Rivista Maria Ausiliatrice n.2/2013

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB-NO/TORINO

Nº 2 – 2013 ANNO XXXIV BIMESTRALE

marzo-aprile

Cristo è risorto alleluia

pag. 32 Don novarese pag. 42 150 giovani pag. 55 Il difficile apostolo per “EuroClip” compito dei malati Sono stati attori, di genitori Guarito per intercessione dell’Ausiliatrice

sceneggiatori, produttori e registi

Ma, grazie a Dio, ci sono i nonni


Grazie, Santità Suor Yvonne Reungoat, Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha inviato a Papa Benedetto XVI un affettuoso messaggio. Eccone ampi stralci. Beatissimo Padre, Accogliamo questa comunicazione, che ci ha colto di sorpresa, con grande rispetto, meditando le parole con cui Lei stesso ne ha dato l’annuncio (…). Commozione e gratitudine sono sentimenti che convivono nel nostro animo e diventano invocazione di benedizioni e di grazie per Lei. Le siamo riconoscenti, Santità, per aver guidato la Chiesa in fedeltà a Cristo e con grande attenzione ai segni dei tempi. Lei ha orientato la barca di Pietro verso rotte sicure, confermandola nella speranza radicata nel mistero pasquale di Cristo. (…) Grazie, Santità per il dono prezioso del suo Magistero ordinario e straordinario, che continuerà a guidarci negli anni a venire e a cui ci siamo costantemente ispirate come Istituto. (…) Lei ci ha indicato costantemente la strada della santità, si è fatto pellegrino di pace per le strade del mondo, orientando l’u-

manità verso una convivenza pacifica e solidale fondata su valori universali. Abbiamo valorizzato in modo specifico le parole rivolte alla vita consacrata. Durante la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione abbiamo ascoltato con amore e riconoscenza la sua parola e i suoi orientamenti, con grande disponibilità a tradurli nella nostra missione educativa. Vogliamo assicurarle la nostra preghiera colma di gratitudine e di amore. Il Signore Gesù accompagni la sua Chiesa con il dono di un Pastore che continui ad annunciare il suo vangelo con il coraggio della verità, l’umiltà, la libertà e testimonianza che abbiamo ammirato in lei. Ci senta filialmente vicine. Suor Yvonne Reungoat fma Per tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice


L’affetto della Famiglia Salesiana a

Papa Benedetto XVI

Lo scorso 11 febbraio, Papa Benedetto XVI ha annunciato la sua rinuncia al ministero di Vescovo di Roma. Lo stesso giorno, il Rettor Maggiore ha rivolto questo messaggio a tutta la Famiglia Salesiana. Anche se profondamente sorpresi della notizia appena ricevuta circa la decisione del Santo Padre, Benedetto XVI, di presentare la sua dimissione dal continuare a guidare la “Barca di Pietro” e a confermare i suoi fratelli nella fede attraverso l’annuncio del Vangelo, la sua testimonianza di vita, la sua sofferenza e la preghiera, restiamo edificati da questo esemplare e profetico gesto. Nel presentare la sua dimissione, motivata dalle ragioni dell’età e della stanchezza, conseguenza della sua sollecitudine nell’accompagnare la Chiesa in un periodo caratterizzato da profondi e rapidissimi mutamenti sociali, che hanno a che vedere con la fede e la vita cristiana, che richiedono grande energia fisica e spirituale, il Santo Padre confessa di essersi messo in atteggiamento di discernimento davanti a Dio. La sua decisione è frutto dunque della preghiera ed è un segno esemplare di obbedienza a Dio! Un tale atteggiamento non può che destare la nostra più grande ammirazione e stima. Si tratta, ancora una volta, di un tratto spirituale tipicamente suo: l’umiltà, che lo rende libero davanti a Dio e agli uomini e rende palese il suo senso di responsabilità. Mentre esprimiamo al Santo Padre, come avrebbe fatto Don Bosco, tutta la nostra gratitudine per la generosità con cui ha servito la Chiesa e ha fatto sentire la sua paternità nei confronti della nostra

Famiglia, lo accompagniamo in questa fase della sua vita con il nostro grande affetto e la nostra preghiera. Sin d’ora preghiamo per la Chiesa, invocando lo Spirito Santo, affinché sia Lui a guidare questo momento di conclusione di un pontificato e di convocazione e celebrazione del Conclave. Affidiamo a Maria Immacolata Ausiliatrice, in questa memoria della Madonna di Lourdes, il Santo Padre e tutta la Chiesa. Ella continuerà a manifestarsi, come sempre lungo la storia, madre e maestra. In comunione di cuori e preghiere. Don Pascual Chávez Villanueva Rettor Maggiore


Sommario 10

24 a tutto campo 4

mamme sulle orme di maria 20 una LacrIma deLL’IndIa

SIrIa GLI orrorI dI una Guerra

la parola qui e ora 7

chiesa viva 22 24 26 29

rISurrezIone: GLI equIVocI comIncIano da SuBIto

leggiamo i vangeli 8

“VIno” Buono ed aBBondante

il saluto del rettore

in cammino con maria

28 PaSqua La Luce è

10 da “Vedere un SeGno”...

PIù Forte deL BuIo

ad “eSSere SeGno”

don bosco oggi 30 La PrIma “FamIGLIa SaLeSIana”

amici di dio 12 caterIna, tu PenSa a me 14 L’anno LIturGIco e marIa 16 La “madonna con BamBIno” In aracoeLI

h

giovani in cammino 18 credo erGo duBIto?

Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-1980

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de g a me lor i

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Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani

in

dI VaLdocco

32 LuIGI noVareSe

maria nei secoli

domus mea c i

ImParare a Portare La croce chIeSa deLLe InFuLe o deL GremBIuLe? I nuoVI martIrI aVVocata. Perché?

Stampa: Scuola Grafica Salesiana – Torino Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice

“aPoStoLo deGLI ammaLatI”

34 quando La mIa mamma a VaLdocco aIutaVa mamma marGherIta

36 un’InterVISta... da SoGno (deI 9 annI) 38 marIa cI InVIta a traSmettere La Fede In FamIGLIa

Via Maria Ausiliatrice, 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net www.donbosco-torino.it Abbonamento: Ccp n. 21059100 intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino

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40 eLLedIcI una nuoVa “caSa” Per L’edItrIce dI don BoSco

44

esperienze 42 eurocLIP raccontare

don BoSco In Sette mInutI 44 La Fede, Punto PratIco dI Partenza

l’avvocato risponde 46 aIuto mIo FIGLIo ha rotto un BraccIo a un Suo comPaGno

inserto

lettere a suor manu 55 w GLI anzIanI! festa di don bosco GIoVanI, non ruota dI Scorta ma con don BoSco “PIenI cIttadInI”

sempre con noi 48 La Suora PIù ImPortante? “La PortInaIa”

sfide educative 50 La StorIa dI caroLIna 52 La muSIca deI GIoVanI?

SI aScoLta con IL cuore

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50a Giornata Mondiale di preGhiera per le vocazioni 21 aprile 2013

Foto Abbonamento annuo: ............................................... Amico .................................................. Sostenitore ......................................... Europa ................................................. Extraeuropei ....................................... Un numero ..........................................

DEPOSIPHOTOS: Iaroslav Danylchenko (IIcop); Daniel Dunca (7); Dmitriy A. Sytnik (8); Иван Кмить (10); Vitaly Zvezdochkin (11); Galyna Andrushko (11); Alexander Demyanenko (18); Scott Griessel/Creatista (19); Evgeny Korneev (20); Alena Ozerova (21); Alexey Smirnov (22); Byggarn79 (25); Alinute (28); Илья Мазовка (28); Dream79 (37); Ilin Sergey (41); Yuriy Kulyk (52); edhar yuralaits (53); jerome berquez (53); Photography33 (54); Stephen Coburn (55); Dudarev Mikhail (58); Sergey makarenko (59); Jozef Culak (59); SYNC-STUDIO: Paolo Siccardi (4-6).

le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede

E E E E E E

13,00 20,00 50,00 15,00 18,00 3,00


a tutto campo

una guerra che colpisce la popolazione civile

tuale la popolazione civile e molto meno la parte militare in conflitto che si contrappone. In questa guerra, le bombe cadono indistintamente su obiettivi civili, ed è proprio di pochi giorni fa la strage della gente in coda all’esterno di un panificio nella cittadina di Helfaya nella provincia centrale di Hama che ha causato più di cento vittime tra la gente comune, oppure come lo scorso novembre quando un missile lanciato da un aereo di Assad ha colpito l’ospedale Dar al Shifa ad Aleppo uccidendo quattro medici e pazienti in cura.

Da qualche mese a questa parte siamo inorriditi dalle molteplici fotografie pubblicate dai maggiori giornali italiani sui massacri che si stanno perpetrando in Siria, ma soprattutto dalle terribili immagini televisive che vengono trasmesse di questa guerra. In Siria da circa ventuno mesi, una guerra terribile fratricida colpisce la popolazione civile inerme. Quarantaquattromila sono le persone rimaste uccise in questo conflitto in base al rapporto dell’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) e un numero imprecisato, ma si parla di alcune decine di migliaia di quelle scomparse o fatte sparire prima del conflitto dal regime di Bashar al Assad. Senza entrare in merito o alla faziosità di parteggiare per una o l’altra parte di quello che sta accadendo in Siria, questa guerra come del resto tutte le guerre, colpisce esclusivamente in alta percen-

i profughi in fuga diventano ostaggi tra i confini Appena varcato il confine con la Turchia possiamo renderci conto della massa dei profughi che vivono accampati da mesi in quel lembo di terra di Bab al Salama in mezzo al fango per le piogge ed ora al gelido freddo della stagione invernale in

Davanti al dolore degli altri non si può rimanere indifferenti

SIrIa gli orrori di una guerra 4


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attesa di un visto per poter passare quella sbiadita sbarra che divide la frontiera siriana da quella turca per ricongiungersi con i parenti. I profughi, quelli più fortunati, sono accampati all’interno dei campi per rifugiati gestiti dal governo turco dove un muro alto due metri con in cima filo spinato circonda le tende dell’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) e dove l’ingresso non è permesso neanche alla stampa internazionale se non con dei permessi speciali rilasciati dalle autorità turche locali. Sono migliaia i profughi scappati dalla Siria in questi mesi di guerra e vengono accolti in campi per rifugiati tra i confini della Giordania, Turchia e Libano.

gente continua a morire per mancanza di medicinali, attrezzature mediche, chirurgiche nonché di semplici siringhe monouso e bende sterili. Gli ospedali nei quartieri liberati di Aleppo da Free Syrian Army (Esercito di Liberazione) sono tutti stati bombardati nei piani alti, per cui il primo intervento sanitario dove vengono accolti i feriti dalle esplosioni delle granate viene eseguito nella hall al piano terra degli stessi edifici fatiscenti in ambulatori improvvisati, dove gruppi di quattro o cinque medici si alternano alle emergenze giornaliere, con turni massacranti di sei giorni lavorativi e solo uno di riposo. Gli ospedali sono diventati il punto di ritrovo anche per gli stessi giornalisti in caccia di notizie, dove in alcuni casi essi sono stati persino ospitati per passare la notte stringendo ottimi legami di amicizia con gli stessi medici.

aleppo, città martire e nodo strategico economico Aleppo, nodo strategico di importanza vitale per l’economia del paese e a poche decine di chilometri dalla frontiera con la Turchia. Si combatte una guerra di casa in casa e le bombe dei mortai dell’esercito lealista cadono a ritmo continuo scandendo il tempo tra il giorno e la notte, colpendo soprattutto i luoghi più affollati, dove la gente si riversa tra bazar e mercati per gli acquisti alimentari o di prima necessità per la sopravvivenza e poi la grande paura dei cecchini: gli sniper del regime, che terrorizzano sparando sulle persone agli incroci più importanti delle strade. Neanche gli ospedali vengono risparmiati e la

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un esercito di liberazione composto da giovani ragazzi L’Esercito di Liberazione in Siria è composto per la maggior parte da uomini che non hanno nessuna esperienza militare, molti si sono arruolati volontariamente per combattere il dittatore Bashar e vengono addestrati da quella parte in aumento dei soldati del vecchio regime che sempre più frequentemente abbandona la divisa dell’esercito regolare per passare nelle file dei combattenti per la libertà. Oltre alle defezioni del vecchio regime, in Siria ci sono molti mercenari di diverse nazionalità non solo di paesi medio orientali, ma anche di paesi europei. Molti volontari nell’Esercito di Liberazione sono giovani ragazzi di appena sedici, diciotto anni, ex studenti universitari che combattono sui fronti più caldi della guerra. Cavalcando l’onda della primavera araba sperano di poter avere le prime elezioni democratiche in Siria dopo una lunga dittatura da padre in figlio della famiglia Assad. Tra le file dell’esercito di Liberazione c’è anche la brigata Katiba che raggruppa Salafiti, Mujaheddin e Jihadisti nonché la parte Sunnita dei siriani. Dall’altra parte in contrapposizione, il Presidente Bashar al Assad può permettersi un vero e proprio esercito formato dai suoi fedelissimi uomini della sua stessa etnia Alawita, soldati molto ben preparati e armati con un numero imprecisato di elicotteri e aerei Mig pilotati da aviatori della Corea del nord. Nei suoi arsenali il Presidente al Assad dispone anche di armi non convenzionali, ed è proprio notizia trapelata sui siti web in lingua araba l’utilizzo di armi chimiche usate nei giorni scorsi sulla popolazione inerme.

decideranno al più presto fermare questo bagno di sangue che colpisce indistintamente l’intera popolazione siriana. Purtroppo solo dopo i massacri con decine di morti aumenta l’indignazione dell’opinione pubblica dovuta alla spettacolarità con cui vengono usate le immagini fotografiche che i media internazionali utilizzano per catturare l’attenzione del pubblico. Non possiamo solo rimanere a osservare queste immagini di violenza, di morte e distruzione; è necessario prendere coscenza e sentirci accanto al dolore e alla sofferenza degli altri per non cadere nell’indifferenza collettiva.

intervento esterno per porre fine alla guerra Ci sono pareri discordi da parte delle grandi potenze sull’intervento esterno in questo conflitto, ma il vero problema è che ci saranno ancora tanti, troppi morti tra bambini, donne e persone anziane in questa guerra se i governi occidentali non si

Paolo Siccardi, photoreporter siccardi@sync-studio.com

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la parola qui e ora

risurrezione:

gli equivoci cominciano da subito Maddalena e i discepoli incontrano e riconoscono un corpo vero: il Risorto. Ma questa verità raggiunge noi attraverso la testimonianza e la fede della Chiesa lungo i secoli. È una “verità di uomini” che possiamo anche rifiutare. Il primo giorno della settimana, maria di màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Gli equivoci cominciano da subito. Maddalena va al sepolcro, a piangere il suo maestro morto, trova la tomba vuota. Lui è là, ma lei non lo riconosce, pensa che sia «il giardiniere». Poi viene chiamata, ed è come se i suoi occhi si aprissero solo col suono di quella voce. Senza questi equivoci, senza l’annuncio fatto – una trentina d’anni prima – ai pastori di Betlemme e non ai potenti di Israele, non ci sarebbe la nostra libertà. Saremmo, noi così attaccati alle conquiste della scienza, schiacciati dalle prove materiali. Ci sarebbe una sola “verità”. E a noi non rimarrebbe che “invidiare” Dio e compiangere la nostra condizione. Il problema di Lucifero, di Satana, comincia da questa “verità totale” presa dalla parte sbagliata – la parte dell’invidia e non quella della comunione. Quando Satana, nel racconto della Genesi, promette «sarete come Dio» (Gen 3,5) tenta di nuovo di confinarci nell’invidia di Lucifero, che conosce sì la verità ma non vuole farne parte. E però, se è vero che anche Dio impara qualcosa dal tempo e dagli uomini, la vicenda di Gesù, la gloria di oggi, è la riprova di questo: si può incontrare il Signore, rimanere vivi e non perdere la libertà. Quello che Maddalena e poi i discepoli incontrano e riconoscono è un corpo vero, un uomo vero: il Risorto. Ma quella stessa verità raggiunge noi attraverso la testimonianza e la fede della Chiesa lungo i secoli. È una “verità di uomini” che possiamo anche rifiutare (e quanti lo fanno!). Ma solo questa, complicata e decisiva, è «la verità che ci fa liberi» (Gv 8, 32), se abbiamo la grazia di riconoscerla e accettarla. Questo cammino di libertà è la nostra Pasqua, il Mar Rosso che riusciamo ad attraversare all’asciutto.

(Gv 20,1-9).

Marco Bonatti marco.bonatti@lavocedelpopolo.torino.it

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© Schnoor-Conti

leggiamo i vangeli

“Vino” buono ed abbondante Giovanni chiama i miracoli “segni”. Perché “segni”? “Segni” di che cosa? Daremo risposta a queste domande solo se leggendo quanto Gesù fece, ci lasceremo soccorrere dalla nostra fede! Con questa disposizione accostiamoci al primo dei sette “segni” scritti in questo Vangelo. il “segno” di cana Sono passati tre giorni da che Gesù ha chiamato con sé Filippo e Natanaele. Essi si uniscono ad un piccolo gruppo di discepoli che il Signore invita a seguirlo. Si tratta di Andrea, di un altro uomo – di cui il nome è taciuto – e di Simon Pietro. In compagnia di sua Madre e di costoro Gesù si reca a Cana di Galilea: è invitato ad una festa di nozze (Gv 2,1-2). Giovanni inizia a narrarci un fatto realmente accaduto, ma successivamente da lui riletto per condurre noi ad una fede più matura. Tutti ben conosciamo il racconto: alla festa viene a mancare il vino, la Madre di Gesù interviene come a sollecitarne un intervento; costui dopo una iniziale riluttanza, impartisce due ordini ai servi e questi attingono vino buono da anfore fatte prima colmare d’acqua. Abituati però ai particolari contenuti nelle narrazioni di miracoli in Marco, Mat-

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teo e Luca, restiamo stupiti del fatto che Giovanni non spieghi come il fatto miracoloso si sia verificato, ma si soffermi a descriverne solo gli effetti. Una dimenticanza oppure una provocazione a cogliere il significato più profondo di quel fatto straordinario? È certamente in questa direzione che la risposta va cercata.

sei anfore di pietra vuote Perché le anfore di pietra sono solo sei (v. 6), dato che questo numero è considerato imperfetto dall’anticatradizione giudaica? Dalla loro descrizione doveva inoltre trattarsi di contenitori enormi: poiché si dice che ciascuno conteneva da ottanta a centoventi litri, ciò significa che la loro capacità complessiva sarebbe stata pari ad almeno seicento litri. Possibile che ci fosse necessità di una così grande quantità d’acqua? E poi ... tutto quel vino! Giovanni scrive anche che quelle anfore sono là per la purificazione dei Giudei prescritta dalla Legge: perché allora sono tristemente vuote al punto che Gesù deve dare ordine di riempirle? Forse che l’acqua non basta più a rendere puro chi con essa si lava? Perché insomma tanta insistenza sulle anfore, mentre si tace sul modo in cui il fatto straordinario avviene? Questo anziché chiarire la descrizione del fatto, lo complica! Un’osservazione certamente emerge: se l’Evangelista si dilunga molto su questi particolari, viene proprio da credere che essi siano importanti e che vadano ben tenuti in considerazione. Da tutto ciò capiamo che Giovanni ci autorizza, anzi ci spinge a fare una lettura del racconto che non si fermi ai fatti e ai dati, ma scorra fino

Il vino deve essere identificato con Gesù stesso: egli è il vino buono che stilla abbondante dal calice della nuova ed eterna alleanza stipulata da cristo con l’offerta della propria vita. (Gv 2,1-12) al significato cui essi rimandano: in che senso il prodigio diventa un “segno”? Un “segno” di che cosa? Proviamo a districarci nel bel racconto col desiderio di lasciarci condurre là dove l’Evangelista evidentemente ci vuole portare.

cristo ed il vino buono ed abbondante Nel “segno” di Cana Gesù durante una festa di nozze procura del vino abbondante e così buono da stupire colui che dirigeva il banchetto nuziale (v. 10). Un vino con tali requisiti fin dal Primo Testamento è elevato a simbolo per descrivere l’avvento dei tempi del Messia. Poiché Gesù offre una straordinaria quantità di vino buono ne segue la conclusione: lui compie le Scritture, è il Messia, il Salvatore del mondo. Il vino buono ed abbondante che egli offre, rappresenta tutti i doni di salvezza che Dio aveva promessi. Per questo unicamente “quel vino” è capace di purificare e di salvare. Si capisce allora perché le anfore per la purificazione siano in numero imperfetto e siano vuote ed inutili: è solo Gesù che nella sua carica di novità e di salvezza ci rinnova, purifica e ci dona la vita. Il tempo della Prima Alleanza conclusa da Dio con Mosè sul Sinai è finito: cose nuove vengono, doni meravigliosi che si riassumono in Gesù, il dono per eccellenza di Dio! A questo punto tutto si svela: Gesù non solo ci dona il vino buono ed abbondante, ma Lui stesso è “quel vino”! Se vuoi ben capire cosa ... “chi”

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rappresenti il vino di Cana, accostalo alla persona di Cristo e tutto si rischiarerà! Il vino deve essere infatti identificato con Gesù stesso: egli è il vino buono che stilla abbondante dal calice della Nuova ed Eterna Alleanza stipulata da Cristo con l’offerta della propria vita. Avvicina l’immagine del vino a Gesù e allora capirai anche perché Giovanni non esiti a dire buono il pastore che offre la vita per le sue pecore (10,11) allo stesso modo in cui chiama buono il vino di Cana: il vino come il pastore sono due immagini per parlare di Cristo nostra salvezza! Ora abbiamo inteso dove l’Evangelista voleva portarci: egli ci ha condotto fino a farci capire chi sia Cristo. Da questo punto in poi però la responsabilità sarà nostra: Cristo è il dono di Dio per la salvezza. Egli va accolto nella fede. Di questo quotidianamente dobbiamo deciderne noi. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net


in cammino con maria

da “vedere un segno”... ad “essere segno” Maria esce dalla casa natale, inizia il suo viaggio, metafora di un “pellegrinaggio nella fede” e di tutte le tappe nel cammino della vita. Maria parte da Nazareth dietro un “segno” inviatole dall’angelo: «Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile» (Lc 1,36). Nella modesta casetta del sacerdote Zaccaria, l’anziana Elisabetta attende il figlio donatole per grazia sorprendente. Questo fatto deve essere per Maria una prova della potenza di Dio a cui «nulla è impossibile» (Lc 1,37).

operare segni sorprendenti: «Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). Maria cammina verso la montagna animata dalla fiducia in Dio. Come dirà poi nell’esplosione di gioia del Magnificat, il Signore è per lei «Salvatore», «l’Onnipotente», un Dio che opera «grandi cose» in lei e in tutto il mondo, un Dio che «si ricorda della sua misericordia» e la stende «di generazione in generazione su quelli che lo temono» (Lc 1,47.49-50).

nulla è impossibile a dio

La fiducia di Maria è rafforzata dal “segno” offertole da Dio, ma in realtà, Maria stessa è un segno di Dio dato all’umanità, «un segno di speranza e di consolazione» (Lumen Gentium n. 68). Infatti Maria segna l’aurora che precede il sorgere del sole, segna l’irrompere della salvezza nella storia secondo la profezia di Isaia: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14), la sua esistenza segna «la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Mentre Isacco, il bambino di Sara, e Giovanni, il bambino di Elisabetta, portano il messaggio che Dio può tutto, il bambino di Maria è il Dio che può tutto, il Dio onnipotente fattosi uomo debole e nascosto.

maria, l’aurora

Quando Sara, moglie di Abramo, rideva incredula al pensiero di poter ancora partorire nella vecchiaia, il Signore le fece questa domanda: «C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore?» (Gen 18,14). Così il figlio della promessa, Isacco, porta il nome che significa “che Dio gli arrida”, e che è, in persona, un segno della benevolenza meravigliosa di Dio (cf Gen 21,7). Al popolo scoraggiato e travolto dalla sofferenza Isaia invita a fidarsi di colui che può tutto: «Ecco, non è troppo corta la mano del Signore per salvare; né troppo duro è il suo orecchio per udire» (Is 59,1), di colui che ama

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Nel cammino di fede di Maria, c’è una circolarità tra scoprire il segno di Dio negli altri e essere segno di Dio per altri. Si tratta della meravigliosa solidarietà tra i credenti. L’incontro tra Maria e Elisabetta la rivela nella sua piena bellezza. Maria e Elisabetta: due donne protese verso il futuro del loro grembo, due donne che custodiscono dentro di sé un mistero ineffabile, un miracolo stupendo. La coscienza d’essere rese oggetto di particolare predilezione di Dio le unisce, la missione comune di collaborare con Dio per un progetto grandioso le entusiasma e le fa esplodere in benedizione e in canto di lode, l’esperienza della maternità prodigiosa le rende solidali.

Inoltre, l’incontro di Maria con Elisabetta nella situazione emblematica della gravidanza è un segno paradigmatico che rivela la solidarietà profonda di Maria con tutte le donne. In Maria la donna riconosce la propria dignità, si scopre d’essere nel progetto di Dio luogo di gestazione di novità, grembo del futuro, terreno dell’avvento di Dio. In Maria la donna prende più profonda coscienza della propria vocazione di ricevere, custodire, donare e far crescere la vita, di generare speranza; in lei la donna impara a convivere con il miracolo, a dimorare nel mistero, a gustare la bellezza dell’amore, in lei la donna trova una “sorella”. Maria, riconoscendo le «grandi cose» operate in lei dall’Onnipotente, è resa il «grande segno» di speranza nell’onnipotente Dio. La Chiesa, pellegrinante in questa storia tra difficoltà e prove, guarda a Maria che brilla dinanzi a lei «quale segno di sicura speranza e di consolazione» (Lumen Gentium n. 68). Per questo Paolo VI, al termine della sua Esortazione Apostolica Marialis cultus, invita l’uomo d’oggi a innalzare gli occhi a Maria, segno profetico di speranza: ella «offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte» (n. 57).

vocazione a ricevere Il prodigio di Dio in Elisabetta è stato per Maria un “segno” che l’ha aiutata a pronunciare il suo fiat; ora il prodigio di Dio in Maria è segno per Elisabetta, un segno che suscita in lei una confessione di fede. Così le due donne sono, l’una per l’altra, luogo di scoperta di Dio, epifania della sua grandezza e motivo per cui lodarlo e ringraziarlo. Nel riconoscersi reciprocamente come segno di Dio, la loro comunicazione, densa di intuizione e di intesa profonda, permeata dal rispetto per il mistero, si fa benedizione, si fa canto e poesia. Il confronto vicendevole nella fede fa sgorgare la profezia vicendevole, animata dalla forza dello Spirito. Insieme, tutte e due, diventano segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità.

Maria Ko Ha Fong kohafong.rivista@ausiliatrice.net

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amici di dio

caterina, tu pensa a me Tre motivi per ricordare questa grande donna del 1300: è patrona d’Italia (1939). Secondo: è una Santa, proclamata dalla Chiesa Cattolica e proposta così all’imitazione dei fedeli. Terzo: è la prima donna dottore della Chiesa (1970).

la “famiglia” di caterina Caterina nacque a Siena nel 1347, in una famiglia numerosa. Fin da piccola mostrò segni non comuni di una intensa vita spirituale, fatta di una esemplare devozione, di penitenze volontarie individuali e collettive con alcune coetanee e di carità verso i poveri. Fece anche il voto di verginità consacrata a Cristo Signore. Progetto questo fortemente ostacolato dalla famiglia (dalla madre in particolare) che sognava di maritarla bene e presto, fin dall’età di 12 anni. Lei si oppose, volendo rimanere fedele a voto fatto e per riaffermare la propria volontà si tagliò perfino i capelli. Arrivarono le rappresaglie contro di lei, ma Caterina, resistette e vinse. Chiese per sé solamente una stanzetta, dove creare un proprio spazio spirituale: diventerà la sua “cella della mente”, il luogo dell’ascesi e del dialogo con Dio, del raccoglimento e delle esperienze mistiche. Un vero “spazio vitale” che diventerà per lei l’anticamera del paradiso. Diventerà anche un cenacolo: qui infatti incontrerà donne e uomini, religiosi e laici, artisti e dotti, compagne e compagni, anzi “figli e figlie”. Una vera comunità, di più, una “famiglia”. Tutti affascinati dalla sua personalità, amabilmente guidati nel loro cammino spirituale e legati da affetto per lei che chiamavano “mamma”. Li chiameranno i “Caterinati”.

S. Caterina da Siena (1347-1380), dottore della Chiesa e Patrona d’Italia

non solo dio Caterina dettò moltissime lettere e messaggi: a papi e a re, a fedeli sprovveduti culturalmente e a dotti cardinali, a semplici cittadini e a decorati generali, ad umili casalinghe e a altezzose regine. Fino ai carcerati di Siena, che solo da lei sentirono parole di gioia e di incoraggiamento materno. Con la sua attività diventò una vera protagonista del rinnovamento religioso della Chiesa, che lei voleva attuare con la povertà, la penitenza e le opere di assistenza. Tutto in conformità al Vangelo. Fu anche arricchita e sostenuta da esperienze mistiche. In una visione il Cristo le dirà: «Caterina, tu pensa a me, che a te penso io». E in un’altra visione: «Darò dunque il mondo a donne non dotte e fragili, ma dotate da me di forza e di sapienza

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Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni, Elledici 2011, 936 pagine, 29,00 Euro.

divina, per confusione della temerarietà degli uomini maschi». Caterina è stata una di queste donne, forti della forza divina, sapienti della sapienza di Dio. Questa energia la dimostrò nella sua “vita pubblica” specialmente nell’adoperarsi per portare la pace a Siena e nel curare gli ammalati di peste. Nel 1376 diventò perfino ambasciatrice di Firenze presso papa Gregorio XI ad Avignone: con lui perorò fortemente il suo ritorno a Roma e la pacificazione dell’Italia. Ma, ahimè, anche ai Santi le cose non vanno sempre bene: non le riuscì, per esempio, la mediazione per Firenze. Anzi lei stessa subì vari “test” circa le convinzioni teologiche e le presunte esperienze mistiche. Superò tutte le prove. Forza straordinaria e coraggio dimostrò anche durante il tumulto dei Ciompi a Firenze, nel 1378. Qualcuno cercò perfino di ucciderla. Era in compagnia di amici e davanti al killer, che la cercava, lei gridò con forza: «Caterina sono io! Uccidi me e lascia in pace loro». E gli porse il collo. Il “poveretto” davanti a tanto coraggio fuggì via spaventato.

tu sei fuoco che toglie ogni freddezza e illumini le menti con la tua luce, con quella luce che tu mi hai fatto conoscere la tua verità. Nello stesso anno, infine, si trasferì a Roma dove fu anche ricevuta da papa Urbano VI: lo incoraggiò per la riforma della Chiesa, ma non ebbe molto successo.

maestra nelle cose di dio Caterina parla a noi ancora oggi attraverso gli scritti. Il principale è il Dialogo della Divina Provvidenza, chiamato Il Libro. È strutturato come un lungo colloquio tra lei e Dio, nel quale figurano quattro principali “petizioni”: per se stessa, per la riforma della Chiesa, per il mondo, per l’intervento della Divina Provvidenza. L’interesse teologico di Caterina ruota attorno alla ricerca dell’unione con Dio da conseguire con la carità apostolica. Il suo è un linguaggio semplice, vario e ricco di immagini. Eccone alcune: Dio è l’albero, che affonda le radici nella terra, ma guarda e tende verso il cielo. Cristo è integrazione dell’albero: la sua Incarnazione è come l’innesto di Dio sull’albero di morte dell’uomo. Cristo è il ponte, che traghetta l’uomo oltre il fiume del peccato. Caterina aveva anche una grande devozione alla Madonna che chiamava “Maria dolce”. Parlando di Lei usava le immagini: Maria è il “campo”, è “il libro”, è la “farina” di cui è impastato Gesù, il Pane Vivo disceso dal cielo. Profondissimo fu il suo rapporto con il Cristo (“nozze mistiche”) che la istruì e confortò con frequenti visioni. Morì a soli 33 anni consumata da questo amore divino (lo chiamava “dolce Gesù”) e dalla penitenza. Una grande donna: santa e maestra. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

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maria nei secoli

L’anno liturgico e maria L’abate Guéranger fu un esponente di primo piano nel clero francese dell’800. Lottò per la rifondazione dell’Abbazia benedettina di Solesmes e, come appassionato di liturgia, fu un precursore della Riforma Liturgica. Ha ispirato, con i suoi scritti, la Marialis Cultus di Paolo VI. Dopo la sua Risurrezione, Gesù è apparso a Sua Madre o no? I Vangeli canonici, infatti, non riportano questa notizia. Molti Santi e dottori della Chiesa, però, sono convinti che la prima apparizione del Risorto sia stata proprio quella riservata alla Madonna. Tra essi, eccelle uno scrittore ecclesiastico francese, vissuto nel secolo XIX, l’abate Prospero Guéranger. Egli porta due argomenti molti convincenti. Il primo è quello della tradizione, dal momento che già Sant’Ambrogio, nel IV secolo, affermò: «Maria fu la prima nel vedere e la prima nel credere alla Risurrezione di Cristo». Il secondo è quello di convenienza perché era quella un’esigenza del cuore del Figlio. Secondo le parole dell’abate Guéranger, «la natura e la grazia richiedevano insieme questo primo incontro, il cui commovente mistero forma le delizie dell’anima cristiana».

rifondatore di solesmes e precursore in liturgia Chi è stato, dunque, questo fine scrittore mariano? È stato un personaggio insigne nella storia della Chiesa. Dopo essere stato ordinato sacerdote, volle ripristinare nella sua patria, la Francia, il glorioso ordine di San Benedetto che era stato arrogantemente abolito dalla Rivoluzione francese, che, ripetendo ipocritamente lo slogan “libertà, uguaglianza, fraternità”, aveva compiuto

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“Prima di maria la natura umana perfezionata dalla grazia non aveva mai offerto a dio un oggetto di possesso così degno di lui. egli trovò in lei la fede più viva, la speranza più ferma, l’amore più ardente”. (abate Prospero Guéranger) moltissimi misfatti, tra cui il primo genocidio della storia moderna, in Vandea. Passata la tempesta rivoluzionaria, Prospero Guéranger riuscì con entusiasmo e dedizione a rifondare un monastero benedettino a Solesmes, nel 1837, che presto, con la benedizione del Papa, si sviluppò dando origine anche ad altre fondazioni. Secondo la più autentica tradizione benedettina, molta importanza fu data al canto gregoriano e alla liturgia. Fu proprio l’abate Guéranger, con la sua opera infaticabile e con le sue monumentali pubblicazioni, a dare un grande contributo alla nascita di quel movimento liturgico che, in parte, ha portato alla riforma liturgica avviata dopo il Concilio Vaticano II. Appassionato della liturgia, intesa come vita divina comunicata alle anime attraverso la dignità e la bellezza dei simboli e delle forme del culto, l’abate Guéranger intuì che la teologia e la spiritualità mariana sono in un certo senso riassunte nell’intero anno liturgico. Per esempio, secondo il suo pensiero, i sentimenti che Maria custodì nel suo cuore prima della nascita di Gesù, sono quelli più appropriati per vivere l’Avvento, il tempo liturgico in cui le anime cristiane contemplano in attesa la venuta del Figlio di Dio. L’abate Guéranger penetra nel mistero del cuore di Maria in attesa applicando passi dell’Antico Testamento che le si addicono, come un brano del Cantico dei Cantici: «Io sono sua ed egli è mio, lui che si pasce tra i gigli della mia verginità, fino a che spunti il giorno della sua nascita e le ombre del peccato scompaiano».

ticolarmente adatto per il culto alla Madre del Signore». Chi ama la liturgia ha quasi sempre una grande sensibilità per la dottrina sulla Chiesa. Non può essere altrimenti: la liturgia manifesta la vera natura della Chiesa, il Corpo Mistico di Cristo, riunito nella lode del Padre. Ed anche il nostro abate Guéranger non fa eccezione: fu un fedelissimo sostenitore del primato del Papa e per la vita della Chiesa spese tutte le sue energie. Alla Chiesa pensò con la sua anima squisitamente mariana ed enunciò una tesi teologica suggestiva. Prima che a Pentecoste la Chiesa, ricolma di Spirito Santo, desse inizio alla sua missione nel mondo, essa era già presente in modo esemplare in Maria. «Nella sua personalità – egli scrive -, Maria fu ciò che la Chiesa è stata poi collettivamente». Ed anche in questo, l’abate Guéranger è stato profetico: con motivazioni analoghe, il papa Paolo VI nel 1964 proclamò solennemente, a conclusione della III sessione del Concilio Vaticano II, Maria “Madre della Chiesa”. Roberto Spataro spataro.rivista@ausiliatrice.net

per lui il vero ‘mese mariano’ è l’avvento Molti anni dopo, il Servo di Dio, il Papa Paolo VI avrebbe sviluppato lo stesso concetto nella sua lettera Marialis Cultus, nella quale passa in rassegna tutte le feste mariane dell’anno liturgico e, con un’espressione inizialmente sorprendente ma teologicamente impeccabile, dichiara che il “mese mariano” è proprio l’Avvento, definito «tempo par-

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maria nei secoli

La “madonna con bambino” in aracoeli La scoperta di questo importante brano di pittura romana del Due-Trecento è stata del tutto casuale, ad opera di un frate del convento che sorge accanto alla chiesa romana di Santa Maria in Aracoeli. Questa chiesa è sorta sulle rovine del tempio di Giunone, sulla cima più alta del Campidoglio, in un sito centrale della Roma antica. Secondo la tradizione, fu costruita proprio dove una sibilla predisse all’imperatore Augusto la venuta del figlio di Dio, dicendo: «Haec est ara filii Dei». Da qui, il nome di Aracoeli. Alcuni monaci orientali erano già presenti nel VII secolo, ma fu a partire dal 1249 che la chiesa dell’Aracoeli, affidata ai francescani, raggiunse l’attuale ampiezza: facciata in mattoni alla sommità del grande scalone e tre navate scandite da grandi colonne romane di spoglio. Alla fine del Duecento, due grandi papi francescani, Niccolò III e Niccolò IV diedero un considerevole impulso allo sviluppo della Città eterna, impiegando grandi artisti dell’epoca, tra i quali Arnolfo di Cambio, venuto a Roma dalla Toscana, Jacopo Torriti, romano, autore dei mosaici dell’abside di Santa Maria Maggiore, e Pietro Cavallini, «eccellente discepolo di Giotto» come ricorda Vasari nelle Vite (1550). Dell’Aracoeli medioevale rimangono poche cose: una Madonna con il Bambino, dipinta da Cavallini sopra la tomba del cardinale di Acquasparta (1302), un mosaico attribuito a Torriti nel transetto destro e due tombe realizzate da Arnolfo nella cappella dei Savelli, tra cui quella di Onorio IV (1280).

In questo stupefacente affresco la Vergine e Gesù sono affiancati dai due San Giovanni, il Battista e l’Evangelista. L’opera risale alla fine del Duecento e probabilmente è di Pietro Cavallini.

il ritrovamento nell’anno santo del 2000 Nell’anno 2000, dietro la pala d’altare della cappella dedicata a San Pasquale Baylon, è stata rinvenuta questa stupefacente Madonna con Bambino, affiancata dai due San Giovanni: il Battista e l’Evangelista. L’occultamento si può far risalire alla

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L’affresco fa supporre la presenza di una Scuola romana antecedente e forse superiore a quella toscana per conoscenza prospettica e introspezione psicologica. fine del secolo XVI, quando la cappella fu pesantemente rimaneggiata, con la distruzione di gran parte degli affreschi; la Madonna fu risparmiata, ma le figure laterali furono coperte da uno scialbo di calce bianca. Dai lacerti sulla parte superiore delle pareti laterali si può ipotizzare che raffigurassero a destra una Visione di San Giovanni Evangelista e a sinistra un Banchetto di Erode. Non si hanno fonti letterarie precise, ma ancora in pieno XV secolo la cappella era intitolata ai due Giovanni. Si conosce pure che la navata dell’Aracoeli, dove è costruita la cappella,

era riservata alle più importanti famiglie romane, come i Savelli e i Colonna, in grado perciò di dotare uno spazio sotto il loro patronato di preziose pitture. Forse la decorazione fu eseguita in occasione della morte, avvenuta nel 1291, del cardinale Giovanni Colonna.

eleganza somma, ma legata a modi bizantini La Madonna con Bambino, affiancata dai due santi era posta a fare da dossale all’altare della cappella e la rappresentazione era circondata da un inquadramento in finte architetture e da probabili decorazioni fitomorfe. Era sormontata da una bifora, con intelaiatura marmorea che dava luce all’ambiente. Di quest’ultimo elemento si conserva ancora il piano inferiore degradante verso l’interno. La Madonna è di eleganza somma, aperta alle nuove conquiste formali dell’arte romana nella seconda metà del XIII secolo, ma, nella sua rigidezza, ancora legata a modi bizantini. Si pone in visione quasi frontale, mentre le fa da sfondo un prezioso drappo operato a motivi geometrici, appeso alla cornice che delimita il finto soffitto a lacunari che la sovrasta. Il piccolo Gesù, seduto sul braccio sinistro della Madre, ha un’aria attenta; il faccino, circondato da un’aureola in pastiglia dorata, è incorniciato da una folta capigliatura bionda. Il vestito bianco è arricchito da bottoni dorati a rilievo ed è scoperto sul davanti dalla mano sinistra che scosta il mantello rosso. Le dita della destra sono atteggiate con il tradizionale segno del Cristo docente, divenuto anche segno di benedizione. Per gli affreschi, gli storici ipotizzano una datazione attorno al 1291. Una pittura così straordinaria non può essere stata realizzata che da una mano esperta. E sul finire del Duecento, la scena pittorica romana era dominata da Pietro Cavallini; e se non fu lui l’autore, si può chiamare in causa un importante membro della sua bottega sotto la sua supervisione. Natale Maffioli maffioli.rivista@ausiliatrice.net

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giovani in cammino

credo ergo dubito? Wikipedia definisce il dubbio «una condizione mentale, nota sin dall’antichità, per la quale si cessa di credere a una certezza, o con cui si mette in discussione una verità o un enunciato». Secondo me il dubbio è una forma di autocritica. Vogliamo prendere come compagno di viaggio in questa riflessione San Giovanni Battista?

sei tu o non sei tu? Giovanni ci appare come un duro. Prende posizione in maniera drastica contro una società che ha tradito l’Alleanza e chiama tutti fuori per rinnovare quel passaggio che dall’Egitto aveva portato i padri alla Terra Promessa. Si piazza sul Giordano perché tutti prendano coscienza di dover rimettersi a posto davanti a Dio. E a ogni categoria che si reca a chiedere consiglio offre il battesimo e dà risposte di saggezza in attesa che arrivi il Messia atteso che finalmente rimetterà le cose a posto e farà giustizia: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque dei frutti degni della conversione» (Lc 3,7-8). «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi battezzo con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,7-8).

Lo riconosce come l’«Agnello di Dio» e lo presenta ai suoi discepoli. Ma poi la storia precipita e lui finisce in carcere. E lì sente voci circa l’Agnello che non corrispondono a quell’immagine di Dio che lui aveva predicato. E allora dubita di se stesso e di quanto era convinto e manda a chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3).

l’esperienza del deserto Giovanni aveva fatto l’esperienza dura del deserto. Aveva mangiato cavallette e vestito pelli di cammello. Aveva imparato a dubitare e a rinunciare a tutta la zavorra che appesantisce la vita, ad abbassare i colli, a riempire i burroni e a raddrizzare i sentieri. La sua sicurezza non lo ha mai portato a mettersi al posto di Colui che doveva venire anche se la gente lo spingeva a questo. La sua sicurezza non lo spinge ora a rifiutare l’Agnello riconosciuto perché il dubbio convive con la sua sicurezza. Solo chi vive di dubbio sa ritornare al deserto per riprendersi in mano, per vivere di essenziale. Nel vivo dell’anno della fede siamo invitati a liberarci da quanto ci appesantisce per riprendere in mano l’essenziale della fede, del messaggio ricevuto, per appianare i colli della nostra sapienza

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Il dubbio è l’unica via perché dio non diventi nostra immagine e somiglianza, dando spazio alla Parola più che alle varie filosofie e alla cultura imperante. prodigo da lontano... e al ladrone crocifisso accanto a lui dice: oggi sarai con me in paradiso...e noi vogliamo che prima del perdono ci sia l’elenco di tutti i peccati... stiamo con le pietre in mano per lapidare... e non ci piace che dalla croce si passi direttamente in paradiso dove abbiamo l’idea che noi avremo un posto privilegiato.

che non ci permette di esser «piccoli» come Giovanni. «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». (Mt 11,11).

qualche provocazione

7 Ha detto: chi vuol essere mio discepolo prenda la sua croce. E noi discutiamo a chi è più grande e vogliamo stare uno alla sua destra... nel suo regno e gli diciamo che non lo tradiremo mai, ma prima che il gallo canti...

Anche noi, come Giovanni, come Pietro abbiamo immagini precise di Dio e vogliamo che lui si comporti così. Pensiamo come gli uomini e non abbiamo i pensieri di Dio. Il dubbio è l’unica via perché Dio non diventi nostra immagine e somiglianza, dando spazio alla Parola più che alle varie filosofie e alla cultura imperante. Dubitare di scambiarlo con chi vorremmo che fosse. Ascolta bene.

8 È nato povero, è vissuto nomade, è morto nudo e ha detto che è più facile che un cammello che un ricco... facendo della povertà la caratteristica del cristiano e noi abbiamo preferito mettere al primo al posto la verginità camuffandoci sotto le nostre ricchezze.

1 Lui ha detto: avevo fame... ogni volta che fate questo al più piccolo... E noi lo vogliamo potente e bello, con gli occhi verdi e biondo, lo confondiamo con il ricco che fa l’offerta rumorosa e non vediamo la vedova che dà lo spicciolo.

9 Eccetera. 10 Eccetera.

2 Lui è venuto povero e morto povero e noi gli abbiamo costruito cattedrali piene di oro perché Dio è Dio e non può essere povero e non vogliamo trattarlo come quei brutti di Betlemme che non gli hanno dato neanche un posto e lo chiamiamo addirittura maestà... ma il mio regno non è di questo mondo.

Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

3 Ha detto: fate come me che vi ho lavato i piedi, io il maestro... e noi facciamo grandi lavate di capo a chi fa fatica a portare la croce. 4 Ha detto: non giudicate e non condannate... e noi ci congratuliamo con quelli che distribuiscono inferno a palate (e ci lamentiamo che non ci son più i preti di una volta... quelli che minacciavano giudizio e inferno come il primo Giovanni Battista). 5 Ha pagato i vignaioli tutti con un denaro partendo dagli ultimi... e noi ci scandalizziamo, perché i primi han lavorato di più e non accettiamo che lui sia generoso. 6 Ha detto alla adultera: nessuno ti ha condannato? Anch’io ti perdono. E appena vide il figlio

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mamme sulle orme di maria

una lacrima dell’india

Questa è la storia di un’adozione travagliata e di due madri “lontane” che, come Maria ed Elisabetta, hanno in comune il mistero della maternità. nuovamente in casa i suoni e gli odori legati alla presenza di un bambino e scorse nell’adozione il modo per realizzare il suo progetto. Trovò molti ostacoli perché il suo desiderio di maternità fu interpretato come un desiderio di “far rivivere” la sua bambina, di colmare un vuoto e giudicato perciò negativamente. Lei invece sapeva che non era così: la sua piccina non sarebbe mai stata “sostituita” da nessuno né il suo vuoto colmato: il desiderio di Claudia era invece quello di dare ad un altro bambino tutto l’amore che sentiva di avere ancora nel cuore e riceverne in cambio. La domanda di adozione internazionale infine diede i risultati sperati: una bimba dello Sri Lanka attendeva lei e suo marito. Andare incontro ad un figlio nato lontano da te non è certo facile, si può cercare di immaginare... Claudia e suo marito lo avevano fatto molte volte, ma la realtà è tutt’altra cosa! Non ci sono modelli di riferimento, te li devi costruire da solo attraverso un’esperienza che prima

Sri Lanka significa “Lacrima dell’India” ma per Claudia sicuramente si tratta di una “lacrima di gioia” poiché è da quest’isola dell’Asia che proviene la sua bambina, il cui nome in italiano vuol dire “Passerotto”. La storia di questa donna e di suo marito è simile a quella di molte altre coppie che intraprendono la strada dell’adozione, una strada impegnativa, lunga e difficile che mette spesso alla prova il loro desiderio di essere genitori. Claudia aveva già provato la gioia della maternità ma la sua bimba era morta alcuni anni prima, a soli quattordici mesi. Un lutto che aveva sconvolto lei e tutti i suoi cari e li aveva resi consapevoli di come sia grande il posto occupato da un bambino che per tutti rappresenta il futuro, il domani e che invece poi scompare e non lo si vedrà crescere e diventare grande...

figlio, non sostituto Dopo i giorni dell’addio e del dolore giunsero per Claudia i giorni della speranza, speranza di sentire

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non avevi neanche mai pensato di fare. Fortunatamente per noi però la vita è fatta di tante strade: alcune scorrono parallele, altre si incrociano per allontanarsi nuovamente e altre invece si fondono in un’unica grande arteria... la loro passava per lo Sri Lanka. La bambina era molto bella, con grandi occhi neri e pelle ambrata, aveva quattordici mesi: la stessa età della bimba di Claudia quando era morta. Tutto sembrava andare nel migliore dei modi! Claudia si rese però conto di non aver valutato l’impatto che stava facendo su di lei il fatto che la bimba vivesse in famiglia, con la sua mamma e i suoi fratelli. Eppure era a conoscenza della situazione fin dall’inizio, sapeva delle modalità di adozione che vigevano in certi paesi e riguardavano anche bambini che pur avendo una famiglia, vivevano in condizioni di estrema povertà.

due mamme, due storie d’amore e di sofferenza che si incrociano e si separano. a distanza di migliaia di chilometri restano unite da un unico desiderio: dare un futuro a una creatura, trasformare l’amore per lei in un dono per l’umanità quale è ogni figlio che nasce.

il mistero della maternità Maria era andata ad offrire il suo aiuto alla cugina più vecchia e bisognosa di cure, era stata sensibile ai bisogni altrui, benché anche per lei la maternità divina fosse un mistero ed un atto di fede molto impegnativo. Claudia valutò che anche quello fra lei e la mamma indiana era un incontro speciale: l’incontro fra due donne appartenenti a mondi, culture e religioni diverse, l’incontro fra due madri, una naturale, l’altra in divenire, attraverso l’amore e il legame che avrebbe intrecciato con il piccolo Passerotto. Era difficile per Claudia capire come una madre potesse rinunciare alla propria figlia e non sentirsi “complice” di questo distacco. Anche lei, però, come Maria doveva andare incontro a questa madre indiana, al suo modo di amare la figlia, senza giudicarlo. Da parte sua si sarebbe impegnata a colmare d’amore la piccola ed a trasmetterle quello particolarissimo della madre che gliela stava affidando. Da parecchi anni Passerotto vive in Italia con i suoi genitori italiani; è una ragazza intelligente, sensibile, interessata agli altri che si pone tanti perché e cerca risposte, proprio come ha fatto la sua mamma Claudia. Francesca Zanetti

ladra di bambini? Era più forte di lei: Claudia si sentiva una “ladra di bambini”. Il dover quotidianamente entrare in contatto sia con la bambina sia con la madre naturale per conoscersi a vicenda, acuivano il suo disagio e il suo senso di colpa. Claudia ne discusse col marito che invece era al colmo della felicità e giudicava eccessive e fuori luogo le preoccupazioni della moglie. Claudia comunicò il suo disagio anche al personale che curava l’adozione che la rassicurò: i genitori della bimba, estremamente poveri, erano ben contenti di pensare che a una loro figlia fosse riservata una sorte migliore. Nessuno pareva capirla, Claudia continuava a tormentarsi e a dibattersi fra mille interrogativi ed iniziò anche a pensare di ritornare in Italia senza la bambina. Durante una delle tante notti trascorse nel dormiveglia, le venne in mente la Vergine Maria ed il suo incontro con Sant’Elisabetta. L’ incontro di due donne, di due future madri, ma anche l’incontro di due tempi storici: il passato, il tempo dell’Antico Testamento, di Elisabetta e di suo figlio, Giovanni il Battista e il tempo nuovo, del Vangelo, della giovane Maria e di suo figlio Gesù.

redazione.rivista@ausiliatrice.net

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chiesa viva

Imparare a portare la croce Dio non affida a nessuno un peso più grande di quello che è in grado di sopportare. A volte, però, può capitare che le persone si complichino la vita con le proprie mani... «Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo». Con queste parole Gesù istruisce la folla, che lo circonda e lo accompagna nel cammino verso Gerusalemme, su che cosa significhi seguirlo con cuore sincero. Non sempre, però, i cristiani sembrano in grado di distinguere la croce affidata loro da Dio da quelle che loro stessi - a volte - caricano di propria iniziativa sulle proprie spalle.

quando il peso può diventare insostenibile Una sicurezza che dovrebbe accompagnare i cristiani in ogni momento della vita è la certezza che Dio non affida mai una croce superiore alle forze di chi deve portarla. Diversi studi psicologici

Spaventarsi, preoccuparsi di fronte a una difficoltà è normale, ma il cristiano ha una marcia in più: la fiducia in un dio che è padre e per questo non intende gravare, opprimere i suoi figli.

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hanno messo in luce un meccanismo insidioso, da non sottovalutare e da tenere sotto controllo, per non far lievitare il peso della sofferenza, che a volte rischia di schiacciare e di annientare le persone. Banalizzandolo un poco, il meccanismo funziona all’incirca così: è sabato pomeriggio, Luigi è nella propria stanza e sta piantando un chiodo nella parete per appendere il poster della sua rock band preferita. A un certo punto - senza volerlo - si da una martellata sul pollice che lo obbliga a sospendere momentaneamente il proprio progetto e a medicarsi. Se Luigi comincia ad arrabbiarsi perché si è fatto male, aggiunge stress al dolore. Se, dopo un po’, si deprime per essersi arrabbiato, produce ulteriore stress. Se - infine - prova vergogna per essersi arrabbiato e depresso, sono già tre i pesi che, con il proprio comportamento, Luigi ha aggiunto alla martellata iniziale. Insomma: una pur dolorosa martellata su un dito può dare origine a una serie di reazioni e di controreazioni negative che non il Signore ma Luigi rischia di porre inconsciamente sulle proprie spalle. Interrompere questa serie infinita di reazioni si può. E il primo passo, quando sembra di portare una croce troppo pesante, è esaminare quali gravami ci si è caricati da sé e avere la forza di abbandonarli all’istante.


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Come un buon papà, Dio non esonera l’uomo dall’impegno personale. E i cristiani sanno che possono contare su di Lui, ma solo dopo aver speso le proprie energie e usato i mezzi che Lui - attraverso le capacità e i talenti - mette loro a disposizione.

il mistero della malattia e della morte Un discorso a parte meritano le croci che hanno a che fare con la malattia e con la morte. I cristiani sanno che la fede non garantisce la guarigione e che non esiste pellegrinaggio in grado di sanare un malato o di prolungare la vita a un moribondo. Di fronte alla malattia, però, non si disperano perché - pur vivendo nella propria carne la sofferenza e il dolore - sono convinti che Dio non li abbandona né alla malattia né alla morte, che lungi dall’essere la fine di tutto è in realtà un nuovo inizio destinato a durare per l’eternità. Anche la morte delle persone care può rivelarsi una croce infinitamente pesante da portare, soprattutto quando si tratta di lutti che non rientrano nell’ordine naturale delle cose, come la scomparsa improvvisa del coniuge o di un figlio. I manuali di psicologia riportano casi di genitori la cui vita si è come paralizzata a causa della morte di un figlio. Anche in situazioni così drammatiche la fede aiuta i cristiani a superare il dolore nella certezza che la persona non è persa per sempre. Sono venuti meno - è inevitabile - il contatto, le risate e anche gli scontri che hanno vivificato il rapporto, ma solo per un certo tempo. E così, accanto alla consapevolezza del dolore, si fa largo poco a poco la serenità che aiuta a percorrere il presente e a confidare nel futuro.

dio educa l’uomo alla responsabilità A chi viveva oppresso dai problemi San Giovanni Bosco era solito suggerire: «Prega Dio come se tutto dipendesse da Lui e agisci come se tutto dipendesse da te». Quando i cristiani si trovano a fare i conti con la croce, sanno di non poter dire: «Ho fede, quindi incrocio le braccia e aspetto l’intervento divino». Essi, infatti, sono consapevoli che Dio è un educatore che rispetta profondamente la libertà dell’uomo e fa leva - innanzitutto - sul suo senso di responsabilità. Se un cristiano dovesse scavare un tunnel avendo a disposizione solo una pala e un piccone, il Signore non si muoverebbe in suo aiuto fino a quando egli non avesse cominciato a utilizzare la propria pala e il proprio piccone. A ciascuno - infatti - Dio sembra dire: «Inizia a fare ciò che puoi, poi io ti aiuterò». Come se fosse un seme chiamato a diventare pianta, il Signore veglia sull’uomo e gli dice: «Datti da fare! Tira fuori il bello e il buono che c’è dentro di te! Se ti manca acqua, te la procurerò io, perché non sei ancora in grado di rifornirtene con le tue radici. Se hai bisogno di luce, orienta le foglie e volgile in direzione del sole. E abbi fiducia: se ti troverai in difficoltà, ti darò una mano».

Ezio Risatti Preside della SSF Rebaudengo e psicoterapeuta redazione.rivista@ausiliatrice.net

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chiesa viva

chiesa delle infule o del grembiule?

Benedetto XVI nel Concistoro del 18 febbraio 2012 ha contrapposto alla «logica del mondo la logica di Cristo». E ha esortato i suoi illustri uditori – 22 nuovi cardinali di santa romana Chiesa – a far proprio non lo spirito del potere ma lo spirito di servizio insegnato e praticato dal Signore Gesù. L’allocuzione del Papa su «la logica del potere e la logica del servizio» si può considerare uno dei tanti efficaci momenti di verità che illuminano il suo magistero petrino, secondo la linea del «Mi ami tu?», seguito dal «Pasci i miei agnelli» (Gv 21,1517). Occasione: quel giorno, 18 febbraio 2012, in Vaticano si teneva il Concistoro per la nomina di 22 nuovi cardinali della santa romana Chiesa. ● Quel giorno il Papa ha commentato ai 22 l’insegnamento e lo stile di vita di «Gesù, fonte di ogni sapienza, che indica la strada a tutti». Ha descritto «la scena dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, che inseguono ancora sogni di gloria accanto a Gesù (Mc 10,35-45). Essi gli chiesero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”». E «gli altri

dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni». In realtà si ritenevano defraudati della loro parte di gloria. Così lo spirito del potere risultava già infiltrato nella santa Chiesa, prima che essa entrasse nella storia. C’è una definizione arguta di Chiesa, emergente dalla notte dei tempi: Chiesa delle infule. L’infula era una benda di lana scarlatta o bianca, simbolo della consacrazione agli dèi, che i sacerdoti greci e romani si cingevano attorno al capo. Per i nostri liturgisti le infule sono solo due innocenti nastri, che pendono posteriormente dalla mitra, il copricapo vescovile. Ma il termine ha preso anche connotazioni ironiche. Per esempio infule svolazzanti. E san Pier Damiani (1007-1072) - in una Chiesa lacerata da scismi, simonie e sregolatezze

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marzo-aPrILe 2013

sa: come «Chiesa del servizio e della condivisione, ma anche della denuncia e della lotta».

del clero - suggeriva al suo amico Ildebrando diventato papa Gregorio VII: «Si reprima l’avidità di quanti aspirano alle infule episcopali»... Dunque esteriorità e arrivismo, potere e gloria mondana.

le conseguenze? Le conseguenze della logica del potere si sono fatte sentire nella grande storia. In Europa, nei lunghi secoli del cosiddetto regime di cristianità, i cristianissimi e cattolicissimi sovrani mandavano i loro eserciti in battaglia per sterminarsi a vicenda. Quanto ai popoli, su di loro gli eserciti passavano come rulli compressori. Alessandro Manzoni nel suo capolavoro ha ironizzato: nell’Italia sotto dominazione straniera, «i soldati spagnoli insegnavano la modestia alle fanciulle». Quanto alla logica del servizio valga un esempio, un fatto recente: il Premio Nobel per la pace nel 2012 è stato assegnato a sorpresa all’Unione Europea. Motivo: perché da quando esiste essa ha assicurato ai suoi popoli un periodo di pace che non conoscevano dalla notte dei tempi. Nell’Unione Europea non è immaginabile una guerra franco-tedesca. Merito delle scelte lungimiranti di statisti fortemente cristiani come il tedesco Konrad Adenauer, il servo di Dio francese Robert Schuman, il servo di Dio italiano Alcide De Gasperi. Sopra il doppiopetto portavano il grembiule. Papa Benedetto ha concluso la sua allocuzione: «Pregate anche per me, affinché possa reggere con mite fermezza il timone della santa Chiesa. Amen!». Enzo Bianco

le due logiche L’episodio di Giacomo e Giovanni, ha commentato il Papa, «dà modo a Gesù di rivolgersi a tutti i discepoli e chiamarli a sé, quasi per stringerli a sé, a formare come un corpo unico e indivisibile con Lui..., per indicare qual è la strada che porta alla vera gloria, quella di Dio: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore”». Dunque gli apostoli, servitori. Per papa Benedetto si tratta di «servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli. Con una dedizione assoluta e incondizionata, fino all’effusione del sangue, se necessario». Il Papa ha ribadito: «Non c’è alcun dubbio sulla strada scelta da Gesù: Egli non si limita a indicarla con le parole ai discepoli di allora e di oggi, ma la vive nella sua stessa carne. Spiega infatti: “Anche il Figlio dell’uomo non è venuto a farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti”». Servire: «Gesù è servo in quanto accoglie su di sé il destino di dolore e di peccato di tutta l’umanità... La libera accettazione della sua morte violenta diventa il prezzo di liberazione per molti, diventa l’inizio e il fondamento della redenzione di ciascun uomo e dell’intero genere umano». La logica del servizio nella Chiesa ha trovato il suo simbolo nel grembiule, indossato da Gesù nell’ultima cena. E la Chiesa del grembiule è stata celebrata di recente in un fortunato volumetto di Mons. Tonino Bello, in cui si legge: «L’immagine più bella, direi più consona al linguaggio biblico, è la Chiesa del grembiule. Nel Vangelo di Giovanni si dice: “Gesù allora si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse un grembiule e si mise a lavare i piedi” (Gv 13,4)... Tra i paramenti ecclesiastici che dovrebbero trovarsi in sacrestia, l’unico che avrebbe diritto di starci è il grembiule; invece non c’è». Tonino Bello fa riferimento in realtà a un concetto forte di Chie-

bianco.rivista@ausiliatrice.net

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WWList 2

chiesa viva

I nuovi martiri

1 | COREA DEL NORD 2 | ARABIA SAUDITA 3 | AFGHANISTAN 4 | IRAQ 5 | SOMALIA

È notte nel villaggio di Musari, nel Nord-est della Nigeria, Paese in maggioranza musulmano, quando quindici cristiani vengono trucidati nel loro letto, colti nel sonno. Il fatto viene reso noto a fine dicembre 2012. A pochi giorni di distanza, a Chibok, un villaggio vicino, altre quindici persone sono uccise da un commando, durante una celebrazione in chiesa. Non si tratta di episodi isolati. Altri casi si sono verificati, ancora in Nigeria, ad agosto, ottobre, novembre 2012, in una terribile escalation. Il più delle volte i fedeli vengono attaccati mentre partecipano a una funzione. E nel mondo si spande lo spettro di un nuovo martirio.

6 | MALDIVE 7 | MALI 8 | IRAN 9 | YEMEN 10 | ERITREA 11 | SIRIA 12 | SUDAN 13 | NIGERIA

WWList 2013 La World Watch List elenca 50 paesi secondo l’intensità della persecuzione che i cristiani affrontano per il fatto di confessare e praticare attivamente la loro fede, prendendo in esame 5 aree della loro vita quotidiana: il privato, la famiglia, la comunità in cui risiedono, la chiesa che frequentano e la vita pubblica del paese in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono. Più alta è la posizione in classifica, più grave è la persecuzione dei cristiani.

14 | PAKISTAN 15 | ETIOPIA

Legenda

16 | UZBEKISTAN

1 | Persecuzione assoluta

17 | LIBIA

2 | Persecuzione estrema

18 | LAOS

3 | Persecuzione severa

19 | TURKMENISTAN

4 | Persecuzione moderata

20 | QATAR

5 | Persecuzione occasionale

21 | VIETNAM 22 | OMAN 23 | MAURITANIA 24 | TANZANIA

cosa c’è sotto

25 | EGITTO

Le stragi in Africa centrale portano la firma di Boko Haram, un gruppo fondamentalista che fa parte dell’organizzazione terroristica di Al Qaida, e che proprio in quella zona (vale a dire, nello Stato di Borno), ha i suoi quartieri generali. Dal 2009 a oggi, la guerra dichiarata da Boko Haram al governo nigeriano ha provocato almeno 3mila morti, oltre a migliaia di profughi. Ma la colpa non è della religione. Secondo molti, le guerre che stanno dissanguando il Continente sono dettate dal desiderio di controllare le risorse del sottosuolo, e in particolare il petrolio. Come sembra insegnare una diversa tragedia, consumata nei mesi scorsi in Algeria. Forse, suggeriscono alcuni osservatori, le comunità cristiane rappresentano il mondo occidentale e come tali vanno semplicemente eliminate. In ogni caso, è chiaro come nel mirino degli estremisti si trovino quanti si oppongo alle loro idee, o che, più semplicemente, non vi aderiscono. Tutti i riferimenti all’Islam sono un tentativo di dotarsi di una nobile bandiera. Ma l’unico ideale che seguono con convinzione è quello del potere, perseguito attraverso una strategia del terrore. Conclusioni confermate del resto da Mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, che mette in guardia sulle facili interpretazioni: «Non è in atto una persecuzione di cristiani da parte dei musulmani - ha detto - per questo è necessario sostenere l’impegno profuso per creare un Paese in cui cristiani e islamici possano percorrere il loro cammino insieme». Una pacifica convivenza che non fa comodo a chi punta a realizzare un caos generalizzato, secondo l’antico adagio divide et impera.

le persecuzioni nel mondo Il caso della Nigeria non è l’unico. Nel 2012, nel mondo sono stati almeno 105mila i cristiani “nuovi martiri”. Uno ogni 5 minuti, stan-

26

26 | EMIRATI ARABI 27 | BRUNEI 28 | BHUTAN

46

29 | ALGERIA 30 | TUNISIA 31 | INDIA 32 | MYANMAR 33 | KUWAIT 34 | GIORDANIA 35 | BAHREIN 36 | TERRITORI PALESTINESI 37 | CINA 38 | AZERBAIGIAN 39 | MAROCCO 40 | KENIA 41 | ISOLE COMORE 42 | MALESIA 43 | GIBUTI 44 | TAGIKISTAN 45 | INDONESIA 46 | COLOMBIA 47 | UGANDA 48 | KAZAKISTAN 49 | KIRGHIZISTAN 50 | NIGER

do alla stima dell’Osservatorio sulla libertà religiosa del ministero degli Esteri. Al primo posto della “World Watch List 2013”, l’elenco dei 50 Stati

anche oggi c’è chi muore nel mondo perché crede in dio. Le persecuzioni hanno radici profonde nella storia del cristianesimo. ma l’intolleranza religiosa è davvero l’unica ragione delle stragi?

Porte


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chiesa viva

I nuovi martiri

1 | COREA DEL NORD 2 | ARABIA SAUDITA 3 | AFGHANISTAN 4 | IRAQ 5 | SOMALIA

È notte nel villaggio di Musari, nel Nord-est della Nigeria, Paese in maggioranza musulmano, quando quindici cristiani vengono trucidati nel loro letto, colti nel sonno. Il fatto viene reso noto a fine dicembre 2012. A pochi giorni di distanza, a Chibok, un villaggio vicino, altre quindici persone sono uccise da un commando, durante una celebrazione in chiesa. Non si tratta di episodi isolati. Altri casi si sono verificati, ancora in Nigeria, ad agosto, ottobre, novembre 2012, in una terribile escalation. Il più delle volte i fedeli vengono attaccati mentre partecipano a una funzione. E nel mondo si spande lo spettro di un nuovo martirio.

6 | MALDIVE 7 | MALI 8 | IRAN 9 | YEMEN 10 | ERITREA 11 | SIRIA 12 | SUDAN 13 | NIGERIA

WWList 2013 La World Watch List elenca 50 paesi secondo l’intensità della persecuzione che i cristiani affrontano per il fatto di confessare e praticare attivamente la loro fede, prendendo in esame 5 aree della loro vita quotidiana: il privato, la famiglia, la comunità in cui risiedono, la chiesa che frequentano e la vita pubblica del paese in cui vivono, a cui si aggiunge una sesta area che serve a misurare l’eventuale grado di violenze che subiscono. Più alta è la posizione in classifica, più grave è la persecuzione dei cristiani.

14 | PAKISTAN 15 | ETIOPIA

Legenda

16 | UZBEKISTAN

1 | Persecuzione assoluta

17 | LIBIA

2 | Persecuzione estrema

18 | LAOS

3 | Persecuzione severa

19 | TURKMENISTAN

4 | Persecuzione moderata

20 | QATAR

5 | Persecuzione occasionale

21 | VIETNAM 22 | OMAN 23 | MAURITANIA 24 | TANZANIA

cosa c’è sotto

25 | EGITTO

Le stragi in Africa centrale portano la firma di Boko Haram, un gruppo fondamentalista che fa parte dell’organizzazione terroristica di Al Qaida, e che proprio in quella zona (vale a dire, nello Stato di Borno), ha i suoi quartieri generali. Dal 2009 a oggi, la guerra dichiarata da Boko Haram al governo nigeriano ha provocato almeno 3mila morti, oltre a migliaia di profughi. Ma la colpa non è della religione. Secondo molti, le guerre che stanno dissanguando il Continente sono dettate dal desiderio di controllare le risorse del sottosuolo, e in particolare il petrolio. Come sembra insegnare una diversa tragedia, consumata nei mesi scorsi in Algeria. Forse, suggeriscono alcuni osservatori, le comunità cristiane rappresentano il mondo occidentale e come tali vanno semplicemente eliminate. In ogni caso, è chiaro come nel mirino degli estremisti si trovino quanti si oppongo alle loro idee, o che, più semplicemente, non vi aderiscono. Tutti i riferimenti all’Islam sono un tentativo di dotarsi di una nobile bandiera. Ma l’unico ideale che seguono con convinzione è quello del potere, perseguito attraverso una strategia del terrore. Conclusioni confermate del resto da Mons. John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, che mette in guardia sulle facili interpretazioni: «Non è in atto una persecuzione di cristiani da parte dei musulmani - ha detto - per questo è necessario sostenere l’impegno profuso per creare un Paese in cui cristiani e islamici possano percorrere il loro cammino insieme». Una pacifica convivenza che non fa comodo a chi punta a realizzare un caos generalizzato, secondo l’antico adagio divide et impera.

le persecuzioni nel mondo Il caso della Nigeria non è l’unico. Nel 2012, nel mondo sono stati almeno 105mila i cristiani “nuovi martiri”. Uno ogni 5 minuti, stan-

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26 | EMIRATI ARABI 27 | BRUNEI 28 | BHUTAN

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29 | ALGERIA 30 | TUNISIA 31 | INDIA 32 | MYANMAR 33 | KUWAIT 34 | GIORDANIA 35 | BAHREIN 36 | TERRITORI PALESTINESI 37 | CINA 38 | AZERBAIGIAN 39 | MAROCCO 40 | KENIA 41 | ISOLE COMORE 42 | MALESIA 43 | GIBUTI 44 | TAGIKISTAN 45 | INDONESIA 46 | COLOMBIA 47 | UGANDA 48 | KAZAKISTAN 49 | KIRGHIZISTAN 50 | NIGER

do alla stima dell’Osservatorio sulla libertà religiosa del ministero degli Esteri. Al primo posto della “World Watch List 2013”, l’elenco dei 50 Stati

anche oggi c’è chi muore nel mondo perché crede in dio. Le persecuzioni hanno radici profonde nella storia del cristianesimo. ma l’intolleranza religiosa è davvero l’unica ragione delle stragi?

Porte


il saluto del rettore

pasqua

foto di Mario Notario

la luce è più forte del buio Carissimi amici, in sintonia con tutta la Chiesa abbiamo iniziato il cammino della Quaresima, che ci condurrà a vivere il mistero della Pasqua. È un tempo privilegiato per dare più spazio alla Parola di Dio, alla preghiera, alla carità. Un tempo che ci richiama ad uno stile di vita più sobrio, per disporre il nostro cuore ad un incontro più libero e profondo con il Signore e ad una condivisione più generosa con i fratelli. La non facile situazione che oggi stiamo vivendo porta tanti fratelli e sorelle a dover ridimensionare la propria vita con una scelta di austerità, di rinuncia, di sacrificio. Lo stiamo vedendo con preoccupazione, soprattutto per tante famiglie che vivono in difficoltà. Eppure l’austerità che si pone come duro dato di necessità è diversa da quella a cui chiama il Vangelo: la povertà evangelica è la capacità di relativizzare le cose, di considerarle come mezzo e non come fine, di utilizzarle per il bene di tutti. Anche in tempo di benessere il Vangelo ci chiede il distacco. Le cose sono buone, ma non devono diventare un assoluto a cui sacrificare valori che sono fondamentali per la persona umana. Le tante idolatrie nella storia hanno sempre fatto e sempre faranno vittime. Non bisogna andare lontano per accorgersene. Questo distacco, però, non è fine a se stesso; è un distacco scelto per essere arricchiti da altro, ben più importante e più vero, che solo può riempire il cuore e la vita della persona. Non dimentichiamo le parabole evangeliche del tesoro nel campo e della perla preziosa. La rinuncia per la rinuncia non ha senso. La rinuncia per amore è cosa totalmente diversa: il mistero di Cristo nell’evento pasquale ne è l’immagine più eloquente. E tanti cristiani la vivono così, anche oggi. Allora, non lasciamoci sopraffare dallo scoraggiamento, dalla paura, dalla disperazione. Viviamo questo periodo di fatica come una possibilità, una purificazione. Non dimentichiamo che dopo l’inverno viene la primavera, dopo la notte il giorno e dopo la Quaresima la Pasqua. Pasqua è invito alla speranza, è certezza di un futuro di gioia, è guardare avanti con fiducia, è credere ancora nella presenza di un Dio provvidente. La Pasqua ci dice che la vita è più forte della morte, l’amore è più forte dell’egoismo, la luce è più forte del buio. Siamo nell’Anno della Fede, non dimentichiamolo: è nella concretezza della vita che scopriamo se siamo uomini e donne di fede. Allora di cuore vi auguriamo una Santa Pasqua, ricca di fede, di speranza e di carità. Vi ricordiamo all’Ausiliatrice ogni giorno. Don Franco Lotto, rettore lotto.rivista@ausiliatrice.net


festa di don bosco 31 gennaio 2013

Foto di Renzo Bussio, Dario Prodan, Mario Notario

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giovani, non ruota di scorta ma con don Bosco “pieni cittadini” La festa liturgica del nostro Santo nelle celebrazioni che si sono susseguite tutto il giorno in Basilica, gremita fin dalla prime ore del mattino del 31 gennaio. Momenti centrali le Messe presiedute da mons. Cesare Nosiglia e dal Rettor Maggiore.

«La nostra città oggi somiglia molto a quella dei tempi di Don Bosco, dove migliaia di ragazzi erano senza futuro, poveri, deboli senza lavoro o sfruttati. Don Bosco allora diede una risposta a Torino spendendo la sua vita per dare speranza alle nuove generazioni: anche oggi c’è bisogno di dare futuro ai giovani: invochiamo allora Don Bosco come protettore del nostro Vescovo e dei nostri ragazzi». Così il Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice, don Franco Lotto, ha introdotto la solenne concelebrazione, giovedì 31 gennaio alle ore 11, nella festa liturgica del nostro Santo, presieduta dall’Arcivescovo di Torino Mons. Cesare Nosiglia. Una giornata iniziata molto presto e con la Basilica sempre gremita fin dalle prime Messe del mattino, presiedute tra gli altri da don Bruno Ferrero, direttore de Il Bollettino Salesiano e poi dall’Ispettore del Piemonte, Valle D’Aosta e Lituania don Stefano Martoglio che ha celebrato la colorata e festosa eucarestia per gli allievi delle scuole salesiane.

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marzo-aPrILe 2013

«come si possono rianimare questi miei cari ragazzi acciocché riprendano l’antica vivacità, allegria, espansione...? colla carità...i giovani non solo siano amati, ma essi stessi conoscano di essere amati. (memorie Biografiche XVII,109, 110).

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piena cittadinanza E proprio sui giovani, riprendendo lo spunto del Rettore della nostra Basilica, Mons. Nosiglia ha ricordato come Don Bosco con gli oratori, le scuole professionali (fu lui l’artefice del primo contratto per gli apprendisti) diede ai giovani «piena cittadinanza» perché li fece protagonisti del proprio futuro. «Scommettere sui giovani non è mai stato facile perché la società e in particolare la nostra, basata sul profitto e sulla professionalità matura ed esperta di chi ha esperienza in ogni campo della vita sia ecclesiale sia economica o politica, guarda alle nuove generazioni più come oggetto di cura in attesa di quello che saranno, che di valorizzazione di quello che già sono oggi per l’intera comunità. Per questo molti giovani più che pieni cittadini si sentono “ruota di scorta della nostra società”. Invece Don Bosco ha cambiato radicalmente l’atteggiamento verso le nuove generazioni: anche in campo educativo ha impostato la sua opera sul metodo preventivo che accompagna i ragazzi a sperimentare quanto grande sia la gioia di una vita buona secondo il Vangelo, e gli educatori a stabilire una sincera relazione con loro basata sull’amore prima che sull’insegnamento esterno alla persona. “L’educazione - diceva infatti - è una questione di cuore”. Bisogna che i giovani si sentano amati prima che giudicati o esortati a fare o non fare qualcosa».

essendo amati (i giovani) in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparano a veder l’amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi, e queste cose imparino a far con slancio ed amore. (memorie Biografiche XVII,111)

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don bosco, benedici il sinodo Infine, richiamando il cammino del Sinodo dei giovani appena avviato in diocesi, l’Arcivescovo ha invitato i giovani torinesi a diventare protagonisti anche nella Chiesa: «Non state nel mucchio – ha esortato – non state nelle retrovie: voi camminate più in fretta di noi e se volete potete indicarci il cammino. Il Sinodo dei giovani in corso in diocesi nasce da un sogno che ho nel cuore da quando sono arrivato nel 2010 a Torino. E cioè che i giovani di questa diocesi possano stimarsi pronti e capaci di rinnovare loro stessi, la Chiesa e la società, partendo dalla fede in Cristo vissuta insieme nella verità e con amore. Chiedo a San Giovanni Bosco di benedire questa impresa che vuole coinvolgere tutti i giovani in un cammino dove la fede in Cristo si fa amore convinto e forte per lui, con gli altri suoi discepoli e con i coetanei che vivono esperienze e situazioni lontane dalla fede o dalla Chiesa».

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festa di don bosco 31 gennaio 2013

preGhiera a don Bosco O Padre e Maestro della gioventù, San Giovanni Bosco, che tanto lavorasti per la salvezza delle anime, sii nostra guida nel cercare il bene delle nostre anime e la salvezza del prossimo; donaci il coraggio della testimonianza cristiana; insegnaci ad amare Gesù nell’Eucaristia e la Vergine Santissima; mantienici fedeli alla Chiesa e al Papa e implora da Dio per noi una buona morte, affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. Amen

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chiesa viva

avvocata. Perché? Spesso il catechista deve essere mediatore linguistico!

La mamma di Gesù ogni giorno ci accompagna nel cammino ricordandoci l’obiettivo ultimo della nostra vita: l’incontro con il Figlio.

«Questa preghiera non mi piace e non voglio impararla!», dichiara Stefano di fronte al testo della Salve Regina. Pensando ad uno dei suoi atteggiamenti da scansafatiche cerco di tranquillizzarlo con la promessa di fare imparare la preghiera a puntate, un pezzo alla volta. Ma il motivo del rifiuto è molto serio. Il ragazzino non vuole ripetere quella “brutta” parola: “Avvocata”. Dopo la separazione dei genitori ha conosciuto troppi avvocati, alla cui presenza si sono svolte liti furiose e spiacevoli episodi. Incomincio a spiegare il significato etimologico del vocabolo così ostico: “ad vocata: chiamata in aiuto”. Maria, che nella stessa preghiera salutiamo come Regina e Madre, ha ricevuto da Dio il compito di aiutare chi la invoca con fede. Rendendomi conto delle difficoltà che presenta il testo, invito i bambini a sottolineare tutti i vocaboli di cui non comprendono il significato. Andrea vuole sapere dove si trova geograficamente la “valle delle lacrime”. Alessia non conosce gli “esuli” e non sa che cos’è l’esilio. Come facciamo ad essere “figli di Eva”? A nessuno piace quel “Salve” iniziale, espressione che si può usare con gli amici, ma che non si ripeterebbe mai ad una persona di riguardo, come la maestra o il preside. È vero, nel nostro contesto sociale quel tipo di saluto ha assunto un significato molto confidenziale e quasi irriverente. Occorre rispolverare la solennità del verbo latino “salve”, accostato all’altro saluto, “ave”, anticamente riferito agli imperatori romani e usato dall’Angelo che porta l’annuncio a Maria. In sintesi ci diamo insieme la spiegazione del testo. Salutiamo solennemente Maria come Regina e Mamma misericordiosa, pronta ad accogliere e perdonare. È Lei che ci aiuta nei momenti di dolore e di pericolo. È Lei che ci accompagna nel cammino ricordandoci l’obiettivo ultimo della nostra vita: l’incontro con Gesù. Soltanto Lei può donarci suo Figlio. Se Maria fa per noi tutto questo, si può anche accettare il fatto che sia la nostra ”Avvocata”! Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net

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don bosco oggi

La prima “famiglia salesiana” di Valdocco Il sogno dei nove anni comincia a realizzarsi sotto forma di una casa che accoglie, educa e protegge e fa sperimentare il calore di una famiglia che ama.

© Nino Musio

La prima famiglia salesiana di Valdocco è animata da molteplici personaggi non sempre, all’apparenza, omogenei tra di loro. Innanzitutto ci sono varie centinaia di ragazzi scapestrati e di difficile gestione. Si tratta di piccoli lupi allo stato brado che solo una grande sapienza di cuore, una irremovibile passione educativa ed un costante aiuto e protezione della Provvidenza riescono a riplasmare in agnelli mansueti. I ragazzi apportano storie di violenza ed abbandono, di caos ed insubordinazio-

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marzo-aPrILe 2013

una porta aperta, una mamma premurosa, un sacerdote che con un gruppo di collaboratori accoglie, educa, prepara ogni piccolo, anche il più scapestrato. ad affrontare la vita come dono e come percorso di santità.

ne. La confusione è l’inevitabile risultato di tanti cuori senza legge, con una minima percezione del senso di una famiglia, abituati a strappare, anche con la violenza, un minimo spazio per sopravvivere. Accanto ai giovani, come laici angeli custodi, ci sono varie guardie civiche mandate dalle preoccupatissime autorità civili del tempo a vigilare, spiare, origliare e riferire tutto ciò che viene detto e fatto all’Oratorio. Nelle Memorie dell’Oratorio, al riguardo Don Bosco riporta la relazione di un “vigilante” a Michele Benso di Cavour responsabile dell’ordine pubblico: Signor Marchese, abbiamo veduto una moltitudine immensa di ragazzi a divertirsi in mille modi. Abbiamo udito in chiesa delle prediche che fanno paura. Si raccontano tante cose sull’inferno e sui demonii, che mi fecero venir voglia di andarmi a confessare. I ragazzi non si interessano di politica, ma di pagnotte. Insomma con il pane si tiene a bada l’appetito e con un po’ di inferno gli “appetiti”. Il clima è, a volte, cosi carico di tensione da spingere i responsabili dell’ordine pubblico ad orientarsi verso la chiusura dell’Oratorio. Per fortuna il re Carlo Alberto la pensa diversamente. Per mezzo del conte Giuseppe Provana di Collegno informa lor signori che è mia intenzione che queste radunanze festive siano promosse e protette; se avvi pericolo di disordine si studi modo di prevenirli e di impedirli. Queste parole regali fanno sparire qualsiasi proposito di chiusura o di messa sotto tutela dell’Oratorio.

pena l’immediato allontanamento. L’ignoranza dei ragazzi è abissale. Al riguardo, Don Bosco scrive nelle sue Memorie: «Più volte mi avvenne di cominciare il canto dell’Ave Maria e di circa quattrocento giovanetti, che erano presenti, non uno era capace di rispondere e nemmeno di continuare se cessava la mia voce».

la prima proposta educativa all’interno di valdocco Attiva con alcuni collaboratori la scuola domenicale per l’apprendimento del catechismo e le scuole serali per elevare la cultura e favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Inizia la Compagnia di S. Luigi per promuovere il buon comportamento in chiesa e fuori. Per venire incontro ai ragazzi senza fissa dimora, sollecitato in questo dalla preoccupazione materna di mamma Margherita, in un fienile adattato, avvia l’esperienza di offrire riparo ai poveri sbandati. I risultati sono pessimi. I ragazzi rubano lenzuola, coperte ed anche la paglia dei poveri giacigli. Roba da spararsi per la delusione. Ma in una sera piovosa del maggio 1847 bussa alla porta dell’Oratorio un orfano inzuppato di pioggia, affamato ed impaurito. Si ferma, non scappa e non ruba nulla. Presto altri poveri giovani si aggiungono. Così si completa la struttura della prima famiglia oratoriana. C’è un padre (Don Bosco), una madre (mamma Margherita) e tanti figli da aiutare, educare e, soprattutto, sfamare. In questo modo prende avvio la gloriosa storia di quello che sarà poi chiamato il Sistema Preventivo che ognuno di noi è chiamato a rivitalizzare ed aggiornare per affrontare le sfide che il moderno mondo globalizzato propone con sempre maggiore urgenza. Ermete Tessore

il ruolo di don bosco e di mamma margherita Accanto agli scapestrati ragazzi ed alle guardie, sul palcoscenico educativo oratoriano, si muovono Don Bosco e madre Margherita coadiuvati da vari collaboratori. La loro passione educativa riesce a captare e a dare una risposta concreta alle richieste dei giovani; la loro fede nella Provvidenza divina e nella protezione materna di Maria li spinge ad accettare una scommessa che, agli occhi del comune buon senso, prende le sembianze di pura utopia. Per dissipare le paure di pericolosi caos, Don Bosco redige un Regolamento a cui tutti devono sottoporsi e, scrupolosamente, osservare

tessore.rivista@ausiliatrice.net

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don bosco oggi

Luigi novarese “apostolo degli ammalati” Guarito da tubercolosi ossea per intercessione di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco, diventa prete e fonda anche il Centro Volontari della Sofferenza. Morto nel 1984, sarà proclamato beato l’11 maggio. Passano nove mesi e il papà muore per una polmonite trascurata, lasciando a Teresa, vedova trentenne, una famiglia numerosa, povera e sfortunata. Mamma coraggio non risparmia fatiche e sacrifici per crescere i figli. Luigi, a 9 nove anni, è colpito da una coxite tubercolare alla gamba destra, una grave forma di tubercolosi ossea, che lo costringe a letto con il busto ingessato, complicata da ascessi purulenti che provocano sofferenza insopportabile. Una malattia incurabile e invalidante.

le stampelle diventate ex-voto a valdocco La mamma vende i terreni e la cascina per costose cure e inefficaci ricoveri da un ospedale all’altro. Don Filippo Rinaldi, nato a Lu Monferrato il 28 maggio 1856 e terzo successore di Don Bosco, lo invita a fare una novena a Maria Ausiliatrice e a Don Bosco. Non una, ma tre novene occorrono per ottenere una guarigione improvvisa, completa

Una prodigiosa guarigione, ottenuta per intercessione di Maria Ausiliatrice e di Don Bosco, gli cambiò la vita. Era il 17 maggio 1931, mancava una settimana alla festa di Maria Ausiliatrice e Don Bosco era beato da due anni, dal 2 giugno 1929. Luigi Novarese aveva 17 anni e da otto era affetto da una dolorosa tubercolosi ossea. La mamma aveva speso una fortuna per curarlo. I medici avevano sentenziato: pochi mesi di vita. Ottant’anni dopo, sabato 11 maggio 2013, nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma, l’“apostolo dei malati” sarà proclamato beato in una celebrazione presieduta dal Segretario di Stato, il cardinale salesiano Tarcisio Bertone. Luigi Novarese nasce nella cascina Serniola di Casale Monferrato (Alessandria) il 29 luglio 1914 da Giusto Carlo e Teresa Sassone, ultimo di nove figli, tre stroncati dalla miseria in tenera età.

Luigi Novarese Lo spirito che cura il corpo di Anselmo Mauro Edizione: Centro Volontari della Sofferenza Edizioni Data: novembre 2011 Dimensioni: 14 x 21 cm Euro: 18,00

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e duratura: è il 17 maggio 1931. Luigi esce dall’ospedale e porta le stampelle come ex voto nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. Non resta che mantenere la promessa fatta alla Madonna di dedicare la vita agli ammalati. Sembra orientato a fare il medico, ma l’improvvisa morte della madre e la vocazione sacerdotale gli scombinano i piani. Entra in Seminario. Il Vescovo di Casale gli procura una borsa di studio per l’Almo Collegio Capranica di Roma. Il 17 dicembre 1938 è ordinato sacerdote. Laurea in Teologia all’Università Gregoriana, laurea in Diritto canonico, diploma di avvocato rotale. Mons. Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, lo chiama in Segreteria di Stato per evadere le moltissime lettere che arrivano al Papa per avere notizie dei soldati in guerra, dei prigionieri, dei dispersi. Don Luigi scopre così un’altra forma di sofferenza: quella causata dalla guerra. Non dimentica i malati. Nel maggio 1943 fonda la Lega Sacerdotale Mariana; il 17 maggio 1947, anniversario della guarigione, coadiuvato da sorella Elvira Myriam Psorulla, fonda il Centro Volontari della Sofferenza e il 15 agosto 1952 i Fratelli e Sorelle degli ammalati. Avvia trasmissioni radio, pubblicazioni, pellegrinaggi, convegni, centri di riabilitazione per disabili, missioni nei lebbrosari, assistenza religiosa negli ospedali, con uno sbocco legislativo tuttora vigente. Tutto per «sostenere i diritti degli ammalati e umanizzare il trattamento negli ospedali». Ripete spesso: «Gli ammalati devono sentirsi gli autori del proprio apostolato».

nodale «Christifideles laici» (30 dicembre 1988) il carisma di Novarese nell’«azione pastorale per e con i malati e i sofferenti». Nel 1962 gli è affidata l’assistenza spirituale negli istituti ospedalieri italiani, prima dalla Segreteria di Stato e poi dalla Conferenza episcopale italiana (1970-1977). Muore a Rocca Priora (Roma) il 20 luglio 1984. Il processo canonico, iniziato il 17 settembre 1989, sfocia nella beatificazione di un sacerdote che ha lavorato per decenni in Segreteria di Stato e che ha professato un amore sconfinato per gli ammalati, rifiutando ogni pietismo e facendone gli attori dell’evangelizzazione. Tre mesi prima della beatificazione, Benedetto XVI lo cita tra i buoni samaritani del XX secolo insieme a Santa Teresina di Lisieux, Raul Follereau apostolo dei lebbrosi, Beata Madre Teresa di Calcutta. Infatti, nel messaggio per la 21ª Giornata del malato, celebrata l’11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, cita «il venerabile Luigi Novarese, del quale molti ancora oggi serbano vivo il ricordo, nell’esercizio del suo ministero avvertì in modo particolare l’importanza della preghiera per e con gli ammalati e i sofferenti, che accompagnava spesso nei santuari mariani, in speciale modo alla grotta di Lourdes».

un buon samaritano del xx secolo Non mancano i riconoscimenti dei Papi. Pio XII rileva nel suo carisma la missione dei malati nella Chiesa. Giovanni XXIII sottolinea il valore penitenziale della sofferenza e, a riconoscimento della sua azione, lo nomina “perito” del Concilio Vaticano II (1962-1965). Paolo VI dice agli infermi: «Se voi volete, salvate il mondo». Giovanni Paolo II lo definisce «apostolo degli ammalati» e nel 1997 confida di aver inserito nella lettera apostolica sul senso cristiano della sofferenza “Salvifici doloris” (11 febbraio 1984) e nell’esortazione apostolica postsi-

Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net

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quando la mia mamma a Valdocco aiutava mamma margherita

Don Eugenio Reffo, co-fondatore della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, fu amico di Don Bosco e di don Michele Rua in quella stagione feconda della Torino dei Santi sociali. È curioso come a leggere la biografia dei Santi si trovino alcuni tratti comuni anche nella scelta dei collaboratori più fidati. Così è accaduto per due santi sociali torinesi, Don Bosco e don Leonardo Murialdo, che scelsero come loro successori due confratelli che, nell’ombra, contribuirono in modo determinante al diffondersi del carisma dei fondatori. Don Michele Rua, primo successore di Don Bosco sostituì e assistette il Santo dei giovani in tutto. Così fu per don Eugenio Reffo che del Murialdo non solo fu il collaboratore più vicino ma di tante iniziative attribuite al Murialdo stesso – come la fondazione della Congregazione di San Giuseppe – fu il motore. Nei giorni scorsi la famiglia murialdina ha ricordato il 170° dalla nascita del servo di Dio don Eugenio Reffo che nacque a Torino – fu battezzato in Duomo – il 2 gennaio 1843. Presso la parrocchiasantuario di Nostra Signora della Salute in Borgo Vittoria, dove don Eugenio Reffo è sepolto accanto all’urna di San Leonardo Murialdo, domenica 20 gennaio si è celebrata una Messa solenne presieduta da padre Tullio Locatelli, consigliere generale

della Congregazione di San Giuseppe che ha tenuto, al termine della celebrazione una conferenza sulla figura del servo di Dio. Un luogo, la parrocchia Nostra Signora della Salute, a cui il Reffo fu particolarmente legato: fece parte del comitato per la costruzione della chiesa e il 15 giugno 1890; in occasione della solenne inaugurazione della cappella provvisoria del santuario, a don Eugenio fu affidato il primo panegirico. Inoltre il quadro della Madonna della Salute, che da allora si venera nel santuario, è opera del fratello di don Reffo, Enrico, apprezzato pittore le cui opere ornano tante chiese torinesi e non solo. Tra queste San Dalmazzo, in via Garibaldi, interamente affrescata da Enrico Reffo e dai suoi allievi.

a fianco il simbolo della Famiglia murialdina che diffonde e promuove la testimonianza di San Leonardo murialdo e del reffo.

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santità contagiosa Dicevamo delle analogie fra Don Bosco e il Murialdo in quella sorprendente stagione di santità che caratterizzò Torino tra ‘800 e ‘900. Sono numerosi gli «incroci» - come ha sottolineato don Locatelli – fra i sacerdoti di quell’epoca, come dire la santità era «contagiosa»: la mamma di don Reffo dava una mano a mamma Margherita nell’organizzazione delle lotterie a sostegno dell’oratorio di Valdocco, don Reffo ha avuto tra i suoi confessori il can. Allamano quando era rettore della Consolata. E poi nel 1888, in occasione di una delle ultime consuete feste organizzate a Valdocco per il compleanno di Don Bosco, il Santo dei giovani è ritratto in mezzo a don Michele Rua e a don Eugenio Reffo che fu incaricato di dire due parole per introdurre il brindisi augurale... Fu dopo quel discorso, racconta nei suoi scritti don Reffo commosso, che Don Bosco gli disse «Ti voglio bene», a testimonianza dell’amicizia e della collaborazione tra i due sacerdoti. Insomma – rileva don Locatelli – tutti segni che a quei tempi sebbene con carismi diversi Santi non ci si faceva da soli.

poveri. Da allora i Giuseppini, oggi sparsi in tutto il mondo, continuano ad occuparsi dei ragazzi più in difficoltà. C’è poi il giornalismo, grande amore del Reffo a cui, nonostante negli ultimi anni della sua vita fosse diventato cieco, si dedicò fino alla fine. Fu redattore capo del quotidiano l’Italia reale e dal 1895 si dedicò soprattutto al settimanale la Voce dell’operaio (oggi La Voce del popolo, il settimanale della diocesi di Torino), il periodico fondato dallo stesso Murialdo nel 1876 come Bollettino delle Unioni operaie cattoliche. Don Reffo, che diresse la Voce dal 1901, ne migliorò la veste tipografica ed i contenuti, e procurò al giornale un rinnovato successo e una tiratura che nel 1915 era di 35 mila copie affermandosi oltre i confini nazionali tra gli emigranti italiani. Nonostante fosse ormai cieco, continuò a dettare i suoi articoli fino alla morte: l’ultimo suo pezzo fu pubblicato il giorno dopo la sua morte avvenuta a Torino il 9 maggio 1925.

giovanilismo e giovani poveri Ma Eugenio Reffo, schivo e rigoroso per carattere, non ambiva certo alla santità, anche se di Santi ne ha frequentati parecchi. Dedicò tutta la sua vita di prete a due passioni: il giornalismo e l’educazione dei giovani poveri. Diventato sacerdote dopo aver studiato presso i gesuiti di Massa Carrara e nel Seminario arcivescovile di Torino, fu nominato nel 1861 maestro educatore nel Collegio degli Artigianelli, fondato da don Giovanni Cocchi per accogliere e dare un mestiere ai ragazzi orfani e più poveri della città. Fu qui che avvenne l’incontro fra don Reffo e il Murialdo, che spesso andava a confessare i ragazzi agli Artigianelli, e i due non si separarono più. Quando al teologo Murialdo - riluttante - fu affidata nel 1866 la direzione del Collegio che versava in condizioni economiche disastrose – Reffo era già lì. E fu lui che convinse il Santo a fondare una Congregazione – i Giuseppini del Murialdo - di cui il Reffo scrisse la regola – che avesse come carisma l’educazione dei giovani più

Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net

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un intervista... da sogno (dei 9 anni) ... Faccio mente locale. Sono in Paradiso, ho davanti Don Bosco e sto bevendo del vino. So che la cosa avrebbe più senso se invertissi i tre fattori: a causa del vino, ho le allucinazioni e credo di essere in questo piccolo studio dove il Santo mi sta parlando. Ma così non è. E la Freisa che mi ha appena offerto è qualcosa di eccezionale. Direi una bevanda... da Dio... se non avessi paura che cominci a tremare tutto. Ho bevuto due sorsi, perché davvero merita, e riprendo ad incalzare il nostro, che ha bevuto anche lui da una semplice scodella.

- Il miglior rimedio contro l’influenza... - accenna alla bottiglia. - Ci credo - convengo - Posso riprendere l’intervista? - Oh, certo. Dicevamo che l’oratorio doveva essere casa di preghiera. Beh, lo dice il nome no? Concordo di nuovo. Lui socchiude gli occhi e si concentra, come ricordasse. - È da quel sogno, sai? Quello dei nove anni. - Lo rammento bene - affermo con orgoglio da exallievo. - Eh, sì, lo raccontano sempre - annuisce Don Bosco - ma viverlo ti assicuro che non è così rilassante. E

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anche ricordarlo. Quei giovani, quei lupi. Che violenza, che rabbia. Anche oggi quando leggo sui giornali quanta ne viene sparsa nel mondo, sui giovani e a causa dei giovani... Lo fermo un istante. - Scusa, ma leggete i giornali, in Paradiso... - Eh? Oh Sì - sorride felice - Arriva “Avvenuto”, che è come Avvenire, solo che qui è fuori dal tempo, per cui lo racconta. Anche se non è il mio preferito sai... non vedo l’ora invece che escano la Rivista di Maria Ausiliatrice... e il Bollettino Salesiano... sanno tanto di diario di famiglia: li uso per vedere le facce di tutti i miei ragazzi di adesso. E poi discutiamo i vostri articoli, sai? - Gli articoli... i nostri... - Sì, con Madre Mazzarello. Che donna straordinaria. Donna grande e suora immensa. Le due cose devono sempre andare a braccetto, ricorda. Con Lei era evidente sulla terra: cuore a Gesù, ma occhi e piedi ben piantati nel lavoro. Concreta, allegra, profonda. Quassù, insieme, leggiamo i consigli che vengono dati. Ecco perché ho accettato l’intervista. Per ricordare i fondamentali. - Casa di preghiera. Il sogno dei 9 anni. - Oh, sì, ti dicevo - chiude di nuovo gli occhi... - in quel sogno che paura, che freddo, che buio. Mi lanciavo in mezzo a quella mischia per fermarli ma le gambe mi tremavano. E poi la luce mi ha avvolto: serena, calda, forte. Era Lui che allontanava il Male.


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- Oh Gesù! - esclamo in maniera impropria. - Ecco, sì, proprio Lui - mi asseconda Don Bosco. - Gesù che mi dice che con la mansuetudine e la carità li avrei calmati, li avrei rasserenati quei giovani: avrei trasformato i lupi in agnelli. - E la preghiera? - Per avere la mansuetudine del cuore, non quella un po’ ecclesiastica di facciata, e l’autentica carità bisogna pregare tanto. Chiedere questo dono di Grazia continuamente. Chi ha il cuore in Dio non se lo vede riempire da altro. E già tutto colmo... - Il sogno continuava, se non sbaglio... - Oh, sì. E qui arriva il bello, o meglio la Bellissima... Ho visto Lei. Ci si può innamorare di quegli occhi, sai? - Don Bosco innamorato? Ummm. Forse questo è meglio non scriverlo... - No, no. Qui si dice solo la Verità, sai. Quello sguardo mi ha accompagnato tutta la vita. Mai visto nulla di così buono e puro, per cui... bello. - È stata l’Ausiliatrice... - Non avevo ancora avuto quell’intuizione, allora. Avevo 9 anni e Lei mi venne presentata come la Maestra. Mi ha insegnato a pregare. L’Angelus, tre volte al giorno, le tre Ave Maria prima di andare a dormire... Insisto perché dici ai miei figli che solo attraverso Maria saranno fedeli al nostro carisma: perché è Lei che me lo ha insegnato. - Ma parla poco, di solito, no? Voglio dire la Signora... - Oh, certo. Allora si limitò ad un solo consiglio: renditi umile, forte e robusto. Il primo gradino è stato una faticaccia da salire fino all’ultimo istante di vita, il secondo ci hanno pensato le prove della vita, come tempesta

contro la pietra, a levigarmi nel tempo. Beh, quanto al robusto... ci pensava mamma Margherita con le sue merende. Quest’ultimo è stato facile. - Siamo ancora alla casa di preghiera. - Certo. Insegnare ai ragazzi a pregare è la chiave di tutto. Trovano Dio, trovano la pace. Siete così affannati nel mondo giù in terra. Tanta tecnologia e velocità solo per fare ancora più cose. E non vivete più, siete inquieti, arrabbiati ed agitati di continuo. Vabbè che ho detto che vi sareste riposati in Paradiso... ma non è il caso di arrivarci in camicia di forza quassù. La preghiera aiuta a dare il ritmo giusto, a scaldare il cuore, a trovare forza. Mai capito perché i cristiani vadano in cerca delle forme di meditazione orientale... hanno già tutto, hanno già il meglio, nel dialogo con la Madre Celeste, che porta al Figlio. Un rumore ci fa sussultare entrambi. È un gruppo di ragazzi che sembra appena uscito da scuola e urla per la gioia nel grande corridoio fuori del piccolo studio dove ci troviamo.

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Don Bosco sorride con gli occhi e mi fa cenno con la mano di aspettare. Esce fuori e vedo quei ragazzi passare. Uno si ferma e scambia due parole con il Santo. Mi pare di riconoscerlo. Mi fa un occhiolino e poi riprende a correre con gli altri. Don Bosco chiude la porta e si risiede. - Scusali. Sono Domenico e i suoi amici. - Domenico...? - farfuglio - Domenico Savio? - chiedo esplicito. - Certo. Giocano sempre qui in Paradiso. Sai, noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri. Per finire il discorso dell’oratorio: non c’è Don Bosco se non c’è sorriso, questo dovresti proprio scriverlo. Ed è già sul mio taccuino ben cerchiato. Diego Goso dondiegogoso@icloud.com


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maria ci invita

a trasmettere la fede in famiglia liatrice ci sentiamo particolarmente chiamati a vivere la fede e a curarne la trasmissione soprattutto nelle famiglie sulla scia delle indicazioni del papa Benedetto XVI: «La grande gioia con cui a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente sottolineata l’importanza della famiglia per la trasmissione della fede come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali dell’essere persona umana. Le si impara vivendole e anche soffrendole insieme. Così si è reso evi-

Vogliamo vivere l’Anno della fede sotto lo sguardo e la protezione della nostra Madre, Maria Ausiliatrice. Essa ci invita a vivere secondo suo Figlio, a diffondere la pace e l’amore, ad accogliere la Verità di Dio e a pregare lo Spirito Santo perché sia nostra guida. Guidati da Maria e come suoi apostoli porteremo a Dio tutti coloro che si sono smarriti e mostreremo loro la via della fede. Con Maria siamo invitati a far sì che i peccatori si pentano dai loro peccati e vivano nella libertà dei figli di Dio. Maria nostra Madre ci esorta a non vivere nel buio, prigionieri del peccato, a dire no al peccato e al male, a donare i nostri cuori a suo figlio Gesù e a vivere i comandamenti di Dio. Come Associazione di Maria Ausi-

dente che nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto... solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana» (Benedetto XVI 21 dicembre 2012). Pierluigi Cameroni SDB Animatore spirituale pcameroni@sdb.org

incontro adma ecuador

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In occasione della beatificazione di Suor Maria Troncatti (Macas – Ecuador 24 novembre 2012) don Pierluigi ha avuto l’opportunità di incontrare, la domenica 18 novembre presso la sede ispettoriale di Quito, alcuni soci dei gruppi dell’ADMA dell’Ecuador, accompagnati da alcuni membri del Consiglio Nazionale: la presidente, Sig.ra Blanca Narvaez, la segretaria, Sig.ra Jeaneth Barahona, l’animatore spirituale, don Emilio Vera. È stato un momento di condivisione e di fraternità dove è stata presentata la vita dei 27 gruppi ADMA dell’Ecuador sottolineando in modo speciale il grande lavoro in atto a servizio di tante persone in difficoltà: bambini di strada, madri abbandonate, persone in necessità, anziani, ammalati, persone vittime dell’alcool e della droga...

palermo (italia)

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Il gruppo ADMA della Parrocchia Maria Ausiliatrice di Villa Ranchibile il giorno 7 ottobre 2012 accoglie 9 nuovi soci.

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ispettoria fma “virgen del camino” (spagna)

3 ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

80 soci dell’ADMA in pellegrinaggio a Valverde del Camino per pregare la Beata Eusebia Palomino e al El Rocio.

panjim-KonKan (india) adma day

www.donboscoadma.org roma (italia)

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Presentazione ADMA agli ispettori di nuova nomina

L’ispettoria di Panjim-Konkan ha celebrato il suo primo ADMA DAY presso l’Oratorio Don Bosco, Panjim, il 9 novembre 2012. Tema dell’incontro: Fate quello che vi dirà. Il primo gruppo ADMA in Odxel è stato riconosciuto nell’agosto del 2009, seguito dal gruppo di Parra nel dicembre 2010, dopo la preparazione di un anno. I gruppi di Carona e Loutolim si stanno preparando per il loro impegno.

Don Pierluigi Cameroni ha presentato l’identità e la missione dell’ADMA ai dieci ispettori salesiani di recente nomina, che hanno vissuto un periodo di formazione a Roma presso la casa generalizia.

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gela (sicilia – italia) Affidamento dei bambini a Maria L’ADMA di Gela da alcuni anni, nel corso della novena a Maria SS. Immacolata, invita le famiglie del territorio a pregare e a chiedere alla Madonna di mettere sotto il suo manto i propri figlioletti. Ogni anno questo momento è molto atteso e richiesto perché le famiglie si sentono confortate dalla presenza di Maria. Il 6 dicembre si è svolto questo atto di affidamento, presentando alla Vergine 48 bimbi perché li custodisca e li protegga.

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eLLedIcI

Alla vigilia della festa dell’Immacolata, la Elledici ha cambiato casa. Sotto lo sguardo materno di Maria, come quando è nata, l’8 dicembre 1941, per una geniale intuizione del Rettor Maggiore don Pietro Ricaldone, con il nome LDC (Libreria Dottrina Cristiana). Ha abbandonato la sua livrea imponente e asciutta di cinque piani in mattoni rossi, interrotti da decine di finestre, per indossare un abito agile e funzionale, più in… “linea” con i tempi. La distanza tra il vecchio indirizzo di Rivoli, la residenza estiva dei Savoia che si affaccia sulla catena delle Alpi, e il nuovo, a due passi dal centro di Torino, non è molta. Tra i due siti, però, viaggiano chilometri di parole scritte, montagne di libri stampati, quintali di inchiostro, ma anche una serie infinita di filmine, diapositive, disegni, immagini e note musicali. Un tesoro prezioso condensato oggi nei tremila titoli del catalogo e nelle duecento novità all’anno. Ma, soprattutto, ad unire il passato e il presente è l’impagabile patrimonio umano rappresentato da centinaia di scrittori salesiani, di pittori e musici, di autori e collaboratori che hanno accompagnato la formazione di generazioni di bambini, ragazzi, giovani e adulti, con la stessa “passione educativa” di Don Bosco. I nuovi uffici rappresentano certamente un traguardo atteso, impe-

© foto di: Elledici

una nuova “casa” per l’editrice di don Bosco

gnativo e sofferto, maturato dopo anni di riflessioni, dibattiti e progetti. Ma anche una scelta coraggiosa, perché raggiunta nel pieno di una crisi epocale che attraversa tutta l’editoria. Il mercato del libro è penalizzato, più di ogni altro prodotto, dalla precaria situazione economica e dall’agguerrita concorrenza dei nuovi mezzi multimediali. I lettori varcano sempre di meno la soglia delle librerie nonostante la ricca offerta di titoli e di prodotti qualificati e utili. Diventa complicato interpretare anche gli scenari di riferimento sotto la spinta di nuove culture e di presenze multietniche. Un panorama, tutto sommato, che sconsiglia qualsiasi forma di investimento, in attesa di tempi migliori. Non così, però, fareb-

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be Don Bosco. Se avesse aspettato stagioni più favorevoli non avrebbe mai costruito scuole, laboratori, chiese. E non avrebbe scritto oltre 400 libri, al lume di candela, di notte, dopo una giornata estenuante, per contrastare la cultura anticattolica del suo tempo e per offrire, ai suoi ragazzi e alle famiglie, idee e valori per una vita buona e bella.

i problemi come sfida Le difficoltà, i contrattempi, gli errori accompagnano da sempre ogni grande realizzazione. Sarebbe ingenuo pretendere degli sconti o illudersi che un passato glorioso possa garantire un futuro in discesa. L’ha ricordato anche il Rettor Maggiore, don Pascual Chávez, nel discorso per l’inaugurazione della nuova


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sede: «Non siamo così ingenui da non chiamare i problemi con il loro nome. I problemi, però, esistono per essere risolti e non per abbatterci e condannarci alla rassegnazione. Diventano una sfida, un’opportunità. E questa nuova sede ha senso se risponde in modo positivo alle grandi sfide che si presentano». Sulla scorta di queste parole e ripensando a Don Bosco, i salesiani della Elledici, guidati da don Stefano Martoglio, hanno deciso di lanciarsi con una ripartenza rappresentata dal centro appena inaugurato e, specialmente, dalla sua innovativa formula organizzativa. C’è del nuovo, infatti, non solo nella struttura, ma soprattutto nel “cuore”, della Elledici targata 2013, rappresentato da una singolare “linea” produttrice di idee e progetti: l’EllediciLab. Lab come laboratorio “dove le idee si incontrano” e danno vita a progetti di animazione e formazione sul territorio. È lo spazio in cui operano gli esperti dell’area Elledici Scuola (in collaborazione con AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici), della Elledici EDU.C.A.R.E. (EDU come Educazione, C.A.R.E. come Cultura, Animazione, Reti, Esperienze) con la partecipazione della cooperativa Animagiovane.

La nuova sede è in corso Francia, 333/3 10142 torino. con gli occhi di dio Attorno a questo pool di professionisti ruotano giornalmente animatori ed educatori che lavorano con i ragazzi, nei gruppi parrocchiali, negli oratori. E sempre di più sui social network, i “cortili virtuali” su cui i “nativi digitali” giocano, chattano, creano relazioni. Non a caso l’Elledici da subito è entrata in questo mondo pseudo-virtuale con la sua ricca e gettonatissima pagina Facebook, con un profilo che rappresenta i diversi ambiti di produzione dell’Editrice. Da questo interscambio nascono i futuri prodotti editoriali e multimediali, primo tra tutti il sussidio per le attività estive, un intelligente mix di storie, attività, video, canzoni, giochi, preghiere. Proprio i ragazzi e i giovani restano il punto di riferimento fondamentale della missione di questa editrice. Lo stesso a cui ha fatto riferimento sempre don Chávez: «Una cosa mi sta a cuore: i vostri libri, riviste, dvd e nuovi media devono aiutare a guardare il mondo con lo sguardo di Dio, a vedere Dio in tutto e a vedere tutto con i suoi occhi».

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Alla base di questa preoccupazione, un’amara costatazione: «Nel mondo oggi – ha continuato don Pascual – c’è una tremenda dose di pessimismo. E questo pessimismo riguarda soprattutto la gioventù. I giovani non sono il futuro, sono il presente e hanno bisogno di opportunità. Come diceva Don Bosco: occorre illuminare la loro mente, rinforzare la loro identità, aiutarli a crescere nella loro libertà e responsabilità». Ed è ciò che la nuova Elledici si impegna a realizzare, con rinnovato ottimismo ed entusiasmo. Con un grande futuro alle spalle. Nel segno, anzi, nel sogno di Don Bosco. Valerio Bocci vbocci@elledici.org


esperienze

euroclip raccontare

don Bosco in sette minuti

© foto di: MGS-ICP

150 giovani di tre scuole e sette oratori salesiani sono stati gli attori, gli sceneggiatori e i registi di cortometraggi sul tema “Siate buoni cristiani e onesti cittadini”. «Dieci case salesiane del Piemonte e della Valle d’Aosta, un solo obiettivo. Raccontare Don Bosco, in soli sette minuti. Tema della serata: Buoni cristiani e onesti cittadini». Diceva così, lo speaker che giovedì 31 gennaio 2013 ha introdotto la serata finale di EuroClip. A conclusione della Festa di Don Bosco, i giovani di tre scuole e sette oratori hanno ricordato il Santo torinese lavorando su una delle frasi che “Don” ci ha lasciato come eredità: «Siate buoni cristiani e onesti cittadini». La Pastorale Giovanile dell’Ispettoria Piemontese ha accolto con impegno e passione la proposta del Dicastero della Comunicazione Sociale: tramite il progetto Europa: «avvicinare tra loro le Ispettorie europee e creare spazi di lavoro “multimediali” per i ragazzi di Don Bosco in Europa». «La comunicazione sociale è per noi luogo di ricerca e sperimentazione - dice Don Alberto Martelli, delegato della Pastorale Giovanile del Piemonte,

Val d’Aosta e Lituania -, una scommessa accettata per poter essere vicino ai giovani anche nelle “piazze virtuali” che Don Bosco oggi, sceglierebbe di frequentare». L’evento è stato accompagnato da interviste in diretta sul canale Telepace e sostenuto da Primaradio, media partner del concorso, che tramite interviste e approfondimenti, ha raccontato passo dopo passo il lavoro. Inoltre, la redazione di ValsOnAir, la web radio del Liceo Valsalice, ha trasmesso e commentato l’intera serata in diretta streaming. La giuria, di grande valore, era composta da famosi attori, sceneggiatori, produttori e giornalisti. Dunque, settanta minuti di filmati, quasi quanto un film; ma questa volta gli attori, i registi, i montatori, gli sceneggiatori e i produttori, sono i 150 ragazzi che hanno lavorato alla realizzazione dei “corti”. Come dire che è stato centrato l’obiettivo

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principale: mettere in moto le passioni dei giovani per il mondo multimediale, per scoprire come Don Bosco affronterebbe i loro problemi e il loro futuro. Don Bosco a questo punto direbbe: «Abbiamo appena cominciato».

Vedete e condividete anche voi i corti collegandovi al canale www.youtube.com/user/pastoralegiovanile proposto a due animatori di “Sanbe”, Ezio Cometto e Barbara Sacco, che hanno accettato di dar vita al cortometraggio. Dopo la fase di sceneggiatura, che ha scelto come obiettivo un semplice e chiaro messaggio cristiano (“Noi siamo la sabbia di Dio”), sono iniziate le riprese, grazie anche all’impegno di Fabio Notario, che si è occupato di audio, video e montaggio. Il punto di forza del progetto di “Sanbe” è stato quello di coinvolgere tutti i componenti dell’Oratorio, dai ragazzi del biennio delle Superiori sino agli animatori. Un successo inatteso che ha lasciato in loro molta soddisfazione e soprattutto la voglia di rimettersi “in pista” per la fase successiva.

da bra, il vincitore: “sogni in cerca di un cassetto” «Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili». Con questa frase di Seneca si conclude il cortometraggio Sogni in cerca di un cassetto, realizzato dai giovani del gruppo triennio dell’oratorio di Bra (Ilaria, Federico, Andrea, Paolo, Alberto), vincitore della prima edizione del concorso EuroClip. Oltre che dare senso all’intera narrazione, la frase rappresenta bene il lavoro svolto dai 15 ragazzi, coordinati dai loro animatori e da don Davis Monetti «L’impresa è stata impegnativa – ammettono - a volte siamo stati tentati di abbandonarla; però abbiamo continuato a osare e a credere nel progetto che si andava concretizzando. Adesso, rimangono la gioia per il lavoro svolto, la speranza di avere altre occasioni simili e soprattutto la consapevolezza che nonostante tante difficoltà, siamo figli di un grande sognatore, Don Bosco, e dobbiamo guardare a lui, alla sua determinazione e alla sua fiducia in Dio e nella Madonna per osare sempre e in grande».

Enzo Governale redazione.rivista@ausiliatrice.net

da san benigno: “la sabbia di dio” Il progetto EuroClip ha subito stimolato curiosità e interesse nell’Oratorio “Maria Immacolata” di San Benigno Canavese. Don Gianmarco Pernice l’ha

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esperienze

La fede, punto pratico di partenza Proseguiamo il cammino di catechesi intrapreso nel numero scorso per confrontarci, ora, con Alice Corsi, insegnante, scrittrice e mamma di 3 figli.

un libro... autobiografico «Alice, sei arrivata seconda al premio nazionale “La Giara”...un traguardo importante...» Alice: «Attualmente lavoro come insegnante ma fin da piccola mi sono divertita a scrivere racconti e storie: recentemente, ho rielaborato un romanzo che custodivo in un cassetto e mi sono iscritta al Concorso nazionale per giovani scrittori “La Giara”, promosso dalla Rai. Il mio romanzo “La memoria degli alberi” è piaciuto molto, mi sono classificata seconda e avrò così la gioia di vederlo uscire prossimamente edito da Rai-Eri!». «Di cosa parla il tuo libro?» Alice: «La protagonista della mia storia è una ragazza che si sveglia,

in una clinica di malati affetti da disturbi psichiatrici, con segni di lividi e varie cicatrici di cui non ricorda l’origine e la causa. Scrivendo, ripercorre a tappe la sua vita: in questo percorso lei identifica la sua fede, e decide così di dare una svolta alla sua vita. Questo “fil rouge” ritengo sia autobiografico, in quanto per me la fede è un punto di partenza, non certo di arrivo. Anche io ho vissuto, alcuni anni fa, una svolta epocale nella mia vita: un profondo cambiamento che posso tranquillamente definire conversione». Don Ermis: «Anche io adoro la scrittura: in questo periodo ho in gestazione un libro sul tema del cristianesimo e delle altre fedi! In quest’opera cercherò di parlare dei cristiani così come vengono visti dalle altre religioni: saranno numerosi punti di vi-

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sta da cui osservare il nostro modo di essere cristiani». «Un bel segno di apertura...a volte i cristiani tendono purtroppo a chiudersi a riccio nella loro cultura, nella loro “forma mentis”» Don Ermis: «Sì, perché viviamo in una sorta di strozzamento storico, per cui la difesa della propria identità diviene a volte un motivo per non comprendere quella degli altri. E poi si pronuncia la propria identità come se dovesse servire anche per gli altri, tirando in ballo Dio come timbro finale».

la scrittura come impegno sociale Giornalista: «Quindi per te Alice la scrittura è vitale!» Alice: «La scrittura è anche una for-


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ma di impegno sociale: “La memoria degli alberi” vuole catalizzare l’attenzione ricordando come gli alberi in inverno sembrano morire. Poi, in primavera, ritornano invece alla vita, rinascono, più belli che mai! Anche noi possiamo rinascere a vita nuova in modo naturale e spontaneo, senza averne però memoria: come gli alberi, appunto. La mia opera, inoltre, vuole sottolineare la necessità dell’assenza di giudizio: il messaggio di Gesù è infatti un bel messaggio di riscatto e rinascita, non certo di giudizio sulle nostre povertà!». Don Ermis: «Concordo. Una persona va accolta senza giudicarla, riconoscendola nella sua identità profonda. Il perdono ad esempio, non è oblìo, bensì la capacità di accogliere pienamente una persona, riscoprendola nella sua essenza. Una delle cose più tristi è notare che una persona non viene riconosciuta, non viene accolta, viene bollata per il suo passato e flagellata con questa memoria».

tre provocazioni «Alice, tu sei arrivata seconda in un concorso televisivo-editoriale senza alcun tipo di “spinta”...»

La scrittura è anche una forma forma di impegno sociale.

Alice: «Evidentemente, esistono ancora percorsi selettivi meritocratici e svincolati da logiche di sponsorizzazione: io non ho sponsors o mecenati dietro di me, semplicemente la mia passione di scrittrice che, evidentemente, è piaciuta alla commissione e alla giuria del concorso».

stra fede nella quotidianità: una svolta nella nostra vita è giunta con l’esperienza vissuta ad Assisi, grazie ad un corso di preparazione al matrimonio curato dai frati francescani. Quel corso ha dato un senso profondo alle nostre vite e al nostro essere famiglia».

«Ti definisci una “convertita”: pensi di avere una marcia in più rispetto a chi non ha mai avuto, o voluto avere, “scossoni” nel vivere la propria fede?»

«Se dovessi sintetizzare il tuo percorso di fede, come lo riassumeresti?»

Alice: «In tutta sincerità non mi sento di avere una marcia in più. Io vivo la mia fede con grande umiltà, conscia dell’amore di Dio per me, riconoscente perché riconosciuta da Lui. Infatti, anche nei momenti più bui, il Signore non mi ha mai abbandonato». «Hai una famiglia bella e numerosa...come riesci a conciliare la fede con tutto ciò che hai da fare nel quotidiano?» Alice: «Cerchiamo di vivere la no-

http://lamemoriadeglialberi.blogspot.it alice corsi nasce ad alessandria il 31 marzo 1975. cresce con la passione per i libri e inventa storie bizzarre già da ragazzina. Si laurea in Lettere moderne a torino con una tesi su elsa morante. Il 24 luglio 2012 il suo romanzo La memoria degli alberi vince la giara d’argento al concorso indetto dalla rai, La Giara.

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Alice: «Per me non ha senso credere e non praticare. Io cerco di essere praticante non solo andando a messa alla domenica, bensì attualizzando gli insegnamenti evangelici nella mia vita quotidiana». Don Ermis: «Concordo con questa analisi. Infatti la pratica a volte può essere intesa come aggregazione passiva: invece bisogna andare in chiesa e nelle nostre comunità ecclesiali non solo per prendere ma anche per dare sé stessi ai fratelli». Alberto Castellaro redazione.rivista@ausiliatrice.net


l’avvocato risponde

aiuto

mio figlio ha rotto un braccio a un suo compagno... Che cosa succede quando un genitore, un tutore o un educatore ha a che fare con la “responsabilità per danni cagionati dal minore” a scuola, in oratorio o in palestra? Cosa prevede la legge e come ci si può tutelare? Lo abbiamo chiesto al nostro avvocato torinese Marco Castellarin. genitori e scuola responsabili?

Nel nostro ordinamento civile vige una responsabilità per fatto altrui ovvero la cosiddetta “responsabilità aggravata”. La normativa di riferimento all’argomento che trattiamo in questa puntata della nostra rubrica è sancita all’art. 2048 del codice civile secondo il quale i genitori e i tutori rispondono per i danni provocati dal fatto illecito dei minori con cui convivono. Tale responsabilità è ritenuta diretta “per culpa in vigilando”, cioè a carico di chi è preposto a sorvegliare il minore stesso. Sussiste, inoltre, la “culpa in educando” invocata all’art. 147 del codice civile che dispone l’obbligo dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole. In quest’ottica, dunque, il genitore risponderà comunque in concorso con il minore ogni qualvolta la natura del fatto illecito sia riconducibile ad una mancanza e/o inadeguata educazione impartita al figlio.

Da questa premessa è facile capire come la materia dei danni causati da un minore sia articolata e richieda un’attenta analisi dei fattori che caratterizzano il caso concreto (età, grado di maturazione del minore, condizioni ambientali). La casistica registrata dalla nostra giurisprudenza è assai ampia. «Solo per fare un esempio – prosegue l’avvocato Castellarin - la Suprema Corte ha recentemente ribadito che i bambini della scuola materna vanno accompagnati e sorvegliati anche in bagno, poiché in caso d’incidente la scuola è sempre responsabile (Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 9906, 26.04.2010)». Allora l’insegnante deve accompagnare in bagno anche un’adolescente che frequenta la scuola superiore? «Ovviamente no – precisa l’avvocato -

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La culpa in vigilando opererà in misura differente in proporzione anche al grado di maturità degli alunni ed è proprio qui che può entrare in correlazione con la primaria culpa in educando dei genitori che richiamavamo prima». Facciamo il caso di attività sportive o ludiche in cui i minori (ragazzi che hanno già raggiunto un certo grado di maturazione) appartengano ad una squadra in competizione con quella avversaria. A volte durante una semplice partita di calcio al campetto in oratorio possono verificarsi offese, insulti o, ancor peggio, atti di violenza fisica. «Qui entrano in stretta relazione l’obbligo di sorveglianza dell’organizzatore della partita (istituto scolastico, oratorio, società sportiva, ecc.) con l’obbligo di educazione dei genitori – continua l’avvocato –. Di recente, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul caso in cui nel corso di una partita di calcio tra ragazzi, uno di loro colpiva – a gioco fermo – con una testata un avversario. Per la Corte sono tenuti a rispondere non coloro che erano tenuti alla sorveglianza dei minori in quel momento ma i genitori in quanto “ai sensi dell’art. 2048 c.c. sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa, che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare” e soprattutto che “le modalità stesse del fatto illecito possono essere tali da essere interpretate come indice di un deficit educativo” (Cass. Civ. n. 26200/2011)». «Infine – segnala l’avvocato Castellarin – è doveroso chiarire ai ragazzi che anche banali offese e, in generale, condotte lesive che siano espressione di un fatto autonomo, volontario ed estraneo al contesto di una normale dinamica e partecipazione al gioco sportivo sono fatti costituenti reati e, pertanto, nel nostro ordinamento anche i minori di anni 18 ma maggiori di anni 14, potrebbero trovarsi a rispondere di tali condotte per essere la responsabilità penale del tutto personale (non sussistendo in sede penalistica l’istituto civilistico della responsabilità dei genitori per fatto altrui, come quello dettato dall’art. 2048 del codice civile sopra citato)».

al di là delle conseguenze giuridiche legate alla condotta del bambino, è importante far riflettere i genitori sull’importanza di educare i propri figli. chi desiderasse porre domande all’avvocato marco castellarin del Foro di torino può segnalarlo a: redazione.rivista@ausiliatrice.net specificando nell’oggetto della e-mail: per L’avvocato risponde prevenire con l’educazione Per concludere – ma se ai lettori l’argomento interessa, data la complessità della materia, ci torneremo – occorre sottolineare come, indipendentemente da quanto dettato dal nostro legislatore e a prescindere da ogni considerazione sulle conseguenze giuridiche di una condotta del minore, sia fondamentale sensibilizzare l’importanza del ruolo educativo dei genitori in sinergia con educatori nei diversi contesti sociali (scuola, oratorio, campi estivi, centri sportivi, ecc.). “È fondamentale – conclude l’avvocato - promuovere un’attenta e responsabile azione preventiva di tipo educativo, finalizzata a sensibilizzare maggiormente i giovani sul rispetto degli altri anche nelle più svariate circostanze di natura competitiva: sia nelle attività sportive sia in quelle della vita quotidiana”. Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net

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sempre con noi

La suora più importante? “La portinaia” Lo “spirito di famiglia” e l’arguzia di Madre Marinella Castagno, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice dal 1984 al 1996, scomparsa lo scorso febbraio. «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale». Don Carlo Zanotti, salesiano e maestro dei novizi a Pinerolo (Torino), ricorda così l’ultimo incontro con Madre Marinella: «Stringendomi la mano e abbracciandomi, mi disse “Don Carlo, quando sentirà che sono morta preghi per me. Sarà presto, molto presto”. Me lo disse con la gioia e la serenità di chi ha raggiunto la pienezza del desiderio e dell’incontro con l’Amore». Anche nella malattia, Madre Marinella ha sempre comunicato vita. Fino a quando le forze glielo hanno permesso, si metteva al computer per rispondere alla posta che riceveva da tutto il mondo e con voce sempre più debole rispondeva personalmente alle telefonate: poche parole, ma con una straordinaria lucidità di pensiero, grande dono di Dio. Madre di una numerosissima famiglia, si è fatta prossima a ciascuna delle figlie, che chiamava per nome da un capo all’altro del mondo, conoscendone personalmente la maggior parte. Si lasciava incontrare senza mostrare fretta, anche

se le parole erano sempre misurate, essenziali, parole di vita. «Madre Marinella era passata nella Casa di Pella (Novara) - racconta Suor Piera Mandelli - ; volevo parlarle e cominciai: “Madre, lei ha sulle spalle tutto il mondo e io le chiedo di ascoltare me…”, e lei: “Vieni, tutto il mondo adesso sei tu. Dimmi…”». Lei sapeva che cos’è e viveva lo “spirito di famiglia”, la più bella invenzione di Don Bosco regalata ai suoi Figli e Figlie. Le ex allieve dell’allora Istituto Magistrale “Maria Ausiliatrice” di Torino la ricordano come insegnante molto preparata, esigente e al tempo stesso attenta ai percorsi di crescita delle adolescenti in una società in perenne evoluzione. Una di loro ricorda che al termine di una lezione di geografia astronomica aveva lasciato loro questo pensiero: «Il mondo è piccolo per le anime grandi». Parole che aprono orizzonti. E questa apertura è stata una sua caratteristica, fino agli ultimi giorni di vita: «Mai stancarsi di cercare, non avere paura delle novità, confrontarle con il Vangelo, e poi avanti senza paura». Così lei ha fatto, aprendo percorsi

madre marinella castagno è stata molti anni delegata e consigliera per la Pastorale Giovanile a livello mondiale e per dodici anni (1984-1996) madre generale. Bagnolo (cuneo), 21 maggio 1921 - nizza monferrato, 5 febbraio 2013

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inediti, con un senso acuto, evangelicamente profetico, del futuro. All’Istituto Maria Ausiliatrice - ricorda Suor Lia Sperandio – Madre Marinella era, oltre che insegnante, Consigliera Scolastica. Molto sensibile ai problemi della povertà, si interessava dell’Oratorio, in quegli anni affollato da bambine e ragazze immigrate dal Sud: metteva a loro disposizione le aule per il catechismo © foto di: FMA-IPI


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e invitava le studenti a lasciare sotto il banco una merendina… E invitava le allieve dell’ultimo anno ad essere, alla domenica, aiuto assistenti delle piccole. Gesti di pedagogia salesiana che hanno informato il suo stile di animazione sempre e soprattutto negli anni di “governo”. Con arguzia sdrammatizzava problemi e difficoltà. La battuta umoristica facile, intelligente e sempre ri-

spettosa concludeva spesso discorsi aggrovigliati, ansie, perplessità, sciogliendo in una sana risata le tensioni. Suor Ubaldina Fizzotti, che l’ebbe insegnante, ricorda l’esame di Maturità: il Presidente le domandò chi fosse, nelle Case salesiane, la figura più importante. Presa alla sprovvista non ebbe una risposta immediata. Stava per dire: la direttrice, ma Suor Marinella, pensando alle parole di

Don Bosco, da dietro le suggerì: «La portinaia!». Terminati i dodici anni di governo dell’Istituto, d’accordo con la nuova Madre Generale Suor Antonia Colombo, scelse come campo della sua nuova animazione Mornese (Alessandria), la Casa delle origini. A Mornese passano Suore e laici, giovani e adulti da tutto il mondo salesiano. E lei era là ad aspettarli, a volere la casa accogliente e festosa, a far rivivere Madre Mazzarello. E ancora, di là, eccola girare per il mondo, dove la chiamavano, a offrire formazione salesiana, a presentare il Sistema Preventivo come via della nostra santità. La Comunità “S. Giuseppe” di Nizza Monferrato, dove trascorse gli ultimi anni, la vide sempre presente a dire con la vita che l’età anziana non è un problema, ma una risorsa, perché la maternità può meglio esprimersi. Proprio questo ha colto Don Carlo, quando ha scritto:«Ho sentito e gustato negli incontri con lei la sua feconda maternità. Rendo grazie a Dio per il dono di questa donna alla Chiesa e all’Istituto e per sua intercessione chiedo che la nostra vita sia, come la sua, un Amen e un Alleluia». Maria Vanda Penna mvanda@fma-ipi.it

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sfide educative

Dietro la drammaticità dei fatti di cronaca spesso si cela il deserto esistenziale fatto di nulla, vissuto nel nulla, dominato dal nihilismo più spietato.

La storia di Carolina carolina

Meglio, gli assassini ci sono, ma si mascherano dietro un freddo mobbing-bullista-tecnologico.

Recentemente i giornali si sono scatenati a scrivere a riguardo del “femminicidio”. Di fronte alla mattanza senza senso di numerose donne è scattato il campanello d’allarme della denuncia mediatica. Ma ci si è limitati a descrivere semplicemente gli effetti con toni truculenti a sfondo moralistico. Pochi hanno tentato di capire le cause che generano questo triste dato di fatto. In questi giorni, a Novara, c’è stato un nuovo caso che ha visto come protagonista una adolescente non ancora donna. La giovane età, appena quattordici anni, ha sollevato un grande scalpore destando ondate di indignazione nei vari parrucconi di turno. Qui non ci sono assassini perché Carolina si è suicidata.

la sua storia

I sentimenti e i sogni di un adolescente rischiano di diventare, sui social network, pesi insostenibili.

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Il tuffo nel vuoto dell’adolescente è legato ad una foto ed a un video. La foto la immortala mentre si scambia un bacio con il suo boy friend. Siamo nel mese di giugno 2012. Le vacanze fanno appassire il sentimento e così i due si lasciano. Durante le vacanze viene girato un video in cui “Caro” è in compagnia di un altro ragazzetto. Questa segna la sua fine. Tutto viene messo sul web. Lei viene presentata come una tipa “facile”. La sua dignità viene distrutta di tweet in tweet. Alla ripresa della scuola inizia una autentica persecuzione fatta di battutine ed ammiccamenti. Neanche il passaggio ad un’altra struttura scolastica la sottrae al dileggio dei social network. I due ragazzi coprotagonisti della foto e del video, invece, non subiscono alcun ostracismo. Loro sono maschi. Non


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devono vergognarsi di nulla, anzi sono oggetto di invidia per molti perché la bellezza di Carolina merita un tentativo di approccio. Anche tra i ragazzi di oggi, la normale civetteria femminile continua ad alimentare torbidi pensieri di possesso e di dominio in teste vuote e frustrate. Se i ruoli si fossero invertiti, due ragazze in compagnia di un ragazzo, il branco avrebbe approvato il tutto con abbondanza di complimenti.

il deserto educativo È doloroso, per qualsiasi educatore adulto, constatare che la tanto osannata capacità giovanile di padroneggiare le moderne tecnologie possa trasformarsi in un mortale strumento nelle mani di adolescenti ineducati. Facebook e Twitter non sono delle agenzie educative che formano ed abilitano alla responsabilità ed al rispetto. Gli adulti usano, maldestramente, il web per lavoro, per fare soldi, per comunicare, per informarsi, per accedere di nascosto ad una squallida pornografia. Quasi nessuno usa le piattaforme digitali per educare. Senza filtri e senza guide, i giovani riversano sul web tutto il bene e tutto il male. Vi accedono con le loro curiosità, le loro paure, i loro pregiudizi sociali e razziali, le loro frustrazioni, le loro immaturità. La loro destrezza tecnica li fa sentire grandi capaci di fare ciò che gli adulti non riescono. Le relazioni virtuali dei social network schermano la loro immaturità, sterilizzano il terrore di

è doloroso, per qualsiasi educatore adulto, constatare che la tanto osannata capacità giovanile di padroneggiare le moderne tecnologie possa trasformarsi in un mortale strumento nelle mani di adolescenti ineducati. Facebook e twitter non sono delle agenzie educative. essere giudicati per quello che veramente sono, li incitano a dare il massimo delle realizzazioni alla fantasia. Non si rendono conto del male che possono causare. Drammatica è la risposta data dal ragazzo accusato, di tweet in tweet, di essere il principale responsabile del linciaggio morale di Carolina: «Non sono un bullo, con Caro ho sbagliato. È vero sono andato giù pesante, ci abbiamo preso gusto. Con quel suo modo di fare mi faceva arrabbiare e le ho dato le spalle. Perché...perché non lo so nemmeno io il perché, era così e basta». Si tratta di una dichiarazione raggelante nella sua freddezza. La morte di una compagna, da molti giovani post moderni, non viene vissuta e meditata, ma esorcizzata facendo gruppo, abbracciandosi per non sentirsi soli, reagendo con invettive e teoriche minacce di vendetta. Tutto senza “pietas”. Le sempre più numerose epigrafi di giovani che punteggiano le Spoon River dell’educazione riusciranno a convincere famiglia e scuola che, se lasciati soli, i nostri adolescenti possono perdersi se accanto alla tecnologia non riusciamo a creare un cuore che non si limiti a navigare, ma si sforzi soprattutto ad amare. Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net

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sfide educative

La musica dei giovani? Si ascolta con il cuore Il festival canoro “Una voce per Don Bosco” promosso dall’Istituto Valsalice è giunto alla sesta edizione: un’occasione per mettersi in gioco e per cantare alla vita. Il tutto mandato in onda da radio “ValsOnair” la radio fiore all’occhiello del nuovo sito della scuola. Se un’ opera salesiana senza musica è come un corpo senz’anima – come era solito dire Don Bosco – allora l’Istituto Valsalice è salesiano fino alle midolla. Che la musica, il canto e le arti teatrali siano di casa a Valsalice e siano parte integrante del progetto educativo della scuola media e del liceo è cosa antica e ne abbiamo avuto conferma mercoledì 30 gennaio. In serata nel teatro dell’Istituto stracolmo è andato in scena Una Voce per Don Bosco il Festival musicale dove si sono esibiti in una gara avvincente tanti allievi del liceo e della scuola media (alcuni solisti, in coppia, altri in gruppo) che hanno presentato le loro canzoni preferite. Vasto il repertorio: si è spaziato da Claudio Baglioni, a Celine Dion, da Christina Aguilera a Michael Bublè, passando per i Modà, i Lunapop e tanti altri. Non sono mancati © foto di: liceovalsalice

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i brani fuori concorso, mentre si aspettava il verdetto, a cura di ex allievi ed esilaranti professori. Alla fine, la giuria – composta da ex allievi con la passione per la musica, insegnanti e da un super esperto di giovani (infatti è stato il giurato più generoso) come don Gianni Moriondo, direttore dell’oratorio di Valdocco oltre che ex professore al liceo, ha decretato vincitrice del festival all’unanimità la promettente Gaia, della IV ginnasio A, che ha avuto anche il favore del pubblico.

“life is beautiful” La vincitrice, oltre a possedere doti canore non comuni, ha colpito pubblico e giurati per l’intensità della sua esecuzione e per la scelta del brano, Life is beautiful, portato al successo dalla cantante israeliana Noa, motivo che ha fatto da colonna sonora anche al celebre film di Roberto Benigni La vita è bella. Una scelta vincente quella di Gaia sotto molti aspetti: per il testo della canzone, molto vicino al carisma “gioioso” di Don Bosco, che è un inno alla vita; e poi per gli echi che questa melodia, a pochi giorni dalla celebrazione della Giornata della Memoria, ha lasciato a molti pre-


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senti in sala in sala che amano la pellicola di Benigni sull’olocausto. Ma, al di là dei premi, ciò che ha fatto sì che la serata sia davvero riuscita è stato il clima di famiglia che caratterizza la scuola, come ha sottolineato il preside, don Gianni Di Maggio e come ha più volte richiamato il presentatore e anima della serata, il professor Marco Montersino che ha invitato il pubblico e i giurati a tenere conto, non solo delle doti canore e della presenza in scena dei concorrenti, ma soprattutto della voglia di mettersi in gioco. Come dire, l’importante è partecipare. Del resto, Don Bosco che di spettacoli dei suoi ragazzi ne avrà vissuti a centinaia (forse per minimizzare qualche stonatura) raccomandava «La musica dei giovani non si ascolta con le orecchie ma con il cuore». Una frase-slogan riportata sulle felpe degli animatori della serata, gli allievi che fanno parte di Radio ValsOnair, l’emittente dell’Istituto che trasmette on line in streaming e che ha mandato in diretta tutta la serata. I ragazzi dello staff si sono alternati a presentare i compagni che si esibivano informando puntualmente il pubblico su curriculum (e curiosità) degli aspiranti cantanti.

naugurazione del nuovo sito e della Web radio presentato durante un convegno su Scuola e web il 2 febbraio a cui ha partecipato, tra gli altri, il rettore del Politecnico di Torino, Marco Gilli. Il portale www.liceovalsalice.it è stato ripensato come una sorte di cortile, tanto caro a Don Bosco, dove, oltre alle comunicazioni di servizio e scolastiche è possibile incontrarsi e raccontarsi tra studenti, ex allievi, genitori e insegnanti. Ogni giorno sul sito, curato da una redazione di 50 allievi coordinati da alcuni professori, vengono pubblicati approfondimenti, interviste, risultati di tornei e molto altro. Sul portale come dicevamo è presente anche la webradio ValsOnair curata da uno staff di 30 allievi e coordinata da docenti: trasmette 24 ore su 24 musica, programmi e intrattenimento con 5 ore in diretta al giorno (dalle 15 alle 18 e dalle 20.30 alle 22). Presto arriverà anche una webtv. Insomma un cortile sempre più vasto e multimediale ma che come sempre non perde di vista il primo obiettivo di una scuola salesiana: l’educazione di buoni cristiani e onesti cittadini al passo coi tempi (digitali). Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net

valsalice sul web Ma le celebrazioni per la festa di Don Bosco 2013 per il liceo Valsalice non sono state solo musica. Un’altra novità importante per l’Istituto è stata l’i-

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BOMBONIERE SOLIDALI Grazie di cuore a tutti coloro che ci hanno sostenuto! Grazie ad Arturo che per festeggiare l’anniversario di 45 anni di Matrimonio con la sua Vittoria ha scelto un gesto di solidarietà! Grazie a mamma Patrizia e a mamma Mariella che hanno festeggiato la cresima dei loro figli Stefano e Marco regalando un po’ di speranza a figli meno fortunati di altri genitori! Grazie a mamma Gabriella che per celebrare la laurea di sua figlia Chiara ha scelto un gesto di altruismo!

I bom sorris i boin iere delle solid ali!

Grazie ad Alessandro e Valeria che nella felicità del giorno del loro matrimonio non si sono dimenticati di chi dalla vita ha avuto di meno! Se anche tu, come loro, vuoi rendere ancora più speciale il tuo giorno importante, o quello di uno dei tuoi figli, scopri il mondo delle bomboniere solidali dei Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS! Perchè la tua giornata o quella di uno dei tuoi figli, già speciale ed indimenticabile, avrà un "di più" concretizzato nel gesto di solidarietà per i ragazzi di Don Bosco che trovano accoglienza e sostegno presso le nostre comunità! Dalle eleganti pergamene, alle nuove saponette naturali, dalle partecipazioni matrimoniali, alla nuova oggettistica in ceramica fino ai sacchetti porta confetti e ai tableau e segnaposto cartacei con decorazioni floreali! Abbiamo pensato ai gusti di tutti…SCEGLI IL TUO! Visita il nuovo sito: www.salesianiperilsociale.it Oppure chiama lo 06 4940522


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lettere a suor manu

w gli anziani! Lo sfogo di due lettori “over”: come essere nonni (e genitori) oggi e un “grazie” per aver chiesto scusa. Già Don Bosco diceva: «Non basta amare. Bisogna che i giovani si accorgano di essere amati». essere genitore: un compito difficile Cara suor Manu, sono un nonno. Due volte la settimana ho l’onere di andare a prendere mio nipotino a scuola. Qualche giorno fa ho fatto l’errore di arrivare troppo presto rispetto al gioco che stava facendo. Quando gli ho detto “Andiamo!”, il piccolo si è scaraventato su di me e con una violenza che proprio non mi aspettavo, mi ha riempito di pugni e calci le gambe. Ebbene, sì: gli ho dato una sonora sculacciata, di quelle “di una volta”, e quando ho visto mio figlio gli ho chiesto in che modo, lui e sua moglie, stessero educando il bambino. Bisognerebbe proprio che i genitori moderni facessero un bell’esame di coscienza su come stanno tirando su le nuove generazioni. A me sembra che oggi i genitori per lo più concedano tutto, pur di mettere a tacere il senso di colpa per non riuscire a dare il proprio tempo, a dare se stessi. Ma così, dove andremo a finire? Bisognerebbe che ognuno ritrovasse il proprio ruolo, invece oggi i bambini fanno i padroni, i genitori fanno i bambini e i nonni tentano di fare i genitori. Francesco

© Nino Musio

Il compito di essere genitore è uno dei più difficili del nostro tempo. E nonostante esistano anche “scuole per genitori”, càpitano situazioni difficili, che non sono state portate come esempio in quelle scuole e nelle quali ci si ritrova da soli. Per questo esistono i nonni, per questo esistono gli anziani. Sono importanti non soltanto perché aiutano i genitori o si sostituiscono a loro, ma prima di tutto perché hanno l’esperienza, hanno la ricchezza degli anni, hanno il tesoro di una vita vissuta. E poi, hanno tempo! Non solo per aiutarci, ma per ascoltarci! Forse non hanno la soluzione, o forse la loro soluzione non convincerà, ma il confronto con loro permette di mettersi in discussione, di pensare e valutare scelte diverse, di considerare altri punti di vista. Avere una persona che ti ascolta, che ti vuole bene e non desidera altro che aiutarti, è la fortuna più bella che ti possa capitare. Era vicino l’inizio della stagione dei monsoni e un uomo assai vecchio scavava buchi nel suo giardino. «Che cosa stai facendo?», gli chiese il vicino. «Pianto alberi di mango», egli rispose. «Pensi di riuscire a mangiarne i frutti? ». «No, io non vivrò abbastanza a lungo, ma gli altri sì. L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita ho gustato manghi piantati da altri. Questo è il mio modo di dimostrare loro la mia riconoscenza». Grazie, nonni! Grazie, sorelle e fratelli anziani!

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l’importanza di chiedere perdono

Lei con delicatezza cerca di giustificare certi atteggiamenti con il mutare dei tempi, con l’età, con la fatica e la stanchezza quotidiana. Questo lo sappiamo benissimo, ma tutti sappiamo anche quanto sia necessaria la parola “scusa”, “perdono”, quando si sbaglia anche inconsapevolmente o addirittura “a fin di bene”. La sua risposta diretta e semplice non può che portare i lettori a stimare ancor di più gli educatori e gli insegnanti che sanno chiedere scusa. Apprezziamo soprattutto tra questi, quelli di 70, 80 anni che nella loro giovinezza con entusiasmo hanno promesso di regalare tutta la loro vita ai giovani e che dopo tanti anni di fedeltà continuano a stare in mezzo ai bambini, ai ragazzi, che lei definisce benevolmente “iperattivi” (in realtà, spesso maleducati, violenti viziati). Come ho imparato leggendo la Rivista Don Bosco ripeteva: “Non basta amare... bisogna che essi si accorgano di essere amati”. A volte un gesto burbero, una parola sgarbata, uno scatto di impazienza, rovinano in un attimo i frutti di tante fatiche. Continui con entusiasmo a darci qualche spunto per essere, oltre che nonni, bravi educatori. Buona Pasqua.

Rev.da suor Manuela, per tanti anni ho letto la Rivista Maria Ausiliatrice dalla prima all’ultima pagina. Ultimamente la leggo dal fondo all’inizio, perché nelle ultime pagine c’è sempre la sua simpatica “lettera a Suor Manu”. Apprezzo le risposte, il raccontino che le accompagna, l’attenzione per i più piccoli e i più sfortunati, l’ottimismo e la speranza che trapela anche nelle situazioni più sofferte. Da tempo avrei voluto scriverle due righe di complimenti. Dopo aver letto la lettera nel numero di Gennaio mi sono deciso, perché è per me la più bella, perché è quella che fa veramente la differenza tra la Rivista Maria Ausiliatrice e tante altre del genere devozionale e propagandistico. Per cinque anni, dal 1969 al 1974, ho frequentato una scuola privata e “nonostante tutto” ho tanti bei ricordi. In quel “nonostante tutto” c’è la sofferenza per qualche castigo inflitto con leggerezza. Ho partecipato a molte rimpatriate e il ricordo corre a tanti fatti simpatici e si ride anche dei castighi più duri, ma mai ho sentito una parola formale di “scusa”. Aver letto quelle sue due parole «chiedervi scusa», mi ha rincuorato. Grazie.

Matteo redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Piergiorgio e Stefano, ristoro musei vaticani.

ADMA Primaria al Convegno sulla famiglia. Milano 2012.

Comm. Raffaele Pierro dell’Associazione Santi Pietro e Paolo (Vaticano) e seminaristi “De Propaganda Fide”.

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