Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO
Nº 1 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE
gennaio-febbraio
Padre maestro e amico
pag. 38 “Ma perché non a me?” Luigi Accattoli ricorda Lina Sorrenti Biora
pag. 42 Dio chiama per nome Ho incontrato un prete (giovane) all'Università
pag. 44 A Lourdes accade ancor a
Il settimo miracolo a pellegrini italiani
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Il Calendario è inviato gratuitamente a chi si iscrive all’Associazione per l’anno 2013. Eventuali richieste di copie devono pervenire alla Redazione:
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980 Stampa: Scuola Grafica Salesiana – Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it
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La luce oltre il buio Edizioni PIEMME incontri pagine 182, euro € 14,00 Data di pubblicazione ottobre 2012
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Sommario 6
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Il saluto del RettoRe 1
“AbbIATE fEdE NELL’AuSILIATRICE E VEdRETE COSA SONO I mIRACOLI”
18 SANTA mARIA dI CASTRO muRATO II bRICHETTO-mOROzzO
a tutto campo 4
la paRola quI e oRa 20 IN TE mI SONO COmPIACIuTO
OffRIRE AI gIOVANI IL VANgELO dELLA gIOIA
leggIamo I vangelI 6
sfIde educatIve 22 LA dRAmmATICA AVVENTuRA
CRISTO PAROLA LuCE E VITA
dI AmANdA TOdd
In cammIno con maRIa 8
mARIA LA PORTA fIdEI
amIcI dI dIo 10 dIO TI CHIEdE AmORE gIovanI In cammIno 12 ECCO ORA IL mOmENTO fAVOREVOLE
40
chIesa vIva 24 quANdO NON SAI PIù A CHE SANTO VOTARTI 26 PAPA bENEdETTO: «IL NO CRISTIANO» ALLA VIOLENzA
28 dImmI COmE PREgHI 33 PAdRE? NOSTRO?
mamme sulle oRme dI maRIa 14 CATALINA dEL SOPRAbITINO ROSSO maRIa neI secolI 16 mARIA NELL’INSEgNAmENTO dEL CuRATO d’ARS
I numeri precedenti... 46a Giornata Mondiale della Pace 01 gennaio 2013
“Beati gli operatori di pace”
Il saluto del RettoRe
«Abbiate fede nell’Ausiliatrice e vedrete cosa sono i miracoli» Carissimi amici, sicuramente abbiamo vissuto le festività natalizie con fede profonda, anche se con preoccupazione per la difficile situazione sociale ed economica che stiamo vivendo. Forse questo può essere stato un richiamo a badare alla sostanza più che all’apparenza, all’insegna della sobrietà e della condivisione. Ed eccoci all’inizio di un nuovo anno. Vogliamo affidarlo con fiducia alle mani della nostra Ausiliatrice. Don Bosco ce lo ripete con forza: «Abbiate fede in Maria Ausiliatrice e vedrete cosa sono i miracoli». Per la nostra Famiglia Salesiana gennaio è il mese di Don Bosco, al quale ci ispiriamo nel nostro cammino di crescita umana e cristiana. L’anno bicentenario della sua nascita (2015) si sta avvicinando e stanno già fervendo i preparativi. L’urna con una sua reliquia sta percorrendo le strade di tutto il mondo, con una partecipazione che supera le più rosee previsioni: Don Bosco continua ad affascinare con la sua simpatia ed umanità, espressioni di un segreto più profondo, la sua santità. Il segreto della sua santità è rivelato dal suo secondo successore, don Paolo Albera: Don Bosco era «sempre tranquillo, sempre eguale a sé, sempre imperturbabile, vuoi nelle gioie, vuoi nelle pene; perché, fin dal giorno in cui fu chiamato all’apostolato, si era gettato tutto in braccio a Dio!». Di qui il suo entusiasmo e il suo coraggio. Questa ricchezza umana e spirituale si è incanalata con passione nel servizio ai giovani, specialmente i più poveri, una passione che ha trovato le sue radici in Dio ed è diventata passione per il suo Regno, per la vita, per la Chiesa, per i giovani e la loro salvezza: «Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità», così si esprime nella famosa lettera da Roma del 1884. Di qui la sua provocazione: i Santi non si accontentano di essere guardati con ammirazione o di essere invocati. Ci chiedono di essere modelli per la nostra vita. Don Bosco ci invita a riattivare la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità; a ritrovare le energie positive che sono in noi, a farle riemergere, a non chiuderci in un cristianesimo ad “uso privato”; con tutte le nostre forze dobbiamo essere pronti ad annunciare al mondo che Dio ci ama e vuole raggiungere tutti. Questa è autentica devozione a Don Bosco! Vi aspettiamo numerosi in Basilica il 31 gennaio, per far festa insieme. Come sempre, grazie per il vostro sostegno e la vostra simpatia, vi ricordiamo tutti nella preghiera in Basilica. Don Franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net
segnI e valoRI 29 A SCuOLA dI fumETTO CON ELENA PIANTA
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poster
l’avvocato RIsponde 34 ENERgIA ELETTRICA:
ATTENTI ALLE OffERTE COmmERCIALI INgANNEVOLI
espeRIenze 36 ETICA E fEdE, bINOmIO INdISSOLubILE!
38 “mA PERCHé NON A mE?” 40 I “NON LuOgHI” dEL bENESSERE 42 dIO HA uN NOmE E CHIAmA PER NOmE 44 A LOuRdES ACCAdE ANCORA
don bosco oggI 46 guARdARE AI POVERI PER VEdERE dIO
48 VIVIAmO CON mARIA
L’ANNO dELLA fEdE
Foto FOTOLIA: Patrick Scheffer (22); OlgaLIS (33); Pavel Losevsky (60) SHUTTERSTOCK: Tomasz Trojanowski (23); FLICKR: peo pea (15); Michele Scala (26); Gio la Gamb (57); DEPOSIPHOTOS: Kuzmafoto (6); stas (7); Enrico Giuseppe Agostoni (7); Tyler Olson (7); gvictoria (12); Kirill Kedrinskiy (13); costasz (14); Melpomene (14); Elnur (20); Alice Day (21); Иван Кмить (24); Alice Day (24); Eduard Stelmakh (25); Sybille Yates (27); Catalin Petolea (28); Зоя Фёдорова (31); Alex Staroseltsev (34-35); Denis Pepin (36); eugenesergeev (38); WWW.SHOCK.CO.BA (40); Laurentiu Iordache (41); Viorel Sima (42); elenathewise (43); Irina Silvestrova (58); SYNC-STUDIO: Paolo Siccardi (36).
50 INTERVISTA A dON bOSCO. SI COmINCIA
52 dON gIuSEPPE quAdRIO E LA “SuA” fACOLTà dI TEOLOgIA
54 TuTTO è PIù SEmPLICE
CON uNA mAdRE ACCANTO
56 uN SORPRENdENTE
SAN fRANCESCO dI SALES
58 IL PANE dEL PELLEgRINO
ATTRAVERSO I SACRI mONTI
letteRe a suoR manu 59 E L’AmOREVOLEzzA? posteR dON bOSCO uN ALbERO RIgOgLIOSO
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Intervista a don bosco E se Don Bosco oggi concedesse alla nostra (e sua) Rivista un’intervista esclusiva?
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a tutto campo
offrire ai giovani il Vangelo della gioia
Nella Strenna 2013 il Rettor Maggiore riprende un versetto della Lettera di San Paolo ai Filippesi per approfondire la proposta educativa di Don Bosco. Eccone ampi stralci. © ImageBank
popolare; la religione posta a fondamento dell’educazione; l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra catechismo ed educazione; la convinzione che l’istruzione costituisce lo strumento essenziale per illuminare la mente; l’educazione, così come la catechesi, che si sviluppa in tutte le espressioni compatibili con la ristrettezza del tempo e delle risorse; la piena occupazione e valorizzazione del tempo libero; l’amorevolezza come stile educativo e, più in generale, come stile di vita cristiana. Aggiunge don Chávez: «Una volta conosciuto correttamente il passato storico, occorre tradurre nell’oggi le grandi intuizioni e virtualità del Sistema Preventivo. Bisogna modernizzarne i principi, i concetti, gli orientamenti originari, reinterpretando sul piano teorico e pratico sia le grandi idee di fondo, sia i grandi orientamenti di metodo». In particolare, il Rettor Maggiore suggerisce tre prospettive. Innanzi tutto, il rilancio dell’“onesto
La Strenna che il Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva propone quest’anno intende approfondire e aggiornare la proposta educativa di Don Bosco. Scrive: «Oggi, infatti, i contesti sociali, economici, culturali, politici, religiosi, nei quali ci troviamo a vivere la vocazione ed a svolgere la missione salesiana, sono profondamente cambiati. D’altra parte, per una fedeltà carismatica al nostro Padre, è ugualmente necessario fare nostro il contenuto e il metodo della sua offerta educativa e pastorale. Nel contesto della società di oggi siamo chiamati ad essere santi educatori come lui, donando come lui la nostra vita, lavorando con e per i giovani». Ripensando all’esperienza educativa di Don Bosco, don Chávez constata che già nel primo Oratorio erano presenti alcune importanti intuizioni: una struttura flessibile, quale opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e fasce popolari giovanili; il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente
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gENNAIO-fEbbRAIO 2013
Il testo integrale della Strenna 2013 è disponibile su: www.sdb.org/it/Rettor_maggiore/Strenna.
cittadino” e del “buon cristiano”. «Non significa promuovere un attivismo ideologico, legato a particolari scelte politiche di partito, ma formare ad una sensibilità sociale e politica, che porta comunque ad investire la propria vita per il bene della comunità sociale, impegnando la vita come missione, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cristiani. Detto in altri termini, la riconsiderazione della qualità sociale dell’educazione dovrebbe incentivare la creazione di esplicite esperienze di impegno sociale nel senso più ampio. E altrettanto si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. (...) Si tratta di svelare e aiutare a vivere consapevolmente la vocazione di uomo, la verità della persona. E proprio in questo i credenti possono dare il loro contributo più prezioso». Il secondo aspetto riguarda “il ritorno ai giovani con maggior qualificazione”: «La fedeltà alla nostra missione, per essere incisiva, deve essere posta a contatto con i "nodi" della cultura di oggi, con le matrici della mentalità e dei comportamenti attuali. Siamo di fronte a sfide davvero grandi, che esigono serietà di analisi, pertinenza di osservazioni critiche, confronto culturale approfondito, capacità di condividere psicologicamente ed esistenzialmente la situazione».
Il terzo aspetto affrontato da don Chávez è “un’educazione di cuore”: «In questi ultimi decenni forse le nuove generazioni salesiane provano un senso di smarrimento di fronte alle antiche formulazioni del Sistema Preventivo: o perché non sanno come applicarlo oggi, oppure perché inconsapevolmente lo immaginano come un “rapporto paternalistico” con i giovani». In conclusione, a partire dalla conoscenza della pedagogia di Don Bosco, il Rettor Maggiore individua i grandi punti di riferimento e gli impegni della Strenna del 2013. Sono: «il “vangelo della gioia”, che caratterizza tutta la storia di Don Bosco ed è l’anima delle sue molteplici attività»; la pedagogia della bontà, perché «l’amorevolezza di Don Bosco è, senza dubbio, un tratto caratteristico della sua metodologia pedagogica ritenuto valido anche oggi»; il Sistema Preventivo, condensato della saggezza pedagogica del Santo; l’educazione è cosa del cuore, perché in questo «ecco la sua grandezza ed il segreto del suo successo come educatore»; la formazione dell’onesto cittadino e del buon cristiano, che per Don Bosco indica «tutto ciò di cui i giovani necessitano per vivere con pienezza la loro esistenza umana e cristiana. Quindi, la presenza educativa nel sociale comprende queste realtà: la sensibilità educativa, le politiche educative, la qualità educativa del vivere sociale, la cultura»; l’umanesimo salesiano, perché Don Bosco sapeva «valorizzare tutto il positivo radicato nella vita delle persone, nelle realtà create, negli eventi della storia»; il Sistema Preventivo e i Diritti Umani, perché «la Congregazione non ha motivo di esistere se non per la salvezza integrale dei giovani».
Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore
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leggIamo I vangelI
Cristo parola luce e vita Fin dalla prima pagina il vangelo di Giovanni deve essere letto con l’aiuto dello Spirito Santo. Solo in questo modo noi suoi lettori potremo entrare nel vivo di un messaggio che ci è dato come testimonianza di fede per la nostra salvezza. come un’onda
l’una all’altra per condurci alla contemplazione del mistero di Dio fattosi uomo per noi.
Un inno dedicato a Cristo, «Parola» del Padre che si fa uomo, apre il racconto. Pagina rara e preziosa che funge da prefazione a tutta l’opera e ne anticipa i temi caratteristici: la vita, lo scontro tra la luce e le tenebre, la testimonianza, la gloria, la fede. Tutti conosciamo bene il moto di un’onda marina: si muove e dopo aver raggiunto il culmine si rovescia su se stessa per poi lambire la riva. Ebbene ad un’onda può essere paragonato il modo di scrivere di Giovanni: il tema della «Parola» che in Cristo si fa uomo ci viene infatti proposto in tre movimenti successivi che approfondiscono sempre di più la nostra conoscenza di Gesù. Per ben leggere questo inno suddividiamolo dunque secondo questo triplice movimento. Comprendiamo allora che dapprima l’Autore canta di Cristo come della «Parola» che diventa la luce del mondo (vv. 1-5), poi viene a dirci che la «Parola», che è luce e vita, diventa uomo (vv. 6-14), infine contempla ciò che costui ha da offrire a coloro che credono in lui (vv. 15-18). Nel Prologo tre strofe si susseguono così
cRIsto è la «paRola» del padRe Giovanni subito ci porta in alto, presso Dio, per dirci che Cristo-«Parola» era là prima che ogni cosa fosse creata e che niente nella creazione è stato fatto senza di Lui. Gesù è Dio! L’Evangelista ci aiuta poi a capire quanto ciò sia di rilevante per noi, dato che la vita e la luce che Cristo-«Parola» è, non le tiene per sé, ma le dona, rendendoci vivi, colmandoci di luce divina. Gesù nel corso della sua vita ha mostrato di non voler trattenere nulla di sé, ma di volersi dare come «pane di vita» (6,35); di risplendere come luce del mondo (8,12); di essere vita eterna (11,25); di essere via, verità e vita (14,6). E tutto ciò con l’unico scopo di farci vivere per sempre! Un senso di profonda gratitudine deve scaturire in noi: Cristo è la «Parola» che il Padre ha da dire a tutta l’umanità. Grazie a Cristo siamo stati inseriti in un meraviglioso progetto il cui unico obiettivo è la nostra salvezza.
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In principio era il Verbo, il Verbo era presso dio e il Verbo era dio. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di dio.
cRIsto è la «paRola» fattasI uomo
purissimo ci sia spazio per il silenzio e la contemplazione, ad imitazione di quanto Giovanni e la propria comunità fecero.
La luce e la vita vera che Cristo-«Parola del Padre» è, presuppone che noi lo cerchiamo e lo riconosciamo come colui che solo ci offre la possibilità di capire chi siamo. Davanti a questa preziosa opportunità ci si aspetterebbe un’accoglienza illimitata: sappiamo però che certuni rifiutano Cristo e che noi stessi a volte stentiamo a fargli spazio. Eppure è solo l’accoglienza di lui che ci fa diventare figli di Dio (v. 12)! La nostra figliolanza è un fatto reale, un dono già dato che invoca però la nostra risposta di collaborazione come forma di disponibilità e di docilità all’azione dello Spirito. Solo chi accoglie Cristo-«Parola» e crede diventa realmente ciò che è già, figlio di Dio. Di fronte ad una tale responsabilità dobbiamo chiederci che cosa fare per difendere e maturare la nostra dignità di figli di Dio. Si tratta di un dono grande perché grande è colui che ce lo offre, Cristo-«Parola»: lui la luce, la vita che era da sempre presso Dio, che è Dio, per non meno di questo si è fatto uomo, assumendo la fragilità e l’impotenza tipica di ogni creatura. Non vi è altro annuncio cui credere per essere salvati: «Ogni spirito che riconosce Cristo venuto nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio» (cfr. 1Gv 4,23). Gesù è Dio con noi: egli ha scelto di percorrere la strada della debolezza assumendo tutto di noi, fuorché il peccato! Di fronte a tale atto di amore
cRIsto unIca vIa al padRe A conclusione dell’inno Giovanni ci invita a riflettere sul fatto che prima della venuta di Cristo eravamo in una situazione senza via di uscita: eravamo impossibilitati a conoscere veramente Dio. Ora però non è più così! Tra i doni recatici dal Figlio Unigenito ve n’è infatti ancora uno: egli è venuto a raccontarci Dio, a mostrarcelo. Chi altri potrebbe fare ciò? Nessuno. Solo lui può dirci ciò che ha visto e udito presso il Padre perché solo lui viene dal Padre, è sempre nel Padre, lui stesso è Dio: «Io ed il Padre siamo una cosa sola» (10,30). All’opera della rivelazione di Dio Gesù dedica tutto il tempo della sua vita in mezzo a noi. Egli ci dice tutto quello che ha udito dal Padre: questo crea un’intimità tanto profonda tra noi e lui da essere considerati suoi «amici» (15,15). Cristo Signore è via che conduce al Padre. Guardiamoci da tutti coloro che ci predicano vie più allettanti e facili: Cristo-«Parola» fattasi uomo è l’unica via. Certo egli è via stretta, porta stretta, cammino spesso in salita, ma la gioia dell’incontro che ci aspetta ci basta ad intraprendere questo cammino. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
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In cammIno con maRIa
maria la Porta fidei
Nell’Annunciazione, la Madonna passa dall’interrogativo «Come avverrà?» all’esclamativo «Avvenga!». Il suo itinerario, dallo sconcerto alla ricerca per sfociare nella fede gioiosa, rimane per sempre come paradigma per ogni credente.
Con il motu proprio Porta fidei Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede, a partire dallo scorso 11 ottobre, cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e ventesimo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. L’apertura della “Porta della fede” a molti cuori è un’immagine suggestiva usata da Luca per descrivere la rapida diffusione del Vangelo tra i pagani (At 14,27). Il Papa l’applica al nostro mondo, con la convinzione che questa porta «che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa» (“Porta fidei” 1) è sempre aperta ed invitante anche ai nostri contemporanei. Lungo i secoli la Chiesa è stata be-
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nedetta da una schiera di testimoni e missionari, i quali, dopo aver varcato questa porta, con ardore a creatività, hanno aiutato altri a fare ingresso nella fede. A capofila sta Maria, proclamata “beata” perché “ha creduto” (Lc 1,45), riconosciuta come il modello del credente, la prima evangelizzata e la prima evangelizzatrice.
a nazaRet la quotIdIanItà gIoIosa Iniziamo con la scena dell’annunciazione a Nazaret. Maria fa la sua prima comparsa nel Vangelo in un contesto di ferialità, in uno spazio accogliente, in un atteggiamento di ascolto, di silenzio, come un campo buono, aperto e disposto all’arrivo
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del seme. «Entrando da lei», l’angelo le porta la Parola di Dio. All’annuncio inatteso dell’angelo Gabriele, la risposta di Maria non scatta in modo istantaneo. La sua prima reazione è quella del turbamento, tipico di chi è consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che lo trascende infinitamente, ad una sorpresa insospettata di cui non riesce a cogliere immediatamente il senso. Non si tratta di un dubbio scaturito dall’incredulità, bensì del senso di stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza della proposta e la limitatezza effettiva della capacità di realizzazione. È l’atteggiamento della persona umile e riflessiva, di chi cioè è cosciente della propria piccolezza e si avvicina al mistero con timidezza e discrezione, attento a penetrarne il senso. È il sentimento del povero, che sa meravigliarsi di fronte ai doni gratuiti. La seconda reazione di Maria è un’obiezione. Maria invoca luce: «Quomodo fiet istud?» («Come avverrà questo?»); e manifesta il dilemma del suo voler acconsentire, ma non saper come. Ella domanda a Dio che cosa dovrà fare per essere in grado di obbedire. Lo spirito di Maria è come quello del salmista
quando prega Dio dicendo: «Fammi conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò le tue meraviglie [...]. Dammi intelligenza perché io custodisca la tua legge e la ossevi con tutto il cuore» (Sal 119,27.34).
a geRusalemme Il mutIsmo dell’IncRedulItà Dopo che l’angelo le ha manifestato in che modo è resa protagonista, luogo e testimone di «grandi cose», Maria accetta con piena disponibilità, passando così dal quomodo fiet, «come avverrà», al fiat, «avvenga», da un segno interrogativo (?) ad un segno esclamativo (!). È l’impatto tra l’umano e il divino. Maria varca misteriosamente la soglia di una porta, passa dall’esistere per se stessa e per i propri piccoli piani di vita all’esistere per Dio e per i suoi grandi disegni. Il fiat di Maria, come quello insegnatoci da Gesù nel Padre nostro (Mt 6,10), è un abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la volontà di Dio. Con il suo fiat ella ricapitola tutta la schiera degli obbedienti nella fede nell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo, pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora parla per mezzo di suo Figlio.
maria crede e diventa collaboratrice di dio, mentre zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato. Chi non crede al disegno di dio non può nemmeno parlarne.
La dinamica del cammino interiore di Maria risulta ancor più chiara se si considera il confronto intenzionale fatto da Luca tra due annunciazioni: a Zaccaria e a Maria. Zaccaria, anziano e stimato, sacerdote, uomo giusto, rappresentante ideale della religiosità anticotestamentaria, incontra l’angelo in Gerusalemme, nel tempio, durante il culto ma Dio capovolge le posizioni. L’angelo entra «da lei», è Maria in realtà il tempio dell’Altissimo. Ella «ha trovato grazia presso Dio». Il dono divino giunge a lei gratuitamente, non per la sua osservanza della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda, come è nel caso di Zaccaria. Anche la conclusione dei racconti è diversa: Maria crede, si apre e diventa collaboratrice di Dio nel salvare il mondo, mentre Zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato. Chi non crede al disegno di Dio non può nemmeno parlarne. Lo stupore di Maria di Nazaret nell’impatto con il mistero, la sua gratitudine di fronte alla gratuità di Dio e l’itinerario che passa dallo sconcerto alla ricerca per sfociare nella fede gioiosa dovrà rimanere per sempre come paradigma per ogni credente. Maria Ko Ha Fong
Barcellona, 7 novembre 2010: papa Benedetto XVI entra nella basilica della "Sagrada Familia".
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kohafong.rivista@ausiliatrice.net
amIcI dI dIo
dio ti chiede amore Gregorio (330-390): grande amico di Basilio Magno e come lui dottore della chiesa. Una mente raffinata e profonda che nel Concilio di Costantinopoli (381) diede un valido contributo alle definizioni teologiche riguardanti la Trinità e la Cristologia, valide ancora oggi. Ogni 2 gennaio celebriamo due amici santi Basilio e Gregorio Nazianzeno: ambedue vescovi e dottori della Chiesa. Grande amicizia tra loro ma anche grande differenza. Basilio: un uomo “politico”, un organizzatore nato, uno coraggioso anche di fronte ai potenti. Oggi diremmo un vero “leader”. Gregorio invece aveva altre qualità, e con esse ha dato il proprio contributo alla Chiesa e alla società. Portato per natura alla contemplazione aveva una vera predisposizione alla speculazione e all’introversione. Fu anche poeta e cantore delle profondità umane. Di carattere emotivo Gregorio si mostrò qualche volta ingenuo e incerto, facile agli entusiasmi e talvolta fragile nelle difficoltà. Intelligente e preparato, certo, e non lo negava: aveva studiato tanti anni, non solo sapeva ma sapeva di sapere. Un’ultima annotazione: gli psicologi diagnosticherebbero in lui una componente narcisistica. Se parlava ad un uditorio importante e numeroso, Gregorio era raggiante! Comprensibile, no?
infatti un’istruzione di prim’ordine: Cesarea di Cappadocia (con Basilio), poi Cesarea di Palestina, quindi Alessandria, e infine Atene (di nuovo con Basilio). Suo padre, diventato vescovo dopo la conversione, nel 361 lo volle con sé nel governo della Diocesi. Gregorio accettò contro voglia di essere ordinato prete, ma appena gli fu possibile tornò al monastero. Salvo poi venire in soccorso del padre il quale, inesperto teologicamente, aveva firmato una formula ariana. Intanto Basilio era diventato vescovo di Cesarea e dietro sua insistenza (e di suo padre) si lasciò consacrare vescovo di Sasima, una cittadina vicino a Nazianzo. Non ne prese mai possesso. Una Diocesi troppo piccola per lui o non aveva bisogno di un vescovo? Forse ambedue le ragioni. Morto il padre si ritirò di nuovo in un monastero, dando addio all’episcopato. Si sentiva fatto per lo studio e per la vita monastica non per la carriera ecclesiastica. Aveva scritto: «Niente mi sembra più meraviglioso che riuscire a far tacere tutti i sensi,
tRa la pace del monasteRo e la lotta peR la chIesa Gregorio nacque presso Nazianzo, nella Cappadocia nel 330. I genitori, di famiglia nobile, lo accolsero come un vero dono del Cielo. E la madre lo consacrò subito a Dio. Per la sua preparazione scolastica non badarono a spese, Gregorio ebbe
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Riconosci, o uomo, l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza, ciò che più conta, della conoscenza di dio, della speranza del Regno dei cieli.
e, rapito lontano da essi, dalla carne e dal mondo, rientrare in me stesso e restare in colloquio con Dio ben oltre le cose visibili». Questo ardentemente voleva e sognava Gregorio.
Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni, Elledici 2011, 936 pagine, 29,00 Euro.
mità , anzi fu eletto presidente dell’assemblea. E fu un trionfo per lui come teologo. Gregorio difese con energia sia la dottrina sulla Trinità, sia la dottrina cristologica: Cristo vero Dio e vero uomo. Ma arrivarono altre difficoltà. Di nuovo l’accusa di dubbia elezione a vescovo di Costantinopoli. Gli autori? I nuovi arrivati: vescovi giovani e ... ‘politicizzati’, ma anche meno teologi (Gregorio disse: «I più giovani cinguettavano come uno stormo di gazze»). Il Nostro non sopportò il nuovo affronto, disse addio all’assemblea e tornò a Nazianzo scoraggiato e invocante ‘sorella morte’. Scrisse: «C’è una sola via di uscita ai miei mali: la morte. Ma anche l’al di là mi fa paura, se devo giudicarlo dall’al di qua». In una sua poesia scrisse: «Sii, benigno, Tu, l’Al di là di tutto». E Dio accoglieva tra le sue braccia di Padre (nel 390) questo servo fedele che l’aveva studiato, cantato e difeso con tanto amore e intelligenza. Mario Scudu
Il gRande salto: a costantInopolI Ma la storia (o meglio lo Spirito Santo, che conduce la Chiesa) bussò di nuovo alla sua porta. Questa volta attraverso una delegazione di cattolici di Costantinopoli disperatamente alla ricerca di un... vescovo. Poverini: era un piccolo gregge di cattolici galleggianti nel vasto mare di ariani. Pochi sì ma buoni e... tosti. Volevano una guida a tutti i costi. E nella top list c’era proprio... lui, Gregorio. Sognavano una personalità di alto profilo culturale, e l’avevano trovato, grazie a Dio e a... Basilio. Con Gregorio gli ariani avrebbero avuto pane per i loro denti. E così fu. E la componente narcisistica? Qualcosa era rimasto: sappiamo bene che non si diventa santi subito. Finalmente una sede degna della sua preparazione culturale. Altro che Sasima... Questa era la capitale, la seconda Roma. Siamo nell’anno 379. Ma il suo narcisismo ebbe uno smacco: di accoglienza trionfale nemmeno l’ombra... per lui non S. Sofia, ma una piccola cappella che ribattezzò Anastasis, cioè Resurrezione. Qui i cattolici avevano finalmente un punto di riferimento spirituale e culturale. Fu qui che tenne i famosi 5 Sermoni sulla Trinità. Dottrina limpida, eloquenza travolgente, entusiasmo tra i fedeli. La sua fama crebbe enormemente tanto da ribaltare la situazione. L’imperatore Teodosio, cattolico, lo accompagnò solennemente a S. Sofia, acclamato dal popolo. Le difficoltà finite? Non proprio.
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dIo, Il sospIRo dI ognI cReatuRa Nel Concilio a Costantinopoli (381) Gregorio, visto che alcuni dubitavano della sua elezione a vescovo, diede le dimissioni. Furono respinte all’unani-
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gIovanI In cammIno
2013: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno!». L’anno della fede corre velocemente: un anno da riempire di Lui, un anno per riprendere in mano il Concilio, un anno per realizzare una svolta nella nostra vita: come lo stiamo vivendo?
Ecco ora il momento favorevole «Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare... Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via... Un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace» (Qo 3,1.4.6-8).
c’è un tempo peR daRsI a dIo? «Datevi per tempo a Dio», diceva Don Bosco ai suoi giovani. Occor-
re un forte discernimento. «Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi
C’è un tempo cronologico (crònos) da riempire di intenso contenuto (cairòs). Per questo, ogni anno e un cammino nuovo e ogni anno è “un tempo per”.
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si volge indietro è adatto per il regno di Dio”» (Lc 9,57-62). Ogni anno è un cammino nuovo e ogni anno è «un tempo per», ogni anno una rilettura della Parola ma con le varianti di avere un anno in più e tante esperienze vissute. Ora, in questa stagione della tua vita, il tuo sì a Dio è fresco come la prima volta, ma nuovo di zecca, maturo dei tuoi anni per amarlo con la voglia di vivere in pienezza ogni minuto utile?
conveRtIRsI: lascIaRe le RetI subIto «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Si-
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non puoi più sprecarlo e devi decidere “subito” di viverlo in pienezza, di renderlo favorevole per le scelte che contano, in sintonia con l’invito a seguirlo per diventare pescatore di uomini e riempire il mondo intorno a te di sapori nuovi che sanno di eterno.
conveRtIRsI: sveglIaRsI dal sonno
mone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono» (Mc 1,14-18). «Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,1-2). C’è un tempo cronologico (crònos) da riempire di intenso contenuto (cairòs). Cioè, passare un’ora con la propria ragazza e un’ora ad ascoltare una lezione noiosa, cronologicamente è sempre un’ora, ma quanto a contenuto vuoi mettere?! Con Gesù il tempo cronologico acquista spessore e si riempie di sostanza e
«È questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti... Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno... Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13,11.13-14). «E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione». (2Ts 3,10-11) «Comportarsi onestamente...Vivere ordinatamente». Non è facile. È un cammino continuo. Occorre programmare la crescita della propria vita spirituale. Hai una guida spirituale con la quale confrontarti? Parti dalla Parola. Rileggi la pagina dei consigli di Paolo in Romani 12 e sentiti in compagnia con la sua fatica a compiere il bene che desidera, mentre è spinto a compiere il male che non vuole (Rm 7,18-19).
conveRtIRsI: «vIveRe come se non» Il mercoledì delle ceneri viene posto sulla fronte un pizzico di cenere come a dire che se le nostre idee non sono come quelle di Cristo noi corriamo il rischio di essere cenere.
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Ma se ci convertiamo e crediamo al Vangelo allora è tutta un’altra storia e la nostra vita acquista una dimensione di eternità e tutto quello che facciamo non è cenere che vola via, ma è tutto «come se non», preoccupati di puntare all’essenziale, a ciò che non tramonta, eliminando tutta la zavorra che appesantisce l’andare privo di segnaletica efficiente. «Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!» (1Cor 7,29-31). Se noi siamo come pensiamo o ciò che pensiamo, i nostri pensieri (le intenzioni) possono essere i peggiori nemici della nostra vita religiosa. Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
mamme sulle oRme dI maRIa
catalina del soprabitino rosso La storia – a lieto fine – di una dei figli di donne straniere che vengono in Italia ad accudire i nostri anziani e i nostri bambini lasciando a casa i loro “orfani bianchi”. Oggi Catalina è una bella e serena ragazza che frequenta le scuole superiori, ma la prima immagine che ho di lei è quella di una bambina con un soprabitino rosso, in lacrime, seduta nel banco di scuola , pronta ad iniziare la sua prima classe elementare. Le lacrime, in una giornata così importante sono assolutamente giustificate per tutte i bambini ma di certo per Catalina lo erano molto di più: aveva già sperimentato una separazione dalla mamma anni prima, in una maniera traumatica. Allora però io non lo sapevo, la sua storia me la raccontò la mamma, Ana, alcuni giorni dopo, su-
perando la riservatezza nell’affrontare un argomento così personale. Ana faceva parte del folto gruppo di donne rumene che avevano lasciato il loro paese, la loro famiglia e gli affetti più cari per venire a lavorare in Italia. La povertà della sua terra avevano convinto Ana che quella fosse la scelta migliore, seppure molto sofferta, poiché in Romania aveva dovuto lasciare le sue due bambine di otto e cinque anni, Stephania e Catalina. L’aveva confortata l’idea che ad occuparsi di loro fossero i nonni ed il papà e che il denaro guadagnato con il suo lavoro avrebbe permesso una qualità di vita migliore. Ricordo come il racconto di Ana, anche a distanza di anni trasudasse, profonda sofferenza, come se stesse rivivendo tutte le emozioni scatenate da quella separazione e da quegli addii.
badante a toRIno Grazie all’aiuto di un’amica che si trovava in Italia già da alcuni anni, Ana era giunta a Torino per lavorare come badante presso un anziano signore,
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al quale il passar degli anni aveva portato guai fisici ma donato un gioioso cuore di fanciullo, libero dai condizionamenti e dalle inibizioni che bloccano spesso quello degli adulti e perciò sincero e spontaneo. Per Ana divenne un nonno/bambino del quale occuparsi, ricevendo affetto e comprensione: al “suo” vecchietto raccontava la vita in Romania, parlava delle sue bambine e nonostante la diversità della lingua riuscivano a capirsi, lavorava con impegno e aveva iniziato ad orientarsi sia nel quartiere dove abitava, sia con la lingua italiana. Ana imparava in fretta, a suo favore aveva una buona preparazione scolastica, infatti in Romania aveva conseguito un diploma che non le era servito però a trovare un lavoro. I momenti più belli erano quelli in cui telefonava alle sue bambine e riceveva delle loro fotografie: una festa di bambini, un momento di scuola o di gioco... il papà non mancava di fissare istanti felici per rassicurare la mamma lontana.
infatti, dopo la sua partenza aveva iniziato a chiudersi in se stessa, a rifiutare il cibo, a non voler frequentare la scuola materna, a non dormire e a non giocare. Ana parlò di ciò con un medico amico del suo “nonnino” il quale ipotizzò che Catalina fosse caduta in uno stato di profonda depressione e che la situazione non fosse da sottovalutare.
dove ho sbaglIato? Tutti i suoi sacrifici, il suo lavoro, il desiderio di dare di più alle sue bambine non erano serviti a nulla? Dove aveva sbagliato? Ana aveva avuto sempre fede e aveva pregato tanto la Madonna. L’aveva sentita amica e vicina ai suoi problemi: anche Maria aveva lasciato la sua casa e la sua terra per proteggere il suo bambino dall’odio di Erode ed aveva affrontato le difficoltà e le ansie di un lungo viaggio. Ana doveva ispirarsi alla Madre Celeste per trovare una soluzione. E Maria parlò al suo cuore e nella sua mente iniziò a farsi spazio l’idea che i bambini, prima di tutto hanno bisogno di amore più che di cose, che è difficile crescere senza il calore di una madre vicina tutti i giorni e che Stephania e Catalina non dovevano essere annoverate nella schiera dei bambini detti “orfani bianchi”. Ana riorganizzò la sua vita e andò a riprendersi le sue bambine. Nel frattempo il suo “nonnino” morì e lei dovette cercare un alloggio ed un altro lavoro, anzi una serie di lavori che le permisero di occuparsi anche delle figlie. Non fu facile, eppure ricordo di aver sempre visto negli occhi di Ana, quando accompagnava a scuola le sue piccole una serenità ed una forza che sembravano un inno all’amore.
toRna la mamma! Tutto sembrava andare bene, Ana inviava quasi tutto ciò che guadagnava ai suoi cari, tanto lei aveva bisogno di poco ed il regalo migliore era il pensare che la sua famiglia potesse avere di più grazie al suo sacrificio. Per un anno non tornò in Romania, poi si concesse una breve vacanza e raggiunse la sua famiglia. Trovò le sue bambine cresciute, sane ed allegre e pronte ad accogliere festosamente la mamma ed i doni che aveva portato loro: furono giorni molto intensi ma... volarono e ben presto Ana dovette ripartire per l’Italia. Questa volta però era più serena, molte paure che la distanza aveva alimentato sembrarono smorzarsi e durante il viaggio di ritorno fu consolata dal ricordo del sorriso sulle labbra di Stephania e Catalina alla stazione. Com’è facile illudersi. Dopo poche settimane dal suo rientro, Ana iniziò a ricevere telefonate dal marito e da sua madre, sempre più preoccupati per Catalina. La bimba
Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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maria nell’insegnamento del Curato d’Ars Patrono dei parroci, è stato un efficacissimo pastore d’anime: le sapeva capire, istruire e trascinare alla conversione attraverso la preghiera e l’esempio. Catechista semplice ed efficace anche quando parlava di Maria.
«Mi trovo in una piccola parrocchia, piena di spirito religioso, che serve il buon Dio con tutto il suo cuore». Con queste parole, pieno di gratitudine verso il Signore, San Giovanni Maria Vianney registrava il cambiamento di vita dei suoi parrocchiani di Ars, il villaggio francese ove esercitò il suo ministero sacerdotale fino alla morte. Quando vi arrivò, nel 1818, la gente disertava la pratica religiosa. La strategia del Parroco, però, risultò straordinariamente efficace: pregava molto per i suoi parrocchiani, celebrava i Sacramenti con grande pietà, si interessava di ognuno con premura e bontà, viveva povero e casto. In poche parole, con il suo esempio attirò tante anime a Cristo. Per ottenere la conversione dei suoi fedeli, alla Madonna consacrò la sua parrocchia
durante un pellegrinaggio al santuario mariano di Fourvière. Pellegrini e penitenti cominciarono a giungere ad Ars da tutta la Francia ed il suo confessionale era sempre affollato. Nel 1929, nell’anno di beatificazione di Don Bosco, il Papa Pio XI proclamò San Giovanni Maria Vianney patrono di tutti i parroci del mondo.
un catechIsta semplIce ed effIcace Questo parroco “universale” ha predicato tanto e ha rivolto ai fedeli lezioni di catechismo tanto semplici quanto sode. In esse parla spesso e volentieri della Vergine Maria. Anzitutto, è un narratore piacevole e convincente. Non disdegna di
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ricorrere a racconti edificanti, anche se storicamente non accertati, pur di sollecitare l’amore per la Madonna. In uno dei suoi sermoni, per esempio, racconta la storia di Teofilo, un sacerdote della chiesa antica, che, pur di vendicarsi di un torto subito, vendette la sua anima al demonio. Pentitosi amaramente del gesto compiuto, ottenne la grazia della riconciliazione con Dio pregando per quaranta giorni la Madonna al termine dei quali la santa Vergine gli apparve per dirgli che aveva ottenuto il perdono. Il santo Curato d’Ars ne trae una lezione di spiritualità validissima e dice: «Facciamo anche noi allo stesso modo. Se ci sentiamo troppo colpevoli per chiedere perdono al buon Dio, rivolgiamoci alla Vergine santa e saremo sicuri del perdono». Il racconto del prete Teofilo è un ottimo commento, popolare e piacevole, alla preghiera più diffusa al mondo, l’Ave Maria, in cui diciamo alla Madre di Dio: “prega per noi peccatori”. San Giovanni Maria Vianney, comunque, non solamente proponeva esempi ed aneddoti. A volte, aveva delle intuizioni degne di un grande teologo, che sa esporre con semplicità e immediatezza, in modo che tutti potessero comprendere bene. Per esempio, ai fedeli spiega che per partecipare bene alla Santa Messa bisogna riprodurre in sé i sentimenti della Madonna sotto la Croce, in quanto «si tratta del medesimo Dio e del medesimo sacrificio». Anni dopo, per gli stessi motivi, il beato Giovanni Paolo II in una sua enciclica, Ecclesia de Eucharistia avrebbe parlato di Maria come Donna Eucaristica. Anche San Pio da Pietrelcina rivelò alla sua figlia spirituale prediletta, Cleonice Morcaldi, che nella Messa si rivive il Sacrificio della Croce e che per parteciparvi in modo fruttuoso occorre assumere le disposizioni di Maria: fede incrollabile ed offerta di sé in unione a Cristo.
visita ad Elisabetta, nel Tempio di Gerusalemme in occasione del ritrovamento di Gesù dodicenne, e a Cana di Galilea per sollecitare il primo miracolo del Figlio. La conclusione che ricava è degna di un Santo come lui: «il Vangelo ci mostra come Ella non abbia parlato che solamente quattro volte, quando lo richiedano la gloria di Dio e la salvezza del prossimo». A contatto con moltissime anime, direttore spirituale ricercatissimo, confessore prudente ed illuminato, San Giovanni Maria Vianney conosceva bene le debolezze della natura umana e l’inclinazione verso il male. Per questo motivo, non esita a suggerire un rimedio, valido sempre, ai suoi tempi come ai nostri: «quando sarete tentati, gettatevi prontamente fra le braccia della Madre di Dio. Allora sarete sicuri di riuscire vittoriosi sopra i vostri nemici». Ed i nemici dell’anima sono le nostre passioni cattive e il demonio: la Madonna ci aiuta a controllare e meglio orientare le prime, sconfigge con la sua grazia le insidie dell’altro. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net
Tutti i santi hanno una grande devozione per la Santa Vergine: nessuna grazia viene dal cielo senza passare per le sue mani (San giovanni m. Vianney).
conoscenza vItale della paRola dI dIo Pur non essendo un biblista in senso scientifico, San Giovanni Maria Vianney conosceva in modo vitale le pagine della Sacra Scrittura. A proposito di Maria, nota con grande finezza che, nei Vangeli la Madonna parla raramente, all’Annunciazione, in
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Santa maria di Castro murato
Il brichetto-morozzo
Dono di Biagio Fauzone in onore dell’Assunzione della Vergine Maria Dipinto da Giovanni Mazzucchi il 30 luglio 1491. Su uno dei numerosi poggi che circondano la cittadina di Morozzo, immerso nel verde della lussureggiante vegetazione, incontriamo il Santuario di Santa Maria di Castro Murato, comunemente chiamato Madonna del Brichetto. Il nome deriva dal fatto di trovarsi su un piccolo colle, detto in dialetto bric. Nei tempi antichi il Santuario era circondato dalla cinta muraria di un castello, da cui deriva la denominazione di Castro Murato. Sotto il suo portico venne stipulato nel 1173, l’atto di fondazione della Certosa di Pesio, con importanti donazioni di terre da parte dei si-
gnori di Morozzo, con le parole «Sub porticu ecclesiae sanctae Mariae de Castro Murato».
glI affReschI del 1400 L’interno del Santuario è decorato dagli affreschi, realizzati nel 1491 da Giovanni Mazzucchi; essi compongono uno dei più completi cicli sulla vita della Madonna, illustrata in diciotto riquadri sulle pareti laterali e sulla volta del presbiterio. Si susseguono gli episodi dell’incontro di Sant’Anna e di San Gioachino, la nascita di Maria, la sua presentazione al Tempio, l’Annunciazione, lo sposalizio
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Il nome deriva dal fatto di trovarsi su un piccolo colle, in dialetto bric. un tempo, il santuario era dentro la cinta di un castello. con Giuseppe, la nascita di Gesù, l’adorazione dei Magi e la fuga in Egitto, in uno stile popolare a volte impreciso, ma efficace nella ricerca dei volti e dei gesti. «Ingenuità, candore e religiosa pietà vibrano nei temi mariani, ispirati all’arte giottesca con un sapore nordico nei lineamenti delle figure e negli atteggiamenti» (Raineri). Sulla parete di fondo, al centro, una bella Madonna con in mano una rosa tiene ritto sul braccio il Bambino che gioca con un uccellino. Le fanno corona i Santi: il domenicano Pietro da Verona, con il coltello che gli spacca la testa, San Bartolomeo, con il coltello con cui è stato scuoiato, Sant’Agata, con le tenaglie che le strapparono il seno, e San Fiorenzo, elegante cavaliere con spada e giglio. Alla sinistra del riquadro l’Arcangelo Gabriele e alla destra la Vergine Annunziata. Nella lunetta sovrastante, è raffigurata l’Incoronazione di Maria da parte della SS. Trinità tra un coro di Angeli e Santi festanti, alla presenza dei Ss. Pietro e Paolo, a destra, e di S. Giovanni Battista ed Evangelista alla sinistra.
spazio della volta a botte. San Michele guida la processione dei Santi ecclesiastici, religiosi, vescovi e diaconi innalzando un lungo vessillo rosso crociato; sull’altra parte della volta una vergine apre il corteo delle Sante e del popolo di Dio. Sulle pareti laterali si trovano raffigurazioni ancora di altri Santi: Sant’Antonio Abate con la Tau e la campanella; San Sebastiano, trafitto da numerose frecce. Interessante è la raffigurazione, tra due Madonne con Bambino dagli atteggiamenti quasi del tutto uguali, del Beato Guglielmo Fenoglio, certosino di Casotto che impugna la zampa del suo asino per difendersi dall’assalto dei malviventi. Originali sono alcune rappresentazioni curiose: la scimmietta sul cavallo nella visita dei Magi, due uova portate a Sant’Anna nella nascita della Vergine, la cesta di vimini in cui è deposto il bambino Gesù nella Natività e un interessante spaccato di vita pastorale nella scena della preghiera di San Gioachino; si osservano dei grossi cani con collari di ferro, la mungitura e lavorazione del latte di capra. Nel 2003, a cento anni esatti dalla prima Incoronazione, sono state rinnovate e impreziosite da pietre di valore e elementi in oro le Corone, benedette solennemente dal Vescovo di Mondovì, Mons. Luciano Pacomio. Mario Morra
I santI del paRadIso e la vIta dI ognI gIoRno Numerosissimi altri Santi sono raffigurati in fitte schiere, ordinate e compatte, che occupano lo
morra.rivista@ausiliatrice.net
santuario santa maria di castro murato Via Santuario 12040 morozzo CN
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la paRola quI e oRa
In te mi sono compiaciuto È qui e ora che avviene la salvezza, non in qualche lontana dimensione sovrannaturale; è nei gesti e nelle cose quotidiane che abbiamo bisogno di “liberazione”, non in qualche miracolo improvviso. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». (Lc 3,15-16.21-22)
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Certo i due cugini non si possono distinguere per il rapporto che instaurano con i poteri costituiti. Giovanni si farà tagliare la testa da quell’Erode il cui antenato aveva ordinato la strage degli innocenti per vedere di liberarsi di Gesù; e Gesù stesso finirà in croce grazie all’azione congiunta dei Romani e dei capi giudaici. La “libertà di parola” che Giovanni e Gesù rivendicano fino alla morte è il valore che li fa riconoscere anche di fronte alle attese del popolo. L’attesa è nel tempo, non nell’eternità. È qui che avviene la salvezza, non in qualche lontana dimensione sovrannaturale; è nei gesti e nelle cose quotidiane che abbiamo bisogno di
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Accattoli Luigi CERCO FATTI DI VANGELO 3 135 nuove storie italiane dei nostri giorni
“liberazione”, non in qualche miracolo improvviso. Giovanni e Gesù sono uomini; i segni che distribuiscono e praticano – l’acqua, la preghiera – sono alla nostra portata. Quel che si chiede a noi è il rinnovamento del cuore: e non sempre qui siamo in grado di fare la nostra parte. Per questo anche l’attesa fa parte del mistero: la venuta di Giovanni e poi di Gesù è “provocata” dalle aspettative del popolo, dal bisogno di “liberazione” che attraversa Israele. Profeti ce ne sono sempre stati, infatti: ma non a tutti il Signore ha dato il mandato di annunciare la salvezza e la liberazione dai peccati. Giovanni appare quando il popolo è pronto; e Gesù viene «nella pienezza dei tempi». Quando oggi ci diciamo che non aspettiamo più niente, quando ci lasciamo accusare di vivere “appiattiti sul presente”, non stiamo forse dicendo proprio questo, che non vogliamo più cambiare, che vogliamo solo aspettare la morte divertendoci quanto più è possibile con la nostra “civiltà”? Come i civilissimi Ateniesi andiamo in piazza a sentire le novità: ma quando arriva un Ebreo ad annunciare la risurrezione dalla morte, il miracolo dei miracoli, gli ridiamo in faccia, e gli diciamo di tornare un altro giorno. Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it
Edizioni EDB Pagine: 240 Collana: Itinerari Formato: 140x210x18 Confezione: Brossura Prezzo: Euro 16,00
Negozio ricordi religiosi Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 TORINO Tel. 011.52.24.244 - Fax 011.52.24.225 E-mail: negozio.basilica@ausiliatrice.net
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Scuola Grafica
SaleSiana Oratorio Salesiano San francesco di Sales
scuola gRafIca salesIana Via Maria Ausiliatrice, 36 - 10152 TORINO Tel. 011.52.24.373 - Fax 011.52.24.694 E-mail: essegiesse@valdocco.it
sfIde educatIve
la stoRIa dI un'adolescente Vancouver è una città costiera della provincia canadese della British Columbia, sull’Oceano Pacifico. La sua operosità assicura ai cittadini un diffuso benessere. Tra le scintillanti pieghe di una società opulenta si è consumata la breve esistenza di una quindicenne, balzata alla ribalta della cronaca in seguito al suo “scandaloso” suicidio. Tutto comincia quando Amanda ha 12 anni. Una volta era l’età della spensieratezza. Ora non più. La modernità ha accorciato i tempi dell’adolescenza. Così, per
lei, a quell’età, la vita sa già di noia, di solitudine, di mancanza di senso. Frequenta la chiesa, ma non vi trova motivazioni fondanti od esempi significativi. Tutto sa di routine, di freddo tradizionalismo. Nessuno riesce a spiegarle dove sia la verità, dove trovare la speranza, o come lenire l’inquietudine che non le dà tregua. Constatato che le istituzioni deputate all’educazione dei ragazzi (famiglia, scuola, chiesa...) sono poco significative e la deludono nelle aspettative più profonde, la ragazzina “sbarca” nel mondo di Facebook.
La drammatica avventura
di Amanda Todd
Il caso di Amanda è paradigmatico della fragilità e del cinismo spietato che caratterizzano il vivere di molti adolescenti moderni.
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Il mondo doRato deI socIalnetwoRk Presa dall’entusiasmo, dà amicizia a coloro che la richiedono. Tutti sono simpatici, amici e solidali. Pian piano l’anonimato della relazione virtuale l’affascina e la irretisce. Un amico, molto più grande di lei, la convince ad inviargli una sua foto che la ritrae a seno nudo. Lei, dodicenne, non sa opporsi alla viscida richiesta. Anzi, la riempie di un tacito orgoglio che il suo corpo ancora acerbo susciti l’interesse di un adulto. Dopo quasi un anno dall’invio della foto compromettente, Amanda si rende conto che l’atteggiamento dei compagni di classe e dei professori, nei suoi riguardi, cambia quasi all’improvviso. Così scopre che la storia della sua foto “osé” è diventata di dominio pubblico. Tutti l’hanno ricevuta sui propri computer. Ormai è lo zimbello della scuola. I compagni la irridono, i professori la fulminano con occhiatacce, i genitori la additano come poco di buono. Soltanto un coetaneo le confessa di essersi innamorato di lei. Sembra un’ancora di salvezza. Ma non è così. Il ragazzino “approfitta” di lei, le tende una trappola e la “sputtana” davanti a tutti. Perde definitivamente la faccia. Cade in una profonda depressione. È ricoverata in una clinica dove tenta il suicidio, fallito grazie al pronto intervento dei medici. La vita è salva, ma la disperazione le raggela il cuore. Non riesce a staccarsi da Facebook, così gli “amici” continuano a perseguitarla. Ormai è diventata una bella quindicenne, il mondo di internet le scatena contro un’ondata di crudeltà inqualificabile. Agli immancabili insulti si aggiungono perfidi consigli su quali strumenti usare per mettere fine, in modo certo e sicuro, all’esistenza. Amanda segue i suggerimenti. A quindici anni, dà l’addio definitivo alla sua esistenza. La notizia si propaga subito, in un’ondata di gelatinoso moralismo.
facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita
un moRalIsmo InutIle ed IpocRIta I mass media chiamano in causa la famiglia, la scuola, i compagni, i social network. La famiglia risulta essere assente, distratta e lontana. La scuola si arrocca in un’ipocrita autodifesa: la responsabilità di quanto accaduto è solo dell’ingenuità e della irresponsabilità di Amanda e non dei professori, professionali nell’insegnare. I compagni sono tutti bravi ragazzi, provenienti da ottime famiglie: un po’ esuberanti, ma fondamentalmente buoni e studiosi. Tutti ne escono giustificati. Nessuno si sente responsabile. Per fortuna, entra in gioco un gruppo di cattivi ragazzi, che di professione fanno gli hacker, famosi sotto lo pseudonimo di Anonymous. Questi bad boys, profondamente colpiti dalla drammatica storia di Amanda, con le loro competenze tecniche si mettono sulle tracce dell’ignoto individuo che ne aveva carpito la fiducia e poi l’ha data in pasto al famelico popolo del web. Riescono nell’intento e ne divulgano l’identità permettendo così alla polizia canadese di acciuffarlo e denunciarlo. Quali reazioni, questa triste storia, produce in noi chiamati da Don Bosco ad educare i giovani? Probabilmente tra di noi ci sono decine di adolescenti che corrono gli stessi rischi della giovane ragazza canadese. Attivare la politica dello struzzo dell’“occhio che non vede, cuore non duole” non è decisamente salesiano. Ma di concreto che cosa siamo disposti a fare? È un interrogativo al quale nessun appartenente alla grande Famiglia Salesiana può sottrarsi a cuor leggero. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
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chIesa vIva
quando non sai più a che Santo votarti I cristiani sanno distinguere la differenza tra fede e superstizione, soprattutto nei momenti di sofferenza, quando la vita pare trasformarsi in un deserto arido e senz’acqua.
Ci sono giorni in cui – in sincronia perfetta con lo squillo della sveglia – problemi cominciano a sommarsi a problemi. A volte si tratta di imprevisti di poco conto, bazzecole che si risolvono in un attimo; a volte di drammi che provocano sgomento, irritazione e sofferenza e rischiano di trasformare la vita in un deserto arido e senz’acqua. Stress, rabbia e paura innescano poco a poco una miscela esplosiva: il cuore sembra sul punto di scoppiare mentre la mente passa in rassegna il calendario alla ricerca di un santo cui affidare l’ennesima “missione impossibile” per non soccombere.
la fede non è una foRmula magIca Numerose ricerche realizzate da équipe di psicologi sembrano dimostrare che la fede è una delle “medicine” migliori per affrontare stress, rabbia e paure provocate dalle piccole e grandi
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avversità che punteggiano ogni vita. La fede – però – non è una formula magica, un “abbracadabra” che neutralizza i guai colorando di tinte pastello la realtà. I cristiani sono molto attenti a separare fede e superstizione. E sanno che la superstizione è parente stretta della magia, una «scorciatoia» illusoria che fa credere alle persone di poter dominare e tenere sotto controllo entità astratte e difficili da imbrigliare come la fortuna, la sorte, il gioco o l’amore. I rituali superstiziosi presentano caratteristiche comuni che nulla hanno a che fare con la fede: pratiche strane e per lo più segrete e la garanzia – del tutto teorica – che siano efficaci. Chi, per esempio, smarrisce le chiavi di casa e si rivolge a Sant’Antonio perché la vicina di casa gli ha “rivelato” che è il Santo che aiuta a ritrovare le cose perdute, confonde fede e superstizione se pensa di “costringere” Sant’Antonio a fargli rintracciare le chiavi pronunciando determinate invocazioni o recitando sequenze di preghiere. Capita, a volte, che nel rapporto con Dio i cristiani siano tentati di percorrere la strada della superstizione: è uno dei motivi per cui a volte sembrano frustrati e si lamentano del fatto che Dio non li ascolta. Ma Dio non si sottomette alla superstizione e alla magia e, nella Bibbia, le condanna senza appello.
I santI, IRRInuncIabIlI compagnI dI vIaggIo Una fede pura, limpida e libera dalle “incrostazioni” della superstizione è per i cristiani un gancio in mezzo al cielo e un sostegno irrinunciabile, soprattutto quando si trovano a
fare i conti con problemi o emozioni negative. Sapere che c’è un Dio – onnipotente e buono – che li ama e che vigila su di loro, li aiuta a non cedere alla disperazione e a trovare la pace anche quando fatiche, difficoltà e risparmi che sembrano non bastare mai ne minacciano da vicino la serenità. I cristiani scommettono la propria vita sul fatto che Dio ha garantito che nulla che sia “veramente male” potrà mai accadere a chi crede in Lui. E “veramente male”, per i cristiani, non è perdere la borsa o la vita – dal momento che le cose passano e che, prima o poi, tutti si muore – ma perdere Dio. Per incoraggiarli a non dubitare della promessa di Dio, la Chiesa propone loro l’esempio dei Santi: Sant’Antonio, Santa Rita, San Giovanni Bosco, San Pio da Pietrelcina sono testimonial al di sopra di ogni sospetto del fatto che Dio mantiene la parola data. Leggendo le loro biografie e immedesimandosi nelle mille difficoltà che hanno dovuto superare è impossibile non rendersi conto di quanta importanza abbia avuto, nella loro vita, la promessa di Dio. Il loro esempio è come una voce amica che accompagna e rincuora, che dice a tutti e a ciascuno: «Coraggio, non disperare! Dio è padre buono: guarda che cosa ha fatto per me, quante volte è venuto a salvarmi, quanto mi ha aiutato...». Intermediari tra Dio e l’umanità, esortano i cristiani ad aver fiducia in loro che hanno avuto fiducia nella promessa di Dio.
maRIa, medIatRIce e madRe Ancor più dei Santi, Maria è per i cristiani testimonial autorevole delle
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promesse di Dio. La sua intera vita, tutto ciò che ha vissuto, gioito e patito testimonia una fiducia incondizionata nell’amore e nella provvidenza di Dio. Oltre che essere madre di Dio, Maria è anche madre dei cristiani. E il suo essere «piena di grazia» è l’attributo più elevato della sua maternità. La mamma, nella vita di ciascuno, è una figura di riferimento importantissima, non solo nel periodo dell’infanzia ma per la vita intera. Diversi studi sulla vita di coppia dimostrano che il rapporto tra marito e moglie o tra fidanzato e fidanzata riproduce il tipo di attaccamento nei confronti della mamma. Quando lo riproduce in modo sano, la coppia sta bene; quando lo riproduce in modo non equilibrato la coppia magari non si separa, ma sta male. Maria, con il suo essere testimone e madre, invita i cristiani a fidarsi di lei, ad accettare come dono prezioso il consiglio di non confidare in altri che in Dio e a non respingere il suo incoraggiamento ad affidarsi sempre più a Lui. Ezio Risatti Preside della SSF Rebaudengo e psicoterapeuta redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Papa benedetto:
il «no cristiano» alla violenza
Di fronte alla violenza che oggi dilaga, il Papa nella sua visita al Libano ha suggerito il comportamento corretto dei cristiani, indicando alcuni verbi da coniugare. Compito dei capi di stato e movimenti religiosi, ma anche di genitori e educatori e di tutti.
Era accaduto al Cairo, il 16 ottobre 2011 (è solo un caso fra i tanti). In una scuola statale frequentata da ragazzi musulmani e qualche cristiano copto, c’è Ayman Nabil Labib, sedici anni, che è cristiano e ha una croce tatuata sul polso. Il professore gli dice di coprirla, lui si rifiuta. Il professore lo afferra per la gola e quasi lo soffoca. Alcuni studenti si uniscono a lui nel pestaggio, e tutti insieme lo ammazzano di botte. Dell’intolleranza legata al fondamentalismo religioso Papa Benedetto XVI in Libano ha detto: «Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione. Va contro l’essenza della religione, che vuole riconciliare e creare la pace di Dio nel mondo» (...) «La libertà religiosa è diritto fondamentale. Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà, dev’essere possibile a chiunque».
la vIolenza esIste, dIlaga Il martirio del giovane Ayman si perde nella quotidianità delle infinite violenze che accadono dappertutto. La violenza esiste,
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dilaga. È esercitata con la forza fisica, e non meno in guanti gialli. Per esempio... Da sempre i popoli sono contro i popoli, in guerre fratricide. Un racconto biblico su Davide cominciava dicendo: «All’inizio dell’anno, successivo al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra...» (2Sam 11,1). Fare la guerra era una regolare attività di stagione, come andare in ferie. Certe ideologie: marxismo e liberalismo economico ritengono lo stato e il capitale al di sopra della persona, e sfruttano l’uomo. I ceti sociali si scontrano e si sopraffanno (in Italia e un po’ dovunque la cosiddetta casta della finanza si arricchisce a spese dei poveri). C’è il mobbing sul lavoro. C’è violenza contro le donne, violenza nelle famiglie, perfino tra i ragazzi (il bullismo). E via elencando... Il Papa nel viaggio in Libano (14-16 settembre 2012) è stato esplicito: «La violenza non risolve mai un problema» (...) «Essa è sempre un oltraggio alla dignità umana, sia dell’autore della violenza, sia della vittima».
veRbI da conIugaRe Come dire il «no cristiano» alla violenza? Il Papa in una decina fra discorsi, omelie, interviste tenute in Libano, ha suggerito i verbi che i cristiani dovrebbero coniugare. Verbi proposti tanto alle autorità che governano il mondo, quanto all’uomo della strada che litiga in ufficio, con i vicini di casa e in famiglia. Eccoli. Operare per il disarmo. È evidente: «Purtroppo, il fragore delle armi – ha detto il Papa – continua a farsi sentire, come pure il grido delle vedove e degli orfani! La violenza e l’odio invadono la vita, e le donne e i bambini
ne sono le prime vittime. Perché tanti orrori? Perché tanti morti?». «Deve cessare l’importazione di armi: senza l’importazione di armi la guerra non potrebbe continuare. Invece di importare le armi, che è un peccato grave, dovremmo importare idee di pace, creatività...». Accettare le differenze. «Oggi, le differenze culturali, sociali, religiose, devono approdare a vivere un nuovo tipo di fraternità, dove ciò che unisce è il senso comune della grandezza di ogni persona, e il dono che essa è per se stessa, per gli altri e per l’umanità» (...) «In Libano la Cristianità e l’Islam abitano lo stesso spazio da secoli. Non è raro vedere nella stessa famiglia entrambe le religioni. Se in una stessa famiglia questo è possibile, perché non dovrebbe esserlo a livello dell’intera società?». Dialogare. «Una società plurale esiste solo per effetto del rispetto reciproco, del desiderio di conoscere l’altro e del dialogo continuo» (...) «È bello vedere le azioni di collaborazione e di vero dialogo che costruiscono una nuova maniera di vivere insieme» (...) «Questo dialogo tra gli uomini è possibile solo nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella natura della persona umana». Educare alla pace. «Volendo aprire alle generazioni di domani un futuro di pace, il primo compito è quello di educare alla pace per costruire una cultura di pace. L’educazione, nella famiglia e a scuola, dev’essere anzitutto educazione ai valori spirituali». Valorizzare la persona umana. «La logica economica e finanziaria vuole continuamente imporci il suo giogo e far primeggiare l’avere sull’essere. La disoccupazione, la po-
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vertà, la corruzione, lo sfruttamento, i traffici di ogni sorta, e il terrorismo, implicano – assieme alla sofferenza inaccettabile di quanti ne sono vittime – un indebolimento del potenziale umano» (...) «Noi dobbiamo rispettare nell’altro la reale essenza comune di essere immagine di Dio, e trattare l’altro come un’immagine di Dio». Perdonare. «...e infine di perdonare. Perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti».
Il cedRo, un sImbolo Il cedro del Libano, pianta solida, tenace, capace di fronteggiare ogni sorta di intemperie, è raffigurato nella bandiera nazionale. Il Presidente del Libano ha invitato il Papa a piantare un cedro nella sua residenza. Nel compiere il gesto, Benedetto XVI ha indicato il cedro come simbolo e modello. E ha aggiunto: «Il Libano è chiamato, ora più che mai, a essere un esempio. Politici, diplomatici, religiosi, uomini e donne del mondo della cultura, vi invito a testimoniare con coraggio intorno a voi, a tempo opportuno e inopportuno, che Dio vuole la pace, che Dio ci affida la pace». Enzo Bianco bianco.rivista@ausiliatrice.net
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dìmmi come preghi «A Messa mi annoio: non riesco a pregare...». «Non ho voglia di imparare a memoria le preghiere del libro di catechismo». «Quando prego penso ad altro: come si fa a pregare bene?». «Prego soltanto quando ho bisogno di aiuto». «Dio si arrabbia di più se non preghiamo o se preghiamo male?». Ecco alcune domande significative del mio gruppo di catechismo. All’ultima, onestamente, non saprei rispondere se Monica non mi fornisse un appiglio: «Scusa, ma tu ti arrabbi di più se i tuoi alunni non fanno i compiti o se li fanno male?». «Certamente se NON fanno i compiti, perché sull’errore si può intervenire, mentre sul NULLA non si costruisce». «Forse allora il buon Dio ragiona anche così»... Credo proprio di sì, credo che preferisca un contatto un po’ distratto, superficiale, interessato, alla mancanza assoluta di contatto. Quando gli rivolgiamo una preghiera fredda o interessata non ci comportiamo da figli riconoscenti, ma forse, Lui che è un Padre SUPER sa comunque apprezzare il tentativo di connetterci, anche se la connessione risulta lenta e difettosa. Attenzione però a non rifugiarci dietro queste attenuanti e a non generalizzare. La preghiera deve essere un sincero desiderio di parlare con Lui, non una specie di rimedio superstizioso ai nostri guai! «Ma come si fa? Lui è così lontano» sbotta Gian Luca. «Non così tanto: Devi cercarlo nell’interno del tuo cuore; chiudendo gli occhi per non vedere e sentire altro; concentrandoti come quando ti rivolgi ad un amico. Ecco, per pregare bene occorre parlare intensamente con una Persona che ascolta; parlare anche con formule imparate a memoria o con parole che nascono dal cuore, raccontandoci, ringraziando, chiedendo perdono». Nel corso della settimana proviamo a fare un semplice esercizio: ripetere più volte nella giornata le espressioni Ave Maria e Padre nostro pensando intensamente al significato di quello che dicia-
mo: al valore del saluto angelico, al senso della parola Padre, con la carica di affetto e di emozione sottintese, e ancora, al numero di persone cui si riferisce l’aggettivo nostro. «Soltanto questo? È facile!» esclama Valentina. «Non come sembra, se meditiamo davvero!». Entriamo in Chiesa in silenzio, per iniziare l’esercizio. Sostiamo davanti all’altare, ad occhi chiusi. «Signore, se ho fatto qualche pasticcio, rimedia Tu! E aiutami ad amarli con il tuo cuore». Riapriamo gli occhi, sorridendo. Oggi abbiamo pregato davvero. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
«Non riesco a pregare... quando prego penso ad altro... E poi, come si fa a pregare dio, che è così lontano?».
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segnI e valoRI
fotografie di Renzo bussio
www.elenapianta.it
La voglia di scoprire come nasce un fumetto e quali valori esso possa veicolare ci porta ad Asti. Ad accoglierci nel suo colorato spazio vitale e creativo è la giovane illustratrice e fumettista Elena Pianta. Dietro al tratto di Nathan Never, di don Camillo e di molti altri personaggi di fantascienza c’è la sua mano. Mancina, due occhi attraverso i quali traspare gioia di vivere, Elena è un fiume in piena mentre racconta le avventure dei suoi personaggi. Benvenuti nel suo studio, entrate pure, qui anche le pareti raccontano storie...
A scuola di fumetto con elena pianta 29
sulla pIanta Classe 1973, Elena Pianta è nata ad Asti dove vive e lavora. dopo l’istituto magistrale e il diploma allo Ied di Torino ha iniziato l’attività di fumettista e illustratrice come libera professionista. Tra i suoi committenti spiccano: Sergio bonelli editore (Nathan Never), gregory Hunter, Agenzia Alfa, Asteroide Argo, Renoir (don Camillo), giorgio mondadori (Clarissa), Elledici (I libri del fare), Walt disney (Kylion e High School musical) la lista è ancora lunga. Inoltre ha lavorato per la pubblicità e ha fatto l’insegnante alla Scuola Internazionale di Comics di Torino e alla Scuola del fumetto di Asti. Nel 2002 ha vinto il Premio Coccobill come miglior Promessa del fumetto Italiano.
Immagino che dio sia un grande umorista.
Mettersi in gioco, passare sotto la lente della critica e quindi degli addetti ai lavori, senza paura. Potrebbe sintetizzarsi così il tuo messaggio?
Come e quando nasce in te l’amore per il disegno e come è avvenuto il passaggio dalla passione alla professione?
«In questo ambiente professionale, nessuno ha interesse a lasciarti perdere, se tu hai qualcosa da dire... Se il tuo lavoro funziona, un riscontro c’è. Sempre».
«La mia passione nasce presto: già da piccola amavo disegnare... Così dopo le scuole magistrali mi sono messa subito in gioco e ho spedito alcuni miei disegni per una storia a fumetti, partecipando a un concorso a Prato. Sono stata selezionata. È stato il primo segno in grado di darmi coraggio per quella che è poi diventata la mia attività professionale».
Un approccio stimolante e vincente nel tuo caso. Tu ti definisci creativa? «Il mio apporto creativo riguarda l’immagine, nel racconto ci sono poche possibilità di interagire solitamente; personalmente ho avuto spesso la fortuna di lavorare con professionisti che hanno preso in considerazione le mie idee ma nella mia attività specifica di illustratrice e fumettista, la sceneggiatura resta una parte del lavoro che viene portata avanti da altri».
Anche se giovanissima non hai mai avuto timore di essere giudicata e magari ricevere un riscontro negativo, cosa consiglieresti ad un giovane dotato di qualità oggi?
Esistono suggestioni o ricordi della tua infanzia, magari legati alla natura, che ti porti dietro anche nella fase creativa?
«A un giovane che abbia una passione credo convenga assecondarla ma soprattutto mettersi in gioco, provare, e non limitarsi a essere i “più bravi della classe”. Se vuoi fare di una passione molto di più devi essere al di sopra della media e, sebbene possa inizialmente risultare antipatico, conviene confrontarsi con un pubblico molto esigente: il mercato per esempio».
«La mia infanzia è stata ricca di suggestioni: dalla natura ai colori, sperimentati da momenti semplici come osservare le foglie, i fiori. Come sensazioni ricordo la gioia di giocare, leggere, insomma la dimensione allegra del tempo libero. Non sono
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don bosco un albero rigoglioso Nel libro della Genesi troviamo un bel dialogo tra Dio ed il suo amico Abramo, prima di concludere la loro alleanza: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle; e soggiunse: tale sarà la tua discendenza. Egli credette al Signore» (Gen 15,5-6). Fatte le debite proporzioni, naturalmente, possiamo applicare queste parole anche a Don Bosco. Anche lui fu un grande amico di Dio, un vero uomo di Dio, anche lui si fidò e credette. E Dio l’ha ricompensato con una grande discendenza, che è quella comunemente chiamata la Famiglia Salesiana. Una grande famiglia, complessa, variegata, multi nazionale, multi carismatica, multi funzionale spiritualmente e socialmente, presente in più di 135 nazioni del mondo. Con un unico obiettivo: lavorare per il Regno di Dio, e in particolare per quella porzione così delicata e importante che è la gioventù di ogni paese, avendo sempre come stella polare la santità ed il carisma di Don Bosco, sancito dalla Chiesa prima con la sua canonizzazione (1934) e in seguito anche con il titolo qualificante di “Padre e Maestro della Gioventù” (1988). La fecondità del carisma di Don Bosco è infatti impressionante, in termini proprio di ordini o famiglie religiose che si ispirano a lui (sono ben 30!). Anche lui è come gli altri grandi fondatori di famiglie religiose. Ha detto il Card. I. Schuster (benedettino e Beato): «Per rintracciare un’altra figura delle stesse proporzioni di Don Bosco occorre andare indietro secoli nella storia della Chiesa». È quindi tra i grandi con Benedetto, Francesco, Domenico, Ignazio. Il IX Successore di Don Bosco, don Pascual Chávez Villanueva, proprio nella “Carta d’Identità della Famiglia Salesiana” afferma: «Per la sua statura di “grande uomo carismatico” e di santo, Don Bosco si colloca con originalità tra i Fondatori di Istituti di vita consacrata, religiosi e secolari e di Associa-
zioni laicali apostoliche nella Chiesa. Con stupore e riconoscenza, il seme iniziale è cresciuto fino a diventare un albero rigoglioso» (art. 2). Un albero che cresce forte e robusto nel campo della Chiesa al servizio dell’umanità, che dà ombra e conforto, istruzione e formazione, coraggio e speranza, presente e futuro a migliaia di giovani... di oggi. Come Don Bosco ha fatto con i ragazzi della Torino di allora con tutti i problemi sociali e giovanili presenti. Ancora don Pascual: «La Famiglia Salesiana di Don Bosco è una comunità carismatica e spirituale formata da diversi Gruppi istituiti e riconosciuti ufficialmente, legati da rapporti di parentela spirituale e di affiliazione apostolica» (art. 4). Ci auguriamo che cresca sempre di più al servizio dei giovani del mondo. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net
La famiglia apostolica di don bosco è prima di tutto e soprattutto una famiglia carismatica, vale a dire un dono dello Spirito alla Chiesa in vista d’una missione.
Suore ancelle
Associazione
Regalità di Maria Immacolata
Congregazione delle Suore della Resurrezione
Suore di Gesù Adolescente
Suore di San Michele Arcangelo
Suore Annunciatrici del Signore
"Canção Nova
Comunità della Missione di Don Bosco
Testimoni del Risorto
Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice
Congregazione di San Michele Arcangelo
Volontari Con Don Bosco
Discepole Istituto Seculare Don Bosco
Suore di Maria Auxiliatrix
della Regalità di Maria Immacolata
Suore della Visitazione di Don Bosco
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Volontarie di Don Bosco
Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice
Bosco
Associazione Salesiani Cooperatori
Exallievi-e dEi salesiani
Salesiane oblate del Sacro Cuore di Gesù
Figlie dei Sacri Cuori Di Gesù e di Maria
Figlie del Divin Salvatore
Damas Salesianas Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani
Salesiani di Don Bosco
Associazione di Maria Ausliatrice
Exallieve-i delle salesiane
Apostole della Sacra Famiglia
del Cuore Immacolato di Maria Suore della Carità di Gesù
Poster n.1-2013 Padre e Maestro della gioventù, San Giovanni Bosco, docile ai doni dello Spirito e aperto alle realtà del tuo tempo sei stato per i giovani, soprattutto per i piccoli e i poveri, segno dell’amore e della predilezione di Dio. Sii nostra guida nel cammino di amicizia con il Signore Gesù, in modo che scopriamo in Lui e nel suo Vangelo il senso della nostra vita e la fonte della vera felicità. Aiutaci a rispondere con generosità alla vocazione che abbiamo ricevuto da Dio, per essere nella vita quotidiana costruttori di comunione, e collaborare con entusiasmo, in comunione con tutta la Chiesa, all’edificazione della civiltà dell’amore. Ottienici la grazia della perseveranza nel vivere una misura alta di vita cristiana, secondo lo spirito delle Beatitudini; e fa’ che, guidati da Maria Ausiliatrice, possiamo trovarci un giorno con te nella grande famiglia del cielo. Amen. Pascual Chávez Villanueva
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cose scontate. Se penso all’infanzia, penso a un mondo pieno di colori e positività...». Quali sono i valori che riesci a far passare attraverso i tuoi disegni?
Non mi sono mai tirata indietro e mi sono sempre proposta sul mercato. tato di rifiutare dei lavori. Ad esempio il mercato erotico non è il genere per cui voglio impiegare il mio tempo, e lo dico senza voler giudicare. Una testata per cui ho lavorato, aveva intrapreso una linea editoriale in aperto contrasto con i miei valori, e ho chiuso la collaborazione. Chiaro che ci sono compromessi perché l’aderenza perfetta non esiste ma su certi aspetti sono categorica, nella mia visione delle cose esiste qualcos’altro. Dietro ciò che vediamo disegnato ci sono molti aspetti che possono passare inosservati ad un’occhiata veloce, ma che alla fine portano a un elemento di verità».
«Visto che questo mestiere nasce da una passione, per me è sempre stato piuttosto spontaneo desiderare una maggior aderenza possibile tra quello che mi “muove”, quello in cui credo e il mio lavoro». Come è cambiato negli anni il mondo dei comics nei suoi messaggi, contenuti e nei suoi doppi sensi? «Nel mercato di oggi ci sono molte novità rispetto a vent’anni fa. Un tempo il fumetto era principalmente didascalico, anche eccessivamente direi. In questo c’era anche un aspetto di limite che oggi non c’è più in molti casi. Ma quello che secondo me oggi manca più di tutto è l’aspetto ludico: quel divertimento, sicuro, dove puoi incamminarti e proporre un’avventura o produrre l’immedesimazione ad un pubblico giovane – si tratta di una mia considerazione personale che non è condivisa nell’ambiente – a me piacerebbe scrivere avventure per un pubblico giovane in cui non si debbano temere doppi sensi sessuali, violenti oppure un suggerimento di contenuti ambigui anche dal punto di vista “buono e cattivo” intesi come ruoli e volutamente non sempre chiari e distinti. Anche l’aspetto critico non viene sfruttato pienamente: esiste la missione didattica ma esiste anche un suggerimento più realistico e meno stereotipato in cui la realtà si può leggere e mettere in discussione attraverso il disegno, invece tante volte noi riproponiamo all’infinito quello che è il messaggio commerciale».
Come hai fatto ad arrivare a collaborazioni importanti come Bonelli, Disney... «Non mi sono mai tirata indietro: “Io faccio questo, interessa a qualcuno?”... Questo è sempre stato il mio primo biglietto da visita, fin da giovanissima. Quando ero piccola leggevo qualsiasi tipo di fumetto, compresi Manga e fumetti rosa, un giorno – avrò avuto 13-14 anni – ho preso coraggio e mi sono decisa a inviare alcuni miei disegni alla redazione di un importante giornalino per ragazzi. Mi hanno risposto e invitata a Milano... È stato
Politica, vendette, omicidi, scene di sesso e fatti cruenti possono rappresentare i valori rincorsi da alcune testate, anche nel mondo del disegno che ai più sembra edulcorato. Hai mai rifiutato un lavoro perché non coincidente con le tue idee? «Sì. Certi argomenti non rappresentano i temi per i quali sono disposta a lavorare. Portare avanti dei valori è prima di tutto un problema personale. Per coerenza anche professionale mi è capi-
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pone”? Poi c’è Gesù che è di un’estrema attualità. Immagino che Dio sia un grande umorista, questo aspetto Guareschi lo esprime benissimo, senza bisogno di “prediche” e personalmente mi permette anche di poter approfondire il tema dell’Italia. In altre testate ho sempre ricercato aspetti positivi e stimoli: ad esempio di Les Huivre mi piaceva la parte più divertente e ironica, con Asteroide Argo e Gregory Hunter mi sono divertita molto a immaginare scenari di fantasia; un giorno dovevo rappresentare uno strano pianeta, combinazione ha voluto che quel mattino stessi cucinando dei peperoni e così, tagliandone uno, mi ha colpito la sua forma strana, e l’aspetto della sua sezione con tutti i semini e le sue sfumature è diventata lo spunto per il mio pianeta fantastico. È molto bello inventare senza troppi legami con la realtà. Per quanto riguarda le illustrazioni, mi piace molto scegliere le sfumature e trovare i metodi più adatti per rappresentare la natura». Cosa ascolti quando disegni? «Premetto che sono una pessima consumatrice di musica. Ascolto la radio, qualche disco consigliato dagli amici. Non mi piace il rock ma apprezzo la musica che esprime calore, ad esempio un disco di Norah Jones di cui non ricordo il nome». un importante riscontro iniziale e, insieme ai primi premi e riconoscimenti, mi ha dato il coraggio di proseguire. Ritengo importante mettersi alla prova, anche ricevendo bocciature o critiche, ma è una tappa necessaria. Con Renoir, editore di don Camillo (il quinto libro della serie è appena uscito) avevo visto una produzione e mi sono proposta... Nel caso della Disney invece sono stati loro a contattarmi attraverso altri canali ma in ogni caso, lentamente, il nome comincia inevitabilmente a girare e i contatti arrivano». Dietro a personaggi come Nathan Never e don Camillo, c’è la tua mano. Cosa ti trasmettono i protagonisti delle avventure che escono dalla tua penna?
Secondo te i bambini sono un target al quale il mercato si rivolge senza proposte variegate. Hai progetti nel cassetto in merito? «Uno sì. Ribadisco che mi piacerebbe disegnare storie divertenti per bambini. Il progetto che ho in mente da tempo è un’avventura semplice, niente di più, con sfumature fantastiche e se ci riuscissi, allegre». Emanuele Franzoso redazione.rivista@ausiliatrice.net
E sbirciando dentro il suo studio, siamo certi che il risultato sarà ammirevole.
«Don Camillo è il progetto più recente, in questo lavoro mi piace l’aspetto non didascalico, né pedagogico. Guareschi, essendo un genio, non necessita di presentazioni e il suo don Camillo riesce a rendere in maniera efficace le contraddizioni dell’uomo... Quante volte risulta migliore “Pep-
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padre? nostro?
Sì, con gli interrogativi. Invitati a ripetere durante il giorno le semplici espressioni Padre nostro e Ave Maria per entrare nel clima della preghiera, i bambini hanno dato risposte singolari. La ripetizione del saluto angelico ha fatto sentire un po’ più concreta la presenza di Maria nella loro vita. Ma l’invocazione Padre nostro, con l’invito a riflettere sul senso della paternità, ha disorientato. Chi vive in una famiglia allargata non sa a quale padre fare riferimento: quello naturale o quello acquisito? Con molta circospezione suggerisco qualche risposta. «Il vero papà è quello dal quale ti senti più amato, quello che si interessa di te, della scuola, del gioco, conosce i tuoi amici, intuisce i tuoi problemi». Tagliente e categorico l’intervento di Alessia: «Il vero papà è quello che ogni tanto ti dice NO e non cerca di comprarti con regali e coccole». Le discussioni si accendono oltre il lecito e il problema resta aperto. La riflessione sull’aggettivo “nostro” crea maggiore caos. Nostro...di chi? Delle persone care e vicine, ovviamente, ma non di chi ci è antipatico e ci fa i dispet-
dio è davvero padre? E poi, nostro... di chi? Anche di chi è antipatico o dispettoso? ti. Spiego che il bello del cristianesimo consiste proprio nel condividere gli affetti con i potenziali nemici, che Gesù ci ha ordinato di amare come noi stessi. Leggiamo, sceneggiandola, la parabola del buon samaritano, ma è molto difficile far comprendere che il comportamento dell’uomo di Samaria non è un optional e che non si può pregare con amore il padre di tutti se non si è disposti ad amare tutti come fratelli. Sulla seconda parte del Padre nostro dovremo lavorare molto... Ma il goloso Matteo, appassionato collezionista, ha precorso i tempi, proponendone una sua versione: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Dacci anche la cioccolata e mandami una bella macchinina nuova». Il resto della preghiera va bene così. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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l'avvocato RIsponde
Energia elettrica:
attenti alle offerte commerciali ingannevoli
A partire da questo numero, inizia una rubrica di servizio che speriamo sia di utilità per i nostri lettori. Grazie alla disponibilità di un amico della nostra Rivista, l’avvocato torinese Marco Castellarin, proporremo risposte ad alcune problematiche – anche segnalate dai lettori – che ogni giorno le nostre famiglie si trovano ad affrontare. Innanzitutto – avverte l’avvocato Castellarin – prima di farci convincere a cambiare gestore (perché le offerte sul mercato che ci arrivano attraverso le telefonate dei call center o il passa parola di amici, ci paiono più convenienti) occorre capire bene l’offerta: facciamoci consigliare da qualche amico o parente che conosce la materia. «Dopo la completa liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica entrata in vigore il 1° luglio 2007 in Italia e nel resto dell’UE (Unione Europea), tutti i clienti possono scegliere liberamente il fornitore di energia elettrica – ricorda l’avvocato Castellarin –. Questo provvedimento, se da una parte garantisce all’utente la facoltà di decidere attivamente il servizio, dall’altra lascia spazio a gestori improvvisati ed agguerriti poiché l’attività di vendita è diventata libera e, pertanto, chiunque può operare nel mercato dell’energia elettrica in qualità di venditore». Che fare allora per orientarsi in un sistema di liberalizzazione e salvaguardarsi da offerte vantaggiose solo all’apparenza? «Prima di scegliere una nuova offerta – prosegue l’avvocato – è bene
sapere che con la bolletta dell’energia elettrica si pagano: un prezzo di mercato per l’acquisto dell’energia al quale si aggiungono il costo per consegnare l’energia nelle case e misurare i consumi, gli oneri generali di sistema previsti per legge e le imposte. Poi occorre sapere le nostre necessità e i nostri consumi e confrontarli con le caratteristiche dettagliate delle offerte». Saper leggere le bollette è un altro requisito fondamentale per non farsi abbindolare. La bolletta solitamente consta di tre fogli; quello che interessa il consumatore è per lo più il dettaglio contabile della bolletta. «Per le bollette dell’energia elettrica – prosegue l’avvocato – vi è un’unica tariffa nazionale regolamentata: tuttavia, dopo la liberalizzazione del mercato, molte società hanno iniziato a fare sconti e piani tariffari differenti. Fin qui sembra facile ma come mai il numero dei reclami – stando ai dati delle associazioni dei consumatori – nel 2010-11 è raddoppiato? E quali sono i vantaggi del mercato libero? È bene comprendere che il mercato si divide in due: il primo è il mercato protetto ovvero in “Regime di mag-
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gior tutela”, nel quale le bollette sono aggiornate trimestralmente e sono calcolate in ottemperanza alle tariffe stabilite dall’AEEG (Autorità garante per l’Energia Elettrica e il Gas) mentre nel caso del mercato libero la questione è più complessa. Qui le nuove società – che possono soltanto rivendere l’energia acquistata – stipulano contratti con tariffe all’apparenza più vantaggiose potendo rivenderla autonomamente ma, poiché non hanno accesso diretto ai contatori degli utenti – le cui verifiche sono invece gestite direttamente dalle società distributrici dell’erogazione del servizio – si vedono costrette ad emettere bollette basate su un consumo stimato – e non effettivo – rischiando così poi di comunicare un conguaglio con cifre spropositate. Ma vi è di più: il rischio da parte degli utenti di percepire come veri i falsi consumi stimati riportati nelle bollette – fintantoché non arriva la sorpresa della bolletta di conguaglio “impazzita” – con la conseguenza che le famiglie ritardano ad adottare i provvedimenti e le cautele per risparmiare. «Le tariffe in “Regime di maggior Tute-
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la” – precisa Castellarin – non risentono del prezzo del mercato libero, ma trimestralmente possono cambiare e risentire sia degli aumenti che delle diminuzioni del prezzo dell’energia fissato dall’AEEG. Le tariffe del libero mercato prevedono generalmente un prezzo bloccato per due anni e nella misura in cui il prezzo delle tariffe in “Regime di maggior Tutela” dovesse aumentare trimestralmente, si rivelerebbero in questo caso più vantaggiose per il consumatore.
Qualora si riscontrassero degli errori nella bolletta o dei costi spropositati rispetto al contratto stipulato cosa consiglia di fare? «Prima regola generale: mai aderire ad un contratto se non si è convinti del proprio contenuto e della trasparenza dell’offerta. Se poi si riscontrano irregolarità o cifre da capogiro bisogna inoltrare al più presto un reclamo al gestore mediante raccomandata con ricevuta di ritorno con copia della bolletta, codice identificativo del cliente, fotocopia del documento di identità. Entro 40 giorni il gestore ha l’obbligo di rispondere e se questo non avviene ci si può rivolgere alle associazioni dei consumatori o ad un professionista di fiducia che indicheranno la strada da percorrere per adire l’azione giudiziaria davanti al giudice competente». Infine un piccolo ma concreto consiglio è quello di acqui-
Chi desiderasse porre domande all’avvocato Marco Castellarin del Foro di Torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ ausiliatrice.net specificando nell’oggetto: per L’Avvocato risponde
stare elettrodomestici che ci aiutino a risparmiare. Quando si rompe la vecchia lavatrice o il frigorifero è bene sapere prima di fare acquisti che l’uso di un elettrodomestico di nuova generazione può comportare risparmi economici anche significativi. Il frigorifero è tra gli elettrodomestici che fanno lievitare di più la nostra bolletta anche perché resta acceso 24 ore su 24. «Dunque – conclude l’avvocato – risparmiare sull’acquisto di un elettrodomestico alla lunga non è per nulla conveniente: per risparmiare sulla bolletta è consigliabile orientarsi su apparecchi di classe: A+, A++ e A+++, sigle riportare nell’etichetta energetica ormai già in atto negli ultimi anni in tutta Europa». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
Dopo la completa liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica tutti i clienti possono scegliere il fornitore di energia elettrica.
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Etica e fede, binomio indissolubile! È da poco iniziato l’Anno della fede, un percorso con cui la Chiesa ci invita a meditare sull’essenza del nostro Credo. In questa rubrica svilupperò un percorso di catechesi orientato a scoprire la presenza e la ricerca di Gesù Cristo tramite un colloquio. Mi aiuteranno don Ermis Segatti, teologo e docente universitario di Storia del cristianesimo, e un personaggio che sceglieremo di volta in volta. In questa puntata incontriamo Tiziana Allegra, imprenditrice torinese e mamma. Cominciamo con Tiziana... di che cosa ti occupi nella vita? Tiziana: «Sono un’imprenditrice e mi occupo di pubblica amministrazione, più specificamente della definizione dei sistemi informativi degli enti pubblici e della progettazione di software specifici, nell’ambito della sanità e dei trasporti».
Mestiere delicato e non semplice. Con chi ti relazioni principalmente? Tiziana: «Ovviamente con i referenti degli enti pubblici per cui lavoro, anche se spesso mi capita di interloquire con i politici: non sono simpatizzante di nessun partito o amministratore pubblico, spesso sono critica e in maniera trasversale, manifesto insofferenza per certi tipi di comportamenti. Mi sento di fare il mio dovere di cittadina criticando chi ritengo stia sbagliando, sia di persona che sui social network».
lavoRo e polItIca, quale etIca? Don Ermis, cosa pensi dei nostri politici e pubblici amministratori? Don Ermis: «Non mi pronuncio sul loro operato. Osservo però che i politici di oggi sono costretti maggiormente a comunicare rispetto al passato: la cosa potrà favorire in futuro una maggiore trasparenza sulle loro
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attività e sugli enti che sono chiamati a gestire». Ma i politici sono davvero tutti uguali? Tiziana: «No, non sono tutti uguali, personalmente conosco politici onesti ed etici, per fortuna! Quello che è certo però, è che la corruzione è legata al potere e quindi è trasversale: non ci sono formazioni politiche “immacolate” per definizione!». Don Ermis: «Concordo con questa analisi. Spesso quando una realtà politica crea “cordate” non può prevedere chi si aggancerà a questo o quel gruppo, correndo così il rischio di alterarne gli obiettivi positivi prefissati. Mi spiego meglio con un esempio esterno alla politica. In passato, alcuni parroci avevano una certa rilevanza sociale, dato che erano un’autorità nei loro paesi e le chiese erano sempre piene: bene, in quel tempo non si riusciva a distinguere il cittadino che andava in chiesa per
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fede o solo per appartenenza sociale o mero interesse personale». Tiziana: «Beh, questo parroco sarebbe diventato, utilizzando un termine in voga, un vero e proprio “grande elettore”, magari spostando centinaia di voti! Una caratteristica non strettamente inerente al suo ministero...». Don Ermis: «Ora le cose sono profondamente cambiate. Andare a messa oggi è un atto di coraggio perché non si segue la massa: una volta magari si andava in chiesa seguendo il gregge, la maggioranza. Ora è quasi una sfida al pensiero dominante, al consenso. Bisogna rompere un muro, gli schemi, soprattutto se si è giovani, per seguire percorsi di fede “visibili” e “riconoscibili”. In parole povere, se si sceglie di essere cristiani lo si fa per una profonda convinzione personale, non certo per trarne vantaggio».
testImonIaRe “etIcamente” cRIsto Ma trovare valori cristiani testimoniati coerentemente in politica e fra i politici è davvero così difficile? Una chimera? Tiziana: «Io non mi sento così fortemente legata alla religione ma penso che una persona che lavora in politica debba essere legata ad aspetti etici: secondo me, se un politico agi-
un uomo eticamente scorretto non può dirsi uomo di fede: la correttezza non è un orpello, la fede non può prescindere da questo aspetto. sce secondo etica non è necessario che debba appartenere a un credo religioso. Dovrà essere coerente con i propri princìpi e valori, stop». Don Ermis: «Questo approccio non sempre coerente può accadere anche in ambito religioso: un sacerdote infatti non solo deve annunciare la Parola, ma deve tradurre la fede in “moneta di vita”. Quando si dice che il comportamento etico non è tutto nella fede, posso essere d’accordo, ma certamente è una base di garanzia per far sì che anche il discorso di fede non sia fasullo. Guai se manca l’etica nei nostri comportamenti. Un uomo eticamente scorretto non può dirsi uomo di fede: la correttezza non è un orpello, la fede non può prescindere da questo aspetto». Tiziana, ma tu cerchi Dio... magari a tuo modo? Tiziana: «Non proprio: io non so se sto cercando qualcosa o qualcuno. Io sono “moralista” e “bacchettona” e spesso critico chi ritengo non si comporti bene. Sto cercando, personalmente, di seguire un percorso etico in tutte le fasi del mio lavoro: voglio fare in modo che ciò che fac-
don ermis segatti
cio non sia solo orientato al profitto ma anche al benessere sociale e alla ricerca del bene comune».
I valoRI non sono una zavoRRa Alcuni pensano che vivere con dei valori e seguendo comportamenti etici possa essere una zavorra. Secondo te? Tiziana: «Non penso proprio. È facile pensare che essi possano rappresentare una zavorra, ma se si ha il coraggio di fare autocritica, ciò non rappresenta assolutamente un peso, bensì uno stimolo a fare meglio, seguendo coerentemente la nostra coscienza». Trasmetterai questi valori a tuo figlio? Tiziana: «Lo sto facendo e lo farò ancora, certamente. Sono una mamma affettuosa ma esigente, voglio che mio figlio impari a vivere onestamente e con sani princìpi di riferimento: non è certo facile ma ci sto provando con grande impegno!». Alberto CASTELLARO redazione.rivista@ausiliatrice.net
tiziana allegra
Sacerdote della diocesi di Torino, docente da vari anni di Storia del Cristianesimo e di Teologie Extraeuropee presso la facoltà teologica dell’Italia settentrionale - sezione parallela di Torino. è stato responsabile per la pastorale diocesana della cultura.
48 anni, imprenditrice nel campo dell’information and communication technology (ICT), lavora da anni a stretto contatto con enti pubblici. twitter.com/tizianaallegra www.facebook.com/tiziana.allegra
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espeRIenze
«Ma perché non a me?» Così rispondeva Lina Sorrenti Biora, torinese, morta di tumore lo scorso giugno 2012, a chi le diceva: «Perché proprio a te?».
Una cristiana da me conosciuta quasi casualmente, Lina Sorrenti Biora, torinese, è morta santamente il 13 giugno 2012 a 65 anni. Era colpita da tumore. Riporto qualcosa dei messaggi email scambiati dall’aprile del 2009 al maggio del 2012. La sostanza della nostra corrispondenza è nella ricerca del giusto atteggiamento del cristiano nella malattia. Il primo accenno al male è dell’11 gennaio 2009: «È questa una fase molto speciale della mia vita, che ha aperto nuovi orizzonti e che al momento riesco a vivere, nonostante tutto, come una benedizione». Tre mesi più tardi mi scrive le parole che ritengo centrali della sua vicenda con i medici e con il Signore: «Sto vivendo tutto con serenità, dopo aver superato le varie fasi ed essere arrivata all’accettazione, senza rassegnazione» [12.04.09]. Accettazione senza rassegnazione mi pare un buon motto, lo leggo nello spirito di Paolo, 2 Cor 6, 10: «Afflitti ma sempre lieti». L’8 agosto 2009: «La recidiva della mia malattia è stata per il momento neutralizzata, questo vuol dire che nell’immediato futuro non ci sarà più chemio. E il resto sarà... vita, da vivere con gioia e in rendimento di grazie». Lina fa consistere il rendimento di grazie nell’onorare la vita, nel goderla. Torna presto la chemio e torna la parola “accettazione”: «Sono fiduciosa di poter superare ancora questo passaggio accet-
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tandolo e vivendolo, cercando di trarne insegnamento» [12.11.09]. Con incredibile libertà mi regala libri che parlano di malattie e io la ricambio con la stessa libertà e lei così reagisce: «Che bello e che gioia leggerti! Sto bene, nonostante tutto! Il problema non è ancora risolto ma sono tranquilla. Tanti sono i motivi e le circostanze che mi spronano ad accettare pienamente e a vivere al meglio quanto accade» [14.09.10]. Il male si aggrava. Le chiedo se posso vederla in occasione di una mia puntata a Torino per la Fiera del Libro e lei – gioiosa – organizza il nostro ultimo incontro: «Io purtroppo da due mesi a questa parte non guido più e sono limitata nei miei movimenti. È felice però di fare la tua conoscenza e di accompagnarmi in questo giro, mia figlia Grazia. Quindi veniamo a prenderti in albergo per le 8,15...» [09.05.12]. Rientrato a Roma le ho inviato in ringraziamento questa email: «Lina cara è stato bello incontrarci ancora una volta pur nella tua fatica. Hai rievocato il nostro primo incontro a Torino Spiritualità nel 2005 e come ti eri decisa – con l’aiuto di un’amica – a presentarti e a salutarmi. Un poco ti appoggiavi a Grazia e un poco a me.” Con l’aiuto di tutti vado avanti” dicevi. Ti avevo portato i due libri che nella giornata avrei presentato al Salone. “Ho pensato di trattarti come se tu stessi bene”, ho detto e ti sei fatta una bella risata dicendo “ma sì, anche in queste situazioni è bene ridere un po’ di noi stessi”. Infine il Lingotto dove hai detto: “Lu-
Il testo è un adattamento dell’articolo pubblicato sul quindicinale cattolico Il Regno n° 18-2012, pag. 647, Edizioni dehoniane bologna. Il Regno è un quindicinale di attualità e documentazione, che offre uno sguardo analitico sulla cultura religiosa, la politica, la società e la Chiesa in Italia e nel mondo. igi io non scendo, ti saluto da qui”. E mi spiegavi come avrei dovuto fare al ritorno, con i taxi o con la metropolitana». Rispose festosa al mio messaggio narrativo: «Luigi caro, riassumo il tuo scritto, che mi ha lasciata letteralmente senza fiato e con grande commozione, con le parole: “Ho pensato di trattarti come se tu stessi bene”. Grazie Luigi per questa tua sapiente scelta che ho messo accanto alla tua mano che stringeva la mia, già al momento del canto d’inizio della messa» [15.05.12]. Le scrivo ancora il 21 maggio per dirle che il giorno prima, l’avevamo ricordata a messa, Isa ed io. Risponde il 22 che anche lei a messa ci ha ricordati «rinnovando in me, gli stessi sentimenti di gioia, di partecipazione e di gratitudine al buon Dio». Sono le ultime parole che mi ha donato. Il marito Beppe, i figli Grazia e Gabriele, l’amico p. Amigoni mi hanno narrato altre sue parole, a partire da queste, dette a Grazia in risposta a una sua protesta per le sofferenze della mamma: «Perché proprio a te?» Lina le risponde: «Ma perché non a me?» Come a dire: chi sono io per non condividere le sofferenze di tutti, per non essere degna di patire per il Signore? Infine l’ultima parola, nella difficoltà del respiro, poco prima del trapasso: «Aiutami». Le tenevano la mano e le regolavano l’ossigeno Beppe e Grazia ma la loro impressione è che quella parola avesse altro destinatario. Le aggiustano il cuscino e lei ripete «aiutami»: «Il suo sguardo però, assai provato, era rivolto non a noi che stavamo ai lati del letto, ma un po’ verso l’alto davanti a sé. Il tono della voce era dolce ma fermo allo stesso tempo».
luigi accattoli Luigi Accattoli è giornalista (ha lavorato alla Repubblica e al Corriere della Sera; oggi collabora a varie testate), scrittore e conferenziere. Nato a Recanati (macerata) nel 1943, vive a Roma. Sposato, ha cinque figli e due nipotini.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
luigi.accattoli@gmail.com
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espeRIenze
Per la prima volta in migliaia d’anni, il cuore della vita cittadina si è spostato dalle piazze ai centri commerciali, dai luoghi dell’incontro ai templi del consumo. Una visione spettrale per alcuni, ma per altri una nuova sfida sul senso dell’umano. Un tempo, nemmeno troppo lontano, piazze e parchi erano gli spazi dove scorreva la vita di un paese. Dove le persone si ritrovavano a discutere di sport e politica, filosofia e arte, o dei fatti del vicino. Magari con le mani appesantite dalle buste della spesa. Ma in un mondo in cui tutto è destinato a cambiare, anche le piazze non sono più quelle di una volta. Oggi, la vita sociale ruota attorno a supermercati e gallerie commerciali.
tRa outlet e centRI commeRcIalI Il più grande centro commerciale d’Italia si trova a Roma e copre una superficie espositiva di circa 150.000 mq, con 220 negozi – tra cui i grandi distributori di elettronica, bricolage, mobili componibili – e più di 7.000 posti auto. È solo uno dei templi del popolo dei consumatori. Nel Belpaese i centri di questo tipo sono più di mille, e quasi altrettanti sono gli ipermercati. Altri ne arriveranno, anche se la crisi ha rallentato i progetti in attesa di essere realizzati. E poi ci sono gli outlet, che offrono
I “non luoghi” del benessere un microcosmo di negozi, sconti e scenografie ricostruite ad arte, che riprendono le architetture, le vie e perfino le piazze di un paese vero. In Italia ce ne sono almeno trenta. Nomi diversi, stesso schema: un enorme contenitore in periferia, comodo da raggiungere, dotato di attività (soprattutto abbigliamento e wellness), maxistore, ristorazione, cinema, locali, parking, aperto 24 ore su 24, anche la domenica.
una deRIva... Una macchina studiata per intrattenere il popolo dei consumatori con spettacoli, concerti, eventi e quanto
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di meglio riesce ad offrire l’industria dell’entertainment. Cosa che non riesce più a fare la città, in preda a una lotta di trincea contro la crisi economica e priva dei mezzi di cui dispongono le major del super consumo. La scelta si è rivelata vincente: un numero crescente di famiglie – ma anche di persone sole – tende a trascorrere il tempo libero tra gli scaffali del market o seduto a un tavolo, sempre comunque al chiuso: là, ragazzini e adulti si danno appuntamento per passare il pomeriggio o le giornate di festa. Gli esperti gli hanno dato anche un nome: “non luoghi”, come li ha defi-
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www.incontrinsieme.it
niti fin dalla fine degli anni ’90 l’antropologo francese Marc Augé. Spazi in cui la folla quasi si tocca, ma senza mai incontrarsi davvero. Per il noto sociologo Zygmunt Bauman, si tratta di location costruite per fare circolare la gente ma non per fermarsi a fare due chiacchiere, e comunque non per parlare d’altro che non siano i beni esposti in vetrina.
...o una sfIda?
ri o peggiori, comprando», spiega Giovanni Bagna, fondatore di Incontrinsieme, un movimento partito da Chieri, in provincia di Torino, per parlare di fede nei nuovi contesti urbani, outlet e centri commerciali di un territorio senza confini. Un esempio della loro opera di dialogo è l’evento svoltosi lo scorso 22 settembre a Il Gialdo di Chieri. Titolo: Incontriamolo. «Chi ha detto che lì dentro non si possa pregare? Che Dio non sia presente in quei luoghi? Nell’esperienza di Chieri, molta gente si è fermata e ha chiesto: perché lo fate? Hanno colto la nostra provocazione, la loro sorpresa si è mutata in curiosità e abbiamo iniziato a interagire», osserva Bagna. I centri commerciali diventano così l’occasione per riscoprire una nuova umanità, per riprendere il dialogo da quelle piazze dove s’era interrotto. Non è l’unico caso di iniziative del genere. Con la stessa organizzazione, vengono curati corsi prematrimoniali non più solo in parrocchia ma anche in altri luoghi, sottolineando i vari aspetti della vita insieme: l’accoglienza (convivialità) al ristorante, il secondo appuntamento (la “casa giusta” per la coppia) al mobilificio e così via. «La scenografia urbana aiuta a creare il contesto adatto», dicono da Incontrinsieme. E per parlare del mondo maschile e femmini-
C’è però chi vede questa nuova realtà come una scommessa: «Il loro mestiere è fare commercio, ma non è incompatibile con una dimensione più umana. Non siamo miglio-
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le, ci si affida al parrucchiere: «Impegnati nel farsi sistemare acconciatura, oppure barba e capelli, è più facile discutere anche di temi complicati». È più facile nelle gallerie commerciali che non fra le corsie dei supermercati. Ma dove viene applicato, il “gioco” ha sempre esito positivo: rovescia l’equazione persona = consumatore e stimola la gente a parlarsi, anche a riflettere. Non c’è il rischio di sottrarre clienti alla fabbrica del business? «Durante le iniziative organizzate, pare siano aumentati anche gli incassi dei centri commerciali che ci ospitavano – dice Bagna – certo, il nostro scopo è un altro, ma scopriamo che, realizzandolo, alla fine sono più contenti tutti». Bisogna saper leggere i segni dei tempi: nel lungo termine, non è il “non luogo” a condizionare l’uomo, ma è quest’ultimo a dare un senso ai posti che frequenta. A fare la differenza è la ritrovata consapevolezza della propria identità. Basta accendere il cuore e il cervello, insomma, e ricordarsi che è il sabato “a servizio dell’uomo”. Quando diventa il contrario, forse è il momento di fermarsi e di riflettere, con le borse da shopping appese al chiodo. Luca Mazzardis redazione.rivista@ausiliatrice.net
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dio ha un nome e chiama per nome Ho incontrato un prete tra le aule della mia vecchia facoltà. Un confronto imprevisto su come credere in Dio e nello stesso momento agire da uomo, secondo i costumi e i “miti” del proprio tempo. Ho incontrato un prete tra le aule della mia vecchia Facoltà. Don Luca è un prete vero, con l’abito grigio del sacerdote e il collarino bianco. Tutte quelle certezze che credevo d’aver trovato sugli scaffali della biblioteca, ai tempi degli studi in Lettere e Filosofia, mi fecero venir voglia di confrontarmi con quella novità. Immaginavo che saremmo caduti nella trappola di una lunga e complessa “disputa” teologica, se avessi posto al centro della nostra breve e improvvisata discussione il tema della fede, ma non è andata così.
vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la gioia e la felicità di questo mondo. L’uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l’uomo dio». Parole, queste, che mi fecero pensare, come a molti, di potermi sentire individualista e sicuro di me. Ora, che circolava all’università un volantino, una brochure, dal titolo “Pensare con lode”, era venuto il momento per confrontare il mio “sapere” con chi dalla propria fede ha fatto nascere
“se dIo non esIste...” Quando ancora ero studente ricordo di aver letto con entusiasmo le parole che Dostoevskij ha messo in bocca ad Ivan Karamazov sull’esistenza di Dio e la possibilità di una rinnovata “libertà” umana. Quell’opinione, fatta mia, rendeva brillanti le prese di posizione con gli altri colleghi di università, ma sembrava aver interrotto una naturale ricerca della fede. «Secondo me, non c’è nulla da distruggere, fuorché l’idea di Dio nell’umanità; ecco di dove occorre cominciare! È di qui, di qui che si deve partire, o ciechi, che non capite nulla! Una volta che l’umanità intera abbia rinnegato Dio [...] tutto si rinnoverà. Gli uomini si uniranno per prendere alla
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una nuova pastorale, simboleggiata da un sorriso che unisce una croce e uno studente laureando dalle origini comuni, sullo sfondo la Mole, sotto lo sguardo di un sole azzurro o celeste, un colore “mariano”.
la fede è un dono? Cosa c’entra quella croce con i miei studi, con la voglia di affermarmi nella vita, nel lavoro, nella professione che amo e per la quale sono pronto a dirmi “umanista”, ad esem-
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pio, pur arrivando talvolta ad escludere l’essere umano che mi è accanto al banco o in aula a lezione? Come posso pensare di credere in Dio e allo stesso momento agire da uomo del proprio tempo, secondo i costumi e i “miti” del proprio tempo? «Credere è una responsabilità e credere significa rendersi conto che siamo stati generati, che abbiamo addosso gli occhi di un padre e quel padre vogliamo renderlo orgoglioso, perché quell’orgoglio di padre disumanizza il peccato, nel momento in cui io faccio bene il mio lavoro fino in fondo, ad esempio». Mi torna allora in mente un Salmo, che mi hanno suggerito di recente. «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e
tu, Signore, già la conosci tutta». Che quello sguardo non è giudicante mi aiuta a capirlo meglio un passo da Giovanni (3, 16-21). Resta la mia libertà, quella di illudermi di potermi nascondere a quello sguardo o di rifiutarlo? «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Il cRIstIano non è Isolato Comprendo razionalmente il concetto di paternità “originaria e originante”, ma non basta ancora. «Che tu possa accettarla o rifiutarla, continua ad esserci». Il punto interrogativo torna, quando mi chiedo come io possa credere senza il dono della fede. «Bisogna smetterla di considerare la fede un dono». Mi fido, ma non confido ancora che tutto possa risolversi così. Ed è ancora una domanda, un’altra domanda a cercare di mettere in discussione quella “scelta” che nell’altro sembra semplice, ma richiede la consapevolezza di un amore che è “eccedenza ed è in Cristo” capace di guarire “l’uomo ferito dal peccato originale”. Questa eccedenza si intravede nei Vangeli, dove è “noi” il pronome personale più usato e non il suo corrispettivo singolare. «Quando preghiamo diciamo Padre nostro non a caso: la resurrezione di Gesù spiega con efficacia che un cristiano non può essere isolato, non può pensare di realizzare qualcosa
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da solo. Gesù torna quando i suoi discepoli sono riuniti, solo allora si può manifestare lo Spirito Santo. È stato lui a volerli riuniti di nuovo. Il nostro tempo ci vuole tutti “primi della classe” e soli: questa è la cifra del postmoderno, dove è comoda anche una concezione di Dio come “gommista”, da contattare in caso di foratura. Questo sembra renderci più freddi, più analitici e calcolatori». Attenzione, dunque, meritano le parole dell’Apocalisse, recentemente riprese da Benedetto XVI. «La bestia è il numero e trasforma in numeri. Dio, invece, ha un nome e chiama per nome». È quindi quel nome il segno della nostra individualità, ma è nel non riconoscerci figli di Dio che corriamo il rischio di un individualismo che ci isola e ci rende deboli. Un individualismo che, in assenza di fede o anche di un concetto più laico di fiducia, può condurre ad una visione nichilista dell’esistenza, specie tra i più giovani. Enrico Romanetto redazione.rivista@ausiliatrice.net
espeRIenze
a lourdes
accade ancora
Lo scorso 11 ottobre, il Vescovo di Casale Monferrato ha annunciato che la guarigione della suora salesiana Luigina Traverso, avvenuta nel 1965, «è da attribuirsi esclusivamente ad uno straordinario intervento di Dio, ottenuto grazie all’intercessione della Beata Vergine Maria». d’improvviso cominciò a muoversi. Chiese una benedizione al delegato vescovile. Lui replicò: «Se vuole riceverla, venga a mettersi in ginocchio a pregare». Lei ubbidì.
Dopo quarantasette anni, la Chiesa si è pronunciata. La guarigione inspiegabile della Figlia di Maria Ausiliatrice Luigina Traverso, avvenuta a Lourdes il 23 luglio 1965, fu un miracolo. Arrivò al santuario nascosto tra i Pirenei in barella con la gamba sinistra atrofizzata e una diagnosi che non lasciava speranze: lombosciatica paralizzante in meningocele; tornò a casa camminando. Il vescovo di Casale Monferrato Alceste Catella ha atteso lo scorso 11 ottobre, apertura dell’Anno della fede e cinquantesimo del Concilio Vaticano II, per dare l’annuncio pubblico: «È da attribuirsi esclusivamente ad uno straordinario intervento di Dio ottenuto grazie all’intercessione della Beata Vergine Maria». Analogo annuncio è stato dato da monsignor Martino Canessa, vescovo di Tortona, la diocesi d’origine della miracolata. È infatti di Novi Ligure la settantottenne suora salesiana da quasi quarant’anni economa alla casa di riposo per religiose “San Giuseppe” a San Salvatore Monferrato.
eRo In baRella. mI mIsI In gInocchIo «Da tempo non riuscivo più a camminare – racconta oggi suor Luigina, sessantottesima miracolata di Lourdes –. Così, nel lu-
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Il “bureau medical” raccoglie la documentazione medica delle guarigioni che avvengono nel santuario. Conserva i dossier di circa 7000 casi “inspiegabili”.
Il settImo mIRacolo a pellegRInI ItalIanI
glio 1965, a 31 anni, decisi di partecipare a un pellegrinaggio con l’Oftal di Tortona. Ero in barella. Il giorno del miracolo, durante la processione eucaristica sull’”esplanade”, al passaggio del Santissimo, sentii un forte calore entrarmi in corpo e il desiderio di “mettermi in piedi”». Una cosa che non mi era mai successa: lì per lì mi sono detta: “Cosa mi capita? Guarirò mica? Il Signore ha davvero ascoltato le mie preghiere?”. Ho iniziato a muovere il piede, il dolore era scomparso. Chiesi subito alla volontaria che mi accompagnava di andare al “Bureau medical” per le pratiche del caso: bisognava dimostrare che la paresi alla mia gamba non era dovuta a un fatto neurologico ma a un nervo schiacciato». Riportata nella propria camera d’albergo alla presenza del medico responsabile del pellegrinaggio Danilo Cebrelli e del delegato vescovile monsignor Lorenzo Ferrarazzo, suor Luigina si mise seduta sul letto. Chiese di poter ricevere la benedizione da parte di monsignor Ferrarazzo, che replicò: «Se vuol ricevere la benedizione, si alzi e venga a mettersi in ginocchio a pregare». Suor Luigina prontamente ubbidì, scese dal letto e si inginocchiò. Al rientro in Italia, i medici che l’avevano in cura constatarono la guarigione. Da allora questa religiosa ricca di umiltà non ha più accusato alcuna manifestazione della invalidante pregressa patologia. «Per molti anni non successe nulla, io continuavo a fare la mia vita, tanto che nella mia Ispettoria in poche sapevano della mia storia. Intanto da Tortona passai a fare l’economa qui a San Salvatore Monferrato, e nell’84 arrivò la chiamata del “Bureau Medical” per nuove visite. Poi di nuovo nulla, io intanto ogni anno mi recavo, come faccio ancora oggi, a Lourdes: vado a rendere un po’ di quello che ho ricevuto».
Nel luglio 2010, in occasione di un nuovo pellegrinaggio dell’Oftal di Tortona, il caso di suor Luigina viene nuovamente presentato e valutato. Soltanto il 10 febbraio 2011, vigilia del 154o anniversario della prima apparizione lourdiana, il vescovo di Lourdes ha trasmesso al vescovo di Casale Monferrato una comunicazione inerente la guarigione della salesiana, che un certificato del Comitato Medico Internazionale giudicava non spiegabile allo stato attuale delle conoscenze. Nel novembre dello stesso anno il dottor Franco Balzaretti ha relazionato circa la guarigione straordinaria di suor Luigina al Comitato Medico Internazionale di Lourdes, che ha sede a Parigi ed è composto da venti luminari della scienza che esaminano i casi di guarigione segnalati spontaneamente all’Ufficio del Santuario. A larghissima maggioranza, il Comitato ha votato a favore della straordinarietà dell’evento. È il settimo miracolo riconosciuto a pellegrini italiani dopo quelli accaduti a Maddalena Carini, Evasio Ganora, Vittorio Micheli, Elisa Aloi, Delizia Cirolli e Anna Santaniello. “Guarigione completa e permanente”. «Tante volte mi sono chiesta, vedendo gente di ogni nazionalità recarsi a Lourdes in cerca di una grazia: perché a me sì? – racconta suor Luigina –. L’unica risposta che mi sono data è: perché il Signore ha voluto così, ha ascoltato le mie preghiere e quelle della mia comunità. Certe risposte sono segreti che solo Lui conosce». Andrea Caglieris redazione.rivista@ausiliatrice.net
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don bosco oggI
guardare ai poveri per vedere dio La vita e l’opera di Anna Maria Rubatto, cui Don Bosco predisse che sarebbe diventata suora e che avrebbe fondato un ordine religioso. foto tratte da www.scmrubatto.org
poveri che gravitano intorno alla Conferenza di san Vincenzo De’ Paoli. Il rapporto tra Don Bosco e Anna Maria diventa di anno in anno più solido: lei lo consulta su tutto e lui, un giorno, le predice che si dedicherà alla vita religiosa e fonderà un ordine. Nell’estate 1883 Anna Maria è a Loano, sulla riviera ligure. Convinta che la solidarietà non va mai in vacanza, non perde occasione per aiutare i malati e i bambini abbandonati e collabora con i padri cappuccini. Un giorno, uscendo dalla chiesa di Santa Maria Immacolata, viene investita dai lamenti di un giovane manovale colpito alla testa da una pietra caduta da un’impalcatura. Anna Maria lo soccorre e gli offre un po’ di denaro affinché si curi e si riprenda dall’incidente. La costruzione cui quel manovale stava lavorando era destinata a ospitare una comunità femminile che avrebbe dovuto nascere di lì a poco e per la quale i cappuccini stavano cercando una direttrice. Dopo
Ci sono incontri che cambiano la vita. Amicizie che innescano circoli virtuosi che possono condurre alla santità. Come quella che lega Don Bosco e Anna Maria Rubatto, nata grazie al desiderio comune di spalancare le porte del cuore a chiunque si trovi nel bisogno, soprattutto ai giovani e a chi deve fare i conti con la fatica e con la paura di vivere.
una pRofezIa che sI avveRa Quando si conoscono – tra il 1865 e il 1870 – Don Bosco è sulla cinquantina ed è impegnato a dare forma e solidità al proprio sogno: la Società salesiana e la Basilica di Maria Ausiliatrice. Anna Maria, poco più che ventenne, è orfana e si è da poco trasferita dalla natia Carmagnola a Torino. Innamorata di Dio, lo cerca negli occhi di chi vive ai margini: insegna catechismo ai ragazzi dell’oratorio di Don Bosco, visita i malati della Piccola casa della Divina Provvidenza fondata da san Giuseppe Benedetto Cottolengo e sostiene i
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Innamorata di dio, Anna maria Rubatto lo cerca negli occhi di chi vive ai margini. quell’episodio, colpito dalla sua generosità e dal suo buon cuore, padre Angelico Martini intuisce che Anna Maria potrebbe essere la persona giusta per guidare la comunità e glielo propone.
e Brasile. E proprio in Brasile, nel 1901, le suore, i frati e la piccola comunità di laici che vivono nella missione vengono massacrati da alcuni indigeni della tribù Guajajara, istigati dai proprietari terrieri della zona. Il 6 agosto 1904, in Uruguay, madre Maria Francesca muore e, per sua volontà, è sepolta tra i poveri del quartiere di Belvedere, a Montevideo. Il suo esempio e le sue virtù vengono riconosciute e apprezzate dalla Chiesa e, il 10 ottobre 1993, papa Giovanni Paolo II la proclama beata.
da loano aI confInI del mondo Anna Maria non risponde subito. Per un anno prega e riflette, ascoltando gli slanci e i timori del proprio cuore. Alla fine, accetta la proposta di padre Martini e il 23 gennaio 1885, con cinque compagne, indossa l’abito francescano. Poco più di un anno e mezzo dopo – il 17 settembre 1886 – prende i voti, cambia il proprio nome in madre Maria Francesca di Gesù e diventa la prima superiora dell’Ordine e dell’Istituto delle suore terziarie cappuccine di Loano. Missione della neonata comunità non è solo assistere a domicilio gli infermi ma anche educare i bambini che non frequentano la scuola e offrire sostegno ai pescatori e agli emarginati. Il suo carisma e il suo operato non rimangono circoscritti alla cittadina di Loano ma, nel giro di pochi mesi, si estendono a Voltri, Genova, Sanremo, Porto Maurizio e Levanto. Per offrire un porto sicuro alle centinaia di migranti che abbandonano l’Italia per cercare un futuro migliore in Sud America, a partire dal 1892 madre Maria Francesca apre case in Uruguay, Argentina
una stoRIa che contInua La presenza dell’Ordine – che nel 1973 ha modificato la propria denominazione in “suore cappuccine di madre Rubatto” – continua a espandersi, anche dopo la morte di madre Maria Francesca, per farsi lievito evangelico tra i poveri e i bisognosi di ogni latitudine. Le suore cappuccine di madre Rubatto sono attualmente presenti in Italia, Romania, Israele, Etiopia, Eritrea, Camerun, Kenya, Ecuador, Perù, Brasile, Argentina e Uruguay. In Italia, in particolare, assistono gli infermi attraverso la Casa di cura San Francesco di Bergamo e l’Opera dei poveri San Francesco di Milano. Nelle Residenze di Bergamo, Loano e Varese si prendono cura delle pazienti ricoverate. Si impegnano inoltre nella catechesi dei giovani, nelle parrocchie, negli oratori, nelle missioni popolari e nell’insegnamento scolastico. In prima linea nel servizio ai poveri e non indifferenti alle emergenze sociali, operano nelle carceri minorili e – in collaborazione con la Caritas – in favore dei poveri e degli immigrati. Sulle orme di madre Maria Francesca non si stancano di ripetere al mondo, con le parole e con l’azione: «Ama molto Gesù, amalo tanto. Ama tutti i tuoi fratelli con amore puro, senza lasciare in disparte nessuno». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Viviamo con maria l’Anno della fede Come Associazione di Maria Ausiliatrice sentiamo che Maria ci chiama a vivere questo Anno della fede in modo tutto speciale, sapendo che Don Bosco ha fondato l’Associazione con lo scopo di difendere e diffondere la fede tra il popolo di Dio, attraverso la devozione all’Ausiliatrice. È un tempo di grazia da vivere sotto il suo sguardo, in profonda comunione d’anima con Lei per essere, sotto la sua guida, missionari dell’amore di Dio. È chiamata ad una missione speciale per la quale Ella ci rende forti, ci riempie delle sue grazie, ci protegge dallo spirito del male, ci consola nei momenti difficili. «Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio
che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione (cfr Lc 1,38). Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compiva in quanti si affidano a Lui (cfr Lc 1,4655). Con gioia e trepidazione diede alla luce il suo unico Figlio, mantenendo intatta la verginità (cfr Lc 2,67). Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode (cfr Mt 2,13-15). Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota (cfr Gv 19,25-27). Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore (cfr Lc 2,19.51), lo trasmise ai
Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo (cfr At 1,14; 2,1-4)» (Benedetto XVI Porta Fidei, 13). Oggi più che mai vogliamo lasciarci guidare da Maria, nostra madre e nostro aiuto, nel cammino della santità e della grazia, per combattere l’astuzia del maligno che seduce i cuori con il peccato, volendo la perdizione degli uomini. Maria ci chiama ad essere apostoli e portatori della luce della fede e dell’amore di Dio per coloro che vivono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Con Lei tutti possiamo vedere suo Figlio, adorarlo e vivere nell’amore e nella pace. Pierluigi Cameroni SDB Animatore spirituale pcameroni@sdb.org
venezuela XXIII Assemblea e XXIV Incontro Nazionale Dal 31 agosto al 2 settembre si è celebrata la XXIII Assemblea e il XXIV Incontro Nazionale dell’ADMA del Venezuela: di particolare interesse alcune proposte per la formazione dell’ADMA giovanile.
fIlIppIne sud Primo congresso dal tema “ADMA ieri e oggi: continuando la grande devozione di San Giovanni Bosco a Maria Ausiliatrice”.
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VIII Congresso Nazionale nella città di Olmedo, con la partecipazione di 135 soci. Furono sviluppati due temi: “Maria Ausiliatrice nella vita di Don Bosco” e “Maria discepola e missionaria”. È bello vedere che l’Associazione conta la presenza di giovani disposti a continuare questa devozione e relazionarsi
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ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
www.donboscoadma.org
Mariana, incentrata sulla presentazione della Carta d’Identità carismatica della Famiglia Salesiana. Ha fatto seguito una carrellata di testimonianze ed esperienze proposte in forma giovanile e vivace. Nel pomeriggio, nel Santuario di Maria Ausiliatrice, si è svolta la solenne concelebrazione eucaristica durante la quale 42 persone dell’ADMA Primaria, di Mornese, di Ivrea, di Nave (Brescia) e della comunità Shalom di Palazzolo S/O (Brescia), sono entrate a far parte dell’Associazione. In questa celebrazione si è voluto aprire solennemente, come ADMA, l’Anno della fede.
con i centri ADMA, per scambiare esperienze e apprendere da ognuno. Nell’eucaristia di chiusura 12 persone fecero l’impegno di adesione.
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Primo Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice Dal 21 al 23 settembre presso il santuario nazionale di Nostra Signora de Lujan, si è svolto il Primo Congresso di Maria Ausiliatrice dell’Argentina. Oltre 400 membri della Famiglia Salesiana hanno condiviso una forte esperienza di fede e di fraternità, meditando e sperimentando come Maria Ausiliatrice è stata presente nella vita di Don Bosco.
honduRas
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IV Congresso ADMA del Centro America Dal 26 al 30 settembre 2012, presso il centro “Tres Rosas” (Valle de Angeles – Honduras), si è svolto il IV Congresso ADMA del Centro America, con la partecipazione di circa 200 soci provenienti da Panama, Honduras, Guatemala, Costa Rica, El Salvador, Nicaragua. Il lavoro delle giornate è stato incentrato sulla presentazione dell’identità dell’ADMA e sulle linee di rinnovamento dell’Associazione, ponendo attenzione al coinvolgimento e alla formazione delle famiglie giovani e ai gruppi dell’ADMA giovanile.
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Valdocco XXII Giornata Mariana Domenica 13 ottobre 2012, con la partecipazione di oltre 300 persone si è celebrata la XXII Giornata
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Intervista a don bosco. Si comincia. E se Don Bosco oggi concedesse alla nostra (e sua) Rivista un’intervista esclusiva? Quasi come un sogno ad occhi aperti, un microfono lo mettiamo nel suo ufficio, in paradiso... Mi tocca attendere solo qualche minuto, che ne vorrei invece di più per prepararmi, visto che sono un pochetto emozionato. Non è che capiti tutti i giorni infatti, che Lui conceda interviste. Oh. Non perché non sappia usarli bene i media, Lui. È che quassù, in Paradiso sono tutti occupati a fare cose ben più importanti che parlare con i giornalisti, abitudine che forse qualche ecclesiastico
dovrebbe imparare anche sulla terra. Ecco che l’angelo segretario mi fa entrare. La porta dell’ufficio è splendente, come tutte quelle del grande corridoio dove hanno il loro studio i grandi Santi che qui ricevono i visitatori. Appena entrato però mi trovo dentro un bugigattolo grande quanto... un piccolo confessionale. C’è un tavolino di legno con... un teschio sopra. Due libri tra cui riconosco un vecchio breviario e due semplici sedie. Alle spalle una piccola panca con due bottiglie di vino e una cesta coperta da uno straccio da cui esce un profumo di pane che mi sveglia lo stomaco. Al centro della piccola stanza c’è Lui, in piedi, con le braccia aperte, proprio come certe immagini votive ce lo mostrano. Solo il sorriso è molto più luminoso e coinvolgente. - Buongiorno – balbetto avanzando un poco –. - Cereia, mi risponde in piemontese, ma poi si corregge subito – oh, scusa, buongiorno a te, prego accomodati subito. Ah, il piemontese... è appena stata qui la mia mamma, mi ha portato il suo pane e il vino delle nostre parti – indica gli
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oggetti sulla panca – è un’abitudine per lei che è dura a... morire... anche qui in Paradiso. - Il profumo di pane è fantastico – dico per rompere l’emozione che provo nel trovarmi davanti questo pezzo da 90 della santità. - Certo, certo. Altro che le vostre merendine di oggi. Ne vuoi una fetta? Accomodati intanto. Mentre mi siedo Lui prende una pagnotta e la spezza in due. - Tieni. Mi piace fare tutto a metà, con i miei ragazzi. Tu sei stato exallievo... quindi... - Sì, in due scuole. - Come stanno i miei figli in terra? Come li hai trovati? Ecco... io pensavo di farle io le domande ma l’emozione mi ha fatto dimenticare quasi tutto quello per cui sono venuto. - I Salesiani? Stanno bene, direi. Insomma. Li vedo molto attivi. In Italia vanno nei posti dove la Chiesa si è ritirata, in missione sono in prima fila in tutto il mondo. - Ah, bene, bene – annuisce soddisfatto –. - Ma, scusi, Lei non vede di... sotto... da qui? Il suo sorriso si allarga ancora di più. - Oh, noi da qui vediamo tutta la storia al completo, non solo il piccolo tragitto che un’anima percepisce nel breve tratto di una vita. E siamo tal-
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mente attratti dal bellissimo finale di Dio che vince, che qualche dettaglio lo perdiamo. - Quindi finisce bene la storia dell’uomo? Mi autorizza a dirlo ai miei lettori? - Certo che finisce bene. Cosa credi? Non sarà facile, il Male si accanirà fino all’impossibile, ma finisce bene. Dovete essere ottimisti. – Raccoglie per un attimo i pensieri – Ah, ma sei venuto per un’intervista, non per farti fare domande da me. Allora iniziamo e per favore, dammi del tu. - A Lei? Del tu? - Quando vieni a pregarmi sulla mia tomba a Valdocco e tocchi quel vetro già lo fai, non vedo perché qui dobbiamo essere formali. E tra padre e figlio, poi... - Ok. Grazie. Prendo il taccuino dal borsello. Vedo le domande che avevo preparato. Sparo la prima, diretto. - Se dovesse, ehm, se dovessi aprire un nuovo oratorio, oggi, come lo faresti? È ancora più rapido Lui nella risposta. - Casa accogliente. Di vita insieme e preghiera. - Ehm, spiegati. - Casa. Anzitutto. Devono venirci volentieri i ragazzi, devono essere spinti a forza ad andare via. Bisogna avere difficoltà a chiudere, la sera. Questo avviene solo se si accorgono che chi sta con loro non è lì solo a fare il vigile dell’ordine, ma davvero ci tiene alla loro compagnia e alla loro libertà, anche se qualche sbaglio lo scommettono. È l’adolescenza, amico mio. Non serve solo volergli bene. L’adolescente deve capirlo, deve sapere che lo ami. Fatto questo poi ti rispetterà e lo farà anche per le tue regole, qualche scivolata permettendo, intesi.
- Di vita insieme e preghiera – lo incalzo. - Oggi i ragazzi perdono tanto tempo in maniera individuale. A casa appena arrivano accendono quelle scatole colorate con la macchina da scrivere collegata... come si chiamano... - Ehm, computer? - Eh sì, quelli. Passano ore a scriversi a distanza. E sono convinti così di comunicare. Invece stancano solo la mente, tolgono tempo allo studio, ammazzano la loro creatività copiando e incollando – si dice così, vero? – le cose che trovano in giro e fatte da altri, spesso cose molto volgari. Ah, che nostalgia. - Nostalgia? - Dei miei tempi. Noi stavamo insieme davvero. Alla loro età mi inventavo di tutto, ho fatto anche il mago, con qualche pezzo di corda e qualche uovo per far divertire i
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miei coetanei. Ma l’importante era il gruppo, si cresceva insieme, non ognuno a casa propria a mandarsi messaggini. Staccateli da quei cosi... - Eh, dobbiamo dirlo ai genitori. E casa di preghiera, diceva, ehm, dicevi... - Ci arrivo subito. Un bicchiere di vino? - Di Castelnuovo? - Ovvio! - Certo! (continua...) Diego Goso dondiegogoso@icloud.com
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Tutto è più semplice con una madre accanto A partire dal 1846 la presenza e le premure di mamma Margherita e di altre donne rendono familiare il clima educativo di Valdocco arricchendolo di accoglienza, amore ed attenzioni che solo il cuore di una mamma sa garantire. una gRave malattIa È la prima domenica di luglio del 1846. Un’afa soffocante. Don Bosco arriva a sera stremato dalla fatica e dal caldo opprimente. A stento raggiunge la stanzetta che la marchesa Barolo continua a riservargli presso il Rifugio. All’improvviso crolla a terra svenuto. La diagnosi è drammatica: pleurite con febbre alta ed emottisi. Malattie che all’epoca portano alla morte. In un lampo la notizia si diffonde, gettando i suoi ragazzi nella costernazione. La marchesa Barolo mette a disposizione dell’infermo un medico e un infermiere che non abbandona mai il suo capezzale. I ragazzi assediano la stanza, a cui è fatto loro divieto di accedere. La situazione è disperata. A Don Bosco è portato il Viatico e somministrato il sacramento dell’Unzione degli infermi. Nel tentativo di salvarlo, i ragazzi pregano con la forza della disperazione e si impegnano in propositi più grandi di loro. Promettono a Dio ed alla Madonna le cose più strampalate. Nonostante tutto la situazione precipita e gli sbocchi di sangue sono sempre più devastanti. Nella drammatica notte di un sabato di fine luglio 1846, mentre i medici curanti sono convinti che l’infermo non vedrà la nuova alba, Don Bosco cade in un sonno profondo. Così egli ricorda quei drammatici momenti nelle Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales: «A tarda notte mi sentii la tendenza a dormire. Presi sonno, mi svegliai fuori di pericolo. Il dottor Caffasso e il dottor Botta al mattino nel visitarmi dissero che andassi a ringraziare la Madonna
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della Consolata per la grazia ricevuta». Scampato il pericolo, su insistenza dei medici, dell’Arcivescovo e di don Cafasso, da agosto a novembre si reca in famiglia per completare la convalescenza. Ai Becchi si ritrova circondato dall’affetto di nove nipoti, figli dei fratelli Antonio e Giuseppe. Tuttavia la migliore medicina è l’affetto di mamma Margherita, che non lascia nulla di intentato per favorire la sua completa guarigione. Nel frattempo, l’Oratorio continua l’attività grazie all’impegno di don Borel e di altri sacerdoti amici: don Pacchiotti, don Bosio, il teologo Vola, don Trivero. Ma l’assenza di Don Bosco si fa sentire. Alcuni giovani più coraggiosi, a piedi, cominciano ad andarlo a trovare. L’affetto dei familiari, la vicinanza dei ragazzi, l’aria salubre, il riposo e la cu-
cina di mamma Margherita, giorno dopo giorno, lo rinfrancano e gli ridanno le forze. Comincia a fare passeggiate. Durante le sue camminate, il suo pensiero corre sempre a Valdocco. Appena sa che due stanze della casa Pinardi sono tornate libere, le blocca. Nella sua mente prende vita il progetto di ospitare i ragazzi che non hanno fissa dimora. Comincia a cullare l’idea di invitare la mamma a seguirlo a Torino. Ma dove trovare il coraggio per azzardare una simile proposta?
© Nino Musio
la pResenza dI mamma maRgheRIta
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Mamma Margherita ai Becchi è una regina. Non le manca nulla. Il figlio Giuseppe, le nuore ed i nipoti l’adorano. Inoltre, va per i 58 anni. Con il cuore ingolfato e la voce tremula, il figlio prete trova il coraggio di renderla partecipe dei suoi progetti. La risposta lo lascia di sasso. Così la riassume nelle sue Memorie: «Se ti pare tal cosa piacere al Signore, io sono pronta a partire in sul momento». Così, al mattino presto del 3 novembre 1846, mamma Margherita, accompagnata da Don Bosco, lascia per sempre i Becchi con destinazione Valdocco. Il viaggio è fatto a piedi portando soltanto alcuni utensili da cucina ed un cesto di biancheria. All’imbrunire giungono, stanchi, a destinazione. L’ambiente è ben lontano dalla tranquillità e dal silenzio dei Becchi. Anche per Don Bosco la poesia del ritorno dura poco. I problemi cominciano ad assediarlo. Così egli li descrive: «Ma come vivere, come mangiare, come pagare i fitti e provvedere a molti fanciulli, che ad ogni momento domandavano pane, calzamenta, abiti o camicie, senza cui non potevano recarsi al lavoro? Avevamo fatto venire da casa un po’ di vino, di meliga, fagiuoli, grano e simili. Per fare fronte alle prime spese aveva venduto qualche pezzo di campo ed una vigna. Mamma Margherita non perde tempo e si tuffa subito nel caos dell’Oratorio, lasciandosi prendere completamente da quei ragazzi che lo stesso Don Bosco non esita a definire “fior di monelli”. La sua presenza materna, ben presto aiutata da altre mamme, trasforma il caos in una famiglia. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
a no suo si-
acerpato ani e
ecchi ghi di l Sanel Vepiritua-
un sorprendente San francesco di Sales © Mario Notario
Un libro appena pubblicato esamina la spiritualità del Santo attraverso le sue lettere. E a lui, proclamato patrono anche dei giornalisti, s’è ispirato Don Bosco per fondare la sua Famiglia.
e Gianni Ghiglion
Sales cesco di ico San Fran, ma estro e am padre
DI SALES SAN FRANCESCO
o ù -
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iana
La spiritualità sales nelle Lettere 3 Prima parte: dal 159
05214-5
edizioni Elledici 2012, pagine 200 , euro 14,00
al 1610
È un Santo a dir poco sorprendente san Francesco di Sales. È patrono dei giornalisti, degli scrittori, dei sordi, del Terz’Ordine dei Minimi (di cui entrò a far parte nel 1617), di vari Seminari (uno per tutti: Torino). Non solo: la sua spiritualità e attività missionaria hanno ispirato i fondatori di varie congregazioni e famiglie religiose, la più nota delle quali è, appunto, la Famiglia Salesiana fondata da san Giovanni Bosco. Non c’è da stupirsi, quindi, se ora arriva un’altra “sorpresa”: il libro appena scritto dal salesiano don Gianni Ghiglione.
l’amoRe dI dIo è peR tuttI Francesco di Sales, ricordiamolo, è nato il 21 agosto 1567, nel castello di Sales, presso Thorens-Gliéres, in Alta Savoia, primogenito del signore di Boisy. Dopo la laurea giuridica a Padova, è ordinato sacerdote (1593) ed è mandato nel Chiablese, una parte del ducato di Savoia dominata dal calvinismo. Poi, si stabilì a Ginevra, dove a soli trentadue anni è nominato vescovo coadiutore. Dopo altri tre anni, divenne vescovo a pieno titolo e si impegnò per
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introdurre in Diocesi le riforme decise dal Concilio di Trento. A Ginevra, inventò i “manifesti” per rivolgersi anche ai fedeli più lontani. Celebre è la sua frase: «Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore». La città, però, rimase soprattutto in mano ai riformati e così Francesco di Sales trasferì la sua sede ad Annecy, cittadina sulle rive del lago omonimo. È stato direttore spirituale di nobili e persone semplici, di san Vincenzo de’ Paoli e di santa Giovanna Francesca de Chantal, con la quale fondò l’Ordine della Visitazione. Morì a Lione il 28 dicembre 1622, esattamente 390 anni fa. È proclamato santo nel 1665 da papa Alessandro VII, dottore della Chiesa nel 1887 da Leone XIII, e patrono dei giornalisti nel 1923, da papa Pio XI. Il suo corpo è venerato nella basilica della Visitation, ad Annecy, ma il suo cuore incorrotto è a Treviso, nel monastero della Visitazione.
to, e come ben si comprende, a tutti coloro che si ispirano a san Francesco di Sales come padre, modello, patrono: le Suore della Visitazione (sparse in circa 30 monasteri italiani), i Salesiani, le suore Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori e gli altri componenti della Famiglia Salesiana. Tuttavia, poiché le lettere erano destinate di volta in volta, a preti e al papa, ai nobili e al duca, a donne sposate ed a uomini comuni, ogni lettore trova indicazioni utili per vivere qui e ora le proprie “piccole virtù” con libertà, serenità e gioia. Per qualcuno, forse, sarà un’ulteriore sorpresa vedere che il Santo ha scritto gli stessi concetti e talora le stesse frasi a badesse e a mogli, a vescovi e a semplici artigiani. La spiegazione è chiara: per lui la carità non fa differenze se non nelle modalità espressive ed attuative, e va vissuta con impegno da parte di tutti. E come diceva, «in questo, consiste la divozione, cioè la santità». Lorenzo Bortolin
la caRItà non fa dIffeRenze dI RuolI
bortolin.rivista@ausiliatrice.net
Come per ogni persona storicamente importante e a maggior ragione per un santo, anche per Francesco di Sales la corrispondenza è lo strumento migliore per capirne la vita. Nelle sue oltre 2100 lettere, infatti, il Santo si manifesta in modo trasparente, e permette a noi di ammirarne la personalità affascinante, e cercare di imitarlo. In questo volume, don Ghiglione pone particolare attenzione alla Spiritualità Salesiana, esaminando le lettere dal 1593 al 1610. È previsto un altro volume sulle lettere scritte nei successivi 12 anni di vita del Santo. Il libro appena pubblicato è destinato innanzi tut-
don gianni ghiglione 66 anni, cuneese di Saluzzo (Cuneo), frequenta il liceo classico e al tempo stesso il Conservatorio, in organo e composizione. diventa prete salesiano a 28 anni. In seguito, consegue la laurea in Scienze dell’Educazione all’università
Pontificia Salesiana di Roma. Poi, ricopre vari incarichi nella Pastorale giovanile dell’Ispettoria. da alcuni anni, è cappellano degli studenti della Scuola Superiore di formazione di Psicologia della Comunicazione, al “Rebaudengo”, dove
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è anche responsabile del Collegio universitario. Nel 20052006, ad Annecy, in francia, ha studiato gli scritti di san francesco di Sales. In questo volume propone ampi stralci delle lettere scritte dal Santo.
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Il pane del pellegrino attraverso i sacri monti
Il pellegrinaggio ai luoghi santi della cristianità, pratica diffusa nel Medioevo, aveva subito un calo notevole all’inizio del XIII secolo, in seguito all’espansione dei Turchi. Dopo il 1453, con la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II e la conseguente fine dell’Impero Romano d’Oriente, i pellegrinaggi verso l’Asia subirono una battuta d’arresto e la deviazione verso altre mete significative, come Roma e Santiago di Compostela. Un eremita francescano vissuto a lungo in Oriente, Bernardino Caimi, tornato in Europa verso la fine del XV secolo, ebbe l’ispirazione di ricostruire per i fedeli alcuni brandelli di Terra Santa, edificando sulle alture ossolane complessi architettonici sacri che ricordassero momenti significativi della vita e della passione di Cristo. Creò quindi a Varallo il primo Sacro Monte. L’idea venne ripresa e potenziata nella seconda metà del XVI e nel XVII secolo, quando la necessità di contrastare il dilagare della Riforma protestante imponeva una catechesi spicciola e popolare. Lungo l’arco alpino italiano fu edificata una serie di Sacri monti che fungessero da confine e da baluardo contro la diffusione del luteranesimo e del Calvinismo dai territori dell’Europa centrale. I complessi sacri, oggi dichiarati dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità, sono costituiti da un santuario centrale, dedicato alla Madonna o ad un Santo, e da una serie di cappelle sparse nei dintorni, nelle quali gruppi di statue in grandezza
naturale riproducono, con lo stile della sacra rappresentazione medioevale, episodi del Vangelo o misteri del Rosario. Il pellegrinaggio dell’età moderna, dopo il Concilio di Trento, prese quindi la via delle Alpi, conservando immutate le intenzioni e il bagaglio minimale del pellegrino, con la bisaccia contenente il pane non lievitato, che induriva nel viaggio e poteva essere ammorbidito nell’acqua, facilmente reperibile in qualunque tappa del cammino. Eccone la ricetta: Impastare 200 grammi di farina con un uovo, mezzo bicchiere di latte, un cucchiaio di miele, una manciata di uva passa, una di pinoli e qualche fico secco tritato. Formare un pane allungato e cuocere in forno a 200 gradi per 30 minuti. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
• 200 gr di farina • 1 uovo • ½ bicchiere di latte • 1 cucchiaio di miele • 1 manciata di uva passa, pinoli • Qualche fico secco Infornare a 200 gradi per 30 minuti
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letteRe a suoR manu
E l’amorevolezza? In una scuola dell’infanzia, un bimbo di quattro anni è redarguito e messo a sedere, perché «nel salone non si corre». L’episodio aiuta a riflettere sull’“arte” di essere bravi genitori ed educatori. Ogni azione dell’adulto è un esempio per il bambino. Non è difficile strattonare un bambino. è più difficile spiegargli le cose, ma questa operazione porta risultati decisamente migliori. Non so se questa lettera verrà pubblicata, ma voglio provarci. Sono papà di tre bambini che frequentano tutti e tre una scuola cattolica. Il secondo ha quattro anni e se mai salirà agli onori degli altari, sarà il santo protettore dei bimbi birbi.... Ma è proprio questa etichetta che inizia a pesare sulla sua schiena. Dopo essere stato sgridato tre giorni di seguito, ieri a scuola ha fatto ben quattro passi di corsa verso la mamma per andare a salutarla prima dell’inizio della giornata e.... tac! Accalappiato al volo, preso per un braccio, redarguito e messo a sedere, sempre trattenuto per il braccio, perché “nel salone non si corre”. Il tutto davanti agli occhi attoniti di mia moglie e di altre mamme presenti. Quando mia moglie si è avvicinata e ha sfilato via mio figlio da quella presa, le è stato detto
che lì «si fa così con tutti, perché nel salone non si corre». Oggi l’ho accompagnato io e l’ho salutato dicendogli: «Papà non vuole che tu corra». Confesso che mi sono sentito un po’ ridicolo: chiedere a un bambino di quattro anni di non correre, si commenta da solo. Però, è una regola, improntata alla prudenza e alla sicurezza di tutti, e lui deve imparare a rispettare la regola. C’è una parola, però, che è mancata in questa vicenda: amorevolezza. «Non con le percosse, ma con la mansuetudine potrai farti amici quei ragazzi». Lo dice la Madonna a Giovannino Bosco nel sogno dei nove anni! Noi mandiamo i nostri figli in una scuola cattolica perché abbiamo un ideale alto di educazione. Io ritengo sia sbagliato che una suora “fa così con tutti”, cioè strat-
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tona un bambino e lo immobilizza, e soprattutto sia in controtendenza con tutto ciò che faticosamente cerchiamo di vivere in casa nostra, anche quando siamo stanchi, rimproverandoci a vicenda se abbiamo ottenuto il risultato “con le percosse”. Mi permetto riportare un passo del libro I vostri figli hanno soltanto Voi! di Bruno Ferrero: “Una grande percentuale di persone è ancora convinta che le sberle siano una punizione accettabile. Dicono “i miei genitori mi hanno dato qualche schiaffo e ha funzionato benissimo”. La sculacciata è un sistema che serve a scaricare le frustrazioni e la rabbia e a mascherare il fatto che l’educatore non riesce ad affrontare la situazione. Dopo tutto non è difficile strattonare un bambino. È molto più difficile spiegargli le cose, un’operazione, però che porta ri-
sultati decisamente migliori. Ogni azione dell’educatore è un esempio per il bambino. Se tenete il broncio, anche il vostro bambino lo farà; se vi mettete a urlare quando siete stanchi e frustrati, i bambini reagiranno di conseguenza; se li prendete a schiaffi quando siete fuori di voi dalla rabbia, adotteranno un comportamento in tono con il vostro... Le sberle durano poco, quindi inducono i bambini a dimenticare in fretta la ragione per cui le hanno prese e, in ultima analisi, risultano assolutamente inutili». Sono comunque sicuro che nonostante tutto prepareremo insieme tre buoni cristiani e tre onesti cittadini e che gli incidenti di percorso saranno uno sprone per pregare di più, aiutarci di più e, infine, essere sempre più orgogliosi della nostra comune appartenenza alla Famiglia Salesiana! Grazie per l’ascolto. (lettera firmata)
Sono molto dispiaciuta per quanto lei scrive. E non giustifico l’operato di quella suora. L’unica cosa che mi è spontaneo fare è chiedervi scusa a nome suo, se può servire. Non fatico neppure a immaginare la situazione della maggior parte delle nostre scuole dell’infanzia: le suore che fanno assistenza la mattina, quando ci sono, hanno spesso tra i 70 e gli 80 anni, ed abituate forse ad aver a che fare con schiere di bambini che appena dicevano “seduti”, si sedevano e basta. Oggi si ritrovano a faticare per mettersi al livello dei piccoli, con poca voce, con parole non più adeguate ai tempi e con bambini vivaci, se non iperattivi, che vorrebbero sempre giocare e non possono capire che quella “vecchietta” non sta scherzando, ma vuole veramente che non si corra in salone. Sono anche quasi sicura che la sera, nel suo esame di coscienza, quella suora ha chiesto perdono a Dio per aver perso la pazienza. Non posso pensare che non ci sia amorevolezza, ma comprendo il suo disappunto per non vederla messa in pratica. Pubblichiamo la sua lettera quasi per intero, perché possa essere letta anche da molte suore. Lei non esiti a far presente alla responsabile l’eventuale ripetersi di questi episodi. Sono certa che servirà. Manuela Robazza suormanu.rivista@ausiliatrice.net
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