Rivista Maria Ausiliatrice 2/15

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MARIA AUSILIATRICE D E L L A

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO

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RICONOBBERO DALLO SPEZZARE IL PANE

4 SPECIALE BICENTENARIO

LE FOTO ESCLUSIVE DELLE CELEBR AZIONI

36 LUCA PARMITANO

L’EX ALLIEVO SALESIANO A PASSEGGIO NELLO SPAZIO

54 ROBERT CHEAIB

ISSN 2283-320X

TRE ACCORGIMENTI PER AMARE DIO MARZO-APRILE 2015

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Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui. papa Francesco

Carissimi lettori, a tutti voi giungano i nostri auguri

Buona Pasqua

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“Vedervi felici nel tempo e nell’eternità” Cari amici, siamo già immersi nel cammino della Quaresima, con lo sguardo rivolto verso la Pasqua, avvenimento centrale della storia e dell’esperienza cristiana.

foto: Mario Notario

È un periodo particolarmente importante dell’anno liturgico e fecondo per una possibile conversione e crescita globale della nostra persona nelle sue varie componenti. Abbiamo bisogno di ritrovare armonia in noi, con gli altri, con Dio. Un’armonia che trova la sua pienezza e la sua bellezza in linea con il progetto di Dio nella creazione: «La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio» (s. Ireneo). Quando don Bosco sintetizza il suo progetto educativo con la formula «onesti cittadini e buoni cristiani», in fondo esprime la forte preoccupazione che nei suoi ragazzi si crei questa armonia. A loro presenta un modello, un punto chiaro di riferimento per ottenere e vivere questa armonia: la Vergine Maria. Ella è pienamente donna, ricca di virtù umane, attenta e disponibile agli altri, totalmente donata a Dio e al suo progetto. La sua vita è totalmente orientata all’amore, quell’amore che deve esser il segno di riconoscimento, il distintivo di ogni cristiano. La Pasqua del Signore è garanzia che questa armonia non è un’utopia, ma una reale possibilità, un progetto di Dio che non vuole creare degli illusi o dei frustrati, ma persone pienamente realizzate nel tempo e nell’eternità in forza del mistero della morte e della risurrezione di Gesù. «Uno solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità», questo era il desiderio di don Bosco, questo è il desiderio di Dio per ogni suo figlio e figlia, questo è l’impegno per ognuno di noi. Vi ricordiamo nella preghiera e ogni giorno una S. Messa è celebrata in Basilica per i nostri benefattori e amici. Di cuore, una lieta e santa Pasqua! DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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ENZO BIANCO

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EZIO RISATTI

1 VEDERVI FELICI NEL TEMPO E NELL’ETERNITÀ DON FRANCO LOTTO

A TUTTO CAMPO 4 RIAPPROPRIARSI DELLA DEMOCRAZIA

MARINA LOMUNNO

MARIA 16 STRAORDINARIA NELL’ORDINARIO, FRANCESCA ZANETTI

18 M ARIA: UN MARTIRIO FATTO DI SILENZIO E DI EMARGINAZIONE

SR. BERNARDINA

A CURA DI LORENZO BORTOLIN

CHIESA E DINTORNI 7 L’UMIDITÀ DEL MAGNIFICAT ANNA MARIA MUSSO FRENI

8 DALLA TERRA DEL FUOCO AL VATICANO PIER GIUSEPPE ACCORNERO

10 PAPA FRANCESCO: «NON ABBIATE PAURA DELLA TENEREZZA!»

ENZO BIANCO

12 COMANDAMENTI: ISTRUZIONI PER L’USO EZIO RISATTI

14 FRANCESCA DE’ PONZIANI, UN SORRISO PER TUTTI

GIOVANI 20 GIOVANI “SENZA DOMENICA” 22 JE NE SUIS PAS CHARLIE 24 GIOVAN(N)I D’OGGI

GIULIANO PALIZZI

ERMETE TESSORE

MARINA LOMUNNO

26 VITA OLTRE LA DROGA

MATTEO SPICUGLIA

29 “PALLA DI CANNONE”

LORENZO BORTOLIN

DON BOSCO OGGI 30 L A FESTA DI DON BOSCO IN CASA MADRE

MARINA LOMUNNO

32 “NOTIZIE” PER I DUECENTO ANNI

MARIO SCUDU

DI DON BOSCO

CARLO TAGLIANI

34 ECCO PERCHÉ LO AMO

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UNA VDB

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Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

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P.L.CAMERONI

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MARCO ROSSETTI

36 LUCA PARMITANO,

L’UOMO DELLE STELLE

INSERTO

46 PREGARE PER LA FAMIGLIA, PREGARE IN FAMIGLIA

ANDREA CAGLIERIS

38 UNA SINFONIA DI MUSICA E DI VITA

P.L.CAMERONI

48 FAMIGLIE IN CAMMINO CON MARIA

CLAUDIO GHIONE

ADMA FAMIGLIE

40 CI RACCONTI UNA STORIA?

LA PAROLA 50 L A MORTE CHE HA CAMBIATO

PASQUALE LAMAZZA

42 DON BOSCO IN MEZZO AI “SUOI RAGAZZI”

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LA STORIA

MARINA LOMUNNO

MARCO BONATTI

52 STORIA DI UNA TESTIMONIANZA

44 IL POETA DI VILLANOVA

MARCO ROSSETTI

54 GUARIRE L’ IMMAGINE

MONTELEONE

DISTORTA DI DIO

ROMANO BORRELLI

ROBERT CHEAIB

INSERTO

RivMaAus

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A TUTTO CAMPO

Riappropriarsi della Democrazia

LORENZO BORTOLIN bortolin.rivista@ausiliatrice.net

Intervista a mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax. Eccellenza, come è nata l’idea di scrivere un libro su questo tema?  Sono stato sollecitato soprattutto dalla constatazione che la gente comune, chiamata a compiere grandi sacrifici per superare l’attuale crisi, è sempre più lontana dai centri decisionali ed è “costretta” ad eseguire ordini che provengono dal di fuori della propria nazione, ad obbedire a direttive a cui essa, tramite i propri rappresentanti, non contribuisce a formulare o a condizionare se non in maniera quasi irrisoria. In passato, specie negli anni dopo la seconda guerra mondiale, i cattolici, assieme 4

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ad altre forze della società, aventi orientamenti ideologici diversi, lavorarono per ricostruire il Paese e avviarsi decisamente verso uno Stato sociale e democratico, partecipativo. Oggi, in un contesto di post-democrazia, ossia una democrazia caratterizzata dalla prevalenza di oligarchie e da populismi assistenzialistici, non è meno necessario che i cattolici diano il loro qualificato apporto affinché il disegno di una democrazia che include tutti e non lascia fuori i più deboli non vada perduto e sia realizzato su vasta scala, a livello mondiale.


A TUTTO CAMPO

tiche e la gente comune. Come hanno dimostrato anche i recenti episodi di corruzione nella Capitale, la politica spesso è divenuta uno strumento di lotta per un potere asservito a interessi individuali e settoriali, uno strumento di conquista di posti e spazi più che di gestione di processi.

Quali sono le cause dell’attuale crisi della democrazia?   Sono molteplici. Ne elenco solo alcune. Anzitutto gli attuali popoli democratici, in forza della globalizzazione, sono stati in parte spogliati della loro sovranità. In secondo luogo si è prodotto di fatto il primato dell’economia e della finanza sulla politica. Al centro è stato posto la ricerca del potere, il dio denaro e non le persone, e con ciò stesso si sono persi di vista il bene comune e la solidarietà. La globalizzazione non adeguatamente orientata verso il bene comune, se da una parte ha ridotto la povertà di alcuni, dall’altra ha accentuato o prodotto la povertà di altri; ha accresciuto le diseguaglianze, anche all’interno degli stessi Paesi ricchi. In terzo luogo, si è creata – in concomitanza alla crisi dei partiti, dapprima “partiti personali” ed ora “società di affari” –, una progressiva separazione tra le élite poli-

Quindi, il problema non riguarda soltanto l’Italia...   In effetti la democrazia è in crisi nei vari Continenti. Papa Francesco, nei suoi discorsi al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, nello scorso novembre, ha evidenziato che la democrazia sta andando alla deriva non solo per inadeguatezza strutturale o perché è posta sotto la pressione di interessi multinazionali non universali, ma soprattutto perché sta perdendo il riferimento a quei parametri antropologici ed etici che orientano il funzionamento delle regole procedurali e stanno a fondamento dello Stato di diritto. Quali sono le soluzioni per riappropriarsi della democrazia?   Dalla democrazia nominale, oligarchica ed assistenziale occorre uscire quanto prima allargandone la base sociale, andando oltre i formalismi, valorizzando le esperienze di solidarietà che crescono dal basso. La rivitalizzazione della democrazia ha, però, una precondizione: essere, sentirsi e farsi incessantemente popolo, sperimentando, giorno dopo giorno, la cultura dell’incontro in una pluriforme armonia, sulla base del dinamismo di una comune ricerca della verità, del bene, del bello e di Dio, che sfocia nell’esperienza della fraternità, della prossimità e della comunione. Si diviene popolo, os-

IL VESCOVO SALESIANO MONS. MARIO TOSO, GIÀ RETTORE DELL’UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA DI ROMA, SEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA IUSTITIA ET PAX, NOMINATO VESCOVO DI FAENZA IL 19 GENNAIO 2015. HA PUBBLICATO UN LIBRO SULLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA, INTESA SIA COME DEFICIT DI RENDIMENTO DEI SISTEMI DEMOCRATICI, SIA COME SFIDUCIA DEI CITTADINI NEI CONFRONTI DELLE ISTITUZIONI E DELLE ÉLITES POLITICHE DEMOCRATICHE. GLI ABBIAMO RIVOLTO ALCUNE DOMANDE.

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A TUTTO CAMPO

sia unità morale in cui le differenze sono armonizzate all’interno di un progetto comune, riscoprendo la propria vocazione al bene comune, praticando il dialogo sociale fra soggetti diversi, su più piani: con gli Stati, con le società – ivi compreso il dialogo con le culture e con le scienze – e con gli uomini di buona volontà. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium papa Francesco, per progredire nella costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, indica quattro principi essenziali, derivati dai grandi postulati della Dottrina sociale della Chiesa: a) il tempo è superiore allo spazio; b) l’unità prevale sul conflitto; c) la realtà è più importante dell’idea; d) il tutto è superiore alla parte. Come è possibile avviare concretamente queste iniziative, quando gli interessi contrari sono così intrecciati e potenti?   Occorre, fra l’altro, prendere coscienza della posta in gioco, ricompattare nuovi movimenti sociali, capaci di esprimere nuove rappresentanze; riformare radicalmente i partiti in senso democratico e partecipativo, formare nuove generazioni di cittadini e di politici, facendo sì che coltivino la mistica del bene comune. Riapproparsi della democrazia Mario Toso Libreria Editrice Vaticana, 2014 pagine 62, euro 6,00

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Se i popoli non si riappropriano della democrazia, quali sono i rischi?   Innanzitutto il rischio della perdita della libertà, della autonomia di decisione e di iniziativa, del diritto di espressione e di partecipazione alle decisioni che

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concernono il bene comune. C’è, poi, il pericolo della narcotizzazione o manipolazione delle coscienze e, quindi, della sottomissione alla dittatura di un pensiero unico totalitario e totalizzante. Un’ultima domanda: la democrazia sembra non essere “esportabile” in Stati che per storia o religione non hanno mai conosciuto un confronto su questo tema. Lei che cosa ne pensa?   Credo proprio che non sia esportabile e non si possa imporre con la forza. Sarebbe non solo coartare l’autodeterminazione ma anche piantare un albero su un terreno che non ne alimenta le radici. La democrazia deve nascere dal basso, a partire dalle coscienze dei cittadini di un Paese, dalla diffusione di determinati stili di vita, improntati non solo alla tolleranza di chi la pensa diversamente, ma al rispetto delle idee e della religione altrui.


CHIESA E DINTORNI

L’umidità del Magnificat ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Lectio divina e comprensione dei testi: quanto serve capire per pregare?  Gli incontri catechistici settimanali di un’ora sono insufficienti per trasmettere, testimoniare, rivivere insieme i contenuti della fede. C’è chi si preoccupa (troppo) di produrre montagne di fotocopie per integrare lo scarno, spesso ripetitivo e un po’ vecchio libro di catechismo, trascurando l’importantissima opera di interpretazione del testo. Il dizionario personale dei nostri bambini è sempre più povero. Troppo spesso si trovano a ripetere espressioni di cui non capiscono il senso, senza preoccuparsene affatto. Per la festa dell’Immacolata il catechismo propone la riflessione sul Magnificat, preghiera non facile anche per gli addetti ai lavori.   Occorre già discutere per spiegare che, nel contesto, il termine magnificat è un verbo, non un aggettivo. Gian Luca è sempre convinto che l’espressione significhi bellissima, anche dopo la spiegazione. E l’umiltà che cos’è? Andrea: «Io lo so. È… quando, per esempio, metti una pentola d’acqua sul fuoco e sul coperchio si formano le bollicine». «Sì, è il vapore acqueo», incalza convinto Christian. A qualcuno viene il dubbio che quella invece si chiami umidità. Mi riesce più facile illustrare l’umiltà attraverso il suo contrario. Tutti sanno benissimo che cos’è la superbia, senza equivocare sui termini. Con sincerità ognuno di noi ammette di avere una bella dose di superbia, quindi siamo pronti ad ammirare l’umiltà di Maria, la più perfetta delle creature, che vive nel servizio di Dio senza mettersi in mostra, senza voler fare la prima della classe, e, prescelta da Dio proprio per questo, compone lo splendido canto di ringraziamento in cui si evidenzia la predilezione divina per i semplici e gli ultimi. «Forse Dio metterà ai primi posti in Paradiso i senzatetto, i disabili, i rifugiati, quelli che muoiono sui barconi. Sono questi gli umili?», si interroga Veronica. Ecco, siamo arrivati. Capolinea. MARZO-APRILE 2015

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CHIESA E DITORNI

Dalla Terra del Fuoco al Vaticano PIER GIUSEPPE ACCORNERO redazione.rivista@ausiliatrice.net

«Una punta arida rivolgendosi al sud, tra Pacifico e Atlantico, alla fine del Continente americano. Questa è la Patagonia. “Recostata” a ovest sulla Cordigliera delle Ande e bagnata a est dall’Atlantico, aperta a nord a un’incerta trasmissione che la collega alla Pampa Argentina e percorsa senza pausa per il vento». Così un esploratore descrive la Patagonia, 800 mila chilometri quadrati – il doppio dell’Italia – dove nel 1879 arrivano i missionari e le missionarie salesiani inviati da don Bosco. «Meseta, altopiano arido», fiumi tempestosi, montagne imponenti, tremenda solitudine, gelido e implacabile vento. Nel Bicentenario della nascita di don Bosco – riconosciuto dal Comitato storico-scientifico come «un anniversario di interesse nazionale» – la Camera dei Deputati ha reso onore al grande santo piemontese con una celebrazione nella sala Aldo Moro, il 18 novembre 2014, con il saluto della presidente della Camera Laura Boldrini e con il convegno Italiani alla fine del mondo: missionari salesiani pionieri in Patagonia e Terra del Fuoco. PRIMA DI TUTTO LA FORMAZIONE UMANA

L’11 novembre 1875 nella basilica torinese di Maria Ausiliatrice don Bosco benedice la prima spedizione missionaria, capitanata da don Giovanni Cagliero e composta da altri 5 sacerdoti, tra cui Giuseppe Fagnano, animo di 8

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A don Cagliero scrive: «Fate quello che potete, Dio farà quello che non possiamo far noi. Confidate ogni cosa in Gesù Sacramentato e in Maria Ausiliatrice, e vedrete che cosa sono i miracoli» Don Bosco li accompagna fino a Genova dove il 14 si imbarcano sul piroscafo francese Savoie.

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pioniere ed ex garibaldino, e quattro coadiutori. Don Bosco raccomanda loro «con insistenza la posizione dolorosa di molte famiglie italiane. Voi troverete un grandissimo numero di fanciulli e anche di adulti che vivono nella più deplorevole ignoranza del leggere, dello scrivere e di ogni principio religioso. Andate, cercate questi nostri fratelli, che la miseria e la sventura portò in terra straniera». In un secondo tempo avrebbero iniziato l’evangelizzazione della Patagonia: «In questo modo diamo inizio a una grande opera, non perché si creda di convertire l’universo intero in pochi giorni, no! Ma chi sa che non sia questa partenza e questo poco come un seme da cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa che non sia come un granellino di miglio o di senapa, che a poco a poco vada estendendosi e non abbia da produrre un gran bene?».   Con grande commozione i 10 missionari attraversano la basilica accolti da una grande folla, dalle carrozze e dalle lanterne che rischiarano la notte. Portano con sé un foglietto con i “ricordi speciali” scritti da don Bosco. «Cercate anime, non denari, né onori, né dignità; prendete speciale cura degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini; fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini; fra voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, non portatevi né invidia né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti, le pene e le sofferenze di uno siano pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle; nelle fatiche e nei patimenti, non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in Cielo. Amen».

LE PRIME OPERE E… I NONNI DEL PAPA

A Buenos Aires e in Argentina gli emigrati italiani e piemontesi abbondano. Nel 1877 i Salesiani nel Barrio Almagro inaugurano la chiesa parrocchiale, le scuole di arti e mestieri, l’oratorio: nella cappella di Sant’Antonio nel 1908 nasce la squadra di calcio San Lorenzo de Almagro dal nome del fondatore, il salesiano don Lorenzo Massa, squadra che furoreggia e vince 14 scudetti del campionato argentino. I nonni paterni e il papà di Papa Bergoglio, emigrati da Torino e da Portacomaro, approdano il 15 febbraio 1929. A Buenos Aires frequentano la parrocchia del Barrio Flores ma hanno il cuore all’oratorio di Almagro e fanno il tifo per la squadra con i colori rosso e azzurro. Jorge Mario ne è perdutamente tifoso: quando può, va a vederla allo stadio e nel 2008, per il centenario, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires riceve la tessera di socio onorario.

LA MAGLIA DEL SAN LORENZO DE ALMAGRO, LA SQUADRA DI BUENOS AIRES PER CUI TIFA ACCANITAMENTE SIN DA BAMBINO ANCHE PAPA FRANCESCO, È ROSSA E AZZURRA A STRISCE VERTICALI: SONO I COLORI DAL MANTO E DALLA VESTE DELLA MARIA AUSILIATRICE.

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CHIESA E DINTORNI

Papa Francesco:

ENZO BIANCO bianco.rivista@ausiliatrice.net

«Non abbiate paura della tenerezza!» Nel suo originale vocabolario, tenerezza è una delle parole più dense e impegnative.  «Che cosa significa per lei il Natale?» Nella saporosa intervista rilasciata a Andrea Tornielli della Stampa (12 dicembre 2013), Francesco ha spiegato che il Natale «ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima: abbiate speranza, Dio è un papà che ci apre le porte… E seconda, non abbiate paura della tenerezza». Nel Natale, ha proseguito Francesco, «la semplicità di Dio ti dice: vai

avanti, io sono un Padre che ti accarezza». Nel Papa questo linguaggio è consueto. L’anno dopo, nell’omelia della notte di Natale esclama: «Quanto bisogno di tenerezza ha il mondo!». E l’indomani, alla Benedizione Urbi et Orbi, saluta un gruppo di profughi cristiani iracheni: «Dio vi accarezzi con la sua tenerezza!». Poi, come direttiva dice a tutti i cristiani: «La vita va affrontata con bontà e mansuetudine!». FRANCESCO VIVE LA TENEREZZA

Francesco, sacerdote, vescovo, cardinale, e infine papa, ha sorpreso e meravigliato il mondo perché è risultato severo con se stesso e tenero con gli altri.   In Argentina chiama la diocesi di Buenos Aires, a lui affidata, «mia sposa».   Cardinale a Buenos Aires, quando può prende l’autobus, e vestito da semplice prete si reca in qualcuna delle villas miseria della periferia. Un mattino al termine della messa gli si avvicina una povera donna, vedova: «Padre, sono in peccato mortale. Ho sette figli e non li ho ancora fatti battezzare». Non può sostenere le spese. Bergo10

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FRANCESCO INSEGNA LA TENEREZZA

Nei rapporti personali, suggerisce tre espressioni facili da ricordare, E da usare. Posso? Permesso? È l’invito alla cortesia. «L’amore vero non si impone con durezza e aggressività. Nei Fioretti dice san Francesco: “Sappi che la cortesia è una delle proprietà di Dio… La cortesia è sorella della carità, la quale spegne l’odio e conserva l’amore”». Grazie. «Questa parola la insegniamo ai bambini, ma poi la dimentichiamo! Tener viva la coscienza che l’altra persona è un dono di Dio, e ai doni di Dio si dice grazie». Scusa. «Non esiste la famiglia

perfetta, e neppure il marito perfetto, o la moglie perfetta. Non parliamo poi della suocera perfetta… Non finire mai una giornata senza chiedersi perdono a vicenda».   Vuole tenerezza nella Chiesa. «La Chiesa non è una Ong, è madre, fondamentalmente madre». Nell’omelia, in una messa a Santa Marta: «Ci sono tante mamme, a questa messa. Che sentite voi, se qualcuno vi dice: Lei è un’organizzatrice della sua casa? Rispondereste: No, io sono una mamma! E così la Chiesa: è madre». E conclude: «Se la Chiesa non è madre, diventa una zitella».  Ai predicatori ricorda che dev’essere “materna” anche l’omelia: «La Chiesa è madre, e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio… I noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli». TROVARE LE RADICI DELLA TENEREZZA

Potrebbero essere molto profonde. Quanto scavare? L’uomo risulta strutturato per indagare il mistero, da quando si è affacciato dalle caverne, nel panico, di fronte alla natura. E si sa, «per chi ha paura tutto fruscia» (Sofocle). Ma poi sono venute le risposte dell’intelligenza. Un creatore? Un roveto ardente, un nome, Jahweh, colui che è. Da un dio locale a Dio universale. E Lui attraverso Mosè richiede l’impegno etico: «Siate santi, perché io sono santo» (Lv 11,44). Però la svolta decisiva si compie in

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glio le fissa un incontro, combinano data e modalità del rito. Ricorderà: «Sono venuti tutti nella cappella dell’arcivescovado, e dopo una piccola catechesi ho battezzato i sette figli. Poi un piccolo rinfresco: una bibita e dei panini. Mi ha detto: “Padre, non posso crederlo, lei mi fa sentire importante”. Le ho risposto: “Ma signora, che c’entro io? È Gesù che la fa importante”».   A Rio de Janeiro durante uno spostamento in auto vede una favela e chiede di visitarla: nella prima capanna trova tale squallore che si aggira come inebetito; poi si sfila l’anello e lo mette in mano al padre di famiglia.   A Roma riceve la lettera di Stefano Cabizza, studente, e appena può gli telefona: «Sono Papa Francesco, diamoci del tu».

Cristo, che rivela il vero volto di Dio: è Padre. E nella definizione insuperata di Giovanni: «Dio è Amore».   Ora la ricerca umana sul mistero pare continui. Francesco con la tenerezza sembra evidenziare una sfumatura dell’Amore del Padre. E insiste perché la tenerezza dell’uomo sia verso gli altri uomini, e prima ancora verso Dio. Noi santi come Dio è santo, perciò la tenerezza diventa impegno e modalità del nostro essere figli di Dio.   Tenerezza nel vocabolario di Francesco è dunque sfumatura dell’Amore. Il Verbo si è fatto bambino forse per insegnare la tenerezza agli uomini. E per insegnare la tenerezza forse Dio ha donato alla Chiesa il Papa Francesco. MARZO-APRILE 2015

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CHIESA E DINTORNI

Comandamenti: istruzioni per l’uso Dio non è un vigile pronto a “multare” ogni debolezza ma un padre che ama i propri figli e si prende cura di loro.

“NEL VANGELO, GESÙ INCONTRA GENTE CHE HA PAURA DI METTERSI IN CAMMINO E CHE SI ADATTA CON UNA CARICATURA DI DIO. È UNA FALSA CARTA D’IDENTITÀ. (PAPA FRANCESCO, 10 FEBBRAIO 2015). 12

Anche se molti cristiani continuano a immaginarlo come un agente in divisa – fischietto tra le labbra, paletta stradale in una mano e blocchetto dei verbali nell’altra – pronto a punire a suon di multe chi non rispetta i Comandamenti, Dio non è un vigile. È un’immagine falsa, che tende a farsi strada nella mente e nel cuore nei primi anni dell’infanzia e a insinuarsi nell’anima lungo tutto il corso dell’esistenza. Ma, con un pizzico di riflessione e di buona volontà, può essere sostituita con una più autentica e aderente alla realtà. LA RICERCA DI UN BENE CHE NON C’È

Dio non ha creato l’uomo per farne un automa obbediente ai suoi

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precetti o un burattino da manovrare dall’alto e minacciare a suon di castighi e fiamme eterne quando sbaglia. Nel suo essere Amore, Dio ha immaginato l’uomo libero di realizzare se stesso e le sue aspirazioni più profonde nella misura in cui s’ingegna ad amare. Un progetto troppo limpido e semplice perché Satana, il principe dell’inganno e della menzogna, si lasciasse sfuggire l’occasione di confondere.   «Possibile che non hai ancora capito come gira? – sussurra da millenni al cuore dell’uomo –. Guardati intorno e prenditi cura di te e del tuo benessere. Arraffa tutto ciò che puoi! I tempi sono difficili e solo gli ingenui possono permettersi il lusso di credere nell’amore e nella condi-


IL CORAGGIO DI DARE SCACCO ALLA PAURA

rete crescerete nell’insoddisfazione e nell’odio reciproco. Qualunque strada sceglierete, non dimenticate che vi sono accanto e non smetto di amarvi».   E può allora accadere che, dando scacco alla paura per percorrere con coraggio la via indicata dai Comandamenti, un sacerdote nato in un minuscolo paesino dell’Astigiano si trasferisca a Torino e decida di non chiudersi in sacrestia ma di uscire per le strade per farsi carico delle angosce e delle sofferenze di tanti giovani “sbandati”, alla disperata ricerca di un po’ di pane e di futuro.   Che s’impegni allo spasimo per farseli amici e per offrire loro un tetto e un’occasione di studio o di lavoro e riesca nell’intento di trasformarli in buoni cristiani e in onesti cittadini. Può accadere… E con don Bosco è accaduto. E, poco meno di duecento anni dopo, i semi d’amore che ha sparso lungo il cammino continuano a portare frutto in tutto il mondo.

CHIESA E DINTORNI

visione. Qui tutto ha un prezzo e chi vive d’ideali è sempre tra i primi a finire in rovina».   Quanto più il cuore dell’uomo presta fede alle suggestioni di Satana tanto più s’indurisce e diventa impermeabile alle realtà spirituali. E, come il bambino che sogna di “tagliare i ponti” con i genitori per fare ciò che vuole e sentirsi finalmente indipendente, si allontana progressivamente da Dio e dai suoi Comandamenti per essere libero di realizzare ciò che gli detta la paura di soccombere in un mondo di lupi. Convinto che Dio e i Comandamenti siano un laccio che impedisce di spiccare il volo verso una vita “a cinque stelle”, abbraccia un’esistenza improntata all’amore di sé che – non di rado – si traduce in mancanza di fede, d’amore, di prudenza, di giustizia, di verità, di accoglienza, di tolleranza e di perdono. Di tutti gli “ingredienti” – insomma – che contribuiscono a rendere umano l’uomo.

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EZIO RISATTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Alla luce di tali riflessioni è forse allora più semplice comprendere che i Comandamenti non sono un rigido giogo sotto cui piegare il capo ma uno dei doni più grandi di Dio all’umanità. Avendola creata e conoscendone nell’intimo la natura, è come dicesse: «Cari figli, vi ho voluti liberi perché vi amo e vi rispetto profondamente. So che vi trovate ogni giorno a fare i conti con realtà complesse e piene di contraddizioni e proprio per questo desidero informarvi che nella misura in cui percorrerete le strade che vi suggerisco crescerete nell’amore e vivrete come fratelli e nella misura in cui ve ne allontaneMARZO-APRILE 2015

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CHIESA E DITORNI

Francesca de’ Ponziani, un sorriso per tutti

MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

Il 9 marzo 1440 si celebrò a Roma il funerale della signora Francesca de’ Ponziani: fu un vero trionfo di partecipazione. Perché? Chi era costei? Era una donna madre di famiglia, rimasta vedova, molto famosa a Roma, per la sua opera caritativa verso i poveri e i bisognosi della città. Tutti la conoscevano, tutti la stimavano e ammiravano. I romani la sentivano una di loro, era infatti “romana de Roma”, ed è passata alla Storia della Chiesa e specialmente alla cronaca della Città Eterna come santa Francesca Romana. Così, con questo nome è ricordata nella liturgia. UN MATRIMONIO NON VOLUTO MA… RIUSCITO

Francesca è nata a Roma nel 1384 da una famiglia dell’antica nobiltà romana. Già da bambina era buona, saggia e devota. Si era costruita 14

MARIA AUSILIATRICE N. 2

in casa un piccolo eremo dove poter pregare e lentamente cominciava a crescere in lei il desiderio di consacrarsi al Signore come religiosa. Ma i suoi genitori la pensavano molto diversamente: e il loro progetto fu imposto su di lei. A 12 anni fu promessa sposa a Lorenzo de’ Ponziani, ricco commerciante di Trastevere. La decisione dei genitori scatenò in lei una violenta reazione nervosa, di chiara natura psicosomatica. Dopo vari tentativi un po’ dubbi e non voluti dalla ragazza, la terapia giusta arrivò mediante una visione: Francesca si sentì tranquillizzata, riacquistò la pace interiore e la vigoria fisica.   Aiuto morale e spirituale straordinario lo trovò nella cognata, Vannozza, una donna devota, sensibile e di grande carità. Le due donne, diventate grandi amiche, marciavano in sintonia, fino a trasformare la loro


ricca casa in Trastevere in un punto di riferimento per i poveri e bisognosi della città.   Intanto a Francesca nacquero tre figli, e così era diventata madre di famiglia, premurosa verso tutti, sempre occupata nella faccende domestiche. Era di buona cultura, attenta e accorta nell’amministrazione della casa, seguiva tutti e tutto, amministrando e guidando con dolcezza ma anche con efficacia ed efficienza la numerosa servitù. Un particolare che oggi fa sorridere: non curava il suo “look” più di tanto, non le interessava apparire, non cercava l’ammirazione ed il “gossip” del mondo. Eppure i mezzi finanziari li aveva. Non era insomma una di quelle “femmine vane”, cioè vuote e senza sostanza, stigmatizzate con forza dal predicatore di Siena san Bernardino. Anzi, d’accordo con il marito Lorenzo, si vestiva sempre di scuro: niente abiti di seta, niente gioielli o veli preziosi, niente… tacchi alti! La sua autostima non aveva bisogno di queste cose esterne. NON LE MANCAVA MAI IL SORRISO

Francesca era quindi una donna di grande azione ed intraprendenza, una donna di sostanza insomma. Tutto qui? No, era anche una donna di orazione a Dio e di contemplazione del suo mistero di amore, trasmessoci attraverso il Figlio Gesù. Nonostante tutte le incombenze familiari, riusciva a ritagliarsi un pezzo di giornata per la preghiera. Qui attingeva la forza per andare avanti, con serenità e con coraggio. Anche nella opera caritativa e assistenza ai malati. Ed era molto apprezzata: visitava e curava i malati dalle malattie più diverse, “specializzandosi” in quelle proprie delle donne e dei bambini. Ebbe anche molto da “fare” contro il diavolo, che la “con-

sigliava” di lasciar perdere tutta quella carità.   E arrivarono anche per lei i momenti tragici e difficili, da mettere a dura prova la sua fede in Dio. La guerra portata a Roma dalle truppe del regno di Napoli regalarono alla città violenza, miseria e disperazione: a lei un marito invalido. E pochi anni dopo arrivò anche la peste, che le strapperà via due figli. Ma anche in quegli anni così difficili per Roma e per lei, la gente vide in quella donna vestita di scuro che guidava un asinello nei suoi giri di carità, un modello di fede e di coraggio. E nell’immaginario collettivo dei romani di allora rimase impressa la figura di “Ceccolella” che donava ai poveri e aveva un sorriso per tutti. 1425: FONDAZIONE DI UN SODALIZIO DI OBLATE

La vita e gli esempi di fede e di carità di Francesca non passarono inosservati. La sua bontà, la pazienza, la carità dimostrate in tanti anni fecero breccia su alcune donne sue amiche: nacquero così le Oblate, che dovevano vivere non in comunità religiose ma nelle proprie case, soccorrendo i poveri. Nel 1433 cominciarono a vivere insieme, in una comunità, che diventò il primo monastero di Tor de’ Specchi. Anche Francesca, mortole il marito nel 1436, si unì alle Oblate. A loro diceva: «L’amore e la paura non pieghino il vostro animo, come pure l’onore e la timidezza non offuschino la vostra mente: abbiate sempre come intento della vostra attività unicamente la gloria di Dio». Tornò alla Casa del Padre il 9 marzo 1440, ricca di sofferenze, di tanti esempi di carità e di sorrisi. Per la gente era già santa in vita… ma la Chiesa la dichiarò tale solo nel 1608. I romani, per l’evento, organizzarono una grande festa di popolo, in onore della loro Francesca, romana, santa.

«L’AMORE E LA PAURA NON PIEGHINO IL VOSTRO ANIMO, COME PURE L’ONORE E LA TIMIDEZZA NON OFFUSCHINO LA VOSTRA MENTE: ABBIATE SEMPRE COME INTENTO DELLA VOSTRA ATTIVITÀ UNICAMENTE LA GLORIA DI DIO». S. FRANCESCA ROMANA, ALLE SUE OBLATE

Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00

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MARIA

Straordinaria nell’ordinario La storia di una donna semplice come la gente di montagna: madre tenera ma trafitta dalla morte del figlio accetta la prova e si mette alla sequela della Madre di Dio.

FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Si dice che i modelli dei nostri genitori, che se spesso razionalmente rifiutiamo, ci condizionino tanto da riproporli senza rendercene conto. Non per tutti però…e certo non per Dina!   Il suo vivere la maternità fortunatamente non lo ha costruito sul modello di sua madre, una donna dura, fredda che le ha sempre rinfacciato, fin da quando era piccola, di non averla desiderata e di essere stata di troppo, perché bastava ed avanzava sfamare gli altri tre figli, nella loro famiglia povera e senza gioia.   Deve essere devastante per una bambina sentirsi dire queste cose dalla propria madre e non credo sia totalmente giustificabile attribuire questa totale assenza di sensibilità alla vita dura e ai sacrifici, fatti da gente di montagna, circa un decennio prima della seconda guerra mondiale. Tanto lavoro in casa, nei campi, poca scolarizzazione, nessuno svago, nessuna tenerezza, un’infanzia faticosa ed un’ altrettanto pesante adolescenza hanno caratterizzato la vita di Dina. La natura le aveva dato però un fisico grazioso ed un


MARIA

bel sorriso che conquistarono il cuore di un giovane compaesano che la chiese in sposa ed al quale, a soli diciannove anni, diede un bambino, Franco. MADRE SI DIVENTA

Nel raccontarmi di quegli anni lontani, ormai già in tarda età, trasparivano ancora nelle parole di Dina l’ansia, la sensazione di inadeguatezza e la preoccupazione di fronte al suo bimbo. Cosa avrebbe saputo dargli una ragazza che non aveva ricevuto amore, che ne aveva tanto bisogno e che non sapeva manifestarlo, perché non era stata abituata né a dare e né a ricevere? Forse il bimbo era arrivato troppo presto, forse avrebbe avuto bisogno di crescere ancora lei stessa, forse, ma i giochi erano fatti e non c’era più tempo per dei ripensamenti.   L’obiettivo di Dina fu quello di imparare ad essere madre per non far sentire suo figlio indesiderato come era capitato a lei e cercare un modello di riferimento da seguire passo dopo passo.   E quale esempio poteva essere il migliore di quello della Madonna, diventata madre giovanissima come lei, senza esperienza e disorientata per il grande compito che le era stato assegnato? Maria, Madre di Dio, la Vergine Assunta in cielo, patrona del suo paese, davanti alla cui statua fin da piccola Dina aveva pregato, incantata dal manto azzurro e dalla veste bianca, l’avrebbe presa per mano ed accompagnata per la strada della maternità. Con semplicità e purezza di cuore intraprese il suo ruolo di madre, si dedicò al suo bambino, crebbe con lui ed imparò a dare e ricevere amore. ANCORA UNA PROVA

Ci sono persone alle quali la vita pone molti ostacoli e difficoltà e Dina è stata una di quelle: non era bastata la sua giovinezza difficile, altre prove l’aspettavano ancora: l’incidente d’auto del figlio trentenne, padre di due bambini ancora pic-

CON SEMPLICITÀ E PUREZZA DI CUORE INTRAPRESE IL SUO RUOLO DI MADRE, SI DEDICÒ AL SUO BAMBINO, CREBBE CON LUI ED IMPARÒ A DARE E RICEVERE AMORE.

coli, il lungo periodo in ospedale, le tante operazioni ed infine la morte.   Dina che un tempo aveva temuto di non saper far la mamma, durante la degenza ospedaliera si dedicò totalmente a suo figlio, con discrezione, senza lamenti, giorno dopo giorno, sino alla fine, sempre guidata dal modello di Maria, sino al Calvario, sino alla Crocifissione, semplicemente e grandiosamente Madre.   Lo accompagnò alla tomba di famiglia nel cimitero del suo paese di montagna, per ritornare da lui una volta alla settimana con i fiori che raccoglieva nel suo giardino, dietro casa, dove aveva giocato il suo bimbo da piccolo. LA MAMMA DI FRANCO

Dina è morta lo scorso anno. Nel suo paese la ricordano come “la mamma di Franco”, una donna discreta, molto introversa da giovane ma più estroversa col passare degli anni, cresciuta grazie all’amore per il figlio e per i suoi nipoti. È stata una donna semplice che non ha fatto cose apparentemente eccezionali ma che è stata coerente a se stessa ed è riuscita a raggiungere, seguendo la strada indicatagli da Maria, l’obiettivo che si era prefissa da ragazza: essere una buona madre. MARZO-APRILE 2015

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MARIA

Maria: un martirio

fatto di silenzio e di emarginazione  Il periodo di tempo che abbraccia il ritrovamento di Gesù nel Tempio e l’inizio della vita pubblica con il suo Battesimo nelle acque del Giordano per mano di Giovanni il Battista, racchiude un arco di quasi diciotto anni. Sulla famiglia di Nazareth cala un silenzio totale. Abbiamo lasciato Maria nel fiore dei suoi ventisei anni e la ritroviamo in piena vecchiaia avendo raggiunto i quarantaquattro anni. Non dobbiamo dimenticare che la lunghezza media della vita è, in quell’epoca, di quaranta anni. Gesù, adolescente al momento del suo ritrovamento a Gerusalemme, è ormai un uomo di trent’anni nel pieno della sua maturità. Di Giuseppe non possiamo dire nulla. Non sappiamo se sia ancora vivo, perché tutto tace intorno alla sua persona. Per quanto riguarda Maria è possibile ritagliarci un’idea sul tipo di esistenza che ha affrontato, giorno dopo giorno, nello sperduto e sconosciuto villaggio di Nazareth. La sua vita sociale, a causa dell’ignoranza e dei pregiudizi dei suoi contemporanei, è fatta di dolore ed emarginazione, di sofferenza e solitudine. 18

MARIA AUSILIATRICE N. 2

MADRE DOLCE E FORTE

Il suo sì a Dio si trasforma in un lento martirio. La sua maternità misteriosa ed anomala la espongono al disprezzo, al dileggio ed alla solitudine che solo la vita familiare, nel complesso serena nelle relazioni, riesce a mitigare. Ancora oggi nel Talmud abbiamo dei chiari indizi sulla pessima opinione che ebrei e rabbini hanno di Lei. Viene definita con termini boccacceschi che possono fare felici solo i giornalisti di Charlie Hebdo. Di certo con trepidazione segue la crescita umana e religiosa del suo Figlio. Lo vede frequentare la scuola annessa alla povera sinagoga del villaggio. È felice nel suo cuore nel constatare, lei analfabeta, che Gesù è svelto di cervello e progredisce velocemente nello studio dell’ebraico, tanto che spesso se lo ritrova intento a leggere e spiegare la Scrittura nei giorni di Shabbat. Il suo bambino, giorno dopo giorno, diventa un bel ragazzone forte e sano. L’aiuta nel lavoro dei campi. Contribuisce al bilancio familiare collaborando con Giuseppe nella sua professione sia a Nazareth che


quietudine e sofferenza. È il normale tormento di qualsiasi mamma di fronte all’impenetrabile mistero esistenziale dei figli. È uno stato d’animo quanto mai attuale. Sono milioni, oggi, le madri che si lacerano l’anima di preoccupazioni per le loro famiglie. L’ Addolorata è la Madonna in cui si riconoscono milioni di donne. Mai come oggi il verbo amare va a braccetto con il verbo soffrire. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

MARIA

nella costruenda città di Sefforis, situata a quattro km di distanza. Bello, non sfugge allo sguardo femminile. Eppure non sembra interessato a mettere su famiglia. E questa è un’autentica stranezza nella cultura del tempo. Questo modo anomalo di comportarsi lo espone ad insinuazioni cattive, a battute grevi. Lui non se ne cura. Studia, lavora e, spesso, si ritira in solitudine a meditare e pregare. Maria su tutto vigila in silenzio. Osserva, ascolta, riflette, cerca di capire. Conosce il mistero del suo concepimento, intuisce la sua particolare vocazione, ma non riesce a trovare delle risposte che la tranquillizzino.

Immagine tratta dal film Io sono con te di Guido Chiesa (2006).

L’ADDOLORATA CHE DONA SOLO AMORE

Tutti i giorni prova sulla sua pelle tutta la sofferenza contenuta nella profezia di Simeone: «Una spada ti trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). È un dubbio che consuma, è una preoccupazione che avvolge il futuro di in-

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SAN PAOLO Le quaglie e il pane del cielo Massimo Pavanello San Paolo, 2014 pagine 136, euro 14,50 L’uomo della Sindone Marco Tommaso Reali San Paolo, 2014 pagine 80, euro 12,00

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GIOVANI

Giovani “senza domenica” La Chiesa, che oggi appare così forte, in realtà non è mai stata così debole. Cresce la strana pattuglia degli “atei devoti”, aumentano i suoi rumorosi difensori politici; ma calano i fedeli. E i giovani dove sono? Il papa è applaudito nelle piazze e “passa” spesso in tv; ma le chiese si svuotano. Il “precetto” si è trasferito al supermercato!?

Ancora oggi tante persone, soprattutto anziane, sentono il bisogno di confessarsi se una domenica, magari per motivi giustificabilissimi, quali una malattia o qualunque causa di impossibilità, non sono andati a messa e non se la sentono di fare la comunione avendo saltato il precetto. COME LA METTIAMO CON IL “PRECETTO”?

Precetto significa obbligo. Possibile che bisogna fare per obbligo, quasi come pagare una tassa, la cosa più bella del mondo? Cioè: accettare l’invito di Dio a un pranzo preparato tutto da lui. Rendendola obbligatoria si rischia di rovinare una cosa bella, togliendole cioè tutto il piacere della scelta libera e tutto il gusto dell’attesa e della preparazione con la meraviglia della sorpresa. È come se dicessimo a un fidanzato che una volta alla settimana «deve» incontrare la fidanzata per scambiarsi tenerezza, altrimenti commette peccato mortale. Accidenti!!! E pensare che i martiri di Abitene celebravano l’eucaristia 20

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GIOVANI

alla domenica nonostante l’obbligo di non farlo!!! Proprio il contrario!!! “APERTI LA DOMENICA” DA… 2000 ANNI!

Così sulla porta di una chiesa, quasi per fare concorrenza al supermercato, alternativa e rifugio domenicale per tanti cristiani! Ho letto questo: «Presentiamo un cristianesimo senza anima e speriamo che il mondo possa darsi una svolta. Offriamo una domenica da precetto e ci lamentiamo che si preferisca il supermercato o un qualsiasi week end. E per andarci la gente sfida le code interminabili in automobile perché noi non siamo più capaci di presentare una comunità viva in cui esploda la gioia del Risorto. Tutte le ditte si mettono in cordata per sopravvivere o per proporre i loro prodotti, noi ci dividiamo continuamente in tanti gruppi e gruppetti. Certo noi non siamo una catena di commercio, non dobbiamo andare porta a porta a vendere un prodotto, non siamo una massa, ma potremmo presentare il dono grande della comunione se non fossimo tanto addormentati e svuotati dal di dentro. Il vangelo non si merita tanta nostra svogliatezza, tanto pressappochismo, tanta impreparazione. Per prendere una laurea ti metti di lena a studiare, tagli le amicizie, ti chiudi come in gabbia. Per conoscere il vangelo ti fermi ai ricordi del catechismo della Cresima di tanti anni fa?».

negozi chiusi, il dolce a tavola, la partita di calcio. Allora? Ripetere le esperienze del passato? Forse dobbiamo in questi nostri tempi aver cura della domenica come giorno dedicato allo “stare insieme” senza fretta e senza assilli, in cui vivere con maggior cura il “mangiare insieme” e preoccuparci del reciproco “star bene insieme”; a cercare i motivi per essere grati per i tanti momenti belli che viviamo, ad esprimere con gesti e parole questa gratitudine alle persone che ci sono vicine. DA WEEK-END A DOMENICA

Aver cura così della domenica per viverla come giorno del Signore: trovarsi insieme, nutrirci della Parola e di Cristo, attingere la forza e l’entusiasmo per iniziare una nuova settimana, “fare il pieno” di Dio per riconoscerlo per le strade della vita. Meno noia e più entusiasmo, meno prediche e più Vangelo, più canti, più riscaldamento e non solo inteso come termosifone! Importante il ruolo degli adulti, certo. Ma dove sono gli adulti vivi? Voi giovani, se volete, potete oggi darci un soprassalto di furbizia, di scaltrezza, di entusiasmo, di autentica professionalità, che è la santità, nel vivere la vita cristiana, nell’annunciare il vangelo e nel celebrare con gioia “il Dio dei viventi” e non dei dormienti! GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net

CHE SIGNIFICA “OGGI” DOMENICA?

Dicendo “giovani senza domenica” si vuol dire che non si tratta di nuove abitudini, né di una presenza meno attenta dei genitori, ma piuttosto del fatto che per i nostri giovani di oggi la domenica è priva di quei segni tradizionali che aiutavano noi, adulti e anziani di oggi, a individuare la domenica come giorno diverso dagli altri: il vestito buono, il lavoro sospeso, i MARZO-APRILE 2015

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GIOVANI

Je ne suis pas Charlie La satira dev’essere intelligente e responsabile, non un liquame senza limiti.  Il 7 gennaio 2015, verso le ore 11,30, a Parigi, è cominciato un folle ed orribile attacco assassino contro la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, seguito a breve distanza di tempo da un altro contro un supermercato ebreo specializzato nella vendita di alimentari kosher. I due massacri hanno scatenato una marea di reazioni emotive nel mondo. Il giorno 11 gennaio più di tre milioni di persone sono sfilate per Parigi manifestando solidarietà e sdegno per le 17 vittime brandendo un’infinità di cartelli con scritto «Je suis Charlie». Il grande ex giocatore statunitense di pallacanestro Kareen Abdul-Jabbar, mussulmano, sulla rivista internazionale Time del 25 gennaio 2015 così definisce gli assassini parigini: «La violenza commessa in nome della religione, non ha nulla a che fare con essa. Gli assassini non sono altro che droni automatici controllati a distanza da altri. Invece che di impulsi radio, i loro manipolatori si servono di dogmi religiosi accuratamente selezionati per manipolare i loro comportamenti. Questi manipolatori occulti inquinano il Corano mediante omissioni e false interpretazioni». Il motivo ufficiale che ha armato la mano degli assassini è quello di punire chi si è macchiato di blasfemia rappresentando graficamente, in modo oltraggioso, la figura del profeta Maometto. IL DIRITTO DI SATIRA

Ma che cosa è Charlie? In un articolo uscito su Le Monde nel novembre 2013, Charb, il direttore editoriale caduto nell’attentato parigino, così ne sintetizza la storia: «Nasce nel 1970 dalle ceneri del settimanale Hara-Kiri chiuso d’autorità dal ridicolo potere gollista. Charlie Hebdo è figlio del maggio francese, della libertà, della insolenza, della blasfemia e di personalità illuminate come Cavanna, Cabu, Volinski, Reiser, Gédé, Delfeil de Ton… Quarant’anni fa schernire, esecrare, infangare le religioni era un processo obbligato». Sotto la spinta di Charb 22

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Qui sopra: Charb, Stephane Charbonnier, 47 anni. Direttore di Charlie Hebdo vittiama nella strage di Parigi.

il settimanale ha toccato un tale livello di sarcasmo e profanazione da far nascere dubbi e perplessità in alcuni dei più influenti redattori e vignettisti. Delfeil de Ton, 80 anni, dice a riguardo di Charb: «Che bisogno c’era di trascinare tutti in questa escalation senza limite?». Il più famoso vignettista del settimanale Volinski, assassinato nell’attentato, pochi mesi fa, in un’ intervista, ha affermato: «Penso che siamo degli incoscienti e degli imbecilli che corriamo rischi inutili. Ci si crede invulnerabili, provochiamo e poi un giorno tutto ci si può ritorcere contro». Facile profeta. Con il passare degli anni a Charlie Hebdo viene aggiunto il sottotitolo Journal irresponsable. Il motto della rivoluzione francese Liberté – Fraternité – Egalité viene spazzato via con il più prosaico Manger – Peter – Roter. Rivendicando il più truce libertarismo illimitato e sfrontato, la satira intelligente e caustica si è, man mano, sciolta in un liquame fatto di paro-


GIOVANI

In alto: Kareen Abdul-Jabbar ex giocatore statunitense di pallacanestro mussulmano

lacce, sconcezze, trivialità e bestemmie. Negli ultimi tempi, molte copertine sono state dedicate ai “cattolici bigotti” ed ai “fondamentalisti mussulmani”. Il Natale cristiano è stato irriso con una vignetta oscena del parto di Betlemme. Le tre persone della Trinità sono state disegnate mentre erano intente a sodomizzarsi tra loro. Maometto, anche nel numero stampato in cinque milioni di copie ed uscito postumo al massacro, viene irriso rappresentandolo come una testa di fallo al contrario. LA SATIRA È UNA SFIDA EDUCATIVA

Come educatori non possiamo sottrarci ad alcuni doveri irrinunciabili. Il primo è quello che ci invita ad educare alla satira che è qualcosa di bellissimo. Distillato di intelligenza, libertà e fantasia essa è capace di racchiudere in una vignetta, accompagnata da alcune battute, un messaggio urticante nei riguardi del potere

costituito o di una persona di spicco, evidenziandone i limiti e senza cadere in uno sguaiato e boccacesco libertarismo senza limiti. Essa non ha bisogno di alcuna forma di censura se non quella che noi imponiamo a noi stessi con il nostro cervello educato alla responsabilità ed al rispetto di tutti. Lo scrittore inglese Will Self in un dibattito su Channel Four ha detto: «Io difendo la libertà di espressione, ma questa non può esistere senza la responsabilità. La satira ha il diritto di andare oltre le convenzioni moralistiche che spesso imbavagliano ed umiliano la libertà, ma non può attentare ai diritti riconosciuti ad ogni persona, indipendentemente dalla razza, dalla religione e dal ceto sociale. Un’altra impellente necessità è quella di educare i giovani a essere testimoni di libertà di parola, di espressione, di comportamento, di vita nel rispetto di sé e degli altri. Alla domanda dei miei allievi: «Anche tu sei Charlie?», ho risposto: «Je ne suis pas Charlie!». Non accetto assolutamente la loro morte, perché nessuno ha il diritto di ammazzare un proprio simile, per nessuna ragione. Ma neppure posso accoglierne l’invito a trasformare la bellezza dell’ironia e della satira in uno strumento di offesa, di turpiloquio, di bestemmia e di inaudita violenza ideologica. ERMETE TESSORE tessore.rivista@ausiliatrice.net

“SIGNORE DAMMI LA FORZA DI CAMBIARE LE COSE CHE POSSO MODIFICARE E LA PAZIENZA DI ACCETTARE QUELLE CHE NON POSSO CAMBIARE E LA SAGGEZZA PER DISTINGUERE LA DIFFERENZA TRA LE UNE E LE ALTRE”.

(EINHOLD NIEBUHR)

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GIOVANI

C’è la passione per don Bosco e quanto significa appartenere alla famiglia salesiana nel musical Giovan(n)i d’oggi: lo spettacolo, andato in scena nel grande teatro Valdocco venerdì 23 e sabato 24 a suggellare l’apertura del Bicentenario e poi ancora a grande richiesta il 14 febbraio. È una sintesi efficace di quanto il santo dei giovani rappresenta da 200 anni per generazioni di giovani di tutto il mondo: don Bosco per chi lo incontra è la chiave che apre la porta all’incontro con Gesù: questo il messaggio del musical – come ha sottolineato il Rettor Maggiore, presente al debutto torinese al Teatro Valdocco, ringraziando tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dello spettacolo diretto da Alberto Casale, ex allievo dei salesiani di San Benigno. UNO SPETTACOLO TOTALMENTE SCRITTO DA SALESIANI E REALIZZATO DA VOLONTARI

Come don Bosco anche i 200 giovani che hanno messo in scena musical Giovan(ni) d’oggi hanno un sogno: nell’anno del Bicentenario portare sulle scene dei teatri delle parrocchie d’Italia la storia del santo dei giovani. La commedia musicale è costruita attorno ad un’idea di don Giorgio Mocci e scritta da don Maurizio Palazzo (testi e musiche canzoni), don Fabio Mamino e don Francesco Deruvo, tutti salesiani. La produzione è interamente amatoriale: dal regista a don Bosco (interpretato da Marco Montersino, insegnante di Lettere al Liceo salesiano Valsalice), dai coristi ai tecnici, le oltre 200 persone coinvolte sono tutti volontari. Il musical è messo in scena dalla compagnia teatrale e dall’orchestra dal vivo Nuove Direzioni diretta da Elisa Bellezza, con le coreografie 24

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foto di Massimo Masone

Giovan(n)i d’oggi

del centro di formazione Oltredanza e dai cori dell’Istituto musicale Leone Sinigaglia di Chivasso e Vocincanto di Robella preparati da Michele Frezza. La storia narra l’avventura di quattro giovani del futuro, che decidono di tornare indietro nel tempo per recuperare un oggetto misterioso (una chiave) andato perduto durante uno dei viaggi. Giungeranno nella Torino dell’800 e conosceranno don Bosco, un incontro che cambierà le loro vite. UNO SPETTACOLO DI ALTO LIVELLO CON UN’ORCHESTRA DAL VIVO

Il musical – sebbene sia allestito da volontari (in molti a partire dalla direttrice dell’orchestra sono professionisti) – è tecnicamente una produzione d’alto livello che nulla ha da invidiare agli allestimenti in cartellone nei migliori teatri: scene mobili, ampliate da due quinte videoproiettate che avvolgono il pubblico fino a portarlo in un cielo stellato, coreografie, costumi, spettacoli di luce a sorpresa. Ci sono la passione, la magia, il gioco di prestigio e tutta la manualità della tradizione


salesiana. Ma ciò che colpisce è la musica di don Maurizio Palazzo (che nello spettacolo suona il pianoforte), tanta, sfaccettata, eseguita da un’orchestra dal vivo imponente ed un coro che potrebbe competere con le produzioni più importanti del musical classico. Si sentono tante influenze, da Berlin e Lloyd Webber ai film musicali alla tradizioni operistica al pop italiano. Tanta musica appunto: persino quella di scena rimane in mente allo spettatore così le danze, le marce, i ritornelli s’impongono e coinvolgono. PERCHÉ UN MUSICAL?

«Abbiamo pensato di rappresentare l’attualità del messaggio di don Bosco anche a chi non conosce la sua vita con una forma di spettacolo che fosse coinvolgente e che mettesse insieme tutte le forme d’arte tipiche degli oratori salesiani: il teatro, la musica, il canto, la danza – spiega don Maurizio Palazzo –. Il musical è la forma musicale che permette di valorizzare tutte queste competenze e sicuramente è vicino alla sensibilità di don Bosco e al suo modo

gioioso di intrattenere i suoi ragazzi» Come ci si prepara per calcare le scene nei panni di don Bosco? «Se ti fermi a pensarci un attimo non accetti una parte del genere – confessa Marco Montersino – ma poi ha vinto l’incoscienza e così ho cercato di ispirarmi ad alcuni salesiani che conosco e che considero miei maestri; ho letto i suoi scritti, ho studiato i dipinti che lo ritraggono ho pensato che anche io sono padre (quattro figli, ndr), maestro (sono un insegnante) e amico (ne ho tanti…). E poi mi sono buttato: don Bosco in tutte le cose che faceva ci metteva il cuore, nel musical prima della voce, della danza, delle arti musicali e coreutiche ci abbiamo messo tutti passione. Speriamo di aver contribuito almeno a far nascere la curiosità di conoscere meglio il nostro santo». MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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GIOVANI

CHI È INTERESSATO AD OSPITARE IL MUSICAL SI PUÒ RIVOLGERE ALLA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA: PG@SALESIANIPIEMONTE.IT TEL. 011.5224718


GIOVANI

Vita oltre la droga MATTEO SPICUGLIA redazione.rivista@ausiliatrice.net

La storia di una ragazza di 16 anni, cocainomane e spacciatrice. Il coraggio di chi ha avuto la forza di riprendersi la dignità.

AVEVO PERSO TUTTO: GLI AFFETTI, IL LAVORO, LA DIGNITÀ. E PER CHE COSA? PER LA DROGA.

Valentina ha gli occhi azzurri, sospesi a metà. Occhi che guardano avanti, a un futuro normale da costruire e da vivere. Occhi che non cancellano il male di ieri, un passato senza senso da cocainomane e spacciatrice. Una discesa verso l’abisso iniziata ad appena 16 anni. Valentina è una ragazza di Torino, volto acqua e sapone, famiglia benestante, gli anni della scuola, gli amici, la routine di una vita come tante. Poi, la voglia di trasgredire, la curiosità. La cocaina inizia a fare il suo lavoro: divora tutto quello che incontra, comincia a mangiarsi la vita di questa ragazza che oggi sta cercando di mettersi tut26

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to alle spalle. «È da sei mesi che non mi faccio più; – racconta – non è facile, ma ho capito che la mia vita non aveva più senso. Avevo perso tutto: gli affetti, il lavoro, la dignità. E per che cosa? Per la droga». SI PUÒ COMINCIARE DA “POCO”

Valentina inizia con le canne, poi passa alle pasticche e, infine, alla cocaina. Nessun disagio particolare. «I miei genitori si sono sempre voluti bene e non mi hanno mai fatto mancare nulla. Ho cominciato solo per curiosità. Ricordo bene la prima volta. Ero in discoteca con il mio grup-


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po degli amici. Sembra incredibile, ma nel mio giro, la persona strana non era quella che si faceva. Eri tu che magari, non volevi fumare. Per un po’ ho rifiutato, poi ho deciso di provare».   La droga è ovunque, a scuola, in discoteca, nelle strade. Basta volerla. «La prima volta l’ho fumata, la seconda l’ho tirata, la terza mi facevo già in vena. All’epoca stavo con un ragazzo che aveva già iniziato. Ricordo che una sera in macchina, vedendolo in condizioni penose, cominciai a piangere e a chiedergli: “Perché ti fai del male? Perché?”. Io non mi sentivo ancora una tossicodipendente, semplicemente perché non mi ero ancora bucata e non avevo neppure intenzione di farlo. Fu quel ragazzo a chiedermi di provare. Ma la colpa fu solo mia. Sono convinta che ogni persona nella sua vita sia sempre nella condizione di scegliere. Quella sera io avrei potuto dire sì oppure no. Decisi di dire sì». E con quel sì, la droga cominciò a prendersi tutto. LA DROGA RENDE SCHIAVI

«All’inizio, – dice Valentina – la cocaina ti fa sentire un figo. Ti senti onnipotente, in grado di fare tutto. Ma questo effetto dura un quarto d’ora. Dopo ti svuota dentro e fuori. All’inizio ti droghi per colmare un vuoto, ma quella voragine si allarga sempre di più. È una sensazione tremenda. Passi le tue giornate su un letto. Un’apatia totale. Eppure, non ne puoi più fare a meno. La droga diventa il tuo chiodo fisso, l’unico pensiero. Credi di poter smettere quando vuoi, ma in realtà sei già schiavo».   Sei schiavo perché cominci a perdere tutto. Sei schiavo perché non hai altre ragioni di vita. Valentina lo

ricorda molto bene. «I ragazzi della mia età il sabato sera uscivano insieme: il divertimento era la chiacchiera, una birretta in compagnia, magari la discoteca. Per me e le persone del mio giro, invece, il massimo era prendere la macchina, fare cento chilometri ad andare e cento a tornare, comprare la droga, chiuderci in casa intorno ad un tavolo e farci di roba tutta la sera. Non ti frega più niente della legge, di quello che possono pensare gli altri. Niente».   Una fame da 200 euro al giorno, soldi che devi trovare assolutamente, anche a costo di rinnegare dignità, affetti, amor proprio. «Ho fatto cose terribili, – ammette Valentina – ho cominciato a rubare in casa dei miei genitori. Quando lavoravo, buttavo tutto il mio stipendio nella cocaina. So di amici che addirittura hanno venduto il loro corpo per una dose. E poi, ho cominciato a spacciare. Se penso che ho venduto droga anche a ragazzi di 15-16 anni mi viene male, perché ho spacciato morte. Però, io avevo bisogno di soldi per la mia dose. È terribile, lo so, ma è così. Il nostro mondo era quello».

LA DROGA DIVENTA IL TUO CHIODO FISSO, L’UNICO PENSIERO. CREDI DI POTER SMETTERE QUANDO VUOI, MA IN REALTÀ SEI GIÀ SCHIAVO. NULLA PERÒ È PERSO PER CHI VUOLE CAMBIARE.

RITORNARE A VIVERE È SEMPRE POSSIBILE. GRAZIE ALLA FAMIGLIA

Nulla però è perso per chi vuole cambiare. Nel caso di Valentina, è successo con la morte per overdose di due cari amici, un dolore che è diventato domanda: «Valentina, ne vale la pena? Vale la pena perdere affetti, lavoro, una vita normale? E tutto per la droga?». Così lo sguardo MARZO-APRILE 2015

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di suo padre. «I miei avevano capito tutto, ma in queste situazioni molte volte i genitori sono impotenti. Una sera, quando tornai a casa dopo il mio solito sballo, trovai mio padre ad aspettarmi. Con le lacrime agli occhi, usò parole durissime. “È finito tutto, non vedo più luce per te, ho perso la speranza. Ho solo il terrore che qualcuno prima o poi chiami a casa per dirci che ti hanno trovato morta in una strada o nel cesso di una stazione”». Parole durissime che però hanno aperto un varco, sono state la molla per chiedere aiuto, per far capire a due occhi azzurri che fuori «c’è un mondo bellissimo che ci aspetta, tutto da scoprire, da vivere. Senza droga». Valentina è entrata così in comunità, sa che la strada è lunga, ma la speranza non la lascia. «Sono seguita da persone competenti che mi stanno aiutando. Oggi, come si dice, sono pulita, ma so che dovrò dire il mio no alla droga ogni giorno. Persone come me possono ricadere nel problema in ogni momento. Ma non sono sola. Qualche giorno fa, ho

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rivisto mio padre. Aveva uno sguardo diverso. Gli ho chiesto: “Papà, pensi ancora che non ci sia luce davanti a me?”. La sua risposta: “Adesso sì. La vedo”». Quando ne parla, Valentina si illumina, la bellezza che è in tutti ha ritrovato il suo posto, ha acceso nuove attese, sogni, desideri. Nulla di eclatante, eppure qualcosa di meraviglioso per chi aveva tutto da perdere. «Oggi non desidero chissà cosa. Dal momento che la mia vita fino ad ora è stata anormale, vorrei solo una vita semplice e normale».

C’È UN MONDO BELLISSIMO CHE CI ASPETTA, TUTTO DA SCOPRIRE, DA VIVERE. SENZA DROGA.


foto di: Giuseppe Verde, Dario Prodan, Renzo Bussio, Massimo Masone, Andrea Cherchi

31 gennaio 2015

FESTA di DON BOSCO


FESTA DI DON BOSCO

Omelia nella Solennità di don Bosco Incontro dei Responsabili Maggiori dei gruppi della Famiglia Salesiana. DON ÀNGEL FERNÀNDEZ ARTIME, RETTOR MAGGIORE redazione.rivista@ausiliatrice.net

Carissimi fratelli e sorelle, membri della Famiglia Salesiana, amici e amiche di Don Bosco 127 anni fa, il nostro amato Padre lasciava questa terra benedetta di Valdocco per andare in Cielo. I suoi figli e figlie, con il cuore trafitto dal dolore, sicuramente sono venute a pregare qui, la Madre Ausiliatrice, come noi oggi. Questo momento ci unisce intimamente a quegli istanti come ci unisce a tutti i fratelli e sorelle del mondo che anche oggi ringraziano Dio per la vita del nostro Padre e Fondatore chiedendo ancora una volta la sua intercessione e benedizione. Alcune ore dopo la sua morte, don Rua, il suo amico, fratello e successore, scriveva la sua prima lettera circolare che io voglio ricordare con emozione e tenerezza: Coll’angoscia nel cuore, scrisse, cogli occhi gonfi dal pianto, con mano tremante vi do l’annunzio più doloroso, che io abbia mai dato, o possa ancor dare in vita mia; vi annunzio che il nostro carissimo Padre in Gesù Cristo, il nostro Fondatore, l’amico, il consigliere, la guida della nostra vita è morto.   Ahi! parola che trapassa l’anima, che trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena ad un profluvio di lacrime!   E più avanti: Per ora non occorre che io dica come Don Bosco ha fatto la morte del giusto... [...] Neppure vi dirò qui delle sue virtù e delle opere sue, chè il tempo stringe e il cuore non regge.

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NELLA PAGINA A FIANCO IN ALTO IL RETTOR MAGGIORE, DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME, SOTTO DON ENRICO STASI, ISPETTORE DI PIEMONTE, VALLE D’AOSTA E LITUANIA PRESIEDE LA S. MESSA PER LE SCUOLE SALESIANE IL 30 GENNAIO SCORSO.

sca, un genio, ma che corre il rischio di essere troppo innalzato a tal punto da farlo irraggiungibile. Da una parte, Giovanni Melchiorre Bosco è stato solo uno, come ognuno di noi è solo uno, e d’altra, tutti noi, insieme, siamo stati chiamati ad essere Don Bosco oggi, la continuazione della sua opera. Infatti, questo “fenomeno” di identificazione di Don Bosco con la sua opera è così diffuso che non è raro sentire dire un po’ ovunque ai ragazzi e anche agli adulti “vado al Don Bosco” in vece di dire “vado alla casa di Don Bosco o all’oratorio di

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E ancora: Dal canto nostro possiamo aggiungere ancora che abbiamo la più grande fiducia [...] perché D. Bosco dal Cielo, ove fondatamente lo speriamo già accolto in gloria, ci farà ora più che mai da amorosissimo padre, e presso il trono di Gesù Cristo e della Divina sua Madre eserciterà più efficacemente la sua carità verso di noi, e più abbondanti ci farà piovere le celesti benedizioni.   Per loro, come per noi e migliaia (magari milioni) di persone in tutto il mondo Don Bosco è stato un uomo affascinante. Una figura gigante-


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ALCUNI MOMENTI DELLE S. MESSE PRESIEDUTE DAL RETTOR MAGGIORE E DALL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA E LA BENEDIZIONE DEI BAMBINI PRESIEDUTA DAL NOSTRO PARROCO.

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Don Bosco o all’opera, ecc.” Attenzione, cara Famiglia, cari amici e amiche, tutti noi siamo stati chiamati a essere, insieme, Don Bosco!   Seguendo le letture di oggi, voglio sottolineare brevemente tre caratteristiche della sua persona.   Nella prima lettura Dio dice, per mezzo del profeta: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura... Susciterò per loro un pastore che le pascerà... Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio...” Le costituzioni salesiane iniziano con questa certezza-professione di fede: “Con senso di umile gratitudine, crediamo che... lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.”2 Ecco, Dio ha suscitato un pastore per i ragazzi, i più svantaggiati in primo luogo, ma per tutti i giovani del mondo, un uomo proveniente dai colli monferrini, da una famiglia povera di risorse mate-

riali ma ricca di fede e umanità. Così Giovanni fu chiamato a essere un pastore tessitore di alleanze, come tutti i veri pastori. Infatti, il testo di Ezechièle curiosamente usa la formula tipica dell’Alleanza: “Io, il Signore, sarò il loro Dio”.   Sappiamo bene che l’epoca di Don Bosco fu un’epoca difficile, dove i confronti culturali, sociali, economici e religiosi erano moneta corrente. Lui fu un tessitore di alleanze non solo tra Dio e il suo popolo, ma anche tra i fratelli e le sorelle del popolo. Oggi Papa Francesco insite di andare all’incontro degli altri, rinforzando proprio la cultura dell’incontro. Don Bosco si sentirebbe a suo 2 agio con questo invito-mandato.   Carissimi superiori e responsabili della Famiglia Salesiana sparsa per il mondo: anche noi, Don Bosco oggi, siamo chiamati ad essere buoni pastori, tessitori di alleanze, curatori della cultura dell’incontro!   In secondo luogo, la lettera di


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Paolo ai Filippési, ricorda che “La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino”. Siamo figli di un Padre che ha vissuto intensamente questo invito. Lui è stato veramente un pastore affabile, seguendo le orme di San Francesco di Sales. L’affabilità, la familiarità così caratteristica delle nostre presenze, la cortesia, cordialità ed amabilità, cioè la tipica amorevolezza salesiana, non si improvvisa. Nemmeno si “impara” dall’esterno, anche se il buon esempio aiuta a risvegliarla nel cuore. L’affabilità si attinge dal profondo del cuore: un cuore riconciliato con Dio e con i fratelli e le sorelle, un cuore appassionato per Dio e i suoi figli, un cuore disponibile al sacrificio, deciso, aperto alla diversità. Don Bosco non è stato un genio dell’amorevolezza. Come non lo è stato nemmeno Francesco di Sales. Tutte e due MARIA AUSILIATRICE N. 2

hanno dovuto fare grandi sforzi e un grande ed impegnativo lavoro personale per raggiungere quella genialità che li ha fatti grandi uomini pieni di affabilità e capacità di vicinanza e di accoglienza. La loro genialità non è stata frutto loro perché erano geni, ma sono diventati geni, perché hanno vissuto con genialità l’essere discepoli missionari di Gesù Buon Pastore, l’uomo-Dio, umile e mite, capace di amare fino alla fine e perdonare fino all’ultimo suo respiro! Quindi, carissimi tutti, anche noi possiamo vivere così se ce lo proponiamo e ci aiutiamo gli uni gli altri e rimaniamo aperti alla grazia di Dio. Cara Famiglia Salesiana, siamo affabili!   Finisco, un ultimo tratto di Don Bosco che voglio sottolineare oggi viene fuori dalla lettura del Vangelo.   Matteo ci ricorda questa pa-

IN ALTO: MOMENTO DELLA S. MESSA PRESIEDUTA DAL RETTOR MAGGIORE; IN BASSO: VESPRI SOLENNI CON IL RETTORE DELLA BASILICA; SOTTO DON PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA, RETTOR MAGGIORE EMERITO, PRESIEDE LA S. MESSA PER LA FAMIGLIA SALESIANA.


rola di Gesù: “Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”. Ecco, tutti noi riconosciamo tante volte Don Bosco come il più grande. Io sono convinto che è stato veramente un grande, ma se noi vogliamo presentare il nostro Padre come il più grande separandoci dalla Parola di Gesù, diamo ragione a quelli che ci criticano dicendo che siamo poco meno che fanatici. Ho detto tante volte già che noi non vogliamo continuare a incensare Don Bosco, né celebrare questo bicentenario della sua nascita con festeggiamenti trionfalistici o fuochi di artificio.   Se il senso di essere un grande o un genio, come dicevo prima, significa che lui è irraggiungibile, sbagliamo strada. Egli è stato veramente straordinario, ma come ognuno di noi può esserlo e come tanti, an-

AL CENTRO: MONS. MARCO ARNOLFO, ARCIVESCOVO DI VERCELLI; A LATO MADRE YVONNE REUNGOAT, SUPERIORA DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE; IN BASSO ALCUNI RAPPRESENTANTI DEI 30 GRUPPI DELLA FAMIGLIA SALESIANA. MARZO-APRILE 2015

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PUOI TROVARE ALTRE FOTO SU WWW.DONBOSCO-TORINO.IT (GALLERY)


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che senza avere l’appartenenza formale nella nostra Famiglia. Il Vero e Unico Grande è Dio!   Perciò Gesù ci invita a diventare piccoli, semplici, umili come i bambini, pieni di sogni e di gioia di vivere, aperti a dire una volta e un’altra: Abbà, Padre!   Gesù, il Figlio fatto piccola creatura per noi, è stato il centro assoluto della vita di Don Bosco, e per mandato di Gesù lui è diventato pastore affabile dei giovani, piccolo insieme a loro e per ciò grande: “Non con le percosse, gli ha detto l’uomo venerando, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù” Carissimi fratelli e sorelle, in questa casa, la casa della nostra Madre, si è manifestata tante volte la gloria di Dio, perché tanti, ispirati dallo stesso Spirito e dagli esempi e insegnamenti del nostro Padre Don Bosco, sono diventati piccoli con i piccoli, ultimi con gli ultimi, pastori di alleanze, “segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri”3 e a tutto il popolo.   Lei, Maestra di saggezza e di vita ci accompagnerà non solo per duecento anni in più, ma sempre purché siamo fedeli al progetto di Dio per noi e la noMARIA AUSILIATRICE N. 2

stra Famiglia: Essere come Don Bosco, con i giovani e per i giovani, pastori affabili e appassionati al servizio del popolo povero e sofferente. Un salesiano compositore argentino, Padre Eduardo Meana dice in un suo canto: “ ‘Salesiano’ è chi ha regolato il battito del suo cuore con le lacrime di tanti giovani impoveriti. Vede in Cristo i figli poveri e in loro vede Cristo. Un tal amore ti fa diventare giovane e ti fa bambino”. Ez 34,11-12....; Fil 4,4-9; Mt 18,1-6.10 2 C. 1 3 C. 2 1


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“Palla di cannone”

LORENZO BORTOLIN bortolin.rivista@ausiliatrice.net

Le provocatorie canzoni del francese Philippe Ariño.

Qui puoi trovare Boulet de Canon.

Qui puoi trovare Omosessualità controcorrente: vivere secondo la Chiesa ed essere felici.

S’intitola Boulet de Canon, letteralmente palla di cannone, l’album musicale di Philippe Ariño, 34 anni, saggista. Vive in castità la sua tendenza omosessuale ed è dichiaratamente cattolico. Molto conosciuto Oltralpe per le sue conferenze, il suo blog e i suoi libri (soprattutto L’homosexualité en vérité e L’homophobie en vérité), sta diventando famoso anche in Italia dove ha pubblicato il titolo Omosessualità controcorrente: vivere secondo la Chiesa ed essere felici (Effatà editrice). Il suo album comprende undici brani musicali, dove affronta argomenti tabù anche per la società francese, come la sessualità, la fede, la spiritualità, il denaro, la politica contemporanea. Per esempio, la canzone Veilleur je suis là, Sentinella io sono li, è una requisitoria contro il matrimonio omosessuale, propugna-

to dalla cosiddetta Legge Taubira, di cui è stato relatore un deputato del Partito socialista (lo stesso partito dell’attuale presidente Hollande).   In altre parole, Ariño scuote le coscienze di un certo mondo cristiano e si rivolge a tutti, compresi gli atei, che diversamente non avrebbero mai sentito parlare di canto religioso. Nello stesso tempo denuncia le ipocrisie della “religione secolare”, laica ad ogni costo, che il governo francese sta attuando ora, e fa riflettere anche sulla “sepoltura” intenzionale della civiltà cristiana. In questo modo, e come lui stesso sottolinea, Ariño intende rispondere all’appello di San Paolo: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2Tm 4,2). MARZO-APRILE 2015

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foto di Massimo Masone

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La festa di don Bosco in Casa Madre  La lunga giornata della festa liturgica di don Bosco ha avuto il momento centrale nel tardo pomeriggio nella Basilica di Maria Ausiliatrice: la Messa per i giovani del Movimento Giovanile Salesiano presieduta dal Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime. Una celebrazione festosa con i rappresentanti da tutto il mondo delle 30 realtà (laiche e religiose) che compongono la Famiglia Salesiana e con centinaia di giovani che hanno riempito la basilica all’inverosimile. IL SIGNORE, GESÙ È LA VIA AUTENTICA PER LA VERA FELICITÀ DI CIASCUNO

Il Rettor Maggiore, continuando la tradizione del suo predecessore don Pascual Chávez Villanueva, anche lui a Torino per le celebrazioni del Bicentenario, ha con30

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MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

segnato ai giovani del Movimento e idealmente a tutti i giovani dei 132 paesi del mondo in cui sono sparse le opere salesiane il messaggio della festa liturgica di don Bosco tratto dalla prima lettera di san Giovanni: «Scrivo a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio dimora in voi». «Ho scelto queste parole tratte dalla prima lettera di san Giovanni – ha detto il Rettor Maggiore – perché mi sembra una bellissima concretizzazione della chiamata che oggi il Signore Gesù fa a ciascuno di voi e che senza dubbio don Bosco, con la sua genialità educativa, saprebbe tradurre in sfida e traguardo della vita quotidiana per i suoi giovani. Miei cari giovani, non posso nascondervi questa mia profonda convinzione: il Signore, Gesù di Nazareth, Figlio del Padre, è la via autentica per la vera felicità di ciascuno di noi, di


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ciascuno e ciascuna di voi. Don Bosco credeva ciecamente, pienamente in voi giovani. Faceva sue proprie le inquietudini, speranze e gioie dei suoi giovani (e di voi), vivendo con i suoi giovani, in mezzo a loro e con loro, e in quello che era un dono speciale in lui, di essere uomo della relazione personale, del buon tratto, dell’amicizia e del dialogo, dava ai suoi giovani tutta la fiducia per essere veramente “forti” nel cammino della vita, forti nella fede, credendo realmente nelle proprie capacità e possibilità, credendo che voi potete essere, e dovete essere, perché così chiede il Signore, i veri protagonisti delle vostre vite».

ma più riusciamo a conoscerci e a integrarci più serviamo meglio la Chiesa. Per essere segno di pace nel mondo dobbiamo innanzi tutto noi cristiani crescere nel dialogo, abbattere i campanilismi. Don Bosco non è solo della famiglia salesiana ma è di tutta la Chiesa e di tutti coloro anche non cristiani che amano i giovani».

Il rettor maggiore con alcuni insegnati delle scuole salesiane.

Momento di festa e gioco all’Oratorio di Valdocco.

30 GRUPPI, 132 PAESI

In mattinata i superiori e i coordinatori delle 30 componenti della famiglia salesiana si sono riuniti a Maria Ausiliatrice per la prima volta in occasione del Bicentenario animando il cortile di Valdocco con i colori e le lingue dei 132 paesi dove sono presenti i salesiani: «Ci siamo ritrovati in occasione dei 200 anni dalla nascita di don Bosco – ha detto suor Yvonne Reungoat, madre generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice – per creare più sinergia tra le varie componenti della Famiglia Salesiana, per potenziare la rete delle maglie dei figli e delle figlie di don Bosco e di madre Mazzarello – è il carisma del nostro santo che ci unifica:

Superiori e coordinatori delle 30 componenti della Famiglia Salesiana.

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Notizie per i duecento anni di don Bosco

La rivista della Regione dedica un ampio servizio al Bicentenario di don Bosco e al carisma salesiano in Piemonte.

Qui trovi la rivista NOTIZIE in formato PDF.

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«Una ricorrenza importante. Un anniversario che merita di essere celebrato e che il Comitato storicoscientifico italiano della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dichiarato “evento d’interesse nazionale”. Il 16 agosto don Bosco “compie” duecento anni: un traguardo invidiabile per uno dei santi più ricchi di fascino che il Piemonte abbia donato al mondo. Il santo il cui desiderio di proporsi come padre e maestro dei giovani – sbocciato tra le colline dell’Astigiano e maturato nella periferia torinese – continua e fiorire nei cinque continenti». Comincia così il servizio che la rivista Notizie della Regione Piemonte dedica al Bicentenario della nascita di don Bosco. UN’OCCASIONE DI RINNOVAMENTO

Il servizio – che occupa otto pagine – prende spunto dall’imminente anniversario della nascita di don Bosco per offrire un’ampia panoramica

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sulla presenza del carisma salesiano in Piemonte. «Da tempo – dichiara il direttore responsabile Domenico Tomatis – la rivista Notizie ha deciso di occuparsi non tanto di ciò che avviene all’interno dei palazzi del Consiglio e della Giunta regionale quanto di ciò che avviene in Piemonte a livello sociale e culturale. Siamo rimasti colpiti dall’affetto e dalla simpatia che avvolgono la figura di don Bosco e abbiamo pensato di dedicare il giusto spazio alle celebrazioni del Bicentenario. E se don Bosco è uno dei santi più conosciuti e apprezzati al mondo è anche grazie all’opera dei salesiani che operano in moltissimi paesi e si dedicano a molteplici campi di attività». L’articolo principale è incentrato sulle iniziative più importanti dei festeggiamenti e al loro significato: «Un’occasione – come sottolinea il rettor maggiore don Àngel Fernández Artime – per vivere più a fon-


UN CARISMA, CENTO MISSIONI

E proprio ai “pilastri” lungo cui si snoda la missione dei Salesiani in Piemonte è dedicata una serie d’interviste: al direttore dell’Oratorio don Bosco di Asti don Mauro Zanini sull’importanza di un luogo fisico d’incontro e di confronto per i giovani anche nel nuovo millennio; al direttore delle riviste Mondo Erre e Dimensioni Nuove don Valter Rossi sul ruolo cruciale della comunicazione; al cappellano del Carcere minorile Ferrante Aporti di Torino don Domenico Ricca sull’emarginazione, alla presidente regionale della Fede-

razione italiana di attività educative (Fidae) suor Anna Maria Cia e alla professoressa Cristina Ballario del Centro di formazione professionale Cnos-Fap di Fossano, sulla scuola e l’orientamento e la formazione professionale. Oltre a una breve biografia di don Bosco, completa il servizio una proposta di pellegrinaggio – tra Torino e Asti – sui luoghi che hanno visto sbocciare, fiorire e crescere il sogno di don Bosco: Colle don Bosco, Chieri, Valdocco, la chiesa di San Giovannino e Valsalice. «Come ulteriore omaggio – conclude il direttore Tomatis – abbiamo postato sul canale Crpiemonte.tv, la social tv del Consiglio regionale del Piemonte, un documentario dell’Istituto Luce che mostra la processione in onore del beato don Bosco che, nel 1929, sfilò per le vie di Torino coinvolgendo oltre 200.000 persone».

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do un cammino di fedeltà a quella stessa chiamata che don Bosco sentì, ascoltò e tradusse in vita. Un modo per far sì che quel dono che è don Bosco per la Chiesa e per la Famiglia Salesiana non ci lasci centrati in noi stessi, autoreferenziali e autocompiaciuti, ma ci lanci, con maggior forza se possibile, verso la missione».

INTENTO DELLA MOSTRA È PRESENTARE LA FIGURA DEL SANTO EDUCATORE ATTRAVERSO VARIE FONTI COMUNICATIVE DA TUTTO IL MONDO. 1. ARTI FIGURATIVE 2. DOCUMENTI A STAMPA 3. OGGETTI COMMEMORATIVI 4. FILATELIA COMMEMORATIVA 5. EREDITÀ SPIRITUALE

CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Ecco perché lo amo Una Volontaria di Don Bosco ricorda come e perché ha scelto il suo Uomo (2ª parte).

Sul numero scorso – sono sicura che ve ne ricordate – ho scritto che da parecchi anni sono innamorata di un Uomo strano: un Uomo che frequenta strane compagnie, dalla memoria corta, ma capace di esserti sempre vicino. Ora vi racconto come ho scelto di essere Volontaria di Don Bosco (VDB), cioè di consacrare la mia vita a Dio, continuando a vivere nel mondo con stile salesiano. Nel mio cammino di preparazione alla professione dei voti ho avuto modo di riflettere su alcuni aspetti. In particolare, la VDB deve essere “sposabile”, avere cioè tutte le caratteristiche che possono attrarre in una donna: la dolcezza, l’amabilità, che nello stile salesiano riassumiamo con il termine amorevolezza... Il nostro fondatore, don Filippo Rinaldi (terzo successore di don Bosco), esortava le prime Volontarie a non 34

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diventare zitelle inacidite, le invitava a curare il proprio aspetto, ad essere all’altezza del mondo in cui vivevano. Nel secondo anno, abbiamo riflettuto sul fatto che la VDB deve essere capace di sposare: deve avere la maturità indispensabile per scegliere consapevolmente di voler vivere tutta la vita con un uomo. Era quello il periodo in cui mi stavo innamorando non di un uomo qualunque, ma di Dio, lo stavo scegliendo per tutta la mia vita, trovavo in lui sempre qualcosa in più che negli altri. Il terzo anno ci siamo soffermate sulla capacità di vivere da “sposata”, con tutto ciò che questo comporta, non ultima la fedeltà nelle prove del quotidiano. UN DIAMANTE NON PIÙ GREZZO

Ormai da più di dieci anni, vivo la mia consacrazione secolare salesiana, nel mondo, senza


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che nessuno sappia di me: il nostro riserbo ci invita a non rivelare la nostra consacrazione, ma non per questo ad essere un segno meno significativo. L’immagine dello lievito nella pasta è quella più utilizzata per descrivere una situazione come la nostra: il lievito che non si vede perché si mischia con gli ingredienti, la cui azione è però visibile a tutti. Personalmente preferisco altre immagini. Per esempio, mi piace paragonare la nostra vocazione a un diamante, per la preziosità, ma soprattutto pensando alla sua origine: si forma dal carbonio (lo stesso elemento chimico che può presentarsi sotto forma di grafite), un materiale “povero”, ma capace di liberare grande energia. E per formarsi, il diamante ha bisogno di essere sottoposto a grandi pressioni, senza quasi ossigeno. La nostra povertà, sottoposta alle prove, giorno per giorno si può trasformare in un diamante, che quando viene alla luce è ancora una diamante… grezzo. Sta a noi lasciarci lavorare, essere docili alla Sua volontà, provare ad interpretare il quotidiano alla luce della sua Parola, cercare nel luogo di lavoro il modo di santificare ogni singola azione, negli incontri con le persone la sua presenza. E questo lasciarci lavorare giorno per giorno ci porta ad acquisire le sfaccettature, la forma del diamante non più grezzo. SCEGLIERE GESÙ COME “MARITO”

Soltanto così possiamo poi lasciarci attraversare dalla luce di Dio, per poterla scomporre in mille colori diversi adatti ad ogni persona che ci avvicina. Spesso la nostra testimonianza risulta più incisiva perché le persone non sanno che siamo consacrate, possiamo avvicinarle con facilità, condividere la loro vita i loro problemi e trovare il modo di portare loro un raggio di speranza, mettendo a frutto la forza che la consacrazione ci dona, la gioia interiore tipica della vita salesiana, la perseveranza che scaturisce da una scelta di fedeltà definitiva.

I “difetti” di quel Dio di cui mi sono innamorata, sono il segno più bello di un amore gratuito, senza condizioni, senza misura, fuori dalle condizioni umane. Gesù non ricorda offese o difetti, Lui sa solo dare. I difetti di Gesù meritano di essere amati. Per questo, a me, a ciascuna di noi Volontarie di Don Bosco, questo Gesù piace. Al punto da deciderci di sceglierlo come “Marito”. UNA VDB INNAMORATA DEL SUO …UOMO redazione.rivista@ausiliatrice.net

PER INIZIARE IL CAMMINO TRA LE VDB OCCORRE: • ESSERE NUBILE, TRA I 21 E I 40 ANNI, •N ON AVER FATTO PROFESSIONE IN ALTRI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA, •A VERE SALUTE, TEMPO E LIBERTÀ SUFFICIENTI PER ASSICURARSI TEMPI DI PREGHIERA E PER GLI IMPEGNI DELL’ISTITUTO, •A VERE MATURITÀ PSICOLOGICA E AFFETTIVA ADATTA ALL’ETÀ ED ALLA SITUAZIONE DI VITA, • E SSERE DISPONIBILE AD ACCRESCERE LA PROPRIA CULTURA, • E SSERE ORIENTATA ALLA VITA APOSTOLICA NELLA SECOLARITÀ CONSACRATA SALESIANA, •A VERE SUFFICIENTE AUTONOMIA ECONOMICA CORRISPONDENTE AL PROPRIO STATO. PER INFO: TEL (+39) 06.4883946 (+39) 06.45438633 INFO@ISTITUTOVDB.IT

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Luca Parmitano, l’uomo delle stelle

Luca Parmitano, ex allievo di Catania ci confida le sue opinioni sui giovani e sul futuro.

Lo stemma dell’Aeronautica Militare sormontato dall’aquila turrita.

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Gli ex allievi di don Bosco sono arrivati davvero dappertutto. Anche nello spazio. È il caso di Luca Parmitano, primo italiano ad aver sfidato la voragine buia dell’universo. Il Cristoforo Colombo del nuovo millennio è figlio dell’Istituto salesiano “San Filippo Neri” di Catania. Trentotto anni, è Maggiore dell’Aeronautica e lavora per l’European Space Agency. Un’astronauta che vive la propria spiritualità pensando che Dio vada cercato non nell’infinito, dove istintivamente saremmo portati a volgere il no-

stro sguardo, ma «nell’infinitamente piccolo, dentro di noi». Così, a chi è abituato ad alzare gli occhi al cielo quando cerca conforto, chi lassù c’è stato sul serio offre una riflessione interessante: «Come uomini abbiamo un grande limite: l’immaginazione. I confini ce li siamo inventati noi – dice Parmitano –. Se penso alle tensioni internazionali, tutto questo visto da centinaia di chilometri di distanza appare lontano e insignificante. Chi vola sa che non ci sono confini, soltanto orizzonti».


«Vorrei potervi indicare la strada che porta al vostro futuro, ma non è questo il compito di un padre. Quello che invece vorrei darvi è la mappa che contiene tutte le strade, affinché voi possiate scegliere il percorso» scriveva Luca in una lettera aperta alle proprie figlie, Sara e Maia, mentre nel 2009 era in attesa di tornare a casa dopo la missione spaziale “Volare”. Parmitano, memore degli insegnamenti del salesiano don Franz Alberti che lo ha accompagnato nei suoi primi anni di studi, vuole anche lui, a suo modo, contribuire all’opera educativa in favore dei giovani, che oggi sono web nativi: e allora ecco un profilo Twitter, una pagina Facebook e tanti incontri in oratori, scuole, università. «Spazio ai giovani» dice Luca sorridendo, in uno slogan capace di condensare la sua missione professionale e gli insegnamenti di don Bosco. E i ragazzi chiedono, si informano. Passeggiare per ben due volte tra le stelle fa di lui un personaggio unico. E né l’uomo né l’astronauta si è mai tirato indietro di fronte a interrogativi grandi o piccoli, ponendosi sempre altre domande, spesso le più difficili, senza mai accontentarsi di una prima, magari più semplice, risposta. LA PERFEZIONE DELLE COSE

Luca ama fare snowboard, lanciarsi con il paracadute, sollevare pesi e nuotare. Non

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SPAZIO AI GIOVANI

è un caso: era il migliore alle Mini Olimpiadi che i Salesiani organizzavano nella sua Sicilia quando era ragazzo. Di quel periodo gli è rimasta anche la curiosità per la musica e il teatro che il maestro Armando Bellocchi ha saputo trasmettergli. Ma la sua passione rimane l’universo. C’è rimasto sei mesi. E come Ulisse, dopo tanto viaggiare, è tornato a Itaca. Che cosa vede ora che prima non vedeva? «Tornando dalla mia missione – dice – ho riscoperto la perfezione delle cose. Le nostre vite inseguono affannosamente la perfezione e non si accorgono di averla sotto gli occhi». ANDREA CAGLIERIS redazione.rivista@ausiliatrice.net

PARMITANO HA AFFERMATO: “IO VORREI CHE SI GUARDASSE A ME COME ALLA DIMOSTRAZIONE CHE È POSSIBILE INSEGUIRE I PROPRI SOGNI, ANCHE SE SI VIENE DA REALTÀ DISAGIATE. L’IMPORTANTE È IMPEGNARSI E STUDIARE, PERCHÈ LO STUDIO SI MIGLIORA. NON TUTTI DIVENTERANNO ASTRONAUTI, MA TUTTI POSSONO DIVENTARE CIÒ CHE VOGLIONO”.

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Una sinfonia di musica e di vita Dalle Cantate di Bach agli ospedali dell’Africa, la figura poliedrica di Albert Schweitzer mantiene l’arte a contatto con l’umanità.

Uno scritto importante, anche se breve, del celebre teologo H.U. von Balthasar reca un titolo che è già in se stesso una meditazione: La verità è sinfonica. Questo accostamento di parole tra fede e musica continua a rappresentare la direttrice dei nostri incontri con i “musicisti di Dio”, e nello specifico con la ricca e brillante figura di Albert Schweitzer, organista, musicologo, filosofo, teologo e medico di origine alsaziana, morto in Gabon, a servizio dei poveri dell’Africa Equatoriale Francese, nel 1965. MA LA MUSICA È SOLO MUSICA?

Ancora una volta, come nel caso di don Vincenzo Cimatti, ci troviamo di fronte a un uomo di Dio che è anche uomo di arte e... di molto altro ancora: una figura poliedrica, che ha dato il meglio di sé in tanti campi, comunicando al tempo stesso la nitida sensazione di essere concentrato in realtà su un unico amore, quello per il Signore servito nei fratelli.

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La sua vita avventurosa è tutta da scoprire attraverso opere di pregio (come il suo autobiografico Dove comincia la foresta vergine), mentre dedichiamo qui un momento di attenzione allo scritto J.S. Bach. Il musicista poeta. Si tratta di un testo specialistico: le opere e lo stile di Bach vengono approcciate da Schweitzer attraverso la pratica dell’analisi musicale, il procedimento che permette di scoprire le strutture e le forme che rendono una composizione particolarmente bella e caratteristica. Nulla, infatti, nella grande musica, specie in quella di Bach, avviene a caso, e se i musicisti appaiono per definizione un po’ originali, stravaganti e imprevedibili, in realtà la loro arte rispetta un rigore e una precisione notevoli. Schweitzer mette in rilievo il peculiare linguaggio musicale di Bach, definendolo simbolico, cioè riconoscendo in lui l’intenzione di comunicare qualcosa che non è semplicemente musicale, ma che dalla musica vie-


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ne richiamato. Si tratta di una presa di posizione all’interno di un dibattito estetico abbastanza variegato nel corso dei secoli: può e deve, la musica, esprimere qualcosa al di là di se stessa? la musica “bella” è quella che suggerisce altro da se stessa o quella che risuona “pura”, senza riferirsi ad alcunché? Non sono domande banali, se pensiamo ad esempio che moltissima della musica oggi diffusa è legata ad un testo, a parole (come le canzoni), o ad immagini (la musica da film) o addirittura ad azioni ed emozioni (i jingle pubblicitari o le sigle degli show televisivi): viene da domandarsi se sappiamo ancora, quando ascoltiamo, distinguere la musica da tutto ciò che essa veicola.

dente” quale il testo del Vangelo o altri testi meditativi (nelle Cantate o nelle Passioni) e li contempla valorizzandoli con una perizia musicale in se stessa molto valida: una musica quindi in relazione con altre forme di espressione artistica, una relazione che arricchisce in quanto mantiene una propria dignità, una specifica verità. Schweitzer aveva forse colto in Bach qualcosa che nella sua stessa vita stava realizzando:

l’importanza per la musica di restare in relazione con tanti altri campi del sapere, e a sua volta di un’arte e di una scienza che restano in relazione con i fratelli, specie i poveri, come quelli a cui Schweitzer consegnò l’esistenza, un capolavoro di vita riconosciuto persino dal premio Nobel per la pace a lui conferito nel 1953. Davvero una sinfonia (che significa risonanza di tutto l’insieme), in un gioco di inappuntabile equilibrio e trascinante brillantezza, come nella musica del suo adorato Bach. CLAUDIO GHIONE redazione.rivista@ausiliatrice.net

TUTTO SUONA MEGLIO, SE RESTA NELL’AMORE

Per Schweitzer, che forse non aveva ancora questi problemi, Bach rappresenta comunque una risposta eloquente: egli è musicista-poeta, musicista-pittore, che parte da un “prece-

Albert Schweitzer interpretato da Jeroen Krabbè nel film Una vita per l’Africa.

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Ci racconti una storia? PASQUALE LAMAZZA redazione.rivista@ausiliatrice.net

In uscita per quest’anno Bicentenario della nascita di don Bosco un nuovo libro sulla vita del santo. Ne parliamo con l’autore.

Perché un altro libro su don Bosco?  Nonostante la vastità di produzione libraria sulla vita di don Bosco, mi pare utile in questo anno in cui ricorre il Bicentenario della nascita offrire un prodotto agevole di facile comprensione e diffusione che possa dare l’opportunità di incontrare, attraverso la lettura, la strabiliante persona di don Bosco. Scrivo nell’ introduzione: «Lo scopo di queste pagine vorrebbe essere questo: far nascere un incontro in chi legge partendo dalla narrazione di questi incontri nati dall’intreccio delle due storie. Un incontro che possa creare un legame e suscitare una risposta personale». Biografia o racconto per bambini… Cosa ti sei prefisso quando hai deciso di scrivere questo libro? Ho scritto ai più piccoli per poter parlare agli adulti. I racconti, le fiabe piacciono a tutti, piccoli e grandi. Così, con un linguaggio semplice, si trasmettono significati comprensibili ai più piccoli e i grandi diventano portatori del messaggio che la narrazione ha in sé. RACCONTO E PROTAGONISTI

La figura centrale del tuo libro è senza dubbio san Giovanni Bosco. C’è, però, un personaggio di tutto rilievo: nonno Antonio. Perché hai scelto questa figura per parlare a due bambini?   Forse oggi i bambini trascorrono più tempo con i nonni che con i genitori. Da sempre la figura dell’anziano è sinonimo di saggezza. Il personaggio di nonno Antonio riveste il ruolo della figura anziana che trasmette alle nuove generazioni il “sapere” di famiglia. Intenzionalmente ho fatto del nonno il portavoce del messaggio del santo piemontese, proprio per accentuare il tono familiare del racconto. E a dire il vero anche quando si diventa grandi i nonni, quando ci sono, rimangono forti punti di riferimento per tutta la famiglia. E il ruolo di mamma Margherita?   Nella vita di ognuno la presenza della mamma è sempre determinante. In particolare in questo racconto lo è perché mamma Margherita, donna illetterata, ha saputo trasmettere con fine tratto pedagogico, quella conoscenza umana ricca di virtù 40

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Una gita per campi e boschi ti permette di intrecciare un dialogo tra un nonno e due nipotini e di descrivere, anche se a grandi pennellate, la meravigliosa figura di don Bosco. Secondo te, perché nonno Antonio è rimasto così affascinato da questo santo?   Perché la storia di quel prete, di quel santo gli è arrivata “dentro” e “dentro” è rimasta. In fondo, quando una realtà ci prende, non riusciamo a tenerla per noi e subito dobbiamo trovare qualcuno/a con cui condividerla; così è stato per nonno Antonio. L’incontro con la vita di don Bosco l’ha segnato ed ora la sua gratitudine, anche di ex-allievo, si esprime in quella forma, quasi doverosa, che lo spinge a condividere questo incontro incominciando dai cari più vicini. ATTUALITÀ DEL RACCONTO

Nel libro parli anche della nascita della Congregazione Salesiana. Chi sono e cosa fanno oggi i Salesiani?   Anche loro sono persone che si sono lasciati coinvolgere dalla pro-

posta di don Bosco, come lo è avvenuto per il gruppetto dei primi ragazzi. Persone appassionate alla vita e all’educazione che nel seguire le orme del fondatore, don Bosco, hanno trovato la loro ragione di vita. Nonostante i limiti dell’agire umano, i Salesiani vogliono essere un “don Bosco vivo oggi per i giovani d’oggi” continuando così la sua missione nel mondo. Cosa ci può dire di attuale un santo vissuto duecento anni fa?   Ci ricorda che la vita è un grande dono e come tale non dobbiamo sprecarlo. Vivere nel tempo felici per esserlo anche nell’eternità. Cioè guardare sempre in avanti senza paura, nonostante le difficoltà, lavorare nel presente ma non perdere mai di vista la meta, per lui non era altro che la piena realizzazione di ognuno, che egli chiamava paradiso. «I santi non invecchiano mai» è stato detto. Don Bosco non è out: il suo metodo educativo, la sua carica di empatia verso il “pianeta giovani”, la serena fiducia in un Dio provvidente, la gioia contagiante, l’amore per la vita lo rendono più che mai attuale e presente anche a distanza di 200 anni.

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e fede, che si rivelerà fondamentale nella vita di don Bosco nell’affrontare l’educazione dei giovani. Nell’azione educativa di don Bosco molto è “farina del sacco” di mamma Margherita.

Luca Desserafino

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Don Bosco Luca Desserafino il pozzo di giacobbe, 2015 pagine 80, euro 5,90 Prenotabile presso: • diffusione.rivista@ausiliatrice.net • 011 52 24 203 • libreriabellanima@libero.it • 335 67 20 802 possibilità di sconto su ordini multicopia

Illustrazioni di Alessandra Mantovani.

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Don Bosco in mezzo ai “suoi ragazzi”  «Vedere turbe di giovanetti, sull’età dai 12 ai 18 anni; tutti sani, robusti, d’ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire ... Chi sa – diceva tra me – se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o al meno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere? Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo consiglio e co’ suoi lumi mi sono messo a studiar modo di effettuarlo». Sono parole di don Bosco: è così che nelle sue Memorie dell’oratorio il giovane prete descrive la nascita del suo sistema preventivo. Siamo nel 1855 alla “Generala” (oggi Istituto penale di Torino per i minorenni “Ferrante Aporti”): qui don Bosco su invito del suo padre spirituale, don Giuseppe Cafasso incontra nelle sue visite i ragazzi detenuti ed è da quei pomeriggi trascorsi con i «giovanetti discoli» che inventa l’oratorio. DON BOSCO “RITORNA” DAI GIOVANI “PERICOLANTI” DI OGGI

A distanza di 150 anni, nei giorni in cui la diocesi di Torino, l’Italia e 132 Paesi in cui opera la famiglia salesiana ricorda il Bicentenario di don Bosco, il santo dei giovani è tornato alla “Generala”. Così, simbolicamente, lunedì 2 febbraio, nella settimana delle celebrazioni della sua festa liturgica, don Bosco ha abbracciato i 27 giovani “pericolanti” di oggi, grazie a una colletta lanciata a volontari ed amici dal cappellano del carcere, il salesiano don Domenico Ricca, che ha permesso l’acquisto di una statua del santo. Il manufatto, intagliato nel legno di tiglio, raffigura 42

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MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

don Bosco che abbraccia san Domenico Savio e un adolescente: è stato commissionato alla bottega artigiana di Aldo Pellegrino di Boves, presente alla cerimonia di scopertura della statua a cui hanno voluto partecipare tutti i ragazzi detenuti, molti stranieri, in minoranza cattolici. La statua è stata benedetta dall’Arcivescovo di Torino, mons.Cesare Nosiglia, “di casa” al Ferrante che, al termine dell’inaugurazione, ha voluto salutare ad uno ad uno i minori reclusi. Uno di loro, Eren, ha affidato all’Arcivescovo una lettera da consegnare a papa Francesco quando verrà a Torino il prossimo 21 giugno in occasione dell’Ostensione della Sindone e del Bicentenario di don Bosco. Tutti i ragazzi qui, al di là della loro religione, vorrebbero incontrare il papa. «Ci speriamo – ha detto don Ricca, da 35 anni cappellano al Ferrante – . I giovani a cui Francesco spesso si rivolge perché “vittime della cultura dello scarto”, nella nostra città sono innanzitutto i ragazzi detenuti a cui il santo dei giovani anche oggi riserverebbe la sua parte migliore.


Don Bosco, a metà Ottocento, giovane prete, proprio andando a trovare i giovani detenuti nel carcere minorile torinese, ebbe l’intuizione del suo “sistema preventivo”: aprendo gli oratori si sarebbero tolti i ragazzi più a rischio dalla strada e dall’illegalità. Per questo motivo i cappellani del Ferrante per tradizione sono salesiani». Don Domenico, ha ricordato i suoi confratelli che in oltre mezzo secolo a partire da don Luigi Borsello e don Mario Cattanea hanno tenuto vivo il carisma del fondatore. Presenti alla cerimonia – accolti dalla direttrice del “Ferrante” Gabriella Picco – don Enrico Stasi, Ispettore salesiano del Piemonte e della Valle d’Aosta, don Gigi Usurini cappellano del carcere di Novara e coordinatore dei cappellani del Piemonte, i salesiani del vicino Istituto Agnelli e di Valdocco, i volontari e il personale del carcere. E poi il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni Anna Maria Baldelli, il dirigente del Centro giustizia minorile di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, Antonio Pappalardo e il vicesindaco di Torino Elide Tisi. NESSUNO È “SCARTO”

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DOVE È NATA L’IDEA DEL SISTEMA PREVENTIVO

Bosco che, riflettendo sui giovani carcerati era convinto che «se avessero trovato un amico non sarebbero finiti alla Generala». «Papa Francesco – ha detto mons. Nosiglia – ci suggerisce di andare oltre la cultura dello “scarto”: nessuno è uno “scarto” e se voi siete qui dentro tutti noi adulti abbiamo delle responsabilità. Don Bosco, che oggi simbolicamente torna fra voi vi ama perché siete giovani e tutti noi dobbiamo scommettere su di voi senza distinzione tra quelli che riescono e quelli che come voi sono in difficoltà. Non è facile dietro le sbarre considerare il vostro bene la privazione della libertà ma non è impossibile: sappiate che Dio vuole la vostra felicità, qualsiasi sia la vostra fede». La statua dopo la benedizione è stata collocata della cappella del carcere, fortemente voluta da don Ricca intitolata a Gesù Buon Pastore: «Il Buon pastore è una guida saggia ma anche una mamma affettuosa che dà fiducia – conclude don Domenico che qui tutti chiamano Meco – di questo hanno bisogno soprattutto i ragazzi che passano al Ferrante. E da oggi c’è anche don Bosco che idealmente torna ad abbracciarli: non importa se non sono cristiani o non credenti: basta che siano giovani».

L’Arcivescovo, rivolgendosi ai ragazzi detenuti ha richiamato le parole di don

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Il poeta di Villanova Monteleone

Questa è la storia di don Leonardo Iddau, sacerdote Salesiano di casa a Valdocco Maria Ausiliatrice.  Nato a Villanova Monteleone provincia di Sassari il 17 gennaio 1929, viene registrato il 19 dello stesso mese. Motivo? Siamo in terra Sarda e il 17 è la festa di sant’Antonio del porcello o, a suo dire, delle bestie. «Gli uffici pubblici, quel giorno, un po’ come capita nelle feste patronali, erano chiusi e la mia data di nascita fu registrata successivamente, a uffici aperti, il 19, giorno in cui fui anche battezzato». La famiglia Iddau era una come tante, numerosa. Papà Giovanni Michele, figlio di Pietro Iddau. La mamma, Daga Maria Giuseppa, «era mia mamma ma anche la seconda moglie di papà, risposatosi in quanto, nel frattempo, era rimasto vedovo. Giovanni Michele aveva avuto FINTZAMENTAS SA DIE tre figli da mia madre che gli era un po’ cugina, lontana, dalla SI ND’ SPANTAT, parte dei Daga», che divenne seconda moglie. A tutti ne seguiINTENDIDE A TIE rono altri sei, «con la seconda moglie, la mamma, per cui alla CANDO CANTAS. fine, siamo arrivati a nove». «Di tutta la famiglia sono l’unico superstite. Di tutti, io, ero l’ultimo. Ultimo dei due gruppi con PERSINO IL GIORNO SI MERAVIGLIA mamma differente. Ho frequentato le scuole elementari al paQUANDO TI SENTE ese, i cinque anni. Poi sono andato a lavorare, fino a 21 anni. CANTARE. L. IDDAU Sulla carta di identità c’era scritto “bracciante”. La mia sto44

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LEONARDO E LA POESIA

Una passione che prende avvio quando era al paese. «Da noi si usa chiamare la poesia dei “poeti improvvisatori”, cioè una disputa, una gara, su di un tema svolto cantando. Poeticamente. Gli improvvisatori recitavano negli ovili, nelle bettole, alle festicciole e i migliori vanno a cantare sul palco delle feste. Esistono anche quelli che scrivono le poesie senza cantarle».   Mi mostra, allora, alcune sue poesie e mi chiede di scegliere. Tra le tantissime, in vari volumi, tutti scritti da lui, scelgo Ad un amico di viaggio. Temi ricorrenti: il riferimento alla terra natia, al viaggio, al lavoro che manca e che fa mancare, le carezze e le coccole volute e desiderate e i distacchi tra un padre ed una figlia.   «Quando tornai, in uno dei miei viaggi, al paese, quel mio concittadino, che condivideva la stanza con mio padre in una casa di riposo mi chiese di accompagnarlo, di mettersi insieme in viaggio, verso Torino. Mi disse, implorandomi: “Ti prego, Leonardo, sono anziano, accompagnami a Torino, da mia figlia, Maria Ligios. Non farmi partire solo”. Era un viaggio penoso, in navi poco attrezzate, della durata di una notte.

NON LA SOLITA ZUPPA

Per gustare meglio la poesia di don Leonardo abbiamo bisogno, noi della Rivista, di “reintrodurlo” almeno per una sera nel suo habitat naturale. Scegliamo una trattoria dai sapori e saperi sardi: Trattoria Primavera, abbastanza vicina a Valdocco. Identica terra, identica lingua di don Leonardo. Il nostro poeta appena entrato gradisce l’ambiente, è attento ai suoni, alle voci che diventano subito amiche. Si scioglie, non appena sente la sua lingua tra i proprietari della trattoria. Stabiliscono una sorta di intesa. Noi non siamo esclusi ma complici. Il momento del pasto, della condivisione del pane, è quello in cui si stringono nuove alleanze. Siamo tutti fratelli, sotto lo stesso tetto. Don Leonardo trattiene e restituisce. È una carta assorbente di vita che regala, senza gelosie. E dona attraverso la poesia. A tutti. Lì dentro, c’è vita da leggere. Abbiamo fotocopiato alcune poesie di don Leonardo e per ciascuna di esse ne abbiamo fatto un aereo. Lo abbiamo posato su ciascun tavolo, in attesa dei commensali. Poesie, doni intensi, efficaci. Durante il pasto ci delizia con il canto e con le poesie. Le fa volare con il canto. Fa freddo ed è sera. Il tempo scorre veloce in armonia. Egli firma anche autografi da vero professionista e si lascia fotografare in compagnia. La cena è buona, gradevole e stupenda la sua compagnia, tra ricordi privati e collettivi. Un aereo, una poesia, un viaggio. Una giovane coppia si alza. Sono

gentili, educati, sereni. Hanno un aereo di carta in mano, la poesia del don e probabilmente l’amore nel cuore. Fanno i complimenti. Don Leonardo si alza, stringe la mano e ringrazia. In cuor suo li benedice per il loro cammino d’amore. Escono dal locale, entusiasti, sulle ali della poesia. Forse perché hanno capito, che questa sera, grazie a don Leonardo hanno assimilato certamente “non la solita zuppa” ma cordialità, valori evangelici e fraternità. ROMANO BORRELLI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Rositas de mata Leonardo Iddau Soter editrice, 2013 Volume 1, Volume 2

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ria è un po’ particolare. Si mischiano fratello, sorella, cognato, Torino, voglia di missione e poesia salesiana, arrivata quasi per caso». Diventato salesiano, celebra la sua prima messa a 36 anni, il 6 marzo del 1965, nella Basilica di Maria Ausiliatrice.


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Pregare per la famiglia, pregare in famiglia

Il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, dedicato alla famiglia, è occasione provvidenziale per richiamare la necessità di pregare per la famiglia e pregare in famiglia. Il sostegno della preghiera è indispensabile perché la famiglia possa realizzare la sua vocazione e missione nella Chiesa e nella società, perché abbia la luce e la forza dello Spirito Santo per dare risposta ai problemi del matrimonio, della vita familiare, dell’educazione dei figli. Pregare intensamente lo Spirito Santo perché aiuti le famiglie ad affrontare le sfide attuali con la luce e la forza che vengono dal Vangelo.   Soprattutto scoprire la bellezza e la grazia di leggere insieme il Vangelo in famiglia, di far sì che la parola di Dio illumini le relazioni, le scelte, gli impegni che ogni 46

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famiglia è chiamata ogni giorno a vivere. È bello porre anche dei segni che esprimano la presenza e il primato di Dio nella famiglia: collocare in un posto d’onore la Bibbia, esporre e venerare il Crocifisso, le immagini della Madonna e dei Santi. Soprattutto i genitori non manchino ogni giorno di pregare per i figli, di affidarli all’amore di Dio, all’aiuto di Maria Ausiliatrice, all’intercessione di don Bosco, padre e maestro dei giovani, perché crescano in sapienza e grazia, rispondendo alla chiamata di Dio su di loro e trovando così la felicità vera. Mamma Margherita trovò la forza della buona educazione in un’intensa e curata vita cristiana che fece della sua casa una vera chiesa domestica. Precede con l’esempio e orienta con la parola. Giovan-


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nino Bosco iniziò presto a pregare, sull’esempio della mamma. Si dimostrò subito sensibile a questi insegnamenti. Imparò così a essere docile alle ispirazioni dello Spirito Santo. Spesso era proprio lui, il più piccolo, a far pregare gli altri ragazzi. Divenuto prete, don Bosco continuerà a dare molta importanza a quanto aveva imparato nell’infanzia. E ai giovani che giocavano nei cortili del suo Oratorio insegnerà le stesse cose che aveva imparato dalla mamma. IN CAMMINO VERSO IL VII CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MARIA AUSILIATRICE

Il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), è un evento di tutta la Famiglia Salesiana e si terrà a Torino e al Colle don Bosco dal 6 al 9 agosto 2015. S’inserisce provvidenzialmente nell’anno in cui si celebra il Bicentenario della nascita di Don Bosco e in cui la Chiesa dedica una particolare attenzione alle sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.

inclusi i documenti preparatori, le catechesi e, durante i giorni del Congresso, il resoconto degli interventi. In una sezione dedicata è inoltre possibile consultare il calendario del Congresso, che contiene il programma e le locazioni, insieme a mappe interattive per raggiungerle. PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org

ULTERIORI INFORMAZIONI POSSONO ESSERE RICHIESTE A: CONGRESSO@ ADMADONBOSCO.ORG. OGNI MESE ATTRAVERSO L’ADMA ONLINE (WWW. ADMADONBOSCO.ORG) È POSSIBILE CONDIVIDERE IL CAMMINO FORMATIVO DI PREPARAZIONE AL CONGRESSO CHE NE PRESENTA LE PROSPETTIVE E GLI OBIETTIVI.

IL SITO DEL VII CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MARIA AUSILIATRICE

È online il sito del Congresso, raggiungibile all’indirizzo www.congressomariaausiliatrice2015.org, e disponibile in italiano, inglese e spagnolo ed è ottimizzato per la visione su PC e dispositivi mobili, come smartphone e tablet. Utilizzando gli strumenti messi a disposizione, sarà possibile registrarsi all’evento e ottenere tutte le informazioni necessarie, dalla logistica agli alloggi, alle informazioni relative agli eventi in programma. All’interno del sito sarà possibile leggere e scaricare tutti i documenti del Congresso, MARZO-APRILE 2015

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Famiglie in cammino con Maria ADMA FAMIGLIE redazione.rivista@ausiliatrice.net

Continuiamo a condividere le esperienze di vita di famiglie che fanno parte dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) o ne sono simpatizzanti. Queste condivisioni vogliono anche accompagnare la preparazione dell’Associazione al VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice che sarà celebrato a Torino e al Colle don Bosco dal 6 al 9 agosto del 2015. VI INVIDIERANNO TUTTI PER COME VI AMERETE!

Ci siamo sposati nel 2008. Nel 2009 a un incontro di preghiera abbiamo incontrato don Roberto. In quel tempo il nostro matrimonio era un vero e proprio inferno.

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Eravamo candidati alla separazione. Con l’aiuto di don Roberto e con molta fatica e spesso reticenza abbiamo iniziato a camminare. È stato lui sin dal principio a indicarci il cammino dell’ADMA famiglie, ma prima di andare al primo incontro avremo aspettato almeno un anno. E il secondo incontro c’è stato dopo un altro anno. Da allora la nostra vita è cambiata a passi piccolissimi ma incessanti, senza strappi e forzature e oggi guardando indietro non ci sembra vero di aver fatto tanta strada. È migliorata la comunicazione tra noi, prima era molto conflittuale, spesso accusatoria. Piano piano invece il nostro sguardo sull’altro è diventato sempre più uno sguardo di misericordia, sguardo capace anche di ascolto, di silenzio, di pazienza, di riflessione attenta prima di rispondere e scelta delle parole per dire la verità senza ferire, senza voler vincere, ma piuttosto per far vincere il bene, il nostro bene, con meno orgoglio e meno difese, meno superbia e meno pretese.   Quello che più intaccava la nostra pace precaria all’inizio era la presenza ingombrante dei parenti, presenza non di corpo ma di consigli e opinioni con effetto devastante. Oggi possiamo dire che questo cordone ombelicale abbiamo iniziato a tagliarlo. I parenti per noi non sono più una minaccia, abbiamo un modo di pensare più vicino. Viaggiamo nello stesso senso di marcia, verso la stessa meta, tenendoci per mano e con la testa sotto la mano di Gesù che ci guida sapientemente attraverso


L’INVISIBILE PIÙ TANGIBILE DEL VISIBILE

Quello che ancora non abbiamo detto è il nostro rapporto con la preghiera. Se anche avessimo ascoltato tante sante e illuminanti catechesi, ma non avessimo pregato, forse ora saremmo comunque separati e scontenti perché come dice il salmo «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori». La preghiera è stata l’àncora del nostro matrimonio gettata nel porto sicuro di Dio. All’adorazione notturna ci siamo conosciuti e abbiamo continuato sempre ad adorare Gesù, non sempre insieme purtroppo in questi anni di travagli, tribolazioni e tante lacrime. Veglie diurne e notturne, preghiera incessante, digiuni, la Comunione quotidiana, la Confessione frequente, la Parola di Dio e la preghiera soprattutto di lode e di ringraziamento per ogni piccola cosa bella o brutta che ci capitava e l’amicizia con Maria, con tutti i santi, con gli angeli e con i sacerdoti e le suore e la gente di preghiera. Nella nostra vita sperimentiamo come l’invisibile sia più tangibile del visibile. Quanti stravolgimenti, e quanti colpi di mano dello Spirito Santo, quando stavamo per arrenderci, tante volte. La misericordia e la grazia di Dio ci piovono

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la Sua Chiesa. Alla scuola di Maria abbiamo imparato a tacere, soffrire e offrire. Col silenzio e la preghiera abbiamo ottenuto molto ma molto di più. Ci siamo aperti alla vita e abbiamo incontrato la Provvidenza. Pensavamo di non volere più di un figlio e ci troviamo ad amare i nostri tre piccoli tesori Francesco Maria, Giovanni Maria e Chiara Maria.

addosso e assistiamo ogni giorno al realizzarsi di una profezia ricevuta prima che ci sposassimo: «Vi invidieranno tutti per come vi amerete!». Con immensa gioia e lode e con il cuore colmo di gratitudine verso i cuori di Gesù, Maria e Giuseppe, lo Spirito Santo e l’ADMA nella persona di don Roberto. Grazie di tutto! (Vito e Agata). TUTTI TUOI

Alla scuola di Maria abbiamo imparato a pregare meglio insieme con il rosario, quando si presentano dei problemi improvvisi o insormontabili… e quindi affidando tutto a Lei. Abbiamo fatto spazio a Maria a casa nostra e abbiamo messo nella nostra camera da letto due quadretti: uno di Maria Ausiliatrice che è la madonna di don Bosco ed uno della Madonna Nera di Cze¸stochowa che è la madonna di Karol Wojtyla, in quanto i due si sono fatti santi lavorando per Maria! L’affidamento a Maria ci aiuta a vivere meglio la nostra vita quotidiana e a gestire i problemi terreni con distacco, concentrandoci su Maria e non sui problemi che possono nascere. Spesso le parole di san Luigi Maria Grignion de Montfort: «Totus tuus ego sum et omnia mea Tua sunt … Maria» (noi siamo tutti tuoi Maria e tutto ciò che è nostro è tuo) ci sono state di aiuto a gestire meglio i doni e le cose che abbiamo ricevuto, felici di farlo insieme a Maria! (Elisabetta e Carlo).

“NELLA NOSTRA VITA SPERIMENTIAMO COME L’INVISIBILE SIA PIÙ TANGIBILE DEL VISIBILE. QUANTI STRA- VOLGIMENTI, E QUANTI COLPI DI MANO DELLO SPIRITO SANTO, QUANDO STAVAMO PER ARRENDERCI, TANTE VOLTE”.

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

www.admadonbosco.org

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LA PAROLA

La morte che ha cambiato la storia MARCO BONATTI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE COMMISIONE DIOCESANA OSTENSIONE SINDONE press@sindone.org

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Per la fede cristiana nient’altro è più importante delle verità che sono ricordate nei giorni del triduo pasquale  La lettura della Passione del Signore, proclamata la domenica delle Palme (dal capitolo 14 del Vangelo di Marco), è un evento unico nell’anno liturgico, così come unici sono i gesti e le funzioni che si compiono nelle giornate del triduo pasquale: lavanda dei piedi, venerazione della Croce, veglia pasquale. Il fatto è che per la fede cristiana non c’è assolutamente niente altro di più importante delle verità che vengono ricordate in questi giorni.   La risurrezione del Signore dai morti non è un “miracolo” estemporaneo, staccato dal contesto in cui Gesù ha vissuto e predicato; la vittoria sulla morte è la conseguenza – incredibile e “logica” insieme – della Passione e della nuova alleanza. Il mistero cristiano è la gioia piena – la vita eterna – che si raggiunge attraverso la croce.   I racconti (meglio sarebbe dire: le testimonianze) degli evangelisti dedicano tutti una parte preponderante ai giorni della passione, morte e risurrezione: proprio perché fin dall’inizio questo era il nucleo centrale della fede che veniva trasmesso


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nella catechesi degli apostoli e dei discepoli; la liturgia (celebrazione del Signore morto e risorto) non può che ripercorrere fedelmente questo cammino, per “imparare” i gesti di Gesù e ricordare il loro significato nell’economia della salvezza. UN REGNO NON MONDANO

Il senso “celebrativo” (ma anche letterario, e teatrale) della liturgia delle Palme si ritrova anche in questa realtà, fascinosa e impressionante: ognuno dei passaggi del racconto evangelico ha segnato profondamente la nostra vita e la cultura dell’Occidente, sia perché le varie scene sono state rappresentate all’infinito nella pittura e nella scultura, sia perché ogni parola di questo racconto (ma non è così per ogni parola di tutto il Vangelo?) risuona nel profondo della nostra memoria e della nostra coscienza.   Quei tre giorni a Gerusalemme sono all’inizio dell’avventura dell’Occidente e hanno un senso non solamente per chi, con il dono della fede, riconosce nel sacrificio e nella risurrezione di Cristo la salvezza, ma anche per tutti gli altri che, anche al di fuori di un orizzonte religioso, «non possono non dirsi cristiani» come ricordò il filosofo Benedetto Croce.   E se c’è uno spunto che si vorrebbe oggi sottolineare viene proprio dal versante di una lettura “laica” della Passione. Mentre il Sinedrio ha bisogno di una “prova religiosa” per condannare Gesù, e la trova nella sua “bestemmia” di riconoscersi Messia (Mc 14, 62), nel processo di fronte a Pilato emerge con una chiarezza assoluta, impressionante, la “liberazione” che Gesù istituisce con la sua testimonianza e la sua morte. Il “re dei Giudei” viene a istituire (o meglio: a rivelare) un regno che non è in concorrenza con nessuno dei poteri mondani ma li trascende, affermando che ben altro è la “sudditanza” dell’uomo. LIBERTÀ DELLA COSCIENZA

Quella di Gesù è, in verità, una liberazione antica: perché discende direttamen-

LE PALME ED I RAMI D’ULIVO SONO SEGNI DI VITTORIA. DIVENTANO SEGNO CHE LA MORTE SULLA CROCE È VITTORIA.

te dal primo Comandamento, «Non avrai altro Dio all’infuori di me»: è l’assoluta libertà della coscienza di ogni uomo di fronte ad ogni altro uomo e a qualunque altra struttura e potere del mondo. Non c’è niente altro che Dio. Gli Ebrei che vanno a reclamare la morte di Gesù di fronte a Pilato gridando «non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19,15) rinnegano qui la propria alleanza, e in questo si condannano.   Un libro indimenticabile (e forse troppo poco riletto), il Quinto evangelio di Mario Pomilio, presenta una versione affascinante del processo a Gesù, inquadrandolo proprio nella prospettiva drammatica del contrasto tra la “fedeltà a Cesare” (allo Stato, al potere costituito) e il richiamo profondo alla libertà che è Dio. Pomilio inventa la recita del processo a Gesù nella Germania nazista: e il Pilato interpretato da un capitano della Wermacht giunge alle stesse conclusioni del personaggio evangelico quando capisce che la “libertà” portata dal Cristo è propriamente la libertà della coscienza dell’uomo da ogni Stato etico.   Il “re” che viene acclamato con le palme è lo stesso deriso dai soldati, e poi crocifisso: ma proprio la libertà profonda di ogni uomo è il “regno” che viene ad instaurare, e che non potrà essere cancellato da alcun altro potere terreno. MARZO-APRILE 2015

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Storia di una testimonianza

Martire, vale a dire testimone. Stefano è un discepolo che mediante l’offerta della propria vita ha espresso passione ed amore per il Signore. La sua è la storia di un uomo che ha reso testimonianza al Risorto. UN LUNGO RACCONTO

Abituati alla lettura degli scritti di san Luca, sappiamo quanto egli prediliga racconti che puntano all’essenziale. Sorprende che alla vicenda di Stefano venga invece dedicata una narrazione lunga (At 6,8 – 8,1). Posta a conclusione di capitoli in cui si legge il racconto delle opere compiute dalla comunità cristiana in Gerusalemme (1,1–8,1), la sua vicenda segna un punto di snodo significativo: dopo che il primo sangue è stato versato nel nome del Risorto, si inizia a portare la testimonianza anche fuori dalla Città Santa. Stefano viene presentato dal Narratore con molta intensità: è un «uomo pieno di fede e di Spirito Santo» (6,5), di grazia e di potenza; compie prodigi (6,8), il suo volto è come quello di un angelo (6,15); pronuncia pa52

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role sagge, prega mentre viene lapidato e, spirando, perdona gli aggressori (7,55.5960). Colpisce la statura umana e spirituale di costui, portato davanti al sinedrio a motivo di accuse pretestuose. Interrogato dal sommo sacerdote durante un processo sommario, l’imputato pronuncia un lungo discorso al termine del quale, condotto fuori dalla città, viene lapidato. ACCUSE FALSE

Perché tanta rabbia ed accanimento contro Stefano? Luca non ne scrive esplicitamente il motivo. Sappiamo soltanto che egli è tra quei «sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza» scelti dall’assemblea dei discepoli, per i quali i Dodici avevano pregato e su cui avevano imposto le mani (6,1-6). Tra le


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sandone lo Spirito e perseguitando i profeti. Parole che gli costeranno la vita. Solo una persona tra quelle che assistono alla lapidazione è nominata: Saulo, il persecutore, che sulla via di Damasco sarà scelto dal Signore per dare inizio ad una nuova storia di testimonianza. COME CRISTO

righe del racconto il Narratore ci fa però cogliere che a suscitare tanto astio contro costui furono molto probabilmente la sua predicazione di Cristo, la testimonianza della vita, le opere da lui compiute. Durante il processo, il parlare di Stefano è ineccepibile, ciò che afferma è vero: ai suoi accusatori non resta altro che diffondere calunnie e condurre in sinedrio falsi testimoni contro di lui. Egli – così si dice – parla contro Mosè, Dio e lo stesso Tempio. Un’accusa grave di fronte alla quale la risposta di Stefano sbalordisce. Costui non intende difendersi, ma pronuncia un discorso in cui, senza mai nominare Cristo, alla luce di questi ripercorre alcuni momenti importanti della storia di Dio col popolo di Israele. La conclusione è travolgente, l’accusato accusa: Israele ha sempre disubbidito al suo Dio, avver-

La persona e la storia di Cristo sono la filigrana attraverso la quale Luca ci parla di Stefano. Come Gesù si prodigava per l’annuncio del Regno, Stefano si dedica alla evangelizzazione; come Gesù era stato ingiustamente e sommariamente processato, così Stefano subisce la stessa sorte; come Gesù aveva liberamente accettato sofferenza e morte, ora il discepolo imita il suo Signore vivendo la propria sofferenza con lui e come lui. Il confronto tra il Signore e Stefano diventa strin-

gente allorché se ne scrive della morte: nella preghiera che egli innalza, «Signore Gesù, accogli il mio spirito», e nella sua ultima invocazione, «Signore, non imputare loro questo peccato», riecheggiano le altissime parole pronunciate dal Crocifisso poco prima di morire. L’attenzione del nostro cuore è tutta rivolta a Stefano che, per la forza dello Spirito, si è lasciato totalmente conformare al Cristo Risorto: egli ha offerto la propria vita per lui; ha amato i suoi «nemici sull’esempio di lui che morendo pregò per i suoi persecutori». Davanti ai nostri occhi è posto il modello del discepolo che ha dato testimonianza, un esempio da imitare. MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

SIGNORE GESÙ, ACCOGLI IL MIO SPIRITO. SIGNORE, NON IMPUTARE LORO QUESTO PECCATO.

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Guarire l’immagine distorta di Dio

ROBERT CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net

Quella che presenterò non è per niente una lista esauriente e non è neanche una ricetta di cucina. Le dinamiche di ogni cuore sono così uniche che uno ha bisogno di un itinerario tutto suo. Nondimeno, ci sono alcune costanti e alcuni accorgimenti che si possono adottare. Ne propongo tre. DISSOCIARE IL PADRE DAI PADRI

La psicologia ci insegna che le figure genitoriali hanno un importante influsso nel forgiare le nostre immagini di Dio. La Chiesa prende atto di questo nel rito battesimale invitando i genitori ad accendere la candela dal cero pasquale, simboleggiando la testimonianza che devono rendere davanti ai figli.   Un fenomeno interessante accade nella Bibbia. Mentre essa ci parla di Dio utilizzando attributi materni e paterni, la Scrittura non dimentica di avvertirci della differenza sussi54

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stente tra le figure genitoriali e Dio stesso. I genitori potrebbero a volte dimenticare, Dio no! «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,14-15); i genitori potrebbero abbandonare, Dio no! «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (Sal 27,10).   Gesù anche, parlando della paternità di Dio, prende le qualità buone della nostra genitorialità, mostrando che in Dio raggiungono la loro


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perfezione: «Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11,13). Qui siamo di fronte a un’inversione importante che ha i suoi effetti fondamentali: non la paternità e la maternità di Dio sono a immagine di quelle umane, ma l’opposto. E noi, puntiamo da lontano alla perfezione della maternità e della maternità di Dio.   Cosa implica ciò? – Implica che dobbiamo fare sempre un lavoro di dissociazione che toglie, da un lato, dalle spalle dei nostri genitori il peso di essere “Dio”, e ci apre, dall’altro – come accade nel famoso episodio della vita del “Poverello di Assisi” – al riconoscimento dell’unicità del nostro Padre che è nei cieli. Bisogna notare che a volte la deformazione e l’associazione tra immagine genitoriale e immagine di Dio è così grave che c’è bisogno di una guarigione psicologica per poter liberare il cuore e librare… IMPRIMERE L’IMMAGINE DEL DIO DI GESÙ CRISTO NEL CUORE: DIO NON È ALTRO CHE AMORE

Bisogna fare una bella crociata contro certe nostre letture del Vangelo. Spesso il Vangelo perde nelle nostre bocche e nelle nostre menti la sua unzione di “La Buona Notizia” della paternità e dell’amore di Dio in Cristo. Tendiamo facilmente a ridurlo a una serie di esortazioni moraleggianti da due lire. La buona condotta è una parte importante della vita cristiana, ma non è l’annuncio

centrale. Giovanni riassume l’intenzione degli evangelisti così: «queste cose sono state scritte, affinché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome» (Gv 20,31). Prima ci si innamora dell’Amore, poi il resto viene da sé. L’ha capito bene Agostino, che non invitava alla faciloneria quando diceva: «ama e fa’ ciò che vuoi».   Per questo è fondamentale aggiustare il tiro della nostra lettura del Vangelo. Prima di chiedersi ad ogni pagina: «cosa devo fare?», bisogna chiedersi: «come si manifesta l’Amore di Dio per me/noi in questa pagina?». «Dio è amore» è la “definizione” di Dio nel cristianesimo. Per capire meglio quest’espressione, è bene passarlo per il fuoco della negazione: «Dio non è altro che amore».

Un Dio Umano di Robert Cheaib Edizioni San Paolo, 2013 pagine 176, euro 14,00

PREGARE CON L’IMMAGINAZIONE PER PURIFICARLA

Qui invito a fare una preghiera della Parola che attinge molto alla tradizione di sant’Ignazio di Loyola. Ignazio aveva intuito che tutto l’uomo deve pregare per vivere un rinnovamento spirituale integrale e irreversibile. Per questo, nella sua preghiera, non adoperava solo l’intelletto ma anche la volontà e l’immaginazione. Cosa possiamo imparare da lui?   Mi spiego meglio con un esempio. Se sto meditando il testo di Giovanni 8,1-11 dove Gesù perdona alla donna sorpresa in adulterio, non è sufficiente pensare a quello che dice MARZO-APRILE 2015

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Gesù. Ignazio mi invita anche a immaginare la scena, anzi a immaginarmi nella scena (scelgo di essere chi lapida o la malcapitata a seconda di come mi sento) e di sentire il tono di Gesù, come si rivolge. Sa bene come possiamo dire la stessa parola e la stessa frase in mille modi, e così facendo comunicare cose ben diverse. Quanto doveva essere coraggiosamente tenero Gesù nel rivolgere a quella donna la domanda: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?»!   Ecco, soffermarsi su quella scena, Dio è lì ad acquietare i farisei che sono dentro di noi, pronti a lapidarci in nome di una giustizia giustiziera. Gesù no! Gesù è lì per salva-guardarci e per giustificarci. Non prendendoci in giro… Gesù non dice alla donna: va’ e divertiti che t’importa… le dice: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È “esigente”, ma non contro di noi. Ex-ige tirando dalla nostra interiorità la vita migliore, quella che fiorisce sotto lo sguardo della sua Grazia.   Pregare con l’immaginazione è simile a quell’opera che fa il fotografo per imprimere un’immagine sulla carta fotografica. La carta fotografica, senza colori e senza vita, se la esponiamo alla luce e al negativo dei ricordi, diventa un bellissimo spazio di memoria, diventa carta viva, diventa carne e storia. Così le nostre vite, esposte alla luce dell’Amore di Dio di cui abbiamo il ricordo incarnato nel Vangelo vengono trasformate in un’opera d’arte divina... letteralmente! UNA PROVOCAZIONE

Guariamo l’immagine di Dio quando, con la grazia di Dio, ci tra56

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sformiamo secondo la sua somiglianza. Guariamo l’immagine di Dio quando ne diventiamo un riflesso nella nostra vita. Chi è buono scopre che Dio è buono perché il simile riconosce il simile. Facciamo spazio all’invasione della grazia di Dio rispecchiando in terra l’Amore che è nei cieli, perché il Cielo ha messo la sua tenda sulla terra (cf. Gv 1,14).   Abbiamo cura del nostro cuore, santuario di Dio. Facciamo entrare Cristo Sposo in questa stanza nuziale, solo lui sa riordinare in noi l’amore e l’immagine distorta di Dio. La Sposa del Cantico dice: «introduxit me in cellam vinariam, ordinavit in me caritatem» [Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore] (Ct 2,4).


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La “nuova” biografia o sc o B n o D i d i n n a i r e p

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