Maria Ausiliatrice d e l l a
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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
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TENEREZZA DI UNA MADRE FORTE Maria L’Ausiliatrice
Non si può parlare di Don Bosco senza parlare di Lei
Un amore incondizionato oltre le bariere dei cuori
La misericordia non bada ai meriti
Un cammino in profondità con Carlo Miglietta
ISSN 2283–320x
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Maria Ausiliatrice r i v i s t a
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Misericordia voglio e non sacrificio
Foto di Mario Notario
C’è un episodio biblico che mi interroga sempre sulla concretezza dell’agire quotidiano. Gesù è a pranzo da Matteo, il pubblicano che riscuote le tasse, ed è criticato dai farisei. Gesù li sente e dice: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12-13). Ecco, la parola che mi interroga è “misericordia”. Perché è facile parlare di misericordia e quindi, di comprensione, di perdono, ma poi, specie dopo un comportamento spiacevole nei nostri confronti, ecco critiche, severità, intransigenza… Dobbiamo, invece, lasciarci interrogare da questa parola e metterla in pratica. Non a caso, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario che stiamo vivendo, papa Francesco ha scritto che «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre (…) Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato». In questo mese di maggio, da sempre dedicato a Maria, e in particolare il giorno 24, quando la invocheremo come Ausiliatrice (e con tanti di voi ci ritroveremo anche in Basilica), chiediamole di essere testimoni di Misericordia verso tutti. Lei, che ha saputo esserne maestra, ci faccia mettere in pratica quanto ha cantato nel “Magnificat”: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1,49-50). Vi assicuriamo il nostro costante ricordo in Basilica.
Don Franco Lotto RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net
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bernardina do nascimiento
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francesca zanetti
ezio risatti
1 Misericordia voglio e non sacrificio don franco Lotto
A TUTTO CAMPO 4 M aria: l’Ausiliatrice Lorenzo Bortolin
chiesa e dintorni 7 L a croce e l’abbraccio Anna Maria Musso Freni LA PAROLA 8 Perché si compia il progetto di Dio
marco rossetti
MARIA 10 Il movimento mariano giovanile Bernardina do Nascimento
12 UN AMORE INCONDIZIONATO Francesca Zanetti
giovani 14 Un Dio appeso al muro? Giuliano Palizzi
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Ermete Tessore
20 Fratelli, quanto cominciamo ad essere buoni? Mario Scudu
22 Una grande famiglia 24 Sperando contro ogni speranza Marina Lomunno
domus mea ic
Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)
Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino
PER SOSTENERE LA RIVISTA:
Direttore responsabile: Sergio Giordani
Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani
Intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino
Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80
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ai meriti
Carlo Miglietta
Daniele Romano e Marco Leone
16 Il processo di secolarizzazione
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chiesa e dintorni 18 L a misericordia non bada
Maria Ausiliatrice n. 3
Progetto Grafico, impaginazione ed elaborazione digitale immagini: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)
Foto di copertina: Renzo Bussio Archivio Rivista: www.donbosco–torino.it
BancoPosta CCP n. 21059100
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carlo tagliani
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una vdb
26 Una “ricetta” per superare i guai
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poster
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44 Ananas…spiritoso anna maria musso freni
Ezio Risatti
28 Aiutare la speranza nel nome di mamma Margherita
poster Ausiliatrice e madre di misericordia
CARLO TAGLIANI
30 Il diavolo e l’acqua santa
mario scudu
Diego Goso
32 Quando l’arte e la vita s’incontrano
CARLO TAGLIANI
don bosco oggi 34 ESAMI DI QUALIFICA vincenzo manzone
36 Umberto Eco e don Bosco Andrea Caglieris
38 La malattia inguaribile VDB
40 M aria madre di Misericordia Pierluigi Cameroni
42 Adma in Italia meridionale: assemblea ispettoriale
Pierluigi Cameroni
RivMaAus
rivista.ausiliatrice
Foto
FOTOLIA: Alexander Raths (39); SHUTTERSTOCK: Konstantin Sutyagin (10); DEPOSITPHOTOS: Stanislav Perov (12); SYNCSTUDIO Simone Vittonetto (34); ALTRI: Archivio RMA (4-8,1425,40-41,44); Dario Prodan (11); Missioni don Bosco (28-29); Mario Notario (30); Cnos-Fap Bra (32-33); Giulio Morra (35); Alexander Raths (38); Archivio ADMA (42-43);
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a tutto campo
Maria: l’Ausiliatrice
Non si può parlare di don Bosco senza parlare di Lei.
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«Parlare di don Bosco senza parlare di Maria è come parlare dell’Italia senza parlare della pizza». Così, qualche anno fa, a New York, è iniziata una conferenza sulla presenza di Maria nella vita del “santo dei giovani”. Già, perché la Madonna è stata sempre presente nella vita di don Bosco. Nel sogno profetico a nove anni, quando Gesù dice a Giovannino: «Io sono il Figlio di Colei che tua madre ti ammaestrò a salutare tre volte al giorno». Nel sogno delle due colonne dove la nave che rappresenta la Chiesa si àncora appunto a due colonne, l’Eucarestia e Maria, simboleggiata da una statua dell’Immacolata con la scritta Auxilium Christianorum. Sino nell’ultimo giorno,
Maria Ausiliatrice n. 3
Lorenzo Bortolin redazione.rivista@ausiliatrice.net
quando sul letto di morte don Bosco dice: «Raccomandate la frequente Comunione e la devozione a Maria SS. Ausiliatrice». Nel dubbio, basta rileggere (e mettere in pratica) alcune sue parole: «Chi confida in Maria non sarà mai deluso», «Confidate ogni cosa in Gesù sacramentato ed in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli», «Siate intimamente persuasi che tutte le grazie che voi chiederete a Maria SS. vi saranno concesse, purché non domandiate cose che siano di vostro danno», «Maria non fa le cose solo per metà», «Da tutte le parti si vedono effetti straordinari prodotti da questa confidenza in Maria Ausiliatrice».
a tutto campo
Aiuto e presidio di tutta la Chiesa
Intercessione e servizio amoroso
Non è un caso se nel 1988, anno mariano e anno centenario della morte di don Bosco, l’allora papa e oggi santo Giovanni Paolo II ribadì molte volte l’importanza della devozione a Maria Ausiliatrice per tutti i cristiani. In particolare, nell’Angelus del 31 gennaio di quell’anno, ricordò che don Bosco «ha profondamente venerato, amato, imitato la Madonna sotto il titolo di Auxilium Christianorum, ne ha diffuso insistentemente la devozione, in essa ha visto il fondamento di tutta la sua ormai mondiale opera a favore della gioventù e della promozione e difesa della fede. Egli amava dire che “Maria stessa si è edificata la sua casa”, quasi a sottolineare come la Madonna avesse miracolosamente ispirato tutto il suo cammino spirituale ed apostolico di grande educatore ed, ancora più estesamente, come Maria sia stata posta da Dio quale aiuto e presidio di tutta la sua Chiesa (…) Oggi, quando la fede viene messa a dura prova, e diversi figli e figlie del Popolo di Dio sono esposti a tribolazioni a causa della loro fedeltà al Signore Gesù, quando l’umanità, nel suo cammino verso il grande Giubileo del duemila, mostra una grave crisi di valori spirituali, la Chiesa sente il bisogno dell’intervento materno di Maria: per ritemprare la propria adesione all’unico Signore e Salvatore, per portare avanti con la freschezza e il coraggio delle origini cristiane l’evangelizzazione del mondo, per illuminare e guidare la fede delle comunità e dei singoli, in particolare per educare al senso cristiano della vita i giovani, ai quali don Bosco diede tutto se stesso come padre e maestro».
Quando san Giovanni Paolo II venne in visita a Torino, nell’ Angelus del 4 settembre 1988, osservò: «Siamo qui a Torino-Valdocco davanti al Santuario di Maria Ausiliatrice, voluto dall’amore e dal coraggio di un santo. Prima di iniziare la costruzione, don Bosco aveva detto: “La Madonna vuole che la veneriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: i tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine santissima ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana” (…) Egli ci invita a saper vedere in Maria una presenza efficace di difesa e di aiuto, di intercessione e di servizio amoroso». Qui si può inserire un particolare poco noto, citato da mons. Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense. L’immagine di Maria Ausiliatrice nella basilica di
Don Bosco nel 1862 confidava a Don Cagliero: «La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: i tempi corrono così tristi che abbiamo bisogno che la Vergine Santa ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana».
Visita di san Giovanni Paolo II a Valdocco, 1980. MAGGIO-GIUGNO 2016
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a tutto campo
Valdocco ricorda che «come Maria era presente, insieme agli apostoli, a Gerusalemme durante la Pentecoste, quindi all’inizio dell’attività della Chiesa, così ancora Lei sta a protezione e a guida della Chiesa, lungo i secoli». Proprio quell’immagine venerata anche a Cracovia, nella parrocchia salesiana del quartiere Debniki, «era la mèta delle lunghe soste di preghiera di un brillante giovanotto, di nome Karol», che davanti all’immagine dell’Ausiliatrice decise di entrare nel seminario clandestino per diventare sacerdote e che anni dopo sarà papa Giovanni Paolo II. Invocarla con fiducia Maria, vero e forte aiuto di tutti i cristiani, è piena di potenza: Guida, protegge, addirittura combatte per i figli, accanto ai quali è costantemente presente, con suo Figlio Gesù.
Un filo rosso lega Maria Ausiliatrice anche a papa Francesco: Jorge Mario Bergoglio è stato battezzato nella salesiana basilica María Auxiliadora, a Buenos Aires, nel Natale del 1936. Da piccolo frequentava l’Oratorio San Francesco di Sales e respirava l’influsso di quei sacerdoti nella vita della sua famiglia. Nel 1949, inoltre, è stato alunno del collegio salesiano di Ramos Mejía: soltanto per un anno, ma fu un’e-
Visita di Papa Francesco a Torino , 21 giugno 2015.
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Maria Ausiliatrice n. 3
sperienza quanto mai arricchente se decenni dopo lui ricorda con gioia che quel collegio «creava, attraverso il risvegliarsi della coscienza nella verità delle cose, una cultura cattolica che non era per nulla “bigotta” o “disorientata”». Inscindibili, dunque, don Bosco e l’Ausiliatrice. E soprattutto determinanti nella vita della Chiesa e dei cristiani. Perché - ha ricordato il cardinale Leonardo Sandri, anche lui argentino ed oggi Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali - «come san Giovanni Bosco da mamma Margherita, anche noi dalla mamma terrena abbiamo imparato ad amare intensamente la Mamma del Cielo e ad invocarla con immensa fiducia nelle prove più cupe dell’esistenza. La Madre Santa ci aiuta a volgere sempre il cuore e gli occhi verso l’Alto. Vedremo la stella della nostra certa speranza! Sancta Maria, Auxilium Christianorum: ora pro nobis». Certi, come diceva don Bosco, che «Maria Ausiliatrice è la taumaturga, è l’operatrice delle grazie e dei miracoli per l’alto potere che ha ricevuto dal suo Divin Figlio».
e l’abbraccio
chiesa e dintorni
La croce Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Il racconto della Passione e le funzioni della Settimana Santa passata hanno suscitato nei bambini emozioni diverse. Quanto alla Pasqua, loro vorrebbero una Resurrezione con effetti speciali, più pubblica, con Gesù che spalanca il sepolcro davanti a molti testimoni, o almeno davanti alle tre donne che andavano a piangere sulla sua tomba. Il racconto dei vari momenti trascorsi dal Risorto con i discepoli convince ma non affascina le giovani fantasie. Le discussioni si accaniscono sul comportamento degli amici di Gesù durante il processo e sulla via del Calvario, fino alla crocifissione. Il bellicoso Gian Luca avrebbe fatto volentieri a pugni con tutto il Sinedrio. Unanime la condanna dei soldati romani, anche se Matteo, figlio di un militare, ne difende la causa: «In fondo, loro eseguivano un ordine. Ma i suoi amici, che lo conoscevano bene e avevano visto i suoi miracoli, come hanno potuto tradirlo e lasciarlo solo?» «Il peggiore è stato Pietro. Io gliel’avrei fatta pagare!» incalza Stefano. Non è facile spiegare come il perdono concesso a Pietro e l’atto di fiducia di Gesù nel consegnargli la “sua” Chiesa siano espressioni di infinita misericordia. A difesa di Pietro e degli altri discepoli ammetto che anch’io forse sarei scappata o mi sarei nascosta: la paura spesso ci fa assumere comportamenti di cui, in circostanze normali, ci vergogneremmo profondamente. Gian Luca concorda; rinuncia al pugilato con il Sinedrio. Faccio notare il fatto che Gesù conosce in anticipo tutti i nostri tradimenti e, in anticipo, ci perdona, anche se quel perdono non dobbiamo stancarci di chiederlo. Perdona per amore, come per amore ha accettato la pena più umiliante: la crocifissione. Di diversa opinione la piccola Paola: «Gesù ha voluto morire sulla Croce perché, stando con le braccia “così aperte”, ha potuto abbracciare tutti gli uomini». Non ci avevo pensato. Grazie, Paoletta!
Matteo: Ma gli amici di Gesù, «che lo conoscevano bene e avevano visto i suoi miracoli, come hanno potuto tradirlo e lasciarlo solo?».
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LA PAROLA
Perché si compia il progetto di Dio
MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net
Ricostruzione della fortezza Antonia di Gerusalemme
Paolo che fa ritorno a Gerusalemme (At 21,1–23,30) non è l’eroe impavido che disprezza la propria vita, ma l’uomo di Dio che la dona, assumendo in tutto la volontà del Signore. Per l’ultima volta a Gerusalemme
Il terzo viaggio di Paolo volge al termine: malgrado egli conosca molto bene il grave pericolo in cui potrà incorrere tornando a Gerusalemme, è convinto che raggiungerla sia un atto di obbedienza al volere divino. A nulla valgono pertanto i consigli dei discepoli di Tiro, né il gesto e la parola di Agabo che a Cesarea Marittima, legatosi piedi e mani con la cintura di Paolo, ne annuncia profeticamente la cattura. Davanti a tanta 8
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risolutezza non resta che accettare la decisione dell’Apostolo. Giunto a Gerusalemme incontra Giacomo, posto a capo di quella Chiesa, anche gli anziani sono presenti: a tutti racconta la propria attività missionaria tra i pagani e lo sforzo costante di tenere unite alla chiesa-madre le comunità cristiane da lui fondate. Quelli «come ebbero ascoltato, davano gloria Dio» ed ammettono che l’annuncio del Vangelo ai pagani è realmente parte del progetto divino! A nessuno sfugge però che a Gerusa-
L’arresto di Paolo
A causa di tale calunnia, l’opinione dell’apostolo Giacomo è che Paolo dimostri pubblicamente di essere rimasto fedele alla Legge, così da fugare ogni perplessità. L’occasione per farlo gli è offerta da quattro cristiani tornati a Gerusalemme per sciogliere un voto da loro formulato: Paolo compia i riti di purificazione prescritti per ogni Giudeo che veniva in città e paghi per quelli i sacrifici che dovevano essere offerti. L’Apostolo lo fa, ma quando sale al Tempio, alcuni Giudei lo riconoscono: «Questo è l’uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la Legge e contro questo luogo». Il ritmo del racconto si fa veloce, coinvolgente: gli mettono le mani addosso, lo trascinano fuori dal Tempio, risolvono di lapidarlo, ma l’intervento del comandante della coorte romana lo salva. Paolo viene comunque arrestato. Mentre viene condotto nella vicina fortezza Antonia, ottiene il permesso di pronunciare la propria difesa davanti al popolo, ma la reazione dei Giudei è dura: il comandante romano lo fa portare via ed ordina che sia interrogato a colpi di flagello per sapere le ragioni di tanto odio contro di lui. Una decisione incauta che Paolo subito impugna dato che nessuno, prima che sia pronunciato un giudizio, può mettere in catene e flagellare un cittadino romano: e lui cittadino di Roma lo è per nascita!
«È necessario che tu dia la testimonianza anche a Roma»
«Il giorno seguente» Paolo nel Sinedrio è sottoposto ad un nuovo interrogatorio che sa sapientemente volgere a proprio vantaggio. La notte poi, in prigione, un’apparizione del Signore gli rivela che quanto accade è necessario perché si compia il progetto che Dio ha su di lui e perché la sua testimonianza giunga a Roma. È la piena realizzazione di ciò che a Damasco il Signore aveva rivelato ad Anania: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Luca nella sua bella scrittura non smette di dirci che la testimonianza di Paolo, perfino in questa sua ultima visita a Gerusalemme, è sempre in sintonia con lo Spirito ed è continuamente marcata dalla prova personale: è vero discepolo solo chi è docile al volere del Signore ed è disposto ad imitarlo in tutto, perfino nella sofferenza per la causa del Regno di Dio.
la parola
lemme la vita di Paolo sia in pericolo. Costui non è per nulla ben visto dai cristiani della città provenienti dal Giudaismo e rimasti fedeli a quella tradizione: tra loro corre voce che lui insegni ai Giudei delle città pagane «di abbandonare Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le usanze tradizionali».
Giacomo, posto a capo della Chiesa di Gerusalemme e gli anziani della comunità ascoltano la missione di Paolo tra i pagani ed ammettono che l’annuncio del Vangelo ai pagani è realmente parte del progetto divino.
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MARIA
Il movimento mariano giovanile La devozione mariana tradizionale
Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net
È maggio, mese mariano per eccellenza secondo la tradizione popolare. Mi chiedo con una certa sofferenza: «ma la devozione mariana ha ancora un senso per la gioventù di oggi?». Se mi fermo ad osservare una delle tante processioni colgo in essa la quasi totale mancanza di adolescenti. Se guardo l’imbarcarsi dei pellegrini sui quotidiani autobus o aerei in partenza per qualche, vicino o remoto, santuario noto, solamente la numerosa presenza di baldanzosi devoti con i capelli bianchi e di prosperose figlie di Maria argentate che a volte hanno a rimorchio qualche bimbetto piuttosto riluttante. Nulla di più. Della presunta Gioventù Ardente Mariana si sono perse le tracce. Durante i rari incontri di formazione ed animazione con adolescenti, essi non fanno mistero della loro allergia alle litanie lauretane ed alle avemaria ripetute come un mantra. Nel bel mezzo di una discussio10
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ne in classe, recentemente, mi sono sentita ricordare da un’alunna di religione protestante la famosa accusa, contro la mariolatria cattolica dominante, del teologo protestante Karl Barth che afferma: «Il discorso cattolico su Maria è un’escrescenza maligna, è una pianta parassita della teologia: ora le piante parassite debbono essere sradicate». È vero che la verbosità di molti a riguardo di Maria è in netto contrasto con le poche frasi a suo riguardo riportate dalla Scrittura. Ma definire la devozione mariana una escrescenza maligna mi pare decisamente esagerato. Di certo non faccio mia l’opinione di Barth, tuttavia devo ammettere che un robusto uso di diserbanti ed un deciso intervento di potatura e di sfoltimento nel giardino della devozione alla Beata Vergine sarebbero quanto mai auspicabili. Soprattutto in vista di una seria catechesi giovanile.
MARIA
È ancora proponibile ai ragazzi di oggi?
Relazionandomi con i ragazzi e le ragazze del triennio della scuola superiore, sovente mi trovo a ripensare che cosa Maria possa ancora dire di valido ad una gioventù che vive in un orizzonte di antropologia “liquida”. Di solito i bei discorsi stillanti devozionalismo hanno perso qualsiasi significato o credibilità. Addirittura generano sentimenti di repulsione. Anche il sottolineare continuamente l’aspetto miracolistico degli interventi nella storia della madre di Gesù germinano in malessere e sarcasmo. In un incontro di catechesi in parrocchia con un motivato gruppetto di ragazzi, per caso, ci siamo confrontati sul significato delle fede partendo dal versetto di Giovanni 20,29: «Perché mi hai visto hai creduto? Beati coloro che hanno creduto senza vedere». Cogliere in Maria il modello di credente che Gesù propone a Tommaso penso che sia la grande provocazione in grado di far riflettere tutti anche oggi. Infatti nel mondo attuale viene esaltato solo ciò che si può vedere, misurare, vivisezionare nei laboratori scientifici. Nella Chiesa, invece, è in atto un esagerato invito all’ascolto della Parola di sapore protestante. Maria nella sua vita ci dimostra che credere non è solo ascoltare, né tantomeno solo vedere e toccare alla san Tommaso. Il solo ascolto ci può trasformare in inutili origlianti passivi e ripetitivi, il solo vedere e sperimentare ci espone al pericolo di un freddo scientismo. Guarda caso il pettegolezzo, figlio dell’origliare, e la tecnologia, figlia del provare, sono i due fulcri su cui ruota la così detta moderni-
tà. Nel bellissimo episodio evangelico dell’Annunciazione il comportamento della giovane ragazza ebrea è quanto mai significativo e moderno. Vive il momento del “già” con attenzione tanto da cogliere immediatamente le parole sussurrate dall’angelo. Nello stesso tempo con il suo totale aderire all’invito sperimenta, tocca, vive il “non ancora” rappresentato dal suo incondizionato desiderio di maternità. Ecco il grande messaggio ed invito che dobbiamo rivolgere ai giovani. Tutte le cose grandi e significative dell’esistenza umana richiedono ascolto, silenzio, capacità di ricercare se stessi. Nello stesso tempo comportano capacità di fare, di progettare, di osare, di fidarsi delle proprie capacità. In Maria, da una parte, l’ascolto si fa sogno, desiderio, inquietudine, voglia di mettersi alla prova. Dall’altra parte il vivere il sogno comporta impegno, generosità, capacità di canalizzare le inquietudini, avere metodo e costanza, rendere l’ascolto realtà vissuta e la realtà vissuta ascolto di tutto ciò che non può essere misurato, sperimentato e racchiuso in una formula. In questo contesto penso che la devozione mariana possa aprire nuovi orizzonti al credere ed allo sperare dei giovani e rendere un pochino più “solida” la loro realtà esistenziale.
Maria nella sua vita ci dimostra che credere non è solo ascoltare, né tantomeno solo vedere e toccare alla san Tommaso. È necessario diventare capaci di realizzare, di progettare, di osare, di fidarsi delle proprie capacità.
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Un amore incondizionato Barbara ripensa spesso al giorno del suo matrimonio, celebrato una decina di anni fa a coronamento di un fidanzamento che aveva permesso a lei ed a Roberto di conoscersi meglio e costruire delle basi consapevoli per stare assieme tutta la vita… Però così non era stato e lei, che aveva sempre creduto nella sacralità ed indissolubilità del matrimonio, si era trovata ad affrontare una separazione che, anche se al giorno d’oggi pare normale, quasi da mettere in bilancio, per lei era stato un duro ed inaspettato colpo.
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Costruito. Ma sulla sabbia o sulla roccia?
Non avrebbe mai pensato infatti che ciò che avevano costruito insieme lei e Roberto potesse franarle sotto i piedi e neppure la nascita di un figlio avesse costituito una diga forte e robusta a protezione della loro giovane famiglia. Una sera, senza drammi, molto… troppo lucidamente, suo marito le aveva detto di non amarla più, di avere incontrato un’altra donna e di voler andare a vivere con lei; le cose erano andate diversamente da come lui stesso avrebbe mai pensato, ma si sa, la vita è così. Roberto aveva posto un punto e a capo con la stessa semplicità di quando si scrive! Queste parole avevano avuto un impatto così devastante su Barbara da toglierle la forza di arrabbiarsi, reagire, pretendere spiegazioni, si era sentita come svuotata e consapevole che Roberto non sarebbe mai tornato indietro sulle sue scelte. Era rimasta così nella loro casa sola con Matteo che frequentava la seconda elementare ed ovviamente il bambino avrebbe dovuto continuare a vedere il padre, con il quale aveva un buon rapporto. Anche la legge lo stabiliva, era giusto e logico ma non per Barbara che non sopportava l’idea di stare lontana dal suo bambino e si sentiva vittima di una situazione che non aveva certo voluto lei.
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I cambiamenti nel figlio Matteo
Il bambino percepiva questo suo dolore ed era sempre molto conteso fra il volere andare col papà nei fine settimana ed il timore di lasciare la mamma da sola e ciò lo metteva in ansia ed agitazione. La situazione era pesante, Barbara si accorgeva di sbagliare ma non riusciva a fare diversamente, era come volesse punire il marito per il suo tradimento. Un giorno però fu convocata a scuola poiché l’insegnante era preoccupata per il cambiamento di Matteo e come esempio citò il commento del bambino al termine della lettura di Hansel e Gretel: «Avevano fatto bene i genitori della fiaba ad abbandonare i bambini nel bosco perché i figli sono un peso». Come aveva potuto anteporre la sua sofferenza, il suo dolore di adulta a quello di un bambino che non ha armi per difendersi? Se la separazione era per lei uno sconvolgimento totale non aveva pensato che molto di più lo era per Matteo? Il dolore spesso rende sordi e ciechi, egoisti e crudeli, così era stato per lei: imperdonabile!
glio, pensando solo al compimento del progetto di Gesù e rinunciando a se stessa. Barbara ora aveva capito che doveva stare bene per il suo bambino che la osservava e respirava il clima che lei gli creava attorno. La separazione dei genitori è un evento estremamente destabilizzante per un figlio, poiché ne coinvolge in profondo l’affettività, l’equilibrio e la serenità interiore e sono gli adulti a dover rassicurare, rasserenare e proteggere. Ora Barbara lo sapeva e seguendo il modello di Maria avrebbe accompagnato il suo bambino con serenità ed un sorriso incontro al padre perché questo era fare il suo bene: aiutarlo a crescere sapendo di essere amato da entrambi i genitori e per lei, questo stesso amore, avrebbe costituito l’elemento indissolubile del suo matrimonio.
Suo marito le aveva detto di non amarla più. Queste parole avevano avuto un impatto così devastante su Barbara da toglierle la forza di pretendere spiegazioni. Ormai era consapevole che Roberto non sarebbe mai tornato indietro sulle sue scelte.
FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net
La madre di Gesù insegna aiuta a cercare il bene dei figli
Vagando nella solitudine della sua casa vuota Barbara cercò una risposta alle sue domande ed incontrò Maria. Chi infatti più della madre di Gesù avrebbe saputo insegnarle che l’amore per un figlio è incondizionato, deve farci crescere, maturare per guardare al di là dei nostri bisogni e desideri. La Madonna lo aveva testimoniato percorrendo le stesse orme del fiMAGGIO-GIUGNO 2016
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Un Dio appeso al muro? GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net
È interessante la prontezza con cui alcuni personaggi bucano il televisore per prendere posizione contro chi periodicamente si alza al mattino e non sapendo con chi prendersela se la prende con il crocifisso. Perché deve stare appeso al muro? Perché sul muro di edifici pubblici? Perché nelle scuole? In nome di una laicità che sprofonda in un laicismo bieco e ignorante argomentano il tutto riferendosi al rispetto che si deve a chi non la pensa come noi, in modo particolare i fratelli musulmani. Secondo questi “laiconi” i musulmani si sentono offesi al vedere il crocifisso appeso lassù con le mani inchiodate. La loro sensibilità è turbata. E fanno eco a quelle maestrine che puntualmente a Natale si rifugiano nella stessa lagna insulsa e melensa per non allestire il presepio a scuola. I bambini sono turbati a vedere un bambino, un bue e un asinello. Secondo me i bambini sono molto più turbati a dover sopportare certe ma14
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estre che hanno chiuso nel frizer la loro capacità di raziocinio e di libero arbitrio, caratteristiche dell’umano! Ed ecco i Soloni
Come queste notizie vengono cavalcate dalla stampa subito sorgono i Soloni, i difensori della nostra identità occidentale, delle nostre tradizioni, addirittura della nostra fede. È bella questa esplosione di cori da stadio soprattutto da parte di quegli stessi personaggi che sugli stessi microfoni urlano di rimandare a casa gli immigrati perché ci portano via il lavoro, perché non rispettano le nostre tradizioni, perché rubano e violentano le nostre donne… Da che parte stiamo? Ma non li hanno mai visti schiacciati su quelle zattere sgangherate? Hanno mai ascoltato le loro storie? Hanno mai guardato negli occhi quei ragazzi che le mamme caricano sui barconi nella speranza che in Italia riescano a racimolare qualche soldo da mandare a casa op-
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pure a trovare un lavoro per chiamare poi la famiglia a raggiungerli? Come si può difendere un Cristo appeso al muro e disprezzare un Cristo che affoga nel Mediterraneo? Ma da che parte stiamo? Difendiamo la nostra civiltà fingendo di non vedere la sofferenza di questi popoli? Ma quel Cristo sul muro se potesse togliersi i chiodi che noi gli abbiamo ficcato non scenderebbe di nuovo per mettersi a fare quello che faceva quando girava per la Palestina e guariva tutti quelli che riuscivano a toccare anche soltanto il suo mantello? Com’è il nostro Cristo?
Anche sui muri delle nostre case ci sono crocifissi, magari belli, dorati, lucidi. Anche tante donne lo esibiscono contornato da splendide scollature mozzafiato! Che ci ha a che fare tutto questo con l’espressione della nostra fede? Ma noi annunciamo un Cristo morto? E allora sì che sta bene appeso al muro: è il suo posto! Mi resta qualche dubbio che faccia bella mostra di sé sul petto delle donne! Ma noi non dobbiamo andare in tutto il mondo a dire che Cristo è risorto? Non è questo che annunciavano gli apostoli? Ricorda-
te Paolo nell’areopago di Atene? E che cosa ha smosso gli apostoli dal loro torpore e dalla loro paura e dai loro tradimenti se non la tomba vuota e la fede in un Cristo che ha vinto la morte, che attraverso la morte ha aperto le porte della vita a tutti gli uomini? E non sarebbe più giusto pregare davanti a un Cristo risorto? Non a un Cristo che svolazza ma a un Cristo che attraverso la croce parla di vita, quella vita che lui vuole che abbiano tutti e l’abbiano in abbondanza. Riprendiamoci il nostro Dio in casa, riempiamoci il cuore di lui che ci scalda e ci illumina, consegniamo a chi trova la vita difficile e impossibile questo Dio. Non è un Dio comodo, non è un Dio tappabuchi, non è un Dio oppio dei popoli…, è il Dio dei viventi, è il Dio di chi fa della vita un dono prezioso che diventa tale se si offre a quanti il Signore mette nella nostra strada perché possiamo essere buoni samaritani a quanti sanguinano per i motivi più diversi. “Maràn athà!”. Vieni, Signore Gesù! Alleluja, alleluja!
«Vi chiedo di non stancarvi mai di annunciare il Vangelo, con la vita e la parola: l’Europa di oggi ha bisogno di riscoprirlo». (Messaggio di papa Francesco ai partecipanti al IV Convegno europeo di pastorale giovanile, Roma 10/12/14).
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Il processo di secolarizzazione I più recenti dati statistici a disposizione evidenziano, senza ombra di dubbio, il balzo in avanti della secolarizzazione in Italia, avvenuto tra gli anni 2006 e 2015. Le chiese cattoliche sono poco frequentate, al pari dei templi valdesi, delle moschee mussulmane o delle sinagoghe ebree. Tutto questo avviene nonostante che sia in atto un’evidente sovraesposizione mediatica della religiosità. Papa Francesco, nelle sue frequenti apparizioni, assicura altissimi picchi di audience. Questo, tuttavia, non cancella l’indiscutibile processo di una, per ora, inarrestabile eclissi del sacro. Sta prendendo sempre più piede la constatazione della lenta ed inesorabile marginalizzazione della religione e della frequenza religiosa. Dio, giorno dopo giorno, viene sempre più relegato nello spazio della indifferenza, impossibilitato a giocare alcun ruolo nell’esistenza e nella coscienza dell’uomo moderno. Ben a ragione papa Francesco rileva: «il mondo secolarizzato non riconosce Gesù, al massimo lo considera un uomo illuminato. La società anche quando è accogliente verso i valori evangelici dell’amore, della giustizia, della pace, della sobrietà separa il messaggio dal messaggero, il dono dal donatore». Le statistiche
Di recente l’ISTAT ha fotografato tutto questo cogliendo, in termini numerici, la propensione della popolazione residente in Italia alla pratica religiosa confrontando i dati dell’anno 2006 con quelli del 2015. Il numero delle persone che dichiarano di frequentare un luogo di culto almeno una volta alla settimana è passato dal 33 per cento al 29 con un calo del 12 per cento. Coloro che rispondono di non andare mai in chiesa è aumentato del 4,4 per cento. Le casalinghe sono le più assidue a frequentare i luoghi sacri. Ammontano al 42,2 per cento. La fascia d’età che subisce maggiormente il fascino della secolarizzazione è quella di coloro che hanno fra i 55 e 64 anni. Il crollo è stato dell’ordine del 30 per cento. I figli grandi, la pensione assicurata, la maggiore disponibilità di tempo libero, la voglia di rimet16
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tersi in gioco anche sotto il profilo sentimentale vivendo nuove avventure o abbandonando unioni ormai logorate dal tempo e dall’abitudine, il giovanilismo imperante, gli scandali delle persone e delle istituzioni ecclesiastiche hanno fatto saltare equilibri, abitudini e certezze. La fede venata di tradizionalismo e superficialità non ha resistito e si è sciolta senza lasciare rimpianti. Dall’indagine risulta che sul fronte delle professioni quadri, impiegati, insegnanti, casalinghe e pensionati sono le più religiose. Dirigenti, liberi professionisti, ricercatori, operai e studenti quelli meno. Secolarizzazione giovanile
Dalla ricerca si evince che i giovani sono di gran lunga la categoria più agnostica ed atea.
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vicini alla fede di quanto lo siano gli adulti di oggi. Tra il 2006 ed il 2015 la frequenza dei ragazzi di età compresa fra i 14 ed i 17 anni è calata del 17,6 per cento. Di converso quelli che non frequentano mai sono aumentati del 57 per cento. Sono impressionanti questi dati offerti alla nostra riflessione. Il sociologo Franco Garelli vede, anche per l’Italia, un futuro tinto con i colori della bandiera svedese. In Svezia, oggi, a fronte di un 90 per cento della popolazione che si dice credente c’è solo un 3 per cento di praticanti abituali. Se ci focalizziamo sulla frequenza regione per regione si coglie che quelle con una più alta percentuale di praticanti sono, con oltre il il 30 per cento, Lombardia, Veneto, Marche, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Le meno assidue, sempre con oltre il 30 per cento di coloro che non frequentano mai, sono Liguria, Emilia-Romagna e Toscana. Conclusioni
La fascia d’età compresa fra i 6 ed i 13 anni risulta essere, per il 51,9 per cento, quella meno secolarizzata. Questo è dovuto soprattutto al fatto che i ragazzi devono presenziare agli incontri di preparazione alla comunione ed alla cresima. Dopo, anche per loro, si assiste ad un fuggi fuggi impressionante dalla religiosità. Per quanto riguarda gli altri adolescenti c’è un abbandono quasi generale. Il 29 per cento ammette di non mettere mai i piedi in chiesa. Il 60 per cento frequenta raramente, solo in occasione di battesimi, cresime, matrimoni di familiari od amici. Resiste uno zoccolo duro del 10 per cento di coloro che sono legati a svariate forme di associazionismo soprattutto cattolico. Tutto questo fa supporre che gli attuali adolescenti, una volta raggiunta l’età adulta, saranno meno
Tutti gli educatori, particolarmente quelli che si ispirano a don Bosco, non possono rimanere indifferenti. La secolarizzazione mina e corrode le fondamenta del sistema preventivo. Sta nascendo sotto i nostri occhi una nuova antropologia fatta di edonismo, di laicismo, di effimero, di soddisfazione immediata di piaceri e pulsioni che azzerano qualsiasi progetto di educazione umana e cristiana. La nuova mentalità edonistica e consumistica favorisce, anche negli educatori salesiani, quello che papa Benedetto XVI chiama «una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale». Com’è possibile che proprio nell’anno in cui si celebrava il bicentenario della nascita di don Bosco, nelle scuole salesiane alcuni figli di don Bosco erano riluttanti a fare scuola di religione? Professionisti in tutto eccetto che nel mondo della cultura religiosa? Sarebbe auspicabile che l’ISTAT accendesse i propri riflettori sul secolarismo avanzante anche tra gli uomini e le donne che fanno della consacrazione religiosa la loro “professione”. ERMETE TESSORE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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La misericordia non bada ai meriti Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net
Come annunciato sullo scorso numero ecco il primo contributo del dottor Carlo Miglietta medico torinese, padre di famiglia da oltre quarant’anni è impegnato nello studio biblico e nell’organizzazione di corsi sulla Scrittura, sul tema della Misericordia: un percorso di analisi e riflessione per vivere più in profondità questo anno giubilare voluto da Papa Francesco.
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Quando Dio si rivela a Mosè, si manifesta come «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso» (Es 34,6-7; cfr 3,14; 33,19). «Il mistero della Fede cristiana trova nella Misericordia la sua sintesi» (Papa Francesco). La parola ebraica che meglio designa la misericordia è rehamin, che esprime le viscere, che per i semiti sono la sede delle emozioni, il nostro “cuore”: è una forma plurale di réhèm, il seno materno, l’utero femminile. Dio ci ama come una tenera Mamma, visceralmente, come il più appassionato degli innamorati: siamo la sua gioia (Is 62,5)! Sarebbe già un immenso frutto del Giubileo se riuscissimo ad uscire da quella «“bestemmia” che è la teologia della soddisfazione» (E. Bianchi) secondo cui il primordiale peccato dell’uomo, essendo offesa a Dio infinito, poteva essere espiato solo da un sacrificio infinito: ecco quindi la morte in croce del Figlio, nella quale Dio è finalmente placato da una vittima infinita. Il Dio giudice terribile e sanguinario che viene presentato in questa visione teologica non è il Dio “Padre” (Mt 6,9), anzi, “Papalino, Papi” (Rm 8,15), rivelatoci da Gesù, il Dio che «prova più gioia... per un peccatore convertito, che per novantanove giusti» (Lc 15,7), il «Dio Amore» (1 Gv 4,8). Dio crea l’uomo solo per amore, per avere, come dice la Bibbia, una Fidanzata, una Sposa. Ma l’uomo, essendo “altro” da Dio, che è infinito ed eterno, è creatura, finita e mortale. Perciò, nel momento stesso in cui Dio fa l’uomo, pensa all’Incarnazione del Figlio, per la quale egli stesso si farà finito, per prendere su di sé il limite creaturale e trasfigurarlo nell’infinito divino (Gv 1). La croce non è il perfido strumento di un Dio vendicativo, ma la somma rivelazione dell’amore di un Dio che prende su di sé ogni sofferenza, ogni malattia, ogni morte, per divinizzare tutto il creato. Il sangue del Figlio non è pagamento di un debito, ma azione di liberazione di Dio verso gli uomini.
Gesù, giustificazione degli empi
Per gli ebrei, il sadiq, il “giusto”, è colui che ha relazioni armoniose con Dio e con i fratelli, che vive rapporti di cordialità con tutti. La sedaqah, la “giustizia”, è vivere relazioni profonde. Quando diciamo che «Dio è giusto», non intendiamo in senso occidentale che Dio premia i buoni e castiga i cattivi, ma che Dio entra in profonda relazione con tutti. Così quando affermiamo che «Dio ci giustifica» non intendiamo che ci rende “giusti”, ma che entra in comunione amorosa con noi. E dire che «Cristo è la nostra giustizia» non significa vedere in lui il Giudice supremo, ma colui che ci mette in relazione con il Padre. La misericordia di Dio è così sconvolgente che non è riservata ai buoni, ma è per tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro virtù e dai loro meriti. Siamo di fronte ad un’enormità giudiziaria: l’assoluzione del reo (Rm 5,6-8). Dice Gesù: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13); e addirittura: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47; 6,39). Molti oggi vedono il purgatorio come una sorta di “tempo supplementare” che Dio concede dopo la morte a quanti lo hanno rifiutato in vita, per dare loro un’ulteriore possibilità di conversione. Ma che dire dell’inferno? La dottrina, sostenuta da molti Padri, dell’“apocatastasi”, o “ristabilimento” o “reintegrazione”, che
trova il suo fondamento biblico in quei testi che proclamano che, alla fine dei tempi, «tutto sarà stato sottomesso al Figlio…, perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,27-28; cfr Col 1,19-20), affermava che l’inferno è una realtà temporanea, e alla fine vi sarà riconciliazione per tutti, compresi i demoni. Tale dottrina fu però condannata da vari Concili. Secondo la Chiesa esiste quindi la possibilità teorica che l’uomo dica un “no” permanente a Dio e che quindi, allontanandosi per sempre da Lui, fonte di gioia e di vita, si trovi in quella realtà di infelicità e di morte che noi chiamiamo “inferno”. Ma praticamente è possibile che l’uomo rifiuti definitivamente un Dio tanto amabile, tanto affascinante? Da sempre, nella Chiesa, si trovano due linee di risposte. Da una parte ci sono i “giustizialisti”, che sostengono che l’inferno è pieno dei tanti malvagi e violenti che infestano la terra. Dall’altra parte i cosiddetti “misericordiosi”, che affermano che sì l’inferno esiste, ma che probabilmente è vuoto, perché è davvero difficile che l’uomo rifiuti Dio con
piena avvertenza e deliberato consenso: spesso chi si oppone a Dio lo fa perché di lui ha avuto una visione distorta o una cattiva testimonianza da parte dei credenti, e quindi la sua responsabilità personale è limitata (Lc 23,34). Il Paradiso uguale per tutti
La parabola che racconta che coloro che hanno lavorato un’ora sola nella vigna del Signore hanno la stessa ricompensa di quelli che vi hanno faticato dodici ore (Mt 20,1-12), afferma che in Paradiso non ci sarà meritocrazia: sarà una festa senza fine per tutti, senza distinzioni! «Così gli ultimi saranno i primi» (Mt 20,16): Dio ci vuole tutti primi, il suo amore immenso non sopporta che qualcuno sia in seconda fila, che abbia meno felicità, che rimpianga di non essere stato migliore. Come è difficile uscire dalla nostra consueta visione meritocratica della vita cristiana per lasciarci inondare dallo tsunami dell’Amore gratuito di Dio!
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Fratelli, quando cominciamo ad essere buoni? Filippo o Pippo Buono perché lo fu sempre. Allegro, amante degli animali, confessore famoso, mistico con una proposta di santità “democratica” MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
Nel panorama della santità cattolica ha un posto speciale perché simpatico e coinvolgente. Fiorentino di nascita, romano per il resto. Fu soprannominato Pippo Buono perché era… buono con tutti. Ancora vivente girava già un volumetto su di lui dal titolo “Philippus sive de laetitia christiana” e cioè “Filippo ovvero della letizia cristiana”. Un santo moderno: aveva infatti il gusto della libertà, dell’aria aperta, della natura e quando poteva rimaneva a lungo in contemplazione della creazione. Era anche amico degli animali. Per anni fu visto perfino girare con un cane al guinzaglio, un bastardino di nome Capriccio. Un santo così umile che non voleva diventare sacerdote perché si riteneva indegno. Lo diventò in seguito ma solo per obbedienza. Il papa poi voleva farlo addirittura cardinale e Filippo accettò con la condizione che la data l’avrebbe fissata lui. Naturalmente il papa morì prima. Un santo che ci fa anche sorridere e morire d’invidia. Nella sacrestia Filippo teneva cagnolini e uccellini, e prima della celebrazione giocherellava con loro per distrarsi un po’, perché, se si concentrava sulla Messa c’era il “pericolo” di entrare già in estasi! E noi poveracci che dobbiamo sempre combattere le distrazioni lottando ferocemente per un po’ di concentrazione. 20
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«Le tue Indie saranno a Roma»
Nato nel 1515 a Firenze, a 18 anni lasciò la città per la Campania, per fare un po’ di pratica nel commercio. Non durò, non era la sua strada. Eccolo quindi a Roma nel 1534: vi rimarrà tutta la vita. Della Città Eterna vide grandezza e miseria, sfarzo di pochi della nobiltà e povertà di molti del popolo, la grandezza del passato cristiano e l’incoerenza morale presente, anche di parte del clero. Fu anche testimone dei primi tentativi riformatori (o di Contro Riforma) dopo il ciclone Lutero. In quegli anni a Roma era tornato il fervore missionario grazie a Ignazio di
L’Oratorio: contemplazione e azione
Già da alcuni anni aveva iniziato a visitare la città partendo dai quartieri dedicati alle banche e agli affari, dove lavoravano molti fiorentini. A tutti Filippo poneva la stessa domanda: «Ebbene, fratelli miei, quando cominciamo ad essere buoni?». Nel 1548 fondò la Confraternita della SS. Trinità e dopo molte insistenze accettò di diventare sacerdote. Diventerà un famoso confessore, confidente e consigliere: i suoi “penitenti” appartenevano a tutti i ceti sociali e anche al clero. Con alcuni di questi “amici” verso il 1555 cominciò a formarsi un gruppo stabile, organizzato in una forma originale che darà poi origine all’Oratorio (da non intendersi nel significato “salesiano”). Era un gruppo di persone di estrazione molto varia, aperto a tutti, che si riunivano attorno a Filippo. In queste riunioni dopo la preghiera (oratio da qui Oratorio!) si leggeva un testo, qualcuno lo commentava, si potevano fare domande, obiezioni, integrazioni, personalizzazioni, attualizzazioni. Dopo ci poteva essere il racconto di qualche episodio edificante, e si ascoltava anche della musica. Particolare importante: questi momenti
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Loyola e alle lettere del missionario Francesco Saverio. Anche Filippo ne fu contagiato e con un gruppo di amici volenterosi e speranzosi si recarono perciò da un noto monaco cistercense alle Tre Fontane per un po’ di discernimento. Sentivano già in mano il biglietto per il lontano Oriente. Avevano anche fatto un pensierino al martirio. Più di così! Ecco la risposta: «Le tue Indie sono a Roma». E Filippo obbedì: rimase missionario a Roma, dove d’altra parte c’era (e c’è) molto bisogno.
spirituali dovevano portare i soci ad azioni propriamente di carità spicciola verso il prossimo, per esempio negli ospedali o facendo volontariato assistendo persone abbandonate diventate “scarto” sociale. Era l’azione frutto della contemplazione. Per una santità quotidiana e “democratica”
Attorno a Filippo si formò questa strana “Fraternità” evangelica, che non chiedeva a nessuno la carta di identità ma solamente l’intenzione di camminare nella Via indicata dal Cristo. Questa fu il contributo originale di Filippo alla Riforma della Chiesa. E cioè un nuovo modo di pensare alla vita spirituale e una nuova strategia per tendere alla santità, vista come meta per tutti i cristiani, non solo per le solite monache. Uno dei suoi discepoli scrisse che Filippo voleva «che la vita spirituale, tenuta per cosa difficile, diventasse talmente familiare e domestica, che ad ogni stato di persone si rendesse grata e facile...: ognuno, di qualsivoglia stato e condizione, in casa sua e nella professione sua, laico o clerico, prelato o principe secolare, cortegiano o padre di famiglia, letterato o idiota, mercante o artigiano, e ogni sorta di persone era capace di vita spirituale». Una vita spirituale e una santità (oggi diremmo antieroica) da coltivare nelle proprie attività quotidiane, grandi o umili, appariscenti o nascoste. Tutto da vivere però in unione al Cristo, nell’esercizio della carità spicciola, della pazienza, della speranza, della gioiosa accettazione della sofferenza e anche della morte, vista come compimento naturale della vita (quindi voluta da Dio). Un messaggio che sarà continuato da Francesco di Sales e che rimane attualissimo anche oggi, per tutti.
Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00
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Una grande famiglia
La comunità cottolenghina di Palluruthy (Cochin), nella regione indiana del Kerala, ospita una quarantina di persone con handicap fisici o mentali. E vive nella gioia.
L’aria che si respira alla Casa è quella di una grande famiglia che non comprende soltanto i suoi componenti, ma vede quotidianamente la presenza di volontari e famiglie che qui si prestano ad aiutare i disabili o vengono a pregare presso la statua della Vergine, posta nel giardino.
Lo scorso ottobre ci siamo recati come volontari nella casa dei Fratelli del Cottolengo a Palluruthy (Cochin), nella regione indiana del Kerala. Motivo del viaggio è stato anche partecipare alla professione perpetua dell’amico fratel Binoy Peter Kurisingal, giovane infermiere che si è donato nel servizio di amore verso gli ultimi. Oltre a lui, fanno parte della comunità religiosa: fratel Joseph, superiore della casa, fratel Shibu, fratel Antony e fratel George, che con i suoi 90 anni sostiene tutta la comunità con l’orazione costante. Lì, i Fratelli si prendono cura di una quarantina di ospiti di varie età, appartenti a religioni e caste differenti, provenienti da varie regioni dell’India, tutti portatori di handi-
cap fisici o mentali (san Giuseppe Benedetto Cottolengo li chiamava buoni figli). Molti ospiti hanno perso i contatti con i parenti o non possono appoggiarsi in alcun modo alla famiglia d’origine. La casa di Palluruthy è dotata di un impianto per produrre energia elettrica con pannelli solari e di un sistema di pompe e cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. C’è anche una stalla con alcuni bovini, allevati per produrre sia il latte per gli ospiti e i Fratelli, sia il biogas, usato per la cottura dei cibi. Questa è stata un’ottima intuizione dei Fratelli, in linea con le considerazioni di Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ sulla salvaguardia dell’ambiente. (continua a pag. 23)
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Ausiliatrice e madre di misericordia MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
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Salve Ausiliatrice, madre di misericordia… una mancanza di rispetto a Maria? Penso di no: certo lei rimane sempre regina, perché madre di Gesù Cristo, re dell’universo, ma sono sicuro che tutto sommato si senta più a suo agio se la chiamiamo ausiliatrice. Fu don Bosco stesso, suo grande devoto, a confidare ai suoi primi salesiani: «Maria, vuole essere invocata come ausiliatrice». Testimonianza perenne di questo desiderio della Madonna accolto dal santo dei giovani è proprio la Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino. Ma celebrando quest’anno il Giubileo straordinario della Misericordia, non possiamo non mettere in risalto che Maria non solo è un aiuto potente nel nostro cammino spirituale, nelle difficoltà della nostra vita, ma è anche madre di misericordia, perché è madre della Misericordia stessa di Dio, fatta carne, che è lo stesso Gesù Cristo, e partecipa quindi proprio a nostro favore, come mediatrice di grazia, di questa ricchezza divina. Papa Francesco ha scritto: «Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne» (Misericordiae vultus, n.24). E la dolcezza del suo sguardo accompagna la vita dei suoi figli e figlie, bisognosi della sua presenza materna lungo le strade del mondo, invocanti il suo aiuto premuroso durante la vita e «nell’ora della morte». Questo lo si sperimenta nei suoi santuari mariani, sempre frequentati, e così e anche nella Basilica di Maria Ausiliatrice. La Madonna stessa diceva a don Bosco ed è scritto a grandi lettere nell’interno del santuario: «Questa è la mia casa, di qui la mia gloria». La sua casa dove pregarla e chiedere aiuto, dove incontrare Lei che è invocata dalla Chiesa come “rifugio dei peccatori”, dove pentirsi e chiedere misericordia a Dio tramite la sua intercessione, sicuri di ottenerla. Penso che la gloria più grande che lei possa avere da noi sia quella di accettare il suo invito materno a tornare a Dio, a imitare suo Figlio Gesù, a riprendere con coraggio, se l’abbiamo dimenticato, a «fare quello che lui ci dirà», diventando «misericordiosi come il Padre». Una delle immagini più significative di Maria, come rifugio dei peccatori e madre di misericordia, è quella che la raffigura con il suo ampio manto, talvolta tenuto ad un lembo dallo stesso Gesù bambino, sotto il quale si trova aiuto e sicurezza contro il pericolo. Questo Giubileo però non solo ci deve spronare a trovare misericordia presso Dio attraverso la sua intecessione, ma anche ad essere come lei strumenti di aiuto e misericordia. «Non possiamo noi onorare la Madre di ogni misericordia senza essere anche noi caritatevoli e misericordiosi. Perché essere cristiani significa diventare anche noi misericordiosi, secondo la misura di Cristo» (Card. A. Ballestrero). Sull’esempio e con l’aiuto di Maria. MAGGIO-GIUGNO 2016
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Ideazione: Mario Scudu Realizzazione: Luigi Zonta
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O Maria Ausiliatrice,
validissimo è il tuo aiuto in favore dei cristiani. Fa’, o Maria,
che sia sempre viva la mia fiducia in te,
affinché in ogni difficoltà
possa anch’io sperimentare che tu sei veramente
il soccorso dei poveri,
la difesa dei perseguitati, la salute degli infermi,
la consolazione degli afflitti, il rifugio dei peccatori
e la perseveranza dei giusti. San Giovanni Bosco
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Al centro di tutto: la persona
Come tutte le abitazioni della zona, la struttura muraria è priva di vetri per esigenze legate al clima tropicale; inoltre, gli spazi interni sono un tutt’uno con l’ampio giardino, dove gli ospiti sono liberi di muoversi e dove si svolgono attività occupazionali. Oltre alla cura dei bisogni primari, infatti, un’attenzione particolare è data allo sviluppo e alla valorizzazione delle abilità individuali, attraverso iniziative di vario genere: orticoltura, allevamento di pollame, produzione artigianale di candele e manufatti in tessuto o carta. Adiacente alla struttura c’è anche una comunità di Suore cottolenghine, che collabora con i Fratelli nelle attività per gli ospiti. Abbiamo potuto sperimentare anche noi che gli ospiti vivono in una grande famiglia, comprendente non soltanto i Fratelli e le Suore, ma anche parecchie famiglie e volontari: qui si condivide proprio tutto! La giornata inizia sempre con la Santa Messa nella cappella della casa dei Fratelli, alla quale prendono sempre parte molti fedeli. Sperimentare l’amore al prossimo
Siamo rimasti stupiti delle continue visite di persone esterne, sia per prestare servizio ai disabili, sia per pregare! Sovente la Provvidenza si manifesta con l’arrivo di intere famiglie, giunte per commemorare un loro defunto o per festeggiare un anniversario insieme alla comunità. Queste ricorrenze sono celebrate con servizi agli ospiti e con la condivisione del pasto con la comunità religiosa, comprensiva di lavaggio piatti!
Ci ha rallegrato vedere un bambino contentissimo di aver potuto festeggiare lì il suo compleanno. Difficilmente in Italia una festa è condivisa con i disabili in una struttura: forse non fa parte della “normalità”... Benché gli impegni dei religiosi cottolenghini siano molti e il lavoro sia inderogabile, abbiamo conosciuto una comunità che vive nella gioia, alimentata senza dubbio dalla preghiera comunitaria e dai momenti di adorazione eucaristica. L’esperienza di condivisione fraterna e ospitalità ricevuta ci ha permesso di sperimentare concretamente il comandamento dell’amore verso il prossimo. Grazie, Fratelli! Deo Gratias!
Chi volesse fare un’esperienza missionaria può scrivere a: missioneecuador@libero.it
Daniele Romano e Marco Leone redazione.rivista@ausiliatrice.net
Chi desidera sostenere la missione, può versare il proprio contributo a: Cottolengo ONLUS Banca del Piemonte Sede di Torino IBAN: IT16T0304801000000000085070 Causale: Fratelli Palluruthy
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Sperando contro ogni speranza
La testimonianza di mons. Joseph Coutts
«Essere cristiani in un paese a maggioranza musulmana e dove i cristiani sono solo il 2% significa con coraggio stare a fianco di chi è perseguitato, di chi è malato, di chi necessita di assistenza» - sono le parole di mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, in visita a Torino giovedì 3 marzo nel quinto anniversario dell’assassinio di Shahbaz Bhatti, cristiano, ministro pakistano per le minoranze, ucciso cinque anni fa, il 2 marzo 2011 dai fondamentalisti islamici. Parole che sono risuonate drammaticamente nel giorno di Pasqua, quando i terroristi, hanno di nuovo colpito a Lahore, uccidendo 72 persone con l’intenzione di colpire i cristiani. Non ha bisogno di parlare mons. Joseph Coutts della fatica di essere cristiani nel suo Paese. Il suo volto è una maschera di sofferenza, ricorda il viso dell’Uomo della Sindone. Sperando contro ogni speranza è stato il tema degli incontri torinesi in Consiglio regionale, nella sala conferenze della Galleria d’arte moderna e poi presso il santuario della Consolata 24
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dove ha presieduto la Messa affidando a Maria la comunità cristiana e le minoranze del suo Paese. «Tanti musulmani sono buoni, aperti, desiderosi della pace»
La visita a Torino, nell’ambito di un viaggio di sensibilizzazione sulle persecuzioni dei cristiani che mons. Coutts sta compiendo in Italia e in Europa, è stato organizzato dal Consiglio regionale del Piemonte, dalla Diocesi di Torino in collaborazione con associazioni e movimenti e dalla onlus Aiuto alla Chiesa che Soffre. «Abbiamo nel Paese 300 scuole cattoliche frequentate anche dai musulmani perché non tutti i musulmani sono fondamentalisti – ha detto mons. Coutts – ci sono tanti musulmani buoni, aperti, desiderosi della pace. Siamo convinti che la voce della verità, come dice san Paolo, anche se siamo tribolati non sarà mai ridotta al silenzio e l’oscurità non potrà mai prendere il sopravvento sulla luce. Ma se è vero che c’è un Pakistan in cui cresce l’intolleranza, con la legge della blasfemia che colpi-
Chi è Mons. Coutts
Monsignor Joseph Coutts nasce il 21 luglio 1945 ad Amritsar in Punjab, nell’India nord-occidentale. Trasferitosi in Pakistan, il 5 maggio 1988 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliare della diocesi di Hyderabad, dove sosterrà con forza la battaglia degli agricoltori “senza terra”. Dal 2011 è presidente della Conferenza Episcopale Pachistana. Il 25 gen-
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sce i cristiani e le minoranze indù in cui la quotidianità delle minoranze religiose è miseria, ingiustizia e discriminazione e persino i libri scolastici definiscono i non musulmani come cittadini di serie B, c’è anche un Pakistan che vuole camminare verso il futuro e combattere il fondamentalismo. Ma abbiamo bisogno del sostegno alle chiese sorelle del mondo occidentale. Sono venuto qui a Torino per questo».
naio 2012, papa Benedetto XVI lo nomina arcivescovo di Karachi, incarico che ricopre tuttora. Monsignor Coutts non ha mai smesso di lottare per la liberazione della donna, così come non è mai venuto meno il suo impegno nella lotta contro la «legge sulla blasfemia». Oltre a condannare la norma, che punisce con l’ergastolo chiunque profani il Corano e condanna a morte chi insulta Maometto, il presule ha più volte denunciato le tante esecuzioni sommarie ad opera di estremisti, avvenute in seguito all’assoluzione dei presunti blasfemi. Marina Lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
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è una fondazione di diritto pontificio nata nel 1947 per sostenere la Chiesa in tutto il mondo, con particolare attenzione laddove è perseguitata. L’Opera è stata fondata nel secondo dopoguerra dal monaco olandese Padre Werenfried van Straaten, per aiutare i quattordici milioni di sfollati tedeschi – di cui sei cattolici – in fuga dall’Europa orientale dopo la ridefinizione dei confini della Germania. In pochi anni il sostegno di ACS ha raggiunto rapidamente America Latina, Asia e Africa, ed oggi la fondazione pontificia realizza circa 5500 progetti umanitari e pastorali l’anno in oltre 150 paesi nel mondo. Ha un ufficio internazionale a Königstein in Germania e 21 segretariati nazionali in: Austria, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Corea del Sud, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Malta, Messico, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Stati Uniti e Svizzera.
Segretariato italiano P.zza San Callisto, 16 - 00153 Roma tel. 06 6989.3911 - fax 06 6989.3923 www.acs-italia.org Aiuto.alla.Chiesa.che.Soffre
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Una “ricetta” per superare i guai
EZIO RISATTI PRESIDE SSF REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net
Alla scoperta della “resilienza”, ingrediente fondamentale per rinnovare la stima di sé e rendere più forte il desiderio di vivere... Che non tutto il male venga per nuocere è, in teoria, cosa nota. In pratica, però, è una verità difficile da affrontare. Accade, non di rado, che le disavventure possano aiutare le persone ad acquisire un senso nuovo della vita, una rinnovata stima di sé e un più intenso desiderio di vivere. L’ingrediente fondamentale è la “resilienza”, la capacità di “risalire sulla nave” ogni volta che si viene disarcionati da una tempesta di guai e ci si trova ad annaspare in balia delle onde. È l’abilità di costruirsi un “salvagente” per recuperare fiducia e coraggio e non lasciarsi sommergere dal dolore e dalla disperazione. Risalire sulla nave in balia delle onde
Per allenare e sviluppare la “resilienza” è necessario – innanzi tutto – aumentare 26
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la stima di sé. Un buon punto di partenza può essere la consapevolezza che ogni persona, nel corso della propria vita, è protagonista di una serie d’imprese di cui andar fiera e di un certo numero di debolezze di cui vergognarsi. Rivivere con emozione e gratitudine le cose belle che si è stati capaci di realizzare, analizzare i sentimenti e gli stati d’animo che le hanno accompagnate e fare memoria di ciò che si è vissuto a livello profondo può rappresentare un’ottima palestra per rafforzare la stima di sé. Un gran numero di persone, purtroppo, tende a trascorrere l’esistenza rimuginando continuamente sui fallimenti e sugli errori commessi, entrando in un vortice infinito di rimorsi e di rimpianti. Una spirale nociva, che colora la vita di grigio. Puntare l’attenzione sulle cose belle non significa, naturalmente, negare l’esi-
stenza degli sbagli e delle debolezze, ma volgere la mente esclusivamente a questi ultimi non è costruttivo e infiacchisce l’animo. Ancorare l’ottimismo alla realtà
Un altro ingrediente irrinunciabile per “risalire sulla nave” della vita è essere ottimisti. Non certo di un ottimismo ingenuo del tipo: «Se pensi positivo non dubitare: tutto andrà bene!». Ma dell’ottimismo frutto di una ragionevole speranza e saldamente ancorato alla realtà. Dell’ottimismo che spinge a compiere le proprie scelte in base alla maggior probabilità di ricavare gioia e soddisfazione e non alla paura di non farcela: un ottimismo «adulto», con radici profonde ancorate a una visione positiva dell’umanità e del mondo. Ancora troppe persone, anche a causa delle notizie di cronaca che rimbalzano senza sosta sui mass media, sono convinte di vivere in un mondo e in una società
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«che fanno schifo». Ma non è così. Anche se può capitare di provare la sensazione di essere circondati da una realtà negativa, spiacevole e faticosa, non va mai dimenticato che le realtà positive sono infinitamente di più. La foresta che cresce non fa rumore, ma vale molto di più di quell’albero che cade e fa un rumore pauroso. Il positivo prevale sempre sul negativo, anche quando imperfetto o incompleto. E ciò significa, fuor di metafora, che per quanto una situazione o una persona possano apparire povere, deboli e imperfette, hanno comunque valore e contengono in sé un certo grado di positività. Non si tratta, naturalmente, di mettersi una benda davanti agli occhi e di negare l’esistenza della violenza, del terrorismo, degli scandali internazionali e di molte altre nefandezze, ma di cogliere, nella realtà circostante, almeno un frammento di bellezza, di verità e di bontà. E allora l’ottimismo, ben lungi dall’ingenuità del sempliciotto, si rivela un continuo allenamento per imparare a distinguere e a scrutare, al di là di ciò che appare a prima vista, le ricchezze che uno sguardo superficiale non riesce a percepire. E che aiutano a salvarsi la vita. In pratica: si spera che il male non arrivi mai, ma il sapere che, se dovesse mai arrivare, uno sarebbe in grado di superarlo e magari di trasformarlo in opportunità di crescita, allora questo dà serenità davanti alla vita. Meglio che la fatica non arrivi, ma se dovesse arrivare: pazienza, sarà superata.
www.ssfrebaudengo.it Tel. 011 2340083 info@ssfrebaudengo.it
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Aiutare la speranza nel nome di mamma Margherita
carlo tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
Tra povertà, droga e violenza
L’impegno delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Kenya, al servizio delle donne e dei bambini che vivono nella baraccopoli di Dagoretti, alla periferia di Nairobi. Esistono luoghi dove raramente la vita scorre come un fiume lungo e tranquillo e dove essere mamma e assicurare cibo e istruzione ai figli è assai più difficile che altrove. Dagoretti, baraccopoli che sorge alla periferia orientale di Nairobi, è uno di questi. Nascere e crescere in una qualunque delle minuscole baracche di legno e lamiera prive di luce elettrica, servizi igienici e acqua potabile che si affacciano su strade fangose attraversate dall’odore acre di fumo e di rifiuti non è impresa facile. 28
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La maggior parte delle mamme che vivono a Dagoretti sono costrette ad allevare da sole i propri figli. Alcune sono rimaste vedove, altre sono state abbandonate dal marito e altre ancora non si sono mai sposate. Non di rado, per racimolare qualche soldo, alcune si vedono costrette a prostituirsi, rischiando di venir contagiate dall’Aids e di diffonderlo, o cercano conforto bevendo strani intrugli a base di alcol e droga a basso costo che le illudono di dimenticare i guai. Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono presenti in Kenya da oltre trent’anni. Fino a cinque anni fa le suore che si prendono cura della baraccopoli di Dagoretti si prodigavano per alleviare le sofferenze della popolazione attraverso opere assistenziali quali la distribuzione di cibo e di indumenti e l’elargizione di piccoli prestiti. Dal febbraio 2011, però, hanno deciso di «alzare il tiro» e hanno dato il via al Progetto Mamma Margherita, che - attraverso forme di sostegno materiale, formativo e spirituale - si propone di aiutare le donne ad alleggerire il fardello di povertà e la mancanza d’istruzione per metterle nella condizione di provvedere alla famiglia con maggior serenità e rinnovata consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri diritti. Mettere a frutto i talenti per costruire il futuro
Grazie al Progetto Mamma Margherita le suore salesiane hanno messo in campo una nutrita serie di corsi professionali per offrire alle giovani
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mamme la possibilità di mettere a frutto i propri talenti e di costruire un futuro più roseo per sé e per i figli. I laboratori spaziano dalle attività per la creazione di borse, scarpe, tappeti, vasi e gioielli artigianali ai corsi per sarte e parrucchiere. Un’attività - quella artigianale - decisamente apprezzata anche all’estero, se si considera che presso il Centro delle Figlie di Maria Ausiliatrice le donne più anziane e capaci vengono impiegate nella realizzazione di manufatti che vengono esportati in Germania, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Consapevoli dell’importanza dell’istruzione di base come strumento di riscatto sociale ed economico, le suore salesiane promuovono corsi di recupero per offrire una
nuova occasione alle adolescenti che per motivi economici o familiari sono state costrette ad abbandonare le scuole elementari. E per i bambini più soli e in balia di se stessi, infine, le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno aperto una scuola elementare, inaugurato corsi di alfabetizzazione per chi ha abbandonato gli studi e attività di sostegno per chi ha più difficoltà ad apprendere. Il Progetto Mamma Margherita ha da tempo superato i confini di Dagoretti. E la capacità delle suore di accogliere chiunque senza pregiudizi sta incidendo positivamente sulla vita di un numero crescente di donne che trovano un’occupazione dignitosa e, con maggior fiducia in se stesse e nelle loro possibilità, possono provvedere autonomamente al proprio futuro e a quello dei figli.
Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Dagoretti può mettersi in contatto con:
Anche tu puoi fare qualcosa!
Missioni Don Bosco Valdocco Onlus
via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 101 e-mail: info@missionidonbosco.org o visitare il sito Internet www.missionidonbosco.org
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Il diavolo e l’acqua santa
DIEGO GOSO dondiegogoso@icloud.com
A che servono le chiese?
(Continua dai numeri scorsi. Una signora semplice e un uomo elegante stanno discutendo mentre sono sull’autobus). La signora estrae un cellulare dalla borsa. - «Ne ha uno anche lei… di questi cosi?». L’uomo sorride: «di queste… diavolerie? Certo, mi piacciono molto. Creano una bella campana di solitudine con l’illusione di farci comunicare con gli altri… Un sogno per chi, come me, evita i veri contatti umani…». - «Lei mi mette i brividi, a volte, comunque… se ne ha uno, ogni tanto lo userà per fare la cosa per cui sono stati costruiti anche se nessuno li usa appunto per fare questo…». - «Cioè?». 30
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- «Telefonare…». - «Ah, già… con questi cosi si può anche telefonare…». - «Vede, la preghiera personale è una bella telefonata con Dio… e come le telefonate ha tutti i pregi e i difetti della cosa». - «L’Altissimo le addebita la chiamata» - sghignazza l’uomo mentre la donna lo guarda immobile dimostrando di non apprezzare le battute idiote. - «La linea può non essere sicura, può anche cadere, non si comprende a fondo l’altro perché non te lo ritrovi davanti: ad esempio non si ha l’espressione dei suoi occhi di fronte. Sono facili gli equivoci. Ogni tanto non… c’è campo… e l’altro sembra irraggiungibile…». - «E quindi?» - chiede l’uomo ridiventato serio e attento. - «E quindi non è il sistema massimo
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di comunicazione con il Cielo, anche se è pratico e immediato: sei nella tua camera e apri il cuore. E il Padre è in ascolto. Ottimo, ma non ottimo insieme». - «Questo non mi spiega ancora perché dovrei andare a perdere tempo in una chiesa…». - «Perché parlare con Dio nella propria stanza equivale a… telefonargli. Ma andando in chiesa vuol dire andarlo a trovare… a casa. Lo si incontra faccia a faccia, lo si guarda negli occhi. Per noi cattolici, nell’Ostia Santa… è pure possibile toccarlo… mangiarlo… e non faccia battute su questo…». L’uomo sta pensando e non pare intento a lanciarsi in nuovi spettacoli umoristici. - «Quindi lei mi dice che è tutta questione di più concentrazione…». - «Oh no» - reagisce stizzita la donna - «si tratta di non parlare solo noi ma di percepire concretamente il Signore che ci risponde. Con la lettura di brani di Vangelo durante le funzioni, le intuizioni di qualche prete che fa da spalla al Vangelo senza schiacciarlo con il suo pedante intellettualismo, con il dono di grazia che sono i sacramenti, veri gesti del Signore sull’uomo che consacra, benedice, assolve, unisce… È essere accolti in casa dal proprio Padre e ricevere tutte le sue attenzioni di ospitalità e i doni che sono stati preparati per noi. Con tutto il rispetto, ma questo vale più di mille telefonate». L’uomo rimane in silenzio e pare che anche tutto il mezzo pubblico non emetta fiato o rumore alcuno. La signora ha parlato con un tono più convincente del significato delle sue stesse parole: per lei non sono nozioni di catechismo, si vede che è entusiasta del suo andare a messa, del tempo che passa dentro le mura consacrate.
- «Ma non è così per tutti, no? Quanti di voi durante la Messa si sentono come in prigione e non aspettano altro che il segnale di libera uscita?». Per la prima volta l’uomo si è rivolto a tutti i passeggeri del mezzo. E la sua, più che una domanda, sembra una sottile persuasione. Quasi ipnotizzati gli altri dapprima annuiscono complici poi qualcuno comincia ad esprimere ad alta voce il suo dissenso: una noia, prediche insopportabili e poi tutti quegli sguardi, persone che vengono in chiesa solo per giudicare gli altri… ipocrisie dichiarate di gente che dovrebbe confessarsi in caserma dai carabinieri più che dal prete in bella mostra… La donna si alza di scatto ed estrae dalla solita borsa una boccetta di acqua. Ne versa nell’aria alcune gocce tracciando un segno della croce. I passeggeri scuotono il capo come risvegliandosi da uno stato di soprappensiero e riprendono il loro chiacchiericcio o ascolto di musica. La donna si gira verso l’uomo mostrando la boccetta in tono minaccioso. L’uomo retrocede ma il suo sguardo diventa pieno di disgusto, non certo di paura. - «Vediamo di capirci» - risponde la donna solo all’uomo ma ad un tono di voce sufficiente perché anche gli altri possano tornare a sentirla - «tutte queste cose ci sono, è vero. Come è vero che con la macchina si possa fare un incidente. Ma non è perché uno ha bocciato che ci mettiamo a chiudere le strade o a bruciare le macchine. La Chiesa funziona come casa del Padre se viene usata per questo. Tutti d’accordo su questo?» Di nuovo nessuno sembra fiatare ma questa volta l’attenzione è totale. - «Sono soddisfatta, allora» - conclude la donna rimettendo l’acqua santa in borsa e risedendosi con aria compiaciuta. MAGGIO-GIUGNO 2016
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Quando l’arte e la vita s’incontrano
carlo tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
Un’esistenza in salita
Come sono stati i suoi inizi? «Sono nato nel 1958 in un paesino della provincia di Trapani. Ero un bambino molto vivace: adoravo stare all’aria aperta, scalare alberi e inferriate, rincorrere le galline che razzolavano nell’aia e “sezionare” gli oggetti per scoprire com’erano fatti… Tutte cose, insomma, che non contribuivano alla serenità famigliare. I miei genitori erano severi e a scuola i ragazzi più grandi m’insultavano e si prendevano gioco di me. A sei anni trascorrevo le vacanze estive facendo lavori stagionali in campagna o nei cantieri e a dieci il terremoto della Valle del Belice ci ha costretti a trasferirci prima in una tendopoli e poi in una baracca. Sono esperienze che mi hanno segnato nel profondo e che la severità dei miei genitori ha a volte contribuito a rendere più traumatiche».
A tu per tu con il disegnatore Giovanni Milazzo, che sublima attraverso il disegno le proprie emozioni e i propri stati d’animo. Accade, a volte, che una grande passione possa sbocciare da un’apparente sconfitta. Ne è convinto il disegnatore Giovanni Milazzo, che grazie a un’insufficienza in educazione artistica e a un’estate trascorsa tra pennarelli, matite e fogli da disegno per preparare gli esami di riparazione, ha scoperto l’amore per il disegno. Da allora molte cose sono cambiate nella sua vita, ma l’interesse per l’arte e la sua disciplina non lo hanno più abbandonato. 32
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Come si è fatto largo il desiderio di disegnare? «Quando sono stato rimandato in educazione artistica mi sono esercitato per mesi a riprodurre i ritratti dei nonni e degli zii. Dopo la licenza media mi sono iscritto diverse volte alle superiori ma non riuscivo a portare a termine l’anno scolastico perché studiare e lavorare era durissimo: al mattino frequentavo le lezioni e al pomeriggio accudivo le pecore con mio padre. In famiglia erano liti continue perché mamma e papà volevano che lavorassi a tempo pieno, ma non volevo darmi per vinto e continuavo a copiare le opere di Picasso, il mio pittore preferito, e le Madonne di Botticelli e di Raffaello. I soldi, in casa, non bastavano mai e non di rado frugavo nelle discariche in cerca di cartoni, matite e penne per disegnare. A diciassette anni, grazie alla complicità
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di una cugina, m’iscrissi all’Istituto d’arte e in tre anni mi diplomai. Ma il clima, in casa, era sempre più teso e, con il diploma di maestro d’arte in tasca, abbandonai la Sicilia e approdai a Torino». Come è stato l’approccio con la città? «Non conoscevo nessuno e non avevo amici. Cercavo un lavoro e trovavo solo fame e miseria. Riuscivo a comunicare il mio malessere solo attraverso i disegni e cominciai a fare il “madonnaro” sulle piazze per racimolare qualche soldo». Trapezi, croci e puntini
Come è evoluto, nel corso degli anni, il suo stile? «La mia produzione artistica è legata in modo inscindibile alle mie emozioni e ai miei stati d’animo. A nove anni, nel corso di uno spettacolo circense, ho assistito all’incidente di un trapezista. Ne sono rimasto talmente traumatizzato che ho cominciato a utilizzare la forma geometrica del trapezio come tratto per i miei disegni. Dopo il trapezio ho usato la croce, simbolo del dolore che mi dilaniava per la carenza d’affetti famigliari, poi sono passato ai puntini, così simili al granello di senape di cui parla Gesù nella parabola: il più minuscolo dei semi e, nel contempo,
quello in grado di far sbocciare una pianta capace di offrire riparo agli uccelli». Oltre che nell’arte, dove hai trovato ancore di salvezza? «Senza dubbio nella Chiesa, che mi ha accolto quando ero in difficoltà e aiutato a mantenere la rotta della mia vita, e nella figura di Maria, che vivo un po’ come la mamma che mi sarebbe piaciuto avere e non ho avuto. Entrambe hanno contribuito a colmare la mia fame di calore e di affetto e mi sono state di soccorso e di guida». Com’è la sua vita oggi? «Dopo anni di tribolazioni ho finalmente una casa e un lavoro. Oggi ringrazio la mia famiglia per avermi trasmesso dei valori e faccio volontariato per alleviare le sofferenze del prossimo. E continuo a disegnare, sperando che la mia arte e la mia esperienza possano essere utili a qualcuno».
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Esami di qualifica Timori e speranze di fine anno scolastico al Centro di Formazione Professionale di Bra (Cuneo). Si erano salutati il venerdì, fatidico “ultimo giorno di scuola”, con allegria. I ragazzi e le ragazze delle terze del Centro di Formazione Professionale di Bra (Cuneo), poco prima si erano assiepati davanti alla bacheca, nell’atrio della portineria, per leggere il proprio credito. Qualcuno, individuato il suo nome e letto il “numerino”, si era un po’ rabbuiato: sperava di avere di più. Altri commentavano felici la performance raggiunta. Qualcuno, avvicinandosi alla macchinetta delle bibite, si affannava a fare i conti per capire quanto gli mancasse per arrivare al “60” e stare promosso. Immancabili le frecciatine: «Hai visto Luca? Ha preso 44,5. Un vero secchione!». Anche Enrico e Simone hanno letto. Uno ha avuto 26, mentre l’altro ha meritato un bel 38. Si dicono: «Ci troviamo domani pomeriggio a ripassare qualcosa insieme? Così, poi, alla sera andiamo a mangiare la pizza. E all’esame ci penseremo lunedì». Zainetto con ansia
E ci sono tutti, il lunedì mattina presto, con lo zaino in spalla e l’ansia, inevitabile, dipinta in volto. Entrano i formatori. Appena vedono quello di laboratorio, sia i meccanici industriali, sia gli auto, i termo e le parrucchiere, si fiondano vicino. Le domande sono sempre le stesse: «È facile l’esame? Lei lo ha già visto vero? Starò promosso?». Poi arrivano le persone che non si conoscono. Sono il presidente, un commissario esterno, un esperto del settore: la commissione d’esame. Manca sol34
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tanto il docente interno. Poi si comincia. A gruppi-classe, secondo il calendario che è stato presentato la settimana precedente, si dirigono verso le aule di informatica del Centro. La prima prova è on-line. Due ore di tempo, un questionario con tante domande, sulle materie professionalizzanti. Prima di iniziare, anche per stemperare un poco la tensione, un mini-buongiorno e una preghiera. Che tutti (!) recitano con fervore. E poi si comincia. Terminata la prova, un breve intervallo e poi in laboratorio. La prova pratica
Qui ci si sente molto più sicuri. In meccanica tradizionale hanno tutti i pezzi “pre-lavorati” allineati sul loro banco di lavoro. Poi i disegni, il ciclo. Adesso bisogna fare il programma del Cnc e poi verificare che funzioni. In meccanica d’auto ogni motore ha il suo cartello, con il nome dell’allievo che lo dovrà smontare, controllare e rimontare. Sperando che, poi, funzioni tutto. I termoidraulici sono invece alle prese con tubi e schemi. Devono
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la tensione. E si dà spazio alla creatività. Passano i giorni. Si arriva al questionario finale. Poi all’orale. «Ci avevano detto che era come un colloquio di lavoro. Come ti è andata?» Passano tutti e se ne vanno. Per vivere l’ultima trepidante attesa del tabellone finale. Che sarà esposto venerdì. Il futuro in mano
realizzare l’impianto di un bagno. Fare i vari collegamenti e poi collaudare: non si deve vedere neppure una goccia d’acqua a terra. Al quarto piano, la commissaria del settore - una parrucchiera, che ha l’aria molto severa - sta invece leggendo il compito da svolgere: si tratta di un’acconciatura da sera, per partecipare ad un evento elegante. Le pupette - già sistemate in ogni postazione - aspettano di essere “trattate”. Con colore, meches, pieghe e ornamenti vari. Quando tutti i phon sono in azione - con le finestre aperte per vincere la canicola di giugno - si scioglie anche
Mentre si salutano, le info dell’ultima ora: «Sai che andrò a lavorare nell’azienda in cui ho fatto lo stage? Mi hanno chiamato ieri, dicendomi di presentarmi appena avrò l’esito dell’esame». «Io invece alla fine ho deciso: il Larsa è andato bene e continuerò all’Ipsia, che è sempre ai Sale. Almeno non cambio casa». L’ultimo gruppo, quello delle acconciatrici, si stava già organizzando per iscriversi in massa alla specializzazione. Una commentava: «Non è certo che sarà attivata ma finora c’era. Perché non la dovrebbero fare anche per noi? Io la finisco, poi rilevo il negozio di mia zia. E vi assumo tutte!». Allora auguri ragazzi. Adesso il futuro è davvero nelle vostre mani. Fatene un buon uso. Valter Manzone direzione.bra@cnosfap.net
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Umberto Eco e don Bosco ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net
Saggista, scrittore, filosofo e linguista italiano. Autorevole studioso di semiotica, scienza nella quale ha visto l’icona di un sapere interdisciplinare, è anche brillante pubblicista e scrittore, autore di numerosi saggi e di alcuni romanzi di grande successo, fra i quali spicca Il nome della rosa (1980), giallo filosofico di ambientazione medievale. (da enciclopedia Treccani).
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Intellettuale laico, ma con una profonda inquietudine religiosa. Nella vita di Umberto Eco, spentosi a Milano il 19 febbraio scorso, è stata forte l’impronta salesiana, anche dopo la scelta di allontanarsi dal Vangelo. Incastonato tra le colline coltivate a vite e le porte della città di Nizza Monferrato, nell’astigiano, c’è ancora l’oratorio dove da giovanissimo, sfollato durante la Seconda Guerra Mondiale, studiò musica e ambientò, più di trent’anni anni dopo, un capitolo del suo romanzo Il Pendolo di Foucault. Per quali motivi un ragazzo che fu tra i dirigenti della Gioventù di Azione cattolica, un uomo da comunione quotidiana e da confessione settimanale che scelse san Tommaso per la sua tesi pensando alla fede da difendere e non a una laurea da conquistare, abbia deciso in seguito di approdare a un agnosticismo prima e a un ateismo poi, resta un enigma da indagare: in ogni sua opera era comunque e sempre forte
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il richiamo a una riflessione sul sacro e sulla spiritualità, consapevole com’era che le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana, della società, del mondo. L’incontro con don Celi
Chi ha conosciuto il carisma salesiano sa bene che l’unica vera “formula” davvero efficace nell’opera educativa è l’incontro con autentici buoni maestri che sappiano affascinare e indicare la strada. Eco trovò questa figura in don Giuseppe Celi, direttore dell’oratorio di Nizza Monferrato, cinquantaquattro anni al servizio della gioventù nicese, un sacerdote pieno di bontà e di istruzioni per l’uso che ha fatto propria la frase di don Bosco «un oratorio senza musica è come un corpo senza anima» creando la banda musicale del paese e insegnando proprio a Eco a suonare il “genis”, uno strumento della tradizione molto simile al clarinetto. Guadagnandosi il cuore di
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quel bambino che sfiorerà più volte il Nobel per la Letteratura, don Celi diventerà per lui come una luce accesa: un modo per orientarsi, un’intermittenza nel buio. L’importanza dell’oratorio
La pastorale salesiana ha toccato così anche uno dei protagonisti del Novecento, che negli anni ha attribuito a don Bosco il merito di una “grande rivoluzione” per aver proposto e realizzato “un nuovo modo di stare insieme”. «Questo geniale riformatore – scrisse Eco – intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione, prima giovanile poi adulta, e inventa l’oratorio salesiano: una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa, è gestito in proprio su basi minime. La genialità dell’oratorio è che esso prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue». Con quella sua capacità di unire con naturalezza cultura alta e cultura popolare, Eco tornerà nuovamente sul “progetto don Bosco”, scrivendo che perché continui nella sua efficacia è necessario «qualcuno o un gruppo con la stessa immaginazione sociologica, lo stesso senso dei tempi, la stessa inventività organizzativa».
Un inquieto cercatore
Così l’uomo delle strutture narrative, delle architetture concettuali, l’uomo della “biblioteca di Babele”, del sapere sconfinato eppure rigoroso, lascia il suo pensiero sul mondo salesiano che ha conosciuto da ragazzo. Filosofo, semiologo, medievalista, linguista, enciclopedista, professore universitario, direttore editoriale, tante, troppe definizioni depistano dal suo atteggiamento di fondo. Che era quello di un ottimo rappresentante di quella “Società dell’Allegria” di donboschiana memoria, dove ognuno aveva l’impegno di far nascere le piccole cose che aiutano a vivere meglio. Dove tutto ciò che produceva malinconia, doveva andarsene. Amava divertirsi e scrivere, apprendere e insegnare. Ammettendo, in quei bests sellers che oggi sono vere e proprie cartine geografiche per capire questo tempo, il presente e il tempo futuro, di essere un inquieto cercatore.
«A parte la sua esperienza religiosa giovanile – una matrice che non aveva mai voluto dimenticare nonostante il suo spirito profondamente laico –, in lui c’era il desiderio di vedere come si potesse vivere l’esperienza di fede pur senza rinunciare a tutte le curiositas culturali. Sempre con grande rispetto per i temi teologici e di spiritualità» (Card. G. Ravasi intervistato da Edoardo Castagna per Avvenire, 21/2/16).
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La malattia inguaribile Una VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net
Una Volontaria di Don Bosco confida di convivere con la sclerosi multipla.
Ho 52 anni e da quando ne avevo 25 sono ammalata di sclerosi multipla. Un anno dopo gli esami di teologia e pedagogia sociale, nel bel mezzo degli studi per il dottorato in teologia, questa malattia mi ha messa “fuori combattimento”. Non ho potuto terminare il dottorato e non ho potuto intraprendere la carriera di docente universitaria. Questa malattia cambia la vita all’improvviso. Tutto quanto funzionava fino a quel momento in maniera naturale, ad un tratto non funziona più. Non ci si può più affidare alle proprie risorse né per camminare, né per tutti i lavori di ogni giorno in casa: cucinare, lavare, asciugare i capelli… Tutti gesti che diventano un problema insolubile per un corpo che si è paralizzato in diverse parti. Sebbene a prima vista non si noti nulla, il malato sente le limitazioni a ogni passo. Il crollo supremo per me fu la pa38
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ralisi del mio centro della parola, improvvisamente, tanto da non poter più parlare. Con l’inizio della riabilitazione avevo quasi superato le più gravi difficoltà linguistiche. La cosa che non era possibile superare era la rallentata ricerca delle parole. Ho bisogno di tempo per trovare le parole. Il fatto rende molto faticoso il dialogo con gli altri. Il corpo incatenato
Appena una persona sa di avere la sclerosi multipla, deve riflettere. In un primo momento c’è soltanto la parola “inguaribile”. Significa incatenato. Qualunque cosa vorresti fare, non sortirebbe alcun esito. Perché se ci fosse qualche via d’uscita, la malattia non sarebbe più inguaribile. Nessuno può dirti la causa della malattia e nessuno può descrivertene il decorso. In pratica, di fronte a te stessa tu sei il muro. La minaccia è
Dio è la mia forza
Una malattia ha sempre tre componenti: la malattia stessa, come si vive con essa e come reagisce l’ambiente. Della mia malattia ho già parlato. Per quanto riguarda l’ambiente e la relazione con gli altri: dovendo dare al mio corpo ciò di cui ha biso-
gno, per esempio gli spazi di riposo, devo avere il coraggio di dire quando mi è indispensabile fare pausa, ecc. I membri dell’Istituto secolare, di cui faccio parte, sanno della mia malattia. Li ho informati subito dopo la diagnosi. Volevo essere sincera con loro. Volevo però inserirmi nel mio gruppo come se non avessi alcuna malattia. Trovo dentro di me la forza per portare la mia condizione, quando sono lasciata in pace con la mia situazione e con Dio, quando trovo almeno la calma per elaborare e integrare i diversi aspetti della mia malattia. In questo la fede mi è di grande aiuto. Però, più si restringe il mio orizzonte di vita, più cresce il contatto interiore con Dio, per lo meno si compensa. Debbo dire addirittura che solo per mezzo di un’intima relazione con Dio, nostro Padre, trovo la forza per sopportare il negativo nella vita, per non crollare. Non più di questo: ma questo basta! È ciò che conta: sopportare. Il di più viene al momento, in cui il tempo è maturo per il cielo.
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presente dovunque, cammina con te. Tuttavia non devi impazzire. All’inizio andavo a letto col pensiero che all’indomani qualcosa avrebbe potuto non funzionare più. Un senso di oppressione mi accompagnava. Ora vado a letto come tutti, con una grande fiducia fondamentale, che il giorno successivo mi potrò svegliare normalmente e potrò muovere i miei arti. Per me sono un grande dono la mia spensieratezza, la mia fiducia in tutte le situazioni. Affiora un grande rispetto per il miracolo della vita, per il proprio corpo, per come funziona, per come fa i servizi necessari alla vita. Sperimentando le resistenze, si è grati per le cose semplicissime e si valuta la vita ancora più profondamente.
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Maria madre di Misericordia
Nella bolla d’indizione dell’Anno Giubilare straordinario della Misericordia, papa Francesco così parla di Maria Santissima: «Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore» (Misericordiae Vultus n. 24). Don Bosco onorò in modo speciale Maria come Madre di Misericordia. In particolare tale tito40
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lo è presente nell’impresa di edificare la Chiesa – Santuario di Maria Ausiliatrice a Torino – Valdocco. Gli obiettivi di don Bosco nell’affrontare l’impresa dell’edificazione erano chiari: voleva una chiesa grandiosa che fosse un monumento alla Vergine Maria, segno chiaro della sua presenza a sostegno della Chiesa, come al tempo di Lepanto o durante la prigionia di Pio VII. Dopo aver celebrato con grande solennità il 27 aprile 1865 la posa della pietra angolare della erigenda chiesa i lavori procedettero pur tra difficoltà e battute d’arresto e nel maggio del 1867 venne collocata sulla cupola la statua rappresentante Maria Madre di Misericordia in atto di benedire i suoi devoti. Inoltre ciascuno dei due campanili, fiancheggianti la facciata, venne sormontato da un angelo in rame battuto e indorato, dell’altezza di due metri e mezzo. A destra: un angelo recante con la mano sinistra una bandiera, in cui a traforo nel metallo e a grossi caratteri, è scritto “Lepanto”. A sinistra un altro, in atto di offrire con la mano destra una corona d’alloro alla Santa Vergine, che domina dall’alto della cupola. In un primo disegno anche il secondo angelo sollevava una bandiera sulla quale era, pur a traforo la cifra 19.. seguita da due fori. Indicava una nuova data e cioè il mille novecento, omesse le decine ed unità di anni, segno di un nuovo trionfo di Maria. Così don Bosco descrive la statua che campeggia dall’alto della cupola: «A piè della statua avvi questa iscrizione: Angela e Benedetto coniugi Chirio in ossequio a Maria Ausiliatrice FF. Queste parole ricordano i nomi dei benemeriti oblatori di questa statua che è di rame battuto. L’altezza è di circa quattro metri, sormontata da dodici stelle dorate che fanno corona sopra il capo della gloriosa Regina del cielo. Quando la statua venne collocata al suo posto era semplicemente bronzata: la qual
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cosa rilevava assai bene i lavori dell’arte, ma a qualche distanza diveniva appena visibile, laonde si giudicò bene di indorarla. Una pia persona già per molti titoli benemerita s’incaricò di quella spesa. Ora risplende luminosa, e a chi la guarda di lontano al momento che è battuta dai raggi del sole, sembra che parli e voglia dire: Io sono bella come la luna, eletta come il sole: Pulcra ut luna, electa ut sol. Io sono qui per accogliere le suppliche de’ miei figli, per arricchire di grazie e di benedizioni quelli che mi amano» (Maraviglie della Madre di Dio). Maria prega, supplica e intercede come Madre tenerissima e misericordiosa, perché «è proprio della misericordia il reputar nostro il bisogno altrui».
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“Sollecitudine e diligenza” nel prevenire e nel provvedere: un aiuto opportuno e al giusto momento, perché espressione e frutto dell’intima unione della Madre col Figlio nell’opera della salvezza. Maria rifulge quale luminoso esempio di fede, maestra di fiducia, di amore e di obbedienza, esempio di umiltà, di prontezza e di prudenza. PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org
è la nostra foresteria per ospitare: singoli, famiglie, piccoli gruppi; pellegrini
Ufficio Accoglienza
tel. 011.5224201 – fax: 0115224680 accoglienza.valdocco@salesianipiemonte.it www.accoglienza.valdocco.it
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Adma in Italia meridionale: assemblea ispettoriale
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Domenica 13 marzo 2016 si è tenuto a Bari, presso l’Istituto salesiano “Redentore”, l’assemblea dell’ADMA dell’Ispettoria Meridionale. Un incontro ben preparato dal gruppo locale e coordinato da don Angelo Draisci, Delegato dell’Ispettore per la Famiglia Salesiana, e dalla Coordinatrice della Puglia Sig. ra Michelina Fares. La presenza sia del Presidente dell’ADMA Primaria di Torino, Sig. Tullio Lucca, che dell’Animatore spirituale mondiale, don Pierluigi Cameroni, ha evidenziato il valore di questo incontro finalizzato sia a presentare la fisionomia e la vita dell’Associazione, sia a condividere le linee di rinnovamento che l’ADMA sta attuando, soprattutto dopo il grande evento del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, svoltosi al Torino e al Colle
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don Bosco nell’agosto del 2015. L’incontro ha visto la partecipazione di numerosi associati, circa 150, in rappresentanza di 16 gruppi locali: Campania (Salerno); Puglia (Lecce, Brindisi, Bari, Martina Franca, Molfetta, Cerignola, Foggia) Calabria (Locri). I gruppi di Napoli Vomero, Napoli Portici, Potenza, Soverato, Vibo, Taranto non hanno potuto partecipare. Don Pierluigi Cameroni nel suo intervento ha sviluppato e approfondito molti punti che riguardano l’appartenenza all’ADMA: vivere la spiritualità del quotidiano con atteggiamenti evangelici, alla scuola di Maria (Fiat – Magnificat –Stabat); l’appartenenza alla Famiglia Salesiana. Successivamente ha presentato il VI Quaderno di Maria Ausiliatrice. Dalla Casa di Maria alle nostre case, richia-
me la richiesta di grazia per il futuro. Don Pierluigi, ispirandosi alla Parola di Dio del giorno, ha invitato a volgere lo sguardo in avanti, come esortava il profeta Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?», vivendo l’adesione all’ADMA con lo spirito del Magnificat. Al termine dell’Eucaristia è stato presentato il primo Consiglio Ispettoriale dell’ADMA del Meridione: Michela Fares, Presidente Ispettoriale; Elisa Giannone, rappresentante Campania – Basilicata; Nadia Romano, rappresentante Calabria; Concetta Picoco, rappresentante Puglia. Per tutta la durata della giornata si sono manifestati intensi sentimenti di comunione fraterna e familiarità tra i convenuti, oltre che un vivo interesse e attiva partecipazione alla vita dell’Associazione. Si è sperimentata la gioia di ritrovarsi insieme, guidati dall’Ausiliatrice, che rinnova la sua Associazione chiedendoci di testimoniare, con il cuore di don Bosco, la gioia del Vangelo.
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mando il grande evento del Congresso di Torino e sollecitando il rinnovamento dell’Associazione con una particolare attenzione alla famiglia. Quindi ha preso la parola il Sig. Tullio Lucca, che dopo aver condiviso l’esperienza di preparazione e di celebrazione del Congresso, ha richiamato il ruolo dei laici nella vita dell’Associazione e ha trattato del tema della complementarietà e corresponsabilità che deve esserci nella Famiglia Salesiana e nell’ADMA, dando rilevanza alla pastorale famigliare e giovanile. Tullio ha anche richiamato l’identità e il ruolo del Consiglio locale, elemento strategico per la vita dei gruppi, sottolineando lo spirito di comunione e di servizio che deve animare i soci che si rendono disponibili per questo incarico. Al termine c’è stato uno scambio condividendo le esperienze, le risonanze e le problematiche che vivono i gruppi locali. La celebrazione eucaristica presieduta da don Pierluigi Cameroni e concelebrata da don Angelo Draisci e da don Pino Ruppi, è stata un forte momento di rendimento di grazie per la vita dell’Associazione e insie-
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Ananas…spiritoso Curiosando tra i Giubilei. Dall’Anno di Grazia del Signore, annunciato dal yobel, strumento musicale ricavato dal corno di un ariete, che secondo la legge mosaica doveva cadere ogni 50 anni, all’Anno Santo della Misericordia è passata molta acqua sotto i ponti… e non soltanto di Roma. La concessione dell’indulgenza , segno del perdono, si evolve di pari passo con il Sacramento della Riconciliazione e con la varie forme di penitenza cui si sono sottoposti i fedeli nella storia della Chiesa (digiuni, rinunce, pellegrinaggi). L’esigenza di un “perdono totale” con la cancellazione di ogni debito di pena, concesso nel Medioevo soltanto ai crociati in partenza per la Terra Santa, era sentita non soltanto dai fedeli, ma anche da santi e prelati. San Francesco d’Assisi, dopo una visione angelica, nel 1216 ottenne da Papa Onorio III la concessione di una “perdonanza universale” per i fedeli che si recassero alla chiesetta della Porziuncola a 1 ananas decorticato e affettato, oppure una scatola di ananas
1 bicchiere di Grand Marnier o di Cointreau (o Kirsh o maraschino) 2 cucchiai di zucchero Sistemare le fette di ananas fresco o in scatola, sgocciolate, in un piatto da portata. Coprirle di zucchero e innaffiarle abbondantemente con il liquore preferito. Lasciar riposare un’ora prima di servire.
Occasione di gioia e di festa, gustiamo una semplice specialità esotica: l’ananas spiritoso, che chiamiamo così per gli ingredienti alcolici. determinate condizioni (confessione, Comunione, recita di particolari preghiere, opere di carità). Questo “perdono di Assisi”, concesso il 2 agosto di ogni anno ai visitatori della Porziuncola, oggi inglobata nella basilica di Santa Maria degli Angeli di Assisi, venne successivamente esteso a tutti i fedeli che in ogni parte del mondo si rechino in una chiesa francescana il 2 agosto, alle solite condizioni. Celestino V, un eremita eletto papa nel 1294, volle che la funzione inaugurale del suo pontificato si svolgesse all’Aquila, anziché a Roma, e concesse la “perdonanza universale” ai fedeli che assistevano alla cerimonia. In quell’occasione fu aperta la prima Porta Santa della storia nella basilica di Santa Maria di Collemaggio. Celestino V rinunciò al pontificato dopo solo quattro mesi, tornando alla vita monastica. Nel breve mandato pontificio aveva stabilito un primato, con l’estensione della “perdonanza dell’Aquila” ai fedeli che il 29 agosto di ogni anno si fossero recati in pellegrinaggio alla celebre Basilica aquilana, gravemente danneggiata dal terremoto del 2009. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Don Bosco
Ricordiamo che la prima santa Messa quotidiana celebrata nella Basilica di Maria Ausiliatrice
è officiata per tutti i benefattori dell’opera salesiana. La redazione
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