una lunga crisi economica che sta producendo, sempre più vistosamente, difficoltà sociali pesanti. Il “sistema” della città è impegnato a reagire,
I volontari A tutti – istituzioni, cittadini – l’arcivescovo ha chiesto di continuare a mostrare la grande «voglia di accoglienza» che la città ha dimostrato nei
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nel Bicentenario di don Bosco sarà un coordinamento e uno scambio reciproco di informazioni e servizi, auspica l’arcivescovo. Chiarendo anche, però, che gli eventi vanno tenuti distinti, perché ciascuno ha un significato proprio. Così come distinte saranno le altre manifestazioni previste in quel periodo, dal Salone del Libro a Torino all’Expo mondiale a Milano. Così si “riparte”, a distanza ravvicinata dall’ultima ostensione (2010) e con molto entusiasmo: l’arcivescovo ha parlato, nonostante le attuali preoccupazioni di speranza. Tutte le informazioni, a cominciare dall’annuncio di Nosiglia, sono disponibili sul sito ufficiale www.sindone.org.
confronti dei pellegrini delle ostensioni o in altre importanti occasioni, come le Olimpiadi invernali del 2006. Sono i volontari i primi “protagonisti” di questa macchina organizzativa; e sono i volontari (non solo quelli della Sindone, ma anche di tutti i servizi collegati) l’”interfaccia” dei visitatori con la città. L’organizzazione dell’ostensione dovrà essere comunque sobria, per dare un segnale concreto di austerità. L’arcivescovo di Torino ha ricordato che il significato primario della Sindone, e del pellegrinaggio, è di venerare un’immagine che, pur essendo “lenzuolo della morte” richiama con forza ai credenti il mistero della vita, che con la risurrezione del Cristo sconfigge per sempre la morte. È questa la grande speranza cui siamo chiamati. Per altro l’ostensione si tiene in occasione del giubileo salesiano: con le celebrazioni di Valdocco ci
Marco Bonatti marco.bonatti@sindone.org
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CHIESA VIVA
Domenica non è più domenica Aumentano i centri commerciali e i negozi aperti anche nei giorni festivi. È un’esigenza reale? La proposta di una lettrice di Livigno. Chissà. Forse qualche nostro lettore ricorda ancora una canzone, sigla di una trasmissione tivù (e di un film) in voga a fine anni Cinquanta. Cantata da Mario Riva, aveva come ritornello: «Domenica è sempre domenica / si sveglia la città con le campane. / Al primo din-don del Gianicolo / Sant’Angelo risponde din-don-dan». Oggi, le campane si sentono meno. Forse perché sostituite da altoparlanti. Forse per il minor appeal religioso. Forse per i richiami delle “sirene” delle nuove “cattedrali”: i centri commerciali, aperti dall’alba a notte inoltrata, anche il sabato e la domenica. E a chi si adagia sul melanconico (ed inutile) «ai miei tempi non c’era questa frenesia», qualcuno ribatte che quegli orari permettono di creare nuovi posti di lavoro e di andare incontro alle esigenze di chi può acquistare “soltanto” nelle ore libere dal lavoro (se no, quando potrebbe spendere?). Quasi che i dipendenti dei centri commerciali non abbiano, anche loro, l’esigenza di fare acquisti... Quanto è reale, dunque, il bisogno di avere negozi aperti anche la domenica? E quanto siamo disposti a pagare in termini personali, familiari e sociali in cambio di questa comodità?
dopo sei giorni di lavoro ne avevano uno di festa: per i romani era il “dies solis”, denominazione conservata nell’odierna lingua inglese, Sunday, e tedesca, Sonntag. Basterebbe ricordare che «l’istituzione del giorno del Signore contribuisce a dare a tutti la possibilità di godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2184). Va da sé che l’eventuale giorno di riposo “a rotazione” non favorisce questi rapporti. Non a caso, nella Lettera apostolica Dies Domini del 31 maggio 1998, il papa (e prossimo santo) Giovanni Paolo II annotava, tra l’altro, che «la domenica cristiana è un autentico “far festa”, un giorno da Dio donato all’uomo per la sua piena crescita umana e spirituale» (n. 58) e che «attraverso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti quotidiani possono ritrovare la loro giusta dimensione: le cose materiali per le quali ci
Far festa insieme Non stiamo ad approfondire che nel racconto biblico della creazione Dio si riposò il settimo giorno (Gn 2, 2-3). Né che quasi tutti i popoli antichi
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gennaio-febbraio 2014
Che cosa ne pensano i lettori su questo argomento? Scrivete a domenica.rivista@ausiliatrice.net su uno dei prossimi numeri pubblicheremo una sintesi delle vostre opinioni. sabato e la domenica ci possono sembrare giorni ideali per girare con calma tra gli scaffali dei negozi e dei supermercati. Ma non confondiamo la spesa, magari genitori e figli insieme, con la gioia del gioco, il dialogo, la confidenza... A questo punto, senza tornare “ai miei tempi”, è possibile un’alternativa? Una proposta arriva da una nostra lettrice, Maria Cusini. È una commerciante di Livigno (Sondrio), località frequentatissima per la natura intatta, per le piste di sci e perché zona extra-doganale (con elevati sgravi fiscali, dalla benzina ai computer, o alle pellicce), a pochi chilometri dal confine svizzero. Ebbene, lei propone: da lunedì a venerdì, i negozi dovrebbero essere aperti con orario regolare; il sabato, con orario continuato sino alle 18; la domenica, giorno di chiusura settimanale (esclusi, ovviamente, ristoranti, alberghi e qualche negozio di alimentari). E aggiunge: «Questa mia proposta potrebbe risultare assurda e impraticabile, ma in realtà non è così: infatti, molte realtà a noi vicine già applicano questo sistema. Si vedano, ad esempio, St. Moritz, Davòs e Lugano. Queste località sono molto note, non si trovano certo sulla Luna! Molti miei compaesani credono che attuando la chiusura domenicale, calerebbe troppo il lavoro. Secondo la mia umile opinione ciò non accadrebbe». Proprio come non accade nelle famose località svizzere da lei citate. Aggiunge: «Applicando la chiusura domenicale, eviteremmo di creare caos e disservizi dovuti alla chiusura settimanale a rotazione e avremmo un unico giorno di riposo settimanale, uguale per tutti: la domenica». E conclude: «Profumi, cellulari, gioielli non sono ossigeno! Il vero ossigeno per noi sarebbe poter passare la domenica con le nostre famiglie, con i nostri cari e per chi vuole, con Dio».
agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le persone con le quali viviamo riprendono, nell’incontro e nel dialogo più pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura – troppe volte sciupate da una logica di dominio che si ritorce contro l’uomo – possono essere riscoperte e profondamente gustate» (n. 67). E non è neppure un caso se lo scorso novembre, papa Francesco ha telefonato a un ragazzino di Dese (Venezia) che gli aveva scritto lamentandosi perché ogni domenica lui resta solo con i nonni, dato che i genitori devono andare a lavorare anche in quel giorno. E il papa ha parlato anche con il papà, rappresentante del gruppo Domenica No Grazie, impegnato contro il lavoro festivo.
Oggetti o affetti? Certo, dal lunedì al venerdì siamo abituati a rincorrere l’orologio “frammentato” tra scuola dei figlilavoro-palestra- fornelli-lavatrice-eccetera. Così, il
a cura di Lorenzo Bortolin bortolin.rivista@ausiliatrice.net
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CHIESA VIVA
Che cosa faresti se... Il progetto educativo della santità è ancora attuale? Si nasce o si diventa santi? «Che cosa faresti se ti dicessero che oggi devi morire?» La domanda spaventa i miei piccoli uditori, come all’epoca aveva spaventato i ragazzi dell’oratorio di don Bosco. Non tutti però. Il giovane Domenico Savio, senza scomporsi, aveva risposto che avrebbe continuato tranquillamente a giocare. E lo aveva fatto. «Doveva essere proprio un bel gioco!» commenta Andrea. Sì, era un bel gioco: uno dei tanti che si facevano nei cortili di Valdocco. Uno di quelli in cui il piccolo astigiano faceva consistere l’allegria della santità. Domenico pensava con serenità alla morte e non la temeva perché l’unica cosa che gli faceva veramente paura era il peccato. E la sua allegria non nasceva da un atteggiamento superficiale e spensierato, ma dal sentirsi in pace con Dio, con se stesso e con gli altri. «Allora basta non essere in guerra!» esclama Matteo. «Non basta. Quel tipo di pace si possiede solo quando si vive costantemente alla presenza di Dio, sentendolo realmente vicino, come un buon Padre. Il concetto è difficile;
mi fanno notare che Domenico Savio era già nato santo mentre noi»... «Noi siamo in cammino verso la santità», riprendo. E Dio non ci chiede cose impossibili; non pretende il martirio. Ci chiede soltanto di compiere la sua volontà, di amarlo, di amarci come fratelli (ma non come quelli che bisticciano continuamente), di non fare il male e di perdonare quello ricevuto. E ancora, come insegna Madre Mazzarello, non fare mai pace con i propri difetti. Tutto questo ci dà la serenità interiore, la capacità di vivere ogni momento, anche i più tristi, con il sorriso, perché sappiamo di non essere mai abbandonati. Nel vivace uditorio persistono dubbi e problemi che affronteremo cammin facendo. Ma ecco la botta finale... Me la sono proprio cercata e in fondo me l’aspettavo. È quasi un coro che mi interroga in modo perentorio: «Ma tu, dicci la verità, a quella domanda avresti il coraggio di rispondere come Domenico Savio?» Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Conferenza Episcopale Italiana
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Ufficio Nazionale per la pastorale della salute
Giotto, Crocifisso S. Maria Novella, Firenze Proprietà del Fondo edilizia di culto del Ministero dell’Interno Foto di Nicolò Orsi Battaglini
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