Rivista Maria Ausiliatrice 3/15

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MARIA AUSILIATRICE D E L L A

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FIGLIO, LA MADRE E IL SANTO DEI GIOVANI

4 L’ARCIVESCOVO MONS. NOSIGLIA: LA GIOIA DI VENIRE A VALDOCCO

32 GIAN FR ANCO SVIDERCOSCHI: LA RIVOLUZIONE DI PAPA FR ANCESCO

54 EXPO 2015: I GIOVANI A CASA DON BOSCO

ISSN 2283-320X

MAGGIO-GIUGNO 2015

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Lui, Lei e Don Bosco

foto: Mario Notario

Carissimi amici, come vorrei avervi tutti qui, insieme, in questi giorni, a Valdocco! Poche altre volte nella vita, ho vissuto e sto vivendo momenti così belli, festosi, irripetibili. Per questo, mi piacerebbe che fossimo tutti insieme. Purtroppo, a volte ci separa la distanza, a volte la salute malferma, a volte ancora i problemi economici; ma la preghiera e il desiderio ci aiutano a superare queste barriere ed a vivere, anche se lontani, tre occasioni uniche. Innanzi tutto, Lui: il Signore morto e risorto. Qui a Torino, sino al 24 giugno, è esposta la Sindone, il lenzuolo che ci ricorda la sua morte e soprattutto la risurrezione. Già, perché proprio la sua risurrezione è l’evento determinante della nostra fede, come ha scritto san Paolo: “Se Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Corinti 15, 14). E la Sindone, è stato detto, non ha bisogno della fede per interrogare chi la guarda, ma ha bisogno della fede per rispondere a chi la guarda. Poi, c’è Lei, Maria, la Vergine che noi onoriamo con il titolo di Ausiliatrice. Il mese di maggio è da sempre importante per la comunità cristiana e per il nostro Santuario: è il mese dedicato a Lei e per noi è anche il mese della sua festa, il 24. Lo stesso giorno, anzi la stessa domenica in cui quest’anno – cosa insolita ma significativa per chi legge i segni di Dio nelle piccole cose – la Liturgia ci propone anche la solennità di Pentecoste, quando lo Spirito Santo scese su di Lei e gli Apostoli riuniti nel Cenacolo. E dopo Lui, il Maestro, e Lei, la Serva del Signore, ecco Don Bosco. Quante iniziative, anche al Valdocco, per i duecento anni della sua nascita! A noi, appartenenti o amici della Famiglia Salesiana, tocca seguirne l’esempio nella vita di tutti i giorni. A questo si aggiunge la gioia di avere tra noi Papa Francesco, il 21 e 22 giugno prossimo! I motivi per lodare il Signore sono tanti. E a chi di voi non potrò fare un saluto di persona, assicuro il costante ricordo in Basilica.

DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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MONS. CESARE NOSIGLIA

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LARA REALE

ENZO ROMEO

CHIESA E DINTORNI 18 ANCHE I SANTI HANNO PREGI E DIFETTI

1 LUI, LEI E DON BOSCO DON FRANCO LOTTO

A TUTTO CAMPO 4 UN VESCOVO SI CONFESSA DA DON BOSCO MONS. CESARE NOSIGLIA

7 DA DUECENTO ANNI MARIA AUSILIATRICE

E DON BOSCO INSIEME SULLE STRADE DEL MONDO! YVONNE REUNGOAT

LA PAROLA 10 L A PAROLA, L’OBBEDIENZA, LA GUIDA MARCO ROSSETTI

MARIA 12 M ARIA E IL CELIBATO DI GESÙ BERNARDINA DO NASCIMIENTO

EZIO RISATTI

20 AL FIANCO DI GESÙ AD OGNI COSTO CARLO TAGLIANI

22 IL DIAVOLO E L’ACQUA SANTA. “IL PRINCIPE DEI MIRACOLI”

24 L’AMORE PIÙ GRANDE

DIEGO GOSO

MARIO SCUDU

26 L’OMELIA PUÒ ESSERE UNA BELLA CANZONE ENZO ROMEO

28 TRASMETTERE LA FEDE 30 L’ETÀ DI MARIA

ALBERTO GUGLIELMI

ANNA MARIA MUSSO FRENI

32 L A RIVOLUZIONE DI FRANCESCO

MATTEO SPICUGLIA

SEMPRE CON NOI 31 IN RICORDO DI SUOR MARIA ERMETICI

14 M ADRE, OLTRE LE SBARRE FRANCESCA ZANETTI

MARINA LOMUNNO

FAMIGLIA 16 FECONDAZIONE ARTIFICIALE:

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È ANCHE “AFFARE TUO”

LARA REALE

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Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21-4-80

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Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

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ANNA MARIA MUSSO FRENI

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P. G. ACCORNERO

GIOVANI 34 SILVIO, IL DODICENNE CHE VIVE

UNA VDB

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50 IL MAGNIFICAT DELLA VITA UNA VDB 52 L’AGeSC PREMIA LA CONGRAGAZIONE

SERENAMENTE LE SUE SOFFERENZE CON GESÙ PIER GIUSEPPE ACCORNERO

SALESIANA

LORENZO BORTOLIN

54 L A CASA FONDATA SULLA ROCCIA

36 PERCHÉ TOMMASO NON CREDE?

PIERLUIGI CAMERONI

GIULIANO PALIZZI

56 FAMIGLIE IN CAMMINO

38 ANCHE L’UNIVERSITÀ CONTRO L’AZZARDO

CON MARIA

FEDERICA BELLO

ADMA FAMIGLIE

58 DOLCEZZA DI DIO E DOLCEZZA DEGLI UOMINI

40 EDUCARE, HA ANCORA UN SENSO?

ROMANO BORRELLI

ERMETE TESSORE

60 BAGANA... ALTERNATIVA (SUI PEPERONI) ANNA MARIA MUSSO FRENI

DON BOSCO OGGI 42 A EXPO 2015 I GIOVANI SONO

PROTAGONISTI CON CASA DON BOSCO

GIOVANNI COSTANTINO

44 FERRERO: IL SUO AFFETTO PER MARIA E DON BOSCO

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ANDREA CAGLIERIS

POSTER M ARIA CAMMINA CON NOI MARIO SCUDU

46 BUENOS AIRES: “VILLA MISERIA” INTITOLATA A DON BOSCO

PIER GIUSEPPE ACCORNERO

48 NIENTE AL CASO. TUTTO ALL’AMORE MARIO SCUDU

RivMaAus

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A TUTTO CAMPO

Un Vescovo si confessa da don Bosco

+ CESARE NOSIGLIA ARCIVESCOVO DI TORINO CUSTODE DELLA SINDONE

Quando mi preparavo a raggiungere Torino come vescovo, nell’autunno del 2010, mi sono fatto accompagnare in giro per la città e gli altri centri della diocesi da un prete. Andavamo in macchina, noi due soli, a volte senza una meta precisa. E chiacchieravamo. Soprattutto, io facevo molte domande: entrare in una comunità nuova, assumere la responsabilità di guidarla è cosa che, sempre, fra tremare “le vene e i polsi”. Non se ne sa mai abbastanza, si pensa di essere impreparati (anche se c’è una “conoscenza nell’amore” che è la sapienza stessa della vita cri4

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stiana: se io sono capace di donare tutto di me stesso alle persone che incontro e che voglio servire, ogni altra “informazione” viene dopo, il centro del “messaggio” è questo). C’era, naturalmente, un itinerario di “luoghi obbligati”: i principali santuari, alcune chiese, i seminari…   E qui devo fare una piccola confessione. Passavano i giorni e non mettevo mai, nella lista dei viaggi, Valdocco.   Quando me ne sono accorto non mi sono preoccupato, sapevo bene il perché. Da una parte mi sembrava di sapere già tutto, di Valdocco e del


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GMG del Millennio, quella di Tor Vergata, a stretto contatto con san Giovanni Paolo II. So bene che nella nostra Chiesa italiana di oggi mancano intere generazioni, e che la Chiesa stessa non può stare senza i giovani.

mondo salesiano (ma sarebbe meglio dire: della “galassia”!) che c’è dietro; e dall’altra avevo un po’ di timore, a presentarmi in Maria Ausiliatrice, davanti alla reliquia del santo. Come se anch’io fossi un ragazzino che si prepara a una prova, un passaggio importante della vita. Come se dovessi, in qualche modo, “passare l’esame” da don Bosco. E in fondo era così: nella prima intervista rilasciata a La Voce del popolo, il settimanale diocesano di Torino, subito dopo la mia nomina, avevo detto con molta chiarezza che il mio “programma pastorale” era basato sui giovani, essi erano il punto di riferimento. Prima ancora di entrare ufficialmente in diocesi ho voluto incontrare i giovani nella chiesa del Santo Volto. Nella mia vita di prete e vescovo i giovani sono un riferimento fondamentale. A Roma ho avuto la gioia, l’onore (e tutte le preoccupazioni che ne conseguono) di organizzare la

Non voglio dire che don Bosco mi intimorisse, tutt’altro. Ma appunto, mi sembrava di dover passare un esame: da quel santo che dei giovani aveva fatto la sua stessa vita. Io la vedo così: per don Bosco non si è trattato di “condividere il destino” dei giovani, come un missionario si reca in un paese lontano per annunciare il Vangelo, e si adegua alle condizioni di vita di quella che diventerà la “sua” gente. Non si tratta, neppure, di sentirsi dentro una vocazione a insegnare, a educare. E neppure stiamo parlando di una “analisi sociologica” che fece comprendere a don Bosco come ai suoi tempi i giovani fossero la fascia sociale più debole e fragile, e dunque la più bisognosa di aiuto e intervento. No. Io ho sempre “capito” don Bosco in quest’altro

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A TUTTO CAMPO

modo: come uno che è “sempre stato giovane”, che ha vissuto la condizione giovanile dal di dentro, comprendendone le incertezze dell’animo. E nello stesso tempo, ovviamente, era un adulto, un prete, un educatore che maturò un’esperienza, un’autorevolezza (e un “metodo”) che i giovani comprendevano benissimo di primo acchito – e per questo correvano da lui.

Se don Bosco non fosse stato “giovane” come ho cercato di dire, non avrebbe potuto inventare dal nulla le situazioni educative che hanno portato agli Oratori, alle Scuole professionali, alle cappellanie nelle carceri… E, se non fosse stato sempre “giovane” non avrebbe potuto creare la collana di best seller più venduti dell’Ottocento, quelle Letture cattoliche che raccoglievano quanto di meglio proponeva la sapienza cristiana e la letteratura; erano destinate alle famiglie: ma dovevano servire a offrire strumenti culturali affinché i giovani potessero maturare in un certo contesto. E così via.   So bene che don Bosco non è tutto qui, che la mia ricostruzione è parziale, eccetera: ma che volete, questo è un saluto, un augurio e in parte una confessione. La confessione di un vescovo a cui è toccato di succedere ai vescovi di don Bosco, sulla stessa cattedra. Un vescovo che programmando insieme ai salesiani le celebrazioni dei duecento anni della nascita di don Bosco ha deciso, con l’assenso del Papa, di offrire ai tanti pellegrini e soprattutto ai giovani che verranno a Torino di poter contemplare e pregare davanti alla Sindone, come ha fatto a suo tempo don Bosco. Un motivo in più per sentirlo vicino e accoglierlo come testimone di quell’Amore piu’ grande di Colui che ci ha chiamato “amici” fino a dare la vita per noi. Un vescovo, infine, che ogni giorno ringrazia il Signore per il dono del santo e della sua famiglia religiosa, diffusa in tutto il mondo. Un vescovo che, sentendo di aver “superato l’esame”, è pieno di gioia ogni volta che può venire a Valdocco.

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A TUTTO CAMPO

Da duecento anni

Maria Ausiliatrice e don Bosco insieme sulle strade del mondo! SUOR YVONNE REUNGOAT MADRE GENERALE FMA

1815: un anno che nella memoria salesiana segna l’inizio… L’inizio della celebrazione nella Chiesa universale di Maria Aiuto dei Cristiani e l’inizio della vita di Giovanni Bosco. A quel tempo nessuno poteva pensare ad un cammino insieme che invece da allora ha segnato e segna la vita della Chiesa e la storia di quanti sono a servizio del mondo giovanile.   Sono passati duecento anni. È una ricorrenza da celebrare con grande gioia e riconoscenza: il bicentenario di un intervento a favore dei poveri, dei deboli di questa terra, soprattutto dei giovani. Una Maestra e il discepolo, la Madre e il figlio, presenti sulle strade di questo mondo, accanto a chi ha minori risorse e possibilità di riuscita.

IL PADRE OSSERVA I POVERI CON TENEREZZA

Le povertà vere di certe realtà umane sovente si tacciono, si nascondono, si mistificano, perché sono scomode, richiederebbero di uscire dall’indifferenza e dall’autoreferenzialità. Spesso l’urgenza si concentra sul problema e invoca soluzioni immediate. Eppure anche una quotidianità di vita può essere problema, più difficile perché più complesso, più sgradito, perché bisognoso di un’azione di sostegno capace di condivisione, di durata nel tempo, di ricerca di strade di soluzione variegate e adattate ad ogni singola persona. I poveri di ieri, di oggi, di sempre, però, sono tenaci. E continuano a mendicare attenzioni non fuggitive. La storia umana ha MAGGIO-GIUGNO 2015

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A TUTTO CAMPO

«MARIA NON PUÒ STAR FERMA. CHI HA SPERIMENTATO SULLA PROPRIA PERSONA NON DIMENTICA. CHI HA ACCETTATO DI ESSER MADRE PER TUTTI NON TACE, CHIEDE, INDICA».

conosciuto gente che ha ascoltato, che si è fermata. E Dio ha davanti quanti, durante l’esodo terreno, hanno voluto condividere senza porre condizioni. Il Padre li osserva, con tenerezza. Poi fissa un volto: quello di Maria. E sorride. LA MADRE È VICINA AL FIGLIO E GLI PARLA DI NOI, DI CHI È IN CAMMINO

Maria. Madre di Dio. Madre della Chiesa. In terra, solo una strada per inginocchiatoio. Strada che porta da parenti o da amici. Strada ove fermarsi per partorire. Strada per sfuggire alle violenze contro i nuovi nati. Strada per raggiungere Gesù tra i dottori del tempio. Strada per seguire con discrezione quel Figlio, che dialoga con tutti, che entra nelle case, che dona prodigi e misericordia. Ma che, appena si ferma un po’, non ha un tetto ove riposare. Strada che porta sotto una Croce... in un Cenacolo... nella Casa del Padre. E in questa Casa Maria non cessa d’agire. Si pone vicino al Figlio e Gli parla, perché sulle strade della terra c’è gente in viaggio, perché in queste strade altre persone sperimentano il rifiuto di un’accoglienza. Sperimentano l’emigrazione forzata, i barconi alla deriva sul mare, la stanchezza di chi non ce la fa più, l’angoscia di chi non ha risorse per continuare a vivere e mantenere la famiglia, l’umiliazione, il dolore fisico e morale, la solitudine dei bambini senza più genitori, la morte di persone care, il dubbio, la mancanza di un per8

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ché o di un per chi continuare a vivere e lottare. Perché è su “queste” strade che qualcuno si ferma. O lascia il sentiero. O mette un piede in fallo e precipita O è innalzato su una croce.   Maria non può star ferma. Chi ha sperimentato sulla propria persona non dimentica. Chi ha accettato di esser Madre per tutti non tace, chiede, indica. Addirittura torna in strada. Con quello sguardo che è un asciugar di fronte. Ecco: l’Ausiliatrice. Maria, come il Figlio, si pone accanto. E chiede di unirsi a Lei, di farle da tramite, di darle mani, piedi, voce per raggiungere quanti oggi non hanno pane, casa, sicurezza, amore, quelli a cui anche oggi “manca il vino”. MARIA ACCOMPAGNA DON BOSCO E LO GUIDA

Nel Piemonte dell’Ottocento si propone come compagna di viaggio a Giovannino Bosco, un bambino di 9 anni, orfano e povero. Diventa la sua Maestra, gli indica i passi da compiere, gli fa da guida verso Valdocco e da Valdocco verso il mondo intero.   Insieme ascoltano le grida dei giovani. E le percepiscono anche in quelle situazioni in cui la povertà è “dentro” la persona. Povertà che disperde energie, che rende incapaci di costruire un progetto di vita. Povertà dai mille volti, spesso camuffata di consumismo, di sforzi per “apparire”, per essere ritenuti “furbi”, “vincenti”, povertà messa a tacere con la droga, la prepotenza, la “vita spericolata”.


TANTI IMPARANO A “PRENDERE PER MANO” I FRATELLI PROPRIO DA MARIA E DON BOSCO

E con Lei, con Lui, una folla di uomini e di donne, di persone che credono nella forza dell’educazione, che vogliono essere la presenza dell’Ausiliatrice oggi, perché nel volto, anche il più sfigurato, riconoscono quello di Cristo. Sarà il volto di Gesù a Betlemme, neonato da proteggere e curare; al Tempio, adolescente alla scoperta della propria vocazione; sulle strade della Palestina, profeta del Padre, annunciatore di conversione e di salvezza; nel Getse-

mani e sulla Croce, sanguinante e privo anche dell’aspetto umano… Sarà quello stesso volto che è offerto dalla Sindone, ma che si può ritrovare in ogni “povero cristo” su questa terra.   Il loro aiuto è lo stesso di quello dell’Ausiliatrice: un prendere per mano e accompagnare all’interno di tutta la condizione umana, perché la vita di ciascuno possa sbocciare in pienezza, esprimersi in tutte le sue forme, aprirsi a diventare “aiuto” per chi è ancora più piccolo, povero, solo, disperato….   In “questa” condizione Maria non ci lascia soli. Ci dona forza, coraggio, speranza, gioia! Lei è ‘presente’ per aiutarci a restare lungo i sentieri del progetto di Dio, per affrontare le ore della prova facendo in modo che nessuna storia umana vada dispersa, sprecata, vanificata, accantonata, incompiuta, ma tutto venga ricondotto a un offertorio da unire al Sacrificio del Figlio!

Libreria Elledici

La Sindone e don Bosco Enrico Bassignana, Norma Carpignano- Elledici, 2015 pagine 160, euro 9,00

Torino – Valdocco

Separati, ma sempre genitori Alessandro Ricci - Elledici, 2015 pagine 104, euro 8,00

acquistabile presso queste librerie

A TUTTO CAMPO

Giovanni Bosco, don Giovanni Bosco, san Giovanni Bosco è lì con Lei. Non è uno di quelli che guardano, commiserano o giudicano e condannano, ma poi si voltano dall’altra parte e vanno via, “dimenticano”, come se quelle povertà non interpellassero anche loro, come se non avessero visto e udito.

Don Bosco ragazzo come te Claudio Russo - Elledici, 2015 pagine 48, euro 4,90

LIBRERIA BELL’ANIMA LIBRERIA DON BOSCO Largo IV Marzo 17/b 10122 TORINO Tel. 011/19484565 libreriabellanima@libero.it

Via Maria Ausiliatrice 10/A TORINO 10152 Tel. 011 52 16 159 torino@elledici.org MAGGIO-GIUGNO 2015

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LA PAROLA

La Parola, l’obbedienza, la guida Damasco, antica città, posta all’incrocio di importanti vie carovaniere. Per quelle stesse vie, il Signore incontra un suo persecutore: gli dona la Parola, gli chiede obbedienza, lo affida ad una guida. La vita di Paolo è rinnovata.  San Paolo, ebreo per nascita e romano per cittadinanza; formato secondo la più rigida tradizione religiosa di Israele e profondamente versato nella cultura greca. Ciò che però segna in maniera radicale la sua esistenza è il divenire cristiano mediante una conversione forte ed il soccorso della comunità cristiana. Per comprendere la portata dell’evento di Damasco, mettiamoci in ascolto di una testimonianza di Paolo che nella Lettera ai Galati così scrive: «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali» (1,13-14). È sorprendente: l’Apostolo squaderna ai suoi lettori la propria vita, non si vergogna del suo passato da persecutore, ma ne dice perché agli occhi di tutti sia evidente la potenza della misericordia e della grazia divina. Nelle numerose lettere scritte alle chiese che aveva fondato, non vi è neppure un accenno diretto a ciò che avvenne nel giorno in cui, lasciata Gerusalemme, egli si stava avvicinando a Damasco, meta di un viaggio che avrebbe dovuto segnare il suo trionfo come oppressore di 10

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quanti seguivano la via tracciata da Cristo risorto. LA PAROLA

È San Luca a dedicare molto spazio alla vicenda, scrivendola – per fini diversi – per ben tre volte negli Atti degli Apostoli. Il primo di questi racconti (At 9, 1-18) è il più sviluppato. Prima di arrivare a destinazione, Paolo viene incrociato dal Cristo Gesù. L’incontro è narrato come lo sfolgorio di una «luce dal cielo» che lo abbaglia. La luce è frequentemente nelle Scritture Sante un elemento che evoca la presenza di Dio: di fatto Paolo cade, perché nessuno può reggersi davanti alla presenza del Signore. Dopo la luce, la Parola: si innesca un dialogo in cui Paolo chiede chi sia a chiamarlo. Costui risponde e, prima, si identifica coi perseguitati, poi gli svela il suo nome: «Io sono Gesù che tu perseguiti», infine ingiunge un ordine. Paolo è cieco a causa della sfolgorante luce che lo colpisce. Fino a quel momento egli aveva creduto di vedere la verità della vita: ora invece intuisce che non era quella la verità. Era partito con un piano perfetto che in un attimo si è sgretolato: non sa più cosa sarà di lui, né cosa dovrà fare.


LA PAROLA

L’OBBEDIENZA E LA GUIDA

In quel buio esteriore ed interiore viene lasciato per tre giorni, testimoni convincenti di uno sconvolgimento totale della vita. Paolo però obbedisce. Il Risorto gli si è presentato, nella Parola gli ha chiesto obbedienza e lui – uomo dallo spirito profondamente religioso – gli si dice disponibile; pur non capendo gli si affida con un atto di umiltà esemplare.   Ad un altro atto di obbedienza è intanto chiamato anche Anania, forse il responsabile della comunità cristiana di Damasco. Costui accetta, non senza una iniziale riluttanza, di ospitare Paolo nella sua casa, di accogliere come «fratello» il noto persecutore, di battezzarlo e di istruirlo. È incredibile: Paolo non sa cosa sarà della sua vita, lo sa però Anania, cui il Signore rivela ogni cosa. Il Signore affida Paolo ad una comunità e ad una guida spirituale autorevole perché la Parola con cui egli lo ha incontrato diventi vissuto, concretezza. Paolo ha obbedito, torna a vedere, è battezzato. Decisivo nel tratto più significativo della sua storia personale è stato l’intervento del Signore; secondario, ma necessario il contributo di Anania. Paolo, come ciascuno di noi, ha bisogno di una guida e di una comunità credente attraverso cui la Parola seminata da Cristo venga compresa e porti frutto: per lui furono Anania ed i discepoli di Damasco; per noi le persone e le nostre comunità. Come altrimenti potremmo accogliere il Signore ed essergli veramente obbedienti per avere in noi la sua vita nuova? MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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MARIA

Maria ed il celibato di Gesù

UNA VIRTÙ PER NULLA APPREZZATA...

Maria non deve solo sopportare tutte le malevoli insinuazioni sul suo “misterioso” concepimento verginale, ma anche deve confrontarsi con i sarcasmi legati al fatto dell’inspiegabile scelta celibataria fatta da suo figlio: «Un celibe non è un uomo nel pieno senso della parola» taglia corto il Talmud. La mentalità ebrea è così lontana dal fatto che uno non si sposi da non contemplare, anche nel linguaggio della Scrittura, i termini “celibe” e “nubile”. Anche i rabbini, che pure si dedicano completamente allo studio ed all’insegnamento della Bibbia, sono obbligati a prendere moglie. In tutta la storia di Israele si ha notizia di uno solo, rabbi Ben Azzai vissuto nel secondo secolo, che si è sottratto al dolce fascino muliebre. Naturalmente questa sua decisione viene da tutti aspramente biasimata perché «un rabbino non sposato non è nemmeno immaginabile» sentenzia lapidario, come al solito, il Talmud. Il matrimonio è così importante che 12

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uno viene addirittura autorizzato a vendere un rotolo della Thorah, cosa altrimenti considerata sacrilega e degna di morte, per mettere insieme i soldi necessari per la dote che permetta di prendere moglie. Il non sposarsi ed il non avere figli, dalla gente, vengono equiparati all’uccisione di una persona, alla cancellazione stessa dell’immagine di Dio che espressamente comanda: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,28). L’uomo che vive senza donna vive senza Dio, è la convinzione di tutti. I rabbini nelle sinagoghe citano, come modello da seguire, Gedeone che è padre di ben settanta figli avuti da molte mogli (Gdc 8,30-31). I DUBBI DI MARIA…

Maria è ben conscia di tutto questo. Suo figlio ha ormai raggiunto i trent’anni e non dimostra, stranamente, il minimo interesse per la vita matrimoniale. Perché questo? Da madre discreta rispetta la sua decisione, ma il suo cuore è lacerato dal dubbio. Perché suo figlio, così zelante nel


MARIA

vivere ed osservare la Thorah, si sottrae ai desideri di Jahweh a riguardo del matrimonio? Con prudenza cerca di indagare sulle vere intenzioni del figlio. Ben presto prende atto dell’atteggiamento irremovibile di Gesù. È inutile ricordargli le due mogli ed i due figli di Mosè (Es 2 ,21-22; 18,4; Nm 12,1). Abramo, oltre a Sara, ha come mogli Agar e Ketura (Gen 11,29; 16,3-4; 25,1) che, sommate, lo rendono padre di 8 figli. Di consorti il patriarca Giacobbe ne ha quattro. Il santo re Davide, da cui discende per via dinastica, ne ha una decina, accompagnate da svariate concubine, che lo rendono padre di una ventina di figli maschi e di svariate figlie (1 Cr 3,9; 2 Sam 3,2ss; 11,2ss). E che dire del saggio Salomone che ha la bellezza di settecento mogli e trecento concubine che gli generano figli e figlie in abbondanza (1 Re 11,3)? Perché un atteggiamento così refrattario ed irremovibile, sordo a qualsiasi motivazione e ragionamento? …E LA DETERMINAZIONE DI GESÙ

Gesù conosce benissimo l’insegnamento impartito dal rabbino della piccola sinagoga di Nazareth da lui assiduamente frequentata. Più volte l’ha sentito tuonare che il matrimonio è un obbligo a cui nessuno può sottrarsi perché «l’uomo è obbligato alla riproduzione». Solo quegli abominevoli eretici di Esseni praticano il celibato. Che il figlio di Maria sia per caso uno di loro? Nella mentalità del tempo chi non ha figli è un disonorato, un vile da disprezzare. Viene evitato da tutti. È uno zombie, un dead man walking, un morto vivente. Il termine ebraico per matrimonio è “qiddushin” che significa santificazione. Nella lista delle virtù necessarie alla santità la verginità non è contemplata. Dio vigila perché ogni ebreo si sposi entro il diciottesimo anno, al massimo entro il ventesimo, dopo si scoccia e chi si sottrae all’obbligo lo maledice per sempre. Questo gela il cuore di Maria. Suo figlio ha

superato di gran lungo quel limite. Che sia maledetto? A meno che sfugga alla maledizione divina perché portatore di difetti fisici che lo inabilitano alla procreazione? Maria è una madre sensibile, presente ed attenta. Le rare volte che si allontana da casa, passando per i vicoli del suo villaggio, coglie, come autentiche stilettate, i sorrisini, gli ammiccamenti, le battutine, le domande stillanti veleno che, direttamente o indirettamente le vengono rivolte. Ne soffre da morire. I dialoghi con suo figlio non portano a nulla. Gesù stesso ne soffre. Solo durante la sua vita pubblica tenterà di giustificare la sua scelta: «C’è chi nasce evirato e chi si evira per il Regno di Dio» (Mt 19,12). Ma nessuno lo può comprendere. Anche Maria deve ancora maturare la sua fede al riguardo. Anche per questo Gesù decide di allontanarsi scendendo verso Cafarnao e lasciandosi dietro le spalle il suo villaggio, la madre, gli amici, i parenti, il suo lavoro, il suo presente. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

JOHN P. MEIER, EMINENTE ESEGETA AMERICANO SCRIVE CHE GESÙ «INTERPRETÒ IL SUO CELIBATO COME CONSEGUENZA DI UNA MISSIONE PROFETICA TOTALIZZANTE NEI CONFRONTI DI ISRAELE».

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MARIA

Madre, oltre le sbarre La vicenda di Giulia, una mamma che scopre che il figlio Franco, studente modello, ha il vizio del gioco e per ripianare i debiti finisce in un giro di illegalità. Il carcere cambia la vita di una famiglia apparentemente serena ma Giulia ritrova nella fede e nella figura di Maria la forza per guardare in alto.  Ho conosciuto la signora Giulia a casa di amici. Mi è apparsa subito una persona accogliente, affabile, gentile e serena: con lei ho subito chiacchierato piacevolmente. Solo in seguito sono venuta a conoscenza del dramma che questa donna aveva vissuto e che continuava a vivere: suo figlio, il primogenito era stato in carcere per parecchio tempo, con un’accusa pesante ed ora era in libertà vigilata.   La famiglia di Giulia vista da fuori era sempre apparsa esemplare: genitori uniti, figli studiosi ed una situazione economica agiata, tutti i presupposti per una vita serena.   Ma Franco, il figlio maggiore, universitario dall’intelligenza brillante, senza che nessuno dei familiari se ne fosse reso conto, divenne preda della ludopatia.   È una china che si intraprende lentamente, se ne diventa vittime in modo inconsapevole, poi se ne è travolti insieme alle persone che ci stanno accanto. NON PUÒ ESSERE MIO FIGLIO

Quando all’alba di una piovosa giornata invernale la Polizia 14

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suonò alla porta di casa, Giulia passò dallo stupore, all’incredulità, alla disperazione, come in un film dell’orrore. Non poteva essere vero, era sicuramente uno sbaglio: non lui, non Franco, non il suo bel figliolo dai capelli ricci che gli davano ancora un’aria da bambino!   Non c’erano errori, o scambi di persona… la verità dura e dolorosa era una sola: Franco per cercare di fare fronte ai debiti di gioco era entrato in un giro


MARIA

malavitoso che lo aveva portato a commettere molti reati ed ora doveva pagare il suo conto alla Giustizia.   Cosa può provare una madre scoprendo una parte del figlio che non conosce, una parte malata e inaspettata? Giulia fin da subito realizzò che quella colpevole era davvero “solo una parte” di lui.   Franco era anche altro: un figlio affettuoso, studioso, buono e per questi aspetti lei non lo avrebbe mai abbandonato. LA FEDE COME UN’ÀNCORA

Tutto questo coraggio e questa forza avevano radici molto profonde che affondavano nel terreno fertile di una fede solidissima, un vero dono divino che Giulia aveva saputo coltivare nel tempo.

Il modello della Vergine Maria era stato sempre presente nella sua vita, nelle sue scelte quotidiane ed ora più che mai l’avrebbe seguito per percorrere una strada che mai avrebbe pensato di intraprendere.   Se si sceglie di essere madri lo si sceglie per sempre, anche quando i figli ci sembrano diventare estranei, quando si allontanano da noi, quando fanno scelte che non condividiamo: una madre deve far sentire comunque che c’è e che ci sarà.   Giulia era certa che anche la Madonna si fosse sentita a volte estranea alla vita e alle scelte di suo figlio, poiché la sua umanità non le permetteva di capire sempre fino in fondo la parte divina di Gesù, ma gli fu accanto, dalla culla alla croce, nella grotta di Betlemme e in una Gerusalemme inneggiante prima e poi traditrice.

IL MODELLO DI MARIA ERA STATA SEMPRE PRESENTE NELLE SUE SCELTE QUOTIDIANE ED ORA PIÙ CHE MAI L’AVREBBE SEGUITO PER PERCORRERE UNA STRADA CHE MAI AVREBBE PENSATO DI INTRAPRENDERE.

MARIA AL MIO FIANCO

Così Giulia, senza lamentarsi, ma con una pena infinita nel cuore, portò il suo amore materno oltre le sbarre della dura realtà carceraria che stava vivendo suo figlio, un amore che non voleva giustificare o scusare le colpe di Franco, ma che le accettava, senza la presunzione di perdonarle: quello era un compito divino. La cosa più pesante, mentre ritornava a casa, era il pensare che lei era fuori e lui invece restava “dentro”.   Sono stati e sono ancora anni molto difficili per Giulia: non è facile per una madre buttarsi alle spalle la detenzione di un

figlio, anche dopo che si è usciti dal carcere. Inevitabilmente la realtà cambia, famigliari ed amici non sono più come prima. Ma Giulia non è sola: Maria è ancora al suo fianco e le permette di guardare in alto, oltre le sbarre. FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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FAMIGLIA

Fecondazione artificiale: è anche “affare tuo” L’importanza delle varie fasi della vita prenatale è supportata da centinaia di studi scientifici internazionali  «Ho donato i miei ovuli, ma non l’ho fatto per soldi» (La Stampa, 11 marzo). «Utero in prestito al figlio gay: è mamma e nonna» (Avvenire, 10 marzo). «Mio marito è deceduto, ma dopo 19 anni i nostri embrioni congelati faranno nascere mio figlio» (La Stampa, 11 febbraio). «Figli senza unioni uomo-donna. La scienza e il dilemma del futuro» (Il Corriere della Sera, 24 gennaio). Titoli come questi sono ormai all’ordine del giorno perché quotidiani sono gli interventi volti a manipolare 16

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uno dei primari processi biologici della specie umana: la funzione riproduttiva. C’è chi fa rientrare tutto nella normalità del progresso scientifico-tecnologico e chi invece – come le principali confessioni religiose – grida alla deriva etico-morale. A ben vedere non è tutto integralismo religioso “quello che luccica”. La difesa dell’embrione e del feto umano fin dal concepimento, portata avanti tipicamente dai cattolici, non è – come spesso si sente dire – ideologia fine a se stessa, paletto invalicabile e dogmatico. L’importanza delle varie fasi della vita prenatale è infatti supportata da centinaia di studi scientifici internazionali, che finalmente un gruppo di ricerca del Centro cattolico di Bioetica di Torino ha riunito in unico documento divulgativo, disponibile on line. La sintesi, frutto del lavoro congiunto di esperti in anatomia, ginecologia, psichiatria, pediatria, bioetica, giurisprudenza e teologia, è stata illustrata al pubblico il 3 febbraio 2015.


Indagini condotte in laboratori di tutto il mondo dimostrano che la gestazione è il «momento in cui si imposta la predisposizione alla salute e alle varie malattie». In pratica, hanno spiegato Giorgio Palestro, già preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia a Torino e presidente del Centro Cattolico di Bioetica, e Clementina Peris, medico ginecologo, in questa fase «l’embrione e il feto procedono a programmare il loro futuro, avvertendo e adeguandosi all’ambiente a loro disposizione (la madre così come un “terreno di coltura”), in quel preciso momento di sviluppo, cercando di mettere in correlazione adattativa la domanda (di crescita) con l’offerta (eventualmente carente), con il fine ultimo di sopravvivere nell’immediato e nel futuro.   In particolare la condizione fisica della madre, ha proseguito Giovanni Battista Ferrero, pediatria genetista e docente all’Università di Torino, «determina in modo incontrovertibile la salute del nascituro». Di qui la necessità di promuovere la “salute procreativa” anche prima del concepimento. STIAMO ABUSANDO DELLA TECNICA?

E cosa accade allora ai generati sui “terreni di coltura” delle tecniche di fecondazione artificiale (PMA)? La risposta potrebbe venire dallo studio dello stato di salute dei nati con PMA (Procreazione Medicalmente Assistita), ma in Italia l’accesso ai loro dati è vietato dalla legge sulla privacy.   Numerose anche le ricerche che dimostrano come «il contesto del concepimento segni lo sviluppo psico-affettivo del bambino». Tra l’altro è ormai noto, ha spiegato Elena Vergani, medico psichiatra, «che le conoscenze sulla propria origine (sapere chi si è e da dove si viene) partecipano alla costruzione del sentimento di identità della persona».

FAMIGLIA

NELLA PANCIA DELLA MAMMA È GIÀ SCRITTO IL FUTURO

IL “DIRITTO AL FIGLIO” PRIMA DI TUTTO

Eppure, ha ricordato Palestro, «a fronte dei notevolissimi progressi nella conoscenza scientifica della realtà e dei bisogni dell’essere umano nella fase prenatale fin dal concepimento, il percorso legislativo sembra orientarsi generalmente in direzione opposta al riconoscimento giuridico dei dati di conoscenza.   Su questi temi, ha aggiunto Mariella Lombardi Ricci, docente di bioetica, i mass media hanno un atteggiamento ondivago e passano in continuo da una concezione di feto come oggetto/materiale biologico a quella opposta di feto come persona in divenire. TRA EMANCIPAZIONE E FINI UMANITARI

«Dobbiamo chiederci», ha concluso Palestro, «che cosa significhi legittimare tutta una serie di azioni che sono essenzialmente indirizzate all’uso strumentale dell’embrione e che vanno dalla sua fecondazione in laboratorio al suo utilizzo per ottenere diversi obiettivi definiti “umanitari”, con un’etichetta che oggi appare espressione di una nuova ed emancipata cultura».   È evidente che tale questione non può essere ridotta a bandiera di una parte politica o dogma di fede, ma è un dilemma profondamente antropologico che ci coinvolge tutti. LARA REALE redazione.rivista@ausiliatrice.net

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CHIESA E DINTORNI

Anche i santi hanno pregi e difetti Don Bosco non è nato santo. Lo è diventato giorno per giorno amando i giovani e affidando i propri sogni alla Provvidenza.

Ancora pochi mesi e il 16 agosto, in Paradiso, duecento candeline scintilleranno sulla torta di compleanno di don Bosco. Non di rado, in occasione di ricorrenze che riguardano i santi, giornali e tv sembrano fare a gara per dipingerne il ritratto più «edificante». Paiono non ricordare che – prima di salire all’onore degli altari – sono stati uomini e donne con pregi e difetti. Anche don Bosco non è nato santo ma lo è diventato giorno dopo giorno, amando i giovani e affidando se stesso e i propri sogni alla Provvidenza. 18

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TESTARDO, TEMERARIO E SEMPRE ALL’OPERA

Scorrendo le biografie e gli scritti dei suoi contemporanei, si scopre che a don Bosco vengono “rimproverati” almeno tre difetti: testardaggine, temerarietà e tendenza all’iperattività (anche se, all’epoca, tale termine non era ancora stato coniato). Quando si appassiona a un progetto non c’è modo di fargli cambiare idea: è pronto a bussare a tutte le porte e a sfidare ogni avversità per realizzare ciò che gli dettano la mente e il cuore. E non di rado si trat-


Sa che per la Bibbia essere “servo” non è un’umiliazione ma un onore, dal momento che chi «serve» collabora a rendere il mondo un posto migliore. E allora s’ingegna per accoglierli e offrire loro un tetto e un po’ di pane, per proporre loro occasioni di studio o di lavoro e per farli diventare buoni cristiani e onesti cittadini.   Per aggiungere profondità al suo desiderio di essere semplice e utile, don Bosco, aiuta i ragazzi a scoprire la propria “vocazione”, a far luce dentro se stessi per comprendere come sfruttare al meglio i talenti e realizzare i desideri più autentici che covano nel cuore. E conia per loro una “formula” della santità alla portata di tutti, che consiste «nello stare sempre allegri e nel fare il proprio dovere». Una “formula” che, a circa duecento anni di distanza, si rivela quanto mai attuale.

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ta di progetti che sfiorano l’imprudenza. Come quando, in un periodo in cui – fuori e dentro la Chiesa – le donne sono decisamente poco valorizzate, decide di dar vita all’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. O come quando si propone di sfidare a viso aperto i disegni liberali e massonici del Risorgimento e le idee protestanti su questioni legate alla dottrina della fede in un momento in cui la strada dell’ecumenismo tracciata dal Concilio Vaticano II non è neppure un abbozzo di sentiero. Propositi che gli costano minacce, aggressioni, percosse e, addirittura, alcuni colpi di pistola.   Per quanto s’impegni nell’accoglienza e nell’educazione dei giovani – inoltre – don Bosco pensa sempre di non aver fatto abbastanza. Confida spesso, a chi lo circonda: «Siamo condannati a vedere del bene da fare e a non poterlo fare». E raccomanda: «Non rimandate mai a domani il bene che potete fare oggi, perché forse domani non ne avrete più il tempo». Persino sul letto di morte, malato e stremato dopo un’esistenza spesa al servizio degli altri, sospira: «Se avessi avuto un po’ più di fede, quante cose avrei potuto fare».

EZIO RISATTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

SEMPLICE, UTILE E PROFONDO

Tra i suoi pregi, tre spiccano netti: semplicità, desiderio di rendersi utile e profondità.   La prima si manifesta, per esempio, nel modo in cui don Bosco avvicina i ragazzi. Giovane prete, una domenica intravede alcuni giovani che dormicchiano durante la predica e domanda loro perché non siano attenti. «Perché il sacerdote non sta parlando a noi», rispondono. Capisce così che per entrare in contatto con chi non sa leggere e scrivere è necessario semplificare parole e concetti. E orienta tutta la propria vita alla ricerca della semplicità, a cominciare dal modo schietto e sincero di porgersi agli altri.   Don Bosco, poi, «investe» ogni talento ed energia per tendere una mano alle centinaia di giovani che abbandonano le campagne per tentare la sorte a Torino.

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CHIESA E DINTORNI

Al fianco di Gesù ad ogni costo A tu per tu con Sherif Azer, cristiano copto egiziano che non esita a “mettere in gioco” la propria vita per testimoniare il Vangelo.

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«Sono consapevole che espormi in prima persona con questa intervista può mettermi a rischio di ritorsioni, ma se rifiutassi tradirei la mia fede in Gesù e il mio essere cristiano, la parte di me più autentica e profonda». Non lasciano spazio a repliche né a dubbi le parole di Sherif Azer al termine dell’intervista sulla propria testimonianza di fede tra i mussulmani che vivono nella zona di Porta Palazzo, uno dei quartieri più islamizzati d’Italia. Imprenditore edile, nato cinquantacinque anni fa in Egitto, da più di trent’anni risiede a Torino. Cittadino italiano a tutti gli effetti, è sposato e padre di quattro figlie.

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DIO HA ORRORE DI OGNI VIOLENZA E DI OGNI GUERRA

Come è nata e si è radicata la sua fede?   «La mia famiglia, a cominciare da mia mamma, che si è convertita al Cristianesimo mentre lavorava in Egitto in un istituto di suore, ha abbracciato la fede cristiana. Quando ero piccolo non mi rendevo conto delle forme di razzismo più o meno strisciante messe in atto dai mussulmani, ma crescendo ho visto persone relegate ai margini dalla vita sociale, penalizzate nella carriera e a volte private della vita per il solo fatto di credere in Gesù. Il giorno di Capo-


CHE COSA HA SCOPERTO?

«Che la maggior parte dei mussulmani sono persone semplici e poco colte, non hanno letto il Corano e si trovano spesso in balia di imam che utilizzano l’Islam per perseguire fini che nulla hanno a che spartire con la religione. Per alcuni di loro la democrazia in vigore nei paesi occidentali non rappresenta un’opportunità d’integrazione e di convivenza pacifica ma un’arma per combattere una crociata nel nome di Allah. Ma se Dio è Amore – perché Dio è Amore – non può essere Lui a volere la guerra, ma uomini meschini che “marchiano” i propri fini con il Suo nome. Simili a un tarlo nel legno, s’insinuano nella società puntando a sgretolarla e a conquistare il mondo». E COME HA REAGITO?

«Ho continuato e continuo a nutrire profondo rispetto per ogni essere umano, qualunque sia la sua storia, il suo credo e la sua provenienza, ma ho deciso di denunciare il disegno perverso che queste persone intendono mettere in atto attraverso la manipolazione dei poveri e il terrorismo». TESTIMONE DI UN AMORE CHE ILLUMINA LA VITA

Come si concretizza la sua testimonianza?   «Con semplicità. Quando esco di casa e vado in giro per il quartiere di Porta Palazzo non ho problemi a

indossare e a mostrare il crocifisso. Non passa settimana che qualche mussulmano mi avvicini per esortarmi a toglierlo, e io colgo l’occasione per parlargli della sua religione e della mia, del perché non posso credere in altri che in Gesù, che con la sua testimonianza d’amore ha illuminato di senso la mia vita. E accade, a volte, che qualcuno s’interessi e cominci un cammino di conversione». NON DEVE ESSERE FACILE…

«A volte ho anche rischiato. Nel luglio di due anni fa, per esempio, una decina di ragazzi mussulmani mi ha aggredito con catene, calci e pugni perché ho risposto loro che non intendevo osservare il Ramadan e mi sono rifiutato di glorificare davanti a loro il profeta Maometto. Il Vangelo mi ha reso un uomo libero: possono farmi quello che vogliono, io con Gesù so di essere al sicuro».   Che cosa spinge sempre più mussulmani ad abbracciare il Cristianesimo?   «La sensazione di rinascere, di vedere finalmente la vita passare dalle tenebre alla luce, di trovare un fondamento semplice e inequivocabile su cui basare l’intera esistenza: crescere nell’amore verso Dio attraverso l’amore per i fratelli».

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danno del 2011, dopo l’esplosione di un’autobomba e il massacro di ventuno cristiani davanti alla chiesa copta di Al-Qiddissine, ad Alessandria d’Egitto, ho deciso di studiare seriamente il Corano per cercare di comprendere come un libro religioso possa ispirare tante barbarie».

«CHI FA IL MALE, ODIA LA LUCE. CHI FA IL MALE, ODIA LA PACE». PAPA FRANCESCO, ANGELUS, 4/1/2015

CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Ho scoperto che «la maggior parte dei mussulmani sono persone semplici e si trovano spesso in balia di imam che utilizzano l’Islam per perseguire fini che nulla hanno a che spartire con la religione». MAGGIO-GIUGNO 2015

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Il Diavolo e l’Acqua Santa. “Il Principe dei Miracoli” Dialogo sulla preghiera. - Av...Mr.. Av.. Mr.. - Ummm - Scusi? - No. Mi scusi lei... ho notato che stava parlando da sola. - Eh? Oh, no. Non stavo parlando. - Ehm. Ma... non è affar mio, ma bofonchiava. Comunque mi scuso ancora. - No, ci mancherebbe anzi. Ma è come le dicevo: non parlavo. Stavo pregando. - Qui, sul tram? Pregare? - La sorprende? - Ah. Io non prego, perché è un parlare da soli alla fine. E sul tram ti fa sembrare matto, motivo per cui se mi sono permesso di attirare la sua attenzione... tutti la deridevano... - Oh. L’opinione della gente... riderebbero di più se sapessero che sto pregando. Come lei... sotto sotto. - Guardi che non lo nascondo proprio. Le ho appena detto: io non prego. Non ho bisogno di credere che ci sia un Superman Onnipotente che dopo i miei pianti si gira dall’altra parte a meno che mi abbia mai ascoltato per gridare il mio odio o amore alla vita. - Accidenti. E’ un venditore di cinismo a domicilio lei? Ops. Mi scusi davvero, sono stata superficiale e arrogante. - Non servono le scuse. Sono solo un tipo... pratico... che mestiere fa? - Uhm... insegnante... - Di religione? - Oh, no... – ride – una vecchia materia che a scuola non insegnano più. E lei?

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- Credo di non aver afferrato... – si ritrae – comunque io faccio il venditore... - Di ateismo? – Ride di nuovo. - Oh, no... – si aggiunge – anche io mi occupo di cose che quasi nessuno si mette a cercare. - ... - Quindi lei prega... a cosa le serve? - Mi fa star bene, a cosa dovrebbe servire? - Chessò, a chiedere un miracolo.


Don Bosco Luca Desserafino il pozzo di giacobbe, 2015 pagine 80, euro 6,90

Luca Desserafino

Don Bosco l’argomento. Non si dovrebbe banalizzare la malattia della gente. - Guai a me farlo, mi creda. Era un esempio forte ma efficace. - E cosa sarebbe questo principe dei miracoli? - Vivere nel bene ricordando che così sempre saremo sul cammino della Provvidenza Divina. - Ah. Che risposta da catechista parrocchiale. Sicura che lei non è un insegnante di religione? Sorride. - Certo. Lasci che le spieghi...

Don Bosco risponde. Intervista in Paradiso Diego Goso Effatà Editrice, 2015 pagine 80, euro 6,00

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Quattro chiacchiere con Dio. Lo sapevate che Dio si fuma dei sigari grossi così? Diego Goso San Paolo Edizioni, 2013 pagine 118, euro 10,00 Disponibile in eBook a euro 4,99

DIEGO GOSO dondiegogoso@icloud.com

(continua)

Il Vangelo secondo... I Simpson. Dalla birra... alla Bibbia Diego Goso Effatà Editrice, 2010 pagine 96, euro 7,50 Disponibile in eBook a euro 2,99

- Ah, mi basta il principe dei miracoli per quello, non ho bisogno di altro. - Il principe dei miracoli? - Sì, la sola grande vera cosa che bisogna chiedere nella preghiera. E ottenerla a volte per qualcuno è più difficile che guarire da un tumore... - Attenta signora che io non vedo di buon occhio

Il Vangelo secondo... Steve Jobs. Dalla mela di Adamo a quella dell’Iphone Diego Goso Effatà Editrice, 2011 pagine 80, euro 8,00 Disponibile in eBook a euro 2,99

In vacanza con il diavolo. Giro turistico fra i vizi capitali con camera vista inferno... Diego Goso San Paolo Edizioni, 2014 pagine 128, euro 10,00 Disponibile in eBook a euro 4,99 MAGGIO-GIUGNO 2015

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L’amore più grande

S. Carlo Borromeo (15381584), vescovo di Milano. Di famiglia nobile e ricca, dopo alcuni anni a Roma (era nipote di Pio IV) diventò vescovo di Milano: fu un pastore instancabile e organizzatore intelligente della sua diocesi. Era devoto della Sacra Sindone, che, anche grazie a lui, è ancora a Torino.

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2015: anno speciale per Torino: è Capitale Europea dello Sport; il suo gioiello artistico, il Museo Egizio, rivive un rilancio dopo gli ampliamenti; è l’Anno in cui la Famiglia Salesiana, celebra il Bicentenario della nascita di don Bosco. Ed infine l’Ostensione della Sindone e, con essa, la visita di papa Francesco.   Dato l’importante evento vi propongo un santo, Carlo Borromeo, molto devoto della Sindone. Anzi fu questa sua devozione a propiziare il trasferimento da Chambery a Torino. Il duca Emanuele Filiberto di Savoia ne aveva fatto la capitale del ducato (nel 1563) e pochi anni dopo, nel 1578, vi trasferì anche la preziosa reliquia, di sua proprietà. Perché? Il vescovo di Milano voleva sciogliere un voto, fatto durante la peste del 1576, e voleva recarsi a Chambery proprio per questo. Fu il duca, tanto premuroso verso il vescovo quanto politicamente scaltro, a offrire di trasferire la Sindone nella città, ormai la sua capitale, per rendere più agevole il pellegrinaggio di Carlo (senza attraversare le Alpi!). E fu così: il vescovo arrivò a piedi da Milano a Torino, dopo cinque giorni di cammino. E da quell’anno Torino diventò la città della Sindone. Mandò in seguito anche il suo architetto, Pellegrino Tibaldi, per consigliare il duca sul modo migliore di conservarla. Questi suggerì di fare una cappella all’interno del Duomo stesso (realizzata poi da Guarino Guarini) per sottolineare la centralità della Sindone per Torino. CARLO… IN CARRIERA A ROMA

Carlo nacque nel 1538 ad Arona sul Lago Maggiore da genitori, nobili e ricchi, profondamente religiosi e generosi. Il loro influsso rimarrà fondamentale nella sua educazione.   A 12 anni un gesto clamoroso: fu nominato commendatario di un’abbazia con


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un rendita di 2000 scudi. Una buona cifra, che il ragazzo, disse al padre, aveva “deciso” di dare ai poveri.   Studiò a Milano e a Pavia. Nel 1559 diventò dottore in utroque jure (in diritto civile ed eclesiastico), e poco tempo dopo fu chiamato, insieme al fratello Federico, a Roma, dallo zio papa Pio IV. Questi, riversò sui due nipoti cariche, onori, titoli e relativi grandi privilegi economici. Carlo fu anche nominato, a 22 anni, capitano generale della chiesa, creato cardinale ed eletto vescovo di Milano, con l’obbligo però di rimanere a Roma. Pio IV che lo stimava molto lo voleva vicino.   Ed ecco la svolta: la morte improvvisa del fratello Federico. La interpretò come un segno di Dio per riformare la propria vita in senso più evangelico. Così cambiò radicalmente: addio ai festosi ricevimenti, addio ai divertimenti anche leciti, addio alle Notti Vaticane che divennero un cenacolo di cultura religiosa. Ridusse il proprio tenore di vita, intensificò penitenza, digiuni e rinunce. Rafforzò anche la propria formazione… era pur sempre un vescovo. Conosceva (e ne fu influenzato) personaggi come Ignazio di Loyola, Gaetano da Thiene, Filippo Neri (tutti santi!). Lo zio papa lo sconsigliò, lo scoraggiò, lo rimproverò, ma lo lasciò fare ed infine lo imitò.

FACCIAMO TUTTO NELL’AMORE: «TUTTE LE VOSTRE COSE SI FACCIANO NELL’AMORE, COSÌ POTREMO SUPERARE TUTTE LE DIFFICOLTÀ CHE INNUMEREVOLI DOBBIAMO SPERIMENTARE GIORNO PER GIORNO; E COSÌ AVREMO LE FORZE PER GENERARE CRISTO IN NOI E NEGLI ALTRI». (COSÌ DISSE NELL’ULTIMO SINODO DI MILANO).

vamente vescovo e pastore della grande diocesi di Milano. Fu un pastore intelligente, originale, lungimirante, instancabile: dimostrò a tutti ed in ogni circostanza quell’amore più grande praticato e predicato da Cristo: dare la vita. Fu perfino rimproverato dal papa per questo zelo quasi esagerato. Grande esempio di dedizione ai suoi fedeli lo dimostrò durante la peste del 1576: lui presente in città quando le autorità politiche (leggete i Promessi Sposi) erano fuggite.   A causa della sua attività pastorale senza sosta, dei frequenti viaggi (quattro volte a Torino), delle continue penitenze, la sua salute peggiorò rapidamente.   Morì il 3 novembre del 1584 e fu canonizzato da Paolo V nel 1610. Carlo moriva fisicamente ma la sua eredità, fatta di santità personale e di azione instancabile per la Chiesa era più viva che mai, e sarebbe continuata nei secoli. Fino ad oggi. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

CARLO IN AZIONE A MILANO

Carlo consigliò lo zio papa di creare cardinali solo quelli favorevoli alla riforma della Chiesa secondo il Concilio di Trento. Fu così. Morto Pio IV avrebbe potuto farsi eleggere papa con facilità. Ma lo Spirito Santo e lui stesso decisero di no. Ed infatti il successore di Pio IV fu Pio V (quello del Rosario e della Battaglia di Lepanto, 1571) che promosse proprio la implementazione del Concilio.   Fu nel 1566 che Carlo diventò effetti-

Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00 MAGGIO-GIUGNO 2015

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L’omelia può essere una bella canzone

Sicilia, Chiesa del Santissimo Salvatore di Scicli, ultima domenica della Quaresima 2015. Il vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, arriva in parrocchia per impartire le cresime. La sala è piena di ragazzi, quasi tutti adolescenti. Sulla parete di fondo c’è un grande dipinto che attualizza il Vangelo, dove è raffigurato tra gli altri un drogato salvato da Gesù.   Il gergo ecclesialese usa la parola “inculturazione”. Tradotto vuol dire calare il messaggio nella realtà e nel tempo presenti. Esattamente quel che fa il vescovo, che nell’omelia, dopo aver parlato di vero amore e di senso della vita, propone ai ragazzi 26

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di ripensare al testo di due canzoni che chissà quante volte hanno canticchiato, Vuoto a perdere di Noemi e L’essenziale di Marco Mengoni. Con tanto di mitria in testa e poggiandosi sul suo bastone pastorale, Staglianò intona qualche strofa del brano di Noemi: «Sono un’altra da me stessa / sono un vuoto a perdere / sono diventata questa / senza neanche accorgermene / ora sono qui che guardo / che mi guardo crescere la mia cellulite / le mie nuove consapevolezze». Poi commenta: «Rischiamo tutti di diventare dei vuoti a perdere senza accorgercene, tra le mode del consumismo, dove sei considerato per i soldi, non per il cuore».


I ragazzi, prima un po’ distratti, sgranano gli occhi e tendono le orecchie. La predica può essere una bella canzone. Ora è la volta di Mengoni. Il vescovo recita alcuni versi: «Mentre il mondo cade a pezzi / io compongo nuovi spazi e desideri che / appartengono anche a te / che da sempre sei per me / l’essenziale». Quindi spiega, quasi a giustificare la citazione: «Finché dici che Dio è amore, finché dici che il problema è la verità dell’amore, magari non si comprende nulla; però se canti la canzone di Marco Mengoni qualcosa si capisce».   Allora eccolo di nuovo cantare a cappella: «Non accetterò / un altro errore di valutazione / l’amore è in grado di / celarsi dietro amabili parole / che ho pronunciato prima che / fossero vuote e stupide». Segue la considerazione partecipe e accalorata: «Tu puoi dire “ti amo”, ma può essere una parola vuota e stupida. Puntiamo all’essenziale! Puntiamo al cuore! Solo il cuore riempie la parola del suo contenuto umano».   Alla fine, scherzando, aggiunge: «Sapete qual è il titolo dell’ultimo brano di Marco Mengoni? Essere umani. Hai capito! Mi ruba i temi delle mie prediche!». Ed ecco che prende a canterellare alcune strofe: «Oggi la gente ti giudica / per quale immagine hai / vede soltanto le maschere / e non sa nemmeno chi sei / devi mostrarti invincibile / collezionare trofei / ma quando piangi in silenzio / scopri davvero chi sei / credo negli esseri umani / che hanno coraggio / coraggio di essere umani». In chiesa parte un lungo scrosciante applauso.

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PUNTARE ALL’ESSENZIALE

NON AVER PAURA DELLE NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE

La “comunicazione in musica” di mons. Staglianò dura da tempo. Nel 2013 trascinò gli astanti cantando Io vagabondo dei Nomadi. L’estate scorsa, nella piazza di Ispica, in provincia di Ragusa, ha intrattenuto a lungo i giovani cantando i soliti Noemi e Mengoni, stavolta accompagnato da una base musicale, e facendo riflettere tutti sui testi di quei brani. I video di queste “performance” impazzano sul web e dividono gli internettiani tra pro e contro. Don Tonino, come lo chiamano gli amici, è un fine teologo e filosofo, ma nonostante ciò (o proprio per questo) non ha paura di confrontarsi col linguaggio moderno.   Sullo sfondo rimane il dibattito fra tradizionalisti e innovatori. Nelle nostre chiese, spesso, si scontrano due estremi: da un lato i nostalgici del gregoriano e del latinorum, dall’altro i parroci che confondono l’altare col palcoscenico e trasformano la liturgia in show. In mezzo c’è un territorio da esplorare e sentieri ancora vergini da battere. Senza paura delle sorprese, perché – come dice Papa Francesco – «Dio è sempre nuovo e sorprende sempre».

«NON È GIUSTO CHE LA MIA PREDICA VENGA “RIDOTTA” AL FATTO CHE HO UTILIZZATO, NEL REGISTRO COMUNICATIVO, ANCHE PARTI DI TESTO DI ALCUNE CANZONI DI ALTRETTANTI CANTANTI ITALIANI. LA MIA PREDICA È RICCA DI CONTENUTI IDEOLOGICI, CULTURALI E CITAZIONI. QUANDO I TESTI DELLE CANZONI PARLANO DI COSE BELLE RAGGIUNGONO SIGNIFICATI ALTI, FORTEMENTE CRISTIANI».

ENZO ROMEO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Trasmettere la fede ALBERTO GUGLIELMI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Con il battesimo inizia il cammino nella comunità cristiana. La partecipazione della famiglia alle assemblee domenicali è momento di formazione.

La fede è una luce fatta per risplendere e illuminare. I genitori cristiani, battezzando i figli, accendono una prima luce nella loro vita e confessano la loro fede davanti alla comunità cristiana, annunciando ai fratelli di fede che vogliono donare ai figli la conoscenza e l’amore di Dio. I genitori credenti, con il loro amore e con il loro intuito, apprendono l’arte di educare i figli in tutte le dimensioni, compresa quella spirituale. La loro vita non è nascosta e il loro linguaggio di fede va spiegato per avviare i bambini a comprenderlo e condividerlo. La partecipazione della famiglia alle assemblee domenicali e ai luoghi di culto è un altro

momento di formazione. Non è cosa scontata, né è facile educare i bambini a “stare” in chiesa. Introdurre i bambini alle celebrazioni comunitarie deve essere graduale e intenzionale. La comunità cristiana sente su di sé la missione di aiutare i genitori nella trasmissione della fede ai figli. La fede è sempre un dato sociale, cioè è un patrimonio ricevuto dalle generazioni precedenti, accolto, vissuto, sperimentato, per essere poi trasmesso alle nuove generazioni. L’inizio del percorso di iniziazione cristiana dei fanciulli è un passo importante per una famiglia cristiana. “QUESTA È LA NOSTRA FEDE”

I soggetti credenti chiamati in causa sono anzitutto i genitori, i familiari, i padrini: la “Chiesa domestica”. Durante il rito del battesimo, nel dialo-

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go tra il sacerdote e i genitori e padrini è richiesto di manifestare pubblicamente la motivazione della richiesta del battesimo e l’impegno che essi assumono: «Cari genitori, chiedendo il battesimo per vostro figlio, voi vi impegnate a educarlo nella fede, perché, nell’osservanza dei comandamenti, impari ad amare Dio e il prossimo, come Cristo ci ha insegnato. Siete consapevoli di questa responsabilità? E voi, padrino e madrina, siete disposti ad aiutare i genitori in questo compito così importante?». Ed è richiesta anche una “professione di fede” essenziale per evidenziare che il contenuto della fede non è personale, ma che «Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore».   La catechesi per l’iniziazione cristiana ai sacramenti della fede deve presumere di non cominciare dal nulla. Spesso, oggi, ci si trova ad iniziare i fanciulli anche ai primi “segni”: la croce, il Padre nostro, l’Ave Maria. La famiglia che si rivolge alla comunità cristiana, in genere nella persona del parroco, perché accompagni il figlio nel percorso di catechesi, si mette in un rapporto educativo con essa: non è un affidamento che scarica all’“agenzia cattolica” la responsabilità dell’educazione alla fede.

UN PATTO EDUCATIVO TRA FAMIGLIA E PARROCCHIA

Tra la parrocchia e la famiglia si instaura un “patto educativo” impegnativo perché reciprocamente ci si prende carico del cammino che la Chiesa locale ha predisposto con studio e amore per la costruzione di personalità cristiane. L’impegno della parrocchia è quello di preparare catechisti e animatori, offrire il cammino annuale ai ragazzi, incontrare i genitori periodicamente ed offrire interventi qualificati per l’educazione dei figli. L’impegno dei genitori è la vita di fede nella comunità, segnata dalla frequenza domenicale all’eucaristia con i figli, la relazione cordiale con gli educatori, la presenza dei figli agli incontri di catechesi, la partecipazione dei genitori stessi agli incontri periodici di informazione e di verifica, con l’eventuale coinvolgimento dei padrini.   Oggi una famiglia credente prende a cuore la trasmissione della fede ai propri figli in un contesto sociale e culturale che non sostiene e non asseconda una scelta, ma tiene equidistanza, cosa che equivale ad indifferenza sui valori fondanti la piena realizzazione della persona umana. Donare la fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo è il più grande investimento per il futuro dei propri figli, anche se questa scelta è impegnativa.

LA FAMIGLIA CHE SI RIVOLGE ALLA COMUNITÀ CRISTIANA, IN GENERE NELLA PERSONA DEL PARROCO, SI METTE IN UN RAPPORTO EDUCATIVO CON ESSA: NON È UN AFFIDAMENTO CHE SCARICA ALL’“AGENZIA CATTOLICA” LA RESPONSABILITÀ DELL’EDUCAZIONE ALLA FEDE.

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L’età di Maria Perché La Madonna è sempre rappresentata dai pittori come una donna giovane, bella e di razza bianca?  Andrea fissa perplesso l’immagine di Maria che scioglie i nodi e quella della Madonna di Medjougorie. «Ma quante Madonne ci sono?» chiede dubbioso.   E gli altri incalzano: «Come fa la Madonna ad essere sempre giovane e bella? Si è fatta il lifting?». «Si tinge i capelli? Qualche volta è bionda, qualche volta bruna»…   Più impegnativa la domanda di Philip: «Perché è sempre di colore bianco e non scura come me? Almeno i miei compagni non mi prenderebbero in giro!». Mi viene in aiuto la storia dell’arte. Spiego che l’arte sacra è nata e si è sviluppata soprattutto in Europa, con la diffusione del Cristianesimo; per questo i grandi pittori/scultori italiani ed europei hanno raffigurato Maria ispirandosi ai modelli dell’arte greco-romana, o copiando le belle signore del proprio tempo e del proprio paese. Per tranquillizzare Philip, si trova anche qualche Madonna nera: ad Oropa, Tindari… Per non parlare della Madonna di Guadalupe, e dell’indio Juan Diego, di cui racconto la storia. Questa Vergine ha le caratteristiche

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di una donna sudamericana. Il ragazzino è contento.   Poi, la Madonna è bella perché piena d’amore: è una mamma dolcissima che ci ama anche quando non siamo tanto belli e buoni. «Anzi, forse vuole più bene a quelli bruttini, come la mamma del brutto anatroccolo», suggerisce Chiara, senza intenzioni irriverenti. Quanto alla giovinezza di Maria, non trovo risposta migliore di quella di Michelangelo.   A chi gli faceva notare che nel gruppo scultoreo della Pietà il viso di Maria appare più giovane di quello del Figlio che giace morto tra le sue braccia, il celebre artista aveva spiegato che la mamma di Gesù era giovane e bella perché non contaminata dal male. Anche se ha più di duemila anni, Maria non appare invecchiata dal peccato.   Mi caccio nei guai. Il solito Andrea, diffidente, commenta: «Ma tu non hai 2000 anni! E non sembri giovane… Allora quanti peccati hai fatto?». ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net


Maria, cammina con noi MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

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POSTER

Tra le innumerevoli metafore con le quali si è tentato di definire la vita c’è quella del viaggio, della strada, del camminare verso un traguardo, una montagna, un santuario. La vita è veramente un continuo cammino. Per una certa filosofia esistenzialista atea, è solo un inutile camminare verso la morte, che poi ci spalanca la porta del nulla: «Vivere è essere per la morte». Non è molto consolante. Nella prospettiva cristiana invece cambia tutto: la vita è un progredire continuo, un camminare non verso il nulla ma verso il Tutto che è Dio, che sarà la meta della nostra faticosa ricerca, la Città che noi cerchiamo, la nostra Patria definitiva.   Lo sappiamo per esperienza che quando siamo inesperti o deboli nel nostro cammino, per esempio andando in montagna, abbiamo bisogno di guide, di sostegno, di incoraggiamento, di energia. Nel nostro camminare verso Dio attraverso la Via maestra che è Cristo, non c’è guida migliore, esperta, sicura di Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. Proprio lei che, per volontà del Figlio prima di morire in croce, ci è stata data come madre. Quindi Gesù ci ha consegnato Maria come Ausiliatrice nel nostro cammino verso di Lui e verso Dio.   Pensiamo a come Maria, giovane madre, ha insegnato al bambino Gesù a camminare: ha avuto gli stessi gesti, la stessa attenzione, la stessa trepidazione, la stessa speranza, la stessa costanza nell’insegnargli a fare i primi passi. Ha fatto quello che fanno le mamme, tutte le mamme del mondo e da sempre. Maria, anche oggi ma spiritualmente, fa lo stesso nel nostro cammino verso Cristo che ci porta a Dio.   Ci precede e ci sprona, come mostra il disegno di Stefano Pachì, del poster. Ci incoraggia e ci mostra continuamente la meta verso cui camminiamo. È proprio lei la nostra Ausiliatrice: di lei dobbiamo fidarci, perché è una vera maestra, a lei dobbiamo affidarci perché non ci deluderà. Con lei cammineremo sicuri e sentiremo meno la fatica. Chiediamo la sua presenza: lei ci sarà, pronta ad aiutarci, come una buona madre.


R I V I S T A

D E L L A

B A S I L I C A

D I

T O R I N O - V A L D O C C O

MARIA AUSILIATRICE


MARIA CAMMINA CON NOI


POSTER

Maria, donna in cammino Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi… Siamo più veloci di te, ma il deserto ingoia i nostri passi… Santa Maria, donna della strada, fa che i nostri sentieri siano come lo furono i tuoi, strumento di comunicazione con la gente… Liberaci dall’ansia della metropoli e donaci l’impazienza di Dio. L’impazienza di Dio che ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L’ansia della metropoli invece… ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi... Santa Maria, donna della strada, “segno di sicura speranza e di consolazione per il pellegrinante popolo di Dio”… prendici per mano e facci scorgere la presenza sacramentale di Dio sotto il filo dei nostri giorni, negli accadimenti del tempo, nel volgere delle stagioni umane, nel tramonto delle onnipotenze terrene… Verso questi santuari dirigi i nostri passi. per scorgere sulle sabbie dell’effimero le orme dell’eterno… Da Tonino Bello, “Maria donna dei nostri giorni”, San Paolo editore

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SEMPRE CON NOI

In ricordo di suor Maria Ermetici Durante un momento di preghiera in Basilica Maria Ausiliatrice ha deciso di consacrarsi al Signore.

QUANDO LA MALATTIA NON LE HA PIÙ PERMESSO DI ANDARE A PREGARE A VALDOCCO, SUOR MARIA SI È FATTA PORTARE IN CAMERA UNA RIPRODUZIONE DELLA STATUA DI MARIA AUSIATRICE E AI TANTI AMICI CHE L’ANDAVANO A TROVARE DICEVA CHE IL SUO DOLORE PIÙ GRANDE ERA DI NON AVER PIÙ LA FORZA DI RAGGIUNGERE LA BASILICA.

Fino all’ultimo ha ascoltato le omelie registrate del “sua” Messa domenicale nella basilica di Maria Ausiliatrice, un’amica ogni settimana gliele faceva avere, nell’infermeria delle Suore del Cottolengo che l’hanno amorevolmente accudita fino al giorno della sua morte avvenuta martedì 10 febbraio scorso all’età di 77 anni. Suor Maria Ermetici, Murialdina di San Giuseppe, aveva tre punti fermi: il Vangelo della carità di Matteo al capitolo 25, la devozione a Maria Ausiliatrice e a san Leonardo Murialdo. Proprio nella basilica di Maria Ausiliatrice, dove la si incontrava spesso assorta in preghiera, suor Maria, dopo aver incontrato la spiritualità murialdina, si decise per la vita consacrata. DISPONIBILE E GENEROSA

«Straordinario nell’ordinario» così Paolo VI definì san Leonardo Murialdo nel giorno della canonizzazione del 1970. E questo è stato lo stile di suor Maria Ermetici, che ha speso molti anni della sua vita, nel silenzio, a servizio di tre comunità parrocchiali: a Santa Maria della Stella a Rivoli, a San Paolo Apostolo, e Nostra Signora della Salute in Borgo Vittoria a Torino. La sua morte, ha lasciato un grande vuoto nelle

comunità che ha servito finché le forze gliel’hanno concesso. Cuoca, guardarobiera, coordinatrice della catechesi, infermiera – sono tanti i padri giuseppini del Murialdo anziani e malati che suor Maria ha servito, tra cui il fondatore delle Murialdine, padre Luigi Casaril, che assistette fino alla morte. «TU SEI PADRE BUONO, AL DI LÀ DI OGNI NOSTRA APETTATIVA»

Nata a Rovigo nel 1937, prima di cinque figli, suor Ermetici iniziò presto a lavorare per aiutare la famiglia che, in seguito alla drammatica alluvione del Polesine, fu costretta a emigrare a Torino. Di qui la sua particolare attenzione per la sofferenza le famiglie in difficoltà. Attiva nell’azione cattolica, legata fin da giovane alla Famiglia Salesiana, incontrò la spiritualità giuseppina da adulta e si consacrò murialdina a 27 anni. MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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La rivoluzione di Francesco GIAN FRANCO SVIDERCOSCHI, ITALIANO DI ORIGINI POLACCHE, INIZIA LA CARRIERA GIORNALISTICA GIOVANISSIMO NEL 1959. FU INVIATO DELL’ANSA AL CONCILIO VATICANO II E SUCCESSIVAMENTE RICOPR・ L’INCARICO DI VICEDIRETTORE DE L’OSSERVATORE ROMANO.

«Accadde qualcosa di incredibile quel 13 marzo di due anni fa. A quel “Buonasera”, il popolo cattolico si sentì accolto, abbracciato, compreso. E così, cambiò di colpo lo scenario». Il vaticanista Gian Franco Svidercoschi descrive così l’inizio di una rivoluzione, la stagione di un Papa arrivato «quasi dalla fine del mondo». Svidercoschi è un testimone: inviato dell’Ansa al Concilio Vaticano II, racconta la vita della Chiesa da oltre 60 anni. Il suo ultimo libro si intitola Un Papa solo al comando e una Chiesa che a fatica lo segue (Tau Editrice): un’analisi ragionata, per nulla conformista sui primi anni del pontificato e le prospettive che di fatto ha già aperto. In cosa consiste la novità di questo Papa, la sua rivoluzione?

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«Sono molti gli aspetti in gioco. Direi che i suoi gesti e le sue parole, fin dai primi giorni, rappresentano il veicolo più immediato della rivoluzione che Francesco intende realizzare nella Chiesa. E, la prima riforma, l’ha attuata nella propria persona, nel modo di “interpretare” il suo ruolo, senza comunque rinunciare del tutto alla sua vita privata, alle sue abitudini, alle sue amicizie. I gesti, anzitutto: il modo di vestire, la scelta di abitare a Santa Marta, il suo primo viaggio a Lampedusa. Poi, le parole. Un linguaggio nuovo, nulla di oratorio, di moraleggiante, di dottrinario; è semplice, narrativo, va diritto al cuore di chi ascolta. Ci sono poi le sue origini». In che misura hanno influito? «Il fatto che Bergoglio sia il pri-


Quali sono le conseguenze? «Credo che si arriverà a un grande cambiamento: la nascita di una Chiesa segnata dalla pluralità, dalla diversità, dalla molteplicità, e nello stesso tempo, proprio per questa multiforme ricchezza, da una più forte e costruttiva unità. Un cambiamento che porterà alla luce e valorizzerà l’originalità ecclesiale e l’eccezionale vitalità delle giovani comunità dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania, lasciando loro la necessaria libertà per sperimentare nuove vie pastorali, e non solo». Bisogna aspettarsi dei cambiamenti in campo dottrinale? «La dottrina che proclama è la dottrina di sempre, e Francesco lo ripete con fermezza. Ma è anche vero che questa dottrina può essere approfondita, e soprattutto rinnovata nelle sue applicazioni pastorali. Insomma, si sposta l’accento dai principi alla persona, dalle leggi alla cura delle ferite, dalle condanne alla comprensione, alla misericordia di Dio che allarga le braccia a tutti. Come dire che

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mo Papa latino-americano, gesuita, e che si chiami Francesco, fa capire come lui venga da un altro tipo di Chiesa, di spiritualità, da un altro modo di considerare la dimensione religiosa della vita. Il Papa si è portato dietro l’eredità dell’America Latina, una cultura profondamente incarnata nella quotidianità della gente. Una teologia del popolo, depurata dalle contaminazioni ideologiche della teologia della liberazione».

la ‘forma’ non deve prevalere sulla sostanza, né le regole sul vissuto, né i valori sulla fede». Il rischio è che questo Papa non venga compreso… «Sta già avvenendo. Il Papa ha un sostegno popolare incredibile, ma il suo stile in Occidente, specie in Europa, non è stato accettato da tutti. Ci sono cattolici che stentano ancora a comprendere o addirittura ad accettare il nuovo pontificato. Attaccati alle loro tradizioni, ai loro riti, alle loro “costruzioni” teologiche, ai loro compromessi morali, e convinti di avere tuttora una “superiorità” anche in campo religioso, temono di perdere tutto questo. Temono che, il modello di Chiesa costruito lungo i secoli in Europa da una grande tradizione teologica e pastorale, venga ora messo in discussione dall’arrivo del Papa extra-europeo». In che misura Francesco è solo? «Credo che lo sia soprattutto come conseguenza del compito immenso che deve assolvere: realizzare una profonda riforma nella Chiesa cattolica. E ogni rivoluzione porta con sé, insieme con le novità, con i cambiamenti, anche ambiguità, anche contraddizioni, e, a maggior ragione, anche incomprensioni, e poi, naturalmente, grandi resistenze, grandi opposizioni».

«IL PAPA SI È PORTATO DIETRO L’EREDITÀ DELL’AMERICA LATINA, UNA CULTURA PROFONDAMENTE INCARNATA NELLA QUOTIDIANITÀ DELLA GENTE. UNA TEOLOGIA DEL POPOLO, DEPURATA DALLE CONTAMINAZIONI IDEOLOGICHE DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE».

Un papa solo al comando e una Chiesa che a fatica lo segue Svidercoschi G. Franco Tau, 2015 pagine 152, euro 15,00

MATTEO SPICUGLIA redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Silvio, il dodicenne che vive serenamente le sue sofferenze con Gesù

Silvio Dissegna è “venerabile”. Il 7 novembre 2014 Papa Francesco ha autorizzato il decreto sulle “virtù eroiche” di Silvio Dissegna (1967-1979) “fanciullo”, eroe e maestro di vita non solo dei ragazzi ma anche degli adulti.  I Dissegna sono una famiglia di immigrati a Poirino, provincia e diocesi di Torino, negli anni Cinquanta dal Veneto, dopo l’alluvione del Polesine. Il papà Ottavio, classe 1937, è mezzadro e poi operaio alla Fiat (Mirafiori e poi Carmagnola), la mamma Gabriella è casalinga e operatrice scolastica. Silvio nasce il 1° luglio 1967, vive la fanciullezza in un ambiente sereno e laborioso. È un bambino solare e gioioso, allegro, servizievole, anima poetica, amante della natura e del gioco. «Da grande farò il maestro per insegnare agli altri» scrive sul suo diario.   All’inizio del 1978 comincia a lamentarsi di un dolore alla gamba sinistra. La diagnosi è terribile: cancro alle ossa. Ha solo 11 anni ma capisce che il male sta per travolgerlo. Non si dispera ma si affida alla volontà di Dio e alla protezione di 34

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Maria. Le sue condizioni si aggravano e il dolore diventa implacabile: a nulla valgono le cure e i sette ricoveri in una clinica specializzata vicino a Parigi. L’EUCARISTIA È LA SUA FORZA

Trae forza dall’Eucaristia che riceve ogni giorno, dalla preghiera e dai rosari recitati notte e giorno. «Ma devo soffrire proprio 24 ore su 24? Sia fatta la volontà del Signore» è la sua domanda e la sua risposta. A tutti regala un sorriso radioso; consola i genitori e il fratello; incoraggia i medici che si sentono impotenti; rincuora chi va a trovarlo. Il suo corpo si trasforma in una piaga, perde la vista, gli «scoppia» un occhio. Si spegne la sera del 24 settembre 1979.   Ricevendo i genitori il 9 novembre 2001 Giovanni Paolo II esclama: «Lo co-


LA TESTIMONIANZA DI MAMMA

Racconta la mamma: «Anche prima di ammalarsi aveva grande intensità e concentrazione nella preghiera. La sera, quando il papà faceva il turno di notte, io, Silvio e il fratellino Carlo dicevamo le preghiere inginocchiati sul tappeto nella stanza dei ragazzi. Manine giunte, non si distraeva ma riusciva a isolarsi perché la preghiera era un dialogo personale e intimo con il Signore». Ricorda il papà: «Da piccolo era molto maturo e i suoi ragionamenti erano da adulto: aveva una cultura, anche religiosa, superiore alla media, come si vede nei quaderni di scuola e del catechismo». I genitori non rivelano al piccolo che ha un cancro e che deve morire, ma lui lo capisce da solo.   La sua è una testimonianza bella e luminosa, valida e convincente, purificata nel crogiòlo della malattia e della sofferenza più cruda. Silvio è un santo atipico e solitario. “Atipico” per la giovanissima età, per l’estrazione familiare, per l’ambiente sociale e per il modo in cui ha vissuto la malattia. “Solitario” nel panorama della santità subalpina.

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nosco già. Silvio è una figura bellissima, ne vale la pena. Affidiamo la causa alla Madonna». L’arcivescovo di Torino cardinale Severino Poletto spiega: «L’epilogo umanamente dolorosissimo dell’itinerario di questo ragazzo ha evidenziato quanto nel suo cuore abbia agito l’azione discreta ma efficace dello Spirito Santo che ha trovato in lui una accoglienza disponibile e una collaborazione aperta. L’esperienza di Silvio parla ai ragazzi e ai giovani, ha un messaggio da trasmettere a quanti si accostano alla realtà delicata e terribile ma preziosa della sofferenza innocente».

relazioni; farsi aiutare, guidare, consigliare; avviare collaborazioni, varare progetti, realizzare opere.   Per lui nessun educatore carismatico o eccelso direttore di spirito. Può contare solo sul papà e la mamma, genitori all’antica con un grande cuore e una miniera di buon senso, persone rigorose e normali, senza alcuna specializzazione, lavoratori infaticabili. Cristiani a 24 carati, sono i primi testimoni, educatori della fede e catechisti dei figli. E può contare solo duetre preti che fanno i preti e che gli offrono un sostegno preziosissimo.   La sua storia è tutta racchiusa nel piccolo mondo di Borgata Becchio di Poirino. Nessun rapporto con l’oratorio perché troppo lontano da raggiungere a piedi; con gruppi, associazioni o movimenti, che lo sostengano e lo appoggino; la Prima Comunione è un evento persin troppo familiare anziché un evento della comunità parrocchiale. Non ha la fortuna di un san Domenico Savio che ha un maestro straordinario e uno sponsor eccellente in san Giovanni Bosco.   Così dietro la causa di beatificazione e canonizzazione non c’è nessuna potente congregazione religiosa, nessuna diffusa associazione, nessun aggressivo movimento, nessun gruppo strutturato. C’è la sua famiglia, la sua parrocchia, la sua Poirino, la sua gente a Torino e in Piemonte, in Veneto e in Italia, in giro per il mondo. Questo è il “miracolo” di Silvio, eroe e maestro di vita in una bella e grande compagnia. PIER GIUSEPPE ACCORNERO redazione.rivista@ausiliatrice.net

MAMMA E PAPÀ, I SUOI ACCOMPAGNATORI SPIRITUALI

A differenza degli altri santi, beati, venerabili e servi di Dio, non ha tempo né possibilità di intessere rapporti e stabilire MAGGIO-GIUGNO 2015

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Perché Tommaso non crede?

Gesù a Tommaso: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». «Il Risorto ci chiede di risorgere. E il risorgere riguarda noi, la nostra vita in ogni istante. In ogni istante devo distaccarmi dal mio piccolo io raggrinzito e prepotente per far vivere un Tu più grande». (S. Tamaro) «Eccomi, sono la serva del Signore» 36

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Mi sono sempre chiesto come sia stato possibile che una ragazzina di Nazaret, di 13 anni, di fronte a una richiesta così assurda e senza nessuna assicurazione (una parente sterile-incinta?), abbia potuto decidere in quattro e quattr’otto e dire di sì, firmando un foglio in bianco. Superficialità adolescenziale o personalità precoce? Spirito di avventura, narcisismo esasperato o capacità di gestire la propria vita? La Parola ci dice che lei conservava tutto nel suo cuore convinta che nulla è impossibile a Dio e che le cose di Dio si capiscono sempre dopo perché noi siamo miopi, non vediamo lontano, e vogliamo sicurezze senza riuscire a percepire quanto ci offre Dio ogni volta che ci fidiamo di lui, ogni volta che rischiamo sulla sua Parola! «Se non metto il dito…»   Noi invece ci ritroviamo tutti a nostro agio nella figura di Tommaso. Il nostro coraggioso Tom che due giorni prima sprona gli apostoli per andare a morire con Gesù, atteggiamento tipico di un carattere impetuoso, di uno che ama tirare il gruppo, e due giorni dopo sembra smarrito e pieno di paura nella sua arroganza incredula. Dov’era la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei e venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e augurò pace a


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tutti? Non sappiamo. Ma quel primo giorno dopo il sabato, lui non c’era e non vide il Signore. Ma vide i suoi compagni, i suoi amici. E non gli bastò vederli per credere che il Risorto era stato in mezzo a loro. Il motivo? Certo il suo temperamento pragmatico. Ma, mi viene un dubbio, non è che non ha creduto perché i suoi, che quel giorno gli diedero l’annuncio, proprio non ne avevano la faccia, barricati com’erano dietro le porte chiuse, dietro le loro paure? La notizia della risurrezione era una bomba e loro non davano proprio l’impressione di averlo incontrato. Non avevano la faccia di chi si è sentito alitare sul volto il soffio dello Spirito, lo Spirito che spinge, rivoluziona, mette in cammino, fuori dall’aria ammuffita, nella libertà, in pieno sole. I loro volti smarriti non dicevano la bella notizia. Anzi! Tanto che Tommaso non ci crede per niente!

percepire un anelito di infinito, qualcosa che riempisse la tua vita di significato, una spinta a volare più alto. Tu pensi che al tuo arrivo qualcuno ti verrà incontro come quel Padre che quando vide ancora il figlio lontano gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò e diede ordine di ammazzare il vitello grasso e fare festa per il ritorno del figlio? No? Allora, se non proprio sulla piazza, certamente penserai che andando in un confessionale troverai uno che ti farà festa e ti manifesterà tutta la sua gioia accogliendoti a braccia aperte…! Se tutto questo non succederà hai ancora una possibilità. Entra in chiesa alla domenica mattina e prendi parte a una celebrazione eucaristica e troverai tante persone che si radunano per fare festa perché il loro Dio è risorto e ha vinto la morte. Non senti i canti di festa? Non vedi i visi sorridenti? Non vedi con quale

«TOMMASO REAGISCE CON LA PIÙ SPLENDIDA PROFESSIONE DI FEDE DI TUTTO IL NUOVO TESTAMENTO: “MIO SIGNORE E MIO DIO!”» (GV 20, 28) BENEDETTO XVI, UDIENZA GENERALE DEL 27/9/2006.

entusiasmo si scambiano il segno della pace e sfilano cantando felici per andare a mangiare il loro Dio? No? Sappi allora che ogni volta che ti fermerai e aiuterai un povero, che manco conosci, «l’hai fatto a Lui» e lì Lo troverai certamente, e solo lì potrai appoggiare le dita sul Suo costato e dire «Signore mio e Dio mio», caro il mio Tommaso! GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net

Facciamo un gioco   Supponiamo che tu hai studiato per bene il tuo catechismo per i sacramenti. Facciamo finta che, durante l’adolescenza ti sei preso un po’ di… pausa per riflettere come fanno le coppiette e hai pascolato nei prati del vicino che ti sembravano molto più verdi di quello della tua chiesa. A un certo punto della tua vita hai sentito il bisogno di ritornare sui tuoi passi e ti presenti sul prato dei tempi del catechismo per cercare una risposta al tuo vuoto, per MAGGIO-GIUGNO 2015

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Anche l’Università contro l’azzardo

Uno sportello aperto tutti i mercoledì pomeriggio per supportare chi affronta il problema del gioco d’azzardo patologico. Dall’11 febbraio scorso l’Istituto Universitario Salesiano Torino Rebaudengo (Iusto) ha aperto presso la propria biblioteca un servizio gratuito nel cuore del quartiere torinese Barriera di Milano, periferia Nord della città. «Su.Per.A il G.a.p (Supporto alle Persone che Affrontano il Gioco d’Azzardo Patologico), questo il nome dello sportello – spiega Alessio Rocchi, direttore generale del Iusto – non è solo un punto di ascolto, ma anche il tassello di un vero e proprio progetto di ricerca pluriennale della nostra università sul problema dell’azzardo. È il segno di un’università a servizio del territorio e specialmente delle situazioni di svantaggio sociale». Ecco dunque che l’idea dell’apertura dello sportello è andata di pari passo con una prima ricerca avviata sul quartiere che ha censito tutti i locali che permettono di giocare d’azzardo 38

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evidenziando un’elevata concentrazione di slot machines, presenti in particolare nei bar. UNO SPORTELLO PER L’ASCOLTO

Lo sportello è all’interno della biblioteca dell’Università anche per favorire l’accesso a chi si trova a disagio a varcare le porte di Sert o di altri centri dove più esplicitamente si rivolgono persone in difficoltà, è offerto da volontari laureati in Psicologia allo Iusto ed è gestito e supervisionato da psicologi clinici dell’Università salesiana. Principalmente chi si rivolge a «Supera il Gap» potrà ottenere indicazioni sulle risorse presenti sul territorio: le strutture specializzate del servizio sanitario, i centri di assistenza legale... «Mettiamo a disposizione – prosegue Rocchi – i nostri esperti per le persone che vivono il problema dell’azzardo, ma al tempo stesso vogliamo avviare una campagna di sensibilizzazione e prevenzione. Per questo abbiamo anzitutto mappato il quartiere in


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cui ci troviamo: un territorio che già soffre di fragilità sociali e quindi è più esposto al fenomeno del gioco d’azzardo. Ora abbiamo censito i locali, poi avvieremo la campagna con gli esercenti, le scuole, le famiglie, e fra tre anni rifaremo il conteggio così da poter valutare gli effetti della sensibilizzazione, delle informazioni fornite allo sportello, e conseguentemente perfezionare, nello spirito di don Bosco, il lavoro preventivo». LA PREVENZIONE SI FA ANCHE A SCUOLA

«All’inizio tutti sono esaltati, si sentono in competizione con i compagni, ascoltano il regolamento di Win for life con attenzione desiderosi di provare l’ebbrezza del gioco, ma quando realizzano che quasi nessuno di loro ha vinto e quei pochi fortunati se avessero anche giocato davvero si sarebbero al massimo ripresi i soldi spesi, la delusione è grande».   Così Paolo Canova, matematico della società torinese Taxi1729 specializzata in comunicazione scientifica che con la Regione Piemonte ha dato il via nel febbraio scorso alla campagna Fate il nostro gioco rivolta agli studenti delle

scuole superiori del Piemonte spiega il significato dell’iniziativa. Una ventina di incontri che si concludono con la fine dell’anno scolastico presso le scuole per far capire ai giovani come la matematica smascheri le illusioni di vincita che giochi, lotterie e slot alimentano.   «Con i giovani – spiega il matematico Paolo Canova – è importante presentare il più possibile in modo neutro i meccanismi che regolano il gioco d’azzardo. Se un adulto dice a un ragazzo “non devi giocare” probabilmente genera un effetto opposto. Se invece si presentano i meccanismi del gioco in modo neutro, cioè da un punto di vista puramente matematico, senza esprimere giudizi, ecco che l’evidenza dei numeri diventa l’antidoto migliore».   In Piemonte dal 2005 al 2014 i pazienti con sindrome da gioco d’azzardo patologico (Gap) presi in carico dal Sistema Sanitario regionale sono passati da 166 a 1.277. Tra questi 7 sono ragazzi tra i 15 e i 19 anni, 38 tra i 20 e i 24 anni e 70 tra i 25 e 29 anni. FEDERICA BELLO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Educare, ha ancora un senso? ERMETE TESSORE redazione.rivista@ausiliatrice.net

LA CRISI DELLA SOCIETÀ MODERNA

A partire dagli anni 1970 il mondo dell’educazione è stato completamente rivoluzionato. La società basata sulla “modernità” negli ultimi quaranta anni è implosa. I suoi valori fondanti che parlavano di stato, di famiglia, di chiesa, di ordine, di progresso, di istituzioni e di educazione sono stati spazzati via e non sono stati rimpiazzati. Vagamente si parla di “società postmoderna”; più di una definizione sembra un’etichetta incollata su un contenitore pieno di nulla. Questo concetto di postmodernità è nato vecchio e datato. Infatti, è più uno slogan che una nuova ed interessante weltanshauung (visione del

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mondo). Il decostruzionismo di Derrida è quello che meglio ha colto la sua vaporosa fragilità denunciandone l’autoreferenzialità funzionale carica di intuizioni semplicemente provocatorie, oscure e ferocemente critiche. Nella cultura occidentale il braccio di ferro, a livello di valori, tra la visione kantiana e nichilismo di Nietzsche si è risolto a favore di quest’ultimo. La visione del “superuomo” si è imposta provocando un cumulo di macerie a livello umano, religioso e civile. LA CRISI DELL’ECONOMIA

In ambito economico, il trionfo del capitalismo liberale, che ha affrancato l’uomo occidentale dalla miseria e che ha trionfato sul collettivismo marxista, ha finito per rimanere soffocato tra le spire delle dittature finanziarie che hanno nelle banche e nelle multinazionali i loro spietati esecutori. La bulimica ed insaziabile voglia di guadagno ha esasperato lo spirito di competizione trasformando l’uomo in un passivo strumento ad essa funzionale. La forza “uomo” è stata cancellata dal dilagare della tecnologia automatizzata che produce molto a prezzi contenuti. La pubblicità martellante ha creato nuovi bisogni e nuove necessità trasformando gli individui in semplici consumatori. La grande crisi iniziata nel 2008 con il fallimento della banca americana Lehmann Brothers ha evidenziato


CRISI ANTROPOLOGICA ED EDUCATIVA

Siccome l’economia è il volano della storia, le sue trasformazioni hanno avuto delle ricadute devastanti sugli adulti in genere e sui giovani in particolare. La velocità delle rivoluzioni economiche ha portato alla “liquefazione” delle strutture portanti della cultura e del vivere. Da solidi, consolidati e radicati in una tradizione secolare i modi di vivere sono affogati in atteggiamenti e consuetudini “liquidi” finalizzati ed inventati in funzione più dell’individuale che del sociale. I ragazzi, pur rendendosi perfettamente conto della crisi e delle contraddizioni del mondo degli adulti, si stanno, con garbo, disinteressando di questa realtà. Non formulano nessuna critica, non manifestano alcuna contestazione, e non si fanno promotori di nessun cambiamento. Si limitano, nella stragrande maggioranza, ad approfittare del diffuso benessere che permette loro di divertirsi e di usufruire di tutte le più moderne tecnologia con poca fatica. Preferiscono rifugiarsi nella realtà virtuale messa a loro disposizione dalla sinergia tra informatica ed algoritmi matematici. In questa nuova realtà molto liquida lo scontro, la fatica, la voglia di lottare per cambiare in meglio, la ricerca di una identità precisa evaporano in un mondo onirico che deresponsabilizza ed anestetizza. In questa nuova inquietante realtà, ultimamente, sta avvenendo qualcosa di molto preoccupante. In modo molto subdolo si stanno gettando le basi di una nuova antropologia. Nella società “solida” molti diritti non venivano riconosciuti. Chi non entrava nella così detta normalità o veniva emargina-

to o, addirittura, perseguitato. Ora non è più così. Quasi tutti vengono accettati e rispettati. Addirittura, questi diritti riconosciuti si sono trasformati, grazie a una potente organizzazione di lobbies tutt’altro che disinteressate, in un grimaldello culturale che non solo si limita a scardinare i pregiudizi del passato, ma anche sta imponendo nuove antropologie gravide di importanti ricadute sul vivere sociale. L’identità sessuale maschile e femminile è svanita nelle nebbie delle moderne e vaporose ideologie di genere; la famiglia tradizionale ha lasciato il posto alla famiglia aperta dove «i miei figli ed i tuoi figli giocano con i nostri figli» serenamente e senza complessi; la sessualità si è svestita di ogni forma di pudore e si è trasformata in strumento di relazioni, ovviamente, liquide e disinibite; i valori sono funzionali all’individuo che è libero di crearseli a proprio uso, consumo e misura; anche la religione è diventata una soporifera camomilla forgiata in un melting pot colmo di sacralismo, magismo, sentimentalismo e verbosità scevra ed allergica ad ogni forma di spiritualità. In un contesto del genere anche l’educazione affonda nella liquidità. Ma questo tipo di educazione a che tipo di esistenza abilita? Certo don Bosco non si riconoscerebbe in essa. Come i salesiani e gli educatori di oggi.

GIOVANI

tutte le incongruenze del nuovo capitalismo liberale. L’illusione del progresso continuo è stato polverizzato dalla nuova realtà fatta di milioni di licenziamenti e fallimenti. La perdita del posto di lavoro ha accentuato frustrazioni e risentimenti, aumentando a dismisura il disagio sociale toccando, per la prima volta nella storia, anche le fasce medie degli individui.

DA SOLIDI, CONSOLIDATI E RADICATI IN UNA TRADIZIONE SECOLARE I MODI DI VIVERE SONO AFFOGATI IN ATTEGGIAMENTI E CONSUETUDINI “LIQUIDI” FINALIZZATI ED INVENTATI IN FUNZIONE PIÙ DELL’INDIVIDUALE CHE DEL SOCIALE.

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DON BOSCO OGGI

A Expo 2015 i giovani sono protagonisti con Casa don Bosco Dal 1 maggio al 31 ottobre la famiglia salesiana accoglie il mondo.

EDUCARE I GIOVANI, ENERGIA PER LA VITA

I giovani saranno i protagonisti assoluti dell’Expo Milano 2015 a Casa don Bosco. Anche la famiglia salesiana parteciperà alla manifestazione con un padiglione di circa 300 mq coperti su un terreno di 747 mq. Già nell’ottobre 2012 un accordo tra i responsabili di Expo e il Don Bosco Network prevedeva la partecipazione alla manifestazione con circa 30 giornate di attività ed iniziative realizzati al suo interno. Nel luglio 2014 i vertici di Expo concessero quindi anche ad enti no profit diversi dagli Stati (primi partecipanti alle esposizioni universali) la possibilità di richiedere gratuitamente un’area su cui costruire la propria struttura espositiva. Un’opportunità colta dalla Congregazione con il coinvolgimento di tutti i gruppi della famiglia salesiana e grazie alla presenza di un exallievo imprenditore, che si è coinvolto in prima persona sia dal punto di 42

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vista economico che operativo. Casa don Bosco svilupperà il tema Educare i giovani, energia per la vita” evidenziando 3 filoni tematici tra loro interconnessi: nutrire il corpo, educare la persona, coltivare il sogno. «Il tema ufficiale di Expo 2015 Nutrire il pianeta, energia per la vita – spiega don Claudio Belfiore, Presidente Centro Nazionale Opere Salesiane e delegato del Rettor Maggiore per Expo 2015 – ritrova un approccio più ampio e coinvolgente nella visione salesiana. Fame e malnutrizione non sono soltanto un problema di produzione o sostenibilità alimentare ma riguardano direttamente l’educazione delle giovani generazioni. In un processo di educazione e formazione integrale, la promozione e la protezione dei diritti di ogni persona sono elementi fondanti e imprescindibili». Un concetto che si affianca perfettamente al messaggio del Bicentenario della nascita di don Bosco con i giovani, per i giovani.


DON BOSCO OGGI

IL PADIGLIONE SALESIANO: CASA, CORTILE, SCUOLA

I giovani saranno protagonisti a Casa don Bosco, che lungi dall’essere una “vetrina” vuole essere un luogo di incontro, «una casa – continua don Claudio – accogliente, abitabile, dove si creano delle relazioni e la vita nasce, cresce e si sviluppa per poi aprirsi al mondo esterno. Al tempo stesso sarà una scuola ricca di strumenti e percorsi che avviano alla vita, un cortile dove le giovani generazioni spontaneamente e creativamente sperimenteranno l’amicizia, l’incontro ed il confronto. Infine sarà un luogo di spiritualità, di incontri di valori umani e religiosi, in cui riconoscere la propria vocazione ed il proprio sogno. Un luogo dove conoscere proposte ed esperienze di vita che sollecitano l’assunzione di responsabilità ed il desiderio di un mondo migliore». I circa 30 gruppi della famiglia salesiana che in tutto il mondo lavorano nello spirito educativo di don Bosco collaboreranno dal 1° maggio al 31 ottobre con i salesiani per portare all’attenzione del mondo intero i giovani, prima e principale energia per il nostro pianeta. Come insegnava don Bosco «la porzione più preziosa e delicata dell’umanità». Nell’arco dei 6 mesi di Expo attività diverse (convegni, scambi ed incontri tra realtà diverse, testimonianze) faranno incontrare culture ed esperienze diverse. I giovani non saranno quindi semplici destinatari od ospiti, ma promotori delle attività di Casa don Bosco a cui saranno chiamati a collaborare, a partire dall’accoglienza e dall’accompagnamento dei visitatori.

DALL’EXPO ALL’UCRAINA

«In questo progetto di Casa don Bosco – conclude don Claudio – abbiamo voluto mantenere uno stile semplice e sobrio a partire dalla scelta dei materiali a basso impatto ambientale. In quest’ottica abbiamo quindi pensato ad un fabbricato che potesse conservare la sua utilità anche dopo Expo. Per questo abbiamo realizzato una struttura che al termine della manifestazione verrà facilmente smantellata, caricata nei container e trasportata in Ucraina dove in modo permanente continuerà a svolgere la sua funzione di casa, scuola e cortile». Tutti gli interessati a Casa don Bosco e a visitare Expo 2015 ad un prezzo ridotto possono visitare il sito www.expodonbosco2015.org. GIOVANNI COSTANTINO redazione.rivista@ausiliatrice.net

CASA DON BOSCO RACCONTERÀ, MA VORRÀ ANCHE MOSTRARE E PRESENTARE I TESTIMONI DEL SISTEMA EDUCATIVO DA LUI PROMOSSO, CIOÈ DI COLORO CHE NE HANNO BENEFICIATO O CHE LO STANNO VIVENDO IN PRIMA PERSONA: EDUCATORI E GIOVANI, EX-ALLIEVI/E, AMICI DI DON BOSCO, PICCOLI E GRANDI, TUTTI COLORO CHE POSSONO ATTESTARE LA BONTÀ DEL SISTEMA EDUCATIVO DEL SANTO EDUCATORE.

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DON BOSCO OGGI

Ferrero: il suo affetto per Maria e don Bosco

Maria Cristina Boero Baroncelli - Tilla Illustration

Michele Ferrero e i Salesiani, l’imprenditore italiano più conosciuto al mondo che ha fatto del motto “lavorare, creare, donare” una ragione di vita e don Bosco.  Una splendida e rara storia, una storia dove cuore, testa e tenacia si fondono per cercare di modellare dei sorrisi, quelli dei ragazzi meno fortunati. Del papà della Nutella, morto lo scorso febbraio, si è detto molto. Meno noto è però il suo legame con l’Ausiliatrice e con il santo dei giovani, un legame che racchiude una forte e inesauribile impronta sociale. Voleva che ci fosse una statua di Maria in ogni stabilimento della sua impresa: «Senza di lei possiamo fare ben poco» diceva, quasi parafrasando il lascito spirituale di don Bosco, «Ha fatto tutto lei», rivolto all’Ausiliatrice. Totale la sua fiducia nei Salesiani: in giro per il mondo, dovendo ricercare manodopera per la lavorazione del cacao nei suoi stabilimenti, preferiva contattare loro e favorire l’impiego dei giovani del posto usciti dagli istituti della Congregazione. 44

MARIA AUSILIATRICE N. 3

LE IMPRESE SOCIALI

Oggi sono le Imprese Sociali Ferrero, vere e proprie opere che agiscono con uno spirito comunitario, attente a creare lavoro nelle aree più svantaggiate e a realizzare progetti e iniziative rivolte soprattutto ai ragazzi, un modello per il mondo intero. Si trovano dal 2006 in Camerun (Yaoundé) e dal 2007 in India (Baramati/ Pune, Maharashtra) e in Sudafrica (Walkerville/Midvaal, Gauteng). Tutto ebbe inizio in alcuni locali che il Centro don Bosco di Yaoundè, capitale camerunense, mise a disposizione dell’azienda dolciaria, lì dove oggi, oltre all’asilo e alle classi elementari, c’è una scuola di formazione professionale: a molti dei diplomati dei corsi di pasticceria l’Impresa Sociale Ferrero ha offerto una concreta opportunità di impiego nel centro di ricerca sulle materie prime e per la trasformazione in semilavorati destinati


“CHIAREZZA DI IDEE E DI VALORI”

turo diverso e finalmente aperto a tante possibilità. Ferrero, un Benefattore anche in Italia: un “grazie” arriva dal progetto Oasi don Bosco di Ispica, nel ragusano, la realtà siciliana nata nel 2002 dall’impegno di un gruppo di giovani laici. Anche lì sono arrivati aiuti dalla fabbrica di cioccolata di Alba. In silenzio. Perché è nel silenzio che questo piemontese geniale ha lasciato una traccia forte e rara.

Ferrero è stato anche amico personale di don Pascual Chávez, nono successore di don Bosco: «Ciò che mi ha sempre colpito di lui – ha detto il IX Successore di don Bosco alla notizia della morte di questo protagonista del Novecento economico italiano – è proprio la sua semplicità, la chiarezza di idee e di valori, la sua visione e l’impegno». Le Imprese Ferrero e gli aiuti alle Opere Salesiane ci dicono molto degli insegnamenti di don Bosco, di quella felicità che viene dal dare un’opportunità, dalla speranza che scaturisce dalla sicurezza di offrire un’occupazione stabile, dalla fiducia in un fu-

ANDREA CAGLIERIS redazione.rivista@ausiliatrice.net

Famiglia Ferrero. Michele Ferrero, signora Franca e l’erede Givoanni.

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DON BOSCO OGGI

all’esportazione. A Mumbai, invece, la Ferrero sostiene il Centro di accoglienza don Bosco che si occupa di bambini abbandonati, proponendo loro un’alternativa alla strada. Una volta accolti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, i piccoli ricevono assistenza, protezione, istruzione e, una volta grandi, un aiuto nel trovare lavoro.

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DON BOSCO OGGI

Buenos Aires: “Villa miseria” intitolata a don Bosco

PIER GIUSEPPE ACCORNERO redazione.rivista@ausiliatrice.net

Dai “birichìn” di Valdocco ai “niños” di “villa miseria la Carcova” di Buenos Aires con la stessa passione “per” e “con” i giovani, specie più poveri. Papa Francesco ha inviato un messaggio per l’inaugurazione della parrocchia “San Juan Bosco” nella capitale argentina. È la prima parrocchia “villera” ed è dedicata a don Bosco nel 200° della nascita del “padre e maestro dei giovani”, avvenuta il 16 agosto 1815. Dice il messaggio papale: «Don Bosco ha lavorato tanto con i bambini e i giovani e una delle dimensioni più forti di questa parrocchia saranno i bambini e i giovani per aiutarli a integrarsi e a condurre una vita dignitosa e felice; perché abbiano un lavoro e possano formare una famiglia. Mi auguro che questa parrocchia faccia del bene a tutti». PADRE PEPE E LO SPIRITO SALESIANO

Il parroco è padre José Maria Di Paola detto “Pepe”, amico di lunga data di Bergoglio. Informa l’Agenzia di notizie salesiane (ANS): «Anche se non è salesiana, la parrocchia mette in pratica gli insegnamenti di don Bosco nel dedicarsi ai giovani, specie a quelli che vivono emarginati nelle periferie. Padre Pepe ha disseminato il territorio di ben 9 cappelle. I registri parrocchiali hanno segnalato che nel 2014 ci sono stati 600 battesimi, dieci volte di più del 2013». Padre Pepe spiega: «Dove la Chiesa torna a essere presente “ospedale da campo” per corpi e anime che lenisce le ferite, lì chi si è allontanato ritorna con una certa facilità». IL GIOVANE BERGOGLIO “GESUITA SALESIANO”

Da giovane prete padre Bergoglio impara a conoscere le “Villas miserias o Villas de emergencia”, spesso abusive e sempre precarie. Con l’autobus 70 va a “Villa mi46

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seria numero 21” e trova povertà, analfabetismo, droga, tratta delle bambine, prostituzione, smercio di armi. Da provinciale porta i giovani gesuiti perché vedano e si sporchino le mani. Alcuni confratelli storcono il naso e lo chiamano “gesuita salesiano”. Quei preti dicono Messa agli incroci, confessano, battezzano, in prima linea nella lotta ai “narcos” che, come in tutto il mondo, non gradiscono e li minacciano. Diventato arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio “elegge” le periferie a centro dell’impegno pastorale, non arretra di fronte alle minacce e crea il “vicariato per le Villas”.   Centoquarant’anni fa, l’11 novembre 1875 nella basilica di Maria Ausiliatrice don Bosco benedice la prima spedizione missionaria, capitanata da don Giovanni Cagliero e composta da altri 5 sacerdoti e quattro coadiutori.   Ogni missionario reca un foglietto con “i ricordi” scritti da don Bosco: «Cercate anime, non denari, né onori, né dignità; prendete speciale cura degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guada-


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ta Vassallo di origini liguri-piemontesi, il figlio Mario nato a Torino – emigrano in Argentina dove in un decennio arrivano 535 mila italiani. DON BOSCO PATRONO DELLA PATAGONIA

gnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini; fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini. Fra voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, non portatevi né invidia né rancore, anzi il bene di uno sia il bene di tutti, le pene e le sofferenze di uno siano pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle; nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in Cielo». Li accompagna a Genova dove il 14 novembre si imbarcano sul piroscafo francese Savoie.   Due anni dopo, nel barrio (quartiere) Almagro di Buenos Aires i Salesiani inaugurano la chiesa parrocchiale, le scuole di Arti e Mestieri, l’oratorio: nella cappella di sant’Antonio nel 1908 nasce la squadra di calcio san Lorenzo de Almagro dal nome del fondatore, il salesiano don Lorenzo Massa.   Mezzo secolo dopo i Bergoglio – l’astigiano Giovanni Angelo, Rosa Margheri-

Come dice don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei Salesiani e decimo successore di don Bosco: «L’Argentina non può essere spiegata se non va di pari passo con la presenza dei figli e delle figlie di don Bosco, questo gigante italiano-piemontese che lo Stato e la Chiesa argentine riconoscono come patrono della Patagonia».   Il 15 febbraio scorso padre Pepe è stato a Torino. Con don Luigi Ciotti hanno presentato il libro Preti dalla fine del mondo. Viaggio tra i curas villeros di Bergoglio edito da Editrice Missionaria Italiana (EMI). Coordina il gruppo di 20 sacerdoti che operano nei quartieri più degradati per il grande disagio, la violenza e la povertà. È minacciato di morte dai “narcos” per l’impegno nel liberare i giovani dalla droga: «Il mio progetto è arrivare ai ragazzi prima di chi vende loro la droga o mette loro un’arma in mano». Perché la dipendenza dalle sostanze – come il “paco”, ottenuto dagli scarti della cocaina, pericolosissimo e dannosissimo – «non riguarda i giovani che vanno o non vanno a Messa: riguarda il senso della vita, sapere per che cosa ti alzi ogni mattina». Papa Bergoglio disse di questi preti: «Vivono in modo impegnato con i poveri».

DON BOSCO AI MISSIONARI: «CERCATE ANIME, NON DENARI, NÉ ONORI, NÉ DIGNITÀ; PRENDETE SPECIALE CURA DEGLI AMMALATI, DEI FANCIULLI, DEI VECCHI E DEI POVERI, E GUADAGNERETE LA BENEDIZIONE DI DIO E LA BENEVOLENZA DEGLI UOMINI»

Preti dalla fine del mondo Viaggio tra i curas villeros di Bergoglio Premat Silvina EMI, 2014 pagine 272, euro 18,50 Disponibile in eBook a euro 12,99 MAGGIO-GIUGNO 2015

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DON BOSCO OGGI

Niente al caso. Tutto all’amore. Don Timoteo, 1922, anno da libro di storia, principalmente a causa di uno che fece la Marcia su Roma. Lei invece cominciava la sua lunga marcia della vita. Sono nato il 18 marzo 1922 a Grantorto (Padova) da Emilio ed Elvira, settimo figlio. Due ottimi genitori; la mamma era una vera e grande credente. Purtroppo è morta molto giovane, quando io avevo pochi mesi. Alla suora che l’assisteva in punto di morte e che le aveva chiesto se le dispiaceva di lasciare il marito ed i figli ancora piccoli, rispose: «No. Perché io li ho già consegnati al Cuore di Gesù. Sono sicura che Lui ci penserà».

Don Timoteo Munari, salesiano, classe di ferro 1922: vive nella Casa Madre SDB di Torino-Valdocco, e “lavora” ancora come confessore e direttore spirituale. È stato segretario di un superiore maggiore, vice parroco a Torino-Monterosa, prezioso collaboratore della Rivista Maria Ausiliatrice. Volete conoscerlo?

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Nel 1934 lei è arrivato a Valdocco, la Casa Madre dove si respirava l’onda lunga della santità di don Bosco e dei successori. Sono arrivato nel mese di ottobre, e vi sono rimasto solo poco tempo. Però ho potuto visitare la Basilica di Maria Ausiliatrice proprio come don Bosco l’aveva costruita. Quindi ho “conosciuto” anch’io don Bosco attraverso la sua bella opera. Ho fatto gli studi a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo don Bosco) e a Ivrea, dove era molto forte l’entusiasmo per le Missioni. Desideravo anch’io partire missionario. Ma tutto si è bloccato a causa della guerra, e perciò continuai gli studi di filosofia e teologia in Italia. Diventato sacerdote nel 1948, è stato scelto come segretario di un superiore maggiore. Per quanti anni? C’è qualche ricordo particolarmente importante? Sono stato chiamato alla Casa Madre di Valdocco, come segretario di don Modesto Bellido: un vero salesiano e bravo superiore che ispirava e dava fiducia a tutti. Oltre il lavoro da segretario, ho lavorato molto per aiutare i missionari: con mostre,


Nel 1978 è stato nominato vice parroco nella parrocchia salesiana di Torino-Monterosa. Che cosa ci racconta di quegli anni? Sono stati anni bellissimi. Ricordo specialmente le gite pellegrinaggio con un numeroso gruppo di anziani, in splendidi posti della nostra Italia, in Liguria, nelle Marche, nelle Isole Tremiti, nella foresta Umbra e nel Gargano.   Nel 1992 è tornato a Torino-Valdocco, a lavorare nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Con quale incarico? Come prefetto di sacrestia della Basilica e come confessore sempre a disposizione dei fedeli e dei pellegrini. Il lavoro non mi mancava certamente.   Lei è anche stato (1999-2010) un costante collaboratore della Rivista Maria Ausiliatrice, edita all’ombra della Basilica. I suoi articoli, disponibili su internet dall’anno 2000, secondo un’informazione sicura, sono ancora oggi molto cliccati, e quindi continuano a fare del bene. È contento don Timoteo? Sono stato molto contento di questa collaborazione. Gli argomenti che ho trattato nella Rivista sono stati: il Padre Nostro, le Opere di Misericordia sia corporali sia spirituali, le Virtù teologali, le Virtù cardinali, i doni e i peccati contro lo Spirito Santo, i Novissimi ecc.   Dalla fine del 2014 sono stati messi on line sul Sito della Casa Madre i suoi scritti più personali, alcune riflessioni, preghiere, poesie… C’è un filo conduttore che lega tutto? E perché il titolo: Niente è dato al caso.Tutto all’Amore? Sì, il filo conduttore di tutto è dato dal titolo: Alla ricerca di Dio che gioca a na-

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conferenze, banchi di beneficenza.

scondino in questa meravigliosa creazione. Sono stato sempre affascinato e appassionato dalla bellezza della natura: dai fiori, dai colori, dai profumi, dal canto degli uccelli, dalle stelle, dal mare, degli splendidi tramonti, specialmente quelli di Roma. Tutto mi parlava di Dio, tutto mi portava a questo Dio che è vivo, vero, bello e così splendidamente presente e parlante nella creazione.   Ultima domanda: quando va in pensione? Vedo che continua a “lavorare” qui nel suo ufficio-confessionale a fianco dell’altare di don Bosco nella Basilica. Non lo trova “pesante”? Per niente, lo trova esaltante. Continuo ad incontrare quelli che credono, quelli che non credono (pochi), quelli che si convertono, quelli ancora in ricerca, quelli che lottano per la propria fede e lo fanno con coraggio, quelli che piangono per la testimonianza della propria fede, quelli che già vivono di Dio e per Dio, e lo testimoniano in famiglia, sul lavoro, giorno dopo giorno. Di tutte le età.   Don Timoteo, grazie a nome di tutti i lettori e collaboratori della Rivista. Le chiediamo una benedizione ed un augurio. La mia benedizione e l’augurio che tutti possiate vivere nell’amore Dio e nella certezza di vederlo un giorno quando ci accoglierà nella sua Casa. Amen.

LA SERA. LA SERA HA LA SUA LUCE E LE SUE OMBRE: QUESTE NON MI SPAVENTANO PERCHÉ QUELLA NON MI ABBANDONA MAI.

A CURA DI MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

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Il Magnificat della vita In quest’anno che la Chiesa dedica alla Vita Consacrata, ecco la testimonianza di una Volontaria di Don Bosco, o come diceva il beato don Filippo Rinaldi, “Figlia di Maria Ausiliatrice nel secolo”.  Se dovessi tradurre in un canto queste righe, ne farei sicuramente uno di lode e di ringraziamento a Gesù e a Maria Immacolata Ausiliatrice per il dono della vita ed in particolare della vita consacrata nella grande Famiglia di don Bosco! A giugno, compirò 50 anni e guardando alla mia storia, trovo innumerevoli segni che hanno guidato passo dopo passo il mio cammino tra luci, ombre, gioie e dolori. Stupore, gioia profonda, gratitudine vibrano nelle corde del mio cuore.   Appartengo all’Istituto delle Vo-

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lontarie di don Bosco, fondato nel 1917 dal beato don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco. La mia prima professione risale a dicembre 2003. Vivo da sola. Sono figlia unica, cresciuta in una famiglia nutrita dal “latte” della testimonianza di fede profonda di figure femminili davvero speciali. Ricordo la mia bisnonna, la mia nonna materna e la mia mamma, che sono tutte in cielo... Accanto a loro c’è stata e continua ad esserci la testimonianza delle Figlie di Maria Ausiliatrice che conobbi nel 1983. Allora ero una


“LE FORZE UNITE DIVENTANO FORTI”

Il Signore mette sul nostro cammino molti segni del suo Amore e della sua tenerezza: sta a noi saperli cogliere nei piccoli e grandi avvenimenti quotidiani e nella presenza delle persone che abbiamo vicine. Certo, fra questi segni ci sono anche i momenti di fatica, di dolore, di buio. È difficile ammetterlo, eppure il Signore si serve anche di queste prove per guidarci, per farci crescere; anzi è proprio lì che tocchiamo con mano la sua tenerezza e il suo aiuto. Attualmente continuo a svolgere il mio lavoro di insegnante di sostegno in una scuola primaria e nello stesso tempo conduco un laboratorio musicale per bambini da sei a dieci anni con attenzione particolare a quelli con difficoltà. Cerco di essere vicina alle famiglie, soprattutto alle mamme, condividendo con loro le gioie, le difficoltà e le speranze del cammino educativo. Il progetto che ho nel cuore è di dar vita a Educatori con don Bosco, cioè un gruppo di insegnanti che intendono appro-

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giovane maestra ventenne, appassionata di pittura e di musica (studiavo il pianoforte). Rimasi subito affascinata dal sistema educativo di Don Bosco. Cominciai a frequentare l’oratorio delle FMA e diventai salesiana cooperatrice. Poi, piano piano, scoprii che il Signore mi chiamava a consacrare la mia vita a Lui e iniziai a conoscere l’Istituto delle Volontarie di Don Bosco. Potevo così consacrarmi a Dio rimanendo nel mondo, nella mia famiglia ad assistere i genitori e nella scuola. Mai mi sarei immaginata tutto questo!

fondire ed applicare concretamente il metodo educativo di don Bosco nelle diverse realtà in cui si trovano, cercando di costruire ponti tra gli insegnanti stessi e i genitori. Riporto una citazione a me cara: «Le forze deboli quando sono unite diventano forti e se una cordicella presa da sola facilmente si rompe è assai difficile romperne tre riunite» (don Bosco). PARTE DELLA GRANDE FAMIGLIA SALESIANA

Mi sento una donna in cammino, realizzata come donna e madre grazie alla vocazione di consacrata, feconda, nonostante le difficoltà e i limiti della mia umanità. Mi sento non sola, ma dentro ad una grande Famiglia che comprende, oltre alle sorelle VDB, anche le Figlie di Maria Ausiliatrice. Sento il bisogno di un cammino mariano serio e profondo in quest’anno speciale, perché Maria è il nostro modello di Donna Consacrata e di Madre, guida che ci porta all’unione autentica con Gesù ed esempio di donna umile che si è affidata totalmente a Dio nel silenzio della vita quotidiana, dove meditava, serviva con amore, era ed è luce e guida vicina sempre come madre a chi è nel bisogno. Io desidero camminare alla guida di Maria all’interno dell’Istituto delle Volontarie di Don Bosco, “sentendo” un nome, a suo tempo dato, che in me risuona gioioso, “Figlia di Maria Ausiliatrice nel secolo” proprio sull’esempio delle nostre prime sorelle che con don Rinaldi diedero origine al nostro Istituto.

LE VDB SONO DONNE CONSACRATE SECOLARI SALESIANE. VIVIAMO NEL MONDO CON RISERBO, SENZA COMUNICARE LA NOSTRA CONSACRAZIONE SE NON CON LA NOSTRA TESTIMONIANZA DI VITA. IL NOSTRO STILE È ESSERE NEL MONDO MA NON DEL MONDO. PER CONTATTARCI PUOI SCRIVERE A formazione.vdb.to@gmail.com

UNA VOLONTARIA DI DON BOSCO archivio.rivista@ausiliatrice.net

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L’AGeSC premia la Congregazione Salesiana L’Associazione Genitori Scuole Cattoliche ha conferito il Premio Mauro Macchi al Rettor Maggiore, per la grande opera a favore dell’educazione dei giovani

In riconoscimento «della grande opera compiuta dalla Congregazione Salesiana a favore dell’educazione dei giovani, soprattutto i più fragili, in Italia e in tutto il mondo». Questa la motivazione con la quale lo scorso marzo l’AGeSC - Associazione Genitori Scuole Cattoliche ha conferito il Premio Mauro Macchi al Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime. L’AGeSC, nata esattamente 40 anni fa, è un’associazione di promozione sociale, riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana e dal Ministero della Pubblica Istruzione. È uno “strumento” che i geni-

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tori delle scuole cattoliche si sono dati per aiutarsi ad approfondire i rapporti con la scuola, con la religione cattolica e con la società civile. Gli ambiti in cui opera sono i genitori, le famiglie, la comunità scolastica, le scuole, le istituzioni. Il premio intitolato alla memoria di Mauro Macchi, a sua volta, è stato istituito per ricordare l’impegno profuso da uno dei fondatori dell’ AGeSC, e negli scorsi anni è stato conferito a personalità impegnate nell’associazionismo, nell’azione educativa, nel mondo culturale o politico. Quest’anno il riconoscimento è stato dato, appunto, alla


DON BOSCO OGGI

Congregazione Salesiana, ed è stato ritirato da don Francesco Cereda, Vicario del Rettor Maggiore. UN GRANDE RUOLO NELLA SCUOLA

Come si ricorda nella motivazione, «le scuole salesiane rappresentano una grande e importante parte della scuola cattolica e della formazione professionale di ispirazione cristiana del nostro Paese e la loro opera è riconosciuta da tutti, ma in particolar modo dai genitori, esemplare per la dedizione nell’azione educativa, per la qualità dell’istruzione, per l’accoglienza e il coinvolgimento delle famiglie, per l’apertura alla società». Inoltre, l’ AGeSC «ha sempre trovato al proprio fianco la Famiglia Salesiana nella battaglia per il diritto di scelta educativa dei genitori in Italia. In particolare molti esponenti della Congregazione – non possiamo non ricordare gli ultimi due assistenti ecclesiastici nazionali, don Pierino De Giorgi e don Renato Mion – hanno accompagnato la vita della nostra Associazione mettendo a disposizione la loro alta professionalità e il loro grande bagaglio culturale e sapienziale nell’offrirci consigli e suggerimenti, collaborando anche nella stesura del piano di formazione genitori AGeSC». A questo, si aggiunge la felice ricorrenza del Bicentenario della nascita di don Bosco, «consapevoli che il carisma salesiano è un punto di riferimento essenziale per chiunque vive l’avventura dell’educazione e dell’istruzione dei giovani, è un sostegno alla responsabilità educa-

tiva delle famiglie ed è uno stimolo a costruire il bene comune, in una società basata su libertà, solidarietà e sussidiarietà». LA FAMIGLIA ARISORSA PER IL PAESE

Durante il concomitante Congresso nazionale, è stato riconfermato alla presidenza, per il prossimo triennio, Roberto Gontero. Gontero, è nato nel 1961, sposato con tre figli, a Torino; è libero professionista ed ha maturato una grande esperienza di volontariato nell’Operazione Mato Grosso in Brasile e poi nell’ AGeSC, dove è stato presidente regionale in Piemonte. Per il presidente, la famiglia «è la risorsa essenziale su cui si costruisce il bene comune del Paese». Ha sottolineato, inoltre, che il testo di riforma della scuola (allo studio mentre scriviamo) «presenta molte novità che potrebbero modificare il nostro sistema scolastico, caratterizzato da troppa burocrazia e da un monopolio statalista inadeguato ai bisogni educativi di oggi. Ma non si possono non rilevare anche le molte ombre che rischiano di far deragliare il progetto rispetto agli obiettivi indicati». Ha chiesto particolare attenzione per «la libertà di scelta delle famiglie, la possibilità che gli insegnanti di scuola paritaria possano scegliere di restare in questa scuola senza perdere il diritto al ruolo e che si operi per consolidare i percorsi di Istruzione e formazione professionale».

L’AGESC È GRATA AL PRESIDENTE DELLA CEI, CARDINALE ANGELO BAGNASCO, PER AVER RICORDATO COME SIA «IN GIOCO LA LIBERTÀ DI EDUCAZIONE DEI GENITORI PER I LORO FIGLI. NON È UNA CORTESIA CONCESSA A QUALCUNO, MA È UN DIRITTO DEI GENITORI: DIRITTO FONDAMENTALE CHE - UNICO CASO IN EUROPA - IN ITALIA È STATO AFFERMATO A PAROLE, MA NEGATO NEI FATTI DA TROPPO TEMPO». ROBERTO GONTERO, IN RELAZIONE ALLA PROLUSIONE TENUTA DAL CARD. BAGNASCO IN APERTURA DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE. DEL 23/3 (SIR, 24/3/2015).

Roberto Gontero, riconfermato alla presidenza dell’AGeSC.

LORENZO BORTOLIN redazione.rivista@ausiliatrice.net

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DON BOSCO OGGI

La casa fondata sulla roccia

Il motto scelto per il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice Hic domus mea, inde gloria mea, assume particolare significato anche in coincidenza con la ricorrenza storica dei 150 anni della posa della prima pietra della Basilica di Maria Ausiliatrice, avvenuta il 27 aprile 1865.  «Questa è la mia casa; da qui la mia gloria»: erano queste le parole che don Bosco aveva lette su di un grandioso fabbricato, visto in sogno agli inizi della sua opera. La gloria di Dio si sarebbe manifestata al di là della cerchia dell’Oratorio di Valdocco, quando sarebbe sorta la chiesa di Maria Ausiliatrice. Nella primavera del 1864 si erano iniziati gli scavi, gettate le palafitte e costruiti i sotterranei del futuro tempio.

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

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MARIA AUSILIATRICE N. 3

Nelle intenzioni di don Bosco era la celebrazione della posa della pietra angolare che avrebbe dovuto attirare l’attenzione di tutta la città e, se possibile, dell’intero Piemonte, su di un’opera grandiosa, affidata esclusivamente alla carità di benefattori e devoti. La data per la manifestazione fu fissata per il 27 aprile 1865. Don Bosco volle che la cerimonia fosse solenne. Da parte ecclesiastica, essendo la sede episcopale di Torino vacante, ottenne l’intervento del Vescovo di Susa, Mons. Giovanni Antonio Odone. Anche le massime autorità civili avevano assicurato la loro presenza. Ma il Santo aveva mirato più in alto. La presenza di un membro della famiglia reale avrebbe dato alla cerimonia maggior valore e più vasta risonanza. Per questo aveva invitato il principe Amedeo, terzogenito del re Vittorio Emanuele II, ed egli aveva accettato. Quando giunse il


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principe, la suggestiva cerimonia ebbe inizio. Il vescovo benedisse la pietra angolare, nell’incavo della quale vennero introdotti il verbale della cerimonia e un’elegante iscrizione latina, composta da don Francesia.   Da quel 27 aprile don Bosco iniziava un triennio particolarmente duro per le ingenti somme richieste dalla nuova fabbrica. La sua, a considerarla con le povere viste umane, si doveva definire un’autentica pazzia. Ma non era tale per un santo come lui già allenato alle meraviglie della Madonna. E non era pazzia neppure per il suo impresario, il quale se era rimasto deluso dagli iniziali troppo smilzi otto soldi di caparra, se li era poi visti moltiplicare settimana per settimana in marenghi d’oro sonanti, fino al milione di lire di allora, quante ce ne vollero per la costruzione. Al termine egli si trovò col denaro in mano e una fiducia in don Bosco tale che un giorno gli uscì di bocca la strabiliante affermazione: «Io per don Bosco sarei pronto ad assumermi la costruzione di dieci chiese contemporaneamente!».   Oggi Maria Ausiliatrice vuole porre la sua pietra fondamentale nelle nostre case: dalla casa di Maria alle nostre case. Maria vuole rinnovare la famiglia rendendo le nostre case cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche, sostenendo la nobile fatica del lavoro, dell’educazione, dell’ascolto, della reciproca comprensione e del perdono e ridestando nella nostra società la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile e facendo di ogni famiglia una dimora accogliente di bontà e di pace per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo, per chi è povero e bisognoso.   Il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), è un evento di tutta la Famiglia Salesiana e si terrà a Torino e al Colle don Bosco dal 6

al 9 agosto 2015. S’inserisce provvidenzialmente nell’anno in cui si celebra il Bicentenario della nascita di don Bosco e in cui la Chiesa dedica una particolare attenzione alle sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. È online il sito del Congresso, raggiungibile all’indirizzo www.congressomariaausiliatrice2015.org, e disponibile in italiano, inglese e spagnolo. Ulteriori informazioni possono essere richieste a: congresso@ admadonbosco.org. Ogni mese attraverso l’ADMAonline (www.admadonbosco. org) è possibile condividere il cammino formativo di preparazione al Congresso che ne presenta le prospettive e gli obiettivi. PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org

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DONO BOSCO OGGI

Famiglie in cammino con Maria  Continuiamo a condividere le esperienze di vita di famiglie che fanno parte dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) o ne sono simpatizzanti. Queste condivisioni vogliono anche accompagnare la preparazione al VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice che sarà celebrato a Torino e al Colle don Bosco dal 6 al 9 agosto del 2015. ELEMENTI PORTANTI LA VITA DI FEDE E DI FAMIGLIA

«Abbiamo individuato tre elementi portanti che sostengono la nostra vita di fede e di famiglia. Uno è la grazia di aver potuto fare un cammino assiduo, dall’ultimo anno di fidanzamento fino ad oggi. Questo ci ha permesso di essere accompagnati in tutte le fasi della nostra vita matrimoniale, di superare le fatiche che abbiamo incontrato, senza che queste ci allontanassero dalla Chiesa cercando altri porti. Anche oggi che partecipiamo al cammino dell’ADMA con i figli è bello vedere come sia un momento di grazia anche per loro: il Signore parla anche al

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loro cuore attraverso le attività, l’ambiente e le persone che si occupano di loro durante gli incontri. Secondo: la guida spirituale e la confessione regolare. Non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per averci messo accanto in questi anni santi sacerdoti!   Terzo: aver scoperto la presenza di Maria nel cammino di fede per arrivare a Gesù, l’affidamento a Lei delle nostre vite, dei nostri figli, delle nostre fatiche. Da quando abbiamo capito l’importanza di prenderLa in casa nostra, alla sera non si va più a letto senza aver pregato insieme il rosario.   Grazie all’affidamento a Maria è diventato per noi un momento molto bello accogliere in casa nostra (o organizzare nei locali parrocchiali) l’incontro di preghiera del rosario mensile. È faticoso sì, ma anche rasserenante perché pensiamo che la Madonna sia contenta che altre famiglie grazie a questo momento di avvicinino a Lei.   Io (Monica) con l’aiuto di Maria ho fatto piccoli passi nella mortificazione del mio orgoglio, nell’obbedienza a Paolo an-


UNA VOCAZIONE IMPORTANTE E IMPEGNATIVA

«Abbiamo iniziato il cammino con le famiglie nel 2005 poi confermato con l’adesione all’ADMA nel 2009. Siamo rimasti da subito coinvolti e attratti dalla presenza del Signore che ci chiamava ad accogliere

DON BOSCO OGGI

che quando non capisco alcune sue posizioni. Ho sperimentato che cedere per prima in fin dei conti fa bene ad entrambi, prima di tutto al mio orgoglio e alla mia voglia di controllo della situazione, e permette a mio marito di beneficiare di uno spazio per tirare fuori il meglio di sé. Io (Paolo) sono stato aiutato molto da questo gruppo in cammino, specialmente nel non sentirmi arrivato, nel cercare di migliorarmi e di mettermi in discussione per vivere in modo più coerente il mio essere cristiano. L’esempio di tante persone che fanno parte dell’ADMA mi ha aiutato a crescere e stimolato a conoscere e a ricercare Maria e Gesù.   Le cose che facciamo sono comunque pochissima cosa rispetto a tutte le grazie che sono piovute sulla nostra famiglia in tutti questi anni!», Paolo e Monica.

e a rispondere ad una vocazione importante e impegnativa, quella di ritornare ad essere sposi e genitori cristiani, portatori di Gesù nel mondo attraverso l’affidamento a Maria Ausiliatrice.   La nostra vita è cambiata, tra noi sposi e con i figli, abbiamo imparato a pregare, conoscere, amare e servire Gesù e Maria alla scuola di don Bosco. Abbiamo imparato a coltivare la fede, la speranza e l’amore per affrontare ogni giorno le difficoltà della vita, con la certezza che non siamo mai soli ma una grande famiglia di famiglie che si vogliono bene e che pregano gli uni per gli altri. Che bella e consolante l’amicizia cristiana! Quando abbiamo iniziato il cammino avevamo già tre figli ma il buon Dio ci ha dato la straordinaria occasione di essere di nuovo genitori alla scuola di Maria donandoci altri due bambini! Vogliamo ringraziare con tutto il cuore per il cammino percorso», Flavio e Rossella. ADMA FAMIGLIE redazione.rivista@ausiliatrice.net

«LE COSE CHE FACCIAMO SONO COMUNQUE POCHISSIMA COSA RISPETTO A TUTTE LE GRAZIE CHE SONO PIOVUTE SULLA NOSTRA FAMIGLIA IN TUTTI QUESTI ANNI!», PAOLO E MONICA.

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CHIESA E DINTORNI

Dolcezza di Dio e dolcezze degli uomini  «Se Torino avesse il porto…» Era l’affermazione di quanti avrebbero voluto caratterizzare ulteriormente la dolcezza della nostra città. Ma il mare lo si può solo immaginare. Non resta che altra via e certezza: le numerose bellezze e dolcezze che qui fanno capolino sono circondate da montagne, cultura, gianduiotti e… Sida. La pasticceria «è nata qui» come sostiene il signor Mario, «in corso Regina Margherita 157/f». Qui, Mario, Maria, Elena e Serena sono di casa. Una bella famiglia. Ma è di casa chiunque si trovi a passare, al mattino, quando servono gli zuccheri giusti, per una dolce, sana e “cremosa” colazione o nelle ore successive per “pane quotidiano” a mezzogiorno. UN PEZZO DI STORIA DEL QUARTIERE VALDOCCO

Mentre tutto cambia, fuori, qui dentro i pasticceri si rincorrono come bimbi felici tra i loro giochi; passato, presente 58

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e futuro: si tengono insieme. Armonia, forma, grazie, eleganza. Tutto artigianale, dal 1926! Il passato-presente ha dei nomi: Mario Mangiardi e Maria Nappi. Il presente-futuro, Elena e Serena. A due passi dalla Basilica Maria Ausiliatrice. Sida “è avanti”: qui è da un pezzo che si rispettano le “quote rosa”. Al lavoro, tre donne più due “dietro le quinte”. Il solo uomo è Mario.   Da queste parti, la crisi economica colpisce indistintamente tutti e tutto da ormai un lustro. Elena e Serena, contrariamente a quanto succede per altri riescono a “mordere la crisi” e a “non farsi mordere”, lanciando nuove idee. Efficacia, efficienza, costi, ricavi, tradizione, innovazione. Sono preparati! Papà Mario ed Elena infatti, vantano un trascorso tra le fila di quanti hanno frequentato e si sono “licenziati” dal Quintino Sella. (Storico Istituto Tecnico Commerciale per Ragionieri di Torino). Per Elena e Serena studi


CHIESA E DINTORNI

anche presso le scuole salesiane di don Bosco, che qui, a due passi hanno casa ed oratorio. Il primo di don Bosco.   Quindi con i conti, non si scherza. La pasticceria offre lavoro anche a due dipendenti. «La maggior parte dei pranzi li facciamo con una clientela ormai collaudata, proveniente dagli uffici, qui intorno: Regione, Sanità, Satap, per una quarantina di pasti al giorno». CUCINA, PARABOLA DEL PARADISO, GRAZIE ALL’EMAIL!

Chi è intenzionato a consumare da voi il pranzo, come può fare? «Può utilizzare l’email. Invio la composizione del pasto del giorno: i piatti, i primi, i secondi. Il cliente sceglie. Basta a tutte quelle lavagne e fogli che pullulano fuori dai locali. Un’email e via. Così offriamo agio e rilassatezza al momento del pasto».   Elena e papà Mario si ritrovano la sera per decidere cosa comprare per il pranzo del giorno successivo. Il giorno dopo, verso le undici, Elena manda la famosa ed attesa email. Tipo: «Buon giorno, in elenco il menù del giorno: Risotto con gallinella e salmone, salmone con salsa all’aceto balsamico, filetto di sogliola con carciofi, patate arrosto, patate duchessa, melanzane. Saluti! Elena».   «Chi vuol pranzare qui risponde all’email indicando quale piatto preferisce gustare e l’ora in cui intende arrivare. Alcuni rispondono direttamente via email, altri con un sms». Elena nel giro di poco diviene l’”architetto” della Sida e con la mappa dello spazio e dei tavolini occupati si mette all’opera per fare spazio.   A partire dalle 12,30, fino alle 14 circa, Elena e Serena hanno due turni per il pranzo, servendo la clientela con cura, attenzione, garbo. Un’attenzione meticolosa a tutti e tutto, anche a chi arriva… senza avvisare. È proprio vero come affermava Simone Weil: «L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità».

LA VITA È RITMATA, CIRCONDATA, PROMOSSA DALL’AFFETTO E DAL CIBO

«Tutto è fatto in casa. Il surgelato da noi è bandito. Abbiamo due forni. Uno ha 70 anni, l’altro è computerizzato, adatto ai tempi. Poi, c’è un forno a lievitazione per le brioches. Di queste, nella vetrinetta, normalmente, restano solo le briciole». Personalmente ho provato sia la pasticceria sia il pranzo. Fantastico. Quello che mi ha colpito è stato il senso di futuro, di ottimismo, tutto al femminile. Come sosteneva il teologo Bonhoeffer, «L’essenza dell’ottimismo è non curarsi del presente, esser fonte di ispirazione, vitalità, speranza dove gli altri si rassegnano: l’ottimismo ci fa tener alta la testa, rivendicando per noi stessi il futuro, senza abbandonarlo ai nostri nemici». Sida è un luogo accogliente, e chi ci lavora non ti fa mai sentire solo. Sempre parole misurate, giuste. In definitiva, accolto e coccolato. Il mio consiglio? Andateci, mentre passate dal Santuario Maria Ausiliatrice. Provare per credere. ROMANO BORRELLI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Mario, Maria, Elena e Serena nella loro pasticceria.

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DON BOSCO OGGI

Bagna… alternativa (sui peperoni)

ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Alternativa a che cosa? Alla bagna caoda, naturalmente: a crudo, senza aglio, leggera, digeribile e altrettanto gustosa. Così, come leggere ed efficaci, personalizzate, erano le “paroline all’orecchio” di don Bosco ai suoi ragazzi, sussurrate al momento giusto, durante una ricreazione, prima della buona notte, o quando sembrava urgente e necessario dirle. Paroline efficaci in ogni tempo e luogo: «Come stai? E di anima, come stai? Pensa al giudizio di Dio». «Quando vuoi che rompiamo le corna al diavolo con una buona confessione?». «Temi che il Signore sia sdegnato con te? Ricorri alla Madonna». «Il Paradiso non è fatto per i poltroni. Prega, prega bene e certamente ti salverai». «Non fidarti troppo delle tue forze. Pensa a Dio, sarai più buono e più contento». «Ti trovi in tempesta? Invoca la Madonna, è la stella del mare». «Se tu mi aiuti, voglio renderti felice in questa vita e nell’altra». «Lavoriamo, lavoriamo, ci riposeremo in Paradiso!». «Coraggio! Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!». Frasi semplici e confortanti, quasi come quelle di Papa Francesco. Le possiamo ripetere oggi e domani, ai figli, agli amici, alle persone care. E don Bosco non si offenderà se le accostiamo ad una veloce ricetta di cucina. Abbrustolire e pelare i peperoni, tagliarli a grosse strisce e disporli su un vassoio, alternando i colori. Mixare in un robot da cucina (o nel frullatore) il tonno e gli altri ingredienti. Versare sui peperoni la salsa ottenuta. 250 gr di tonno 9 filetti di acciuga 1 cucchiaio di capperi 2 cucchiai di aceto bianco 1 bicchiere d’olio 4 peperoni rossi e gialli 60

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Aloni lasciati dall’acqua usata per spegnere l’incendio del 1532 Auréoles laissées par l’eau utilisée pour éteindre l’incendie de 1532 Manchas dejadas por el agua usada para extinguir el fuego de 1532 Stains left by water used

SINDONE• SAINTE SUARIE LA SABANA • HOLY SHROUD

Ferita del costato Blessure du côté Lesión en el costo Side wound

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Abrasioni della scapola e della spalla

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Ferita del piede destro Blessure du pied droit Herida del pie derecho Wound of the right foot

Colature di sangue degli avambracci Stille e rivoli dalla nuca Coulée de sang sur les avant-bras Gouttes et traînée de sang Goteas de sangre en los antebrazos sur la nuque Gotas y riachuelos de la nuca Dripping blood from the forearms Drops and rivulets from the nape

Aloni lasciati dall’acqua usata per spegnere l’incendio del 1532 Auréoles laissées par l’eau utilisée pour éteindre l’incendie de 1532 Manchas dejadas por el agua usada para extinguir el fuego de 1532 Stains left by water used

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Ustioni e fori precedenti al 1532 Brûlures et trous avant 1532 Quemaduras y agujeros antecedentes el 1532 Burns and holes dating before 1532

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Ustioni e fori precedenti al 1532 Brûlures et trous avant 1532 Quemaduras y agujeros antecedentes el 1532 Burns and holes dating before 1532

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