Rivista Maria Ausiliatrice 1/2016

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MARIA AUSILIATRICE R I V I S T A

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB–NO/TORINO

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BOSCO, APOSTOLO DELLA MISERICORDIA

4 CON GESÙ, PERCORRIAMO INSIEME L’AV VENTUR A DELLO SPIRITO! UNA SINTESI DELLA STRENNA DEL X SUCCESSORE DI DON BOSCO

14 V IOLENZA E MONDO GIOVANILE DON TESSORE CI PARLA DELL’EDUCAZIONE MALATA E DELLE RELAZIONI FR AGILI

24 A RTURO BR ACHETTI LA VOCAZIONE DI TENERE TUTTI ALLEGRI

ISSN 2283–320X

GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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Luce,... gioia di Vita

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DA UN'IDEA DI

Luce,... gioia di Vita

CRISTINA VIOTTI

ARTMEDIA

CRISTINA VIOTTI

Sinossi

Una coppia di ragazzini accompagna il pubblico all’interno del Vangelo. Lo spettatore percorre la vita di Cristo dall’annunciazione all’ascensione tramite alcune parabole e miracoli rappresentati in danza. Il tutto è intervallato dal dialogo tra due attori che – nella veste di narratori – rispondono a domande e dubbi dei due ragazzini in maniera molto semplice, attuale e comprensibile a tutti. Il messaggio conduttore del nostro viaggio nel Vangelo è: «Se il chicco di grano non muore non porta frutto» dunque l’Amore da donare, il donarsi e il bene “contagioso” che si propaga dando un nuovo significato ai dolori e difficoltà della vita e il coraggio di affrontarli positivamente. La delicata fusione messa in scena con armonia da Cristina Viotti, delle varie arti dello spettacolo (danza, canto, recitazione, musica, discipline aeree) con la colonna sonora dei Reale (rock band cristiana) aiuterà lo spettatore ad avere una piacevole e serena visione della vita, nonostante le difficoltà e i dolori, portandolo alla consapevolezza di essere amato da Dio individualmente. Disponibile a Torino presso: Libreria don Bosco, via Maria Ausiliatrice 10/A - tel. 011/5216159 Libreria Bell'Anima, via san Donato 43/D - tel. 011/9484565 Libreria San Paolo, via della Consolata 1/bis - tel. 011/4369582 Libreria Paoline, corso Matteotti 11 - tel. 011/535381


Un anno nel segno della misericordia

foto: Mario Notario

Cari amici, di cuore a tutti l’augurio di un Buon Anno: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere su di te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Num 6,24-26). Così la liturgia del primo giorno dell’anno ci offre l’ottica giusta per iniziare questo 2016, anno giubilare, anno di misericordia e di perdono, anno di conversione e di rinnovamento. È la presenza di un Dio che ci ama, ci protegge, ci guida, ci sostiene e ci consola, che dà luce e speranza al cuore e lo apre ai fratelli e sorelle. Qualcuno potrebbe obiettare che non è facile in questo momento guardare con fiducia avanti, visto tutto quello che sta accadendo nel mondo e nella società, e che la speranza rischia di essere un’utopia o un’illusione. È proprio qui la sfida che si presenta oggi a noi cristiani: «nella speranza, contro ogni speranza» (Rom 4,1) siamo chiamati a sperare. Non ci fondiamo su vuote illusioni, ma nella certezza che il Signore è presente nella storia e nella vita di ognuno di noi, invitandoci a guardare avanti verso grandi orizzonte. Il nostro problema è che spesso siamo affetti da una miopia spirituale che non ci rende capaci di vedere oltre a ciò che è immediato e vicino. Già il profeta Osea rimproverava il popolo affermando: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Il nostro sguardo di credenti verso dove guarda? Don Bosco, che ricorderemo il giorno 31 gennaio, è stato capace di guardare in alto. Tutta la sua vicenda, piena di fatiche, di imprevisti, di prove di ogni genere ha un filo conduttore: la piena e totale fiducia nel Signore e in Maria, che lo ha portato a sfidare la storia e la società del tempo fino a osare come lui stesso dice di sé: «nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità» (MB XIV, 662). Come non cogliere l’eco di questa affermazione nell’invito costante di Papa Francesco ad avere coraggio, a buttarsi generosamente, a non avere paura di raggiungere le periferie della società per annunciare il Signore Gesù! Il segreto di questo coraggio di don Bosco è rivelato dal suo terzo successore, don Paolo Albera, che così scrive: «Il concetto animatore di tutta la sua vita era di lavorare per le anime fino alla totale immolazione di se medesimo, e così voleva che facessero i suoi figli. Ma questo lavoro egli lo compiva sempre tranquillo, sempre eguale a sé, sempre imperturbabile, vuoi nelle gioie, vuoi nelle pene; perché, fin dal giorno in cui fu chiamato all’apostolato, si era gettato tutto in braccio a Dio!». Questo segreto si è rivelato vincente in lui e lo può essere anche per noi. A tutti voi un rinnovato augurio di Buon Anno, ricco di quella speranza che si fonda sul Signore e e sull’intercessione della Vergine Maria. Vi ricordiamo nella nostra preghiera in Basilica. DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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A. FERNÁNDEZ ÁRTIME

1 UN ANNO NEL SEGNO DON FRANCO LOTTO

A TUTTO CAMPO 4 CON GESÙ, PERCORRIAMO INSIEME L’AVVENTURA DELLO SPIRITO!

ERMETE TESSORE

DON BOSCO OGGI 16 UNA DISPERSIONE... DA STADIO! LUCIO REGHELLIN 18 I PROFUGHI NOSTRI FRATELLI MARINA LOMUNNO 20 GIULIO VALOTTI, IL COADIUTORE ARCHITETTO

DELLA MISERICORDIA

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FRANCESCA ZANETTI

TEOTIMO VITTAZ

A. FERNÁNDEZ ÁRTIME

LA PAROLA 6 L’ANNUNCIO DEL VANGELO NELLO SPIRITO E NELLA VERITÀ

MARCO ROSSETTI

MARIA 8 IL VERO SIGNIFICATO DELL’OBBEDIENZA FRANCESCA ZANETTI

10 IL GREMBIULE DI MARIA

BERNARDINA DO

NASCIMENTO

GIOVANI 12 MISERICORDIA VOGLIO, NON “FIORETTI”! GIULIANO PALIZZI

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14 VIOLENZA E MONDO GIOVANILE

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Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80

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MARIA AUSILIATRICE N. 1

Progetto Grafico, impaginazione ed elaborazione digitale immagini: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

E. TESSORE

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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MARINA LOMUNNO

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ROBERT CHEAIB

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MARIO SCUDU

CHIESA E DINTORNI 32 MOLTI FRUTTI PER DIO MARIO SCUDU 34 #STOPTRATTA DI POTENZIALI MIGRANTI 36 UN’ONDA DI MISERICORDIA SI RIVERSA SULL’INTERA UMANITÀ

POSTER

CARLO TAGLIANI

ALESSANDRO GINOTTA

38 COME SORGENTE CHE SGORGA TRA LE ROCCE

EZIO RISATTI

40 IMPARIAMO AD AMARE DA DIO ROBERT CHEIAB 42 IL DIAVOLO E L’ACQUA SANTA DIEGO GOSO 44 IL MESTIERE DEGLI ANGELI ANNA MARIA MUSSO FRENI POSTER DON BOSCO: “DIO È SEMPRE MISERICORDIOSO E GIUSTO” MARIO SCUDU

23 M ARMELLATA DI CIPOLLE ANNA MARIA MUSSO FRENI 24 ARTURO BRACHETTI: LA VOCAZIONE DI TENERE TUTTI ALLEGRI

ANDREA CAGLIERIS

26 AVERE TUTTO SENZA AVERE NIENTE UNA VDB 28 ADMAGIOVANI: COS’È ADMA GIOVANI 30 DEVOTI DI MARIA AUSILIATRICE TULLIO LUCCA

RivMaAus

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A TUTTO CAMPO

Con Gesù, percorriamo insieme l’avventura dello spirito! Dalla “Strenna 2016” sulle orme di don Bosco.   All’inizio di ogni anno, sull’esempio di don Bosco, il Rettor Maggiore scrive una Strenna alla Famiglia Salesiana. Nel 2016, don Ángel Fernández Artime, suo decimo successore, ricorda che la vita è il luogo dove tutto si gioca ed invita a un cammino di interiorità e spiritualità. Eccone una sintesi.  La vita è il luogo dove tutto si gioca. Tutti conosciamo bene questa esperienza, con la varietà di cammini e di opzioni che ci si presentano. Ed è precisamente nel cammino della vita dove lo Spirito agisce e, in libertà, bussa alla porta di ogni cuore umano. In una maniera o nell’altra, tutti abbiamo anche l’esperienza di essere dei viaggiatori, specie quando ci sono giornate in cui abbiamo percorso lunghe distanze. Questa esperienza del cammino ci illumina nel capire che cosa può significare percorrere un’avventura nello Spirito. 4

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INTERIORITÀ E SPIRITUALITÀ

Perché e che cosa significa percorrere l’avventura dello Spirito? Anzitutto, è un cammino di interiorià. Però interiorità in noi non è solo un esercizio all’interno di se stessi, per quanto sia un buon esercizio. Per noi, come credenti, è un cammino di spiritualità, una spiritualità che si coltiva e si esprime in alcune modalità. Gesù stesso ha percorso un’autentica “avventura” di apertura allo Spirito. Ha cercato sempre la volontà del Padre che nel suo Spirito lo ha ispira-


A TUTTO CAMPO

L’INTERIORITÀ NON È SOLO UN ESERCIZIO ALL’INTERNO DI SE STESSI, PER QUANTO SIA UN BUON ESERCIZIO. PER NOI, COME CREDENTI, È UN CAMMINO DI SPIRITUALITÀ.

to, accompagnato, provocato, guidato... Lo stesso don Bosco ha vissuto tutta la sua vita aperto allo Spirito, perché il suo desiderio era di rispondere a quello che Dio chiedeva a lui, in se stesso e per i suoi ragazzi. Lo stesso suo cammino percorso a Chieri, le sue ricerche, furono una vera avventura, lasciandosi guidare dallo Spirito. Questo cammino lo condusse lungo gli anni a quella armonia ed unità personale, molto distanti da qualsiasi frammentazione. È lo stesso che avvenne nel Signore Gesù, in Maria di Nazareth – essa visse un’avventura dello Spirito che era un fidarsi di Dio senza sapere quale sarebbe stato il punto di arrivo – e in don Bosco, per il quale il sì allo Spirito fu una reale avventura di vita con incredibili sfide; e noi riceviamo ogni giorno questo invito ad addentrarci in un cammino dello Spirito, nel quale potremo lasciarci accompagnare, condurre e sorprendere da Lui. Un cammino che ha molto dell’“avventura”, in cui non ci sono certezze, ma il cui punto di arrivo è affascinante.

tiate di fare questo cammino insieme. Percorriamo questo cammino insieme! Impariamo insieme, facciamo esperienza insieme, perché questo farà molto bene a tutti. E in questo “tutti”, pensiamo alla Famiglia Salesiana - nelle sue diverse espressioni - come destinataria prioritaria della Strenna, ma pensiamo anche a voi, migliaia e migliaia di giovani, che siete in ogni genere di Paesi, culture e presenze salesiane, animatori di altri giovani, che accompagnerete in questa avventura, in questo cammino da percorrere sotto la guida dello Spirito di Dio che sorprende, stimola, provoca, entusiasma, affascina e accompagna. A CURA DI LORENZO BORTOLIN redazione.rivista@ausiliatrice.net

COME VIVERE QUESTO CAMMINO

Come si esprime e si manifesta questo cammino di interiorità e spiritualità che permette di vivere accompagnati dallo Spirito? Si esprime in una profonda esperienza di fede. Nel coltivare la dimensione comunitaria di questa stessa fede. Crescendo nella misericordia e nella dimensione fraterna della vita. Da ultimo, desideriamo chiedere, in particolare a voi giovani, che ci permetGENNAIO-FEBBRAIO 2016

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LA PAROLA

L’annuncio del Vangelo nello Spirito e nella verità Un nuovo viaggio, il secondo, in cui Paolo desidera fortemente visitare le chiese già fondate: l’azione decisiva dello Spirito Santo lo sospinge però in una missione ben oltre il previsto (At 15,36–18,22). 6

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© Nino Musio

«LO SPIRITO DI GESÙ NON LO PERMISE LORO»

La decisione di rimettersi in viaggio era stata presa da Paolo e Barnaba. Poco prima di partire però un colpo di scena: l’Apostolo lascia lo storico amico e sceglie Sila come nuovo collaboratore. Nella città di Listra, Timoteo si unisce a loro. I tre missionari progettano un itinerario, ma lo Spirito interviene, impedisce di realizzarlo e trasforma quel viaggio in un’impresa di evangelizzazione ben più vasta. Tutto viene manifestato a Paolo nella città di Troade in una visione notturna: un uomo gli chiede di abbandonare il percorso previsto e di recarsi in Macedonia, in Grecia. Un’occasione che gli avrebbe dato possibilità di annunciare il vangelo in Europa! L’Apostolo non esita, si imbarca sulla prima nave e raggiunge la colonia romana di Filippi (49-50 d.C.). Là è fondata una nuova comunità cristiana grazie alla collaborazione di due famiglie: quella di Lidia, commerciante di porpora che ospita i missionari nella propria casa, e quella del carceriere incontrato da Paolo durante una ingiusta prigionia


in quella città. Due famiglie costituiscono il nucleo della prima chiesa europea! Gli esordi sono promettenti, ma a Tessalonica la predicazione conosce forti opposizioni. L’OPERA DEL MISSIONARIO FRA PROVE E DIFFICOLTÀ

Maltrattati da alcuni membri di quella sinagoga, Paolo, Sila e Timoteo arrivano a Berea (50-51 d.C.). Qui la loro predicazione è bene accolta dai Giudei che vagliano l’autenticità di ciò che proclamano alla luce delle Scritture Sante di Israele. Molti di loro e dei pagani dopo aver ascoltato diventano credenti. «Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a sapere che anche a Berea era stata annunciata da Paolo la Parola di Dio, andarono pure là ad agitare e a mettere in ansia la popolazione» (17,13). In fretta l’Apostolo è costretto ad andarsene: i fratelli di Berea lo conducono in salvo ad Atene. Prove e persecuzioni lo accompagnano, ma la passione per Cristo e la tenacia che ne viene, unite alla solidarietà degli amici e alla loro fraternità rincuorano Paolo e lo spingono ancora ed ancora ad annunciare la bellezza del Vangelo. Nello scrivere quanto leggiamo Luca non ha dubbi: l’evangelizzazione dell’Europa è il frutto dell’opera dello Spirito e dell’abilità missionaria di Paolo, ma anche di amicizia, collaborazione e del comune desiderio di testimoniare Cristo!

LA PAROLA

POCHI SI CONVERTONO, NON PER QUESTO PERO IL DISCORSO DI PAOLO FU UN FALLIMENTO, ANZI: LA RISURREZIONE DI CRISTO È ANNUNCIATA SENZA ALCUNA INCERTEZZA CON ARGOMENTI CHE INTERPELLANO TUTTORA UN ANIMO NATURALMENTE APERTO ALLA RICERCA DI DIO.

creato il mondo e l’uomo, ragione per cui noi non gli siamo estranei, ma familiari e lo possiamo cercare. Dio ha dato ordine di convertirsi perché ci sarà un giorno in cui giudicherà il mondo «per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti». L’espressione conclusiva è inaccettabile per il pensiero greco che non ammetteva la risurrezione del corpo dopo la morte: «Su questo ti sentiremo un’altra volta», gli rispondono e senza troppi convenevoli lo congedano. Pochi si convertono, non per questo però il discorso fu un fallimento, anzi: la risurrezione di Cristo è annunciata senza alcuna incertezza con argomenti che interpellano tuttora un animo naturalmente aperto alla ricerca di Dio. È una scelta rispettosa dei cammini e delle credenze religiose di ciascuno, ma che non esita a dire la verità del Vangelo. MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

LA VERITÀ DEL VANGELO

«Possiamo sapere – gli chiedono – qual è questa nuova dottrina che tu annunci?». È la domanda rivolta a Paolo ad Atene da alcuni filosofi che lo ascoltano. Lo conducono così fino all’Areopago, il Consiglio della città, e lo invitano a tenere un discorso in cui l’Apostolo loda il senso religioso degli ateniesi e sostiene di poter svelare quel «dio ignoto» cui loro avevano dedicato un altare: è il Signore che ha GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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MARIA

Il vero significato dell’obbedienza

Conoscere il funzionamento del mondo è utile e importante, ma i criteri secondo i quali vivere, hanno origine “oltre”, fuori dal mondo stesso. Il giorno e l’ora della fine non ci appartengono. MATTEO

È madre di un ragazzo poco più che ventenne, Matteo, sul quale ha esercitato fin da piccolo un ruolo rigido ed autoritario, ritenendo l’obbedienza ed il rispetto massimo dei valori per un figlio. Da parte sua il ragazzo si è sempre dato da fare per essere all’altezza delle aspettative materne: ha conseguito un diploma di perito agrario, si è subito cercato un lavoro, per non pesare sulla famiglia ed opera anche nel volontariato. Margherita è sempre stata fiera di suo figlio o meglio, fiera di essere riuscita a plasmare un figlio secondo i suoi desideri. La sicurezza del suo operato di madre è entrato però in crisi quando Matteo ha iniziato a frequentare una 8

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ragazza conosciuta ad una scuola di ballo perché non corrispondeva alle aspettative che lei si era fatta sull’eventuale compagna di suo figlio. MATTEO “SOTTOMESSO”

Ha iniziato a trovare difetti alla giovane, a criticare l’eccessiva disponibiltà ed obbedienza del ragazzo nei confronti dell’amata, il suo volerla accontentare in tutto... senza valutare che era stata proprio lei ad inculcare nel figlio in modo eccessivo questo tipo di comportamento. Tanto ha fatto, detto e non detto che dopo un anno la ragazza ha lasciato Matteo accusandolo di sottomissione e dipendenza dalla madre. Il ragazzo è così entrato in una crisi profonda, senza però riuscire


Gesù segue il suo invito e compie il suo primo “segno” non come gesto di obbedienza passiva, ma come forma di fiducia verso sua madre, come atto di collaborazione. Margherita invece aveva sempre prevaricato la volontà di suo figlio

MARIA

TORINO

LIBRERIA

SAN PAOLO MARIA AUSILIATRICE D E L L A

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Vademecum del pellegrino della misericordia Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione San Paolo, 2015 pagine 64, euro 1,90

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R I V I S T A

Legge 27–02–2004 n. 46)

art. 1, comma 2 e 3 – CB–NO/TORINO

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BOSCO, APOSTOLO DELLA MISERICORDIA

– D.L. 353/2003 (conv. in

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4 CON GESÙ, PERCORR

IAMO INSIEME

SPIRITO! UNA SINTESI BOSCO L’AV VENTUR A DELLO DON X SUCCESSORE DI DELLA STRENNA DEL

GIOVANILE 14 VIOLENZA E MONDO DELL’EDUCA ZIONE PARLA DON TESSORE CI RELAZIONI FR AGILI MALATA E DELLE

24 ARTURO BR ACHETTI

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LA VOCAZIONE ALLEGRI DI TENERE TUTTI GENNAIO-FEBBRAIO

MARIA ATTIRA LA FIDUCIA DEL FIGLIO

MAMME E PAPÀ SONO LE PERSONE PIÙ IMPORTANTI PER I LORO FIGLI. IL TRUCCO È CREARE UN AMBIENTE IN CUI NON SI SENTANO GIUDICATI E IN CUI IL LORO PUNTO DI VISTA SIA PRESO IN CONSIDERAZIONE.

FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Ha ripensato a come l’evangelico racconto delle “Nozze di Cana” di Giovanni le fosse sembrato un esempio di obbedienza di un figlio speciale come Gesù Cristo, verso sua madre, invece non era stata capace a capirne lo spessore e coglierne il significato profondo. Questo brano infatti è uno dei più difficili del Vangelo, ricco di simboli e segni che Margherita non ha saputo e voluto rilevare. Maria è davvero un modello di madre per tutti noi poiché non si impone a Gesù, non gli chiede nulla apertamente e nel caso del banchetto nuziale a Cana, constata solo che il vino sta finendo, mostrando così attenzione per gli altri, per i loro bisogni, specialmente verso chi è in difficoltà e ci insegna la generosità.

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione

MARIA NON S’IMPONE A GESÙ

perché aveva inteso l’obbedienza come sottomissione, violando così la libertà del ragazzo e la sua individualità psicologica. Con la sua pesante interferenza nel rapporto amoroso del figlio lo aveva ferito profondamente ed ora si rendeva conto di non avergli neppure saputo fornire le armi per difendersi e reagire. Presuntuoso era stato anche il suo voler vedere in Maria il modello di madre che a lei faceva comodo: una madre a cui obbedisce il Figlio di Dio, una madre “potente”. D’ora in avanti avrebbe guardato a lei come modello di disponibilità, comprensione, accoglienza sperando che la Madre celeste l’avrebbe aiutata a ridare gioia, serenità e fiducia a Matteo.

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a difendere ed anteporre i propri sentimenti e desideri a quelli di sua madre ed è caduto in una forma di estrema tristezza ed abbattimento. Sapendo come Matteo ami gli animali Margherita gli ha regalato un cucciolo di cane sperando che potesse bastare a consolarlo; ma è stato inutile perché, ancora una volta ingenuamente e superficialmente ha creduto di potersi sostituire e decidere per Matteo. Allora, finalmente ha iniziato a farsi un po’ di autocritica e a riflettere.

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L’uomo e la donna Non sono angeli Nunziella Scopelliti San Paolo, 2015 pagine 160, euro 10,00 GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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MARIA

Il grembiule di Maria Un giorno di festa. Leggendo attentamente la narrazione di Giovanni delle nozze di Cana ci rendiamo conto che la presenza della “madre di Gesù” non è casuale. Maria partecipa al matrimonio senza essere stata invitata. Gesù ed i suoi discepoli sono commensali solo perché sono stati esplicitamente invitati. Questo significa che gli sposi sono legati da stretti vincoli parentali con la Vergine. Non essendo ospite deve rimboccarsi le maniche e mettersi a completa disposizione della

buona riuscita della festa a cui è legato il buon nome e l’onore di tutto il parentado. GLI SPOSINI

Il silenzio è assoluto a riguardo della loro identità. Secondo la tradizione del tempo lei è una ragazzina di circa quattordici anni, lui un ragazzotto intorno ai diciotto. La mistica spagnola Maria di Agreda sostiene che «sono parenti di quarto grado da parte di sant’Anna». Maria Valtorta identifica la sposa con Susanna, parente o molto amica di Maria; si tratterebbe della stessa Susanna annoverata da Luca fra le assidue discepole di Gesù (Lc 8,3). LA LOCALITÀ DI CANA

Ignota è anche la località geografica in cui si tiene la festa nuziale. Cana in ebraico significa “canna, giunco”. Nelle immediate vicinanze di Nazareth ci sono ben tre luoghi che si identificano nel villaggio indicato dal racconto evangelico. Tutti sono racchiusi nel raggio di quindici chilometri. Sono Kafr Kenna, Ain Qana e Qanat el Galili. MARIA

È interessante notare che nella narrazione Giovanni non chiama mai la Vergine con il suo nome, ma si limita a considerarla come “la madre di Gesù”. Anche se usa nel suo Vangelo per cinque volte il nome Maria e per dieci volte quello di Mariam, questo lo fa non rivolgendosi mai alla Madonna. Nove volte chiama in causa la sorella di Marta, cinque volte Maria di Magdala ed una Maria 10

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MARIA

di Cleofa. Nel calarci dentro all’atmosfera della festa nuziale non dobbiamo sorprenderci dell’eventualità del venir meno della disponibilità del vino. Le nozze ebraiche durano dai tre ai sette giorni, con punte fino a quindici. Tutti i parenti, amici e residenti del villaggio partecipano alla festa. Di conseguenza è difficile prevedere i consumi, soprattutto quelli del vino. La riuscita delle nozze è sempre direttamente proporzionale alla sete soddisfatta dei partecipanti. Un venire meno a questo obbligo suonerebbe a disonore per tutto il parentado. Per questo Maria, sempre presente ed attenta, intuisce la scabrosità della situazione che si è venuta a creare e, senza essere sollecitata da nessuno, prende l’iniziativa. La sua persona risulta essere indispensabile per trovare uno sbocco positivo all’imbarazzante impasse. Il suo intervento attiva Gesù a compiere il suo primo segno messianico. È importante sottolineare che l’evangelista parli di segno e non di miracolo come spesso si sente predicare dimenticando che il segno si radica nella spiritualità mentre il miracolo spesso è avvolto da una coltre magica. Giovanni è al corrente delle sorgenti che gettano vino legate al culto di Dioniso e descritte dai vari Euripide, Plinio, Luciano, Filostrato... IL SERVIZIO NON È PRESENZIALISMO

Con il suo puntuale intervento la madre di Gesù ci dice che per fare del bene non basta essere testimoni, ma bisogna diventare protagonisti in prima persona. Non si può essere cristiani limitandosi ad indossare la

livrea del perbenismo o della filantropia, bisogna cingersi di un robusto grembiule che significa impegno concreto. Per amore vince la riottosità del figlio: «Che c’è fra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4). Il cuore di una madre vigila anche quando il Figlio è troppo preso dalla festa e poco disponibile ad allontanarsi dai festeggiamenti. Dove c’è bisogno una madre entra in azione senza curarsi di nulla. Ella non esita ad invitare i servi: «Quello che vi dirà, fatelo» (Gv 2,5). Coinvolto il figlio, la madre si ritira dietro le quinte. Il grembiule vuol dire servizio, non presenzialismo. L’incidenza del segno è inversamente proporzionale alle chiacchiere, ai dibattiti, alle tavole rotonde ed alle veglie di preghiera. Il «non hanno più vino», esige una risposta altrettanto pronta e stringata: «Attingete ora e portatene al maestro di tavola». Tutto con un semplice sguardo. Tutto ridotto all’essenziale. La carità di Gesù e di Maria è gratuità avvolta da silenzio e da concretezza immediata. Non c’è traccia di interesse e di autoreferenzialità. Nessuno deve dire grazie, perché nessuno si è accorto di nulla. L’ottimo vino frutto di un grembiule attento meraviglia per la sua bontà, scalda il cuore, incrementa l’allegria e, soprattutto, salva il buon nome dei teneri sposini. Maria non manda messaggi mensili ed inviti variopinti. Semplicemente c’è, è presente ed operativa.

AL DI LÀ DEL FATTO STORICO DELLE NOZZE, L’EVANGELISTA GIOVANNI METTE IN EVIDENZA CHE LA PRESENZA DI MARIA ALL’INIZIO E ALLA FINE DELLA VITA PUBBLICA DI GESÙ OBBEDISCE A UN DISEGNO DIVINO.

BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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GIOVANI

Misericordia voglio, non “fioretti”! I DISCORSI DI GESÙ

Nel “discorso della montagna” Matteo (cc. 5-7) raccoglie quelli che sono i «ma io vi dico» di Gesù rispetto all’«avete inteso che fu detto» dell’Antico Testamento. Gesù non toglie la legge ma le da «pieno compimento», cioè ne mette a fuoco l’anima, l’angolatura che la rende non solo norma da osservare ma progetto di vita che responsabilizza. È la grande rivoluzione di Gesù. La legge? Sì, certo. Ma l’uomo da amare viene prima della legge e al di sopra di tutto. La legge viene da Dio solo se è a servizio dell’uomo e mai contro l’uomo. Anche Luca (c. 6) riprende il tema nel «discorso della pianura» e si concentra su alcune affermazioni. PERFETTI NELLA MISERICORDIA

Matteo dice (5,20): «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». Dopo aver descritto alcuni capisaldi della giustizia conclude (5,48): «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Luca a sua volta (6,38): «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». E «come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro» (Lc 6,31). Perché «Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene» (Lc 6,47-48). L’ideale da raggiungere per Matteo è la perfezione di Dio, per Luca invece è la sua misericordia. Ma la conclusione è semplicissima, a prova di ateo: la novità portata 12

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GIOVANI

da Gesù è proprio l’immagine di Dio svelata nella sua anima più profonda, quella di un «Padre misericordioso» (Lc 15) che pur di salvare il più piccolo dei figli è disposto a tutto e basta che questo figlio voglia tornare perché la porta di casa è sempre aperta e tracima di gioia e di festa. Ricordi? «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». E poi «Presto, portate qui il vestito più bello... Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Più di così?! UN CATECHISMO “SENZA PIETRE”

Si passa da una catechesi che privilegia parole come peccato, inferno, paura, divieto, osservanza anche nei minimi particolari, “fioretti”... a un messaggio fresco e liberante: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Solo consegnando Gesù e non formule si può aprire una strada che porta alla fede. Perché la fede è incontrare Gesù e non delle formule. La fede deve affascinare e non indottrinare. La fede non è dare dimostrazioni che Dio

esiste ma che Dio si è fatto uomo e ci ha amato come solo lui poteva fare. La fede è ricordarsi che saremo giudicati sull’amore vissuto e non sui dogmi professati: «Non chiunque mi dice: «Signore, Signore»..., ma colui che fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21). «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Raccontiamo l’incontro con l’adultera quando tutti erano con le pietre in mano pronti a fare giustizia, vittime di una legge miope e discriminante, e di come Gesù con le mani libere ridà dignità a quella donna Nessuno è autorizzato a credersi migliore di lui e arroccarsi dietro leggi da imporre agli altri con minacce varie: «Guai anche a voi..., che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,45). Piuttosto: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,13-15).

GIULIANO PALIZZI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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GIOVANI

Violenza e mondo giovanile La violenza diffusa è un veleno che sta inquinando e pervertendo il mondo giovanile, rendendolo allo stesso tempo vittima e carnefice. Il nostro modo di vivere,a qualunque livello e dimensione, nel tempo è divenuto sempre più competitivo fino a rendere le armi uno strumento normale per difenderci o per far valere le nostre opinioni. Nei mesi scorsi il mondo occidentale è sotto shock a motivo degli eccidi islamici di Parigi, rimanendo però indifferente di fronte a stragi avvenute in altri continenti. Sia carnefici che vittime sono in grande maggioranza giovani. La mano degli assassini non è stata mossa da motivazioni religiose. I servizi segreti francesi hanno rivelato che i jihadisti frequentavano poco le moschee e molto le droghe e gli alcolici in barba ai divieti coranici. Inibiti, immaturi, pieni di paura e rabbia dovuta alla frustrazione della loro esistenza, gli attentatori sono stati facile preda di gente che li ha trasformati in macchine per uccidere, li ha illusi con la promessa di un paradiso popolato da vergini a loro perenne disposizione. 14

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LA PAURA PARALIZZANTE

Nella discoteca parigina Bataclan è avvenuto un massacro bestiale. Da una parte tre giovani arabi armati fino ai denti. Sulle piste da ballo milleottocento giovani fra i diciotto e trentacinque anni. Il risultato dello scontro ammonta a novanta vittime. La paura ha paralizzato le persone rendendole incapaci di qualsiasi reazione. Gelati dal terrore si sono lasciati massacrare come pecore. Di fronte a questi comportamenti vengono alla memoria le profetiche parole dette negli anni Sessanta: «Stiamo avviandoci, ad occhi chiusi, verso un tipo di società in cui una persona motivata e con un’arma in pugno dominerà su mille paurosi in ginocchio». Una giusta paura è segno di responsabilità, mentre il terrore paralizzante è la cartina al tornasole di una società alla deriva. L’incapacità di gestire le emozioni forti in modo responsabile e virile è tipico di un comportamento ammalato. È l’atteggia-

mento esecrato da Nietzsche che vede nel cristianesimo anemico il maggior responsabile di tanta sottomissione. UNA EDUCAZIONE AMMALATA

Il tipo di formazione, in generale, che i giovani ricevono li sta lentamente ed inesorabilmente trasformando in cinici individualisti autoreferenziali incapaci di generare reazioni collettive. La quotidiana esperienza di una vita familiare sempre più anonima e priva di relazioni forti, la dissolvenza della figura paterna dal suo ruolo di guida autorevole, la presenza di modelli materni privi di tenerezza a motivo dello stress generato da una vita frenetica, l’uso acritico e non controllato della tecnologia informatica, la scoperta della realtà virtuale che abilita a sensazioni estreme formano un ingorgo di emozioni destabilizzanti che li gettano in braccio


GIOVANI

all’illusione dell’autosufficienza emotiva ed esistenziale. Al computer sono degli imbattibili protagonisti a tutti i livelli. Nella concretezza della vita sono dei perdenti incapaci di gestire l’imprevisto. Spesso, inconsciamente, attivano dei meccanismi di difesa che li portano ad una forma di schizofrenia di vita in cui il mondo virtuale penalizza e fa percepire la vita reale come un pericolo da eliminare creando mondi esistenziali paralleli e non interagenti fra loro. Nei giochi al computer sono infallibili cecchini di ferocissimi assalitori; nella concretezza della vita sono paralizzati davanti al primo squinternato che li minaccia. RELAZIONI FRAGILI

Lo scorso mese di novembre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulla donna, è stata fatta un’indagine sociologica su un campione di 1400 giovani studenti italiani frequentanti le medie,

le superiori e l’università. Da essa risulta che i nostri adolescenti, impotenti di fronte alla violenza subita, si trasformano in aggressivi, violenti e menefreghisti nel campo delle relazioni sociali. A proposito della violenza sulle donne il trentasette per cento degli intervistati la ritiene un fatto privato che non li riguarda. Il venticinque per cento pensa che la violenza fra le mura domestiche sia un raptus giustificato e legittimato dal “troppo amore”. Il dodici per cento confessa di “alzare le mani” con il o la partner. Il trentacinque per cento ricorre al pesante turpiloquio per offendere il o la partner. Il quattordici per cento ammette di stare nella coppia solo ed esclusivamente per fare sesso. Il ventiquattro per cento dichiara di essere molto geloso, mentre il sessanta per cento lo è “solo un poco”. Solo il quarantacinque per cento rispetta la libertà dell’altro. Viene spontaneo interrogarsi sulla effettiva

capacità di educare le giovani generazioni da parte dei cosiddetti educatori. Fra tanta nebbia assume particolare valenza educativa l’atteggiamento composto e sereno dei due genitori della giovane ricercatrice italiana della Sorbona che hanno trasformato i funerali della figlia in un incontro all’aria aperta di tutte le religioni, di ogni appartenenza politica ed ideologica in nome dei soli valori umani condivisi da tutti. Anche la decisione di papa Francesco di non annullare il suo viaggio in Kenia, Uganda e Repubblica Centroafricana, nonostante gli inviti a desistere da parte dei servizi segreti francesi ed americani per motivi di prudenza e di sicurezza, è un esempio del come dobbiamo testimoniare ai giovani, con i fatti e non a chiacchiere, il nostro dovere ad affrontare la vita a schiena diritta e non in ginocchio, avendo il coraggio di assumere gli inevitabili rischi che ne conseguono. ERMETE TESSORE tessore.rivista@ausiliatrice.net

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Una dispersione... da stadio! La formazione professionale salesiana, che mette al centro l’intelligenza nelle mani dell’allievo, ha come obiettivo oltre ad insegnare un mestiere combattere gli abbandoni scolastici.

Non so se siete mai andati allo stadio. Io qualche volta sì. Sono un tifoso appassionato (non dico di che squadra per non vergognarmi!). Quando la partita finisce occorre affrontare la folla che esce. Qualcuno si alza prima ma è difficile evitare di essere circondati da persone e sentirsi come sardine in scatola. È un fiume di gente; alcuni sono soddisfatti, altri, come capita a me, delusi per l’ennesima sconfitta! L’ultima indagine sulla scuola dice che la dispersione scolastica nelle scuole superiori è di 163 mila ragazzi all’anno (il 27,3% nel 2014/15). È una cosa incredibile! 16

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Significa che con tutti questi ragazzi riempiamo lo Juventus Stadium, il Meazza di Milano e un altro ancora. Ci pensate a quanti ragazzi “escono” senza un titolo di studio e senza una possibilità di andare a lavorare? I MOTIVI DELLA DISPERSIONE

Non so quali sono i motivi di questa dispersione. Forse i genitori che non hanno saputo accompagnare i propri figli verso un metodo e un impegno serio. Forse gli insegnanti che, invece di incoraggiare e aiutare gli allievi a crescere, li hanno etichettati come incapaci. Forse ancora gli


LA SPECIFICITÀ SALESIANA

Io lavoro nella formazione professionale da circa trent’anni. Facciamo periodicamente delle indagini. Lo scorso anno abbiamo avuto una dispersione del 10%. Non è un dato confortante ma siamo molto lontani dalle percentuali che ho indicato prima. Dobbiamo cercare di tendere a zero per aiutare ogni ragazzo a non perdersi. Come fare? Cerchiamo ogni anno di mettere in atto delle metodologie che permettono di ridurre questa dispersione e favorire il successo scolastico degli allievi. Puntiamo a delle metodologie che valorizzino in primo luogo il saper fare, accompagnate dal conoscere e del saper essere. Cerchiamo di aggiornare sempre meglio i laboratori in modo che gli allievi acquistino delle reali competenze per poi trovare un lavoro. Organizziamo degli stage prolungati nelle aziende per creare un ponte tra la scuola e l’impresa, per favorire l’inserimento lavorativo al termine della formazione.

crescita (316 mila iscritti nel 201314), accompagnata da un tasso di successo più che significativo: il 50% dei ragazzi hanno trovato un lavoro, grazie alla formazione ricevuta. «La Formazione professionale ha dimostrato sul campo un’alta capacità inclusiva – ha dichiarato il presidente Isfol, Pier Antonio Varesi – nel contrastare il fenomeno della dispersione formativa. Sempre più giovani, scarsamente motivati dalle metodologie scolastiche tradizionali, vedono in questi percorsi un’ottima occasione per acquisire una qualifica e un diploma professionale spendibili nel mercato del lavoro». Pur essendo un segmento non del tutto conosciuto dai ragazzi e dalle famiglie, i percorsi triennali di formazione professionale si dimostrano molto competitivi e canali di occupazione. Un altro impegno che come Centri salesiani ci siamo dati è quello di sviluppare i servizi al lavoro cioè l’accompagnamento dei giovani al termine degli studi per aiutarli ad inserirsi nel mondo del lavoro e trovare un’occupazione. Vogliamo far sì che i 163 mila ragazzi che escono dalla Juventus Stadium e dal Meazza di Milano non siano in giro a far niente, tristi ed oziosi, ma acquisiscano delle competenze per entrare da protagonisti nel loro futuro. LUCIO REGHELLIN direzionegenerale.piemonte@cnosfap.net

DON BOSCO OGGI

insegnanti che, invece di orientarli per una formazione concreta al lavoro, li hanno orientati per delle scuole teoriche. Forse gli stessi ragazzi che hanno scelto il loro percorso di studio più per seguire i propri amici o la scuola “di moda” che per una scelta consapevole. O forse un altro motivo che voi conoscete meglio di me. Ho letto nei giorni scorsi di un istituto scolastico che ha una dispersione del 50%. Significa che una classe di 20 allievi che inizia al primo anno, si ritrova negli anni successivi solo in 10.

*L’ISFOL - ISTITUTO PER LO SVILUPPO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI LAVORATORI - È UN ENTE NAZIONALE DI RICERCA SOTTOPOSTO ALLA VIGILANZA DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI.

IL RAPPORTO ISFOL*

È stato presentato recentemente a Roma un rapporto sul sistema di istruzione e formazione professionale in Italia. Il dato più eclatante è la GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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DON BOSCO OGGI

I profughi nostri fratelli La risposta dei salesiani piemontesi.

I MIGRANTI SONO NOSTRI FRATELLI E SORELLE CHE CERCANO UNA VITA MIGLIORE LONTANO DALLA POVERTÀ, DALLA FAME, DALLO SFRUTTAMENTO E DALL’INGIUSTA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE DEL PIANETA, CHE EQUAMENTE DOVREBBERO ESSERE DIVISE TRA TUTTI. (PAPA FRANCESCO NEL MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO)

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La prima ad aprire le porte ai profughi è stata l’Opera salesiana di Alessandria: a fine luglio scorso. Quando tutti partivano per le vacanze, ha ospitato 10 giovani profughi sbarcati a Lampedusa dopo un viaggio nei soliti barconi della speranza. Tutta la comunità si è mobilitata: alcune maestre hanno improvvisato un corso di italiano, gli animatori dell’oratorio si sono fatti in quattro per far sentire i giovani a casa loro, le famiglie hanno messo a disposizione tempo e materiale utile. Una risposta corale, che ha fatto da apri pista a tante altre case salesiane del Piemonte che, da ottobre, hanno risposto all’appello del superiore del Piemonte e della Valle d’Aosta, don Enrico Stasi e poi del Rettor Maggiore a far posto nelle case salesiane ai giovani profughi dell’ultima ondata migratoria. «La comunità di Alessandria – dice don Stasi – si è resa subito disponibile ad ospitare un gruppo di giovani profughi: altre case salesiane del Piemonte hanno risposto alla chiamata. Papa Francesco durante la sua visita a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice, il 21 giugno scorso, ha spronato la Famiglia Salesiana ad un cristianesimo che si manifesti in opere chiaramente rivolte ai più poveri e bisognosi. Ancora prima l’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, a nome di tutta la Conferenza episcopale piemontese, il 30 aprile nella festa liturgica di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, aveva lanciato un accorato appello a tutte le congregazioni religiose perché aprissero le loro strutture all’accoglienza. Infine, il nostro

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Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, l’8 settembre nella festa della Natività di Maria, ha inviato una lettera a tutti i Superiori salesiani perché invitassero ad ospitare nelle nostre case i giovani migranti dopo la recente recrudescenza di sbarchi e arrivi via terra. Ecco allora anche il mio invito a tutti i confratelli piemontesi: aprite le porte a qualche profugo, uno o due o tre, giovani adulti o famiglie, per un anno: don Bosco farebbe così e sarebbe fiero di noi. È un bel segno che lasciamo del Bicentenario appena concluso». IN QUALI NOSTRE CASE SI TROVANO

E la risposta non si è fatta aspettare: mentre andiamo in stampa (fine dicembre ndr) sono 19 i profughi giovani, famiglie e tre minori non ac-


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compagnati, accolti finora nelle case salesiane del Piemonte e della Valle d’Aosta. Vengono da Egitto, Ghana, Costa d’Avorio, Mali e Guinea: a Torino coppie di giovani rifugiati sono ospitati a Valsalice, alla Crocetta e al Monterosa di via Paisiello. Ancora: quattro giovani sono alloggiati a San Benigno, due a Novara, una famiglia nell’opera di Vigliano Biellese e una a Trino Vercellese. Gli ultimi arrivati, affidati dall’Ufficio minori stranieri di Torino, sono tre ragazzini egiziani dai 15 ai 16 anni accolti ufficialmente venerdì 21 novembre scorso con una festa nella comunità educativa Harambée nell’Opera salesiana del Valentino a Casale Monferrato. ACCOMPAGNATI PER BENE INSERIRSI NEL TESSUTO SOCIALI

«L’ospitalità dei giovani migranti

adulti segnalati dallo SPRAR, il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati messo a punto dal Governo, e che abbiamo avviato nelle opere piemontesi non è un’accoglienza “assistenzialistica” – precisa don Domenico Ricca, il cappellano del carcere minorile torinese Ferrante Aporti e fondatore della comunità per minori Harambée che sta coordinando per i salesiani l’accoglienza dei profughi – Per questo abbiamo intitolato questa iniziativa Progetto di accompagnamento all’autonomia per la sua valenza educativa. Il percorso prevede un tempo di permanenza nelle nostre opere di massimo 12 mesi (per i minori fino al compimento della maggiore età) in cui i giovani vengono invitati a frequentare corsi di italiano e di formazione professionale in modo da metterli nelle condizioni di inserirsi realmente nel tessuto sociale con la prospettiva – oltre che dell’ottenimento del permesso di soggiorno – anche di un lavoro e di una casa».

OGNUNO DI NOI È RESPONSABILE DEL SUO VICINO: SIAMO CUSTODI DEI NOSTRI FRATELLI E SORELLE, OVUNQUE ESSI VIVANO. LA CURA DI BUONI CONTATTI PERSONALI E LA CAPACITÀ DI SUPERARE PREGIUDIZI E PAURE SONO INGREDIENTI ESSENZIALI PER COLTIVARE LA CULTURA DELL’INCONTRO, DOVE SI È DISPOSTI NON SOLO A DARE, MA ANCHE A RICEVERE DAGLI ALTRI. (PAPA FRANCESCO NEL MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO)

MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Giulio Valotti, il coadiutore architetto A lui si devono tanti interventi e decorazioni della nostra basilica. Eccone un sintetico e affettuoso ricordo.

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IL MONOGRAMMA “MA”

Il professore architetto continua la sua preghiera fissando il bellissimo volto di Maria incoronato. Il 17 maggio 1903 Le era stata infatti posta una ricca corona dal delegato del pontefice Leone XIII, il card. Agostino Richelmy, arcivescovo di Torino, a soli 35 anni dall’esposizione dell’immagine, contrariamente alla tradizione, che richiede almeno siano passati 100 anni. Questo ricordo suggerisce al signor Giulio di porre sopra le parti laterali del presbiterio eleganti pannelli incorniciati di bronzo con fondo di onice, il monogramma MA (Maria Ausiliatrice) ornato di corona regale, con una terza corona in cima al timpano in una splendida raggiera dorata. Maria è regina potente, ausiliatrice. Tutti i cristiani la invocano loro Madre. Il nostro confratello conosce bene la storia della Chiesa. Sa che in tutti i secoli famosi santi hanno fondato ordini religiosi per tener desta la fede e la devozione a Maria. Per questo crede opportuno fissare sedici tondi bronzei con il volto dei santi

DON BOSCO OGGI

Ero ragazzo studente, qui a Valdocco, nel 1951. Con i compagni, terminato il pranzo, raggiungo il cortile “don Bosco”. Secondo la consuetudine trasmessa da Lui, sto salendo i gradini per entrare in chiesa e fare una visita a Gesù Eucarestia. Accanto a me sale pure, quel pomeriggio, il salesiano coadiutore Valotti Giulio: architetto, alto, dal volto leggermente allungato da un pizzetto scuro, tutto compreso in sé stesso. Sono trascorsi 65 anni e ora conosco tante sue notizie. Quel pomeriggio il signor Giulio entra in chiesa, si inginocchia nella navata centrale e con il capo tra le mani, si raccoglie in preghiera. Alza gli occhi al Tabernacolo incastonato nel monumentale altare. Dopo, con gli occhi pieni di gioia, fissa la Vergine del maestoso quadro del pittore Tommaso Lorenzone (1824-1902).

sui due grandi architravi di sostegno, affinché ogni pellegrino che entra nel santuario possa vederli e ricordarli. DODICI SANTI “MARIANI”

Tutto questo però non è sufficiente. Proprio all’altezza delle grandi tribune, vicino a Maria Santissima, da una parte e dall’altra del quadro, si vedono due arcatelle in marmo verde di Issorie (Châtillon, Valle d’Aosta) con lunette bianche scolpite in alto­rilievo, con due angioletti i quali sostengono gli stemmi della Pia Società di San Francesco di Sales e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il signor Giulio ricorda benissimo che don Bosco considerò sempre queste due famiglie religiose, da lui fondate, come due monumenti viventi in ringraziamento e lode a Lei, l’Ausiliatrice. Proprio lui, d’altra parte aveva manifestato al pittore Lorenzone il desiderio di vedere dipinto attorno alla Vergine un bel coro di santi innamorati di Lei e modelli per i fedeli. L’architetto perciò ricava su

TEOTIMO VITTAZ redazione.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA E DINTORNI

due pilastri di marmo prezioso, di dieci metri di altezza, 12 nicchie per porvi 12 santi “mariani”. Il più antico è san Efren, l’arpa dello Spirito Santo, morto nell’anno 373, e la più recente è santa Bernardetta Soubiroux, la veggente di Lourdes. LA NUOVA CUPOLA

Intanto il nostro coadiutore fissa la statua di don Bosco, che è rappresentato con il braccio destro alzato per indicare Maria e sul sinistro porta in offerta un modellino della sua basilica. In quell’attimo rivede tutta la vita del Santo, il quale dichiarava sempre: «Tutto fu fatto da Maria; ogni pietra è una sua Grazia». Nessuno può contare le notti insonni del Valotti, meditando e inventando tanti particolari, che poi realizza con tanto entusiasmo. Mai dimentica che quanto costruisce è la Casa di Maria. C’è bisogno di un tetto elegante! Ecco una nuova cupola di 12 metri di diametro, con sedici angeli che cantano le glorie di Maria, sempre con i titoli delle litanie lauretane. Ma se si esalta la Madre, non si può trascurare il Figlio. Egli, presente e vivo nel Santo Tabernacolo, è Bambino nelle braccia della Madre nel grande quadro e come Ostia Santa nel grande Ostensorio ai piedi della cupola. Il signor Giulio è soddisfatto della revisione del suo lavoro compiuto tredici anni prima. È stanco, ma vuole ammirare e pregare ancora.

LA GIOIA, DOPO LA GUERRA

Subito la memoria gli presenta un terribile spettacolo di distruzione. L’8 dicembre 1942 una bomba piomba di fianco alla sua cupola, sbriciolando il TeatroVecchio di don Rua. E lo spostamento d’aria manda in frantumi le belle vetrate delle due cappelle, che rappresentano salesiani famosi dei primi tempi. Poi, i disastri compiuti nei dintorni di Valdocco inducono il Rettor Maggiore, don Pietro Ricaldone, a mettere al sicuro i “tesori di tutti”. Vengono quindi arrotolate le grandi tele di Tommaso Lorenzone e assieme ai sacri corpi di don Bosco, di madre Mazzarello, di Domenico Savio e di don Giuseppe Cafasso, portate in segreto fino ai Becchi di Castelnuovo. Immaginiamo la sofferenza del signor Giulio e quella dei fedeli. Poi, al nostro, sembra di rivivere quel 4 maggio del 1945, quando il quadro di Maria Ausiliatrice torna intatto al suo posto e così pure quello della Santa Famiglia. Il 13 maggio tornano le salme dei santi. La chiesa è di nuovo lei, affascinante, satura di devozione. I fedeli ritornano, cantano, chiedono grazie, ringraziano. E lui? Si rimette in ginocchio. Ringrazia e torna al suo lavoro. Il Signore gli concederà ancora due anni di vita. L’11 gennaio 1953, nella casa salesiana di Piossasco, andrà a trovarla, per rimanere con Lei, tanto amata, per l’eternità.

Foto di alcuni particolare delle decorazioni scattate dal signor Mario Notario SDB

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TEOTIMO VITTAZ redazione.rivista@ausiliatrice.net


POSTER

Don Bosco: «Dio è sempre misericordioso e giusto MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

COMPRESI CHE L’AMORE E LA MISERICORDIA È L’ATTRIBUTO PIÙ GRANDE DEL SIGNORE. ESSO UNISCE LA CREATURA AL CREATORE. L’AMORE PIÙ GRANDE E L’ABISSO DELLA MISERICORDIA LI RICONOSCO NELL’INCARNAZIONE DEL VERBO, NELLA REDENZIONE DA LUI OPERATA (S. FAUSTINA KOWALSKA).

Il Giubileo della Misericordia, voluto da Papa Francesco, è in pieno svolgimento. Non solo a Roma ma in tutto il monto cattolico sta portando frutti di conversione e di ripartenza spirituale comunitaria e personale. I fedeli sono invitati e aiutati a capire di Dio, quello che comprese e descrisse una santa moderna, Faustina Kowalska (1905-1938): «Compresi che l’Amore e la Misericordia è l’attributo più grande del Signore. Esso unisce la creatura al Creatore». Nel documento di indizione il Papa ha scritto: «La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita». E non può essere altrimenti. Si è santi quando si crede totalmente all’amore di Dio per ciascuno di noi e questo amore viene tradotto in opere di misericordia, ogni giorno, a beneficio del prossimo. Questo è vero anche di don Bosco. Egli è conosciuto nella Chiesa non solo come colui che ha ripreso e diffuso la devozione a Maria Ausiliatrice, ma è ricordato anche come apostolo del Sacramento della Riconciliazione. Per don Bosco, la confessione (insieme alla Comunione) era uno dei due pilastri del suo Sistema educativo, chiamato Preventivo: per lui questo sacramento era un mezzo efficace per far capire ai ragazzi l’amore di Dio e la sua continua misericordia per ciascuno di loro. Nel 1846 don Bosco, in un suo libretto, scrisse: «Iddio usa ogni giorno misericordia a’ giusti ed a’ peccatori... O misericordia di Dio, noi v’imploriamo non solo per noi, ma per tutte le umane creature». L’occasione per l’opuscolo gli fu offerta da una iniziativa della marchesa Giulia di Barolo (1785-1864, venerabile), che, nutrendo una personale devozione alla divina misericordia, voleva diffonderla non solo nelle sue comunità religiose, ma anche tra il popolo, nelle parrocchie. Silvio Pellico, estimatore ed amico di entrambi, suggerì al santo, giovane sacerdote, un opuscolo di sostegno. Il titolo fu: Esercizio di devozione alla Misericordia di Dio. Nel libretto si rifece alla dottrina corrente improntata a Francesco di Sales, ad Alfonso de’ Liguori e altri. Egli soprattutto invitava alla fiducia in Dio, non solo ma anche alla confidenza in lui, suggerita questa dalla sua misericordia che doveva portare alla conversione. Insisteva inoltre ed in vari modi sul senso della urgenza di questo ritorno a Dio affermando: «Dio è sempre misericordioso e giusto». E di questa misericordia, secondo il Santo dei giovani, non solo i ragazzi ma tutti devono saper approfittare, in ogni momento della vita. È un bel messaggio sempre, ma specialmente oggi in questo Giubileo della Misericordia. GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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Iddio usa ogni giorno misericordia ai giusti ed ai peccatori... O misericordia di Dio, noi v’imploriamo non solo per noi, ma per tutte le umane creature» (San Giovanni Bosco, 1846).


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POSTER

Padre di grande misericordia ascolta la nostra voce, Signore nostro Dio. Abbi pietà, facci grazia abbi compassione di noi. Accogli con misericordia e con gradimento la nostra preghiera e la nostra supplica, poiché sei Padre, pieno di grande misericordia sei tu, da sempre, e così non torneremo a mani vuole dalla tua presenza. Poiché un Dio che ascolta la preghiera e la supplica sei tu. Benedetto tu, Signore, che ascolti la preghiera. Preghiera ebraica

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Marmellata di cipolle

ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Domenica 27 settembre 2015 la Messa delle ore 12 al Colle don Bosco non è iniziata con il solito canto di ingresso, ma con il Silenzio, suonato dalla Fanfara degli Alpini, convenuti da tutto il Piemonte, per celebrare, con il raduno, il Bicentenario della nascita del Santo. Dopo i cori eseguiti sul sagrato, sono entrati nella Basilica superiore, portando con orgoglio il cappello in testa e sostando, con la bandiera italiana e gli stendardi accanto all’altare. «Meno male che i riva j’Alpin!» (meno male che aarivano gli alpini), ha esordito il celebrante mons. Tommaso Ribero, anche lui ex alpino. Nell’omelia ha sottolineato la simpatia di cui gode il Corpo degli Alpini, considerati dalla gente difensori della Patria e dei valori morali, ma anche indispensabili soccorritori nelle calamità naturali, oltre che piacevoli compagni di banchetti. Il coraggio e il sorriso con cui operano li fanno sentire vicini e amici in ogni circostanza. Solenni, nelle loro divise, nella preghiera dei fedeli hanno ricordato i compagni che sono già andati avanti, invocando poi sicurezza e benessere per il nostro Paese, lungimiranza nel progettare il futuro senza rifiutare il passato, capacità di usare strumenti nuovi per trasmettere ai giovani valori umani e cristiani. Non poteva mancare, dopo la parentesi sacra, quella conviviale al ristorante Mamma Margherita! La ricetta che segue è degna del Corpo degli Alpini, perché la marmellata di cipolle accompagna tipici formaggi di montagna, che si consumano innaffiati da buon vino...

Affettare sottilmente le cipolle, coprirle con lo zucchero, il vino e l’aceto. Lasciare macerare per qualche ora, quindi cuocere a fuoco lento per un’ora o più, fino a che non saranno disfatte.

1 Kg di cipolle rosse di Tropea 2 hg di zucchero di canna ½ bicchiere di aceto bianco 1 bicchiere di vino bianco GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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Arturo Brachetti: la vocazione di tenere tutti allegri

ARTURO BRACHETTI NASCE A TORINO IL 13 OTTOBRE 1957 E IMPARA I GIOCHI DI PRESTIGIO DA UN PRETE ILLUSIONISTA. A 15 ANNI INVENTA IL SUO PRIMO NUMERO DI TRASFORMAZIONI E A 20 ANNI È GIÀ ATTRAZIONE VEDETTE AL PARADIS LATIN DI PARIGI. È CONSIDERATO UNO DEI PIÙ ACCLAMATI PERFORMERS DEL PIANETA TANTO CHE IL GUINNESS BOOK OF RECORDS LO ANNOVERA COME IL PIÙ VELOCE TRASFORMISTA DEL MONDO.

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Tutto è andato di corsa come i suoi cambi d’abito: il collegio salesiano di Lanzo, l’aspirantato a Chieri in cerca di una vocazione che alla fine non c’era, l’incontro alla casa alpina di Gressoney con don Silvio Mantelli, in arte Mago Sales, che lo aiuta a trovare la sua strada: «Mi mise a disposizione la sua stanza piena di giochi di prestigio: è con lui che mi sono fatto le ossa. In tutte le strutture salesiane dotate di palcoscenico per l’attività teatrale l’illusionismo è visto con favore: non per nulla don Bosco è considerato il patrono degli artisti di strada». Arturo Brachetti oggi riempie i teatri di New York, Parigi e Pechino ma non ha dimenticato che l’irresistibile ascesa verso il paradiso colorato della metamorfosi e l’ossessione allegra per il mutamento di identità che hanno fatto di lui il Leopoldo Fregoli del Terzo Millennio le ha imparate anche a Valdocco, all’ombra del Santuario di Maria Ausiliatrice. UNA BACCHETTA CONTRO LA POVERTÀ

«Essere preti tristi non ha senso. Lo diceva anche don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri». Così si presenta don Silvio Mantelli, lo scopritore di Arturo. “Prete per vocazione, mago per passione”, è l’anima della Fondazione Mago Sales che negli anni ha realizzato villaggi in Africa e Asia, scuole in Uganda e Madagascar, aiutato

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oltre 4000 bambini costretti a fare i soldati o gli schiavi. Racconta Brachetti: «Mi affascinava il precetto che don Silvio mi ripeteva sempre: “Nella vita non è tanto importante la vocazione da prete, quanto averne comunque una. E se la tua è quella di far sorridere la gente, seguila credendoci sino in fondo”. Così ho fatto». Ospedali, comunità, associazioni. Don Silvio parte dal suo Museo della Magia di Cherasco, nel cunee-


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se, e va in giro per le strade infelici del mondo a portare un sorriso. Ogni Paese un incontro, un progetto, un’idea concretizzata anche grazie all’aiuto silenzioso di amici come Arturo. È questa la vera magia. LE MAGIE DI DON BOSCO

«Anche se è difficile credermi – è scritto nelle Memorie autobiografiche di san Giovanni Bosco –, a 11 anni facevo giochi di prestigio, il salto mortale, camminavo sulle mani, saltavo e danzavo sulla corda come un saltimbanco professionista». Non è un mistero: Giovannino era abilissimo nel carpire i segreti ai vari acrobati che incontrava nelle fiere dell’Astigiano. E, tornato a casa, si esercitava a ripetere quei numeri finché non era in grado di organizzare lui stesso esibizioni funamboliche. Questo aspetto di don Bosco esce fuori anche spulciando la ciclopica raccolta di testimonianze storiche messe insieme da don Giovanni Battista Lemoyne. All’entrata in seminario, fece assoluto proposito di rinunciare a quei giochi: fu il suo direttore spirituale don Cafasso a raccomandargli di continuare. E, in effetti, le cronache narrano del suo talento d’intrattenitore nelle feste dei chierici e, più tardi, nell’oratorio da lui fondato. TANTO PER CAMBIARE

Tra infiniti stracci, piume, copricapi, ventagli, strumenti della “grande magia” che lo fanno diventare in

pochi attimi un cinese, un nuotatore, un clown, Arturo ha trovato il tempo di scrivere un romanzo autobiografico, “Tanto per cambiare” (Baldini e Castoldi Editore). In quelle pagine c’è tutto Brachetti. Mille volti o, pirandellianamente, mille maschere. Del suo rapporto con la fede dice: «Più che in una singola confessione credo nell’esistenza di un Dio: tutte le religioni hanno in fondo lo stesso messaggio di amore. Credo in Dio, nell’uomo, in me». Il prodigioso caleidoscopio di caratteri che sbalordisce, ipnotizza, incanta e ha già un erede: Luca Bono, giovane di Chieri con la passione sin da piccolo per l’illusionismo. La tradizione di meravigliare e meravigliarsi continua. ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net

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DON BOSCO OGGI

Avere tutto senza avere niente Una Volontaria di don Bosco racconta come si è fatta amica di una Mamma che ha un Figlio che salva tutti.

Non c’è stato un colpo di fulmine, ma una simpatia che a mano a mano è diventata sempre più grande. Da piccola, quando frequentavo l’asilo delle suore in un piccolo paese del Sud, mi piaceva sentire parlare di Gesù. Era un personaggio che mi affascinava, erano le favole (allora le chiamavo così) che amavo ascoltare. Poi, mi piaceva andare con mia nonna in chiesa a recitare i rosari, anche se regolarmente mi addormentavo. Ricordo, però, la dolcezza e la tenerezza che mi invadevano al sentire le voci che si rivolgevano alla mamma di tutti, una mamma che aveva un figlio che salvava tutti... Una mamma così bisognava farsela amica! Ho iniziato a vivere la conoscenza di Gesù così, come una favola, una

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favola che crescendo ha preso il sapore della realtà. Come dicevo, non è stato un colpo di fulmine: non sono stata attratta dal farmi suora, e nello stesso tempo non mi attirava neanche sposarmi. Che cosa volevo dalla vita? Una vita in famiglia, come quella che vivevo, con alti e bassi, dove si affrontavano insieme i problemi e le sofferenze, una famiglia che si stringeva per fare muro contro le avversità della vita. Maria era la nostra forza, si pregava Lei! Niente di eccezionale. Tutto nella norma. Un tran tran che mi piaceva. NON SI COMPRENDE SUBITO

Un giorno, una mia amica mi invita a partecipare ad un week-end vocazionale. Ho accettato. Ho ascol-


tato. Sono tornata a casa chiedendomi che cosa avevo vissuto. Non avevo vissuto e capito molto: è stato un po’ avvilente, mi sono sentita una stupida. Oggi penso che quel non capire chi parlava la mia lingua, era un rifiuto di quello che il mio inconscio aveva ben capito. E siccome non avevo capito, la mia testardaggine mi ha fatto continuare a seguire i successivi week-end fino a quando ho sentito che ci stavo bene, che avrei potuto davvero amare Gesù seguendo un percorso, imparando a conoscerlo: non si può amare chi non si conosce. Così, dopo tre anni, ecco il mio primo “sì” ad essere Volontaria di don Bosco, e dopo altri sei anni, il mio “sì” definitivo, detto anche perpetuo.

a loro agio, affronterò con ottimismo le difficoltà cercando di superarle con creatività e flessibilità; avrò una profonda fiducia in Dio e un ascolto profondo della sua volontà. Accetterò la quotidianità con gioia per fare cose ordinarie di passione, di amore che appaga. UNA VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net

LE VDB SONO DONNE CONSACRATE SECOLARI SALESIANE. VIVIAMO NEL MONDO CON RISERBO, SENZA COMUNICARE LA NOSTRA CONSACRAZIONE SE NON CON LA NOSTRA TESTIMONIANZA DI VITA. IL NOSTRO STILE È ESSERE NEL MONDO MA NON DEL MONDO. PER CONTATTARCI PUOI SCRIVERE A formazione.vdb.to@gmail.com

Libreria Elledici Torino – Valdocco

I VOTI? BASTA VIVERLI

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BOSCO, APOSTOLO DELLA MISERICORDIA

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione

I primi anni sono stati ricchi di incontri di formazione, pieni di letture. Annotavo le frasi più belle, i concetti più astrusi... Alla fine, i princìpi sono diventati chiari e semplici per vivere i voti che avevo fatto. Voti tutti più difficili a parole che a viverli. Castità significa amare Dio, è sapere che Lui mi ama e che io amerò gli altri sempre di più con amore indiviso. Obbedienza: fare la volontà del Padre; quando lo ascolto, diventa anche facile. Povertà vuol dire non attaccarmi alle cose, alle mie idee. La Misericordia di Dio mi rende libera da attaccamenti e possessi vari: abiti, cose, soldi, gioielli... Significa dare il giusto valore alle cose senza farmi dominare da loro, vivere in modo sobrio, scegliere di essere libera in Lui. Missione: andrò dove Lui mi manderà, non dove vorrò io! Poi, ci sono voti specifici per le Volontarie di don Bosco. La secolarità: vivere nel mondo per poterlo cambiare dal di dentro, riconoscendo tutte le cose buone fatte dal Signore. Salesianità: avrò un occhio attento ai giovani mettendoli sempre

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IAMO INSIEME

SPIRITO! UNA SINTESI BOSCO L’AV VENTUR A DELLO DON X SUCCESSOR E DI DELLA STRENNA DEL

GIOVANILE 14 VIOLENZA E MONDO DELL’EDUCA ZIONE PARLA DON TESSORE CI RELAZIONI FR AGILI MALATA E DELLE

24 ARTURO BR ACHETTI

ISSN 2283–320X

LA VOCAZIONE ALLEGRI DI TENERE TUTTI GENNAIO-FEBBRAIO

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ADMA Giovani: cos’è L’ADMAGiovani è la proposta di un itinerario di vita cristiana: vivere con Maria Ausiliatrice l’esperienza della fede, dell’amore del Padre, dell’opera redentrice del Figlio, della potenza dello Spirito Santo, mettendosi al servizio del vangelo e della Chiesa. Appartenere all’Associazione è per i ragazzi e i giovani dell’ADMA la riposta ad una chiamata di Maria Ausiliatrice, che impegna a vivere la propria fede e il cammino di maturazione umana e cristiana in spirito di amicizia e di impegno, di fede e di carità, di testimonianza gioiosa e di donazione generosa, assimilando i contenuti, lo spirito e lo stile del Sistema Preventivo di don Bosco. Riportiamo alcune testimonianze di giovani che domenica 25 ottobre 2015 a Torino, nella basilica di Maria Ausiliatrice, hanno espresso il loro impegno di adesione all’Associazione.

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ALESSANDRO

«Cosa significa per me l’impegno nell’ADMA? Potrei argomentare quello che significa per me con tante parole più o meno profonde sul perché di questo passo. Molto più semplicemente preferisco ricordare questo passo come il momento in cui ho smesso di tenere la mano di Maria, che, in qualche modo, mi ha raccolto molto tempo fa per portarmi con sé su questa strada. Il mio smettere di tenerle la mano non vuole però prendere un significato negativo di distacco o di pentimento, semmai una scelta consapevole nel voler camminare con lei, nel pieno affidamento, nel seguirla e nel permettere che le sue mani oggi, insieme alle mie, raccolgano altre persone. Sicuramente in questo lasciarci la mano e nel continuare a camminare insieme, ci siamo anche scambiati un sorriso».


DON BOSCO OGGI

TERESA

«L’impegno ADMA per me non è stato il culmine di un percorso di preparazione, non sento di avere qualcosa in più che mi rende degna di far parte dell’Associazione. Anzi, è proprio per avere un “di più” nella mia vita che ho deciso di compiere questo passo: l’impegno per me rappresenta l’inizio di un cammino di avvicinamento a Maria, in modo da sentirla sempre più madre premurosa, presente e operante nella mia vita. La mia identità cristiana è stata ulteriormente confermata con l’impegno concreto e “ufficiale” di mettere al centro della mia esistenza Maria e Gesù Eucarestia!». GIULIO

«Un’immagine che da sempre mi appassiona è quella del viaggio, ed è quella che userò per spiegare il più concretamente possibile il percorso che mi ha portato a fare l’impegno ADMA. Un impegno presuppone sempre delle scelte. Nel tempo odierno, è sempre più difficile fare delle scelte (di qualunque natura). In un viaggio metaforico si decide la dimensione del bagaglio, cosa metterci dentro e così via... bisogna poi vedere il mezzo di trasporto con cui si compie il viaggio. Si dice però che la vita è un cammino, e quindi che fatica portare il peso dei bagagli! Assodato che metaforicamente camminerò, mi accorgo tranquillamente che il mezzo di trasporto non è così fondamentale. Sono decisive, per la buona riuscita del viaggio, la destinazione e gli oggetti presenti nello zaino. Trattandosi di un cammino, il bagaglio deve essere inevitabilmente leggero ed essenziale; altrimenti non si arriva alla meta. La meta viene decisa dai partecipanti al viaggio, il bagaglio pure...

Allora eccoci al perché dell’adesione all’ADMA. Il mezzo di trasporto è la mia vita, così com’è, perché Dio ci accetta così come siamo. Il bagaglio sono le nostre difficoltà, fragilità, dubbi ed insicurezze. L’impegno ADMA è vincente, perché indica una destinazione di felicità, serietà e responsabilità (come i percorsi della Chiesa tutta). Forse il sentiero da percorrere da solo non potrei affrontarlo... Ecco che allora per me l’impegno ADMA non è altro che fare sempre meglio ciò che ho sempre fatto nel quotidiano, scoprendo magari nuovi sentieri percorribili. Che Maria Ausiliatrice aiuti sempre gli uomini di buona volontà!». ADMA GIOVANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

“VIVENDO OGNI GIORNO LA PRESENZA EUCARISTICA NEI NOSTRI CUORI POSSIAMO RILANCIARE IN OGNI MOMENTO DELLA GIORNATA L’AMORE DI GESÙ PER LE PERSONE, OFFRENDO OGNI PICCOLA AZIONE E OGNI SACRIFICIO”. ROSANNA E DAVIDE

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Devoti di Maria Ausiliatrice © Mario Notario

Porto ancora nel cuore la bellezza del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice e sono sempre più persuaso che questo evento rappresenti un seme che porterà frutto e ci aiuterà ad approfondire il nostro cammino di fede nell’Associazione di Maria Ausiliatrice. Credo che l’approfondimento debba partire dalle nostre origini. Mi sono chiesto quali ragioni e quali sogni abbiano spinto il nostro Padre don Bosco a fondare la nostra associazione. Sono partito dal nome che aveva scelto per noi: Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice e ho capito che il nostro Fondatore si è ispirato ad un grande santo, Francesco di Sales, che gli era così caro da sceglierlo nel dare ai suoi figli il nome di Salesiani. LA FILOTEA

San Francesco di Sales, infatti, ha scritto un intero libro per descrivere chi sono i 30

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Devoti. Si tratta della Filotea che ha proprio come sottotitolo Introduzione alla vita devota. Se vogliamo capire un po’ di più e vivere il nostro essere Devoti, come voleva don Bosco, possiamo leggere, anzi vivere, Filotea. Ed è bellissimo perché ci viene proposto un cammino alla presenza di Gesù in una dimensione di grande gioia e profondità, dove la Devozione non è un mero devozionalismo, ma è la «santità vissuta sulla punta della carità». Ci viene subito spiegato che: la devozione altro non è che un’agilità e vivacità spirituale, con cui la carità compie in noi le sue operazioni, e noi operiamo mediante essa, prontamente ed affettuosamente. Leggendo con attenzione questa definizione capiamo che il protagonista della Devozione è Gesù che con il suo amore – la sua carità – «compie in noi le sue operazioni» e fa in modo che «noi operiamo mediante essa» e ciò può accadere se noi ci esercitiamo ad acquisire una agilità e vivacità spirituale e prontamente e affettuosamente riconosciamo e lasciamo agire il Suo Spirito in noi. Essere Devoti significa allora saper acquisire “un’agilità e vivacità spirituale”, cioè prontezza e abitudine a percepire in noi questa carità e tutto ciò è possibile solo se almeno la punta del cuore rimane sempre immersa in Gesù così da consentirci di seguire prontamente le ispirazioni che ci dona. UNA SCALA DI SACRAMENTI E DI AMORE

San Francesco di Sales paragona la Devozione alla scala di Giacobbe nella quale i due staggi (appoggi laterali in cui gli scalini sono incastrati) sono costituiti dalla preghiera e dai Sacramenti Essi «rappresentano l’orazione che ci ottiene l’amor di Dio ed i sacramenti che lo conferiscono». Gli scalini, invece, ci portano


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all’amore verso Dio e verso il prossimo. Nel libro si legge, infatti, che «gli scalini non sono altro che i diversi gradi di carità per i quali si procede di virtù in virtù, sia discendendo a soccorrere ed a sollevare il prossimo, sia salendo con la contemplazione fino all’amorosa unione con Dio». Volendo poi dare qualche pennellata per descrivere i Devoti S. Francesco di Sales ci dice che «sono uomini dal cuore angelico o angeli dal corpo umano, non sono giovani, ma lo sembrano perché sono pieni di vigore e di agilità spirituale; hanno le ali per volare e si lanciano in Dio con la santa orazione, ma hanno pure i piedi per camminare tra gli uomini in santa ed amichevole conversazione; i loro volti sono belli e sorridenti perché ricevono ogni cosa con dolcezza e soavità; hanno le gambe, le braccia e la testa scoperte giacché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni ad altro non tendono che a piacere a Dio. Il resto del loro corpo è coperto, ma di una veste bella e leggera, perché essi usano di questo mondo e delle sue cose un modo puro e limpido per quanto è richiesto dalla loro condizione». Leggendo questa descrizione mi è parso di risentire la descrizione fatta da don Ceria del modo con cui don Bosco viveva l’unione con Dio. Don Ceria afferma: «Sembra infatti essere stato questo il suo dono, di non lasciarsi mai distrarre dal pensiero amoroso del Signore per molte e gravi e ininterrotte fossero le sue occupazioni» e conclude che ogni atto della sua mirabile vita, qualsiasi cosa facesse, era preghiera. STATE SEMPRE ALLEGRI

Come vedete la Devozione è un cammino che punta in alto, alle radici della santità e del carisma salesiano e rappresenta quello “stare allegri” che possiamo

cercare di vivere già ora sulla terra e godere poi per sempre in Paradiso. Ovviamente un disegno così bello se da un lato ci affascina, dall’altro ci spaventa, probabilmente al punto da farci tentare di non intraprenderlo. Per questo san Francesco di Sales altrove (cfr. Teotimo) è molto perentorio e ci ricorda che l’Amore verso il prossimo e verso Dio, che sono la meta della Devozione, non è un mero suggerimento, ma è un comandamento proprio perché non fossimo tentati di ritenerlo una meta troppo alta e ci scoraggiassimo ad intraprendere la via della Devozione. Don Bosco, consapevole delle nostre fatiche, ha fatto una cosa ancora più bella: infatti noi non siamo Devoti generici, ma Devoti di Maria Ausiliatrice, Colei che ha fatto tutto, Colei della quale lo stesso don Bosco, facendo sue le parole di Dante, esclama: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che, qual vuol grazia e a te non ricorre, Sua disïanza vuol volar sanz’ali!». TULLIO LUCCA PRESIDENTE ADMA PRIMARIA tulLio.lucca@gmail.com

LA DEVOZIONE E UN CAMMINO CHE PUNTA IN ALTO, ALLE RADICI DELLA SANTITÀ E DEL CARISMA SALESIANO E RAPPRESENTA QUELLO “STARE ALLEGRI” CHE POSSIAMO CERCARE DI VIVERE GIÀ ORA SULLA TERRA E GODERE POI PER SEMPRE IN PARADISO.

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CHIESA E DINTORNI

Molti frutti per Dio Policarpo significa “molti frutti”, offerti alla sua comunità e a Dio, con il martirio. È un anello importante che ci collega agli Apostoli di Cristo e alla Tradizione della Chiesa. PERCHÉ MERAVIGLIARCI?

Il XX secolo fu definito un “secolo di martiri”. Vero, e gli altri no? Penso che ogni secolo, sia stato un secolo di martiri. La differenza è che oggi con tutti i sistemi di informazione, di calcolo, di registrazione siamo più aggiornati sui numeri delle persone che muoiono per la loro fede in Cristo Gesù. Ma la missione cristiana, la evangelizzazione, il semplice vivere da cristiani non sono mai stati sempre una semplice passeggiata, senza rischi. L’ambente circostante molto spesso è stato indifferente, altre volte ostile ma non aggressivo, di tanto in tanto non solo aggressivo ma anche distruttivo. Ecco i martiri. La loro presenza è segno di questa lotta e della presenza delle forze antagoniste del male, guidate dal diavolo, l’antico e moderno “avversario” di Dio. 32

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I cristiani si ispirano a Cristo e vogliono seguirlo? Ma che cosa ci ha detto Lui? Dal Vangelo: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome» (Gv 15,20). Quindi persecuzione e martirio sono realtà non eliminabili dalla vita dei cristiani. Anzi «la presenza del martirio nella vita della Chiesa significa allora, nonostante tutte le miserie e debolezze, che la Chiesa è la Chiesa di Gesù Cristo: il martirio cioè è un argomento a favore della perennità storica della Chiesa. Significa ancora che la Chiesa continua nella storia umana la missione di Gesù» (Da La Civiltà Cattolica). In tutti i secoli i martiri hanno sempre avuto la coscienza di seguire Gesù Cristo, di portare la croce come Lui e dietro di Lui, di continuare la sua passione per la salvezza del mondo. MA CHI È IL MARTIRE?

Anche quello di Policarpo é stato un secolo di persecuzioni. Ma chi è il martire? Ecco una definizione: «Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2473). Bernanos ha scritto che certi uomini, per vivere, vogliono «delle verità rassicuranti. Ma la verità non rassicura nessuno: la verità impegna». I martiri hanno sentito


“MARTIRES NON POENA FACIT SED CAUSA”

Una premessa importante: non sono le sofferenze che fanno il martire, ma la causa per cui sono sopportate (S. Agostino). Nel caso dei martiri cristiani la causa è Cristo. Sant’Ireneo: «Policarpo fu istruito nella fede da quelli che avevano visto il Signore [e] fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l’Asia nella Chiesa di Smirne». Lo “sponsor” per questo incarico sembra che sia stato l’apostolo Giovanni. Diventato vescovo verso l’anno 100 fu spettatore di un evento straordinario. Nel 107 passò nella sua città il vescovo di Antiochia, Ignazio, in viaggio per Roma dove subirà il martirio. Policarpo ne fu santamente impressionato. Ireneo di Lione, da giovane, aveva visto l’anziano vescovo Policarpo predicare alle sue pecorelle, con molta pazienza e ne conosceva la carità verso vedove e schiavi. Queste alcune caratteristiche peculiari della sua personalità. Qualità però che non gli impedirono di essere duro contro coloro che attentavano all’unità e all’integrità della verità trasmessa dagli Apostoli. Questo suo coraggio e determinazione Policarpo li dimostrò contro l’eretico Marcione che lui definì pubblicamente “primogenito di Satana”. Policarpo è importante nella storia della Chiesa dei primi secoli perché agì da cerniera tra gli Apostoli e gli altri vescovi delle prime Chiese anche se non li conob-

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forte questo desiderio di morire piuttosto che rinnegare la fede in Cristo. I martiri sono stati uomini e donne che hanno cercato tutta la vita Dio e la sua verità, il Cristo. E una volta trovatala non hanno esitato a testimoniarla fino al sangue. «Chi cerca la Verità dev’essere pronto a sacrificare tutto per la verità» (Gandhi).

be personalmente. Scrive ancora Ireneo in Contro le eresie mettendo in risalto questo suo ruolo: «Policarpo non solo fu ammaestrato dagli Apostoli... ma appunto dagli Apostoli fu stabilito come vescovo per l’Asia nella chiesa di Smirne. Ora, egli insegnò sempre quello che aveva appreso dagli Apostoli...». Questo suo carattere dolce non gli impedì di essere risoluto davanti al governatore romano che voleva salvare l’anziano vescovo: «Tu fingi di ignorare chi io sia. Ebbene ascolta francamente: io sono cristiano». Dando così un esempio di coraggio e di testimonianza a Cristo Verità, davanti alla comunità cristiana e a tutti noi, a distanza di secoli. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

«MENTRE POLICARPO ENTRAVA NELLO STADIO, SI UDÌ UNA VOCE DA CIELO: “SII FORTE, O POLICARPO, E COMPORTATI DA VALOROSO”. NESSUNO VIDE CHI AVEVA PARLATO... IL PROCONSOLE... CERCÒ DI INDURLO A RINNEGARE CRISTO DICENDOGLI. “ABBI RIGUARDO ALLA TUA ETÀ...”... ED INSISTEVA DICENDO: “GIURA E TI RILASCIO: INSULTA IL CRISTO”. RISPOSE POLICARPO: “SONO OTTANTASEI ANNI CHE LO SERVO, E NON MI HA MAI FATTO ALCUN TORTO; COME POTREI QUINDI BESTEMMIARE IL MIO RE E SALVATORE?”». (DAL MARTIRIO DI POLICARPO)

Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00 GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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#Stoptratta di potenziali migranti La campagna di Missioni don Bosco e Vis-Volontari per lo sviluppo in cinque paesi dell’Africa sub-sahariana.

Aiutiamoli a casa loro, ma facciamolo davvero. Sembra questo il tratto distintivo della campagna #Stoptratta, promossa da Missioni don Bosco e VIS - Volontariato internazionale per lo sviluppo per contrastare il traffico di esseri umani e costruire la speranza in cinque paesi dell’Africa subsahariana: Ghana, Senegal, Nigeria, Costa d’Avorio ed Etiopia. PARTIRE, UNA SCELTA CONSAPEVOLE

Il progetto nasce sulla scia delle parole pronunciate da Papa Francesco, nel giugno scorso, dal pulpito della Basilica di Maria Ausiliatrice. ォ«La Chiesa cammina in mezzo ai popoli, nella storia degli uomini e delle donne. Sono parole del Santo Padre che abbiamo fatto nostre – confida Giampietro Pettenon, presidente di Missioni don Bosco – e ci hanno spinto a camminare al 34

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fianco dei popoli dell’Africa sub-sahariana per dire basta alla tratta degli esseri umani e offrire un’alternativa possibile e concreta alla migrazione». L’obiettivo di #Stoptratta è in primo luogo contrastare il traffico di esseri umani attraverso la sensibilizzazione dei potenziali migranti sui molteplici rischi del viaggio verso l’Europa – dalla detenzione alla morte, dalle violenze agli abusi psicologici – fornendo informazioni utili attraverso i social network e contenuti nelle lingue locali per favorire una scelta il più possibile consapevole. Troppi ragazzi – infatti – sono costretti ad abbandonare le proprie case e a separarsi dalle proprie famiglie per sfuggire alla fame, alle persecuzioni e alla guerra e tentare la sorte nella speranza di un domani migliore. I loro sogni, però, rischiano d’infrangersi in un cimitero di sabbia


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o d’acqua, tra le dune del deserto o inghiottiti dalle onde, vittime di trafficanti senza scrupoli. COSTRUIRE UN FUTURO POSSIBILE

Scorrendo i dati contenuti nel 1° Rapporto sulle migrazioni dell’Africa sub-sahariana, realizzato da Vis e Missioni don Bosco in Ghana, Senegal e Costa d’Avorio e presentato in occasione del lancio della campagna, un migrante su due non conosce o sottovaluta i rischi che comporta il viaggio per l’Europa e sei su dieci ambiscono a raggiungerla per motivi economici e di lavoro. In particolare, l’80% dei ghanesi intervistati pensa che la morte non costituisca un pericolo del mettersi in viaggio, contro il 50% dei senegalesi e il 37% degli ivoriani. Per contribuire a costruire un futuro possibile nei paesi interessati, #Stoptratta intende affiancare alle numerose occasioni di sensibilizzazione un ampio programma di formazione, affinché chi vuole restare abbia opportunità concrete, attraverso progetti di sviluppo specifici, per migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della propria famiglia. Si tratta di progetti di sviluppo orientati a gruppi a rischio traffico o migrazione irregolare e concepiti sulla base delle esigenze emerse nei singoli paesi: in Senegal si punterà al rafforzamento della formazione professionale e dell’inserimento occupazionale a Dakar e a Tambacounda; in Ghana saranno sviluppate le attività formative in campo agricolo e per le donne. In Costa d’Avorio si prevede il rafforzamento del centro socio-educativo Villaggio don Bosco a Koumassi, nella periferia popolare di Abidjan, e in Etiopia i primi interventi si concentreranno su borse di studio e programmi di supporto scolastico e nutrizionale per giovani a rischio.

«Come non si stanca di ribadire Papa Francesco – conclude Nico Lotta, presidente del VIS – la Chiesa deve sentirsi interpellata nell’emergenza migranti. Riteniamo che l’accoglienza sia fondamentale, ma che altrettanto fondamentale sia favorire una scelta consapevole da parte dei potenziali migranti. Perché partire deve rappresentare una scelta, non l’unica strada». CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA DON BOSCO E DINTORNI OGGI

Un’onda di Misericordia si riversa sull’intera umanità

«Quanto bisogno della Misericordia di Dio ha il mondo di oggi! In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione alla Misericordia». Queste parole sono state pronunciate quattordici anni fa da san Giovanni Paolo II, che aggiunse: «non esiste per l’uomo altra fonte di speranza al di fuori della Misericordia di Dio» (san Giovanni Paolo II, Dedicazione del Santuario della Divina Misericordia di Kraków-Lagiewniki 17 agosto 2002). In questo tempo difficile, tra fantasmi di guerre e attentati terroristici, è più che mai vivo il pensiero di Karol Wojtyla: «Dove dominano l’odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della 36

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Misericordia a placare le menti e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, occorre l’amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta l’inesprimibile valore di ogni essere umano. Occorre la Misericordia per far sì che ogni ingiustizia nel mondo trovi il suo termine nello splendore della verità». IL DIARIO DI SUOR FAUSTINA

A suor Faustina Kowalska Gesù ebbe a dire un giorno: «L’umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia


UN’ONDA DI MISERICORDIA

San Giovanni Paolo II nel 2001 osservò: «Gesù mostra le mani e il costato con impressi i segni della passione e comunica ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi» (Gv 20,21). Subito dopo alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Gesù affida ad essi il dono di rimettere i peccati, dono che scaturisce dalle ferite delle sue mani, dei suoi piedi e soprattutto del suo costato trafitto. Di là un’onda di misericordia si riversa sull’intera umanità». Attraverso il mistero di questo cuore ferito non cessa di spandersi anche sugli uomini e sulle donne della nostra epoca il flusso ristoratore dell’amore misericordioso di Dio. Chi anela alla felicità autentica e duratura, solo qui ne può trovare il segreto.

CHIESA DON BOSCO E DINTORNI OGGI

alla divina misericordia» (Diario, p. 132). Torniamo per un istante al 22 febbraio 1931. Entriamo, in punta di piedi, nella cella del convento di Plock dove, nella luce fioca, possiamo scorgere suor Faustina che contempla Gesù: «La sera, stando nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido» (Quaderno I, p. 26). I due raggi, secondo quanto lo stesso Gesù confidò a suor Faustina, rappresentano il sangue e l’acqua. Il sangue richiama il sacrificio del Golgota e il mistero dell’Eucaristia; l’acqua simboleggia il battesimo ed il dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14).

Papa Francesco ha scritto: «Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia». «Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita» (MV 25). ALESSANDRO GINOTTA redazione.rivista@ausiliatrice.net

PAPA FRANCESCO E IL GIUBILEO

Nella bolla Misericordiae Vultus (MV) GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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Come sorgente che sgorga tra le rocce

Alcuni suggerimenti per aiutare, con generosità e intelligenza, chi vive dilaniato tra ansie, dubbi e problemi... Sentirsi come una sorgente di montagna ostruita da un masso, incapace di sgorgare e farsi strada – libera e fresca – tra le rocce. È questa la sensazione che può opprimere l’animo di chi vive dilaniato tra ansie, paure e problemi; è in giornate così che si perde poco a poco l’entusiasmo, i minuti paiono lunghi come ore e la realtà si colora progressivamente di grigio... Quando chi si trova ostaggio di simili stati d’animo decide di confidarsi è importante spalancare le porte della mente e del cuore per aiutarlo, con sensibilità e intelligenza, ad allontanare il masso dalla sorgente e consentire alla vita di tornare a zampillare. IN TUTTO ABITA UN GERMOGLIO DI BELLEZZA

Per provare a rendersi utili, una volta venuti a conoscenza dei termini del problema che angustiano la persona, è fondamentale essere sicuri di averli compresi. Il modo più semplice per verificarlo è riassumerli a propria volta a chi li ha raccontati utilizzando la tecnica che gli psicologi chiamano del “rispecchiamento”. Non si tratta di formulare un semplice riassunto ma di riordinare i punti essenziali della questione, utilizzando il più possibile i medesimi termini usati dall’interlocutore, e di evidenziare – in premessa – quanto di positivo è stato comunicato. E, anche se a volte può sembrare arduo trovare 38

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per prospettargliene qualcuna, per aiutarla a individuare pregi e limiti di quelle esaminate, ma la decisione finale spetta a lei perché è delle proprie scelte che dovrà, eventualmente, pagare le conseguenze. Rimasti soli, al termine dell’incontro, è bene analizzare quali risonanze abitino il proprio cuore senza esaltarsi se la sensazione è che il colloquio abbia portato frutto e senza deprimersi se si sente di non essere stati d’aiuto. Il merito o il demerito, infatti, non è tanto di chi ascolta quanto della capacità di mettersi in gioco, della fatica e del lavoro interiore svolto dall’interlocutore. È indispensabile, infine, tenere presente che esistono casi e situazioni per cui gli stessi manuali di psicologia dichiarano che si può fare poco o nulla. Come per chi minaccia di farsi del male o di farla finita. L’unica raccomandazione, in questi frangenti, è non cedere al ricatto di eventuali minacce di gesti estremi. La sola cosa da fare è informare la persona che se metterà in atto i propri propositi sarà un dispiacere per chi le vuole bene.

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elementi positivi in realtà particolarmente tragiche, non va dimenticato che ogni fatica o sofferenza che una persona sente dentro di sé fa riferimento a una realtà positiva che, con un pizzico d’intuito e di umanità, è possibile aiutare a emergere. Persino una situazione straziante e apparentemente senza rimedio come la perdita di una persona cara porta con sé almeno qualche aspetto positivo, come il fatto di essere stati capaci di voler bene a qualcuno, di creare e di vivere un legame o un rapporto d’affetto. Cogliere il lato positivo degli altri e farlo affiorare è capacità che non s’improvvisa ma va sviluppata e affinata esercitandosi ad ascoltare in profondità. E allora anche una frase apparentemente irrilevante come «una sera alla settimana mi trovo con alcuni amici per suonare in una band» può rivelarsi una miniera d’informazioni positive: che chi l’ha pronunciata sa suonare e ha una certa predisposizione per la musica, che è perseverante perché esibirsi in un gruppo richiede esercizio e costanza, che sa coordinarsi con gli altri componenti e lavorare in squadra.

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A CIASCUNO LA PROPRIA SCELTA

Puntare su quanto c’è di positivo è il “carburante” della vita, la marcia in più che permette alle persone di superare le difficoltà e andare avanti, nonostante tutto. È il “materiale” che la realtà offre a ciascuno per ricominciare a costruire. Per questo è assai importante – giunti al momento in cui la persona si trova a dover scegliere su quale strada incamminarsi – preoccuparsi che la scelta sia davvero sua. Si può intervenire GENNAIO-FEBBRAIO 2016

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Impariamo ad amare come Dio

Sul numero precedente Robert Cheaib ha ricordato quattro dei sei verbi sull’amore: offrire, donare, perdonare, domandare. Ora propone la riflessione sui verbi: accogliere e rifutare. ACCOGLIERE

L’accoglienza ha un volto duplice. Essa implica accogliere la domanda e la richiesta altrui. È la capacità di dire “sì” con tutto l’essere. Possiamo a volte esaudire l’altro, ma controvoglia. Non è accoglienza, è liberarsi dalle seccature. Anche qui, a volte è una soluzione legittima e necessaria, ma non si può parlare di vera accoglienza. Accogliere è esprimere generosità di cuore ed intenzionalità dialogale. Il secondo volto dell’accoglienza si riferisce ad accogliere l’offrirsi, il dono e il perdono degli altri e dell’Altro. Anche qui può capitare che riceviamo senza accogliere. È quando il dono è considerato come scontato. È il vizio del cuore pretenzioso che non sa gioire del dono. Ricevere 40

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può rimanere indifferente, accogliere non può che generare gioia, riconoscenza e riconoscimento. Accogliere è la riposta adeguata dinanzi all’amore ricevuto. Il suo paradigma è il fiat di Maria, che non solo riceve, ma accoglie il Verbo nel suo grembo. Accoglienza è quando la risposta corrisponde al valore del dono, quando si avvalora il dono. C’è da domandarsi con quale amore accogliamo i sacramenti che riceviamo. E, ad un livello non meno importante, con quale amore accogliamo il dono dei nostri familiari che siano essi genitori, figli, fratelli, sorelle, confratelli, consorelle, mariti o mogli. L’accoglienza è un elemento incisivo e decisivo per la concretezza e la sopravvivenza dell’amore.


RIFIUTARE

Sembra quasi un giocare a “trova l’intruso”. In realtà, rifiutare è una parola fondamentale nell’amore. Lo sanno bene i genitori. Costano molto quei “no”, ma sono spesso i “no” che fanno crescere. Anche qui, il rifiutare presenta due sfumature. Da un lato, si dice “no” semplicemente e immediatamente per il bene dell’altro. Si dice “no” per educare, perché i tempi non sono ancora maturi. Si dice “no” per differenza legittima di prospettive, perché l’amore non è fusione ma convergenza di visuali. L’amore non solo tollera la pluralità, ma la esige. Amare un altro è acconsentire alla sua alterità. Chi non sa dissentire, non consente realmente a un altro, è semplicemente sottomesso, annientato. Rifiutare, d’altro canto, è dire “no” per un realismo che riconosce i limiti propri: quelli della propria salute, della propria disponibilità, delle proprie risorse, ecc. È sapiente dire “no”, per poter continuare a dire “sì” quando è necessario e in modo adeguato e sostenibile. Tante persone buone amano a tal punto da non sapersi rifiutare, da non saper dire di “no” a qualsiasi richiesta e proposta. Sono tenden-

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Accogliere, quindi, è imparare ad acconsentire al dono degli altri. In questo senso accogliere il perdono degli altri e di Dio è anche un gesto di crescita nell’amore. Si fa spesso difficoltà a ricevere l’aiuto, il dono e la semplice presenza degli altri. Si vive nella pretesa di autosufficienza, quell’illusoria presunzione che non si ha bisogno dell’aiuto e della presenza altrui. L’amore non è autosufficiente. L’amore è un gesto intenzionale che si lascia liberamente coinvolgere dall’altro. Non è possibile dire a una persona: «Ti amo, ma non mi interessa la tua risposta d’amore». Amare è, in qualche modo, abbracciare una povertà, fare spazio ed imparare ad accogliere il dono dell’altro.

zialmente prigioniere della loro immagine di persone buone, da non essere libere dinanzi alle situazioni. Dicono di sì e acconsentono, non sempre per convinzione, ma per esigenza intima di approvazione. Nell’esperienza d’amore, è necessario che ci sia spazio per la dissonanza, per il rifiuto. Chi ama e si sa amato, non ha paura di rifiutare, di riconoscere i propri limiti e di farli conoscere. È qui che si sperimenta il potere libero e liberante dell’amore. «Caritate tam libera quam liberali. Il proprio dell’amore è di essere spontaneo: esso libera colui che lo sperimenta, e lo aiuta a rendere liberi gli altri». Per chiudere questa polifonia di verbi dell’amore lascio la parola allo stesso Varillon che li ha ispirati: «Credo che la messa in pratica dei sei verbi riassuma tutto il Vangelo, perché il Vangelo è al contempo povertà e dipendenza. Questi sono i due componenti essenziali dell’amore. Non si tratta di coniugare indefinitamente il verbo amare, di belare l’amore. L’amore è povertà e dipendenza, dono e accoglienza. Il bacio è il simbolo del dono e dell’accoglienza: accolgo la tua anima e ti dono la mia; il soffio reciproco ne è il simbolo; da cui la bellezza del bacio. Per questo non bisogna rovinare il bacio, o prostituirlo per farne un gioco. È bello il bacio, è lo scambio, l’accoglienza e il dono. È tutto il Vangelo». ROBERT CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Il Diavolo e l’Acqua Santa Un altro passo: “Se non ce la facciamo da soli”.

Non càpita tutti i giorni. Sul tram, un uomo e una donna, che non si sono mai visti prima, iniziano a parlare della preghiera. O meglio, nelle puntate precedenti, lui “non vede di buon occhio l’argomento”. Per lei, la preghiera «mi fa star bene, se no a che dovrebbe servire?». Lui ironizza. Sentiamo che cosa si dicono ora. (...continua dalle scorse puntate...) - Allora – incalza l’uomo – mi faccia un’altra bella predica, non vedo l’ora... La donna non si scompone. Raccoglie i pensieri e inizia: - Se lei avesse un tumore al cervello, cosa farebbe? L’uomo la fissa per un momento e poi ridacchia: credo che berrei così tanto whiskey da affogarlo nell’alcool... - e si vede che l’idea non gli dispiace per nulla. - Ah, sia serio per cortesia... – lo rimprovera la signora–. - Io sono sempre serio, glielo assicuro – sbuffa l’uomo ap42

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poggiandosi al finestrino e mettendosi comodo – allora, ho un tumore al cervello... cosa vuole che faccia... mi dispero e poi vado dal miglior dottore che posso trovare a chiedergli di ficcarmi un trapano nel cranio e di togliere tutto il possibile... La donna annuisce convinta. Le piace che lui accetti il gioco di aprirsi un poco. - Ottimo, ottimo. E quindi va dal miglior medico e si fida della terribile e complicata operazione che lui dovrà eseguire. - Ovvio. Mi fido ma non ho la certezza che lui possa salvarmi... – ribatte lui subito sulla difensiva –.

- Be’ di sicuro si fiderà più di lui che non del bravo panettiere sotto casa, bravissimo con i biscotti ma quanto ad aprire cervelli... L’uomo grugnisce: - Ok, ok, mi dica dove vuole andare a parare... La signora gongola per un attimo: - torniamo alla nostra operazione. Non credo che vorrà mettersi a dare consigli all’ottimo neurochirurgo durante l’intervento. Dirgli di toccare lì, piuttosto che non là. Lo lascerà invece fare il suo lavoro con calma... - Sarei stupido se non lo facessi... La donna respira a fondo annuendo ancora. - Eppure vede come siamo stupidi con Dio quando preghiamo. Abbiamo un problema e vogliamo dirigere noi lo specialista nell’operazione. Corriamo da lui perché sappiamo che da soli non possiamo farcela. Ma una volta sul tavolo operatorio della fede siamo noi a voler dirigere il bisturi. È ovvio che lo specialista non accetti una cosa del genere, che ucciderebbe il paziente, e a questo punto si compia l’infausto destino: ma non per mano sua, ci mancherebbe... L’uomo guarda la donna per un istante e poi batte tre volte le mani, lentamente e con forza, attirando così l’attenzione dei pochi che sul tram ormai non ascoltavano con interesse il dialogo della strana coppia.


- Certo che così la rende proprio semplice... ed anche alquanto incompleto, mi aspettavo di più, da una come... lei... - è ovvio che il “come lei” proviene da un puro disprezzo. La donna si aggiusta la gonna intenta a continuare nel suo ragionamento ma l’uomo la interrompe seguendo lo stesso esempio dal suo punto di vista. - E immaginiamo che il tumore al cervello ce l’abbia mia moglie, o il mio piccolo figliolo. Eh? Io vado dallo Specialista e gli chiedo di salvarlo. Ma Lui, nella sua infinita scienza ed esperienza, decide che la cosa non è da fare. Quindi mio figlio muore e io devo anche prendermi la colpa di aver pregato male? - Lei sta alquanto forzando il ragionamento, mettendo subito l’eccezione al centro della regola... L’uomo ridacchia in maniera sguaiata, per un attimo non sembra neppure umano ma una bestia che si contorce di dolore. Diversi sul tram si ri-

traggono dall’assistere un poco spaventati. Anche la donna è turbata e in maniera istintiva mette una mano dentro la sua borsetta e la tiene così, come se fosse aggrappata a qualcosa di molto sicuro. L’uomo si accorge dello spettacolo che ha appena dato e si ricompone riprendendo con assoluta serietà: - Non esistono le eccezioni nelle regole. Se una regola è valida non ha eccezioni. Se ve ne sono vuol dire che essa è incompleta o sbagliata. E vale anche per il suo esempio. La donna è incerta se togliere la mano dalla borsetta. Procede con molta cautela, più interessata alle reazioni dell’uomo ora che non al ragionamento che ha invece alquanto chiaro in testa, e nel cuore. - Il mio esempio non crolla. Dipinge bene le tante preghiere che facciamo e che in realtà sono degli ordini inappellabili per Dio, tante volte chiedendo cose meschine e comunque, non fidandosi di Lui, del suo

parere e della volontà di fare il nostro bene. L’uomo scuote la testa: - Tse’. E come la mettiamo con il bambino e il suo tumore al cervello? La donna trasecola per un attimo e poi sbotta: - Ma non capisce che alla fine il problema è lo stesso? (Continua...) DIEGO GOSO dondiegogoso@icloud.com

Giubileo della Misericordia. Guida per chi va a Roma e per chi sta a casa. Per cristiani che hanno voglia di sorridere Diego Goso Effatà, 2015 pag. 128, Euro 9,00

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Il mestiere degli angeli  Difficile spiegare ai bambini la figura dell’Angelo. Non sanno che cosa sia un messaggero, ma sanno bene che cosa sono i messaggi, come si mandano e come si ricevono. Semplicissimo, per loro, utilizzare gli strumenti mediatici e risolvere i problemi di comunicazione con qualche clic. Meno semplice ascoltare i messaggi del cuore, come quelli dell’Angelo custode. E non è facile scostarsi dall’iconografia classica, che presenta il messaggero di Dio come un essere alato. «A quanti chilometri orari può volare?» si informa subito Matteo, collezionista di macchinine. «Come fa a correre con quel vestito lungo?» chiede Simona. Per rendere concretamente l’idea della custodia e della protezione, propongo un giochino (ma non tanto) inventato anni fa nelle scuole salesiane: diventare “angelo custode” di una compagna di classe, quella con cui avevamo più difficoltà a dialogare, o quella più antipati-

ca. Ma diventarlo in segreto, in modo che nessuno, nemmeno l’interessata se ne accorgesse. In qualità di angeli dovevamo vegliare sulle nostre “protette”, evitando anzitutto di litigare, cercando di compiere atti di gentilezza nei loro confronti, aiutandole se erano in difficoltà, dando consigli e suggerimenti, ma anche, all’occorrenza, ammonizioni caritatevoli. «Un compito da grandi», commenta, poco convinto, Matteo «Che noia!». «Una noia, forse, ma anche una sfida con noi stessi, con le nostre tendenze all’invidia, alla critica, alla mancanza di generosità... Una noia che può diventare quasi un gioco e rendere simpatiche le persone con cui non riuscivamo a fare amicizia. Già, perché prendersi cura di qualcuno significa, per forza, volergli bene, desiderare che sia felice e non gli accada nulla di male, accompagnarlo con la presenza e con la preghiera». Questo è insomma il compito dell’Angelo custode. I bambini si guardano un po’ sconcertati. «Possiamo sempre provare!» conclude Manuela. «Ma non hai detto la cosa più importante: che cosa mangiano gli Angeli custodi?» ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Se vuoi, anche tu, puoi trasformare la tua giornata indimenticabile in un gesto di solidarietà per i “ragazzi di Don Bosco” che trovano accoglienza e sostegno presso le nostre comunità! Nelle bomboniere solidali di Salesiani per il Sociale è nascosto un gesto di solidarietà…Dare di più ai bambini, ragazzi e giovani che dalla vita hanno avuto di meno! In occasione di Matrimoni, Battesimi, Cresime, Comunioni, Anniversari, Lauree e Nascite, festeggia la tua gioia con le nostre bomboniere solidali.

Avvisiamo i lettori che da gennaio 2016 l’abbonamento annuale Italia sarà di Euro 15,00 anche per i rinnovi La Redazione

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24 ARTURO BR ACHETTI LA VOCAZIONE DI TENERE TUTTI ALLEGRI

ISSN 2283–320X

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A T T A R QUI SI T

I N A M U I ESSERI

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O C I F F A R T L A RANTI

MIG I E D P STO

Tanti giovani in Africa lasciano la loro casa alla ricerca di una vita migliore, fuggendo dalla miseria e dalla povertà e, in tanti casi, da guerre e persecuzioni. Ma durante il viaggio diventano vittime di traacanti senza scrupoli e rischiano la vita, subiscono abusi, ricatti, vessazioni. VIS e Missioni Don Bosco stanno avviando in Costa d’Avorio, Etiopia, Ghana, Nigeria e Senegal un ampio programma di sensibilizzazione e formazione perché chi decide di partire sia informato sui gravi rischi che aaronterà durante il viaggio e chi vuole restare abbia opportunità concrete, attraverso progetti di sviluppo specifici, per migliorare le condizioni di vita proprie e della propria famiglia.

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PERCHÉ PARTIRE DEVE ESSERE UNA SCELTA, NON L'UNICA STRADA.

3 ottobre 2015 In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente: C.M.S. Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino, il quale si impegna a pagare la relativa tassa.


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