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Editoriale

Parola di Dio o Dio c h Che cos’è la Parola di Dio? Che cos’è la “Lectio divina”? Ne parlano in tanti, sempre più di frequente e non sempre in modo chiaro. Per questo, ecco in tre tappe un “percorso” di conoscenza, proposto in modo giovanile e nello stesso tempo profondo, da don Stefamo Martoglio.

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U Don Stefano Martoglio, Ispettore dei Salesiani del Piemonte e Valle d’Aosta. Foto Mario Notario

utto quello che ci è stato dato, fede per prima, pur essendo una realtà oggettiva, necessita di una nostra accoglienza, di una nostra crescita, perché diventi veramente vita della nostra vita. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16,12-15). Uno dei perni per crescere nella fede è proprio la Parola di Dio. Cominciamo con una considerazione: la Parola non è data a me personalmente o direttamente da Dio, è la Chiesa che mi dona la Parola di Dio. “Quanto è stato rivelato da Dio e che è contenuto dalla sacra scrittura ci è stato donato sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. La Santa Madre Chiesa, fondata sugli apostoli e vivente dalla fede degli apostoli, ci ha trasmesso e ci dona i libri del Vecchio e Nuovo Testamento con tutte le loro parti come libri sacri poiché redatti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo” (Dei Verbum, cap. III, 11). Un regalo poco usato Che cos’è, dunque, la “Lectio divina”? Ne parlano in tanti. Nell’ambien-

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te di Chiesa “fa fine” dire che si fa la “lectio”. Ma l’unica cosa importante è dire che la “lectio” è cibo che ci nutre. Questa è la prima cosa. La seconda sembra il contrario della prima, ma in realtà è soltanto l’altra faccia della medaglia: con la Bibbia c’è poca confidenza. La Bibbia è uno dei regali meno usati nella vita di molti di noi. Da rivendere come nuova, mai usata, la copia che ci hanno regalato per la cresima. Diciamo un’altra cosa fantascientifica: se per molti di noi la confidenza con la Parola di Dio è poca, le file si assottigliano di più se vi mettete a dire che della Parola di Dio ci si deve innamorare! Anzi, l’espressione ci fa sorridere: innamorati della Parola di Dio? Ma vai! Eppure, siamo fatti così. Ricordate la pubblicità della posta prioritaria? Allora, perché con la “Parola” che viene da Dio non succede la stessa cosa? Penso che questa domanda meriti un momento di ri-


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c he parla?

sa d’Israele». Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo dicendomi: «Figlio dell’uomo, nutri il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo». Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele” (Ez 3,1-4). La lettera dell’innamorato

flessione. Perché con Dio no? Pensate: ogni uomo deve vivere di (o per) qualche cosa. Lo facciamo tutti. Se non viviamo di una cosa, viviamo di un’altra. Noi cristiani tutti i giorni dovremmo riempire la bocca della Parola di Dio, nutrirci di questa. Sentite che cosa ne pensa in merito il profeta Ezechiele: “Mi disse: «Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va e parla alla ca-

Pensate a un innamorato che manda una lettera alla sua lei (o lui), scritta sotto l’impeto del suo desiderio. Lei (o lui) la riceve, la prende, la esamina, la studia, la annota, la sottolinea, ne nota le incongruenze linguistiche, l’imprecisione della sintassi, la punteggiatura un poco irregolare o assente del tutto. E poi, la rispedisce come risposta all’innamorato! Quando l’altro si vede arrivare una lettera così corretta, che cosa potrà dire? Si domanderà che cosa ha capito, che tipo di amore gli vuole... Così, talvolta, facciamo noi con la Parola di Dio. Invece di cercare l’amore che c’è dentro, l’abbiamo vivisezionata o peggio, completamente dimenticata. Sentite, invece, che cosa ci dice il profeta Osea sull’amore che c’è dentro la Parola di Dio per ognuno di noi: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto l’ho chiamato mio figlio. Ma più lo chiamavo, più si allontanava da me; immolava vittime e offriva incensi agli idoli. Ad Efraim insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di loro per dargli da mangiare... il mio popolo è duro, chiamato a guardare in alto nessuno ha alzato lo sguardo. Come potrei abbandonarti? come potrei consegnarti ad altri Israele?” (Os 11,1-4,7-9). Don Stefano Martoglio

T In occasione della Giornata della Pace, Papa Benedetto XVI libera una colomba che è simbolo di fratellanza e dello Spirito Santo. © Agenzia SIR

T La Bibbia: il “manifesto” dell’amore di Dio per l’uomo.

stefano.martoglio@salesianipiemonte.it

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Leggiamo i Vangeli

L’amore e la sua Lc 10,29-37

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l Dottore della Legge gli chiede: “Chi è il mio prossimo?” e Gesù, portando la questione dal piano teorico a quello pratico, a sua volta gli domanda: “E tu da che parte stai?”. Il rovesciamento delle parti, l’interrogante diventa l’interrogato, avviene con un racconto. È la parabola degli incontri tra persone in cammino. Forse questa ambientazione fu suggerita a Gesù dalla sua situazione. Anche lui, infatti, si trovava sulla via. Anche lui si stava recando a Gerusalemme (Lc 9,51-19,28), dove si sarebbe fatto nostro prossimo offrendo se stesso in riscatto per la nostra salvezza. Nella figura del Samaritano è perciò adombrato Gesù stesso che ci ha dato per sempre la misura più alta dell’amore per gli altri: dare la vita.

Sulla strada che conduce all’amore I Giovani volontari al lavoro dopo un terremoto: un modo per essere “buoni samaritani” oggi.

Ventisette chilometri: tanto era lunga la strada che da Gerusalemme, a 750 metri d’altezza, scendeva alla piana di Gerico, costruita a 350 m sotto

il livello del mare. Via impervia e pericolosa, che esponeva realmente il viandante a saccheggi operati da malfattori. Con Gesù, quella strada diventa il palcoscenico sul quale si oppongono due scene: l’una penosa, l’altra grandiosa. Nella prima, la carità è bloccata e come uccisa da chi per vocazione avrebbe dovuto praticarne il precetto amando Dio, senza però trascurare il proprio prossimo (Dt 6,5; Lv 19,8). Che cosa blocca e fa morire l’amore? Lo spettacolo si fa, invece, grandioso quando la carità è viva e trionfa grazie ad una anonima persona, identificata per l’appartenenza ad un popolo – quello Samaritano – che non poteva relazionarsi con i Giudei, ed è proprio un uomo della tribù di Giuda che ora giace percosso e denudato sulla strada. Pregiudizi secolari e rivalità religiose avevano innalzato un invalicabile muro tra persone delle due etnie, che pur vivevano sotto lo stesso cielo ed adoravano lo stesso Dio! Che cosa sblocca e fa vivere l’amore?

© Agenzia SIR

La strada dell’amore I vv. 33-35 sono centrali nella narrazione. Avviciniamoci ad essi per scoprire una doppia serie di verbi: la prima di carattere fondante, la seconda più pratica. “Passare accanto”, “vedere” ed “avere compassione” sono le prime azioni con le quali misurarci. “Avere compassione” è il comportamento che fa la differenza. Attestato in greco nella forma esplanchnisthe, esprime il movimento improvviso delle viscere che si contraggono per una emozione par-

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a strada

ticolarmente forte. È il verbo col quale solitamente si esprime la misericordia che Dio per primo prova per il suo popolo (cfr. 1,78). È il verbo che descrive perfettamente Dio: uno che prova compassione per l’umanità. Ebbene, il Samaritano è un uomo che fa spazio al sentire stesso di Dio, lo assume in sé sino a farlo proprio. Anche il Levita ed il Sacerdote erano passati accanto al malcapitato e lo avevano visto, ma la loro capacità di amore era stata bloccata dal loro non-mettersi dalla parte di Dio. Il Samaritano, invece, fatto spazio all’imitazione di Dio ed attivato il dinamismo della carità, potrà invece praticarla. Ecco, allora, la seconda serie di verbi: “farsi vicino”; “versare olio e vino” – farmaci antichi – sulle ferite, “fasciarle”, “caricare sull’asino” quel povero uomo, pagare con i propri soldi e garantirne altri affinché ogni cura gli fosse prestata.

La strada di Dio Con il racconto di tali incontri di strada, Gesù glissa sul “Chi è mio prossimo?”, come a dire “Non ingannatevi: è una falsa domanda! Tutti sono il tuo prossimo”, e si concentra sul come amare – mettendo a disposizione tutto in modo abbondante – e sul perché amare, vale a dire ad imitazione di Dio. Questa è la carità nell’intendimento di Gesù. Non un principio su cui discutere, ma una manifestazione di Dio stesso da mettere in pratica. Dio è amore e nessuno potrà mai dire di amare Dio che non vede, se non ama il proprio fratello che vede! Non a caso tutto l’insegnamento si raccoglierà in quel lapidario ed intrigante: “Vai e anche tu fa’ lo stesso”. Dovremo ancora apprendere che per il raggiungimento della migliore qualità della carità sarà decisivo non anteporre nulla all’ascolto della Parola. Sarà quanto Gesù avrà da insegnare a Marta in occasione del festoso banchetto imbandito in casa di quei cari amici: racconto che non a caso segue immediatamente quello del “Buon Samaritano”, divenendone come il prolungamento e la più pertinente conclusione (10,38-42). Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

T “Il buon samaritano” dipinto da Vincent van Gogh nel 1889. © Editrice Elledici

I Ogni giorno, lungo le strade della vita, ci sono persone che attendono “un buon samaritano”. © Agenzia SIR

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Maria nei secoli Amedeo di Losanna:

Maria capolavoro dello Spirito Santo U

I Papa Benedetto XVI con il rabbino capo Riccardo Di Segni. Sant’Amedeo scriveva che la Madonna, ebrea per nascita, sotto la croce ha pregato per il suo popolo. © Agenzia SIR

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n documento del XIII secolo redatto da Cono, un canonico della cattedrale di Losanna, in Svizzera, riporta un grazioso avvenimento. Il vescovo Amedeo, vissuto cent’anni prima, aveva scritto otto omelie in onore della Vergine Maria. Le aveva inviate a sua sorella, monaca di clausura, che, dopo averle lette, le ritornò al fratello unendovi un guanto di lana. Era una reliquia preziosa: apparteneva alla Madonna che, con quel dono, mostrava il suo apprezzamento per le omelie di Amedeo. Questo episodio leggendario conferma la grande stima in cui erano tenute le omelie del vescovo svizzero: nella cattedrale, erano lette durante l’ufficio liturgico del sabato, giorno della settimana dedicato a Maria. Dopo la prima, che serve da introduzione, le altre sette presentano ciascuna i doni dello Spirito Santo, mettendoli in relazione con Maria, per dimostrare che lei li ha posseduti in grado eccelso. Amedeo li elenca in ordine inverso a quello a noi noto: timor di Dio, pietà, scienza, forza, consiglio, intelligenza e sapienza. Nella quinta omelia, per esempio, l’autore spiega che ai piedi della Croce la Madonna manifestò la sua forza sopportando il martirio del cuore. Avvalora, così, un

principio teologico di rilievo: tra la Madonna e lo Spirito Santo sussiste una relazione privilegiata. Doni e virtù dello Spirito Santo hanno arricchito l’anima di lei al punto che – come avrebbe spiegato secoli dopo il teologo salesiano Domenico Bertetto – tra la Terza Persona della Trinità e la Vergine di Nazareth vi è una perfetta “sinergia”: operano sempre e soltanto in perfetta armonia. La Madonna è il capolavoro dello Spirito Santo e noi, guardando alla santità impareggiabile di Maria, possiamo comprendere i beni che Egli elargisce e le perfezioni che sa compiere. La Vergine mediatrice di quanti la implorano Amedeo, prima di diventare vescovo, era stato monaco cistercense, discepolo di San Bernardo che, in fatto di devozione mariana, aveva fatto scuola. Da lui, Amedeo aveva appreso molto. Già il grande abate di Chiaravalle aveva affermato: “C’era necessità di un mediatore per raggiungere questo Mediatore, cioè Cristo: né altro per noi era più utile di Maria”. E a proposito di Maria mediatrice, Amedeo esclama con sincero afflato lirico: “Ai suoi piedi si prostrano anche quelli che hanno l’animo amareggiato, i tristi, gli indigenti, gli afflitti, i desolati, i debitori, e anche coloro che vivono nel disonore. Di questi e di tutti coloro che implorano dal fondo di qualsiasi tribolazione ella accoglie volentieri le preghiere e, supplicando il Figlio, allontana misericordiosamente ogni male da loro”. Questa funzione mediatrice è estesa al po-


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polo ebraico. Nel secolo XII i rapporti tra cristiani ed Ebrei erano spesso tesi e gli uni accusavano gli altri di empietà. Amedeo si sottrae a questa polemica e sottolinea un’altra consolante verità: la Madonna, ebrea per nascita, sotto la Croce ha pregato per il suo popolo. Scrive nella quinta omelia: “Vedendoli, infatti alle soglie della morte eterna, ella non li ritenne degni né di odio né di disprezzo, bensì del suo massimo affetto, delle sue abbondanti lacrime e della sua profonda pietà. Perciò, in comunione con la carità di Gesù, come lo era con la sua Croce, ella si mise a pregare per loro”. Possono rimanere inascoltate le suppliche della Madre di Dio? Questa prospettiva aperta dall’intuizione originale di Amedeo di Losanna non può che illuminare l’attuale dialogo interreligioso tra Ebrei e Chiesa Cattolica. Gli Ebrei stessi sarebbero contenti di leggere le omelie di questo vescovo, tra l’altro dichiarato beato, perché egli valorizza gli scritti dell’Antico Testamento in cui ravvisa delle prefigurazioni della Madonna. Ad esempio, l’urna d’oro che nell’antico Tempio di Gerusalemme custodiva reliquie della manna inviata da Dio nel deserto, per Amedeo è un simbolo di Maria: “Questa urna conteneva la manna nascosta, perché ella ha portato nel suo utero sacrosanto il pane degli angeli che discende dal Cielo e dà vita al mondo”. Per il cielo, venerabile per il mondo, amabile La Madonna svolge la sua missione mediatrice in Cielo dove è stata assunta pienamente, con il corpo e l’anima. Amedeo di Losanna è uno degli autori che testimonia questa convinzione che progressivamente è stata compresa dalla Chiesa. Nel 1950, papa Pio XII, nella bolla Munificentissimus Deus, proclamò questo dogma e, tra gli

insigni dottori che nomina per mostrarne la fondatezza, cita proprio Amedeo di Losanna, secondo il quale, questo privilegio mariano era esigito dalla santità eccelsa della Madonna e dalla verginità perpetua del suo corpo. Sempre Papa Pio XII volle istituire la festa liturgica della Regalità di Maria, che coglie un altro aspetto della sua glorificazione in cielo. Ed è sempre Amedeo di Losanna che spiega in che cosa consiste la regalità della Madonna: “Con la gloria il tuo Figlio ti ha concesso la signoria del cielo, con la misericordia la regalità del mondo, con la potenza il dominio sull’inferno. Tutte le creature, sebbene con sentimenti diversi, rispondono dunque alla tua così grande e ineffabile gloria: gli angeli con l’onore, gli uomini con l’amore, i demoni con il timore”. È un insegnamento, questo, da ricordare quando anche noi, recitando il quinto mistero glorioso del Rosario, meditiamo sulla regalità universale della Madonna: “per il cielo sei venerabile; per il mondo, amabile; per l’inferno, terribile”. Roberto Spataro

U La Madonna è il capolavoro dello Spirito Santo. Qui sopra: il dipinto “La Pentecoste” di anonimo, sec. XVII, nella Basilica Santa Maria degli Angeli ad Assisi.

spataro.rivista@ausiliatrice.net

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Esperienze di catechesi

L’Immacolata e le mele verdi S

ignore, perché hai fatto cose così difficili da spiegare ai bambini del XXI secolo?”. È la domanda che a me e a molte catechiste càpita talvolta di rivolgere mentalmente, quando cerchiamo di comunicare il senso del mistero alle giovani generazioni tecnologiche. Per noi che abbiamo frequentato gli incontri di Catechismo mezzo secolo fa o giù di lì, tutto era semplice. Il parroco ci sistemava nei primi banchi della chiesa, ci faceva imparare a memoria il Catechismo di Pio X e regalava un’immaginetta a chi ripeteva le risposte esatte. Nessuno di noi si sarebbe sognato di chiedere spiegazioni o di metterne in dubbio la veridicità. I bambini di oggi, invece, discutono sul contenuto della Sacra Scrittura, vorrebbero una storia “diversa”, con particolari anche di loro invenzione. Il racconto dell’Ascensione, ad esempio, così come si legge negli Atti degli Apostoli, non li soddisfa: “Ma come ha fatto Gesù a staccarsi dalla Terra e a salire in Cielo? Gli sono spuntate le ali?”, “Ha preso l’ascensore?”, “È stato sparato in aria da un razzo?”. Più difficile, a volte, far accettare alcuni dogmi, come quello dell’Immacolata Concezione. Oggi, anche se si accetta che la Madre di Dio sia stata concepita senza peccato, risulta inammissibile che durante la vita terrena lei non abbia mai ceduto a tentazioni di alcun genere. Come è possibile che non abbia mai commesso un peccato, neanche uno piccolo piccolo, senza importanza? “Io non ci credo! Non è umano!” sentenzia Stefano. Le domande e le contestazioni si susseguono implacabili, sino a quando interviene Moni-

ca. “Io ho capito! Per la Madonna il peccato era come per me le mele verdi!”. Risata generale. “Beh, io odio le mele verdi: hanno un sapore aspro che fa venire la pelle d’oca. Anche se stessi morendo di fame, non mi verrebbe mai voglia di mangiarne una!”. “E questo che c’entra con il peccato”?, è la domanda quasi generale. Monica ricomincia: “C’è qualche cibo che le vostre mamme cucinano e che a voi proprio non piace?”. Smorfie di disgusto. “Bene, se aveste la casa piena di passati di verdura e pastine in brodo, avreste la tentazione di mangiare queste cose, e magari rubarle di nascosto?”. “Che schifo!”, è la risposta unanime. “Ecco – conclude la ragazzina – alla Madonna il peccato faceva lo stesso effetto che a voi le minestre delle vostre mamme e a me le mele verdi. Il peccato le faceva girare la faccia dall’altra parte”. Sì, adesso hanno capito. Certo, ci sarebbero da dire che oltre al disgusto per il peccato, l’eccezionale virtù di Maria ha contribuito a preservarla da ogni macchia. Ma questo è un altro discorso. Per ora, grazie, Monica, per le tue mele verdi! Anna Maria Musso Freni rivista@ausiliatrice.net

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Attualità Con la comunità di Taizé

AA Rotterdam Rotterdam da da tutta tutta Europa Europa R

U Mons. Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam, è presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea. Foto di Maurizio Versaci

Y Rotterdam ospiterà la Comunità Ecumenica di Taizé alla fine di quest’anno in occasione del consueto incontro europeo dei giovani. Foto di Damir Jelic

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otterdam, Olanda. Luogo di nascita di Erasmo, la città con il più grande porto d’Europa, che nel 2009 è stata nominata capitale europea della gioventù, ospiterà dal 28 dicembre 2010 al 1º gennaio 2011 la Comunità ecumenica di Taizé per il suo consueto incontro europeo dei giovani, il “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”. A raccontarlo è il Vescovo di Rotterdam, Mons. Adrianus Herman van Luyn, salesiano, che abbiamo incontrato nella sacrestia della basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco in occasione della festa di San Giovanni Bosco il 31 gennaio scorso. «Sono proprio felice di dare questa notizia – è il primo commento di Mons. Van Luyn – anche perché la richiesta è venuta congiuntamente dalla Conferenza Episcopale Cattolica dei Paesi Bassi, dal PKN (Protestante Kerk Nederlands, la principale chiesa protestante dei Paesi Bassi), che insieme hanno chiesto di ospitare questo incontro, segnale forte di una grande intesa delle chiese maggiori d’Olanda. Ci aspetta quindi un anno molto in-

tenso di pastorale giovanile perché dovremo prepararci ad accogliere i giovani in una città simbolo dello sviluppo economico, del benessere e che rappresenta la parte più industrializzata del paese. Una città multiculturale in cui convivono 170 nazionalità diverse ed alla quale dimostreremo che è ancora possibile raccogliere i giovani sulle vere domande della vita, sul senso della vita, su una prospettiva umana e umanizzante. Noi sappiamo che l’unica risposta a queste domande viene dal Vangelo, così come ha anche detto il nostro Rettor Maggiore, don Pasqual Chávez Villanueva, affermando come “la globalizzazione, il secolarismo, il pluralismo, il relativismo segnano lo scenario in cui oggi deve risuonare la buona novella, che dà all’uomo luce e speranza”. Per questo è molto importante questo pellegrinaggio della comunità di Taizè». – E come presentare in modo comprensibile e credibile soprattutto ai giovani questo programma evange-


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lico che va tanto controcorrente rispetto alle tendenze moderne? – Nella nostra Diocesi di Rotterdam in cui vivono 3 milioni e mezzo di abitanti abbiamo cercato di concretizzare questo progetto con un programma che si fonda su tre parole: spiritualità, solidarietà e sobrietà. Di spiritualità, ossia l’esperienza personale del rapporto con Dio, abbiamo tutti bisogno. Dappertutto nel continente europeo si aspira disperatamente a una nuova interiorità, si cercano nuove forme di comunione spirituale. Vita interiore e condivisione spirituale necessitano di educazione e formazione, affinché le singole persone acquisiscano un rapporto personale di fiducia e di abbandono in Dio amore. La solidarietà è strettamente legata alla spiritualità, poiché le due dimensioni di spiritualità e solidarietà sono le due facce inseparabili dell’unico necessario: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Una condizione preliminare per un’autentica spiritualità e solidarietà, è la sobrietà, ossia prendere distanza dal consumismo, edonismo e materialismo moderni, temperando le proprie esigenze e aspirazioni e concentrando l’attenzione sulla responsabilità propria verso Dio e verso il prossimo, particolarmente verso i giovani, quelli che vivono in condizioni di povertà ed esclusione, e verso le generazioni future che rischiamo di privare delle necessarie risorse della natura. – Lei come presidente della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) ha più volte sollecitato il governo d’Europa sulle problematiche che più affliggono il continente. – Il nostro compito è di monitorare lo sviluppo delle Istituzioni sulla base della dottrina sociale della Chiesa, quindi prima di tutto la dignità inalienabile della persona umana non solo come

singolo ma anche come società e del bene comune che ne è una diretta conseguenza. Noi quindi dialoghiamo con la commissione europea, con il Parlamento su diversi temi, dalle questioni di etica della difesa della vita umana a quelle della giustizia sociale, dall’immigrazione, all’ambiente, alle politiche sociali, la pace, l’aiuto ai paesi in via di sviluppo, il disarmo nucleare, un tema di stretta attualità verso cui sollecitiamo i governi a rendersi conto dell’effettiva necessità di una condivisa azione in questa direzione.

U Mons. Van Luyn con il Rettore della nostra Basilica don Franco Lotto. Foto di Maurizio Versaci

– I giovani possono essere protagonisti della costruzione di questa Europa? – Come famiglia salesiana così come Don Bosco sentiamo oggi forte la supplica dei giovani d’Europa in cerca di orientamento, di un cammino, di una destinazione. A loro siamo chiamati ad annunziare la parola del Signore attraverso il carisma salesiano, di cui l’Europa, secolarizzata, individualista e materialista ha grande bisogno. Maurizio Versaci

RMA online Su www.donboscotorino.it oppure su www.ausiliatrice.net in approfondimenti, potete leggere anche l’articolo di don Pier Giuseppe Accornero “La Chiesa e il malato”.

versaci.rivista@ausiliatrice.net

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Nº 3 - MARZO 2010

La carità segna tutta la nostra vita La pagina del Rettore Parola di Dio o Dio che parla? Editoriale

Don Franco Lotto Don Stefano Martoglio

L’amore e la sua strada Leggiamo i Vangeli Una vita carica di eternità Spiritualità mariana

Marco Rossetti Maria Ko Ha Fong

Maria capolavoro dello Spirito Santo Maria nei secoli

Roberto Spataro

Missionari martiri, invito alla fedeltà Il Papa ci parla

Enzo Bianco

Chi ha paura dell’uomo crocifisso? Il poster

Mario Scudu

L’Immacolata e le mele verdi Esperienze di catechesi Compiere l’ordinario con amore straordinario Memorie salesiane

Anna Maria Musso Freni Lorenzo Bortolin

Una Madonna bizantina nella catacomba romana Maria nell’arte A Rotterdam da tutta Europa Attualità Vogliamo vedere Gesù La pagina dell’ADMA

Natale Maffioli Maurizio Versaci Pier Luigi Cameroni

Misericordia, Figlio, voglio e non giustizia Appuntamenti mariani Da soli no! Lettere a suor Manu

Mario Morra Manuela Robazza

FOTO DI COPERTINA:

Ritorni / con movimenti non più tuoi / nelle braccia di tua Madre. / T’accoglie / per amarti ancora / nel suo primo tramonto / senza di te, figlio. / Intorno / piccole corolle di chiesa / impazienti s’affacciano. Da “Prima sepoltura” di Piera Paltro. Cristo in Croce, Rogier van der Weyden (1399-1464), Kunsthistorishes Museum, Vienna.

Basilica di Torino Rivista della

-Valdocco

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ANNO XXXI -

MENSILE - Nº

3 - MARZO 2010

saggio gratuito per due numeri

re con il Figlio

La Madre soff

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