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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
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Bosco: il talent scout dei “barabìtt”
14 M aria silenziosa Madre del Verbo La riscoperta del silenzio fecondo
30 Da casa tua
Puoi prenderti cur a dei giovani che abitano dall’altr a parte del mondo
38 L’idea geniale di don Bosco: insegnare il mestiere Onesti cittadini e buoni cristiani
ISSN 2283–320x
gennaio-febbraio 2017
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a tutto campo
© Nino Musio
Essere come don Bosco Mai stancarsi di fare del bene: Dio è con noi. Che coraggio, lui. E che esempio, per noi. Già, perché i suoi anni sono stati tutt’altro che i “bei tempi” raccontati in alcune sue biografie. Quelle, tanto per capirci, dove lui è raffigurato con la tonaca svolazzante, mentre se ne va a spasso nelle vie della Torino sabauda, seguito da tanti ragazzi vivaci e allegri. Certo, all’epoca c’erano la nobiltà, le famiglie “bene”, bravi commercianti, valenti artigiani ed impresari edili (l’industria vera e propria si svilupperà dopo di lui). Ma questi erano una minoranza. Non a caso c’erano tensioni sociali causate dalla diffusa povertà e dall’analfabetismo. La città, qualsiasi città, attirava dalla campagna (come oggi dall’estero) persone in cerca di una vita più dignitosa. Persone spesso senza professione
e senza istruzione. Altro che “bei tempi”. Quando don Bosco uscì dalla sacrestia, vide il degrado nel quale vivevano tanti giovani. Sulla piazza di Porta Palazzo ce n’erano centinaia che ogni giorno cercavano un lavoro, uno qualsiasi, ma molti erano scartati perché poco robusti, senza salute o ex detenuti. E nella centrale piazza San Carlo, lui incontrava anche spazzacamini di sette-otto anni, spesso orfani, che gli raccontavano il duro mestiere e le prepotenze di chi non pagava o derubava il misero compenso. Un dato: a Torino, nei primi anni Quaranta dell’Ottocento, su circa 130 mila abitanti, lavoravano nelle fabbriche 7.200 ragazzi sotto i dieci anni, il 5,5% della popolazione.
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a tutto campo MARIA
Don Bosco ha molto da dire anche a noi, oggi. Ci invita a fare quello che farebbe lui nella realtà in cui viviamo: famiglia, amici, scuola, ambiente di lavoro…
L’attore Ben Gazzarra nel film Don Bosco del regista Leandro Castellani.
Ci voleva un Amico
A fronte di quella situazione, don Bosco tirò fuori tutto il suo coraggio. Nessun timore di perdere la faccia. Con buona pace, si fa per dire, di alcuni confratelli attenti più ai riti che alle persone, o di chi se ne stava comodo in casa. Con buona pace, ancora, di chi temeva di perdere i diritti acquisiti, o sfruttava il lavoro altrui, o di chi per il suo ruolo avrebbe dovuto essere al servizio della gente (come il sindaco che lo fece sorvegliare e tentò di chiudere l’Oratorio). A conferma del suo coraggio, il primo ragazzo da lui “conquistato” è l’astigiano Bartolomeo Garelli: sedici anni, orfano di entrambi i genitori, analfabeta. E dopo, come scrisse don Bosco stesso, «si aggiunsero altri giovani. Durante quell’inverno 2
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radunai anche alcuni adulti che avevano bisogno di lezioni di catechismo adatte per loro. Pensai soprattutto a quelli che uscivano dal carcere. Toccai con mano che i giovani che riacquistano la libertà, se trovano un amico che si prende cura di loro, sta loro accanto nei giorni festivi, trova per loro un lavoro presso un padrone onesto, li va a trovare qualche volta lungo la settimana, dimenticano il passato e cominciano a vivere bene. Diventano onesti cittadini e buoni cristiani». Insomma, per citare ancora lui, «per fare del bene bisogna avere un po’ di coraggio, essere pronti a soffrire, non mortificare mai nessuno, essere sempre amorevoli». Per questo don Bosco ha molto da dire anche a noi, oggi. E ci invita a imitarlo. Non perché ripetiamo tali e quali i suoi gesti, ma perché ci chiediamo e poi facciamo quello che farebbe lui nella realtà in cui viviamo: famiglia, amici, scuola, ambiente di lavoro... Certo, oggi che la sua Opera si è diffusa in tutto il mondo e che la Chiesa lo venera come santo, è facile lodarlo. Per tutti don Bosco è “il santo dei giovani”, specie se emarginati. Per tutti, è l’“inventore” del “sistema preventivo” che ruota attorno alle parole amorevolezza, ragione, religione. Eppure non è facile passare dalle parole alla testimonianza, al gesto concreto. Non è facile, ma a chi si dice cristiano, è richiesto. L’amore fa emergere il bene che c’è nel profondo di ciascuno
L’aveva osservato, ad esempio, san Giovanni Paolo II quand’era venuto a Torino nel settembre del 1988, per i cent’anni della morte di don Bosco. «Educava i giovani all’amore di Dio e del prossimo perché questo è “il più grande e primo dei comandamenti” e questo è, nello stesso tempo, “il vincolo di perfezione”. Educava all’amore che si esprime e si conferma nella vita, nelle opere, nel comportamento. Sapeva dalla propria esperienza, che un tale amore è capace di trasformare
a tutto campo MARIA
rolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso». E nel farlo, basta imitare don Bosco: «Coraggio, coraggio sempre; non istanchiamoci mai di fare il bene e Dio sarà con noi». Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net
© Nino Musio
l’uomo, di far emergere il bene nascosto nel profondo del cuore umano, e, nello stesso tempo, di far superare il male, che in esso si annida. Don Bosco sapeva tutto questo; e tutto sapeva tradurre in atto. In questo consiste la particolare “capacità dei santi”». E per far questo, osservava ancora san Giovanni Paolo II, occorre «affrontare con coraggio e con animo pronto i sacrifici che il lavoro tra i giovani richiede. Don Bosco diceva che occorre essere pronti a sopportare le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovani, per non spezzare la canna flessa, né spegnere il lucignolo fumigante». La “canna flessa” che oggi è il drogato, il carcerato, la prostituta, l’immigrato, o il figlio non più amato perché “diverso”, la coppia divisa, l’ammalato, il disoccupato, chi ha perso il lavoro... E per questi uomini, fosse anche soltanto per uno di loro, agire. Perché, come ha detto Papa Francesco, «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il coleste-
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roberto cheaib
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giuliano palizzi
A TUTTO CAMPO 1 essere come don bosco
carlo miglietta
14 M aria silenziosa madre del Verbo bernardina do nascimento
lorenzo bortolin
rettore 6 gennaio è sempre un mese speciale
don CRISTIAN BESSO
giovani 16 un uomo perso = la sconfitta di dio! giuliano palizzi
18 l’amore ai tempi delle app ermete tessore
la parola 8 le «parole della grazie»
chiesa e dintorni 20 il nuovo la voce e il tempo
marco rossetti
10 il gioco dell’amore
marina lomunno
roberto cheaib
22 Accoglienza, ascolto, calore umano
maria 12 Un libro per
frati
23 m aria, “madre di misericordia”
ricominciare
carlo Miglietta
francesca zanetti
26 anno nuovo, vita nuova? ezio risatti
28 papa francesco, maria e le altre donne
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Maria Ausiliatrice n. 1
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Antonino Gentile
don bosco oggi 30 diventare missionari senza
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44 giubileo dei clochard
(zuppa di legumi e cereali)
allontanarsi da casa
ANNA MARIA MUSSO FRENI
carlo tagliani
32 Riserbo, il mantello dell’invisibilità della VDB
poster
don bosco c’è mario scudu
una VDB
34 Nella cripta della Basilica una mostra di presepi da tutto il mondo la redazione
36 due nuovi libri per avvivicinarsi al santo dei giovani la redazione
38 la scuola del lavoro e della vita Antonino Gentile
40 mettiamo in pratica il sistema preventivo in famiglia, ragione che diventa “dialogo” Pierluigi Cameroni
42 L’adma cresce e si sviluppa adma
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(33); Marco Mayer (44); ANSA: Piero Crocchioni (29); ALTRI: Andrea Cherchi (6); Archivio RMA (7,10-15,22,28,32); Missioni don Bosco Valdocco ONLUS (30-31); La Voce e il Tempo (20-21); Alessandra Pucci (23); Enzo Romeo (28); Renzo Bussio (34-35); Elledici (36,37); Nino Gentile (38); ADMA-Primaria (40-43)
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RETTORE
Gennaio è sempre un mese speciale don cristian besso RETTORE rettore.basilica@ausiliatrice.net
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Maria Ausiliatrice n. 1
Per la nostra Casa di Valdocco il mese di gennaio è sempre un appuntamento prezioso ed atteso. La festa di san Francesco di Sales e quella di san Giovanni Bosco richiamano la nostra esperienza di fede. Guardiamo al vescovo di Ginevra come colui che dà il nome alla nostra spiritualità, ricordandoci quel tratto così caratteristico che è l’amorevolezza: uno sguardo sul mondo segnato da benevolenza, mitezza e bontà. “Salesiani” perché, innanzitutto, viviamo le relazioni con uno stile buono e pazien-
te. Molte volte papa Francesco ha richiamato l’urgenza della “tenerezza” come caratteristica pastorale ed ecclesiale. Non si distanzia molto, mi pare, la scuola spirituale della bontà di Francesco di Sales: essere buoni e miti per annunciare il Vangelo nei vari contesti educativi. Tra giovani d’oggi, così immersi nella postmodernità, lo stile della immediata bontà, che è capacità di simpatia e contatto, rimane sommamente necessario: oggi annunciamo il Vangelo prima di tutto con lo stile delle nostre relazioni.
RETTORE
Siamo famiglia
Don Bosco ha saputo incarnare tutto ciò in modo straordinario. La sua vita è stata segnata da un incredibile coraggio educativo, radicato nel Vangelo. Forse oggi il santo di Valdocco ci ricorda la necessità di abitare nella nostra umanità per stare con i giovani, secondo le caratteristiche più belle del nostro essere uomini; altrimenti è quasi impossibile “incontrare” e “comunicare”. Don Bosco ancora ci ricorda, particolarmente quest’anno (come titola la Strenna 2017 del Rettor Maggiore: Siamo famiglia! Ogni casa, scuola di vita e amore!), l’impegno a crescere nel sentirci famiglia. Ci chiediamo, pertanto, se sappiamo benedire il Signore per i nostri legami famigliari e soprattutto se custodiamo il bene grande dell’essere famiglia, sia nei nostri contesti domestici, sia nelle nostre comunità. Sempre più occorre uscire dalla tentazione del “solitari è bello”, sempre più siamo chiamati al coraggio del confronto, dell’attesa e del dialogo con l’altro: infatti soltanto quando siamo Chiesa viviamo nella beatitudine e soltanto quando siamo comunità costruiamo un ambiente capace di chinarsi sui più poveri, per accompagnarli alla vita.
per tutta la Famiglia Salesiana. (…). Per molti consacrati e laici della Famiglia Salesiana la Basilica è come un luogo di approdo dell’esperienza di fede, ma anche un luogo di rigenerazione a livello di motivazioni e di impegno apostolico». Se lo scorso 5 dicembre, memoria del beato Filippo Rinaldi, abbiamo ricordato il centenario della fondazione dell’Istituto secolare delle Volontarie di don Bosco, la festa di don Bosco quest’anno è segnata dal tema della Strenna 2017: con la presentazione da parte di don Francesco Cereda, vicario del Rettor Maggiore. Il 31 gennaio, inoltre, la presenza di mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e di mons. Francesco Vittorio Viola, vescovo di Tortona, ci aiuterà ad allargare lo sguardo ed il cuore, a fuggire la tentazione del perdere speranza e ottimismo, perché abitanti di orizzonti troppo stretti. Infine, ringrazio ancora tutti coloro che con la loro collaborazione hanno contribuito per la vita e celebrazioni della Basilica nel tempo natalizio. Il 2017 sia un anno davvero ricco della presenza di Colui che ci dona la vita in abbondanza e la Vergine Madre ci accompagni nell’aprire la vita, a non trattenere nulla, ad essere segno di immediato dono e gratuità nell’accogliere.
Soltanto quando siamo comunità costruiamo un ambiente capace di chinarsi sui più poveri, per accompagnarli alla vita.
Luogo di comunione
Nel progetto pastorale Valdocco rimane una linea di cammino: «Guardare alla Basilica come luogo di comunione gennaio-febbraio 2017
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LA PAROLA
Le «parole della grazia» Una testimonianza che prima suscita meraviglia, poi sconcerto e rifiuto (Lc 4,14-30). Fu davvero un fallimento l’incontro avvenuto tra Gesù e la sua gente nella sinagoga di Nazaret? L’uomo su cui è “lo Spirito del Signore”
«Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio» (Es 20,8-10a), così recita il precetto che come in ogni altro sabato muove Gesù ad entrare nella sua sinagoga per onorare il Dio di Israele nel giorno a lui riservato. Non ci è del tutto noto come si svolgesse il rito durante la festa del sabato, sappiamo però con sicurezza che in esso veniva letta e commentata Parola di Dio tratta dal Pentanteuco e dai Profeti. Proprio a questo punto Gesù interviene. Luca ne descrive con molta solennità ogni singola azione: si alza, riceve il libro, lo apre, legge. È un testo di Isaia (cfr. 61,1-2. 58,6) in cui si canta di un uomo che afferma di avere «lo Spirito del Signore» su di sé; dice che Dio lo ha consacrato per annunciare ai poveri una notizia bella, per compiere una speciale missione di salvezza in mezzo a prigionieri, a ciechi e ad oppressi, tra gli ultimi. Sono i doni tipici dell’anno giubilare, «l’anno di grazia del Signore». Conclusa la lettura, l’Evangelista, con la medesima scrittura dal ritmo lento, racconta che il Nazareno richiude il libro, lo riconsegna e si siede. Gesù porta a compimento le Scritture antiche
Si respira un’atmosfera trepidante in attesa della spiegazione di Gesù. A lui basta una sola frase per farlo, un concentrato di parole: «Oggi si è compiuta questa 8
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Scrittura che voi avete ascoltato». Egli insomma attribuisce a sé quanto ha appena finito di leggere, ne fa una attualizzazione nella sua persona, come se dicesse «Sono io Colui del quale Isaia scrisse!». Bisogna prestare attenzione a ciascuna delle parole contenute in questo commento lapidario
la parola
Gesù in sinagoga: si alza, riceve il libro, lo apre, legge. È un testo di Isaia (cfr. 61,12. 58,6) in cui si canta di un uomo che afferma di avere «lo Spirito del Signore» su di sé; dice che Dio lo ha consacrato per annunciare ai poveri una notizia bella.
per scoprire che la salvezza annunciata da Isaia si realizza pienamente per noi «oggi» in Cristo. Solo lui dà reale compimento a tutte le promesse con cui Dio si era impegnato a liberare il suo popolo. Questo è il dono incommensurabile, che deve però essere accolto. Come? Gesù lega l’offerta della salvezza alle Scritture, come ad insegnarci che la redenzione ci raggiunge in modo privilegiato attraverso la loro accoglienza. Ecco perché viene qui dato molto rilievo al fatto che la Parola di Dio
va ascoltata: solo così la salvezza dataci da Cristo, diventa oggi «salvezza per me», mi cambia la vita. L’annuncio è realmente lieto, carico di potenzialità, ma è sottoposto alla nostra capacità di ascolto: pur non smettendo di essere buono, senza ascolto non può portare alcun frutto!
© Nino Musio
Accogliere le «parole della grazia»
In ciò che Gesù dice a Nazaret si squaderna insomma la verità e l’efficacia del suo Battesimo in cui lo Spirito Santo era disceso su di lui e il Padre lo aveva indicato come il Figlio, l’amato in cui è riposto tutto il suo compiacimento. È infatti con la forza dello Spirito che egli si dice Messia portatore del dono di salvezza che vuol offrire particolarmente a chi è bisognoso. Per costoro è annunciata la liberazione: in Cristo «l’anno di grazia del Signore» si fa presente, palpabile ed i suoi frutti già fruibili. Con questa autorità il Figlio di Dio parla, ragion per cui il suo dire viene salutato da Luca come «parole di grazia» (v. 22), capaci cioè di offrire l’amore e la misericordia divine. Restiamo allora attoniti quando leggiamo che l’entusiasmo dei presenti si trasforma subito in rifiuto netto e in decisione di uccidere Gesù. Un incontro fallito? No. I fatti di Nazaret proprio in quanto ci lasciano presagire fin dall’inizio del Vangelo che la sorte di Gesù è segnata dal possibile rifiuto, diventano domanda sulla nostra capacità di fare spazio a lui e al suo dono di salvezza nell’ascolto accogliente delle Sante Scritture. Marco Rossetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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LA PAROLA
Il gioco dell’amore Abbracci e baci. La tenerezza non è fatta di idee, ma di fatti. La forza della tenerezza svanirebbe se fosse solamente poesia e belle parole. La tenerezza deve arrivare ai gesti, alla carne. Per questo guardiamo brevemente alla forza di tenerezza che sprigionano due gesti: l’abbraccio e il bacio. La tenerezza è il sacramento dell’interezza. Il suo simbolo eloquente è l’abbraccio, la capacità di accogliere l’altro nei suoi angeli e nei suoi demoni. Se vogliamo esorcizzare i demoni di qualcuno, dobbiamo prima accoglierlo. L’abbraccio è un’ellisse, non un cerchio. Non è circuire l’altro, ma circondarlo. Non è togliergli il respiro, ma è accogliere i suoi sospiri, cogliere le sue aspirazioni e condividere le sue speranze. 10
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L’abbraccio è diverso dalla stretta forzata perché stringe senza costringere. Si aprono le braccia per ricevere, si chiudono per accogliere riservando all’altro una dimora nella propria intimità. L’abbraccio è anche custodia dell’altro
Lo stringere in un abbraccio è paradigma della relazione non violenta. Nella tenerezza dell’accoglienza, ognuno diventa spazio, casa e ospitalità. A volte abbiamo il desiderio che l’altro ci abbracci così forte da rompere la cassa toracica, liberare il cuore e ricomporre l’essere. Ci sentiamo, infatti, realmente amati quando possiamo mostrarci nella nostra verità, nella nostra de-
Il bacio è comunicazione di respiro
Il bacio è quando la parola diventa contatto, carne e comunicazione di respiro. È bellissimo che in ebraico si usi la stessa parola – nefesh – per dire sia anima sia respiro. In questo senso, quando ci baciamo comunichiamo sia il nostro respiro, sia la nostra anima. Il bacio è il letto verginale delle anime. Il bacio erotizza lo spirito e spiritualizza la carne. Con la bocca solitamente mangiamo, consumiamo. Il bacio è una trasfigurazione della bocca, è una vittoria sulla logica del consumo. Baciando superiamo il bisogno verso il desiderio. Il cibo si consuma, i baci si danno. Mangiare assimila, baciare custodisce. La bocca, che solitamente ingerisce e trasforma tutto in sé, si spiritualizza con i baci perché ogni bacio
la parola
bolezza, senza che questo diventi per l’altro occasione per dimostrare la sua forza e la sua prevaricazione. L’abbraccio, infine, è un gesto di custodia, custodia della gioia dell’altro. «Nell’amore più bello non esiste altro sogno che quello di salvaguardare la gioia dell’altro» (Habachi).
sincero stampato sull’essere dell’altro, è una confessione della sua alterità. Il bacio non può darsi a se stesso, dare un bacio è una confessione assoluta dell’alterità. Nel bacio comunichiamo la nostra anima e, allo stesso tempo, accogliamo l’anima dell’altro. «L’anima incontra l’anima sulle labbra degli amanti» (Percy B. Shelley). Necessità della parola, del dia-logo
Sappiamo, però, che i gesti del corpo sono simbolici e intenzionali e possono, pertanto, diventare ambigui. Con un bacio si può tradire, con un abbraccio si può soffocare. Nella lotta libera ci sono abbracci di sottomissione. Per questo l’eloquenza del corpo, anche nella sua profondità, ha bisogno di un tratto tipicamente umano: quello della parola. A volte, un abbraccio può diventare una stretta ossessiva e possessiva. A volte, il bacio può mascherare la mancanza di parole, proprio come la genitalità compulsiva che nasconde la mancata e la mancante intimità. Il nostro corpo è parola, ma ha bisogno anche di dirsi e di tradursi in parole, in dia-logo. Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net
IL GIOCO DELL’AMORE
Robert Cheaib, docente di teologia presso varie università tra cui la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ama definirsi come «catechista itinerante». Svolge un’intensa attività di conferenziere su varie tematiche che riguardano la vita di coppia, la preghiera, l’ateismo, il rapporto tra fede e cultura. Gestisce un sito di divulgazione teologica www.theologhia.com. Tra le sue opere recenti: Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana (Edizioni san Paolo). Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata (Il pozzo di Giacobbe). Per Tau Editrice ha già pubblicato: Rahamim. Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia.
ROBERT CHEAIB
L’amore è inseparabile dall’umore. Tante coppie non resistono ai colpi seri della vita perché non sanno concepire la loro vita come un gioco. Chi è invece realista e lucido, sa riconoscere la forza del ludico nella propria vita e in quella della persona amata. Come ogni gioco, l’amore ha le sue regole e i suoi trucchi. Questo libro ne offre dieci coniugando psicologia, umore, spiritualità ed esperienza.
ROBERT CHEAIB
IL GIOCO DELL’AMORE 10 passi verso la felicità di coppia
Il gioco dell’amore. Dieci passi verso la felicità di coppia, di Robert Cheaib Tau Editrice, 2016.
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Un libro per ricominciare La capacità di reinventarsi la vita oltre la malattia e la sofferenza.
Angiola era sempre stata una donna piena di vita che trasmetteva entusiasmo e positività. Si era sposata giovane, era diventata madre di un bambino, Tiziano che in autunno avrebbe iniziato la scuola primaria. Erano tutti e due molto emozionati per questa nuova esperienza poiché amavano i libri ed insieme, specie la sera, avevano l’abitudine di leggere storie e fiabe: erano momenti bellissimi durante i quali si sentivano uniti nel corpo e nella mente. In una calda giornata di agosto, durante il periodo di vacanza in montagna, Angiola aveva deciso di andare a fare acquisti al mercato del paese: era salita sull’auto 12
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quando un dolore lancinante le era esploso nella testa e tutto era diventato buio. Oltre il buio, un doloroso risveglio
Riprese conoscenza, lentamente, come quando si procede nel fitto della nebbia. Cos’era successo? Dove si trovava? Sentiva il suo corpo pesante, estraneo. Era in ospedale, era stata operata poiché un aneurisma si era rotto nella sua testa causando una vasta emorragia nel cervello ed era rimasta in coma per quaranta giorni. Capì che la sua vita era cambiata, dalla nebbia che sembrava avvolgerla e rallen-
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tarle i pensieri emerse il ricordo del suo bambino e fu presa dalla disperazione, prima di ricadere nel torpore procurato dai farmaci. Col passar del tempo Angiola riuscì ad acquistare una certa qual lucidità e a capire che purtroppo i suoi movimenti erano molto rallentati, le gambe non la reggevano ed aveva difficoltà a pronunciare le parole. La presenza della sorella era rassicurante, le parlava molto di Tiziano, di come presto lo avrebbe rivisto ed avrebbero potuto stare nuovamente insieme, ma sapeva che quel che si era rotto in lei difficilmente si sarebbe riaggiustato e nulla sarebbe stato come prima. Dimessa dall’ospedale Angiola fu portata in un centro di riabilitazione per intraprendere un difficile e lungo percorso di recupero e lei si sentiva stanca, svuotata, un’altra persona. Dopo alcune settimane si rese conto di come le visite del marito si facessero sempre più rade e poi non si fece più vedere. La sorella cercò di spiegarle di come l’uomo si fosse spaventato e come non riuscisse a fronteggiare la situazione e neppure ad occuparsi del bambino che le aveva affidato per avere il tempo di rielaborare la cosa. Per Angiola al dolore si sommò altro dolore, pensò che non ce l’avrebbe mai fatta, cadde in uno stato depressivo e non collaborò più nelle attività rieducative e negli esercizi di logopedia.
va farcela, come ce l’aveva fatta la madre di Gesù che aveva dedicato la sua vita, i suoi dolori al Salvatore del mondo, anche quando non capiva, magari stanca, sola, triste. Per la sua ripresa avrebbe imparato a sentirsi accanto Maria, il modello più bello e più alto di donna: anche se la sua era stata una maternità unica e singolare sarebbe diventata per Tiziano l’esempio per proseguire nella sua personale storia di madre. Avrebbe imparato a confidare a Maria le sue ansie e avrebbe sentito la sua rassicurante presenza, la stessa che lei aveva il dovere di far sentire a Tiziano e nonostante la sua malattia, si sarebbe reiventata la gioia di essere madre. Quando il figlio tornò a trovarla, Angiola che si era procurata un libro per bambini e propose a Tiziano di continuare il loro percorso di lettura, anzi ricominciarlo poiché lei ora aveva difficoltà a pronunciare bene le parole e lui invece stava imparando e l’avrebbe potuta aiutare…e le parve di sentire dentro di sé il sorriso di Maria. Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
Angiola, per la sua ripresa, avrebbe imparato a sentirsi accanto Maria, il modello più bello e più alto di donna.
Un figlio è per sempre
Un giorno, per mano alla sorella vide entrare Tiziano che le si avvicinò prima un po’esitante, poi fu travolta dai suoi abbracci, dal suo raccontare di come fosse bello andare a scuola, mentre gli occhi gli brillavano felici. Quando rimase sola Angiola si rese conto che non tutto era finito: il suo bambino l’aspettava ma lei dove avrebbe trovato la forza per ricominciare? Nel figlio, per il figlio e col figlio dovegennaio-febbraio 2017
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Maria silenziosa madre del Verbo Chiacchiere o preghiere? Uno degli aspetti più insopportabili delle inflazionate e variopinte devozioni mariane, di gran moda oggi, è l’eccessiva verbosità difficile da distinguere dalla mielosa, e pestifera, adulazione. Il chiacchiericcio su Maria, i panegirici privi di qualsiasi sottosfondo teologico, il magismo hanno finito per trasformare la madre di Gesù più in una donna da sceneggiata che nella Vergine Madre. Il fideismo mariano si è trasformato in un enorme supermercato dell’ovvietà sentimentaloide dove ognuno può trovare quanto serve a sedare le proprie inquietudini o a sublimare i propri nevrotici sensi di colpa. Mi ha sempre colpito un bel pensiero elaborato nel IV secolo dal vescovo di Milano sant’Ambrogio: «Maria è il tempio di Dio, non Dio nel tempio». Appunto perché tempio, e quindi silenzioso luogo di incontro e non vociante occasione di scambio, Gabriele la contatta nella più assoluta discrezione e nel più rigoroso riserbo. Silenzio fecondo
Le grandi proposte di vita si fanno nell’intimità dell’incontro. Tutto nella riservatezza e non sotto le telecamere della curiosità o davanti ai microfoni del gossip. Il Verbo da annunciare fino agli estremi confini del mondo, viene concepito nella silenziosa penombra di Nazaret. La gestazione divina avviene in una madre umana che non propaga ai quattro venti le parole ricevute, ma le «contempla e custodisce 14
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nel suo cuore» (Lc 2,19). Eppure la giovane Myriam ne avrebbe cose da dire e da spiegare. Ma dove trovare le parole capaci di convincere che suo Figlio è frutto solo della sua più radicale e disinteressata disponibilità di fronte a un Dio che non è assolutamente banale nelle sue proposte a cui accondiscendere? Quali discorsi possono spiegare che in un «fiat» è condensato il dramma, umanamente incomprensibile, di una nuova creatura concepita in un modo così inconcepibile ed esposto al cicaleggio, al dileggio, al sospetto ed alla maldicenza? Essere riempiti del Verbo, significa essere colpiti dalla spada dello Spirito Santo, come ci ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini (6,17). E la Parola-Spada è «efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e
sa discernere i pensieri e i sentimenti del cuore» (Eb 4,12). Il silenzio è il setaccio attraverso cui le parole si trasformano in Parola. L’atteggiamento di Maria ci ammonisce che fare della Parola un qualcosa da esibire, da rappresentare, da declamare, da proclamare con tonalità dubbie ed equivoche, non è pregare, ma profanare. Nel silenzio germina una nuova vita
Man mano che nel suo grembo il Verbo assume fattezze umane, la premurosa custodia e la paziente meditazione della Parola, fa maturare ed affina la coscienza della Madre indurendola al filo d’ascia della solitudine. La coscienza si trasforma in un melting pot in cui le vane parole umane si liberano di ogni banale formalismo e si trasformano in preghiera; i sentimentalismi esistenziali vengono armonizzati
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fino a diventare puro istinto materno; le relazioni fatue si saldano e cementano facendo sbocciare una famiglia. Deve essere stato esaltante ed ineffabile il momento in cui la giovane ragazza di Nazaret ha avuto il lampo di certezza che la goccia di vita venuta dal cielo si stava trasformando in vita vera, in persona che segnalava la sua presenza. In quei momenti Maria non aveva una corona di stelle sul capo o la luna sotto i piedi, ma un bimbo nel suo grembo ed una gioia esplosiva nel suo cuore che vaporizzava ogni paura e dubbio. Tra madre e figlio si instaura un dialogo senza parole ma con emozioni e significati profondi. Lo sbocciare di una nuova vita colora l’esistenza di nuovi valori e sfumature che danno senso a fatica, dolore, preoccupazione e solitudine che tutti i grandi valori hanno a traino. Diventare madre comporta il rimettersi in gioco assumendo un nuovo ruolo e nuove responsabilità al grande tavolo della vita. Il cuore di una madre si rafforza alimentandosi alla dispensa dell’amore, dell’attenzione, della premura e della dedizione tanto da diventare il segno più credibile del fatto che chi muove la storia non è la selezione naturale, ma il roccioso amore di ogni madre. Si tratta di una realtà così vera e radicata che neanche la “liquidità” della fede moderna riesce a negare. La vera devozione mariana dovrebbe condurci a vivere personalmente queste realtà senza tentennamenti o fughe nello sterile devozionalismo. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net
La gestazione divina avviene in una madre umana che non propaga ai quattro venti le parole ricevute, ma le «contempla e custodisce nel suo cuore» (Lc 2,19).
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Un uomo perso = la sconfitta di Dio! «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». (Gv 6,40) Siamo sicuri che l’inferno sia un’invenzione di Dio?! Perché un Dio si incarna, vuole fare l’esperienza della finitudine? Perché un Dio per parlare di risurrezione si adegua a morire, e che morte!? «Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione. Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo» (Ct 8,6-7). Un Dio innamorato
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è così, all’ennesima potenza. Con queste immagini incredibili viene descritta, nel Cantico dei Cantici, la forza irresistibile dell’amore. Certo l’innamorato folle corre sempre un grosso rischio – e chi non lo ha sperimentato? – quello di chiunque si lasci coinvolgere in un legame affettivo: l’amore presuppone la libertà e comporta la possibilità del rifiuto e dell’insuccesso. Fanno parte del gioco anche la gelosia, i tormenti, le ansie, la paura dell’abbandono e tutte quelle emozioni che siamo soliti chiamare pene d’amore. «Sono malata d’amore» – ripete la sposa del Cantico dei Cantici (Ct 2,5; 5,8) –. Nel libro dell’Esodo (20,5) si legge: «Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso...».
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La debolezza di un Dio onnipotente!
Il nostro Dio è un po’ spericolato per troppo amore e ha voluto correre questo rischio: ha accettato di farsi debole mettendo in conto anche l’eventualità della sconfitta. I nostri padri, coscienti dei loro limiti, si sono costruiti un Dio immaginandoselo onnipotente, e quindi tutto partiva dai suoi umori, dal mandarci la pioggia piuttosto che il sole, dal mandarci la malattia per punirci o per provare la nostra fede, dal fare i miracoli a quelli che avevano tanti meriti e ai potenti... una onnipotenza tipica prerogativa di narcisisti innamorati di se stessi ma in amore questa prerogativa è esclusa dalle regole del gioco. Questo termine non ha niente a che fare con il Dio di Gesù Cristo, e giustamente, perché, da quando Dio ha creato l’universo con le sue leggi e si è inventato il suo capolavoro, l’uomo libero, egli ha come ristretto il suo potere. Davanti a quello che la Genesi (1,31) descrive così «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno». Lui si sottopose spontaneamente a ciò che i rabbini chiamavano contrazione, nascondimento, auto-limitazione di Dio. Chi ama di più è sempre più debole!
Dio non può costringere, deve conquistare la persona amata. Un Dio che giocasse sull’effetto paura, sulla minaccia dei castighi (se non fai il precetto vai all’inferno) non è un Dio credibile, è uno che ha già perso la partita perché non fa il gioco dell’amore e quindi alleva in casa figli impauriti che obbedisco-
no con ipocrisia, senza riconoscergli la sua paternità, pronti a rinfacciargli «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio... per lui hai ammazzato il vitello grasso» (Lc 15,29-30). In Gesù, Dio ha fatto più volte l’esperienza del fallimento. Gerusalemme non ha corrisposto al suo amore: «Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, ma voi non avete voluto» (Lc 13, 34); a Nazaret non poté operare nessun prodigio (Mc 6,5- 6); il giovane ricco gli oppose un rifiuto (Mt 19,16-22).
Da quando Dio ha creato l’universo con le sue leggi e si è inventato il suo capolavoro, l’uomo libero, egli ha come ristretto il suo potere.
Chi ama non si arrende mai!
Ora siamo in grado di comprendere la frase di Gesù: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una... vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore... più che per novantanove giusti...» (Lc 15,4.7). La gioia più grande dell’innamorato è la riconquista dell’amata, è sentirla ripetere: «Ritornerò al mio marito di prima, perché allora sì che ero felice, non ora!» (Os 2,9). Alla chiesa di Efeso l’angelo dice: «Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convértiti e compi le opere di prima» (Ap 2,4-5). Dio non si arrende mai: altro che spedire gratuitamente all’inferno!
È risorto. Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi. Giuliano Palizzi Giuliano Ladolfi Editore, 2016 160 pagine
Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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L’amore ai tempi delle App Il moderno mondo degli affetti. Le moderne generazioni adolescenziali corrono il serio pericolo di avere non solo lo sguardo abbassato, ma anche il cuore inabilitato ad amare veramente. Ultimamente anche il mondo degli adulti, troppo tardi e lentamente, si sta sensibilizzando a riguardo di questo reale rischio. L’attuale dilagante “liquidità” del mondo giovanile comincia ad essere percepita in tutta la sua gravità esistenziale. Sulle famiglie, sulla scuola e sulla società civile si è abbattuta l’onda d’urto incontenibile, e per questo inquietante, di un nuovo modo di essere, di vivere, di relazionarsi e, soprattutto, di amare. Sono proprio le nuove modalità di gestire i sentimenti più profondi quelli che maggiormente sorprendono e spiazzano. Gli amori adolescenziali nascono, prendono corpo, evaporano e si dissolvono nel mondo cloud.
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Proprio in questi giorni SIMA (Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza) ed AMA (Associazione Laboratorio Adolescenza) hanno reso noto i risultati di un’indagine effettuata su un campione di 3000 ragazzi e ragazze frequentanti la terza media. Gli adolescenti confessano di essere connessi ad internet (97%); per il 40% il web è il luogo ideale per avere nuove amicizie; quasi tutti utilizzano quotidianamente 3 o 4 social network. Fra questi ultimi il primo posto è occupato da Whastapp (97,2%), seguito da Instagram (75,1%). Oggi va per la maggiore Snapchat, che in un anno è passato dal 12% al 37% delle preferenze. Snapchat è molto pericoloso in quanto associa la possibilità di comunicare anonimamente, facendo scomparire il messaggio inviato dopo pochi secondi. Questo induce a mandare foto intime senza considerare il fatto che possono essere salvate e riutilizzate dal destinatario con conseguenze spiacevoli e, in alcuni casi, drammatiche.
I sentimenti digitali
Gli adolescenti confessano di cercare nuovi amici per il 96% nell’ambito scolastico, per il 72% nel mondo dello sport e per il 40% (nel 2012 era il 31%) in internet. Quando il sentimento assume i connotati dell’amore, che coinvolge anche la sessualità, si assiste ad un fuggifuggi preoccupante dalla realtà vissuta al virtuale immaginato. La semplice parola “sesso” genera pruriti ed inquietudine nel mondo degli adulti in quanto quasi tutti provano un profondo disagio ad affrontare l’argomento. Famiglia, scuola e Chiesa, spesso, hanno lasciato i ragazzi soli nella loro ricerca di identità, di equilibrio e di maturità nella sfera genitale-sessuale. È triste constatare che l’educazione sessuale sia obbligatoria in tutti i paesi dell’UE tranne Bulgaria, Romania, Cipro, Polonia ed Italia. Così i ragazzi hanno imparato ad arrangiarsi. Se si interroga un ragazzino a riguardo delle fonti sulle sue informazioni sul sesso certamente risponde: «internet». Quali sono i più comuni stereotipi trasmessi dalla rete? Inquietanti. Essi sono: ragazze con seni enormi; maschi con genitali immensi; orgasmi dimostrativi; rapporti sessuali obbligatori. Grande è la frustrazione generata da questi modelli accompagnata da ansia di prestazione devastante. Ragazzini e ragazzine timidi ed impacciati nella vita reale
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Su internet è vivo il pericolo di proiettare sull’altra persona numerose aspettative probabilmente irrealizzabili. Il “reale” è indispensabile.
si trasformano nel mondo on line abitato da Lovoo, Chatroulette, Omegle, Tinder... Un sedicenne cinicamente spiega. «In sostanza hai davanti a te solo dei genitali senza vedere le facce». Secondo Emanuela Confalonieri, docente di psicologia dello sviluppo alla Cattolica di Milano, questa autoeducazione selvaggia ha portato ad un aumento non tanto delle gravidanze indesiderate, quanto del consumo della cosi detta pillola del giorno dopo e, soprattutto, ad un incremento delle malattie sessualmente trasmissibili. Sarebbe opportuno leggere il libro del ricercatore del dipartimento di scienze biomediche alla Statale di Milano Alberto Pellai dal titolo Tutto troppo presto. L’educazione asessuale dei nostri figli nell’era di Internet edito da De Agostini. Dalla sua lettura si evince che la scoperta del materiale pornografico, per il 70% degli adolescenti, avviene durante la frequenza delle scuole medie. In compenso il 60% dei genitori è convinto che il proprio figlio non guarderebbe mai del materiale pornografico. È sconcertante constatare che il controllo genitoriale sulla prole avviene solo nel mondo reale, lasciandola completamente orfana quando si tratta del mondo on line. Un’inchie-
sta di Save the children, citata da Pellai, ci avverte che la pedofilia ha trovato un ottimo ambiente di coltura nel web. Quali motivazioni?
Molto spesso, da parte dei ragazzi, l’amore vero viene percepito come un suicidio della propria libertà personale. Per molti di loro la libertà vera la si vive solo nella solitudine assicurata e fornita dalla tecnologia. Ma questo isolamento non è abitato dal silenzio, dalla meditazione o dalla riflessione individuale. Si riempie, piuttosto, di chat, di app e di sms. Tutto è distaccato, asettico, pullulante solo di pulsioni e di immaginazione sfrenata: vuoto di calore umano e di coinvolgimento esistenziale. I giovani si convincono che essere liberi nell’amare è solo utopia. La relazione di coppia, per sua intima natura, richiede la maturità di apportare limitazioni alla propria libertà individuale. Molti giovani oggi vivono nel deserto “monadico” della propria autoreferenzialità ricca solo di miraggi che trasudano utopiche felicità sen-
za rinunciare a nulla. L’ineliminabile desiderio di sentirsi dire «Ti amo» viene soddisfatto attraverso un anonimo fidanzato o fidanzata virtuale facilmente rintracciabile in migliaia di cosi dette “romance chat” che assicurano caldissimi incontri tra “io ideali” e “tu virtuali” guidati e diretti solo dal gioco e dalla fantasia più disinibita. Sulle loro labbra si possono mettere le parole che uno vuole sentirsi dire; l’aspetto fisico corrisponde, fino nei più intimi dettagli, ai propri desideri; l’erotismo sprigionato è all’altezza delle più azzardate allucinazioni. Siamo in pieno delirio touchscreen. Tutto nasce, vive e muore sullo schermo di un smartphone. Forse è arrivato il momento di convincere gli adolescenti che la vera trasgressione consiste in una stretta di mano calorosa, in un abbraccio che emana solidarietà, in un prendere un caffè al bar, in uno scambiarsi un imbranatissimo bacio che non sarà esteticamente perfetto ma certamente trasuda tenerezza e voglia di vivere. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
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Il nuovo La Voce e il Tempo Su carta l’informazione settimanale, su internet gli aggiornamenti, i video e la sorpresa di un grande archivio storico fotografico.
A partire da domenica 2 ottobre 2016 il settimanale della diocesi di Torino La Voce del Popolo, fondato su ispirazione di san Leonardo Murialdo e il Il Nostro Tempo, settimanale nazionale fondato nel 1947 dal sacerdote torinese mons. Carlo Chiavazza, si sono fusi in un unico giornale, La Voce e il tempo. Direttore unico della nuova testata che raccoglie la tradizione dei due giornali in un solo settimanale diocesano, è Alberto Riccadonna, giornalista professionista, cresciuto nella grande scuola del giornalismo cattolico torinese di mons. Franco Peradotto e Marco Bonatti, storici direttori de LaVoce del Popolo. La testata è arricchita dal sito coordinato da Luca Rolandi che ha diretto negli ultimi due anni La Voce del Popolo accanto
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a Paolo Girola ultimo direttore de Il Nostro Tempo. Comunicare speranza
Dalla bella tradizione delle due testate cattoliche torinesi dunque è nata una nuova voce che, nell’intento dell’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia il quale ha fortemente voluto la fusione dei due settimanali, vuole sempre «più essere amplificatore della buona notizia del Vangelo». «Vogliamo che il giornale della comunità cristiana sia sorridente, che comunichi la speranza, anche se conosce, soffre i nodi del vivere e deve raccontare le inquietudini che stanno agitando il mondo e che purtroppo scuotono profondamente anche Torino, una grande crisi economica,
Riflessioni ed analisi alla luce del Vangelo
Una sfida non semplice quella che deve affrontare la redazione che unisce due tradizioni di giornalismo per affrontare con forza le sfide nuove dell’informazione (in un tempo di crisi dell’edito-
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sociale e di significati – ha scritto Alberto Riccadonna firmando il suo primo editoriale da direttore – Dalla tradizione e dalle notevoli firme che abbiamo ereditato da La Voce del Popolo e Il Nostro Tempo abbiamo avuto la fortuna di ricevere amore alla Chiesa e conoscenza del territorio, sguardo aperto al mondo, una buona capacità di riflessione culturale. Poche testate ricevono in dote tutto questo. Siamo molto riconoscenti all’Arcivescovo perché ce l’ha consegnato per inaugurare l’avventura del nuovo giornale, ne faremo tesoro».
ria) che chiedono interventi coordinati sul versante tecnologico (carta, web, social) ma soprattutto sul piano dei contenuti: la cronaca locale, la vita della Chiesa, insieme alla riflessione culturale e a un’analisi competente di ciò che accade in Italia, nel mondo. «L’epoca che stiamo attraversando è spesso gravida di interrogativi angoscianti, ma non può lasciare senza parole – conclude Riccadonna – il giornale cattolico si aggiorna proprio per conservare la capacità di pronunciare parole di senso, cercarle nel Vangelo e farle udire, offrirle come compagne di viaggio, confrontarle con quanti – tantissimi – lavorano ad ogni livello della società civile per la costruzione del bene e del bello». Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
Il Nostro Tempo
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Il giornale della Chiesa torinese
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Accoglienza, ascolto, calore umano. La Casa di ospitalità san Giovanni di Dio a San Maurizio Canavese (TO). servizi territoriali. A chi arriva viene offerto un posto letto, i pasti, la biancheria e l’ascolto da parte dei volontari. Agli ospiti non viene chiesto nessun contributo economico. Si chiede loro solo di contribuire con qualche lavoro nella casa e nell’orto. Il principio e la regola che vige nella casa è l’ospitalità. Nella nostra casa si accolgono tutti così come voleva il nostro fondatore san Giovanni di Dio. L’accoglienza, l’ascolto sono i punti cardini che si chiedono ai nostri volontari. Agli ospiti e a quanti frequentano la casa si chiede il rispetto reciproco.
I carissimi amici Frati Fatebenefratelli Angelo, Cosimo, Lucas e Louis ci hanno scritto per illustrarci la loro opera in cui mettono le loro persone a servizio della Divina Provvidenza. Volentieri e con gioia pubblichiamo il loro messaggio, sperando che molti lettori si lascino coinvolgere in questo bellissimo progetto di Umanità e Carità. «La casa di ospitalità san Giovanni di Dio è un centro di accoglienza presente a san Maurizio canavese in provincia di Torino. Qui vengono accolti immigrati e senzatetto È gestito dalla comunità religiosa dei Fatebenefratelli con l’associazione Luigi Fiori. Le persone che arrivano alla casa trovano accoglienza e calore umano che i frati, assieme ai volontari, offrono a quanti si presentano. La casa lavora a stretto contatto con l’ufficio migranti della Caritas diocesana di Torino e con altri
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Fiducia incondizionata nella Provvidenza
Alla casa di ospitalità si vive solo di Provvidenza. Non abbiamo contributi economici. Le uniche entrate sono i pasti che ci fornisce la cucina del presidio ospedaliero dove siamo inseriti. Grazie a qualche anima generosa, qualche volta arrivano alimenti o offerte in denaro. Per questo noi accettiamo tutto quanto ci viene dato come dono della Provvidenza. Per chi volesse venirci a trovare siamo disponibili ad accogliervi. Ci troviamo a san Maurizio canavese in via Fatebenefratelli 70 all’interno del presidio ospedaliero BeataVergine Consolata. Chi vuole può anche telefonare chiedendo di Fra Angelo o di Fra Cosimo, tel. 011.9263811. Vi aspettiamo. Fra Angelo Fra Cosimo Fra Lucas Fra Louis redazione.rivista@ausiliatrice.net
Don Bosco c’è! MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
© Pachì
chiesa e dintorni POSTER
La celebrazione del Bicentenario della sua nascita (18152015) ha mostrato l’universale popolarità e fama di don Bosco. Un carisma, il suo, più vivo che mai, dimostrato dall’entusiasmo dei giovani per lui. Questa è la prova migliore che don Bosco c’è, che è stato ed è ancora oggi un grande, non solo della Chiesa, ma anche della storia italiana e oltre. La Chiesa, per mano di Giovanni Paolo II (1988) l’ha proclamato “Padre e Maestro” dei giovani. E sono proprio questi a sentirlo, ancora oggi, come padre e maestro a cui ispirarsi, da quale attingere entusiasmo perla vita, a cui chiedere supporto e visione di grandi ideali. La grandezza di don Bosco è stata nel suo essere vissuto sempre in sintonia con i desideri profondi e fondamentali dei giovani, del suo tempo e …nostro. Molti di essi lo sentono come un padre, proprio in una società definita come “società senza padre”. Questo perché spesso i padri “moderni” preferiscono essere “amici” dei propri figli e facendo così dimenticano che essi hanno bisogno invece ben di più. Hanno bisogno di un padre, nel campo della educazione ai valori, della disciplina, della perseveranza nei propri doveri, della costruzione del proprio futuro. I giovani lo vedono ancora oggi come un padre che ha saputo captare il bisogno profondo dell’animo giovanile che è fatto di gioco, di festa, di allegria, di gioia, di musica (vedi poster), di canti e dello stare insieme gioioso. Ma non solo. Lo sentono come un maestro di vita che insegna cosa è bene e cosa è male, in un tempo (il suo ma specialmente il nostro) in cui molti genitori rinunciano a questo ruolo, perché mancano di coraggio e capacità di dare buon esempio. «C’è bisogno di indicare il bene ed il male, di operare questa distinzione» (V. Andreoli). Don Bosco ha capito in profondità l’animo giovanile con il suo bisogno di Dio. Non ha avuto paura di additare il grande ideale della santità incoraggiando tutti attraverso la Parola di Dio. Diceva: «Voglio regalarti la formula della santità: Primo: allegria. Secondo: doveri di studio e di preghiera. Terzo: Far del bene agli altri». È stato Domenico Savio, per primo, a mettere in pratica con successo questa formula, ispirando così migliaia di ragazzi in tutto il mondo. Sta qui la grandezza di don Bosco: non solo l’aver dato tutto se stesso, per tutta la vita, per l’educazione dei giovani ma anche l’aver saputo, con intuito e saggezza pedagogica, chiedere e ottenere molto da loro. Seppe scoprire e valorizzare le loro qualità, i loro desideri profondi e li aiutò a realizzarli, con l’aiuto di Dio e di Maria Ausiliatrice. gennaio-febbraio 2017
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ÂŤLa musica dei ragazzi va ascoltata non con le orecchie
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ma con il cuoreÂť (don Bosco)
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CHIESA E DINTORNI
Maria, “Madre di Misericordia” Maria, riempita della misericordia di Dio, diventa misericordia per i poveri e gli oppressi.
«Salve, Regina, Madre di misericordia!». Quando definiamo Maria «madre di misericordia», secondo la bella preghiera di Ermanno di Reichenau, detto “il contratto” o “lo storpio”, uomo di grandi sofferenze, nato all’inizio del secondo millennio (nel 1013), proclamato beato nel 1863 da Papa Pio IX, quel genitivo o complemento di specificazione (“di misericordia”), può avere un valore sia oggettivo che soggettivo. Nel suo senso oggettivo, Maria è madre della misericordia perché è madre di Gesù, che è la Misericordia di Dio incarnata. Nel suo significato soggettivo, Maria è madre piena di misericordia, misericordiosa. Dobbiamo contemplare in Maria tutti e due gli aspetti.
Maria la “graziata”
L’angelo chiama Maria alla sua sublime vocazione dicendole: «Rallegrati, o graziata (kecharitòmene), il Signore è con te» (Lc 1,18). Maria non è tanto la “piena di grazia” (sarebbe stato plerès charitòs, come in At 6,8 riferito a Stefano): è la “graziata”, colei che è stata resa amabile. Maria è fatta bellissima dalla misericordia di Dio. Tante lodi popolari hanno cantato la bellezza di Maria: «Dell’aurora tu sorgi più bella… Bella tu sei qual sole…»; «Immacolata, vergine bella…»; «Mira il tuo popolo, o bella Signora…»: si parla di una bellezza teologica, non estetica, frutto della divina misericordia. Infatti Maria è l’Israele scelto per misericordia, favorito per amore (Os 11,1-
Maria è la donna della gioia che esulta perché Dio è solo immensa misericordia
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nonno, stutudi e corsi gelo del masecondo la mia Chiesa, re…, La mi-
chiesa e dintorni
L’Evangelo della famiglia Carlo Miglietta Gribaudi 2016 pagine 160
Il viaggio di Maria dall’anziana parente Elisabetta, incinta di Giovanni Battista, è missionario e diaconale. Maria è la «serva del Signore» (Lc 1,38) proprio là dove egli vuole essere servito, nei fratelli. Così, alle nozze di Cana, al di là delle valenze tipologiche del racconto, ci colpisce l’attenzione di Maria alle esigenze dei due sposini (Gv 2,1-12). Maria poi, in un brano per noi sconcertante, non esita addirittura a restare solidale con gli altri famigliari peccatori, che vogliono andare a prendere Gesù per portarselo via ritenendolo un pazzoide (Mc 3,31-35). Sotto la croce vediamo la somma compassione materna: quando tutti sono fuggiti, restano con Gesù solo Maria, alcune donne e Giovanni (Gv 19,25).
CARLO MIGLIETTA
l’Evangelo della Famiglia
L’Evangelo della Famiglia
e delinea à della vita uazioni di sortazione ancesco. vvero una alla famiociologica, o di Dio”. ordare che i per meta la nostra
Maria misericordiosa
CARLO MIGLIETTA
a novella , luce per n cui si e”. n. 227
4; Ez 16,8-14). Nel linguaggio della Bibbia “grazia” significa un dono speciale, che ha la sua sorgente nella vita trinitaria di Dio stesso, che è solo amore: frutto di questo amore è l’elezione (Ef 1,2-23). Maria deve quindi “rallegrarsi” (Kàire!), perché è l’incarnazione del Popolo eletto, che deve esplodere di gioia perché è giunto il Messia, come avevano ordinato i profeti: «Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché io vengo ad abitare in mezzo a te!» (Zac 2,14-17; cfr 9,910; Sof 3,14-20; Gl 2,21-27).
MATRIMONIO CRISTIANO E SITUAZIONI DI FRAGILITÀ DOPO L’“AMORIS LAETITIA” DI PAPA FRANCESCO
GRIBAUDI
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Maria teologa della misericordia: il Magnificat
La primitiva comunità giudeocristiana, forse una comunità di anawìm, di poveri, partendo probabilmente da qualche frase proferita da Maria, compone un Salmo proprio per cantare la misericordia di Dio. Luca pone questo cantico sulle labbra di Maria perché pensa che
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esso rispetti pienamente la teologia della madre di Gesù, i suoi sentimenti, il suo stile. Il Magnificat è un grande canto teologico. Quasi tutti i verbi hanno per soggetto Dio che opera con misericordia: Dio «ha fatto» (Lc 1,49.51). Ma il Magnificat è al contempo un inno di liberazione politica e sociale: Maria rifiuta una religione avulsa dalla vita e dalla storia. «Maria ha cantato questo Salmo in nome di tutti quelli che lei personifica, cioè gli uomini e i poveri di Israele, gli anawìm che attendevano la salvezza dal Dio di Abramo, le donne sterili nella prima Alleanza e lo stesso Israele sterile» (E. Bianchi). È davvero strano che tra i tanti appellativi dati a Maria dalla devozione ecclesiale non figuri “Maria la povera” o “Maria sorella e madre dei poveri”! La parte centrale del Magnificat (Lc 1,51-53) è costituita da tre antitesi: la contrapposizione tra i superbi che saranno dispersi da Dio e i timorati di lui, che egli copre del suo amore; tra i potenti che saranno rovesciati e gli umili che saranno innalzati; tra i ricchi che saranno svuotati e gli affamati che saranno invece ricolmati. Questa sezione centrale è preceduta dalla prima parte (Lc 1,46-50), dominata dalla figura di Maria che esulta in Dio perché «di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono», ed è seguita dalla terza parte (Lc 1,5455), che pone in rilievo la figura di Israele, che Dio ha soccorso «ricordandosi della sua misericordia». Le due figure, la prima e l’ultima, si incontrano in quanto sia Maria che Israele sono «servi del Signore». Troppe volte non abbiamo capito che la sequela di Dio è salvezza, è
ma a schierarci come Dio dalla parte degli ultimi e degli esclusi, come lei esultando sempre per la divina misericordia e subito diventando misericordia per gli altri.
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beatitudine, è felicità, è letizia. Troppe volte abbiamo contemplato Maria come Addolorata ai piedi della croce, senza ricordare che le sue uniche parole nei Vangeli sono sempre parole di gaudio, in obbedienza all’angelo che le aveva comandato: «Rallegrati!» (Lc 1,28). Maria invece è la donna della gioia sempre, che «magnifica il Signore ed esulta» (Lc 1,46) perché riflette sull’esperienza storica di Israele, meditando su quello che Dio ha fatto per il suo popolo, e perché contempla ciò che in lei, nello Spirito Santo, Dio sta prodigiosamente compiendo: Dio Salvatore ormai si è incarnato in lei. Ma la donna del Magnificat ci dimostra che la misericordia di Dio non è solo una dolcezza spirituale, ma concretezza d’azione per un mondo migliore. Maria sveglia quindi le nostre coscienze da una religiosità privatistica e perbenistica, e ci invita a non essere mai neutrali,
Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net
è la nostra foresteria per ospitare: singoli, famiglie, piccoli gruppi; pellegrini
Ufficio Accoglienza
tel. 011.5224201 – fax: 0115224680 accoglienza@valdocco.it www.accoglienza.valdocco.it gennaio-febbraio 2017
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chiesa e dintorni
Anno nuovo, vita nuova? Dalla famiglia alla scuola, dai guru della moda ai testimonial della pubblicità, tutti sembrano intenzionati a insegnarci a vivere. Il “maestro” più importante, però, vive nel profondo di ciascuno… «Anno nuovo, vita nuova. Da quest’anno smetto di fare cosa vogliono gli altri e faccio di testa mia!». È l’impegno che ogni trecentosessantacinque giorni – trecentosessantasei negli anni bisestili – un gran numero di uomini e di donne prendono con se stessi man mano che si avvicina lo scoccare della mezzanotte. Una promessa che merita di essere mantenuta, ma ad alcune condizioni... Un esercito di “maestri”
Anche se molti pensano di essere liberi e indipendenti, la realtà dimostra che – dal momento della nascita a quello della morte – si è sottoposti a messaggi che, in modo più o meno subdolo, tendono a orientare la volontà, le aspirazioni e i desideri. “Maestri” di vita che – talora consigliando e indirizzando, talaltra ammiccando o minacciando – inducono le persone a fare ciò essi reputano essere il loro bene. Cominciano, quando si è ancora in fasce, i genitori e i famigliari impegnati a evitare che il neonato caschi dal passeggino e si faccia male e ad insegnargli a distinguere – man mano che acquista consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda – ciò che gli fa bene da ciò che è nocivo. Continuano, negli anni della scuola e 26
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della giovinezza, i professori e gli amici, che – tra una lezione, una pizza e una partita di calcetto – propongono la propria visione della vita e del mondo. Si aggiunge, lungo tutto il corso della vita, l’influenza dei mezzi e delle tecniche di comunicazione sociale: radio, cinema, televisione, Internet e social net-
work propongono instancabilmente – a ritmi sempre più frenetici – suggerimenti, strategie di comportamento, interventi di specialisti, “consigli per gli acquisti” più o meno invadenti per divulgare mode e modi di vivere e di pensare. Si tratta, non di rado, di messaggi in conflitto tra loro. Come
giovani
quando, per esempio, si assiste – nel corso del medesimo intervallo pubblicitario – a uno spot che invita a non rinunciare mai alla bontà di un dolce imbottito di creme e di zuccheri seguito da un altro che esalta l’importanza di una vita sana e senza grassi ed esorta a pranzare a base di barrette dietetiche. A dar retta a tutti c’è il rischio concreto di diventare pazzi... Scavare nel profondo per essere più veri
Di fronte a questa cascata
inesauribile di stimoli e di suggestioni è quanto mai fondamentale imparare a ragionare con la propria testa, a lavorare su se stessi per comprendere sempre più a fondo il proprio essere e la propria vocazione profonda. Non si tratta, naturalmente, di trasformarsi in “schegge impazzite” tese ad assecondare i capricci superficiali del momento ma di diventare progressivamente uomini e donne capaci di scavare dentro se stessi per depurare i desideri profondi da sensazioni, emo-
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zioni e stati d’animo passeggeri e, non di rado, fuorvianti. «Conosci te stesso» era scritto sulla facciata del tempio di Apollo, a Delfi, e non si stancavano di raccomandare Socrate e le scuole filosofiche dell’antica Grecia ai propri discepoli. E il loro ammonimento è ancora attuale. Conoscere se stessi è un lavoro, un cammino faticoso ma essenziale per essere sempre più in grado di valutare consapevolmente se e in quale misura accogliere o rifiutare la miriade di stimoli e di condizionamenti più o meno invadenti e subdoli che provengono quotidianamente dall’esterno. Il sintomo che rivela che si sta “scavando” davvero dentro se stessi e si sta crescendo nella consapevolezza di sé è l’aumento della stima nei propri confronti, la soddisfazione – che si rinnova e si amplifica di volta in volta – per aver saputo dire dei sì e dei no coerenti con il proprio percorso di vita. Imparare a guidare sempre più responsabilmente la propria esistenza e a non diventare pedine nelle mani di chi ha tutto l’interesse a trasformare le persone in “burattini” è, senza dubbio, non solo la sfida di quest’anno, ma di tutti gli anni futuri. EZIO RISATTI PRESIDE iusto REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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chiesa e dintorni
Papa Francesco, Maria e le altre donne Nel mare di pubblicazioni su papa Francesco che inonda le librerie, mancava un testo organico sul suo rapporto con le donne e sul ruolo che esse hanno nella Chiesa di oggi. Spinto dalla dolce insistenza delle suore Paoline e assistito da alcune amiche colleghe (Vania De Luca, Francesca Ambrogetti e Paloma García Ovejero), mi sono allora tuffato nell’inchiostro e ho cominciato a nuotare per raggiungere l’altra sponda, quella – appunto – femminile. Una traversata veloce, che ho compiuto proprio mentre l’acqua si increspava e crescevano le onde del dibattito sulla que-
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stione delle diaconesse, culminato con la decisione di Francesco di istituire un’apposita Commissione di studio. Le donne fondamentali nella vita del Papa
Se è vero che Gesù non è un’idea ma una Persona con cui fare esperienza concreta, così anche gli incontri della nostra vita sono conoscenze che ci segnano e lasciano in noi tracce spesso indelebili. Perciò tutta la prima parte del libro è dedicata alle donne che hanno contato nel cammino esistenziale di Jorge Bergoglio, dalla nonna che gli trasmise la fede alla
suora del catechismo; dall’insegnante di chimica Esther Ballestrino, che finirà tra i desaparesidos per le sue idee marxiste, alla magistrata Alicia Oliveira, impegnata a difendere i perseguitati della dittatura militare. Fino agli incontri di oggi, spesso anonimi ma non per questo meno significativi, come quello con la vecchia missionaria italiana, che si presentò a Bangui, in Centrafrica, dopo un viaggio avventuroso. «Quanti anni ha?» le chiese il papa. «81». «Mah! Non tanto, due più di me». E iniziò così un dialogo breve ma intenso. La religiosa era in Africa da quando aveva 23-24 anni.
La Donna e le donne nella vita della Chiesa
Pensando a donne così papa Francesco può dire che se nella Chiesa non ci fossero più le religiose sarebbe come la Pentecoste senza Maria. «Non c’è Chiesa senza Maria! Non c’è Pentecoste senza Maria! Ma Maria era lì, non parlava fors». E ancora: «La Chiesa è femminile; la Chiesa è donna: non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa. E la consacrazione di una donna la fa icona proprio della Chiesa e icona della Madonna. E questo noi uomini non possiamo farlo». In tale prospettiva si può “osare” immaginare compiti di maggiore responsabilità ecclesiale per le donne. Non si tratta di mascolinizzarle, ma di valorizzarne la specificità, quella sensibilità propriamente femminile che consente di guardare alla realtà in una prospettiva più completa, con maggiore empatia. Bergoglio ha confidato che prima di pren-
dere una decisione importante vuol sempre sentire il parere di una donna, proprio per avere una visione che non sia solo maschile, quindi parziale. Visto dall’esterno sembra un atteggiamento scontato, ma non lo è. Per arrivare a questa decisione il papa deve aver lavorato molto su stesso, lui che è nato e cresciuto in un ambiente impregnato di machismo, in una Buenos Aires dove vigeva il mito dell’uomo forte. Ancora adesso FrancescoJorge Bergoglio propone un doppio binario: una “dimensione petrina” – quella degli apostoli e quindi dei vescovi – e una “dimensione mariana”, che sebbene spiritualmente elevata, nei fatti costringe le donne a una posizione “collaterale” nella Chiesa. Come quadrare il cerchio? Bisognerà affidarsi alla «Vergine che scioglie i nodi», a cui il papa è particolarmente devoto. Enzo Romeo Rai TG2 redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Era venuta fin lì dal Congo insieme a una bambina che la chiamava «Nonna». «E cosa fa lei, suora?» le chiese Francesco. «Sono infermiera; ho studiato un po’, sono diventata ostetrica e ho fatto nascere tremila duecentottanta bambini». Aveva tenuto il conto di tutti i parti che aveva seguito e ogni volta era come se anche lei avesse messo al mondo una creatura. Questa è la fecondità della fede, che diviene segno missionario.
Francesco e le donne di Enzo Romeo Paoline, collana Uomini e donne nella storia, Milano 2016, pp. 192.
Gli incontri, la presenza decisiva, oltre che continua, di donne al fianco di Bergoglio, hanno fatto sì che oggi lui affronti, in maniera anche coraggiosa, il problema del ruolo delle donne nella Chiesa.
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Diventare missionari senza allontanarsi da casa Finanziando borse di studio o di lavoro è possibile prendersi cura dei giovani che abitano le periferie del mondo. Basilica di Maria Ausiliatrice, 11 novembre 1875. Don Bosco, con gli occhi lucidi e il cuore traboccante d’emozione, abbraccia don Giovanni Cagliero e i suoi nove compagni in partenza verso l’Argentina e la Patagonia. Sono trascorsi oltre 140 anni dalla prima spedizione missionaria salesiana e ancora oggi, come allora, centinaia di missionari fedeli al sogno di don Bosco si spingono ai quattro angoli del mondo per dedicare la propria vita ai giovani più poveri ed emarginati.
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Formare buoni cristiani e onesti cittadini
Essere accanto ai missionari salesiani per prendersi cura dei giovani in difficoltà è possibile e più facile di quanto si possa immaginare. Grazie alle adozioni a distanza – infatti – si può cooperare a far “sbocciare” miracoli anche nei luoghi in cui la speranza sembra un miraggio e la povertà e il degrado sociale paiono l’unico orizzonte possibile. «Contribuire a promuovere la crescita
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umana, culturale e cristiana dei giovani nei paesi in cui fame, miseria, guerre e malattie compromettono la vita e il futuro di intere popolazioni – spiega Flor Greco, responsabile dell’Ufficio adozioni a distanza di Missioni don Bosco Onlus – è un modo concreto per offrire loro un futuro di autonomia, dignità e lavoro». Tre sono le modalità attraverso cui scegliere di diventare parte del sogno di don Bosco e di estenderlo fino ai confini del mondo: finanziare borse di studio o di lavoro per i giovani e borse di studio per i futuri missionari salesiani. Attraverso le prime è possibile garantire ai bambini che frequentano elementari, medie e superiori il pagamento della retta scolastica, del materiale didattico e di un pasto quotidiano presso la mensa della scuola. La continuità richiesta è di almeno tre anni e l’impegno economico è compreso tra i 120 e i 360 euro l’anno. Con la medesima cifra è possibile assicurare ad adolescenti e giovani adulti la possibilità di entrare nel mondo del lavoro attraverso la frequenza di corsi di formazione qualificati e l’acquisto degli strumenti necessari per avviare l’attività lavorativa. Con una somma leggermente superiore – pari a 480 euro annui – si può invece dare una mano ai giovani che hanno risposto con generosità alla chiamata del sacerdozio ma non hanno le possibilità per affrontare gli anni di formazione teologica e spirituale necessari a coronare la propria vocazione.
Delle 8.483 borse di studio e di lavoro attualmente gestite da Missioni don Bosco Onlus 4.027 sono a favore dei giovani asiatici che frequentano le 122 case salesiane sorte tra Filippine, India, Thailandia e Nepal; 2.334 sostengono i ragazzi dell’America centromeridionale ospiti delle 53 case salesiane che operano in Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico, Perù e Uruguay; 1.793 aiutano le giovani generazioni africane che ruotano intorno alle 35 case salesiane realizzate in Etiopia, Tanzania, Kenya, Togo, Senegal, Ghana, Sierra Leone, Angola, Mozambico e Zambia; 109 – infine – si prendono cura dei giovani ucraini che cercano il proprio futuro frequentando le 3 case salesiane lì presenti. Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
Un cammino da percorrere insieme
«Decidere di fare un’adozione a distanza – sottolinea Flor Greco – è un gesto che implica grande coinvolgimento e responsabilità. Un atto di carità, d’amore gratuito e concreto che unisce benefattore e beneficiario in un rapporto familiare di scambio reciproco e di grande accrescimento interiore: l’avvio di un cammino da percorrere insieme».
Chiunque desideri sostenere un bimbo, un ragazzo o una ragazza attraverso l’adozione a distanza può mettersi in contatto con:
Anche tu puoi fare qualcosa!
Missioni don Bosco Valdocco Onlus
via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 191 e-mail: adozioni@missionidonbosco.org www.missionidonbosco.org gennaio-febbraio 2017
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Riserbo, il mantello dell’invisibilitá della VDB Una proposta per una maturazione umana e spirituale.
Quando ero adolescente hanno iniziato ad uscire i romanzi sul piccolo Mago Harry Potter, ero entusiasta, sognavo di imitarlo, fare magie come lui, vivere le sue avventure, ma soprattutto di provare un giorno il “mitico” mantello dell’invisibilità... All’epoca forse il mio sogno era radicato nel desiderio di sparire dalle piccole contrarietà quotidiane, o in quello di poter assistere, non vista a cose a me precluse. Ma oggi potrei anche vederlo come una piccola profezia realizzatasi anni dopo quando ho deciso di rispondere alla chiamata di Dio e di iniziare il cammino nelle Volontarie di don Bosco (VDB), scoprendo tra le prime cose che il loro riserbo era «proprio una cosa che non capivo!». Lievito nella pasta
Viviamo in un società in cui l’apparire è tutto, ma proprio tutto quello che ci viene proposto in ogni settore: mettersi in mostra per evidenziare quanto valiamo, quello che sappiamo fare, quello che commercializziamo, il nostro aspetto fisico estremamente curato, le nostre scelte di vita e ogni altra cosa che possa renderci più interessanti agli occhi degli altri. E cosa mi propongono presentandomi l’Istituto?... la scelta di mantenere il riserbo... una sorta di mantello dell’invisibilità, la scelta di non condividere con nessuno la mia vocazione. Siamo nel mondo come il lievito nella pasta, c’è ma non si vede, agisce senza apparire. Inizialmente mi sembrava proprio una cosa strana, un nascondere una lanterna sotto il moggio, ma poi riflettendoci mi sono detta... Harry Potter non ha perso le sue caratteristiche nei momenti in cui indossava il mantello dell’invisibilità, anzi spesso riusciva ad avvicinare meglio le persone e a compiere il bene che si era prefisso. Con gli anni ho iniziato a valorizzare
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questo splendido dono “dell’invisibilità” comprendendo sempre più in profondità le possibilità che il non essere riconosciuta come una consacrata secolare mi offriva; ogni giorno nel mio quotidiano avvicinandomi alla persone ero libera di manifestare il mio pensiero, anche quando questo era contro la mentalità comune, suscitando domande e interrogativi non pregiudicati dal fatto di esser state provocate da una consacrata. Ho indossato il mantello dell’invisibilità anche in momenti in cui sarebbe stato più facile dichiarare apertamente chi ero per difendermi dalle tentazioni che il mondo propone ad una qualsiasi donna giovane; ho indossato il mantello dell’invisibilità perfino in famiglia, non dicendo a loro la mia scelta di vita, ma vedendoli felici di sapere che sono una donna profondamente realizzata; ho indossato il mantello dell’invisibilità per proteggere alcune sorelle, il riserbo è sui membri dell’istituto, non sull’istituto stesso; ho indossato il mantello dell’invisibilità anche quando sapevo di non essere compresa nelle mie scelte, nella mia presa di posizione davanti ad attacchi che compromettevano valori morali indiscutibili, l’ho indossato ed ho scoperto che mi calza a pennello nonostante i cambiamenti di questi anni di vita consacrata.
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cezione di appartenere ad un Istituto di donne consacrate secolari salesiane, che vivono “nascoste” nelle pieghe del quotidiano, che vivono ogni giorno la loro vocazione in un mondo in cui l’apparenza è tutto, vestendosi con un mantello che permette loro di vivere nel mondo ma di non essere del mondo, senza per questo, però, nascondere le difficoltà. In alcuni momenti sarebbe stato anche utile avere un mantello che potesse far sparire tutte le cose difficili . Ho scelto di “indossare il mantello ispirandomi al maghetto”, ma consapevole che le “vere magie”, le vere Meraviglie, le compie il buon Dio ogni giorno anche attraverso questo umile strumento, felice che le persone non vedano me, ma percepiscano una presenza più Alta della mia, una presenza che però ha dato quotidianamente senso al mio agire. Purtroppo non esiste una scuola per imparare a fare queste “Meraviglie”, ma la docilità alla volontà di Dio, al suo voler agire avvalendosi del mio aiuto, il ripetere quotidianamente il mio sì a Lui mi ha permesso di vedere le grandi cose che nonostante il mantello dell’invisibilità Lui riesce a compiere. Una VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net
L’Onnipotenza di Dio
Con il passare degli anni la mia consapevolezza è cresciuta insieme alla pergennaio-febbraio 2017
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LA PAROLA
Nella cripta della Basilica una mostra di presepi da tutto il mondo
Si è chiusa l’8 gennaio la 17a edizione della mostra di presepi a cura del Centro Salesiano di Documentazione Mariana, allestita nella cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice. Un percorso apprezzato per approfondire il mistero del Natale anche attraverso la storia delle sue rappresentazioni. Il viaggio nel mondo dei presepi si apriva infatti con il richiamo storico al presepe di San Francesco d’Assisi, a Greggio nel 1223, ed ai “Vangeli dell’infanzia” di Matteo e Luca. Nella vasta sala, le due bianche statuine di un presepe cinese accoglievano i visitatori contrastando con quelle di legno d’ebano del Madagascar. Essenziali, ma diverse, rendevano bene l’idea dell’esposizione dei 105 presepi. «Venticinque gli espositori: il resto è il patrimonio del Museo Mariano, arricchitosi per do34
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la parola
nazioni, in particolare due, Brandoni e Arcidiacono», evidenziava don Alberto Guglielmi, allestitore della mostra con il curatore don Mario Morra. Molto vario il materiale usato: tela di juta o ceramica, cartapesta o vetro, filo lavorato con l’uncinetto o creta, pietra o resina, cera o legno. Di questo molte le varietà: dagli scarti di falegnameria assemblati in sapiente forma geometrica, all’ebano dell’Angola o della Tanzania, al palissandro del Madagascar, al noce, che in un ceppo scolpito racchiude una Natività. Dal Burkina Faso un presepe in stagno e uno in bronzo, dalla Sardegna uno in ferula e sughero, dalla Palestina in ulivo. Dal Nicaragua e dalla Sicilia statuette in ceramica, dalla Puglia in cartapesta, dalla Liguria in terracotta. Ricchezze di materiali che rispecchiano quelle di un mondo e di una varietà di popoli e culture che ogni anno si uniscono per celebrare lo stesso mistero: quello di un Bimbo fragile e delicato che nel nascondimento e nella povertà si offre a tutta l’umanità per testimoniare l’amore del Padre. Tanti
presepi da conservare nella memoria perché il loro richiamo alla contemplazione, all’accoglienza, al silenzio orante diventi “vita vissuta” ogni giorno di questo nuovo anno. Elena Ala redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Due nuovi libri per avvicinarsi al santo dei giovani Seriamente storico, vivace come un romanzo.
Due libri utili per avvicinarsi al santo dei giovani. Entrambi pubblicati dalla Editrice Elledici in un anno, il 2015, che ha visto festeggiare i 200 anni della nascita di san Giovanni Bosco e confermare il valore e l’alto significato morale dei suoi insegnamenti sempre attuali. Quel don Bosco che, come scrive Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani di don Bosco, nella prefazione alla nuova biografia Don Bosco. Una storia senza tempo, di Domenico Agasso - Renzo Agasso – Domenico Agasso jr, «continua ad affascinare: un santo per sempre e per tutti, senza confini e con tanta storia dentro». Il volume degli Agasso racconta la vita di san Giovanni Bosco con la
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vivacità di un romanzo e con la serietà di una documentazione storica, fedele nei fatti e nelle parole. La narrazione della vita del Santo si intreccia con la storia tormentata della Torino dell’Ottocento, offrendoci un affresco avvincente di un’epoca e il ritratto reale di un personaggio che ha saputo rivoluzionare il sistema educativo con il suo originale metodo preventivo. La biografia è scritta da tre giornalisti maestri del genere biografico, profondamente ancorati ai luoghi in cui è vissuto il santo dei giovani. L’avventura di questo prete, approdato da una cascina del Monferrato nella periferia della Torino neo-industrializzata, si snoda nei quartieri poveri, sulle impalcature dei muratori, nei campi da gioco,
don Bosco ha appreso i valori in famiglia e li ha uniti al suo intelligente sguardo sul futuro
Più agile è il volumetto di Giancarlo Isoardi Di don Bosco si può dire tanto (Papa Francesco), in cui l’autore si appella per il titolo alle parole di papa Francesco, pronunciate durante la sua visita pastorale a Torino, il 21 giugno 2015. In quell’occasione il Pontefice venne a Torino per venerare la Sindone e pregare presso l’altare del santo dei giovani nella basilica di Maria Ausiliatrice in omaggio al bicentenario della nascita di don Bosco. Aveva un discorso pronto, ma non lo lesse perché, disse lui stesso, era «troppo formale». Dopo averlo consegnato al Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime preferì parlare “a braccio”, lasciando che il suo cuore gli dettasse parole cariche di affetto e di riconoscimento per don Bosco e la Famiglia Salesiana. Nei brevi capitoli di questo libro, l’autore, sacerdote salesiano per 38 anni missionario in Amazzonia, pre-
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dentro le carceri, nei salotti bene e negli uffici dei politici. Con un unico obiettivo: cercare di salvare i ragazzi da qualsiasi degrado, lavorando sulla prevenzione e consegnandoli al mondo come “buoni cristiani e onesti cittadini”. In 72 anni e cinque mesi ha segnato la storia d’Italia e del mondo, divenendo “un nome e una garanzia”. I ragazzi di oggi, multitasking e sempre connessi, come i loro coetanei che l’hanno incontrato sanno di poter contare sulle parole e sull’affetto di questo prete che si è definito “uno scherzo della Provvidenza”. Uno scherzo simpatico e geniale. Un prete “senza tempo”.
senta la figura di don Bosco tratteggiandone i valori appresi in famiglia e dal mondo contadino dell’800 astigiano e guardando il santo da una prospettiva particolare: quella di portatore di un messaggio d’attualità per i giovani di tutto il mondo. Arrivato a Torino, don Bosco si è “guardato intorno” e ha scoperto le “periferie esistenziali” della città in piena rivoluzione industriale. Vivendo insieme ai ragazzi e ai giovani poveri ha inaugurato un metodo educativo basato sulla prevenzione e sul recupero dei più emarginati e disperati. Con un gruppo di giovani preti e laici (i salesiani coadiutori) costruisce laboratori, scuole, oratori che dall’allora capitale d’Italia si diffondono in terre lontane dove arriva il suo “sistema preventivo”, basato su “ragione, religione, amorevolezza”. Non a caso don Bosco scriveva: «Presso i ragazzi è castigo quello che si fa servire per tale». Intendeva dire che un castigo è utile quando serve per migliorare le cose e non per peggiorarle. Lo spiega don Isoardi nelle pagine di un libro in cui nella presentazione si legge: «Grosse novità non ci sono... Tuttavia credo che questa pubblicazione potrà essere utile per chi desidera avvicinarsi al santo dei giovani». la redazione redazione.rivista@ausiliatrice.net
Per acquisti e informazioni: Nelle librerie: Elledici, Elledici Point e cattoliche Scrivi a vendite@elledici.org Telefona: + 39 011 95 52 111
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La scuola del lavoro e della vita Da una geniale idea di don Bosco, una soluzione per imparare e trovare, spesso subito, un impiego.
rinese, comprese che l’unica via d’uscita, oltre l’istruzione e l’educazione cristiana, era insegnare loro un mestiere. Lui ne aveva dovuti imparare diversi per mantenersi agli studi, dopo aver lasciato i Becchi per diventare prete. Iniziò proprio a Valdocco, dove tutt’oggi c’è il Centro di Formazione Professionale, impartendo le prime lezioni pratiche: «Guarda come metto questo tacco. Hai visto? Adesso fallo anche tu, vedrai che ci riesci. Io comunque sono qui e ti aiuterò se avrai bisogno». Nacquero così le prime scuole dei mestieri, dove si imparava anche a far di conto, a leggere e a scrivere. Dove si imparava la dimensione spirituale per saper discernere e l’attenzione al prossimo, perché tutti siamo figli di Dio. Imparare un mestiere. E non solo
CNOS FAP è la sigla che indica la formazione professionale salesiana in Italia, la declinazione di un sogno iniziato oltre 150 anni fa da don Bosco. Alla base, una constatazione. A metà dell’Ottocento, a 38
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Torino molti ragazzi, senza lavoro e senza istruzione, cadevano spesso nello sfruttamento, oppure facevano i delinquenti e finivano in galera. Don Bosco insieme a don Leonardo Murialdo, altro “santo sociale” to-
Ancora oggi è così. Ancora oggi i giovani, che cercano una via diversa allo studio scolastico, si rivolgono ai Salesiani per imparare un mestiere, e le loro famiglie si raccomandano perché ricevano un’educazione basata sul “sistema preventivo” di don Bosco. Insomma ancora oggi dai centri di formazione professionale “escono” buoni cristiani ed onesti cittadini. Don Bosco è riuscito ad influenzare anche gli ordinamenti scolastici, tanto che si può assolvere all’obbligo di istruzione
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nella Formazione Professionale, che fa parte del sistema dell’Istruzione, e i corsi triennali, ai quali possono iscriversi ragazze e ragazzi dopo la “terza media”, permettendo di conseguire la qualifica professionale. Non solo: esistono percorsi formativi per giovani e adulti disoccupati od occupati, per migliorare o integrare le proprie competenze, per inserirsi nel mondo del lavoro o per migliorare la propria posizione. Il Piemonte è sempre stato all’avanguardia grazie alla competenza e all’impegno dei politici e dei funzionari che si sono succeduti, che hanno creato un sistema stabile e affidabile gestito dalle istituzioni formative – tra cui anche le Figlie di Maria Ausiliatrice con il CIOFS-FP – che raggiunge oltre il 10% di allieve ed allievi in obbligo di istruzione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: molti allievi trovano lavoro entro un anno dalla qualifica, oppure completano il percorso di istruzione con il diploma del quarto anno, o con il diploma di scuola media superiore.
della sua professione? Sono alcune delle tante domande che sorgono spontanee. Nei prossimi articoli, visiteremo uno per uno i CFP, presentando la loro offerta formativa. Comunque, per avere subito queste e altre informazioni, e per vedere di persona, basta rivolgersi al CFP più vicino a casa, cercandone la sede sul sito internet www.cnosfap.net. Insomma, grazie a don Bosco, ogni giovane può avere un mestiere: elettricista, meccanico dell’industria, meccanico d’auto, carrozziere, grafico, acconciatore, estetista, falegname, termoidraulico, commesso, segretario d’azienda, magazzi-
niere... Per ragazzi e ragazze, per giovani donne e uomini, per adulti disoccupati o occupati, per persone con disabilità, per cittadini italiani e stranieri comunitari e non, c’è soltanto l’imbarazzo della scelta. Antonino Gentile Responsabile Comunicazione CNOS-FAP Piemonte antonino.gentile@cnosfap.net
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ANIMA MGS
L’Arte di Animare / Anima l’Arte
Dove sapere e vedere
Come si fa ad entrare nel mondo della formazione professionale? A chi ci può rivolgere? Quali sono i mestieri che si possono apprendere? Quanto costa? E chi ha abbandonato gli studi? Oppure chi è rimasto senza lavoro? E chi vuole specializzarsi o approfondire un aspetto
http://artedianimare.it info@artedianimare.it
pastorale giovanile
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Mettiamo in pratica
il Sistema Preventivo in famiglia, Ragione che diventa “dialogo” In sintonia con la Strenna del Rettor Maggiore per il 2017 riprendiamo in quest’anno alcuni passaggi del suo intervento tenuto al Colle don Bosco nel 2015 in occasione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice.
Dobbiamo impegnarci a portare il profumo di una nuova umanità, il soffio dello Spirito che fa nuove tutte le cose, attualizzando nei gruppi della Famiglia Salesiana e nelle famiglie una rete di relazioni autentiche, di corresponsabilità e di comunione ispirata allo spirito di famiglia di don Bosco. Ragione, religione e amorevolezza possono essere declinate in dialogo, volersi bene e presenza di Dio.
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Il grande assente in molte famiglie è proprio il dialogo. Ognuno rimane ancorato sulle proprie posizioni. Alcune volte si preferisce fuggire il dialogo per evitare le discussioni. Quante famiglie sono diventate prigioniere dello spirito muto, quello spirito che fa tacere la verità del proprio io, invece di comunicarlo al noi della famiglia. Le relazioni familiari ardono di amore quando ognuno comunica se stesso nella verità, manifestando i propri pregi senza nascondere i propri difetti. Papa Francesco nel bellissimo messaggio inviato per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2015, ci offre degli spunti interessantissimi a cui desidero riferirmi. In primo luogo dichiara che: «La famiglia è del resto il primo luogo dove impariamo a comunicare». E sviluppando la metafora della famiglia come “grembo”, così commenta: «La famiglia è il “luogo dove si impara a convivere nella differenza” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 66). Differenze di generi e di generazioni, che comunicano prima di tutto perché si accolgono a vicenda, perché tra loro esiste un vincolo. E più largo è il ventaglio di queste relazioni, più sono diverse le età, e più ricco è il nostro ambiente di vita... È in famiglia che si impara a parlare nella “lingua materna”, cioè la lingua dei nostri antenati (cfr 2 Mac7,25.27). In famiglia si percepisce che altri ci hanno preceduto, ci hanno messo nella condizione di esistere e di
Verità e intensità degli affetti
Don Bosco ha riconosciuto sempre i grandi valori che aveva attinti nella sua famiglia: la sapienza contadina, la sana furbizia, il senso del lavoro, l’essenzialità delle cose, l’industriosità nel darsi da fare, l’ottimismo a tutta prova, la resistenza nei momenti di sfortuna, la capacità di ripresa dopo le batoste, l’allegria sempre e comunque, lo spirito di solidarietà, la fede viva, la verità e l’intensità degli affetti, il gusto per l’accoglienza e l’ospitalità; tutti beni che aveva trovato a casa sua e che lo avevano costruito in quel modo. Fu talmente segnato da questa esperienza che, quando pensò a un’istituzione educativa per i suoi ragazzi non volle altro nome che quello di “casa” e definì lo spirito che avrebbe dovuto improntarla con la definizione di “spirito di famiglia”. E per dare l’impronta giusta aveva chiesto a Mamma Margherita, ormai anziana e stanca, di lasciare la tranquillità della sua casetta in collina per scendere in città e prendersi cura di quei ragazzi raccolti dalla strada, quelli che le daranno non poche preoccupazioni e dispiaceri. Ma lei andò ad aiutare don Bosco e a fare da mamma a chi non aveva più famiglia e affetti.
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potere a nostra volta generare vita e fare qualcosa di buono e di bello. Possiamo dare perché abbiamo ricevuto, e questo circuito virtuoso sta al cuore della capacità della famiglia di comunicarsi e di comunicare; e, più in generale, è il paradigma di ogni comunicazione».
Educare con la parola e l’esempio
Una manifestazione di questo esercizio di dialogo, che richiama la ragionevolezza tanto cara a don Bosco, è l’autorità che i genitori debbono esercitare nei confronti dei figli e in modo speciale quella legata al ruolo paterno. Il senso del comando e della guida del genitore va prima di tutto esercitato, ma in secondo luogo va anche spiegato, perché educare i figli significa dare l’esempio con la parola e con la condotta di vita. La fede in Dio nasce dal riconoscimento dell’autorità dei figli verso i genitori. Esercitando il ruolo di guide e testimoni, la madre e il padre preparano la via del Signore per i loro figli, indirizzandoli verso la vocazione adulta che lo Spirito Santo invita a riconoscere e accogliere. E quando l’autorità genitoriale viene rifiutata, per i figli è possibile riscattare la propria regalità filiale attraverso il dono del perdono, che è quello scrigno pieno d’oro che fa risplendere il calore della gioia e il fulgore della riconciliazione familiare.
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
Pierluigi Cameroni pcameroni@sdb.org
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don bosco oggi
L’ADMA cresce e si sviluppa Il Vangelo della famiglia sulle orme di papa Francesco. Sempre più vengono segnalate iniziative, incontri, congressi in diverse parti del mondo che testimoniano la vitalità e la crescita dell’Associazione di Maria Ausiliatrice. La presenza di Maria Ausiliatrice è avvertita nell’Associazione dove crescono gruppi, si propongono cammini di fede, si celebrano congressi, si vivono incontri che rinnovano il senso di appartenenza e spingono alla testimonianza del vangelo con il cuore mariano e apostolico di don Bosco. Nicaragua - V Congresso ADMA del Centro America
Attorno al motto «Maria, madre e maestra della famiglia» si è svolto, dal 28 settembre al 1° ottobre in Nicaragua, il V Congresso dell’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice (ADMA) del Centro America. «L’impegno di evangelizzazione dell’ADMA deve essere rinnovato attraverso la famiglia, diventando segni della gioia di essere figli di Dio». L’Ispettore, don Alejandro Hernandez, ha sottolineato il ruolo dell’ADMA nella Famiglia Salesiana, invitando tutti i soci a curare la propria formazione salesiana e mariana e stimolando l’impegno e la responsabilità dei laici nell’animare e promuovere l’Associazione. In tale prospettiva è stato un grande segno di speranza la presenza di alcuni giovani provenienti dal Nicaragua, Honduras e Guatemala. Cordoba (Argentina) II Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice
Dall’8 al 10 ottobre 2016 nel Collegio Pio X di Cordoba si è svol42
Maria Ausiliatrice n. 1
to il II Congresso Nazionale di Maria Ausiliatrice, sul tema Ausiliatrice mostraci Gesù. Vi hanno partecipato 230 persone dei vari gruppi della Famiglia Salesiana. Tre le idee chiave: Eucaristia, Misericordia, Famiglia. 34° Incontro ADMA Nazionale delle Filippine
Il 22 ottobre si è svolta la 34a Convocazione dell’ADMA delle Filippine. Il tema era quello della Famiglia. 17 aspiranti hanno fatto il
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cesco Amoris Laetitia. I soci si confrontano sulla situazione della famiglia di oggi e incoraggiano i giovani a scoprire la gioia di vivere in famiglia con Maria Ausiliatrice. Andiamo nelle scuole e nelle parrocchie salesiane per diffondere la devozione a Maria Ausiliatrice e al Santissimo Sacramento.
loro impegno di adesione all’Associazione. Tailandia
In uno dei suoi viaggi il Rettor Maggiore, Àngel Fernández Artime, ha incontrato il gruppo ADMA della Tailandia. Congo - Adma-Lubumbashi
Ogni mese l’incontro formativo si basa sull’esortazione di papa Fran-
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Giubileo dei clochard (zuppa di legumi e cereali) Curiosando tra i Giubilei… ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
Ingredienti della zuppa di legumi e cereali: • 1hg di ceci • 1 hg di fagioli borlotti • 1 hg di fagioli cannellini, (bianchi) • 1hg di lenticchie • 4 cucchiai di orzo perlato • 4 cucchiai di farro perlato • Una patata e una piccola cipolla • Un rametto di salvia • Qualche fetta di pane raffermo tostato
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Si sono chiuse le Porte Sante a Roma e in tutte le diocesi del mondo. Si conclude anche il percorso della memoria, compiuto attraverso i Giubilei della storia, realizzati malgrado l’alternarsi di bene e di male delle vicende umane: i fasti dell’età barocca, l’anticlericalismo del Secolo dei Lumi. Soltanto il 1800 ha “saltato” il Giubileo, a causa delle guerre napoleoniche. Nel Novecento, funestato da guerre e dittature, gli Anni Santi hanno contribuito a tenere viva la speranza nella cristianità. I Giubilei di questo secolo non fanno ancora storia: sono cronaca. E tra le pagine di cronaca del recente Giubileo merita un ricordo particolare quella dei quattromila clochard, convenuti a Roma da molti paesi europei, il 12 e 13 novembre. È stato uno dei momenti più attesi da Papa Francesco, che, rivelando il proprio sogno di organizzare una Giornata mondiale degli emarginati, ha ricordato loro che la vita può essere bella anche nei momenti difficili, e la dignità della persona consiste proprio
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nel credere sempre nella bellezza della vita, nel continuare a sognare, malgrado tutto. «Chi possiede tutto non è più capace di sognare» ammonisce il Papa ricordando che Cristo ha dato dignità alla povertà, nascendo e vivendo povero. Gli emarginati ci insegnano il valore della solidarietà perché sono sempre capaci di voltarsi indietro, verso chi sta peggio, e di dare un aiuto. Francesco si scusa ancora per non avere sempre detto ciò che avrebbe dovuto dire. A tutti i credenti ricorda che la povertà è il cuore del Vangelo e a nome loro rivolge ai clochard una richiesta di perdono: «Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani, davanti ad una persona povera o ad una situazione di povertà , guardiamo dall’altra parte». Il piatto che presento è ...nato povero, ma oggi non si può considerare tale, visto il prezzo dei legumi! Ammollare per una notte in acqua e bicarbonato i legumi secchi. Per orzo e farro basta un ammollo di mezz’ora. Risciacquare bene i legumi e cuocerli separatamente: due ore i ceci, un’ora fagioli e lenticchie, con una patata tagliata a dadini, 40 minuti orzo e farro. Riunire i legumi cotti in un unico recipiente e continuare la cottura per 15 minuti. Aggiungervi la cipolla , imbiondita a fuoco lento, con due cucchiai di olio e un ciuffo di salvia. Servire con crostini di pane tostato e una spruzzata di pepe.
Nuovo orario S. Messe in Basilica Dal 1 gennaio 2017 entrerà in vigore il nuovo orario Nei giorni feriali sono soppresse le S. Messe delle ore 8.30 e delle ore 11.00. Nei giorni festivi viene soppressa una delle S. Messe del mattino con una nuova disposizione dell’orario. Al pomeriggio rimane invariato.
L’orario definitivo della Basilica risulta essere il seguente: Feriali S. Messe ore 6.30 \ 7.00 \ 7.30 \ 8.00 \ 9.00 \ 10.00 \ 17.00 \ 18.30 La S. Messa delle 17.00 viene soppressa nel mese di luglio e agosto. Rosario ore 16.30 FestivE Messa Prefestiva ore 18.00 S. Messe ore 7.00 \ 8.00 \ 9.30 \ 11.00 \ 12.15 \ 17.30 \ 18.30 \ 21.00 Vespri e Adorazione ore 16.30
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una storia senza tempo ...scritta da maestri del genere biografico, profondamente ancorati ai luoghi in cui è vissuto il “Santo dei giovani”. La narrazione della vita di Don Bosco si intreccia con la storia tormentata della Torino dell’Ottocento, offrendo il ritratto reale di un personaggio che ha saputo rivoluzionare il sistema educativo.
GIANCARLO ISOARDI
SAN GIOVANNI BOSCO
«DI DON BOSCO SI PUÒ DIRE TANTO»
MEMORIE
(Papa Francesco)
Il libro presenta la figura di Don Bosco, tratteggiando i valori appresi in famiglia e dal mondo contadino dell’800 astigiano e definendo il santo come portatore di un messaggio di attualità per i giovani del mondo intero.
Un’opera fondamentale, il racconto in prima persona delle origini della grande epopea salesiana.
VALTER ROSSI
CAMMINIAMO CON DON BOSCO
TERESIO BOSCO
Dieci passi con il Santo dei giovani.
CLAUDIO RUSSO
DON BOSCO, RAGAZZO COME TE Alla scoperta di Giovannino attraverso racconti, riflessioni e attività in un libro-albo a colori.
DON BOSCO. UNA BIOGRAFIA NUOVA
VALTER ROSSI
IMPRESE DA GRANDI CAMPIONI Nove personaggi della Famiglia Salesiana raccontati ai ragazzi.
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