Maria Ausiliatrice d e l l a
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t o r i n o – v a l d o c c o
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
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# Pasqua
di Gesù: con lui si rinasce a nuova vita
6 La Basilica conduce a Gesù
attr averso la guida sollecita di Maria
12 Impar are da Maria
ad “allargare” L’amore materno
26 Z ygmunt Bauman
Le sempre nuove modalità di educare i giovani
ISSN 2283–320x
marzo-aprile 2017
Dopo settantacinque anni di liete armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
DELLA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE HA NECESSITÀ DI
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CAUSALE: Restauro Organo Basilica di Maria Ausiliatrice - Torino. In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore. Luglio/Agosto 2016
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a tutto campo
“La sua tenerezza si espande su tutte le creature” (sl 145,9) La misericordia di Dio per tutto il creato. Tutti sempre contempliamo la meravigliosa misericordia di Dio per tutti gli uomini, ma spesso dimentichiamo che essa si estende a tutte le creature, a tutto il mondo animale, vegetale e minerale. La nostra visione, in campo religioso, spesso è antropocentrica, ma i testi della Bibbia, pur rimarcando la speciale posizione dell’uomo nella creazione, hanno una dimensione cosmologica. La creazione atto d’amore
La creazione del mondo intero è la prima opera di misericordia di Dio. Scrive Papa Francesco: «La creazione appartiene all’ordine dell’amore... Ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le
assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, egli lo circonda con il suo affetto» (Laudato si’, n. 77). Dio non solo ha creato il mondo per amore, ma continuamente lo fa sussistere tramite la sua rùah, il suo Spirito (Sl 104,29-30). La natura ha un valore in sé perché è il luogo della presenza dello Spirito di Dio, che «riempie l’universo» (Sap 12,1; 1,7). Lo Spirito è ubique diffusus, transfusus et circumfusus, come dicevano i Padri della Chiesa. «In ogni creatura abita il suo Spirito vivificante» (Papa Francesco, Laudato si’, n. 88). Una poesia orientale ben lo esprime: «Lo Spirito dorme nella
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a tutto campo MARIA
Un giorno rivedremo i nostri animali nell’eternità di Cristo (Paolo VI).
che nella concezione antica era un luogo selvaggio e pervaso da forze misteriose. Il “dominare”, radah, “governare”, “pascolare”, esprime l’azione del re e del pastore: Dio affida quindi all’uomo la guida e la cura del mondo. L’uomo è chiamato non solo a “custodire (shamar)”, ma a “coltivare (‘avad)” tutto il creato (Gen 2,15), con un lavoro responsabile: si “custodisce” una cosa che non è propria (infatti il mondo appartiene a Dio), e che si deve restituire, possibilmente migliorandola. Dunque all’uomo non è dato un potere oppressivo né di sfruttamento: egli è signore del mondo, ma solo come mandatario di Dio che vide ciò che aveva creato come buono e bello (Gen 1,25). Ecco perché nella Bibbia vi sono precise norme a tutela degli animali e delle piante (Dt 5,12-14; 22,4; 20,19). Una salvezza per tutto il creato
pietra, sogna nel fiore, si sveglia nell’animale e sa di essere sveglio nell’essere umano». Siamo di fronte non a un panteismo, ma a un “pan - en - teismo”, cioè alla presenza permanente dello Spirito in tutte le cose. La Provvidenza di Dio per il creato si esplica anche nel fornire ogni giorno nutrimento a tutte le sue creature (Gb 38,39; Sl 136,25), come anche Gesù ci ricorda (Mt 6,26.28-29). Custodire la terra
Agli uomini Dio dice: «Riempite la terra, soggiogatela (kavash), e dominate (radah)... su ogni essere vivente» (Gen 1,28-29). “Soggiogare”, kavash, significa “rendere sottomessa, docile”, la terra, 2
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L’alleanza che Dio stipula con Noè si estende a tutti gli animali (Gen 9,811.16). Spesso nella Scrittura gli animali sono soggetti attivi che obbediscono a Dio: così i corvi, su comando del Signore, portano il cibo al profeta Elia (1 Re 17,4), nel libro di Giona gli animali fanno penitenza per i peccati di Ninive (Gio 3,710), l’asina di Balaam parla ed è l’unica a vedere l’angelo del Signore (Nm 22,2234). Molte volte, poi, nella Scrittura si parla della preghiera degli animali, delle piante, dei monti e delle colline, invitati a benedire e a lodare il Signore (Sl 104,2021; 148,3-10; Dn 3,57-81...). Sono questi semplici antropomorfismi applicati ad animali, vegetali e regno minerale, o vi è annunciata una qualche forma di loro coscienza etica? Il Salmista proclama: «Uomini e bestie tu salvi, Signore» (Sl 36,7). Isaia afferma che quando arriverà il Messia si avvererà la situazione paradisiaca profetizzata nella Genesi, in cui animali feroci e domestici vivranno in pace tra loro e con gli uomi-
a tutto campo MARIA
ni (Is 11,6-8; cfr Mc 1,12-13). Sono solo modi per dire che il Messia porterà la pace cosmica, o possiamo leggere in questi brani anche una sorta di beatitudine finale per gli animali? È soprattutto Paolo che prospetta una redenzione per tutte le creature: «L’attesa impaziente (apokaradokìa) della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio..., e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,17-24). Se l’incarnazione di Cristo compie il progetto creazionale di Dio, tutto il creato, quindi anche gli animali, le piante, le rocce, trovano in lui la redenzione: «Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà...: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,3-12). Talora per esprimere questo mistero si parla di «nuovi cieli e una terra nuova» (Ap 21,1). Il discorso è apertissimo. Ma parrebbe certo, sulla base delle Scritture, che tutto il
creato, non solo l’umanità, e non solo il mondo animale, ma anche quello vegetale e minerale, siano raggiunti dalla salvezza che si compie in Cristo. Sull’esempio di Dio, il credente sarà misericordioso verso tutta la creazione (Pr 12,10; Gl 1,19-20). Di Francesco d’Assisi, Tommaso da Celano scrive: «La sua carità si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili». Stupenda è la cosiddetta preghiera di Isacco il Siro: «Che cos’è la misericordia del cuore? È l’amore bruciante per la creazione tutta, per gli uomini, per gli uccelli, per gli animali, per i demoni e per ogni essere creato». Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Francesca Zanetti
Bernardina do Nascimento
A TUTTO CAMPO 1 L a sua tenerezza si espande su tutte le creature” (sl 145,9)
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Giuliano Palizzi
chiesa e dintorni 16 il gioco dell’amore robert cheaib
Carlo Miglietta
18 Mons. Palombella, il mio oratorio
rettore 6 L a Basilica conduce a Gesù,
attraverso l’intercessione e la guida sollecita di Maria. don CRISTIAN BESSO
alla Cappella Sistina Marina Lomunno
20 Quaresima, occasione di rinnovamento ezio risatti
22 Gesù e il carnevale Anna Maria Musso Freni
la parola 8 L a fede nella tempesta marco rossetti
10 Dalla “ragionevolezza umana” alla fede
in memoria 23 Grazie don Giancarlo! la redazione
marco bonatti
maria 12 A mare è saper fare un passo in più francesca zanetti
14 Nostra Signora di Lourdes
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bernardina do nascimento
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giuliano palizzi
26 Zygmunt Bauman: un sociologo sensibile ai problemi dei giovani ermete tessore
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)
Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino
PER SOSTENERE LA RIVISTA:
Direttore responsabile: Sergio Giordani
Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani
Intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino
Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80
in
giovani 24 Uno su dieci
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Foto di copertina: Beppe Ruaro, Colle don Bosco Archivio Rivista: www.donbosco–torino.it
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Ermete Tessore
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Una VDB
don bosco oggi 28 Il professore dell’”amico degli ultimi”
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Fotogallery
I
44 Macedonia di frutta secca anna maria musso freni
Andrea Caglieris
30 Grazie a chi non mi ha fatto sconti Una VDB
32 365 giorni per meditare con Gesù
fotogallery I festa di Don bosco
e Maria
la redazione
34 Un missionario felice missioni don bosco
36 Valdocco boys, anche nei laboratori Marco Gallo
38 Eleonora: «l’Oratorio? È la mia seconda famiglia!
Salesiani per il Sociale
40 Pratica il Sistema Preventivo in famiglia ADMA FormazioneI
42 L’ADMA cresce e si sviluppa ADMA Cronaca
Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Rivista Maria Ausiliatrice, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. CC BY-NC-SA 3.0 IT
RivMaAus
rivista.ausiliatrice
Foto FOTOLIA: Aldegonde le Compte (12-13); SHUTTERSTOCK: Tiplyashin Anatoly (30); ALTRI: .Archivio RMA (1, 14-23, 24-27, 29, 32-33, 44); Ghislain & Marie David de Lossy (2); Andrea Cherchi (6, 7); Mike Kemp (24); .Mattia Boero (28-29); Handout (28); Missioni don Bosco (34-35); CNOS-FAP Valdocco (36-37); SCS-CNOS Roma (38-39); ADMA Primaria (40-43)
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RETTORE
La Basilica conduce a Gesù, attraverso l’intercessione e la guida sollecita di Maria Carissimi, mentre leggiamo questo numero della rivista, abbiamo ancora nello sguardo e nel cuore la bella festa di don Bosco ormai conclusa. Ci siamo preparati al 31 gennaio con la novena predicata don Enrico Lupano e da don Raffel Gasol, conclusa con la presentazione della strenna e la celebrazione dell’eucaristia, per la famiglia salesiana, con la presenza sia di don Francesco Cereda, vicario del rettor maggior sia del card. Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, salesiano e arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras). Due pastori piemontesi l’arcivescovo mons. Nosiglia e il vescovo di Tortona mons. Viola, ci hanno donato la loro presenza e la loro vibrante predicazione, che ci ha ricordato soprattutto l’attualità spirituale e sociale del santo dei giovani. Alcune novità caratterizzano spazi e tempi della nostra Casa madre. Un nuovo orario delle celebrazioni eucaristiche è stato inaugurato con il primo gennaio. Esso vorrebbe favorire una celebrazione più calma e dare maggior spazio sia all’animazione musicale sia alla visita dei vari gruppi di pellegrini. Ancora, è stato inaugurato nella Chiesa di san Francesco di sales il nuovo impianto di riscaldamento: possiamo così nuo6
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vamente usufruire dello spazio liturgico della prima chiesa dei giovani, particolarmente nella stagione invernale. Proseguo a commentare il progetto pastorale del santuario, presentando una seconda linea di cammino: la Basilica come spazio per i giovani e i pellegrini, all’interno della nuova evangelizzazione. Oggi, infatti, più che mai sentiamo il bisogno di impiegare le risorse più preziose della nostra vita per ricon-
segnare il Vangelo e l’esperienza vitale di Gesù Cristo, ai molti giovani e pellegrini che attraversano i luoghi delle origini salesiane. I pellegrini e gli ospiti sono fratelli e sorelle che avvertono la particolare spiritualità di questi luoghi, che scoprono in questa terra benedetta la risposta alla sete di spiritualità e di Dio, che ogni cuore umano porta in sé. Essi, tuttavia, talvolta non riescono a dare sufficiente chiarezza alla loro ricerca del Signore, perché confusi e
RETTORE
La quaresima sia per ciascuno di noi un cammino sincero nel deserto della nostra interiorità, dove nutrimento solido rimane la Parola di Dio.
smarriti causa la pluralità degli stimoli culturali del momento. In questo possibile smarrimento dei riferimenti spirituali noi sappiamo che solo Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio viene a saziare quell’anelito al senso della vita ed alla beatitudine a cui ognuno tende, talvolta dopo l’esperienza di disarmanti povertà. La Basilica può, sempre più, divenire luogo di preghiera, di catechesi, meglio di esperienza totale e totalizzante del Vangelo. Essa è così chia-
mata costantemente ad un’accoglienza cordiale e vitale che conduce a Gesù Cristo, attraverso l’intercessione e la guida sollecita di Maria. Tale accompagnamento alla fede sa andare al di là dei facili moralismi, delle rigidità di taluni cammini spirituali, tuttavia non rinuncia a quella particolare sensibilità pedagogica del carisma salesiano che coniuga insieme dolcezza e fermezza, carità e verità dell’annuncio e della vita. Concludo, richiamando ciascuno alla preziosità del tempo liturgico quaresimale. La quaresima sia per ciascuno di noi un cammino sincero nel deserto della nostra interiorità, dove nutrimento solido rimane la Parola di Dio. Quanto bisogno abbiamo di nutrirci maggiormente delle ricchezze contenute nel testo sacro: tutti possiamo correre il rischio di abitare in una fede semplicistica, in cui la dimensione dell’ascolto, lascia spazio al soggettivismo e alle tradizionali abitudini religiose, che magari rendono un
po’ sterile la nostra ricerca di Dio. La Parola del Signore, ascoltata forse con maggiore verità nel tempo quaresimale offre robustezza e vigore al nostro cammino di conversione, ci salva dall’abitudine e ci aiuta a guardare con risolutezza anche al peccato, donandoci il vigore della lotta spirituale e il desiderio sincero di giungere rinnovati alla pasqua di resurrezione. don cristian besso RETTORE rettore.basilica@ausiliatrice.net
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LA PAROLA
La fede nella tempesta Un incontro voluto e deciso da Gesù cui gli apostoli acconsentono. Occasione per una lezione di vita, provocazione ad una fede che deve mantenersi salda, anche nella tempesta. Interrogativi aperti
«Passiamo all’altra riva del lago», dice Gesù e gli apostoli obbediscono chiedendosi forse, non diversamente da noi lettori, per quale motivo il Signore ordini ciò. Nei racconti precedenti non si trova infatti ragione che giustifichi, come altre volte, una navigazione. Non si capisce neppure perché Gesù si addormenti: non viene da una giornata intensa di predicazione e di incontri. Perché? La mancanza di dati che non permette di trarre conclusioni, ci mette di fatto nella situazione ottimale per cogliere l’insegnamento. Ciò avviene però nella misura in cui ci si disponga a spostare il centro dell’attenzione da burrasca e miracolo, all’assoluta centralità della persona di Cristo. Tutto 8
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infatti fa sembrare che il suo comportamento sia volto ad un fine che solo lui conosce e che né agli Apostoli né a noi viene ancora rivelato. Ecco la strada giusta da percorrere: dal fatto – ben conosciuto – all’insegnamento. «Chi è dunque costui, che comanda anche ai venti e all’acqua, e gli obbediscono?»
Da questa domanda si deve muovere per cogliere la causa del misterioso modo di fare di Gesù. Procediamo seguendo il racconto. L’ordine è impartito ed eseguito, la barca prende il largo: la superficie del mare è così piatta che il Signore si addormenta. Inattesa si scatena una
la parola
così stabilito il primo insegnamento che il Signore vuole impartire: la sua decisione ed il suo comportamento... ingiustificabili, sono solo un mezzo di cui si serve per offrire un segno affinché si capisca chi egli è. Non abbiamo però ancora raggiunto il vertice dell’insegnamento. Continuiamo a leggere.
© Nino Musio
«Dov’è la vostra fede?»
tempesta: quanti conoscono quel lago sanno che si tratta di un fenomeno non prevedibile, ma possibile, dato che esso di trova a circa duecento metri sotto il livello del mare. La tensione si percepisce, tuttavia il Signore continua a dormire; è così tranquillo, malgrado quanto sta accadendo, da sbalordire perfino noi. Gli apostoli lo svegliano: «Maestro, maestro, siamo perduti!». È sorprendente: egli non si rivolge a loro, ma parla alle forze della natura, le minaccia perché riprendano il posto ed il ruolo loro assegnato da Dio nel giorno della creazione. Tutto viene in tal modo riportato alla calma. Ecco il punto! Alla potenza della parola con cui Dio aveva creato l’universo, viene ora avvicinata la potenza della parola con cui Gesù riporta la creazione alla sua bellezza ed ordine originari. La parola potente di Gesù ha la stessa capacità di quella di Dio e lo rivela in definitiva come vero Dio. Abbiamo
Chissà se gli apostoli si aspettavano questa domanda che giunge così inattesa da scuotere le loro coscienze, proprio come la tempesta, abbattutasi improvvisamente, aveva sferzato il loro corpo incutendo paura nell’animo. È un interrogativo importante che ci fa capire il secondo motivo per cui il maestro aveva ordinato loro: «Passiamo all’altra riva del lago». Il passaggio dall’una all’altra sponda del mare di Galilea è solo un’occasione per provocare un altro passaggio, quello da un certo livello di fede ad una fede ancora più adulta in Gesù riconosciuto come vero Dio presente anche nelle prove. Facile aver fede quando nella vita tutto procede bene, quando tutto è come ... un mare calmo su cui navigare piacevolmente. Più esigente è invece mantenere la fede e riconoscere che anche nelle avversità – nelle tempeste – il Signore Gesù è costantemente presente e non ci lascia soli. Più impegnativo, dal momento che l’intensità della prova è spesso tale da farci correre lo stesso rischio vissuto dagli apostoli: ritenere cioè che Gesù non ci sia, non si interessi di noi, anche se lui è di fatto presente. Un insegnamento lucido, che tocca in profondità il cammino della fede.
Alla potenza della parola con cui Dio aveva creato l’universo, viene avvicinata, nell’episodio della tempesta sul lago, la potenza della parola con cui Gesù riporta la creazione alla sua bellezza ed ordine originari.
Marco Rossetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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LA PAROLA
Dalla “ragionevolezza umana” alla fede Dal vangelo secondo Giovanni (20,19-31) La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Met10
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ti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Tommaso non c’era: dunque non aveva ricevuto lo Spirito Santo. Forse anche per questo vuole delle prove, non si fida della parola dei suoi amici? Poi però fa subito un passo in più («mio Signore e mio Dio»), e diventa, per tutti i
© Rocco Normanno
secoli dopo di lui, il testimone del passaggio dalla “convinzione” dalla ragionevolezza umana, dalle prove di tribunale - alla fede. Tommaso è sempre andato molto di moda fra gli agnostici, che prendono la parte “comoda” della sua posizione, chiedendo che sia il Signore a fornire le prove della sua divinità; costoro dimenticano sempre che la fede è comunque dono gratuito di Dio («ricevete lo Spirito»); e che Tommaso è in cerca di una testimonianza per la vita, non di una convinzione “scientifica”. La risurrezione del Signore, testimoniata dagli Undici e poi da Tommaso, rimane non solo un mistero ma uno scandalo: appun-
to perché è un fatto, e non un’idea o un sistema filosofico. Uno scandalo, e anche una tentazione: una delle saghe più intriganti nella storia della cultura ebraica è quella del Golem. Il grande rabbino Low di Praga – sulla cui tomba, nell’incredibile cimitero ebraico della Città Vecchia, si continuano a infilare bigliettini di preghiere e richieste di grazie – creò dall’argilla un fantoccio a cui diede la vita con lo “shem”, la parola, esattamente come Dio fece con Adamo. Ma il Golem, mostro un po’ scemo, doveva assolutamente essere disanimato nel giorno di sabato, perché non poteva esserci nella creazione nessuna creatura che rispondesse ad altri che al Signore.
E ancora, la risurrezione è la leggenda positivista di un altro mito, nato sempre nelle plaghe dell’Europa orientale, quello di Frankenstein. Anche qui gli “strumenti della scienza” si sentono così forti da sfidare il mistero della vita e della morte: e il barone vuole “creare” un altro uomo tentando di rianimare i tessuti morti, le cellule cerebrali, eccetera. Da Frankenstein in poi le cose stanno andando come sappiamo. Chissà: anche questi modi, questi accanimenti sono altrettanti percorsi alla ricerca di un Signore che, invece, si rende visibile a tutti. Nel volto dei fratelli. Marco Bonatti RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE DIOCESANA PER LA SINDONE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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MARIA
Amare è saper fare un passo in più Uscita dalla palestra Irene aveva preso in mano il cellulare e visto che c’era una chiamata da sua figlia Luna. Prontamente aveva composto il numero ma era stata la voce di Franco, suo genero, a risponderle: Luna non c’era più... era morta improvvisamente, era scivolata a terra ed il suo cuore aveva smesso di battere. Irene non aveva realizzato subito la cosa, era rimasta attonita, ferma in auto, senza essere in grado di dire o fare nulla e quando poi ne aveva preso coscienza, anche una parte di lei se ne era andata con sua figlia. Erano passati due anni da quel pomeriggio di una calda primavera che aveva però raggelato il suo cuore e non c’era stato giorno in cui non avesse provato una struggente nostalgia per la sua Luna e l’unica consolazione era il poterne condividere il ricordo con suo genero. Fiducia, rispetto, confidenza per rialzarsi
Erano stati una coppia molto unita, si erano conosciuti giovanissimi, avevano percorso tanta strada insieme e non solo metaforicamente...perché avevano viaggiato tantissimo, condiviso gli elettrizzanti momenti della preparazione dei viaggi, la conoscenza di paesi nuovi ed il rassicurante ritorno a casa, nella loro dimora piena di souvenir e di foto che li ritraevano in paesi lontani. Non era stata data loro la gioia della genitorialità, ne avevano sofferto ma erano riusciti a costruire una reciproca profonda intesa. Proprio la consapevolezza che Franco aveva amato molto sua figlia, aveva spinto Irene a riversare su di lui tutto l’affetto e le attenzioni materne. Li univa un rapporto di fiducia, rispet12
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to e confidenza ed insieme avevano cercato di rielaborare il loro comune lutto. Prima delle festività natalizie una telefonata del genero aveva fatto nascere in lei uno strano presentimento: lui aveva bisogno di parlarle di una bella cosa che gli era successa. Quando aprì la porta e vide il sorriso dell’uomo e una luce nuova nei suoi occhi chiari non ebbe più dubbi... sperò ancora con tutto il cuore di sbagliarsi ma invano... Le sue supposizione erano giuste, Franco aveva trovato una nuova compagna, glielo diceva pensando di condividere con lei la sua gioia, aggiungendo persino
“Allargare” l’amore materno a tutti, come Maria
Irene si sentiva come sdoppiata: la sua parte razionale le diceva che doveva essere felice per lui, perché era un uomo pieno di vita, con ancora tante cose da dare e ricevere ed invece il vivere soli rattrista e ci spegne. La sua parte affettiva ed emozionale, al contrario, rifiutava quello che lui le diceva, le gridava che non era possibile che un’altra donna prendesse il posto di sua figlia, che lei voleva continuare a trovarla in lui e nella loro bella casa coniugale che avevano arredato insieme ed arricchita con i ricordi dei loro viaggi.
Non voleva che nessuno toccasse la collezione di tazzine indiane che Luna aveva sistemato sul tavolino basso del salotto e neppure i bicchieri di vetro colorato sul ripiano della libreria... doveva restare tutto com’era quando lei era viva. Razionalità e sentimento si scontravano in lei e non le fu facile cercare di arginare questo suo conflitto, sorridere al genero e dirgli che era contenta per lui. «Una figlia non si può sostituire, una moglie sì»: questo pensiero la fece sentire ingiusta e meschina perché sapeva che anche per lui non era stato e non era tutto così semplice. Ripensò allora ad un passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dalla croce, vedendo sua madre e il discepolo preferito, li invitò ad essere reciprocamente madre e figlio come segno di fratellanza, invitò la Madonna ad allargare il suo amore materno ed offrirlo anche ad altri, senza gerarchia, sullo stesso piano di figliolanza. La Vergine Maria le offriva un esempio da seguire: riuscire a dimostrare l’amore per sua figlia gioendo della felicità di suo genero, perché Franco se la meritava. Era molto difficile per lei ma sapeva che quella era la strada giusta, Luna sarebbe stata orgogliosa di lei.
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che gli sembrava gliel’avesse fatta incontrare Luna affinché non fosse più solo.
Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
Quando aprì la porta e vide il sorriso dell’uomo e una luce nuova nei suoi occhi chiari non ebbe più dubbi... sperò ancora con tutto il cuore di sbagliarsi ma invano... marzo-aprile 2017
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Nostra Signora di Lourdes Le apparizioni mariane.
Nella storia della devozione popolare le apparizioni mariane hanno sempre avuto un ruolo molto importante. La fede è una realtà che coinvolge la persona profondamente e genera sentimenti di appartenenza e di devozione ricchi di segni e di manifestazioni. I santuari, i pellegrinaggi, le preghiere mariane sono presenti in ogni luogo della terra. La fede dei semplici si alimenta di autentica e genuina devozione mariana. Per questo, a partire da questo articolo, insieme cominciamo un pellegrinaggio che ci porterà a pregare nei principali luoghi mariani del mondo. Lo faremo lasciandoci guidare dalle indicazioni della Chiesa, attenti a presentarne la storia ed i relativi messaggi. Il nostro punto di partenza non può non essere Lourdes. Le apparizioni di Lourdes
Il medico italiano Sandro De Franciscis da molti anni è alla guida del Bureau des Constatations Médicales di Lourdes. Egli ci ricorda che nel 2015 il suo ufficio ha raccolto ben 32 guarigioni le cui storie si possono considerare potenzialmente vere. Compito del Bureau è quello di certificare, in modo serio e rigoroso, «guarigioni inspiegate alla luce delle conoscenze mediche del momento». Per ora, a partire dal 1858, sono state riconosciute inspiegabili solo 69 guarigioni. Tutto questo avviene a Lourdes, un comune francese di circa 15000 abitanti, situato nel dipartimento degli Alti Pirenei nella re14
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gione dell’Occitania. Qui – in un periodo di tempo compreso tra l’11 febbraio ed il 16 luglio 1858 – in una grotta del sobborgo di Massabielle, appare ad una adolescente di 14 anni di nome Bernardette Soubirous una «signora vestita di bianco, con un velo bianco, una cintura blu ed una rosa gialla sui piedi». Nella sedicesima apparizione del 26 marzo questa signora biancovestita si presenta così: «Que soy era Immaculada Concepciou» in dialetto guascone l’unico parlato da Bernardette. Sono l’Immacolata Concezione. Anche se il dogma dell’Immacolata era stato proclamato quattro anni prima da Pio IX, la ragazza non sa che cosa questo significhi. Le reazioni laiche
Il propagarsi della notizia di questo avvenimento scatena un putiferio generale. La Francia di quel tempo è squassa-
ta da un’aspra contesa fra laici e cattolici sul termine laicità che per la prima volta verrà introdotto nella Costituzione della Quinta Repubblica del 4 ottobre 1858. La querelle dura decenni senza esclusioni di colpi bassi e di documenti più o meno abilmente falsificati. Nel 1906 un certo Jean de Bonnefon pubblica un pamphlet di 280 pagine con un titolo che non lascia ombre di dubbio sulla sua personale convinzione: Lourdes et ses tenanciers. In questo testo viene presentata come autentica una lettera datata 28 dicembre 1857 (quindi scritta 45 giorni prima dell’inizio delle apparizioni dell’11 febbraio del 1858) e vergata dal procuratore generale Falconnet ed indirizzata al procuratore imperiale presso il Tribunale di Lourdes Vital Dutour. Testualmente la lettera dice: «Signor procuratore imperiale, sono informato che delle manifestazioni simulan-
maria
ti un carattere soprannaturale e fingente un aspetto miracoloso, si preparano per la fine dell’anno. La prego di vigilare.». Se la lettera fosse autentica il suo contenuto sarebbe devastante. Essa presenterebbe Bernardette come complice di un inganno ben congetturato. Di conseguenza coinvolta consapevolmente in una truffa cinica. Che dire? Innanzitutto che Bonnefon non è mai riuscito a produrre l’originale della lettera né tanto meno l’archivio di provenienza. Inoltre né il mittente né il destinatario non hanno mai fatto il minimo accenno dell’esistenza del documento. Il grande studioso di Lourdes e delle sue apparizioni René Laurentin assicura: «Il documento attribuito al procuratore generale è senza dubbio un falso». A Bernardette non viene risparmiata nessuna calunnia. Viene presentata come pazza, zoticona, ignorante, manipolata e plagiata. Nonostante questo Lourdes è più forte di qualsiasi pregiudizio e cattiveria. Da oltre 150 si è trasformata in meta di innumerevoli e continui pellegrinaggi. Questo non per la innegabile bellezza del luogo, ma per la particolare spiritualità che vi si respira. Spiritualità che presenteremo nel prossimo articolo della rivista, a Dio piacendo. Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net
A Bernardette non viene risparmiata nessuna calunnia. Nonostante questo Lourdes è più forte di qualsiasi pregiudizio e cattiveria. marzo-aprile 2017
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chiesa e dintorni
Il gioco dell’amore Tre tipi di dialogo
Quante volte ci siamo sentiti avvolti teneramente dalla parola giusta al momento giusto? Quante volte abbiamo sentito una parola buona così azzeccata e incarnata da sembrare un bacio? È bellissimo quello che dice il libro dei Proverbi: «Dà un bacio sulle labbra chi risponde con parole giuste» (Pr 24,26). Dicono che gli uomini si eccitano con gli occhi, le donne con le orecchie. Sono convinto, però, che anche l’uomo “sano”, e non indottrinato dal grande fratello del porno, si accenda con le parole. Tante coppie faticano a giungere a un buon dialogo dei corpi perché non sanno dialogare con le parole. Questo paragrafo vorrebbe essere una riflessione sulla parola e sul dialogo in coppia. Abbiamo parlato finora della gentilezza e della tenerezza 16
Maria Ausiliatrice n. 2
nella comunicazione di coppia. Chi scrive – essendo sposato – sa che non tutto è così idilliaco e facile. La difficoltà del dialogo, però, non è sinonimo della sua impossibilità. Il dialogo è decisamente difficile, ma assolutamente necessario. Non ogni blaterare rivolto verso un altro è dialogo. Personalmente distinguo tre tipi di dialogo: la scomunicazione; le comunicazioni di servizio; la comunicazione di comunione. La scomunicazione
È una finta comunicazione. In realtà parte con il denigrare l’altro, portandolo istintivamente sulla difensiva. Si instaura così una specie di dialogo tra sordi. Ognuno si arrocca nella sua posizione, anche se non è convinto di avere ragione. Fa questo per proteggersi. Dare ragione all’altro in questi casi, infatti, equivale a darsi per vin-
Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net
ti. La dinamica interna di queste situazioni è probabilmente questa: se ho torto, sono cattivo, non merito più l’amore. Lo psicologo John Gottman, che ha condotto delle approfondite ricerche empiriche sulle coppie e sui loro dialoghi, ha notato che i dialoghi che partono male, hanno scarse possibilità (circa il 6%) di aggiustarsi in seguito. Vale di più, come mi consiglia un’amica saggia, di andare a farsi una corsetta a Villa Borghese e poi, calmati i bollenti spiriti, riprendere a dialogare. Quando la comunicazione parte col piede sbagliato, quando si è sul piede di guerra, è meglio fare una tregua. Meglio prendere un time-out. Nella pallacanestro, quando l’allenatore vede che la squadra è sparpagliata, la richiama per un momento di raccolta, di focalizzazione. Così deve avvenire
In coppia, e soprattutto in famiglia, le comunicazioni di servizio sono importanti. Un ménage familiare e relazionale ha bisogno di gestione concreta. In fin dei conti, la famiglia non è un concorso di poesia. Quello che accade, però, è che questo tipo di dialogo inizia ad essere l’unico. Quando non ci sono comunicazioni di servizio i due non sanno più che dirsi. Qui è necessario “ritornare al primo amore”, a quei tempi in cui il tempo sembrava ladro perché sciupava le ore come secondi. Ritornare al primo amore è ricordare, fare memoria. Si riportano al cuore i primi momenti dell’amore, non per scimmiottarli, ma per viverne di migliori. D’altronde, col primo amore l’altro era ancora uno sconosciuto, non potevo amarlo in tutta verità. Solo adesso che lo conosco realmente posso amarlo così come è. La comunicazione di comunione
Essa consiste nel mettersi nelle proprie parole. Per in-
L’amore è inseparabile dall’umore. Tante coppie non resistono ai colpi seri della vita perché non sanno concepire la loro vita come un gioco. Chi è invece realista e lucido, sa riconoscere la forza del ludico nella propria vita e in quella della persona amata. Come ogni gioco, l’amore ha le sue regole e i suoi trucchi. Questo libro ne offre dieci coniugando psicologia, umore, spiritualità ed esperienza.
Robert Cheaib, docente di teologia presso varie università tra cui la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ama definirsi come «catechista itinerante». Svolge un’intensa attività di conferenziere su varie tematiche che riguardano la vita di coppia, la preghiera, l’ateismo, il rapporto tra fede e cultura. Gestisce un sito di divulgazione teologica www.theologhia.com. Tra le sue opere recenti: Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana (Edizioni san Paolo). Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata (Il pozzo di Giacobbe). Per Tau Editrice ha già pubblicato: Rahamim. Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia.
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(Su questi argomenti consigliamo di acquistare il libro e poi interagire con l’autore attraverso il suo blog).
IL GIOCO DELL’AMORE
Le comunicazioni di servizio
staurare questo dialogo, non è necessario fare corsi di filosofia. Si può anche parlare delle cose di ogni giorno. L’importante è narrare come io vivo queste cose. Non è un telegiornale, è permettere all’altro un viaggio nella mia anima. Do un esempio per rendere l’idea. Avere un lavoro stancante è un fatto. Posso dire all’altro questa cosa, ma rimane un fatto impersonale. La comunicazione di comunione è quando racconto all’altro come io, personalmente, vivo la situazione del lavoro. Così l’altro sa che il punto focale non è il fatto raccontato, ma il mio stato d’animo al suo riguardo. Il lavoro è un pretesto, ciò che voglio comunicare è la mia attualità. Questo tipo di dialogo è possibile solo in un’atmosfera di accettazione reciproca. Solo l’amore di tenerezza crea le condizioni per un rivelarsi reciproco. Solo la fiducia suscitata da un’accettazione incondizionata fa cadere le difese che ognuno di noi si addossa come scudo e prigione per proteggere e castigare la “colpa” di essere altro. In questo dialogo il movimento fondamentale è il “rivolgersi”, che sembra una cosa quotidiana e banale. In realtà è riscoprirsi “volto” e scoprirsi davanti all’altro. Ci si mette a nudo, ci si guarda negli occhi dove ci vediamo visti. È fare l’amore consegnandosi e accogliendo l’altro nello “specchio dell’anima”. È difficile? Certo. Come ogni arte, richiede dedizione, passione e pratica. Essere fraintesi è un istante, capirsi è l’avventura di tutta una vita. La comunicazione di comunione è un’ascesi, ma che ci fa ascendere verso la felicità di
ROBERT CHEAIB
anche in coppia: se si iniziano ad aprire i cassetti dai tempi di Adamo ed Eva e a lanciarsi accuse per avere la meglio sull’altro (per poi stare peggio entrambi), allora è meglio fermarsi e ricordare qual è la finalità del dialogo. In principio, non vogliamo dialogare per vincere, ma per essere felici insieme. Non vogliamo avere mano forte, ma riprenderci per mano. Questo deve essere il mantra di ogni dialogo.
ROBERT CHEAIB
IL GIOCO DELL’AMORE 10 passi verso la felicità di coppia
Il gioco dell’amore. Dieci passi verso la felicità di coppia, di Robert Cheaib Tau Editrice, 2016.
coppia. Essa richiede la pazienza dell’ascolto e l’apprendimento dell’amicizia di coppia. Non posso chiudere la riflessione sul dialogo senza lasciare la parola a un maestro del dialogo, Martin Buber, che parla di tre tipi di dialogo, che sicuramente completano la prospettiva che ho voluto presentare: quello autentico – non importa se parlato o silenzioso – in cui ciascuno dei partecipanti intende l’altro o gli altri nella loro esistenza e particolarità e si rivolge loro con l’intenzione di far nascere tra loro una vivente reciprocità; quello tecnico, proposto solo dal bisogno dell’intesa oggettiva; e il monologo travestito da dialogo, in cui due o più uomini riuniti in un luogo, in modo stranamente contorto e indiretto, parlano solo con se stessi e tuttavia si credono sottratti alla pena del dover contare solo su di sé. marzo-aprile 2017
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Mons. Palombella, il mio oratorio alla Cappella Sistina Serata d’eccezione, nella cattedrale di Torino, il 29 ottobre 2016: in occasione dei 25 anni di ordinazione episcopale dell’Arcivescovo Cesare Nosiglia. Mons. Massimo Palombella, maestro direttore della Cappella Sistina e collaboratore di mons. Cesare Nosiglia quando era vicario del papa per la diocesi di Roma, ha voluto regalare all’amico un concerto straordinario. Abbiamo incontrato mons. Palombella, torinese, classe 1967, prete salesiano dal 1995, studi di Filosofia e Teologia all’Università Pontificia Salesiana della Crocetta e diplomato in composizione musicale al Conservatorio di Torino. Mons. Massimo, lei è prete salesiano formatosi a Torino: sono numerosi i figli di don Bosco musicisti illustri da Pagella a Cagliero; Torino inoltre ha una grande tradizione di liturgisti salesiani che hanno dato un grande contributo all’applicazione della Riforma liturgica. Quanto ha contato nella sua formazione musicale l’importanza che don Bosco dava alla musica nell’educazione del ragazzi? La tradizione musicale salesiana è stata molto importante per me: ho conosciuto personalmente don Fant, mi ha insegnato tanto, sono succeduto 18
Maria Ausiliatrice n. 2
a lui nella direzione della rivista liturgica Armonia di Voci, così pure e poi don Dusan Stefani: sicuramente a Torino c’è stato un intelligente ed equilibrato approccio alla riforma liturgica, un approccio inclusivo e non esclusivo. Occorre riconoscere a tutte queste persone che in un momento difficile in cui bisognava sperimentare nuove forme hanno sempre mantenuto un equilibrio ammirevole. E poi avendo lavorato tanto con i ragazzi prima di diventare maestro della Sistina la musica per me è sempre stato un mezzo molto sano per aggregare, per chiedere una sana disciplina della vita e per veicolare l’evangelizzazione, la “vita in abbondanza”, l’annuncio del Van-
gelo. La musica, anche se è fatta professionalmente non può mai essere un fine della vita: anzi proprio perché fatta professionalmente diventa sempre più mezzo per poter incontrare il Signore. La musica passa ma l’incontro con il Signore è l’unica cosa che conta, è ciò che ci conduce alla gioia piena, è ciò che fa della nostra vita un’esistenza degna di essere vissuta. Come tenete conto nel servizio liturgico in Vaticano dell’inculturazione dei diversi stili musicali delle varie comunità cristiane del mondo? Nelle celebrazioni a cui partecipa la Sistina, specie in San Pietro, si usano testi in italiano o in altre lin-
Io credo che le nuove generazioni siano una risorsa
gue e con quali criteri? Non si tratta soltanto di inculturazione ma della ragione stessa della Chiesa che è cattolica, Katà olon (secondo il tutto), universale. Anche la compagine dei cantori della Cappella piano piano sta diventando internazionale come era nel ‘500 quando i migliori musicisti d’Europa cantavano nella Sistina. Ho un cantore inglese (cosa inedita, non era mai accaduto), un polacco, due venezuelani, un peruviano. Poi c’è il problema delle lingue: sicuramente il Concilio ci ha introdotto nella sfida culturale linguistica. Cantare in una lingua viva a differenza del latino, che è una lingua morta, vuol dire porsi onestamente dei proble-
mi estetici, legati ad una precisa cultura. Già con il mio predecessore, il maestro Liberto, la Sistina ha sdoganato le lingue: se prima era quasi un “dogma” che non si potesse cantare in nessun altra lingua se non in latino, oggi è normalissimo per la Cappella Musicale Pontificia cantare in italiano e in altre lingue sebbene nelle celebrazioni papali, che hanno sempre una accezione di internazionalità, l’uso della lingua latina è importante. Per quale motivo? Il latino è una lingua morta e per questo fa giustizia a tutti. Se dovessimo ragionare su qual è la lingua più parlata oggi dovremmo celebrare in inglese, ma la giustizia verso tutti è il celebrare in una lingua a cui tutti facciamo la stessa fatica ad adeguarci perché appunto è una lingua morta. Questo è un criterio che rappresenta una peculiarità delle celebrazioni papali in quanto celebrazioni internazionali.
ri sono in grado di offrire. Chi è un educatore deve essere un uomo che studia, che ricerca, deve essere immerso nella cultura. I ragazzi che oggi sono nella Cappella Sistina sicuramente non diventeranno tutti musicisti ma avranno imparato un metodo rigoroso e scientifico per fare qualunque lavoro. Forse dimenticheranno tutto il Palestrina che hanno eseguito in questi anni ma certamente avranno imparato una precisa metodologia che significa sacrificio, studio, rigore e questo rimane un patrimonio per la vita. Per analogia è la stessa cosa per un dottorato di ricerca o una laurea: non sono tanto i contenuti che rimangono quanto la metodologia che lo studente ha imparato per essere rigoroso nello scrivere una tesi di laurea o di dottorato. Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
Nel suo coro, oltre a 20 cantori adulti, ci sono anche 30 ragazzi, i pueri cantores che frequentano la scuola elementare paritaria annessa alla Sistina: come si fa a sfatare il luogo comune che i giovani non si appassionano alla musica sacra e alla polifonia? Chi afferma questo generalmente non conosce polifonia e forse neanche i giovani. Io credo che le nuove generazioni siano una risorsa e i loro orizzonti sono quello che i loro educatomarzo-aprile 2017
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Quaresima, occasione di rinnovamento Nel tempo che conduce alla Pasqua i cristiani sono invitati a vivere un periodo di penitenza e di mortificazione per imparare a discernere sempre più profondamente cosa è davvero importante... EZIO RISATTI PRESIDE iusto REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Anche quest’anno, lungo il tempo della Quaresima, i cristiani sono invitati a vivere un periodo di penitenza e di mortificazione. Nonostante molti li considerino sinonimi, i termini “penitenza” e “mortificazione” non lo sono: la penitenza è intimamente legata al cammino di conversione, alla decisione del cristiano di uniformare ogni giorno di più i propri
pensieri e le proprie azioni ai pensieri e alle azioni di Gesù; la mortificazione, invece, consiste nell’imporsi una rinuncia non necessariamente all’interno di un cammino di conversione. Per questo, se non viene “maneggiata” con cura, può rivelarsi pericolosa. Dio non è un sadico e non è in vendita
Per liberare il campo da ogni possibile equivoco è importante chiarire che il Dio dei cristiani è un Dio d’amore e non gode in alcun modo della sofferenza dell’uomo. Sbaglia, dunque, chi si procura sofferenze pensando di far piacere a Dio, dal momento che ogni sofferenza patita dall’uomo rappresenta una sofferenza anche per Dio. Come l’innamora-
to che prova dolore nel vedere il proprio partner provare dolore e s’ingegna nel fare il possibile per attenuarlo, così Dio – attraverso la passione e la morte di Gesù – ha sperimentato e caricato sopra di sé la sofferenza di ogni uomo. La sofferenza, inoltre, non può rappresentare una sorta di moneta per “comprare” da Dio la promozione a un esame, il coronamento di un amore o una polizza sulla salute. Ed è destinato a rimanere deluso chi pensi di conquistare la laurea a colpi di digiuno o di rosario senza dedicare il tempo necessario allo studio e alle esercitazioni, così come chi s’illuda – partecipando a un ragguardevole numero di pellegrinaggi o non soccombendo all’indiscreto fascino dei dolci – d’incontrare l’altra metà del cielo o di ottenere una speciale protezione in grado di renderlo immune da virus e malanni. A ciascuno la propria mortificazione
La mortificazione – per i cristiani – è un atto di culto attraverso cui riconoscere, non solo a parole, che Dio è la loro sola salvezza. Stretti tra mille bisogni e necessità – da quelli essenziali, come bere, mangiare e dormire, a quelli psicologici e relazionali – i cristiani rischiano a volte di dimenticare che il senso di tutto ciò che vivono risiede solo ed esclusivamente in Dio. In quest’ottica – allora – digiunare
o rinunciare a qualcosa che sta a cuore si trasforma in un modo per «dare a Dio quello che è di Dio», per dirgli con cuore aperto e sincero: «Signore, sei Tu e non il cibo la mia salvezza e provo a dimostrartelo lasciandomi sentire un po’ di fame». Ciascuno nel proprio intimo conosce le “sicurezze” cui è più legato e di cui può privarsi per un periodo di tempo limitato per riconoscere il primato di Dio nella propria esistenza. Non fumare, per chi non ha mai toccato una sigaretta, non può certo rappresentare una rinuncia. Per questo è importante che ciascuno abbia il coraggio d’individuare, in scienza e coscienza, il proprio digiuno. Per i ghiottoni potrebbe essere astenersi dal cibo, per i videodipendenti stare lontano per qualche tempo da Internet o dalla tv... La mortificazione deve comunque avere una durata limitata nel tempo e non deve mai portare alla perdita della salute o alla morte. Proprio per questo la Chiesa invita i cattolici al digiuno solo due volte l’anno: il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo.
A tal proposito fa bene ricordare che quando, nel 1854, Domenico Savio giunse a Valdocco, una delle prime cose che don Bosco gli proibì fu l’eccesso di mortificazioni cui si sottoponeva. «Guarda che Dio non vuole la tua sofferenza – lo ammonì don Bosco –. T’insegno ora un’altra strada per la santità: sii allegro, perché ciò che ti turba e ti toglie la pace non piace al Signore, compi i tuoi doveri di studio e di preghiera e fai del bene agli altri quando ne hanno bisogno, anche se ti costa un po’ di disturbo e di fatica. La “ricetta” della santità è tutta qui!».
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Gesù e il carnevale
Termini come fioretto, sacrificio, rinuncia non rientrano nell’esperienza linguistica dei ragazzi, e purtroppo nemmeno in quella degli adulti.
Il mercoledì delle Ceneri è il giorno più difficile per gli incontri di catechismo. Ai nostri bambini, fruitori della realtà virtuale, sfugge il simbolismo concreto delle funzioni religiose. Il rito delle ceneri rischia di essere vissuto come un momento spettacolare, magari divertente, di cui non si comprende il significato. Stefano non vuole andare in chiesa perché teme di bruciarsi con la cenere. Il discorso dei quaranta giorni di penitenza sembra veramente roba da Medioevo. Termini come fioretto, sacrificio, rinuncia non rientrano nell’esperienza linguistica dei ragaz22
Maria Ausiliatrice n. 2
zi, e purtroppo nemmeno in quella degli adulti. Ogni anno si cerca di caricare il tempo della penitenza (e della rinuncia) di significati caritatevoli e sociali, con qualche adozione a distanza o con gesti di aiuto ai tanti senzatetto che bussano alle porte della Parrocchia. «Però prima della Quaresima viene il Carnevale – osserva Tommaso – e Gesù, prima di andare nel deserto, si sarà anche divertito, no? E come si divertiva con gli amici? Con le sfilate in maschera come facciamo noi all’Oratorio? Come giocavano i ragazzi del suo tempo?». Domande che non ammettono reticenze. Non si può dire che ai tempi di Gesù forse non si festeggiava il Carnevale, che i ragazzi non giocavano a calcio e non organizzavano festicciole al fast food. Passando in rassegna tutti i possibi-
li divertimenti, risulta che l’unico gioco in comune fra i ragazzi del Duemila e quelli dei tempi di Cristo poteva essere quello del nascondino. «Che noia, però! Come si può vivere senza giochi elettronici? Una cosa non esisteva, l’altra nemmeno...». Proviamo tuttavia ad immaginare la vacanza ideale di duemila anni fa. «Allora, Gesù sarebbe andato alla Sinagoga, come dici tu; poi avrebbe fatto pregare i suoi amici, poi avrebbero giocato tutti insieme a nascondino: Lui avrebbe sempre indovinato i posti e magari non avrebbe bisticciato con gli amici... Poi avrebbe offerto una bella merenda con patatine e bibita. Ci hai già spiegato che la patata non esisteva, ma Lui era Dio e poteva inventarla, no?». Lui poteva. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Foto di: Antonio Saglia, Renzo Bussio, Andrea Cherchi, Dario Prodan marzo-aprile 2017
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festa chiesa di don e dintorni bosco
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festa di don bosco
Miei cari giovani, vi siete incontrati con lo sguardo di Gesù, il Signore? Messaggio del Rettor Maggiore ai giovani nella festa di Don Bosco (31 gennaio 2017). Miei cari giovani di tutto il mondo salesiano, care ragazze e cari ragazzi, ricevete il mio saluto di amico, fratello e padre; ve lo rivolgo nel nome di Don Bosco, mentre vengo a voi “bussando alla porta della vostra vita” in occasione della festa del nostro Amato Padre. Qualche giorno fa Papa Francesco ha scritto una lettera ai giovani in occasione della presentazione del documento, che servirà per preparare la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si celebrerà nel mese di ottobre dell’anno 2018. All’inizio della lettera il Papa vi dice che “ha voluto che voi siate al centro della attenzione perchè vi porta nel cuore”. So bene, per esperienza personale, che cosa vuol dire portarvi nel cuore e augurarvi ogni bene, anche se in molti casi non abbiamo ancora avuto la possibilità di salutarci personalmente. Posso farvi una confidenza? Spesso, quando mi incontro con voi giovani nelle diverse parti del mondo e devo rivolgervi la parola, penso che cosa vi direbbe Don Bosco nel nome di Gesù. Sono consapevole della grande diversità che vi è tra di voi secondo le nazioni e i continenti II
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In basso: don Enrico Stasi sdb, Ispettore Piemonte e Valle d’Aosta, a destra: don Alberto Martelli sdb, direttore della comunità san Francesco di Sales di Torino-Valdocco.
festa di don bosco
Dall’alto in basso: mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, mons. Vittorio F. Viola ofm, Vescovo di Tortona, don Claudio Durando sdb, parroco di Maria Ausiliatrice.
A destra: don Francesco Cereda sdb, vicario del Rettor Maggiore dei salesiani
nei quali vivete; diversità anche in base alle culture, diversità per il tipo di preparazione alla vita, chi con studi di formazione professionale o di qualificazione per il lavoro, chi mediante studi universitari. Mi rendo conto che è diversa la situazione di chi dispone di risorse umane ed economiche per sviluppare i propri talenti, dalla condizione di chi ha molte meno opportunità, ecc. Sono però convinto che i vostri cuori giovani hanno tanto in comune e che, nonostante le differenze, sono molto simili, e per questo motivo credo che posso rivolgervi un messaggio comune, che vi raggiunga là dove vi trovate. Il messaggio che oggi vi invio è in piena sintonia con quel-
lo che in diverse occasioni vi ha chiesto Papa Francesco: “Cari giovani, ho piena fiducia in voi e per voi prego. Abbiate il coraggio di andare contro corrente”. Sono molti gli adulti che hanno piena fiducia in voi. Io sono uno di loro, miei cari giovani, e vi invito ad essere coraggiosi nella vostra vita. Vi stimolo ad avere la forza di andare “controcorrente” quando risuona con insistenza nel profondo del vostro cuore la chiamata ad essere fedeli a voi stessi e a Gesù. Oggi il mondo ha bisogno di voi. Ha bisogno dei grandi ideali che sono propri della vostra gioventù e dei vostri sogni giovanili. Il mondo ha, oggi più che mai, necessità di gioMarzo-aprile 2016
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festa di don bosco
PUOI TROVARE ALTRE FOTO SU WWW.DONBOSCO-TORINO.IT
vani pieni di speranza e di coraggio, che non abbiano paura di vivere, di sognare, di cercare quella felicità autentica e profonda mediante la quale Dio abita nel vostro cuore. Giovani che sentano la voglia di impegnarsi e che siano capaci di impegnarsi e di amare “fino a soffrire”, come ha detto Madre Teresa di Calcutta, oggi santa. Giovani che, mossi dal loro impegno siano capaci di donare il loro tempo e di donare anche se stessi. Ci sono però anche molti giovani “stanchi, annoiati o delusi”, o giovani che non si sono mai entusiasmati per niente, giovani deboli e fragili. Questi giovani hanno bisogno di altri giovani, hanno bisogno di voi, che parlando dell’esperienza e con un linguaggio che viene dalla vita, facciano loro vedere che ci sono altre strade e altre possibilità. Giovani che li aiutino a comprendere realmente che fuggire dalle sfide della vita non è mai la soluzione; giovani che anche come veri discepoli-missionari, li aiutino a scoprire Gesù nella loro esistenza e a credere in Lui. Un Gesù che, naturalmente, “non ti vende illusioni”, ma che offre Vita, quella autentica, quella sua; offre Se stesso. Penso miei cari giovani che in questo 31 gennaio del 2017
Don Bosco potrebbe dirvi qualcosa di così semplice, con le parole e il linguaggio di oggi, come ve lo ha detto il Papa nella sua lettera: “Non abbiate paura ... Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro.” Desidero con tutto il cuore che sia così per voi: che siate capaci di rischiare quando si tratta di Gesù e di Dio Padre nella vostra vita. Non vi mancherà mai la sua Presenza mediante lo Spirito e sarà garanzia sicura per il vostro cammino umano di felicità. Vi saluto con affetto sincero e vi auguro una felice festa di Don Bosco e la protezione sempre materna della nostra Madre Ausiliatrice. Ángel Fernández Artime, sdb Rettor Maggiore
Cari Amici della Rivista Maria Ausiliatrice, il grande Agostino, vescovo e dottore della Chiesa, ha un pensiero folgorante sulla consistenza della nostra vita di uomini fragili e temporanei, cioè mortali. Ha scritto: Omnia incerta, sola mors certa. Un latino molto semplice, comprensibile da tutti con una realtà innegabile e di valore universale: tutti dobbiamo morire. Da qui il valore dell’esortazione evangelica: «Vigilate, state pronti... non sapete in qual ora...». Certamente queste parole e questa esortazione risuonavano nell’animo di don Isoardi, salesiano qui della Casa Madre di Valdocco. Don Giancarlo ci ha lasciato il 24 dicembre 2016, vigilia di Natale, dopo una difficile operazione. Per alcuni anni è stato il primo vero lettore della Rivista Maria Ausiliatrice: infatti era proprio lui che correggeva le bozze di
ogni numero prima della stampa definitiva. Lavoro che faceva volentieri, con competenza, precisione e nei tempi stabiliti. Ed è per questo che chiediamo anche ai nostri lettori un ricordo e gli diciamo grazie per questo suo impegno. Don Giancarlo è nato a Stroppo (Saluzzo) nella provincia di Cuneo, sempre generosa verso don Bosco, con tanti giovani che lo hanno seguito nella vocazione salesiana. Uno di questi è stato don Giancarlo. Affascinato da lui dal suo carisma per i giovani, lo seguirà tutta la vita con entusiasmo, unito questo a studi particolari, personali e accademici, che ne faranno un esperto del Santo. Significativo che l’ultimo libro da lui scritto abbia il titolo: Di Don Bosco si può dire tanto. Dirà lui stesso in una lettera a don Pascual Chávez quando era Rettor Maggiore: «Voglio continuare ad essere fedele a don Bosco, il santo che mi ha conquistato quando ero adolescente e che ha dato significato e senso a tutta la mia vita». Questo suo attaccamento al carisma di don Bosco lo dimostrò nei lunghi anni della sua missione in Brasile. Diventò salesiano nel 1953 e dieci anni dopo fu ordinato sacerdote proprio nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Partito poco tempo dopo l’ordinazione sacerdotale, dedicherà a quel grande paese latinoamericano ben 38 anni della sua vita apostolica. Fu un’espe-
in memoria
Grazie don Giancarlo!
«Quando entriamo nella Cappella Pinardi noi dovremmo sentire la gioia di poter dire: “Ecco tutti là sono nati. (Sal 86). Cioè, questo è il luogo sacro in cui rinnovo la mia alleanza con don Bosco, qui ripeto la mia consacrazione al Signore in vista della missione salesiana, qui mi sento figlio di don Bosco, perché anch’io sono nato qui! È la nostra Betlemme, perché tutta l’epopea salesiana ha avuto origine in questo spazio».
rienza molto impegnativa, ma portata avanti con dedizione e intelligenza. Finché sentì che era tempo di tornare in Italia e di lasciare il posto, anche di responsabilità pastorali, ai salesiani brasiliani. Non aveva in programma la pensione ma... cominciare un’altra missione, diversa ma sempre per la gloria di Dio e al servizio di don Bosco. Cosa che lui fece mettendo a frutto l’esperienza e le conoscenze teologiche, pastorali e salesiane al servizio di tante altre persone. Quanti ritiri, esercizi spirituali, conferenze e incontri ha donato a comunità di suore, di religiosi e di salesiani (e pubblicazioni varie!). Gli ultimi anni li ha vissuti qui a Valdocco, come confessore e conferenziere, predicatore molto richiesto in giro per l’Italia tutta ed anche collaborando alla Rivista Maria Ausiliatrice. Per questo lo ringraziamo, lo ricordiamo e lo affidiamo alla infinita misericordia di Dio. Grazie don Giancarlo. Mario Scudu e la redazione redazione.rivista@ausiliatrice.net
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giovani
Uno su dieci «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,11-19). La Quaresima è quel periodo dell’anno che alcuni aspettano con ansia per partire all’attacco dei fioretti come crociati. Ma perché in quaresima non dobbiamo mangiare i dolci? Perché dobbiamo rinunciare a qualche cosa altrimenti siamo presi da sensi di colpa? Colpa di che? Ma non capisco neanche perché non bisogna mangiare carne al venerdì. Capisco che nella storia passata aveva la sua motivazione, ma oggi che senso ha, quando c’è già una battaglia contro gli zuccheri e contro la carne? Poi ce la prendiamo con altre religioni che non mangiano certe carni e diciamo che vivono di passato, e noi? Senza parlare di ciò che comporta mangiare certi cibi a livello economico. Mi viene sempre in mente quella vignetta nella quale il parroco si sbracciava per raccomandare 24
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fioretti a tutto il suo popolo e toni alti perché tutti mangiassero il pesce e non la carne al venerdì. E mentre lui dal pulpito si sgolava nell’incitare il suo popolo fedele, una coppietta si apparta e lei dice a lui: «Caro, sarà bene che noi fino a Pasqua ci orientiamo a cambiare religione, perché i soldi per comprare il pesce non ce li abbiamo!». Che dire di quelle ragazze che si gloriano perché durante la quaresima sono dimagrite di due chili non mangiando dolci? Fioretti per dimagrire: questo è la Quaresima in preparazione alla Pasqua? E gli altri nove?
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacer-
doti». Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Solo uno è guarito davvero e ha incontrato il guaritore e quindi ha cambiato vita, ha fatto Pasqua, la sua fede l’ha salvato! Ecco una bella proposta per la Quaresima: non fioretti per dimagrire, ma vivere questo periodo intensamente per lasciarci guarire dalla lebbra interiore, quella religione ripetitiva e mediocre, cultuale, rituale e triste, quel relativismo che ci porta facilmente a servire due padroni, quel si-è-fattosempre-così che non ci aiuta ad andare oltre quelle tradizio-
ni che ci spingono «ad adorare le ceneri anziché tener vivo il fuoco»... Verso la Pasqua
... quell’ateismo pratico che ci spinge a costruire un “dioamodomio”, a non sentire il bisogno di una chiesa-comunità, a vivere correndo appresso alle apparizioni, che ci fa sentire in pace quando pratichiamo i comandamenti di Mosè gloriandoci di non ammazzare nessuno ma ignorando Gesù, il cui comandamento è uno solo ed è quello di guardare gli altri negli occhi e non girarsi mai dall’altra parte, quello stare bene in una valle di lacrime sempre a lamentarci e a pianger sulla croce del venerdì santo senza mai avere il coraggio di correre al sepolcro e scoprire una volta tanto che il nostro Dio è risorto, è il Dio dei vivi e non dei morti e vuole che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza e fa più festa in cielo per un peccatore e perdona tutti e dieci ma uno solo si fa guarire
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dentro... Ecco, una Quaresima per scoprire «cieli nuovi e terra nuova», alzando gli occhi dai nostri smartphone per collegarci finalmente con quell’“oltre” che ci faccia vivere «sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento» andando per le strade del mondo dietro quel Dio che ci dice «non vi lascerò orfani» e ci manderà «lo Spirito della verità, che ci guiderà a tutta la verità» perché siamo finalmente in grado di fissare «lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, le restiamo fedeli, per trovare la nostra felicità nel praticarla» come dice san Giacomo. Pasqua: il trionfo della libertà! «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto». Dieci su dieci?
È risorto. Non possiamo permetterci il lusso di essere tristi. Giuliano Palizzi Giuliano Ladolfi Editore, 2016 160 pagine
Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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Zygmunt Bauman:
un sociologo sensibile ai problemi dei giovani
Il personaggio
Lo scorso 9 gennaio è scomparso uno dei personaggi più famosi della cultura europea: Zygmunt Bauman all’età di 91 anni. Ebreopolacco, divenuto nel tempo cittadino britannico, era nato a Poznan il 19 novembre 1925. Ha vissuto in prima persona il comunismo, ha conosciuto le mostruosità della Shoah, si è calato profondamente nella società inglese, ha analizzato e studiato acutamente tutte le sfaccettature della modernità. Da attento sociologo ha colto e descritto alcuni passaggi cruciali dello sviluppo europeo degli ultimi decenni. La “modernità liquida”
È diventato famoso nell’ambito universitario europeo per la metafora, da lui spesso ripetuta, della “modernità liquida” con cui ha individuato la fase storica in cui noi quotidianamente viviamo. Con i suoi studi ha evidenziato il fatto che, a partire dal 1600, in Europa, la logica del controllo sulla materia e sul vivere sociale, portata avanti dalla cultura dominante del tempo, aveva dato vita a delle “solide” realtà sociali (società, famiglia, appartenenza religiosa...) che avevano blindato l’individuo in 26
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schemi “ordinati”, “sicuri” e “prevedibili”. Tutti avvertivano un diffuso senso di sicurezza che si originava da istituzioni solide caratterizzate da “ordine”, “disciplina” di comportamenti e da “prevedibilità”. Il singolo viveva tranquillo, anche se a scapito della propria libertà ed autonomia. A partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, soprattutto nel mondo occidentale, si è verificato un autentico ribaltone. Il vecchio ordine costituito è stato destabilizzato dal diffuso benessere che ha innestato un invasivo consumismo. Questo ha scatenato desideri di provare nuove libertà. Lentamente si è formata una innovativa mentalità fondata non più sui valori “solidi”, ma alimentata da un compulsivo desiderio “eudemonistico” radicato nella ricerca di piaceri effimeri mai prima assaporati. Se durante la modernità solida la sicurezza senza libertà bloccava la vita in diverse modalità di servitù, la modernità liquida sta portando l’umanità verso un indecifrabile caos esistenziale. Questa nuova realtà sociale è sempre più caratterizzata da diffusa insicurezza collettiva, senso di precarietà, indebolimento dei legami comunitari, solitudine del cittadino globale. Drammatici sono i problemi legati alla
Lo sforzo educativo di Bauman
In questo contesto di “liquidità” dilagante Bauman non ha mai cessato di interrogarsi sulla possibilità di portare avanti nuove modalità di educare i giovani. Lo ha fatto non nascondendo la sua preoccupazione al riguardo, senza abbandonarsi mai alla disperazione. Si è fatto portavoce della necessità di una rivoluzione culturale nel mondo educativo. Per lui l’educazione non deve limitarsi a sopprimere l’istinto consumistico che spinge ad assumere atteggiamenti egoistici e materialistici imposti dal ferreo controllo che i mercati esercitano sulla pubblicità e sulla comunicazione. Gli strumenti ideali che ogni intervento educativo deve attivare per aiutare i giovani a rendere meno asfissiante l’assedio dello striptease cognitivo ed emotivo creato dal parossismo dei consumi, portano il nome di cultura e di capacità critica. Solo un cervello pensante e critico li possono aiutare a prendere le distanze dagli squallidi programmi televisivi, straripanti di belle ragazze svestite, in cui volgarità, becerume, gossip generano solo squallore. L’educatore, per dirla con George Steiner, deve guidare con rispetto il ragazzo ad uscire da questa “cultura del casinò” (casino-culture). I giovani non sono dei “vuoti a perdere”. Il loro vivere non può limitarsi a soddisfare la sconfinata voglia di consumare cose. Questa bulimia viene subdolamente inculcata ed alimentata attraverso una cultura che mercifica ogni aspetto della vita. Non basta creare nuovi bisogni per dar senso ad un’esistenza. In particolare, secondo Bauman, gli insegnanti dovrebbero abilitare l’educando a saper gestire e vivere nel rispetto il mondo dell’interculturalità. È un problema già sollevato dal filosofo tedesco Gadamer. Nel moderno melting-pot fatto di promiscuità razziale, religiosa e culturale, come comportarci? L’auspicata “fusione di orizzonti” è tanto desiderabile e meritevole di essere percepita quanto improbabile, e forse impossibile, da raggiungere. Infine l’educazione non può rinunciare ad insegnare
il valore insostituibile della solitudine personale per sfuggire alle troppe “solitudini affollate” dell’onnipresente mondo digitale che azzera la capacità creativa di troppi individui. Se non si è mai veramente soli è difficile che si possa leggere un libro, ascoltare della buona musica, dipingere, ammirare un panorama o contemplare il cielo. Nel mondo liquido la relazione con un oggetto inumano, dalla bottiglia di vodka alla sigaretta, dalla striscia di cocaina ai nuovi arrivi della moda, da un frigo da svuotare ai gadget tecnologici, solo in apparenza sono tranquillizzanti perché si fondano sulla illusione di poterli gestire nella libertà senza correre alcun pericolo. Questa è un’illusione letale. È come respirare un gas che ti toglie la vita senza averne la percezione. Solo le relazioni con soggetti umani, pur faticose, rischiose ed imprevedibili abilitano ad un’esistenza libera e responsabile. Una vita basata sul mero consumo, ci mette in guardia Bauman, viene vissuta all’apparenza sotto il segno dell’autonomia, dell’autenticità e della autoaffermazione ma in realtà erode l’energia vitale che potrebbe essere posta al servizio dell’impegno, della devozione e della responsabilità. È un monito da non lasciare cadere nel vuoto.
giovani
globalizzazione senza regole: immigrati e profughi, impossibilità di controllare i confini di stato, impossibilità di tutelare la sovranità nazionale, diffuso senso della paura, nuove forme di asservimento....
Ermete Tessore tessore.rivista@ausiliatrice.net
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Il professore dell’“amico degli ultimi” Don Cojazzi, insegnante di letteratura e di spiritualità di Pier Giorgio Frassati. Presto sarà canonizzato, presto sarà santo. Pier Giorgio Frassati in soli ventiquattro anni è riuscito a far camminare insieme mondi contrapposti: figlio della borghesia piemontese, ha saputo indossare, come tutti, i panni di ogni giorno. La sua era una carità spontanea, continua, che lo spingeva ad occuparsi di chiunque, senza distinzioni. Fu un salesiano a lasciare da subito una traccia ferma nella vita del figlio del proprietario e direttore del quotidiano laico di Torino, poi senatore e ambasciatore a Berlino: è don Antonio Cojazzi, il primo ad averlo visto santo, il primo ad averlo seguito nei timidi ed incerti passi, il primo a scrivere di lui facendolo conoscere in tutto il mondo, il primo ad avvicinare Pier Giorgio a Maria Ausiliatrice facendo della Basilica uno dei luoghi
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“frassatiani”, com’è scritto nel bel libro di don Primo Soldi L’amico degli ultimi edito dalla Elledici. Pier Giorgio, uno di noi
«Nel novembre 1910 – si legge nei memoriali di don Cojazzi – fui chiamato dal mio Superiore maggiore, don Albera, a recarmi quotidianamente a tenere lezioni di latino nella casa del senatore Frassati. Feci scuola così a Pier Giorgio e alla sorella Luciana, che frequentavano la ginnasiale al “D’Azeglio”. Vi andai per tre anni consecutivi. In seguito ebbi rapporti frequenti con il giovane e con la sua famiglia, negli anni in cui frequentava il liceo e il Politecnico». Sullo sfondo c’è il ‘900 infuocato delle guerre e delle polemiche, delle ideo-
logie, della miseria e dell’industria. Quando arriva, violentissima, la crisi economica, Frassati è nei quartieri poveri di Torino. «Eccezionale nel quotidiano» lo definirà Giovanni Paolo II ponendolo sugli altari. Spende tempo, dona vestiti, si impegna. L’accompagnamento spirituale di don Antonio al suo cammino di santità è forte. Ama la montagna, distribuisce carità, è «il ragazzo delle otto beatitudini» come dirà ancora di lui papa Wojtyla: la prova che un giovane qualunque può entrare nella storia della Chiesa. Chi era don Antonio
Friulano di origine, salesiano come i fratelli Enrico e Francesco, don Cojazzi fu per oltre quarant’anni docente e poi preside del Liceo Valsali-
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ce. «Sapeva incantare» ricorda chi lo ha conosciuto. Brillante conferenziere, nei primi anni del secolo scorso sentì presto di dover farsi divulgatore con la penna: cominciò con un libriccino dal titolo Don Bosco diceva così cui seguiranno più di sessanta volumi. Dopo la fine della prima guerra mondiale, ebbe un’idea: a tanti giovani disorientati era necessario offrire una rivista piacevole, ricca di luce e di esempi. Nel 1920 fondò la Rivista dei giovani, una realtà dell’editoria salesiana rimasta in vita per ventotto anni. Don Antonio morirà nel 1953.
addio, il 4 luglio 1925, si muove l’intera città. La sera del funerale, don Antonio scrive nel suo articolo per la Rivista dei giovani: «Si parlerà di lui a lungo, nei palazzi dorati e nei casolari sperduti! Perché di lui parleranno anche i tuguri e le soffitte, dove passò un angelo consolatore... Scriverò la sua vita». Proprio a questo lo invitò l’allora arcivescovo di Torino cardinale Giuseppe Gamba, e nel marzo 1928 ecco pubblicata la vita di Frassati: un volume da milioni di copie tradotto in venti lingue. «Eccolo, uno come voi – scrive don Antonio –, uno uscito dalle vostre file, uno che ha saputo dimostrare che essere cristiano fino in fondo, non è utopistico, ma una meravigliosa realtà». Tra le frasi più celebri di Pier Giorgio, ricordate anche nell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia dove,
S. E. Mons. G. B. Montini ha scritto in una lettera: don Cojazzi «aveva diffuso anche al di là della sua cerchia salesiana l’ardore della sua carità per i giovani, e la saggezza della sua generosa pedagogia».
dal Duomo di Torino, sono arrivate le sue spoglie, l’invito a «vivere, non vivacchiare». Una figura folgorante e attuale, un carisma che ancora porta frutti. Andrea Caglieris Giornalista Rai TGR Segretario dell’Ordine dei Giornalisti Piemonte redazione.rivista@ausiliatrice.net
Vivere, non vivacchiare
Quando Pier Giorgio si ammala, a 24 anni, non se ne accorge nessuno o quasi: poliomelite fulminante. Per dirgli marzo-aprile 2017
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Grazie a chi non mi ha fatto sconti Questa è una lunga storia: mettetevi comodi
Dall’età di 20 anni ho cominciato a sentire in me il desiderio di consacrarmi a Dio. Cosa quasi impossibile perché non potevo farmi suora e lasciare casa, essendo i miei genitori piuttosto anziani e mia mamma malata. Frequentavo gruppi di preghiera ma questo non mi bastava: volevo essere “tutta” di Dio. Dai 20 ai 30 anni riuscivo ad andare a Messa tutti i giorni e questo era per me formazione cristiana e forza per mettere in pratica negli impegni di volontariato e in famiglia. Ma io non mi sentivo realizzata. Quando si presentava l’opportunità parlavo con suore o sacerdoti del mio desiderio di consacrarmi, nonostante i limiti già esposti. La risposta era quasi sempre la stessa: «Trovati un ragazzo che ti voglia bene e sposati». Risposta che
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mi faceva ricordare un professore di liceo che, vedendomi sempre stanca e con gli occhi gonfi per lo studio, nei colloqui diceva a mia mamma: «Le dica di sposarsi un uomo ricco in modo che non debba lavorare». Era più o meno la stessa storia. Finalmente il confessore giusto
Però i miei genitori hanno sempre spinto perché prendessi una laurea e alla fine c’ero riuscita. Non avevo nessuna intenzione di sposarmi perché non sentivo la vocazione e le brevi storie avute mi avevano sempre confermato che il matrimonio non era la mia strada. Mi ero quindi messa il cuore in pace: Messa quotidiana, volontariato, famiglia. Per qualche anno è andata bene così e non chiedevo più niente a nessuno. Avevo trovato, ver-
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so i 30 anni un confessore a Maria Ausiliatrice... non era un direttore spirituale ma io avevo deciso di andare sempre da lui. All’età di 35 anni mi fa qualche domanda: «Perché non ti sposi?», «Non vuoi farti suora?». Non ripeto le risposte perché le sapete già. «Ma lo sai – mi dice – che i Salesiani sono una grande famiglia? Informati delle Volontarie di don Bosco». Veniva proprio come un fulmine a ciel sereno! Io avevo trovato un mio equilibrio, una sistemazione in cui stavo bene. E poi non avevo capito bene di cosa si trattava: altro volontariato?! Gli risposi che la mia vita stava funzionando: Messa, volontariato, famiglia, lavoro. «Eh, troppo comodo!», mi risponde. Non demordere
Quasi arrabbiata di dover fare altro volontariato, ci pensai un anno
senza concludere nulla, quando il sacerdote mi rifece la proposta. Ero già più disponibile, mi informai e telefonai. Al primo incontro con la delegata della formazione, cominciai a capire questa nuova realtà degli Istituti secolari, di cui non avevo immaginato l’esistenza. Quando non cercavo più Dio aveva trovato la soluzione per me, mi chiamava a consacrarmi a Lui. In altri momenti avrei detto «Bellissimo!», ma a quasi 36 anni non fu semplice. La mia vera storia con Dio doveva ancora cominciare e io ero già stanca. Sentivo già il peso degli anni e Dio proprio adesso veniva a scombinare la mia vita! Non me lo sarei mai più aspettata. Tuttavia mi attraeva questo Istituto anche se avevo capito poco o quasi niente. Ricevetti l’invito per andare al primo Week-End vocazionale: risposi no, perché il sabato dovevo andare a far la spesa con mio padre per la settimana e non potevo dormire fuori perché mia mamma poteva svegliarsi e aver bisogno. «Eh che?! – mi fu risposto – hai quasi 36 anni, devi venire adesso! Già dovremo chiedere la dispensa per l’età!!!». Non so come riuscii ad organizzarmi ma ci andai e fu lì che per la prima volta nella mia vita mi sentii arrivata a casa. E capii che la mia vera storia stava appena cominciando. Grazie a chi non mi ha fatto sconti! Una VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net
Nel cammino della vita spirituale non vi fidiate troppo di voi stessi, ma con semplicità e docilità prendiate consiglio e domandiate aiuto a chi con saggia direzione può guidare l’anima vostra (Pio XII).
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LA PAROLA
365 giorni per meditare con Gesù e Maria La collana Pensieri per la riflessione dell’editrice ELLEDICI è uno scrigno prezioso di libri che accompagnano il lettore per un anno intero nella meditazione giornaliera. I testi non sono mai complessi e invitano alla riflessione in tempi in cui si è spesso allontanati dalla lettura edificante, anche di brevi riflessioni quotidiane come quelle suggerite nei due libri che proponiamo.
I titoli più recenti sono 365 giorni con Cristo, a cura del professore e giornalista Marco Pappalardo (pagine 304) e 365 giorni con Maria, Regina della Famiglia, a cura di Lucia Amour, medico torinese che ha pubblicato diversi scritti riguardanti le apparizioni di cui si tratta nel libro stesso (pagine 558). 365 giorni con Gesù
Nel primo volume sono raccolti 365 pensieri su Gesù, scritti da poeti, romanzieri, saggisti, filosofi, storici, critici letterari, scienziati, medici, cantautori, drammaturghi, attori, provenienti da ogni parte del mondo, del passato e contemporanei. Sono le testimonianze di circa 150 personaggi noti e meno noti, alcuni ancora viventi, di diverse estrazioni culturali. Molti di essi, pur essendo dichiaratamente laici, esprimono una profonda ammirazione per Cristo. Compaiono, ovviamente anche citazioni tratte da opere di santi o uomini di Chiesa, scelti per l’apprezzamento che godono universalmente
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la parola
in ambito culturale e messi a confronto con i loro “colleghi” del mondo laico. Nelle parole di ogni autore si ritrovano espressioni che spingono alla riflessione, alla meraviglia e perfino alla commozione. Giorno per giorno, il lettore progredisce nella scoperta del “volto” di Gesù Cristo all’interno di un cammino personale o comunitario. Non viene seguito un ordine cronologico o storico, per cui ogni passo ha valore per quel giorno come potrebbe averlo per tutti gli altri in un’alternanza di voci significative e stimolanti. 365 giorni con maria
gnati da aneddoti e storie vere che aiutano a assimilarli meglio, facendoli propri e trasformandoli in atteggiamenti positivi. Un’antologia di meditazioni per “ripensare” la famiglia alla luce degli insegnamenti di Maria Santissima. la redazione redazione.rivista@ausiliatrice.net
Per acquisti e informazioni: Nelle librerie: Elledici, Elledici Point e cattoliche Scrivi a vendite@elledici.org Telefona: + 39 011 95 52 111
Il secondo volume, dedicato a Maria, piacevole e di facile lettura come il precedente, raduna pensieri e riflessioni sulla famiglia che la Madonna, Regina della Famiglia, avrebbe consegnato alla piccola Adelaide Roncalli, di sette anni, tra il 13 e il 31 maggio 1944. Provengono dalle apparizioni di Ghiaie di Bonate. Pur non essendo ancora ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, i 13 messaggi affidati da Maria a Adelaide sono al centro di un prudente ma crescente interesse delle autorità ecclesiastiche. Racchiudono una serie di preziosissime indicazioni per l’unificazione e la santificazione delle famiglie sotto lo sguardo della Vergine Madre e con gli occhi rivolti a suo Figlio, in vista di una vita familiare coerente, ricca di umanità e di fede I diversi messaggi sono disseminati nel corso dei giorni e accompa-
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Un missionario felice A tu per tu con don Giacomo Begni, che dal 2009 dedica le proprie energie al Centro educativo Don Bosco di Natal-Gramoré, in Brasile.
«Quand’ero adolescente e pensavo al mio futuro m’immaginavo psicologo, interprete o avvocato. A 22 anni, però, mi sono imbattuto nella foto di una bambina dell’America latina che non avevo mai visto né conosciuto. I suoi occhi tristi, in primo piano, sembravano domandare: “Chi si prenderà cura di me?”. Istintivamente il mio cuore rispose: “Non preoccuparti, piccola. Io mi prenderò cura di te”. E la mia vita, da allora, non è stata più la stessa». Sono trascorsi una quarantina d’anni da quel giorno e don Giacomo Begni continua a mantenere la promessa e a occuparsi dei giovani che abitano le periferie del mondo. Al servizio dei giovani più vulnerabili
Come è nato il desiderio di vivere l’esperienza della missione? «Per me è stato un regalo fattomi da Maria. Sono stato 34
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ordinato sacerdote il 12 ottobre 1985 e in quel giorno, oltre all’anniversario della scoperta dell’America, si celebra la festività di Nossa Senhora Aparecida, la Madonna patrona del Brasile. Sono sicuro che sia stata Lei, attraverso quella data, a indicarmi il luogo del mio ministero sacerdotale al servizio dei poveri, degli ultimi, di quella parte di popolo che lotta per un pezzo di pane, un rifugio e un po’ di dignità». Il Centro educativo Don Bosco di Natal-Gramoré, nel nordest del Brasile, è parte integrante della sua vita. Come è avvenuto il primo incontro? «Ero economo e amministratore del Centro di Teologia
Cosa offre il Centro a chi si avvicina? «Accoglie bambini e giovani che, vittime di situazioni di vulnerabilità, non riescono a dire sì alla vita e ad avere la minima dignità come figli di Dio. Non di rado hanno bisogno di cibo, data la scarsa disponibilità nelle loro case, sono confinati in un mondo del lavoro che li rende schiavi e li priva del diritto di poter giocare per svilupparsi e vivono una sorta d’isolamento forzato dalla convivenza familiare e comunitaria». Avere un grande progetto e non mollare mai
Il Centro, negli anni, si è ingrandito e ha diversificato le proprie proposte... «Quando sono arrivato il numero di bambini e di giovani assistiti quotidianamente dal Centro - che ospita un oratorio, corsi di qualificazione professionale e programmi di apprendistato - oscillava tra i 200 e i 250. Nel 2010, nel segreto del cuore di Dio e di don Bosco, ho
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di San Paolo del Brasile quando, nel luglio 2008, accolsi l’invito dei superiori di visitare la Provincia salesiana di Recife. L’impatto con il Centro educativo fu un’esperienza sconvolgente perché non mi aspettavo d’incontrare una povertà così grande. Feci ritorno a San Paolo con più interrogativi che certezze e dopo circa sei mesi, il 24 gennaio 2009, tornai al Centro Don Bosco per non abbandonarlo più».
lanciato la sfida di triplicare il numero di bambini che potessero frequentare l’oratorio e mi sono inventato il progetto “La carica dei 600”. Oggi accogliamo complessivamente 2.000 persone». Quale, tra i tanti insegnamenti di don Bosco, caratterizza maggiormente il suo operato? «Sapere ciò che si vuole e non mollare mai. La consapevolezza che essere educatori è una missione impegnativa e ricca di sfide che necessita di dedizione generosa ed esclusiva. «Ho promesso a Dio che fino all’ultimo respiro sarebbe stato per i miei giovani», amava ripe-
tere don Bosco. E, se questa è la promessa, è facile immaginare come dovrebbe svilupparsi la vita di un educatore». A proposito. Che fine ha fatto la fotografia che ha dato il via al suo desiderio di diventare missionario? «La conservo gelosamente e la porto sempre con me. In questo momento è appesa a una parete del mio ufficio». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività di Missioni Don Bosco Onlus in Brasile può mettersi in contatto con l’Ufficio adozioni a distanza:
Anche tu puoi fare qualcosa!
Missioni don Bosco Valdocco Onlus
via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 191 e-mail: adozioni@missionidonbosco.org www.missionidonbosco.org/adozioni-a-distanza marzo-aprile 2017
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Valdocco boys, anche nei laboratori Marco Gallo segreteria.valdocco@cnosfap.net
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Quando senti dire Valdocco pensi ad una chiesa ed un oratorio, oppure ad una zona di Torino, magari anche a don Bosco. Poi però cosa c’è dentro questa piccola cittadella dei Salesiani e quali altri tesori possa nascondere oltre alle spoglie del santo della gioventù, beh, questo è sconosciuto ai più e magari anche ai visitatori occasionali o devoti che si affollano durante la festa del 24 maggio dedicata a Maria Ausiliatrice, a cui è intitolata la Basilica e a cui si deve questa rivista, o a quella di don Bosco il 31 gennaio. Da ultimo arrivato, io, che sono il nuovo direttore del CFP di Valdocco, vi racconto dal mio punto di vista cosa c’è dentro questo scrigno. Proprio perché sono “nuovo” qui a Valdocco e perché un po’ come tutti quelli che hanno vissuto la salesianità in altre case hanno una percezione diversa da chi tutti giorni ci
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lavora. Tenete conto che, tra una attività e l’altra, sono circa 160 le persone che lavorano qui. Il principio
Proprio qui a Valdocco, nella casa annessa all’Oratorio di San Francesco di Sales, don Bosco apre quelli che sarebbe diventa la moderna formazione professionale: i laboratori. I primi furono i calzolai e poi i sarti nel 1853, i legatori nel 1854, i falegnami nel 1856 ed i tipografi nel 1861. Questo sentii raccontare da chi accolse me ed i miei compagni di classe nel 1985 quando, da allievo di grafica del Colle don Bosco, venni a visitare per la prima volta Valdocco e mi rimase particolarmente impresso. Laboratori di composizione e di stampa che allora erano un “esercizio di tipografia” ed oggi fanno parte di un museo unico nel suo genere. A soli trenta metri dal mio ufficio. Attraversando i cortili, oggi come allora, si vedono gruppi di ragazzi che passano da un laboratorio ad un’aula, dalla sala giochi alla Basilica, con a capo il proprio formatore, nell’intento di formare “buoni cristiani e onesti cittadini”.
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gliaia di contatti sullo smartphone tra Whatsapp e Facebook – apprezzano ancora una pacca sulla spalla, una mano tesa e parole di conforto e di speranza. Il lavoro
La formazione professionale
Non avrei mai detto che a distanza di trent’anni sarei tornato qui per prendere il timone di quei laboratori che – con il passare dei decenni e dei secoli – hanno preso la connotazione di Centro di Formazione Professionale. Il CNOS-FAP è infatti un’agenzia di formazione professionale accreditata presso la Regione e che ha a Valdocco la propria sede regionale. Il CFP di Valdocco conta oggi 260 allievi dai 14 ai 18 anni, altre decine di utenti maggiorenni che frequentano corsi di riqualificazione o di aggiornamento e 38 dipendenti. I settori professionali sono tre: grafico, elettrico ed agroalimentare e per ciascuno di essi abbiamo corsi di qualifica triennali per ragazzi in possesso della licenza media. Sono tutti sopra l’antica tipografia di don Bosco dove si conservano ancora alcune macchine acquistate da lui personalmente. Mi aspettavo, io che ho fatto il salto dalla seconda cintura di Torino alla Città Metropolitana, un esercito di ragazzi difficili e magari complicati da gestire. Mi sbagliavo! Sono gli stessi ragazzi di don Bosco, che ho conosciuto in altre realtà salesiane, ragazzi di cuore che – tra mi-
Oggi, come nel 1853, la scuola di don Bosco pone la sua attenzione non solo alla formazione ma anche nel cercare un lavoro ai giovani e ai disoccupati. Lo fa con un nuovo servizio: lo Sportello Lavoro. Si offre l’opportunità a chi cerca un impiego di svolgere un percorso di orientamento al lavoro con la consulenza di un Orientatore qualificato, esperto di Politiche del Lavoro. È un nuovo modo di essere accompagnato al lavoro. I servizi su misura sono organizzati per favorire la selezione dei candidati da parte delle aziende. Proprio in questo momento nove ragazzi del nostro corso Tecnico grafico – che rilascia il diploma professionale – hanno firmato un contratto di apprendistato con altrettante aziende. Insomma, qui a Valdocco tutto procede per il meglio, proprio come ai tempi di don Bosco!
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Eleonora: «l’Oratorio? È la mia seconda famiglia!»
Salesiani per il Sociale info@salesianiperilsociale.it
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«Mi chiamo Eleonora e ho 10 anni. Io non vivo in una casa famiglia, vivo con la mia mamma e i miei nonni, ma la mia mamma è senza lavoro e il mio papà è in un manicomio criminale. Sono stata segnalata ai servizi sociali per le difficoltà familiari e così adesso ogni giorno dopo la scuola vengo accolta presso il centro diurno di Foggia e qui trovo tante
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persone che aiutano me e tanti altri bambini come me». La comunità che accoglie Eleonora ogni giorno è nata nel dicembre del 2007 dall’impulso della comunità salesiana e da un gruppo di animatori dell’Oratorio, allo scopo di promuovere l’animazione culturale e sociale dei giovani del quartiere “Candelaro”, tra i più a rischio della città. «Foggia – spiega Massimo, operatore del centro – è una città bella e con tante possibilità però è anche una delle più complesse e difficili. Il potere criminale agisce indisturbato e lo sforzo del nostro oratorio salesiano è proprio quello di educare anche di fronte agli urti della vita. Il doposcuola non è soltanto istruzione ma anche e soprattutto creatività così da farlo vivere ai ragazzi come laboratorio e come gioco». Le “Case di Don Bosco” nascono per accogliere tanti bambini come Eleonora rispondendo concretamente alle emergenze delle periferie italiane come quella di Catania o ancora di Locri. Sono spazi a misura di bambino che offrono attività gratuite a quei ragazzi con difficoltà di apprendimento o ai quali manca la presenza costante di una famiglia. Operano con un approccio integrato che tiene conto delle diverse esigenze dei minori accolti, con un’attenzione particolare alla lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa. Noi Salesiani per il Sociale crediamo che l’educazione possa illuminare il futuro di Eleonora e di tanti altri giovani e che sia il presupposto per uscire dalle situazioni di emarginazione e miseria in cui molte città an-
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cora oggi si trovano. Il tuo 5x1000 a Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS arriverà anche qui!
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Pratica il Sistema Preventivo in famiglia: Amorevolezza che diventa “volersi bene” In sintonia con la Strenna del Rettor Maggiore per il 2017 SIAMO FAMIGLIA! Ogni casa, scuola di Vita e di Amore, riprendiamo in quest’anno alcuni passaggi del suo intervento tenuto al Colle don Bosco nel 2015 in occasione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice. Il vento dello Spirito che soffia dalla casa di Maria spazza la polvere che si deposita nel corso del tempo. Quanti legami familiari hanno bisogno di essere spolverati dal vento dello Spirito. Questa è un’immagine tipica delle relazioni che rimangono inalterate nel corso degli anni, relazioni che non hanno mai trovato la forza di rinnovarsi e maturare per portare i frutti tipici della vocazione adulta. Fidanzamenti che durano tantissimi anni senza progetti di matrimonio; attendere tanto tempo prima di aprirsi ad accogliere dei figli; vivere con la nuova famiglia rimanendo condizionati dalla famiglia d’origine; sono quella polvere che si accumula rischiando di precludere la possibilità di evolversi verso la missione affidata da Dio. Offrire la testimonianza di un amore coniugale vissuto come dono, nella reciprocità e complementarietà di uomo e donna, fondato sulla grazia e sulla fedeltà di Dio. Accompagnare percorsi di fidanzamento intesi come tempo di attesa e di pre-
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parazione. Promuovere l’educazione sessuale e affettiva dei figli attraverso la testimonianza di un amore coniugale rispettoso e fedele, nella pratica dell’amorevolezza salesiana. Papa Francesco ricorda come «Nella famiglia è soprattutto la capacità di abbracciarsi, sostenersi, accompagnarsi, decifrare gli sguardi e i silenzi, ridere e piangere insieme, tra persone che non si sono scelte e tuttavia
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sono così importanti l’una per l’altra, a farci capire che cosa è veramente la comunicazione come scoperta e costruzione di prossimità. Ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi, è motivo di gratitudine e gioia» (Messaggio Giornata delle Comunicazioni Sociali 2015). Espressione fondamentale di questo amore è l’accoglienza e la custodia della vita umana
Essa è sacra e inviolabile, portatrice di un valore unico ed irripetibile, anche quando è una vita segnata dal limite. Voglio qui ricordare le famiglie con figli segnati da una o più disabilità, non sempre facili da accogliere ed accompagnare. Mi ha commosso il sapere che anche tra voi sono in atto esperienze che hanno aiutato a superare la tentazione di chiudersi e hanno aperto vie di comunicazione e di aiuto. Questo è importante spiegarlo alle nuove generazioni, perché il mondo di oggi propone un messaggio completamente diverso rispetto ai valori cristiani. Una mentalità molto diffusa nei nostri giorni è quella di pensare che la vita delle persone ricche, dotte e potenti assume un valore più grande rispetto a quella di una persona povera, disoccupata, cassaintegrata, malata o anziana. Questo volersi bene non è solo un fatto di sentimenti, ma si traduce anche nell’esercizio di una carità operosa in famiglia e tra le famiglie, con una rinnovata attenzione alle famiglie più in difficoltà o in crisi, alle persone sole, emarginate, anziane. Far apprezzare il valore della vita si-
gnifica educare i bambini e gli adolescenti al rispetto del più debole, alla solidarietà verso i più bisognosi, alla sopportazione pacifica dei torti subiti e all’ascolto compassionevole del dolore altrui. Pierluigi Cameroni pcameroni@sdb.org
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l’arte di animare animare l’arte
ANIMA MGS
L’Arte di Animare / Anima l’Arte http://artedianimare.it info@artedianimare.it
pastorale giovanile
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L’ADMA cresce e si sviluppa Est Asia - Australia - Incontri delegati di famiglia salesiana Dopo la costituzione del Segretariato per la Famiglia Salesiana, a seguito del Capitolo Generale 27° dei Salesiani, l’équipe centrale ha previsto in tutte le 7 regioni salesiane delle sessioni formative per i Delegati dei Salesiani per la Famiglia Salesiana. Nella regione Asia Est-Oceania sono stati organizzati 3 incontri, che si sono svolti dal 15 al 30 novembre 2016, di 3 giorni ciascuno, in Corea del Sud, Vietnam e Filippine. Il Segretariato Mondiale per la Famiglia Salesiana è costituito da don Eusebio Muñoz, Delegato del Rettor Maggiore; don Giuseppe Casti, Delegato Mondiale per i Salesiani Cooperatori; don Joan Lluis Playa, Assistente Centrale per le Volontarie di Don Bosco e i Volontari con Don Bosco; e don Pier Luigi Cameroni, Animatore spirituale dell’Associazione di Maria Ausiliatrice. Primo incontro – Corea – Seoul – 15-17 novembre
Il primo ha avuto luogo dal 15 al 17 novembre a Seul e vi hanno partecipato oltre 40 persone provenienti da Corea del Sud, Cina, Giappone, Mongolia e Australia. L’ascolto delle testimonianze dei laici collaboratori nella missione salesiana e dei membri della Famiglia Salesiana è stata al centro di quest’incontro. Secondo incontro: Vietnam – K’Long – 20-22 novembre
La seconda sessione di formazione dei delegati della Famiglia Salesiana si è svolta presso il Centro salesiano di spiritualità di K’Long, Vietnam, dal 20 al 22 novembre. Circa 60 i partecipanti. La maggior parte 42
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provenienti dal Vietnam, dalla Tailandia, dalla Cambogia, dal Myanmar. Terzo incontro: Filippine – Cebu – 25-27 novembre
La terza sessione si è svolta presso la Casa di ritiro di Cebu-Pasil. 40 i partecipanti provenienti da Filippine Sud (FIS), Filippine Nord (FIN), Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (PGS) e Timor Est-Indonesia (ITM). L’ADMA in questi paesi è presente in forma significativa nelle Fi-
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lippine e Timor Est; alcuni gruppi sono ben avviati in Giappone, Corea, Cina. Questi incontri sono stati una grande opportunità per presentare l’ADMA nella sua veste rinnovata. L’interesse è stato grande e insieme il desiderio di far crescere questo gruppo della Famiglia Salesiana o di avviarlo là dove ancora non c’è, in particolare nelle parrocchie salesiane. Inoltre si è sottolineata la grande sfida della famiglia e della crescita della responsabilità della vocazione dei laici soprattutto nella guida dei gruppi locali. Grazie a tutte le comu-
nità salesiane che ci hanno accolto con grande attenzione, interesse e disponibilità.
Pierluigi Cameroni pcameroni@sdb.org
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Macedonia di frutta secca ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
• Una manciata di frutta secca • ½ bicchiere di Wisky • ½ litro di tè al limone
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Il 14 novembre scorso si è aperto per la Famiglia Salesiana un anniversario importante, che si concluderà il 14 novembre 2017 con la solenne commemorazione della prima spedizione missionaria delle FMA. Per i Salesiani era già la terza, diretta verso i territori del Sudamerica. Era proprio un bel salto quello che avrebbe portato sei giovani suore da Mornese a Montevideo, Uruguay!! Fa tenerezza rileggere, nella biografia di Madre Mazzarello, la cronaca di quella partenza. Nel settembre 1877 le suore prescelte iniziarono a studiare la lingua spagnola. Il 6 novembre nella cappella dell’Istituto di Mornese si celebrò una funzione d’addio, cui parteciparono i parenti delle future missionarie. La stessa funzione si sarebbe ripetuta il giorno successivo a Torino. Salesiani e suore, accompagnati da don Bosco e Madre Mazzarello, si recarono quindi a Roma per ricevere la benedizione di Papa Pio IX. La suora incaricata di leggere un breve saluto al Papa, entrata in confusione, non
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riuscì a spiccicare una parola, e questo fatto attirò sul nuovissimo Istituto la simpatia di Pio IX, che esortò i missionari a ringraziare Dio per la fortuna di essere figli di don Bosco. Da Roma a Genova, per l’ultimo saluto alla Patria. Madre Mazzarello accompagnò le suore sulla nave, accertandosi che fossero ben sistemate nelle rispettive cabine; poi, con don Bosco, su una piccola imbarcazione fece ritorno al porto, quindi a Mornese. Le prime FMA missionarie sbarcarono a Montevideo il 17 dicembre. Alla direttrice del primo nucleo missionario, la Madre raccomandava di mantenere l’allegria, l’amore per il lavoro, l’umiltà, l’obbedienza. Dopo 140 anni, sr Alaide Deretti, Consigliera per le Missioni, invita le FMA e tutta la Famiglia Salesiana a vivere l’evento con la speranza e la gioia con cui le prime missionarie portavano nel Nuovo Mondo l’eredità dei santi fondatori. Lo stesso impulso missionario di quel lontano 1877 continua a spingere la Famiglia Salesiana di oggi verso le periferie dell’esistenza, verso i poveri, i dimenticati, gli invisibili. Ecco una ricetta quasi esotica, degna di un solenne anniversario: ammollare per una notte la frutta secca nel tè al limone, una manciata di frutta secca per ogni qualità: uva passa, uvetta di Corinto, prugne, albicocche, ananas, pesche, fichi, datteri, arance. Sgocciolarla accuratamente. Tagliarla a pezzi, innaffiarla con il wisky ed unire gherigli di noci spezzettati, nocciole e mandorle tostate e spellate, pinoli. Il tè usato per l’ammollo della frutta è un’ottima bibita.
La vita ha vinto la morte. La misericordia e l’amore hanno vinto sul peccato! Se ci affidiamo a Lui, la sua grazia ci salva! Papa Francesco
Carissimi lettori, a tutti voi giungano i nostri auguri
Dio benedica e ricompensi largamente la carità dei nostri benefattori. (don Bosco)
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