Rivista Maria Ausiliatrice 4/2016

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Maria Ausiliatrice d e l l a

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t o r i n o – v a l d o c c o

lu g l i o

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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO

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#V acanze:

rigenerazione umana e spirituale

16 Dio a modo mio.

La fede non può nascere che dallo stupore di un incontro

l a fotogallery

della Festa di Maria Ausiliatrice

32 Amore incondizionato:

Dio non è giudice “vendicativo” ma Padre “esager ato” ISSN 2283–320x

LUGLIO-AGOSTO 2016


Dopo settantacinque anni di liete armonie

IL MAGNIFICO ORGANO

DELLA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE HA NECESSITÀ DI

UN URGENTE E COSTOSO RESTAURO

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È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompagnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti della Congregazione Salesiana. Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore fu costruito da Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è uno dei più grandi e preziosi d’Italia.

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CAUSALE: Restauro Organo Basilica di Maria Ausiliatrice - Torino. In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore. Luglio/Agosto 2016

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Le tre ecologie Cari amici, se avete avuto la possibilità, e v’invito caldamente a trovarla, di leggere il magistrale intervento di Papa Francesco sulla cura della casa comune, l’Enciclica Laudato si’, vi è un capitolo (il IV) intitolato “Un’ecologia integrale”, dove sono richiamate tre ecologie: l’ecologia ambientale, l’ecologia culturale e l’ecologia della vita quotidiana. Prendo spunto da questi tre titoli non per approfondirne il contenuto, ma per riflettere con voi, in modo semplice, sul periodo estivo che si apre e su come possiamo valorizzare il tempo delle vacanze e delle ferie, per dar più qualità alla nostra vita e riprendere forze fisiche e spirituali. Il richiamo all’ambiente, in un periodo più calmo, ci invita alla valorizzazione della natura, al sapersi immergere in essa per coglierne la bellezza, per meravigliarci, per saper godere di questo magnifico dono che Dio ci ha fatto. Non è necessario andare a cercarlo in luoghi esotici lontani, spesso è a portata di mano vicino a noi. La contemplazione della natura porta il credente a pensare a Dio. San Francesco insegna: il Cantico delle creature, ispirato sicuramente al Cantico biblico dei tre fanciulli (Dn 3,51-90) ce lo rivela. Il richiamo alla cultura ci invita a riflettere, a fermarci, aiutati da qualche buon libro, da qualche esperienza significativa, dal riprendere in mano il Vangelo, alcuni documenti della Chiesa. Siamo sempre di corsa: diamo respiro alla nostra intelligenza e al nostro spirito, che spesso rischiano di essere poco nutriti, accontentandoci di sintesi veloci, talora distorte e tendenziose, estrapolate al di fuori del contesto, tratte da quotidiani o da spot mediatici di ogni tipo. Oggi si fanno molte esperienze, veniamo a conoscenza di tante situazioni, siamo bombardati da migliaia d’informazioni, ma si riflette poco su di esse. Un esempio al riguardo ci viene dalla Vergine Maria: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Il quotidiano è il luogo dove noi rispondiamo a Dio e impariamo ad offrirlo a lui come liturgia della vita: «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore» (Col 3,23). L’ecologia della vita quotidiana, oltre agli impegni di lavoro, di responsabilità, ci richiama in modo del tutto particolare al tema delle relazioni, del tempo dedicato alla famiglia, agli amici. In tempo di vacanza il non essere pressati da impegni di lavoro dà più tempo per stare insieme, per dialogare, condividere, far festa, rendersi disponibili verso chi ha bisogno, rigustando in concreto il detto biblico: «Ecco quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1). Tante tensioni si posso calmare e tanto dialogo costruttivo può trovare spazio. Don Bosco affidava le vacanze dei suoi ragazzi alla Vergine Maria, affidiamole anche noi a Lei. Ricordiamo nella nostra preghiera i giovani che a Cracovia dal 26 al 31 luglio parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù: sia per loro un’autentica esperienza di Chiesa. Vi assicuriamo il nostro ricordo in Basilica. Don Franco Lotto RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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Marco bonatti

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giuliano palizzi

1 LE tre ecologie

giovanni costantino

giovani 14 un dio tom-tom?

don franco Lotto

A TUTTO CAMPO 4 Quando volere è potere

giuliano palizzi

16 dio a modo mio ermete tessore

ezio risatti

LA PAROLA 6 Da Roma al mondo intero MARCO ROSSETTI

8 Soltanto la morte ferma

chi è “votato” alla ricchezza marco bonatti

misericordiosi come il Padre Salvatore Barino e Orazio Moschetto

22 All’Agnelli si costruiscono dei cittadini Giovanni Costantino

24 La mia vita quotidiana come VDB

12 Devozione mariana Bernardina do Nascimento

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20 Con don Bosco…

robert cheaib

francesca zanetti

domus mea ic

una VDB

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino

PER SOSTENERE LA RIVISTA:

Direttore responsabile: Sergio Giordani

Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Giancarlo Isoardi, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani

Intestato a: Santuario Maria Ausiliatrice via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino

Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80

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Andrea Caglieris

21 Gesù e psicoterapia

MARIA 10 Un gancio nel cielo

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don bosco oggi 18 Il collezionista di don Bosco

Maria Ausiliatrice n. 4

Progetto Grafico, impaginazione ed elaborazione digitale immagini: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

Foto di copertina: Rrruss - Fotolia Archivio Rivista: www.donbosco–torino.it

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carlo tagliani

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anna maria musso freni

26 M aria, donna del Sì, guidata

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INSERTO

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38 il diavolo e L’acqua santa

dallo Spirito

diego goso

Pierluigi Cameroni

28 L’ADMA nell’ispettoria salesiana missionaria del Mato Grosso (Brasile)

Pierluigi Cameroni

40 Volevo fare

Il macchinista anna maria musso freni

INSERTO FOTOGALLERY

30 Harambée una casa per restituire futuro

marina lomunno

chiesa e dintorni 32 Misericordia e conversione: quale immagine di Dio?

CARLO Miglietta

34 Fiera di essere ebrea e cattolica Mario Scudu

36 Diciotto anni tra Nigeria e Ghana CARLO TAGLIANI

RivMaAus

rivista.ausiliatrice

Foto

SHUTTERSTOCK: Juriah Mosin (10); ALTRI: Dario Prodan (2a copertina); Yellow Dog Productions (4); Archivio RMA (5-6, 8, 11, 14, 16-19, 21, 24, 26, 32, 38, 40); Andrea Cherchi (12); ANS-Roma (16); CNOS-FAP Piemonte (22,23); Archivio ADMA (28-29).

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a tutto campo MARIA

Quando volere è potere

EZIO RISATTI PRESIDE SSF REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net

Riconoscere i motivi profondi che guidano azioni e desideri per allenare la volontà a realizzare i sogni.  Il suo è, da sempre, un compito arduo: coordinare e dirigere l’intelligenza e la sensibilità per permettere all’uomo di raggiungere le mete e i risultati che si propone. È invisibile agli occhi ma, quando si mette in moto, i suoi effetti sono evidenti e possono lasciare a bocca aperta. Come un bicipite o un addominale, la volontà è un “muscolo” che va allenato ed esercitato con costanza. Una forza esplosiva e sottile

Come ben sanno i coach che hanno seguito la preparazione atletica dei campioni che si sono qualificati alle Olimpiadi di Rio, ogni disciplina richiede un particolare allenamento: il velocista che mira a tagliare il traguardo dei cento metri piani necessita - per esempio - di esercizi e di regimi alimentari diversi da chi aspira a vincere la medaglia d’oro nella maratona. Allo stesso modo, convivono nell’uomo una volontà “esplosiva”, simile allo scatto 4

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del centometrista, e una volontà “sottile”, simile al passo cadenzato del maratoneta, ed entrambe hanno bisogno di essere allenate. La volontà “esplosiva”, simile a un motore turbo, è in grado di sviluppare molta energia in poco tempo. È quella che si “mette in moto” quando, dopo averci riflettuto a lungo, si decide d’intraprendere un viaggio, d’iscriversi all’Università, di andare a vivere da soli, di sposarsi o di cambiare lavoro. È quello schiocco di frusta che, dopo mattinate di dubbi, pomeriggi d’angoscia e notti insonni, spinge inesorabilmente all’azione. La volontà “sottile”, simile a un motore diesel, sviluppa una moderata quantità di energia per lunghi periodi. È quella che consente di dare forma e concretezza alle decisioni: di giungere, passo dopo passo, alla meta designata; di dedicare tempo allo studio per superare gli esami e laurearsi; di affrontare la fatica di un trasloco e


La forza della fantasia e della speranza

Naturalmente non è tutto così semplice, perché i momenti di crisi e di stanchezza sono sempre in agguato e non è facile - a volte - fare i conti con la quotidianità. Può capitare, allora, che la volontà “sottile”, simile a una barca a vela che solca il mare sospinta da un vento leggero, incontri un ostacolo che le impedisce di avanzare. Per liberarla è necessario ricorrere alla volontà “esplosiva” e… a uno sforzo di fantasia! Proiettare la mente sulla gioia e sulla soddisfazione destinate a esplodere nel momento in cui i sogni verranno coronati, infatti, può rivelarsi un ottimo rimedio per aiutare la volontà “esplosiva” a sbloccare la volontà “sottile” e a consentirle di riprendere la rotta. Orientare la volontà verso la gioia che la realizzazione di un sogno sa regalare ha molto in comune con la virtù teologale del-

la Speranza. La Speranza, per i cristiani, non è in alcun modo assimilabile al “fare scongiuri”, all’augurarsi che domani non piova o alla possibilità d’imbattersi in un fungo porcino nel bel mezzo di una passeggiata in campagna. È qualcosa di più. D’infinitamente di più. Si tratta, infatti, di pregustare la gioia per il raggiungimento della meta finale, per il progetto di Dio che prende gradualmente forma e si concretizza nella vita e nel cuore di chi gli permette di mettere radici e di germogliare. L’energia che anima la Speranza è lo Spirito santo: una “benzina” che va ben al di là della volontà umana e spinge a mettere in gioco la vita, a volte fino al martirio, per portare a compimento i “sogni” di Dio per i suoi figli e portano il nome di pace, verità, misericordia, giustizia, uguaglianza.

a tutto campo MARIA

le mille incombenze di una vita da single; di scegliere, in ogni istante, di condividere la vita con il coniuge nella buona e nella cattiva sorte o di affrontare i contrattempi e le incertezze che anche il lavoro più bello del mondo comporta. Si tratta di due forze complementari, necessarie per orientare, colorare e far fruttificare la vita.

www.ssfrebaudengo.it Tel. 011 2340083 info@ssfrebaudengo.it

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LA PAROLA

Da Roma al mondo intero

MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

Roma, via Appia antica.

Da Gerusalemme a Roma. Da Roma a tutto il mondo. Il compito di evangelizzare affidato a Paolo è un’opera di Dio che si deve necessariamente protrarre attraverso la testimonianza di ciascuno. Diario di viaggio

«Io mi appello a Cesare». Il ricorso all’Imperatore chiesto da Paolo a Cesarea Marittima è concesso. Al momento opportuno egli viene consegnato ad «un centurione di nome Giulio, della coorte Augusta» ed è imbarcato con altri prigionieri: la rotta ha come meta Roma (27,1– 28,31). La navigazione è però piena di difficoltà, di tappe impreviste dovute a venti contrari, perfino una tempesta che costringe la nave alla deriva fino ad incagliarsi in un isolotto nei pressi di Malta. 6

Maria Ausiliatrice n. 4

Tratti in salvo, Paolo e suoi compagni vi rimangono per tre mesi, periodo di cui egli approfitta per annunciare il Risorto ai Maltesi. La traversata riprende: i detenuti arrivano a Siracusa e poi a Reggio di Calabria; con un’altra nave arrivano a Pozzuoli. Di là si prosegue per terra. Da ora il racconto lucano si concentra unicamente sulla persona dell’Apostolo. Nelle località di Foro Appio e delle Tre Taverne, nei pressi di Roma, i fratelli cristiani, saputo del suo arrivo, gli vanno incontro: possono finalmente conoscere e accoglie-


la parola

re Paolo la cui fama e santità di vita era giunta fino a loro. Gli incontri con la sinagoga romana

Paolo non è un prigioniero pericoloso, pertanto a Roma gli è dato di vivere per proprio conto, anche se sotto sorveglianza. Rispettosa è la prima accoglienza che gli riservano i responsabili Giudei della città. Dal discorso che l’Apostolo pronuncia, si evince la volontà di Luca di presentarlo come l’uomo in cui la sorte di Gesù si ripete: anche Paolo viene infatti ingiustamente consegnato dai Giudei ai Romani, che non trovano in lui alcuna colpa e lo vogliono rilasciare, ma non possono farlo, perché impediti dagli accusatori. In un secondo incontro, i Giudei gli chiedono di dare loro spiegazioni sul movimento religioso di cui è parte e che ovunque viene osteggiato. Partendo dalla Legge e dai profeti egli cerca «di convincerli riguardo a Gesù», ma le reazioni sono tanto contrastanti da dividere il gruppo. Tagliente come una spada affilata si alza allora la parola di Paolo che proclama ciò che già nel discorso di Antiochia di Pisidia aveva stabilito: a causa della durezza del cuore di alcuni, l’annuncio del Vangelo è destinato ad altri! Luca non intende dire che Paolo vuole escludere qualcuno dall’annuncio del Vangelo, solo enfatizza la missione particolare ai pagani per cui lo Spirito lo aveva suscitato.

conto della vita di Paolo, ma mostrarci come attraverso di lui, docile allo Spirito, la Parola del Vangelo si sia diffusa gradualmente da Gerusalemme a Roma. Così si conclude la storia scritta negli Atti degli Apostoli, ma non quella della quotidiana nostra testimonianza. Quanto Paolo confida ai Filippesi pochi anni prima di arrivare a Roma, ci aiuta a capire meglio: «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo» (3,12-14.16). Da lui il testimone passa a noi: ora è nostro il compito di annunciare ed insegnare in comunione con gli Apostoli la Parola del Vangelo perché raggiunga ogni angolo del mondo.

Paolo per due anni vive in una casa in cui accoglie «tutti quelli che venivano da lui, annunciando il Regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo».

Annunciare ed insegnare

Il racconto diventa essenziale: Paolo per due anni vive in una casa in cui accoglie «tutti quelli che venivano da lui, annunciando il Regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo». Sono le uniche informazioni! A leggerle con attenzione si scopre però che in esse è detto tutto ciò che si deve sapere. Luca non intende infatti offrire un resoLUGLIO-AGOSTO 2016

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LA PAROLA

Soltanto la morte ferma chi è “votato” alla ricchezza

MARCO BONATTI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE COMMISIONE DIOCESANAOSTENSIONE SINDONE press@sindone.org

Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». (Lc 12, 13-21)

Dunque soltanto la morte può fermare i devoti della ricchezza. Non c’è nessun altro argomento per indurre ad essere “ragionevoli” coloro che individuano il senso della vita nell’accumulo del denaro e del potere. Non ci sono né leggi né regole etiche, non c’è “bon ton” che tenga: chi crede nel potere assoluto del dena8

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ro sa bene che, fin che c’è vita, null’altro è più importante da perseguire (da adorare). Con Giobbe la prosperità dei beni materiali è una delle variabili attraverso cui egli viene messo alla prova (insieme alla salute, all’affetto dei familiari, alla stima degli amici, ecc.). In questa pagina di Vangelo, invece, solo la morte viene individuata come limite a chi fa affidamento sulle ricchezze. Chi rincorre la ricchezza è stolto

La vera stoltezza del ricco non consiste soltanto nell’accumulare beni trascurando la realtà della vita: no, la scempiaggine irrimediabile sta nel pensare di potersi fermare, a un certo punto, e godersi quella vita che si sta fumando proprio perché rincorre le ricchezze («Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia», v. 19). In realtà come nelle droghe anche per i soldi è quasi impossibile uscire dalla dipendenza; e non solo: la logica del potere e della ricchezza non permette certo di fermarsi, di dire «grazie, basta. Adesso voglio scendere». Neppure Gesù ha qualche altro argomento per convincere i ricchi di un diverso sistema di priorità, un’altra scala di valori: perché la logica della ricchezza è


Bisogna tenere ogni cosa al suo posto

Il tema di questa parabola si realizza compiutamente in ogni epoca della storia: ma a noi oggi appare particolarmente vistoso forse proprio perché al sostanziale primato dell’economia oggi si aggiungono la retorica della ricchezza, e l’ideologia di questo primato. Per questi tristi ideologi il mondo è un business, e niente altro. La ricchezza e la potenza militare sono il metro del benessere: di una nazione si misura il “prodotto interno lordo”; dei poveri si dice che debbono vivere “con un dollaro al giorno”. Solo negli ultimi anni, e faticosamente, si stanno stilando altre “classifiche”, in cui lo sviluppo umano viene misurato secondo parametri più complessi, tenendo conto, per esempio, dei livelli di istruzione e sicurezza sociale, di qualità dell’ambiente e criminalità, ecc. E ci vuol poco a scoprire che i Paesi più “ricchi” perdono un sacco di posti in classifica, quando li si misura col metro della “felicità” - e sia pure soltanto di quella materiale. È la “cupidigia” il punto: non si tratta di rifiutare denaro o potere, ma di tenere ogni cosa al suo posto, e non mettere nulla al posto di Dio (primo comandamento). «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v. 15). “Ogni cupidigia”: il denaro, certo e prima di tutto: ma anche, si direbbe, qualunque altro desiderio, di quelli che a ciascuno di noi viene naturale covare in fondo all’anima; cose a cui non diamo importanza ma che finiscono per essere le vere “bussole” della nostra esistenza, se non stiamo attenti. C’è chi non desidera altro che smettere di lavorare e

ritirarsi in campagna: niente di male, no? Però, se il sogno di questo riposo è il suo vero “tesoro”, la speranza che coltiva nel cuore, quell’uomo sta sprecando (perdendo) la sua vita, perché non vive il “qui e ora”, il tempo presente, nell’adorazione e nel timore di Dio. Il fatto è che non c’è scampo: o si ha come obiettivo il regno di Dio, o ci si accontenta di qualche surrogato, qualunque esso sia. Il Signore chiede di essere pronti, in qualunque momento, per il regno: pronti a lasciare tutto non perché il mondo non sia piacevole o importante, ma proprio perché il regno è più piacevole e più importante… Per questo ci viene chiesto di “convertirci”, di essere sempre vigilanti.

la parola

“vincente”, a questo mondo. I risultati si vedono, si possono misurare. Non solo: se hai soldi e potere vieni rispettato, hai credito e prestigio, vivi meglio. Non solo: con i soldi, se non sei completamente stupido, puoi compiere persino “opere buone” e sperare così di salvarti anche l’anima…

Cosa credi? Che le ricchezze possano cancellare la morte?

Fra i molti altri spunti che la parabola offre uno ci sembra da sottolineare ancora: il modo di ragionare del ricco. Se mai avessimo dubbi circa la conoscenza dell’anima umana da parte di Gesù, questa pagina dovrebbe toglierli definitivamente. «Demolirò i miei magazzini…» (v. 18): la ricchezza coinvolge nel profondo la vita, ne costituisce lo stesso motore, se si lascia al denaro il luogo del cuore. Quei magazzini costruiti e distrutti, per essere poi ampliati, sono un “tempio” dedicato alla ricchezza stessa, alla promessa dell’abbondanza. Non ragionano così, in ogni tempo, i ricchi, quelli che conoscono il denaro e il suo potere di trasformazione, di moltiplicazione? Persino le grandi cattedrali del Medioevo, i “monumenti” della Chiesa rispondono agli stessi criteri di visibilità, di celebrazione di una grandezza; ma, fino a prova contraria, si voleva celebrare con gli strumenti umani la grandezza e la gloria di Dio. In fondo alla ricchezza permane il destino di voler realizzare quel sogno che non ci appartiene, il sogno di Faust: quel «Fermati, sei bello!» che diventa, immediatamente, una condanna. Forse il Vangelo di oggi torna a ricordarci che la vera, estrema illusione, in fondo, è ostinarsi a credere che con le ricchezze si possa fermare il tempo, cancellare la morte. LUGLIO-AGOSTO 2016

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MARIA

Un gancio nel cielo

FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Due messaggi sul mio cellulare, due grida di dolore: «Spero che qualcuno gli salvi la vita che gli stanno scippando» e poi «Ieri 9 marzo mio figlio Enrico è morto ed io con lui». Così la mia amica Beatrice mi ha comunicato la morte di suo figlio, poco più che ventenne; un raro tumore ai muscoli in pochi mesi aveva posto termine alla sua giovane vita. Il giorno del funerale la chiesa era gremita e silenziosa, il dolore e la compartecipazione alla tragedia erano palpabili e lei, la madre, vedeva l’immagine di suo figlio nello sguardo delle persone che erano venute a salutarlo un’ultima volta e sorrideva, ringraziava, stringeva mani. Tornata ai giorni del vivere quotidiano Beatrice si era chiesta come ce l’avrebbe mai fatta a continuare a vivere senza di lui. I semplici gesti quotidiani ora non avevano più significato e sgomenta pensava a come avrebbe fatto ad infilare i giorni lunghi e vuoti uno dietro l’altro. 10

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Ricordi che affollano la mente

Cercava di ricordare i momenti felici prima della malattia ed invece si sovrapponevano i periodi in cui era già malato ma la speranza era viva, poi si intrecciavano le immagini di quando, sempre più malato, aveva negli occhi una tacita domanda: «Ce la farò?» e lei doveva fingere sicurezze che non aveva, fiducia che aveva perso, dargli forza, rasserenarlo si faceva infine strada in lei lo sguardo smarrito degli ultimi giorni e quello della fine. Nella mente di Beatrice risuonavano spesso le parole che il parroco aveva pronunciato in chiesa circa il «ringraziare Dio per averlo avuto, non solo il piangere la sua perdita». Lei avrebbe sempre ringraziato per aver ricevuto in dono quel figlio meraviglioso, ma proprio perché lo aveva avuto sapeva il valore di ciò che aveva perso e questo era per lei insostenibile: insostenibile pensare


MARIA

che Enrico non avrebbe più avuto un futuro, lui che amava tanto la vita e diceva che avrebbe voluto diventare molto vecchio, insostenibile avere visto tutta quella meravigliosa gioventù sprecata, combattere nei mesi di ospedale, così guerriera, così fiera, così malata… Madri che soffrono per i figli

E Dio dov’era? Lo sentiva lontano, algido. Perché le aveva presentato un conto così alto da pagare? Beatrice non aveva una fede profonda, era sempre stata piena di dubbi ma ora invidiava chi ne aveva una forte e salda, un gancio a cui aggrapparsi per non affondare nella disperazione. Cristo crocifisso aveva chiesto al Padre suo perché lo avesse abbandonato ed anche lei lanciava quel grido e pareva non trovare risposta e consolazione. In tutti i dipinti ai piedi della croce c’è sempre una madre che piange, la Vergine Maria. Tutti i pittori hanno cercato di rendere leggibile il suo dolore, pochi sono riusciti a cogliere la drammaticità del momento. Beatrice ripensava a quella donna che aveva perso suo figlio e che certo, come lei, aveva cercato di proteggerlo e strapparlo al suo destino, tenerlo ancora accanto a sé come quando era piccolo ed indifeso. Sicuramente Maria ne aveva guidato la crescita con ansia e diventato uomo, seguito dalle folle, in lei era cresciuta la certezza che sarebbero aumentati i pericoli. Dopo la sua morte, forse aveva chiesto al suo Gesù di mostrarle la strada per andare avanti senza di lui, come Beatrice faceva con Enrico ed

anche alla Madonna sarà rimasto negli occhi lo sguardo del figlio morente, la sua vita sarà cambiata e la sofferenza sarà stata la sua compagna, perché il dolore delle madri che perdono un figlio è uguale in ogni spazio e tempo. Gli interrogativi nella sofferenza e nel dolore

Gesù si è declinato uomo per noi, perché possiamo trovare risposte al nostro dolore: Beatrice le sta cercando, forse non le troverà facilmente, ci saranno per lei dei passi avanti e delle retrocessioni, ora però ha trovato il suo gancio nel cielo, la figura dolente della madre celeste con cui condividere una sofferenza così profonda, fiduciosa di essere compresa, sostenuta ed aiutata, nel suo continuare a vivere.

Signore Gesù, insieme a Te, la Madre tua Maria mi sia ogni giorno di conforto, di aiuto,e di esempio in questo mio cammino di mamma. Amen.

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MARIA

Devozione mariana Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net

Scrivo queste righe in mezzo al brusio della folla di devoti che sono accorsi a Valdocco in occasione della festa di Maria Ausiliatrice. È un insieme composito di persone semplici, all’apparenza ingenue, ma molto determinate nel testimoniare tutto il loro affetto e fiducia alla Madonna di don Bosco. È sorprendente notare che anche nella moderna società liquida la devozione popolare non solo sia viva, ma sia anche in grado di coinvolgere persone giovani e perfettamente inserite nel mainstream della modernità. Mi viene in mente che, recentemente, il cardinal Ravasi si è occupato, nell’inserto culturale della domenica allegato a un noto quotidiano economico italiano, della devozione popolare alla Nostra Signora di maggio. La devozione mariana ha radici così profonde che neanche il dominante laicismo contemporaneo è riuscito a sradicarla dal cuore umano. Anche i più rocciosi miscredenti continuano ad avere scolpiti nella memoria i ricordi di uno struggente affetto mariano. “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio”

Le cause di questo atteggiamento possono annidarsi nei meandri del proprio 12

Maria Ausiliatrice n. 4

cammino culturale. Nessuno può dimenticare la bellezza e la tenerezza del canto XXXIII della Divina Commedia che, recentemente, Benigni ha declamato alla televisione con maestria ineguagliabile toccando picchi di audience imprevisti. Nel canto dantesco teologia, poesia e fede si fondono in un’armonia tale da coinvolgere l’uomo moderno. Sempre in campo della letteratura suscitano una grandissima commovente impressione le parole scritte dal Boccaccio nel sonetto O regina degli angioli o quelle del Petrarca nella canzone Vergine bella, che di sol vestita o i pensieri di Iacopone da Todi nel suo Pianto della Madonna. Una inaspettata testimonianza di devozione mariana ce la offre l’ateo Sartre nella sua bellissima confessione personale redatta nel Natale del 1940 nel campo di concentramento di Treviri dove si trovava internato. Altri sono legati alla figura della madre di Gesù dai ricordi legati alla educazione ricevuta in famiglia. È il caso del poeta romano Trilussa che ha scritto versi che meritano, per la loro semplicità e profondità, di essere riportati alla lettera: «Quand’ero regazzino, mamma mia / me diceva: “Ricordati, figliolo, / quanno


MARIA

te senti veramente solo / tu prova a recità ’n’Ave Maria. / L’anima tua da sola spicca er volo / e se solleva, come pe’ maggia». / Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato; / da un pezzo s’è addormita la vecchietta, / ma quer consijo non l’ho mai scordato. / Come me sento veramente solo / io prego la Madonna benedetta / e l’anima da sola pija er volo!» La devozione a Maria nel Corano

La tradizione mussulmana assegna a Maria il compito di generare verginalmente il profeta Gesù per mezzo dello spirito di Dio. Viene acclamata, Sayyidatuna, Nostra Signora, ed è una delle quattro donne sante per eccellenza, in compagnia della figlia del faraone che salvò Mosè dalle acque, di Cadigia e Fatima, moglie e figlia di Maometto. Inoltre Maria è l’unica donna chiamata per nome nel Corano che le intitola un’intera sura, la XIX, e la evoca in altre, in particolare la III. La mariologia coranica ha una chiara provenienza evangelica liberamente riadattata. Per il Corano Maria è la donna tramite la quale Allah ha voluto dare un segno particolare: «In verità o Maria Allah ti ha prescelta; ti ha purificata e prescelta tra tutte le donne del mondo» (III,42). Il segno è Gesù. «Faremo di Lui un segno per le genti e una misericordia da parte Nostra. È cosa stabilita» (XIX,22). Interessante è seguire il decorso della gravidanza ed il parto. Il racconto lo possiamo trovare nella sura XIX: «Lo concepì e, in quello stato, si ritirò in un luogo lontano, i dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. Diceva: “Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto dimenticata!» (XIX, 22-23). È lo stesso Gesù, appena nato, a consolarla. «“Non ti affliggere… scuoti il tronco della palma: lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e rinfrancati. Se

poi incontrerai qualcuno, dì: “Ho fatto un voto al Compassionevole e oggi non parlerò con nessuno”» (XIX, 6). Anche nel Corano il fatto di aver generato al di fuori del matrimonio turba e scandalizza. Ma è Allah stesso, tramite Gesù suo profeta a riassicurare tutti: «In verità sono servo di Allah: Mi ha dato la Scrittura e ha fatto di me un profeta. Mi ha benedetto ovunque sia e mi ha imposto l’orazione e la decima finché avrò vita, e la bontà verso colei che mi ha generato. Non mi ha fatto né violento né miserabile. Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò risuscitato a nuova vita» (XIX,30-33). La Maryam mussulmana si rifà chiaramente alla Myriam ebrea. Non c’è una mariologia molto elaborata teologicamente. Tuttavia anche nella credenza islamica la madre di Gesù è venerata soprattutto per la sua verginità, per la sua sottomissione ad Allah e per essere madre del profeta Gesù. Anche per i mussulmani è la donna che meglio ha saputo vivere la sottomissione ad Allah. È modello di verginità e di maternità. E come per i cristiani è una figura rassicurante e materna. Trasformare la devozione mariana in mezzo educativo è un dovere per ogni educatore della Famiglia Salesiana. Una mariologia sana, e non venata da sentimentalismi ed esagerazioni, è quanto mai auspicabile nella formazione degli adolescenti. Sarebbe opportuno riprendere in mano un aureo libro, scritto nel 1713 da Luigi-Maria Grignion de Monfort, che porta il titolo di Trattato di vera devozione a Maria Vergine. Se lo avessimo assimilato forse la spiritualità mariana, anche quella di stampo salesiano, avrebbe avuto una impostazione libera da ogni devozionismo esasperato e persino degenerato che si registra anche ai nostri giorni, come giustamente rileva, nel succitato inserto, il cardinal Gianfranco Ravasi. LUGLIO-AGOSTO 2016

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Un Dio TOM-TOM? GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net

Non so voi ma a me il TomTom mi sta proprio simpatico. Già il nome fa tenerezza nella sua assonanza ripetitiva e poi suona come qualcosa di buono, qualcosa che ti fa compagnia, ti da sicurezza, ti accarezza lungo il cammino. Grazie Tom-Tom che ci sei!

«Ci vorrebbe un amico…»

Non sono molto bravo a districarmi per le vie di una città che non conosco o a raggiungere mete in località nuove. È un difetto, lo so, ma non si può essere bravi in tutto! E allora chiedo aiuto a lui che si dichiara disponibile a darmi istruzioni precise per raggiungere la località segnalata seguendo la strada più veloce. Mi guida passo passo e non mi abbandona mai. Mi indica come superare tutti i punti critici a cominciare dalle rotonde con tante uscite, agli svicoli ignorati bellamente dalla cartellonistica stradale. Lui sa tut14

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to. Non so come faccia ma dall’alto della sua postazione mi conta anche i metri utili perché io non sbagli a girare al punto giusto. E poi è disposto sempre a rimettersi in gioco tutte le volte che io o perché distratto dalla conversazione, dalla radio o perché penso di saperne più di lui. Ebbene lui non mi abbandona e, nonostante i miei capricci, cerca la via alternativa e, pur di portarmi alla meta, è disposto a far di tutto e, a volte, mi ha guidato anche per i campi e mi ha lasciato davanti all’uscio del posto richiesto.


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ma da chi riempie la nostra libertà di significato. Perché nessuna guida sa tutto. Ma ci orienta perché noi scopriamo Colui che è «la via, la verità, la vita». Il “Grande Educatore”, l’unico che appaga, Lui che si mette davanti e invita a portare la propria croce dietro di Lui. Se vuoi! Tra le braccia di Dio

La via, la verità e la vita

Bravo il TomTom. Utile per tutti gli obiettivi terrestri e geografici. Nella mia vita tante volte e fortunatamente ho trovato qualcuno simile a un “TomTom vivo” che, nei momenti critici e di passaggio da una stagione all’altra, ha saputo accompagnarmi perché di fronte ai numerosi bivi o alle strade senza segnalazioni o ai miraggi che mi si aprivano davanti sapessi spendere bene le mie cartucce. Chi di noi non sente il bisogno sempre ma soprattutto nei momenti difficili di sentirsi vicino una guida, una persona cara che ci indica la strada e che non ci abbandona anche se facciamo fatica a seguire le indicazioni e recalcitriamo e vogliamo andare avanti con la nostra testa o a casaccio o seguire le piste della massa anonima e consumista? Questi paletti disseminati lungo la strada del nostro crescere ci aiutano a raggiungere quell’autonomia che ci rende abili e responsabili per non lasciarci incantare da ciò che luccica

Anche il TomTom più aggiornato a volte non sa come aiutarti e ti lascia sul più bello. Ma Lui no. Proprio quando sei nel mezzo delle difficoltà più impreviste e stai per affogare Lui è lì. Sicuro. «Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che camminavo sulla sabbia accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che per ogni giorno della mia vita, apparivano orme sulla sabbia: una mia e una del Signore. Così sono andato avanti, finché tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi posti c’era solo un’orma. Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita; i giorni di maggior angustia, maggiore paura e maggior dolore. Ho domandato allora: “Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia vita?” Ed il Signore rispose: “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te durante tutta il tuo cammino e che non ti avrei lasciato solo neppure un attimo, e non ti ho lasciato. I giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”».

Figlio mio, Io ti amo e sono con te durante tutto il tuo cammino e che non ti lascio mai solo.

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Dio a modo mio

ERMETE TESSORE redazione.rivista@ausiliatrice.net

Moderna agitazione pastorale

L’atteggiamento degli adolescenti nei confronti del mondo della fede attira sempre più l’attenzione di studiosi, educatori, psicologi e sociologi. Particolarmente significativa è la recente ricerca a cura di Rita Bichi e di Paola Bignardi pubblicata dalla Università Cattolica di Milano dal titolo: Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia. Si tratta di un testo che dovrebbe campeggiare sulla scrivania di tutti coloro che lavorano a servizio della formazione cristiana, a partire da chi detiene nelle proprie mani le leve del comando. C’è in giro tutto un frullare agitato di organizzare attività, di inventare manifestazioni, di dar vita ad iniziative di aggregazione, di animare campi estivi, di inventare gruppi di approfondimento di non si sa che cosa, di incrementare e sostenere le scuole cattoliche, di sognare pastorali giovanili fantasmagoriche come il vestito di Arlecchino, di spasmodica ed ansiosa caccia di nuove vocazioni al presbiterato o alla vita consacrata. Ma i giovani cosa pensano veramente di tutto ciò? Come percepiscono il soprannaturale? Che peso ha la fede nella loro vita quotidiana? Che concetto hanno della istituzione ecclesiale? UN SENSO AL VIVERE

In questi giorni si coglie tutto un formicolio di iniziative finalizzate alla preparazione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Ma i nostri giovani carichi di zaini, chitarre, bandiere e striscioni, quale Dio portano nel loro cuore. Perché andare in Polonia e non a Ibiza, Mykonos o a Stonehenge? Sono motivati dal gusto della scampagnata o dalla sincera ricerca di un Qualcuno che li tolga dalla noia del consumismo e dia senso al vivere?. Conosco alcuni baldi giovani che per prepararsi all’incontro con il Papa passeranno in luglio due settimane ad Ibiza per smaltire le tossine dell’esame di maturità e così arrivare all’appuntamento “carichi” ed “abbronzati”. 16

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Nei loro zaini non può mancare la Bibbia. Ma perché si appesantiscono con il volume della Sacra Scrittura se non la conoscono? Colpisce il fenomeno, tipicamente italiano, del diffuso analfabetismo religioso che abbraccia tutte le fasce d’età. Alberto Melloni in Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, pubblicato da Il mulino nel 2014, scrive che l’immagine che emerge da questa inchiesta è quella di «un paese dove è rilevabile statisticamente l’ignoranza totale della Bibbia, la produzione di idee fantasiose sulla struttura dottrinale o culturale della fede, la superficialità con la quale si leggono le Cracovia, vista panoramica.


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fedi estranee al proprio immaginario infantile». Si ha netta la percezione che i nostri giovani abbiano ben chiaro che cosa comporti il turismo religioso di cui apprezzano la notevole capacità aggregativa, ma siano completamente disinteressati a fare un percorso di fede che non si limiti alla festa, alla gioia del sentirsi vivi perché numerosi. Nella ricerca dell’Università Cattolica di Milano è stata posta ai giovani la domanda: «La fede cambia la vita?». Le risposte lasciano basiti. Rarissimamente la fede è inte-

sa come incontro personale con il Cristo. Piuttosto viene colta come un adeguarsi ad un’etica innervata sulla osservanza dei Comandamenti. Ma questi possono essere vissuti benissimo anche da una persona completamente atea o non cristiana. Allora perché interessarsi di Chiesa, di sacramenti, di Comunità, di approfondimento nello studio della Sacra Scrittura? Il vero problema che la Comunità credente deve affrontare è l’indiscutibile dato di fatto che troppi giovani, dopo aver ricevuto la prima iniziazione cristiana, si allontanano e diventano radicalmente disinteressati verso il mondo della religione. La catechesi ricevuta, invece di favorire l’incontro personale con Gesù, ha ammannito solo frasi fatte, elucubrazioni teoriche, teologia verbosa, sacramentalizzazione compulsiva e magica. Sagge suonano le parole di Papa Francesco rivolte agli aderenti al movimento Comunione e Liberazione nell’udienza del 7 marzo 2015: «Il luogo privilegiato dell’incontro è la carezza della misericordia di Gesù Cristo verso il mio peccato. È grazie a questo abbraccio di misericordia che viene voglia di rispondere e di cambiare, e che può scaturire una vita diversa». La fede non può nascere che dallo stupore di un incontro. Essa non può essere ridotta ad un’etica, ad un adempimento cultuale o a una serie di valori morali o di “principi non negoziabili”. Auguriamoci che durante i giorni della Giornata Mondiale della Gioventù i giovani possano, presi per mano da Francesco, sperimentare “la freschezza ed il profumo del Vangelo” che crea desiderio di cieli nuovi e di terra nuova di cui tutti sentiamo la mancanza. LUGLIO-AGOSTO 2016

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fatti, un ordigno cadde proprio sull’Istituto uccidendo ventisette bambini dell’asilo infantile e sei Figlie di Maria Ausiliatrice». Quel fatto tragico e la disponibilità del mondo salesiano nell’esaudire quella sua voglia di conoscenza attraverso una documentazione visiva lo colpirono al punto che nel corso degli anni iniziò a raccogliere cartoline oggi uniche al mondo sulla Congregazione: sulla Basilica ma non solo, anche sui successori di don Bosco, su scuole, collegi, tipografie, istituti italiani e all’estero, missioni in ogni angolo del mondo. Dall’Ottocento ad oggi

Il collezionista di don Bosco ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net

L’amore per Maria Ausiliatrice e per la Basilica voluta da don Bosco, progettata dall’ingegner Antonio Spezia e inaugurata il 9 giugno 1868, passa anche da piccole immagini nove centimetri per quattordici, dal bordo frastagliato. Sono le cartoline che Tony Frisina, collezionista alessandrino appassionato del mondo salesiano, scova da più di trent’anni rovistando tra soffitte, mercatini e nella grande riserva di Internet. «Tutto ha avuto inizio nel 1985 – spiega –, anno in cui ricorreva il quarantesimo anniversario del devastante bombardamento aereo che colpì l’Istituto Maria Ausiliatrice di via Gagliaudo ad Alessandria, lo stesso dove ai tempi andava a scuola mio figlio. Il 5 aprile 1945, in18

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La storia della Famiglia Salesiana è anche qui: «Esistono cartoline raffiguranti il Santuario di Maria Ausiliatrice già dalla fine dell’Ottocento – spiega Frisina –. Rivestono notevole importanza storico-artistica quelle tra il periodo che va dal 1934 al 1942, quando furono realizzati ampliamenti e modifiche dell’edificio. Le cartoline più antiche in mio possesso vennero spedite nel 1903 e stam-


La cartolina di don Rinaldi

Un mondo ricco di storie, quello delle cartoline salesiane. Si scopre, per esempio, che nel 1990, in occasione della beatificazione di don Filippo Rinaldi, terzo rettor maggiore, le sue immagini erano praticamente introvabili. Tony, su suggerimento delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Alessandria si recò a Lu, nel basso Monferrato, paese natale del Beato, nato nel comune alessandrino nel 1856. Lì incontrò don Piergiorgio Verri, nipote di don Rinaldi. Un incontro importante anche

dal punto di vista spirituale: ne nacque un’intensa amicizia e, con l’aiuto di suor Pierina Trisoglio dell’asilo salesiano del paese, si cercò e trovò la preziosa immagine in cartolina.

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pate con tecnica litografica». Il passato, come sempre, illumina il futuro. L’archivio ormai imponente di Tony è a disposizione di tutti. Il patrimonio del passato è una conoscenza che non è mai giusto né conveniente tenere per sé. Frisina lo sa e per questo non è mai restio a rispondere a ogni curiosità e a organizzare mostre. Lo ha fatto, la prima volta, nel 1989: Don Bosco e i Salesiani era il titolo dell’esposizione allestita presso l’Istituto Maria Ausiliatrice di Alessandria.

Nel nome di don Ceresa

Cartoline ma non solo, anche francobolli e calendari. La filatelia salesiana ha un punto di riferimento nel Gruppo Filatelico intitolato alla memoria di don Pietro Ceresa, già direttore del Centro di Documentazione Mariano dei Salesiani di Valdocco. Una realtà viva anche sul sito Internet www.filateliareligiosa.it dove vengono raccolti gli articoli e i contributi dei vari soci e collaboratori che monitorano i riconoscimenti filatelici da parte delle amministrazioni postali di ogni continente. Scriveva don Ceresa: «Forse nessun Santo ha tanto utilizzato il Servizio Postale di tutto il mondo e di tutte le sue espressioni come il Fondatore dell’Opera Salesiana per divulgare le sue idee». Storie come quella di Tony Frisina ne sono una testimonianza.

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Con don Bosco misericordiosi come il Padre Come sono nati i “logo” salesiani per l’Anno Santo? Ne parlano gli autori.  Ho 20 anni. Abito a Biancavilla, un paese alle falde dell’Etna, in provincia di Catania. Sin da piccolo, lo spirito salesiano è parte integrante della mia vita. Sono cresciuto ed educato nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice che operano da oltre cento anni a Biancavilla per i bambini poveri e abbandonati. Quest’anno sono volontario del Servizio Civile Nazionale all’interno dell’Istituto. L’idea di realizzare questi logo è nata mentre ero con i ragazzi. Riflettevo sull’Anno giubilare, indetto da Papa Francesco e pensavo che la parola misericordia era davanti ai miei occhi: erano proprio loro, i giovani, i bambini. Da lì, l’idea di realizzare, un logo che rappresentasse don Bosco, maestro ed amico della gioventù: proprio lui che è stato misericordioso come il Padre, che è stato vicino al prossimo, vicino a quei giovani che avevano bisogno di essere guardati con gli oc-

chi dell’amore, di essere ascoltati. Però, mi mancava qualcosa: Colei che ha permesso tutto, Colei che, con quella semplice frase: «Renditi Umile, Forte e Robusto», ha dato inizio al sogno di don Bosco. Dunque, ho anche pensato di realizzare un logo in cui venisse raffigurata la Misericordia di Maria Ausiliatrice. Merito anche di un giovane Cooperatore Salesiano di Pietraperzia, Salvatore Barino, che ha realizzato i disegni. Orazio Moschetti

Quando qualcuno ha un sogno, per piccolo che sia, va sempre incoraggiato, sostenuto e accompagnato nel realizzarlo. Così, don Bosco ci insegna e ci invita a fare ancora oggi, con ogni persona, soprattutto con i giovani. Cosi è successo quando Orazio mi ha contattato condividendo il sogno di realizzare dei logo che esprimessero la misericordia in

stile salesiano e chiedendo il mio aiuto nel disegnarli. Da salesiano cooperatore dell’Istituto salesiano di Pietraperzia (Enna), non potevo non farlo ed è stata quasi una cosa voluta “dall’alto” perché sono usciti delicatamente, linea dopo linea, un po’ come se fossero stati già tracciati sul foglio da Qualcuno, ed io li stessi solamente ricopiando! Senza dubbio la cosa più bella nella realizzazione dei disegni è stata il sapere che qualcun altro li avrebbe portati avanti e non sarebbero stati solo “tuoi”, ma “nostri” e, poi, “di tutti”. Sono proprio vere le parole del canto: «È più bello insieme, è un dono grande l’altra gente». E questa è la nostra grande Famiglia Salesiana: sognatori che nel loro piccolo continuano a portare avanti il grande sogno di “papà” don Bosco: «Vedere tutti i giovani felici nel tempo e nell’eternità». Salvatore Barino

I logo “salesiani” della Misericordia Il logo della Vergine Ausiliatrice mostra come Lei sia per tutti e, in particolare per la Congregazione salesiana, Madre e Regina potente. La statua rappresenta, infatti, Maria Regina che si fa portatrice di Cristo, Redentore del mondo, e nel contempo, che si pone a sua difesa, affinché Egli possa regnare in ogni situazione e nella storia di ciascuno di noi. Il colore azzurro del manto è segno del suo essere creatura e nello stesso tempo, l’umanità intera, soprattutto i giovani, i più abbandonati. Il rosa della sua veste è segno della sua capacità a lasciarsi plasmare dalla Divinità del Figlio per poter collaborare alla sua opera redentrice e alla nostra crescita nella santità. Il logo di san Giovanni Bosco, raffigurato con il giovane che si accosta al sacramento della Riconciliazione, ricorda un suo sogno: «Sognai – disse – di trovarmi in chiesa, in mezzo a una moltitudine di giovani che si preparavano alla confessione. Un numero stragrande, assiepava il mio confessionale sotto il pulpito. Cominciai a confessare, ma presto vedendo tanti giovani, mi alzai e mi avviai verso la sacrestia in cerca di qualche prete che mi aiutasse». Il colore giallo che abbraccia tutto il logo, vuole evidenziale la luce e soprattutto il desiderio di farli incontrare con Gesù Buon Pastore, che gli era apparso in sogno a nove anni. L’occhio e l’orecchio di don Bosco colgono il bisogno del giovane di essere, ancora oggi, guardato e ascoltato paternamente, senza essere giudicato, ma amato. 20

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festa di maria ausiliatrice

Foto di: Antonio Saglia, Giuseppe Verde, Renzo Bussio, Dario Prodan, Andrea Cherchi, Massimo Masone.


in alto a sinistra: mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino; in basso: mons. Pier Giorgio Debernardi, Vescovo di Pinerolo (TO). Nella pagina a fianco in alto: mons. Luciano Capelli, vescovo di Gizo (Isole Salomone), a seguire in basso: madre Yvonne Reungoat, madre generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. a fianco la benedizione dei bambini con don Claudio Durando, nostro parroco, in basso: vespro solenne con don Pietro Migliasso, maestro dei novizi salesiani.

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III festa di maria ausiliatrice


Conclusione della solenne processione presieduta da mons. Cesare Nosiglia, al suo fianco da sinistra: don Franco Lotto, rettore della nostra Basilica, don Ă ngel FernĂĄndez Artime, rettor maggiore dei salesiani, mons. Pier Giorgio Debernardi, mons. Guido Fiandino, vescovo ausiliarie emerito di Torino e madre Yvonne.

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festa di maria ausiliatrice

In alto: Mons. Giacomo Martinacci, cancelliere arcivescovile di Torino, presiede l’ultima Messa della giornata.

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puoi trovare altre foto su www.donbosco-torino.it (gallery)

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Momenti di celebrazioni della festa. In alto a destra abbraccio di pace tra don Enrico Stasi, superiore dei salesiani in Piemonte e Valle d’Aosta e don Ángel Fernández Artime. Sedute a fianco madre Yvonne e suor Elide De Giovanni, superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice del Piemonte e Valle d’Aosta.

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Ancora in queste immagini momenti di celebrazione e preparazione alla processione per le strade del quartiere.

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Gesù e psicoterapia  «Vuoi guarire?». Con questa domanda, all’apparenza inopportuna e indelicata, Gesù si rivolge al paralitico di Bet Hesda, quell’uomo che da trentotto anni non aspettava altro. Eppure la domanda di Gesù – secondo la teologa e psicologa Hanna Wolff – è «la prima domanda cardinale di ogni terapia». Letta da una prospettiva psicanalitica, la domanda di Gesù tocca il movente fondamentale che pregiudica la possibilità o meno di guarigione. È una domanda che pone l’uomo dinanzi alla necessità di essere attivo nel proprio riscatto. C’è una bella differenza tra uno che vuole guarire e uno che chiede di essere guarito. Il primo coopera, il secondo aspetta passivamente la manna dal cielo. Le persone per Gesù contano nel tempo e nell’Eternità

Gesù guarisce la persona nella sua interezza

Lo sguardo di Gesù offerto dal libro, non sostituisce la let-

tura credente ma invita a vedere una dimensione poco esplorata di Gesù. Un Gesù taumaturgo anche delle anime. «La terapia che metteva in pratica era la sua persona». Gesù scrutava i cuori e – come ci dice il vangelo di Giovanni – intuiva e conosceva cosa c’è nell’uomo. «Gli uomini vengono toccati da questa forza intuitiva non in senso sentimentale, ma perché un’intuizione tanto penetrante afferra, in certo modo, quel che le sta di fronte. Chi ne è fatto oggetto si sente sfidato, messo in questione e toccato in quel che vi è di più autenticamente personale, a tal punto che la prima reazione, ben comprensibile sul piano psicologico, è quella di un momentaneo ritrarsi […]. Ma dopo questo primo istante, in cui agisce un meccanismo psicologico di difesa, ecco il prorompere della catarsi, che porta alla rottura nei confronti di una vita di menzogne».

L’amore è inseparabile dall’umore. Tante coppie non resistono ai colpi seri della vita perché non sanno concepire la loro vita come un gioco. Chi è invece realista e lucido, sa riconoscere la forza del ludico nella propria vita e in quella della persona amata. Come ogni gioco, l’amore ha le sue regole e i suoi trucchi. Questo libro ne offre dieci coniugando psicologia, umore, spiritualità ed esperienza.

Robert Cheaib, docente di teologia presso varie università tra cui la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ama definirsi come «catechista itinerante». Svolge un’intensa attività di conferenziere su varie tematiche che riguardano la vita di coppia, la preghiera, l’ateismo, il rapporto tra fede e cultura. Gestisce un sito di divulgazione teologica www.theologhia.com. Tra le sue opere recenti: Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana (Edizioni san Paolo). Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata (Il pozzo di Giacobbe). Per Tau Editrice ha già pubblicato: Rahamim. Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia.

IL GIOCO DELL’AMORE

una impostazione corretta dei rapporti tra psicologia e teologia, tra il cambiamento in nome dello Spirito e quello promosso a partire dalle esigenze della psiche» (Sandro Spinsanti). La Wolff tiene a precisare che parlare di Gesù psicoterapeuta, non è per lei un «facile tentativo modernizzante, come richiamo all’attualità, come un arabesco che rivela solo una parvenza di modernità», ma è rendersi conto che in Gesù è pienamente presente la conoscenza dei processi psichici costruttivi e distruttivi della vita. La genialità dell’approccio della Wolff ai vangeli consiste nel sapere decifrare la filigrana psicologica e psicanalitica, non a scapito della dimensione religiosa, ma in concomitanza con essa. L’incontro di Gesù con gli uomini era un incontro reale, integrale. Egli non guardava le persone soltanto come spiriti disincarnati da salvare, ma come storia, concretezza, esigenza di vivere nel tempo e di affrontare le ombre di se stessi per superare le proiezioni e giungere a una vera conoscenza di sé.

ROBERT CHEAIB

Nel suo libro Gesù psicoterapeuta. L’atteggiamento di Gesù nei confronti degli uomini come modello della moderna psicoterapia, Hanna Wolff guarda a Gesù a partire dalle categorie della psicanalisi mostrando la profonda ricchezza e intuitività psicanalitica dell’approccio del nazareno. Dopo un tempo di ostilità tra religione e psicoterapia, la Wolff auspica salutare con il suo libro «l’inizio di

Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net

ROBERT CHEAIB

IL GIOCO DELL’AMORE 10 passi verso la felicità di coppia

Il gioco dell’amore. Dieci passi verso la felicità di coppia, di Robert Cheaib Tau Editrice, 2016. LUGLIO-AGOSTO 2016

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All’Agnelli si costruiscono dei cittadini

GIOVANNI COSTANTINO redazione.rivista@ausiliatrice.net

Insegnanti e formatori impegnati nella lotta al disagio ed alla dispersione scolastica.

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Il centro di formazione professionale Cnos-Fap Agnelli è da sempre uno dei fiori all’occhiello del sistema di formazione salesiano. Dai suoi laboratori sono usciti molti dei tecnici che hanno fatto conoscere Torino in tutto il mondo, nei centri Fiat in primis. E oggi i suoi insegnanti e formatori sono impegnati nella lotta al disagio e alla dispersione scolastica. Il centro, uno dei primi a sperimentare in Italia i corsi triennali per l’accesso alla formazione professionale per i quattordicenni, continua a educare i giovani nello stile di don Bosco. I corsi rivolti all’assolvimento del diritto/dovere allo studio formano meccanici industriali (esperti macchine utensili) e meccanici del settore auto (operatori del veicolo). I corsi triennali sono diretti a ragazzi che al termine della scuola dell’ob-

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bligo scelgono la formazione professionale. Il percorso biennale invece è rivolto in modo particolare a ragazzi che fuoriescono da un’esperienza negativa nel mondo della scuola. Don Bosco: dare a ogni ragazzo un mestiere

«Il recupero della dispersione scolastica, la motivazione degli allievi e quindi il conseguimento da parte loro di una qualifica o un diploma professionale è il nostro obiettivo primario – spiega Roberto Cavaglià, direttore del centro – Come ci ha insegnato don Bosco dobbiamo fare crescere i nostri ragazzi come uomini e di conseguenza come lavoratori competenti». Il desiderio del santo dei giovani di dare a ogni ragazzo un mestiere si specchia nei laboratori del Cnos-Fap Agnelli. «Fornire


Sentirsi dire: «ce la puoi fare»

«Questo corso annuale – spiega Stefano Gorno, insegnante e responsabile degli stage all’istituto Agnelli –

mira a educare e fare crescere questi ragazzi». Diventa quindi fondamentale lavorare innanzitutto sul piano motivazionale. «Per molti di loro è importantissimo sentirsi dire che ce la possono fare – continua Gorno – Con ciascuno cerchiamo di creare un percorso sia formativo che professionale, dove la parte umana, la capacità di relazionarsi tra educatore ed allievo è fondamentale. Molto spesso è indispensabile lavorare sulle basi comportamentali come la puntualità, l’attenzione, la capacità di lavorare in gruppo». All’apprendimento in laboratorio si accompagnano insegnamenti trasversali di italiano, matematica, informatica, cittadinanza. Nozioni che si rivelano fondamentali anche sul piano lavorativo, ad esempio nella stesura di un curriculum. Lo stage in alcune aziende consente a molti allievi di entrare nel mondo del lavoro con maggiori competenze. Negli scorsi anni il Cnos-Fap Agnelli ha stretto diversi accordi con aziende leader operanti in Italia ed all’estero. Basti citare FCA, Magneti Marelli, Yokohama, Eni. Il confronto con queste realtà permette di confrontarsi continuamente con i loro tecnici per essere all’avanguardia nei sistemi di lavorazione e produzione. Un vantaggio competitivo innanzitutto per gli allievi dei corsi.

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loro competenze professionali adeguate ed al passo coi tempi – continua Cavaglià – significa dare loro nuove opportunità per inserirsi appieno nel mondo del lavoro». Un risultato raggiunto se si pensa che circa il 90% degli allievi termina il proprio corso con il conseguimento della Qualifica. Di questi circa il 44% trova un lavoro entro un anno mentre il 30% continua il proprio percorso formativo ad esempio negli istituti professionali di Stato. Da alcuni anni all’istituto Agnelli i corsi A.S.P.F. (accompagnamento scelta professionale formativa) si occupano dei ragazzi con maggiori difficoltà. Vengono coinvolti ragazzi italiani con problemi familiari e personali (già seguiti nei programmi di recupero scolastico Lapis e Provaci Ancora Sam). Accanto a loro partecipano anche ragazzi stranieri (provenienti da Paesi come Egitto, Senegal, Ghana, Gambia, Romania). Alcuni di loro sono giunti da poco in Italia dopo esperienze come la traversata del deserto, la sosta in Libia e l’attraversamento del Mediterraneo in barcone.

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La mia vita quotidiana come VDB

La testimonianza di una consacrata nell’Istituto Secolare Volontarie di don Bosco (VDB). Semplice perché quotidiana. Per questo profonda ed incisiva.

Sono insegnante e lavoro in una scuola statale per giovani con disabilità mentale. La mia giornata inizia alle ore 5,30 con la preghiera delle lodi e con la meditazione personale; segue poi la preghiera per tutte le persone che conosco. Presento a Dio tutta la mia giornata e in particolare le ragazze e i ragazzi che seguo, chiedendogli la grazia di una buona riuscita. Alla scuola inizio le mie lezioni sempre con un momento di preghiera: ringraziamo per il nuovo giorno, chiediamo a voce alta la benedizione 24

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sulla giornata, in modo particolare sugli ammalati, sugli scolari, sugli insegnanti o assistenti e su tutte le persone che si trovano nel bisogno. Alla fine di questo momento di preghiera non facciamo mai il segno della croce, e non facciamo nessuna preghiera tipica del cristiano, perché la mia classe è composta anche da mussulmani o scolari senza religione. Alle ore 10 per la pausa merenda viene anche fatta una preghiera libera per ringraziare del cibo che stiamo prendendo.


molto libera, e per sostenerla anche musicalmente con la chitarra o con l´ukulele. Nella scuola io non parlo quasi mai di Dio, perché non insegno religione e anche perché i miei colleghi o non credono in Dio o sono indifferenti. Qualche volta, però, ma non spesso, con loro si sviluppano spontaneamente dei discorsi su Dio, perché sanno che io sono una persona attiva nella Chiesa cristiana. Il fatto di non parlare esplicitamente di Dio, mi spinge spesso a testimoniare la mia fede in incognito. Io sento però che Dio, anche in questo campo secolare e indifferente, attraverso me, fa muovere qualcosa.

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Gli alunni prendono sul serio questo momento di preghiera, lo desiderano anche, tanto che quando per un motivo o l´altro mi dimentico, loro chiedono di pregare. Io mi sforzo per quanto è possibile di creare sempre un´atmosfera accogliente nella classe, per favorire un piacevole lavoro con tutti: scolari, accompagnatori, assistenti, insegnanti e studenti. Il pomeriggio dopo aver riposato un po´e pregato il Rosario, preparo le lezioni per il giorno dopo. Anche qui con una preghiera spontanea chiedo l´aiuto di Dio e dei Santi e metto tutto nelle loro mani. La sera vado molto spesso nella casa di preghiera Ecumenica, per pregare insieme ad altri in una forma

Una VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net

è la nostra foresteria per ospitare: singoli, famiglie, piccoli gruppi; pellegrini

Ufficio Accoglienza

tel. 011.5224201 – fax: 0115224680 accoglienza.valdocco@salesianipiemonte.it www.accoglienza.valdocco.it

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Maria, donna del Sì, guidata dallo Spirito PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org

Nella strenna di quest’anno, Con Gesù percorriamo insieme la via dello Spirito, il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, dedica un passaggio a Maria, Madre Ausiliatrice, Donna del Sì, che accolse lo Spirito di Dio nel suo cuore e nella sua vita: «Maria di Nazaret è anzitutto la giovane credente amata da Dio, con la quale Dio stesso dialoga mediante il suo Angelo (secondo la narrazione evangelica), significando o facendo intendere che la presenza e l’azione dello Spirito si realizza in un incontro rispettoso che è proposta e risposta. La stessa presenza 26

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dello Spirito dipenderà, in definitiva, dal suo sì». Maria manifesta nella sua avventura nello Spirito una fede salda che fin dall’evento dell’Annunciazione la porta a diffondere amore e pace verso tutti coloro che Lei incontra nel suo pellegrinare nella fede, come contempliamo nell’episodio evangelico della Visitazione alla cugina Elisabetta. Nel suo camminare nella docilità allo Spirito, Maria ci manifesta in modo singolare come ognuno di noi agli occhi di Dio è un mondo unico e come il camminare nello Spirito è un progressivo


sistenza alla luce della fede. È così che si sperimentano quella gioia e quella felicità che sono il vero frutto dell’azione dello Spirito, il segno eloquente di una vita spirituale autenticamente vissuta. Così possiamo diventare uomini e donne che, permeati dallo Spirito, sanno comprendere e leggere i segni del loro tempo, avere uno sguardo di compassione per le ferite dei fratelli e testimoniare come buon samaritani la gioia del vangelo. Con Maria e nella Comunione dei Santi condividiamo un’autentica vita dello Spirito, quella vita spirituale che è in se stessa vita bella, secondo un’acuta sintesi del teologo russo Pavel Florenskij, che affermava che il senso della vita spirituale è diventare belli, e cioè essere così intimamente penetrati dallo Spirito Santo, che è amore, da diventare intimamente e anche esteriormente belli di quella bellezza che è il mondo penetrato dall’amore.

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scoprire e realizzare lo sguardo del Padre su ciascuno. Maria non solo è guardata da Dio con amore, ma con la sua risposta fa sì che l’azione incessante dello Spirito trovi in Lei una corrispondenza generosa e incondizionata che la porta a realizzare in pienezza la missione che Dio le chiede. Tutta una vita segnata dal sì a Dio e dall’apertura al suo Spirito. «In Lei, la Madre, la fede risplende come dono, apertura, risposta e fedeltà». La bellezza di Maria si colloca sul piano della santità e della grazia. Maria è bellezza esteriore, ma anzi più ancora bellezza interiore, fatta di luce, di armonia, di corrispondenza perfetta tra disegno di Dio e risposta umana. Ecco perché Maria è la persona più competente ad accompagnarci nella vita dello Spirito, orientandoci con pazienza materna ad unificare la nostra vita in Cristo secondo il dinamismo della vita figliale. Alla sua scuola diventiamo persone belle, persone “graziate” e “graziose”; graziate perché si sanno accolte, amate, perdonate dopo aver fatto esperienza di Dio; graziose perché irradiano vita, luce, speranza, energia, sorriso! Il fuoco da cui promana questa grazia di bellezza è l’Eucaristia, cuore della fede, presenza del Verbo incarnato in noi e tra noi. Gesù viene a noi e con noi spezza il pane, segno sacramentale della sua Pasqua di passione, morte e resurrezione. Stretta al Signore Gesù, la vita di ciascuno di noi acquista il profumo del Vangelo e parla e racconta la bellezza di un’umanità piena e affascinante, che sa reinterpretare le dimensioni fondamentali dell’e-

Stretta al Signore Gesù, la vita di ciascuno di noi acquista il profumo del Vangelo e parla e racconta la bellezza di un’umanità piena e affascinante, che sa reinterpretare le dimensioni fondamentali dell’esistenza alla luce della fede.

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

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L’ADMA nell’ispettoria salesiana missionaria del Mato Grosso (Brasile) DON PIERLUIGI CAMERONI Animatore spirituale ADMA pcameroni@sdb.org

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Dal 25 aprile al 5 maggio 2016, su invito dell’Ispettore P. Gildásio Santos, ho visitato l’Ispettoria salesiana missionaria di Campogrande (Brasile). Sono stati giorni di grazia speciale e di intensa fraternità che mi hanno permesso di conoscere la presenza salesiana in questa regione del Barsile, comprendente gli stati del Mato Grosso e Mato Grosso do Sul, e ricca di storia, di testimonianze evangeliche, di passione apostolica ed educativa secondo il cuore di don Bosco. Negli incontri con diversi gruppi di persone, nella visita a diverse opere e presenze salesiane, nelle visite con alcune realtà missionarie tra gli indigeni Bororo e Xavante, ho trovato sempre grande accoglienza, condividendo sia la mia storia vocazionale che le realtà di cui mi sono fatto particolarmente promotore: quella delle Cause dei Santi e quella della

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Famiglia Salesiana, con particolare attenzione all’ADMA. Parola di Dio e Sacramenti

Nel passare dei giorni ho confermato come l’amore alla Parola di Dio, all’Eucaristia, la devozione all’Ausiliatrice e la valorizzazione del patrimonio della santità fiorita da don Bosco siano risorse di primo ordine che danno impulso e motivazione profonda ai cammini vocazionali e formativi delle persone, oltre che a offrire i grandi orizzonti della missione, rendendo fruttosi i cammini della fede e dell’annuncio del vangelo. Come Giovannino Bosco, alla scuola di Maria Ausiliatrice, siamo chiamati a custodire ogni giorno nel cuore la Parola, a viverla con fedeltà, anche nell’ora della prova e della tentazione, e rendere grazie per le meraviglie che il Signore compie. Ho conosciuto una storia ultra-


ni eucaristiche, sia nell’incontro con l’ADMA, a cui ho lasciato l’invito di un cammino di rinnovamento nell’attenzione e nell’accompagnamento della famiglia.

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centenaria, impreziosita dalla testimonianza di numerosi confratelli che con grandi sacrifici e passione hanno portato l’annuncio del vangelo, hanno sparso semi di educazione, hanno lavorato nei solchi delle missioni, alcuni fino al martirio come P. Giovanni Fuchs e P. Pedro Sacilotti, uccisi nel 1934, e P. Rodolfo Lunkenbein e il bororo Simao, uccisi nel 1976 per aver difeso i diritti degli indigeni. Ho visitato i luoghi dove ha concluso la sua corsa terrena il Venerabile Attilio Giordani: un laico sposato, padre di famiglia, catechista e animatore dell’oratorio, salesiano cooperatore, missionario del vangelo della Gioia, con “un cuore senza confini”, come è scritto sulla lapide che custodisce il suo cuore a Poxoreo. Ho incontrato diversi gruppi e soci dei ben 12 gruppi di cui è costituita l’ispettoria, animati dal vicario ispettoriale P. Adalberto De Jesus. In particolare mi hanno impressionato gli oltre 60 giovani dei gruppi mariani del Rosario, incontrati soprattutto a Campogrande, che mi hanno colpito per la loro passione apostolica e l’amore a Gesù e Maria, insieme al desiderio di essere ADMAGiovani. Ho gioito molto nell’iniziare il mese di maggio a Cuiabá, sia nelle solenni e partecipate celebrazio-

I Bororo e l’Ausiliatrice

Commovente l’accoglienza e l’incontro con il gruppo ADMA dei Bororo di Meruri che diffondono nella missione e nelle famiglie la devozione a Maria Ausiliatrice, promuovendo la recita del rosario. Ho vissuto ciò che il Rettor Maggiore ci ha consegnato nella strenna di quest’anno: «Con Gesù, percorriamo insieme l’avventura dello Spirito». Ho condiviso con i membri e i gruppi della Famiglia Salesiana, con i soci dell’ADMA un’avventura dello Spirito, nell’apertura ai doni di Dio e nel riconoscere autentiche impronte di santità e di martirio, soprattutto in vite donate per il vangelo nella difesa dei piccoli, dei poveri e degli indigeni.

Come Giovannino Bosco, alla scuola di Maria Ausiliatrice, siamo chiamati a custodire ogni giorno nel cuore la Parola, a viverla con fedeltà, anche nell’ora della prova e della tentazione, e rendere grazie per le meraviglie che il Signore compie.

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Harambée una casa per restituire futuro

MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net

Si chiamano Riccardo, Michaela, Nizar, Endurance: quattro ex ragazzi e ragazze che, grazie ad Harambée, hanno rimarginato le ferite della loro giovane vita ed ora, adulti, camminano con le loro gambe. Le loro storie sono state presentate in un video durante un convegno, lo scorso 20 maggio, per celebrare i 20 anni di Harambée, la comunità educativa residenziale per minori in difficoltà di Casale Monferrato. Fondata nel 1996 nell’Opera salesiana del Valentino e da allora cuore pulsante della parrocchia e dell’oratorio, oggi di30

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retta da don Marco Durando, Harambée (in lingua swahili IInsieme) è casa e famiglia temporanea per i giovani prediletti da don Bosco, quelli che per motivi diversi hanno bisogno di una stampella per crescere. Per questo le celebrazioni per l’anniversario sono state intitolate significativamente “Una casa per restituire futuro”. E in 20 anni nella casa salesiana di Casale ne sono stati accolti in 127, in affidamento dai servizi sociali piemontesi e dal Tribunale dei minori di Torino: gli ultimi, un gruppetto di 4 adolescenti non accompagnati egiziani di religione musulmana, sbarcati qualche mese fa a Lampedusa. «Questo perché confermiamo la nostra preferenza, come ci ha indicato don Bosco, per i “giovani poveri, discoli e pericolanti”: a loro


Come tettoia Pinardi

Harambée negli anni è diventata un “modello” per «noi salesiani e per il territorio regionale - ha sottolineato don Enrico Stasi, ispettore dei salesiani del Piemonte e della Valle d’Aosta intervenuto venerdì 20 maggio ad un convegno promosso per rimarcare il ventennale della comunità educativa - I salesiani devono privilegiare i ragazzi più bisognosi e quelli senza una famiglia che possa sostenere la loro crescita: i primi giovani che accolse don Bosco a Torino nella tettoia Pinardi a Valdocco furono gli orfani di guerra. Oggi i tempi sono cambiati da allora, ci sono altri orfani dei conflitti in corso e della fame ed è nostro preciso compito, come si fa qui a Casale, dare loro una casa per restituire futuro». Don Domenico Ricca, salesiano, cappellano del carcere minorile torinese Ferrante Aporti e supervisore pedagogico della Comunità, ringraziando Barbara Zaglio, responsabile di Harambée e tutti gli educatori per la dedizione e la presa in carico dei ragazzi, impegno che va bel oltre l’orario di lavoro, ha ripercorso la storia della casa-famiglia che ha visto nascere e che oggi, oltre ai minori, ospita il “Progetto over 18” una comunità alloggio che permette ai maggiorenni l’attuazione di progetti di autonomia: «Harambée in questi anni ha aiutato i ragazzi ad avviare processi per rimettere in moto la loro vita. – ha ricordato don Ricca - La nostra scommessa è che vedano quel futuro la cui attesa troppe volte è stato loro frustrata, quel futuro rubato,

sottratto magari con violenza: la nostra Comunità ha cercato in ogni suo intervento di restituire con affetto e speranze, coniugando attenzione, emozioni, ma anche educazione alle regole che aiutano a crescere. Perché siamo convinti che i giovani non solo sono il nostro futuro, ma il nostro presente. Un presente che va riempito di serenità, di gioia, di piccole cose, le cose del quotidiano». Ragazzi che sono arrivati ad Harambée feriti – come ha evidenziato al convegno Anna Maria Baldelli, procuratore della Repubblica per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta - e qui hanno ritrovato la forza di progettare la propria vita: «a partire dalle cose semplici ma che per alcuni ragazzi con trascorsi difficilissimi sono gesti “eroici”. Come alzarsi al mattino, riaprire un libro e studiare, provare a riannodare legami con pezzi della propria famiglia. Tutto questo è restituire futuro». Accade da vent’anni ad Harambée dove i sogni di don Bosco continuano a realizzarsi.

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siamo chiamati a dare futuro – ha detto don Marco Durando - e oggi educare, buoni cristiani e buoni cittadini può anche voler anche dire diventare buoni musulmani e buoni cittadini».

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chiesa e dintorni

Misericordia e conversione: quale immagine di Dio? Prosegue il cammino di approfondimento sulla misericordia proposto dal biblista torinese Carlo Miglietta. Dalla parabola del Padre misericordioso un invito a ripensare al nostro rapporto con Dio e con il peccato.

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Non giudice vendicativo, ma padre “esagerato”.

Al capitolo quindici del suo Vangelo, Luca, con le tre “parabole della misericordia” (la pecora perduta, la moneta smarrita, il Padre misericordioso), ci offre il cuore della Buona Notizia: il Vangelo nel Vangelo.

La logica del Padre non è quella della giustizia umana: è quella dell’amore, del perdono incondizionato.

Un Dio gioioso e festante Le tre parabole sottolineano la gioia di Dio per la conversione del peccatore: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti» (Lc 15,7); «C’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10); «Facciamo festa, perché questo mio figlio era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,23-24.32). Il tema della gioia percorre tutto il capitolo 15 di Luca, ricorrendo ben otto volte. Il discorso quindi non è morale ma teologico: l’attenzione delle parabole non è sul pentimento dell’uomo, ma sulla gioia di Dio. Non viene più presentato un Dio severo e accigliato che attende di

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punire i cattivi, ma un Dio allegro e festante che vuole riabbracciare i suoi figli perduti. Un Amore fuori di ogni logica La parabola del “figliol prodigo”, o meglio, del “Padre misericordioso”, è stata definita “la perla delle parabole”. Al suo centro c’è la teologia di Paolo, di cui Luca era collaboratore e medico, sulla giustificazione per la sola grazia di Dio e non per le opere, e la difficoltà da parte della prima Chiesa di accettare che fosse annunciata ai pagani una salvezza che non passava più dall’osservanza della Legge ma solo dall’adesione a Gesù. Fu un processo non certo indolore convertirsi da una religiosità fatta di osservanze a una Fede in un Dio Misericordia che gratuitamente salva tutti, ebrei e pagani, buoni e cattivi, giusti e peccatori. Analizziamone la splendida dinamica. Sconcertante è l’atteggiamento


tutti gli atti giuridici e amministrativi (era la firma sul conto bancario, la carta di credito a valenza illimitata, il libretto degli assegni), e i calzari, segno di adozione filiale (Dt 25,7-10). Il figliol prodigo è ora ufficialmente proclamato Signore, Padrone, e colui che darà una discendenza al padre. È ben comprensibile la reazione del figlio maggiore, il quale vede il restante capitale ora ridiviso in due, e che a lui, sempre ligio all’obbedienza nella casa paterna, toccherà ormai solo un quarto dei beni che il padre aveva all’inizio. Il figlio maggiore si sente profondamente leso nei suoi diritti: se facesse ricorso a qualunque tribunale contro questa abnorme ripartizione ereditaria, vincerebbe certamente la causa. Ma la logica del Padre non è quella della giustizia umana: è quella dell’amore, del perdono incondizionato, della grazia assoluta. Il Padre è modello di Amore anche verso il figlio perbenista e giustizialista. Fa lui il primo passo, uscendogli incontro; inoltre egli, che non aveva fatto nessun discorso al figlio minore quando questi se ne voleva andare, ora supplica, scongiura (Lc 15,28) il primogenito a recedere dal suo irrigidimento. Un finale aperto Luca non ci suggerisce nessun epilogo della storia. Forse perché vuole ricordare a tutti i suoi ascoltatori che ciascuno di noi può essere sia il figlio dissoluto e peccatore che il fratello giustizialista che non lascia spazio alla misericordia del Padre. Forse in ciascuno di noi ci sono tutte e due queste dimensioni. «Il primo passo di ogni conversione è proprio il rivedere l’idea che ci facciamo di Dio: non è un controllore esoso e vendicativo, ma una casa accogliente dove si fa festa con musica e danze» (D. Pezzini). «Di “prodigo”, esagerato, qui c’è solo il Padre» (P. Curtaz).

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del padre, «che rifiuta persino di indagare sui progetti, sulle intenzioni del secondogenito. Il suo comportamento rischia di essere tacciato di debolezza: è invece solo frutto di un grande (cieco) amore» (O. da Spinetoli). Ma il figlio prodigo, giunto al fondo del suo percorso di abiezione, perché decide di tornare? Per interesse: «Io qui muoio di fame!» (Lc 15,17). «Bisogna subito sfatare una mitologia che vede in questo “ritorno / rientro in sé” il principio di una conversione, al punto di presentare il “figliol prodigo” come modello del convertito. Non è così! Il figlio non è pentito di ciò che ha fatto. Egli, di fronte a tutte le porte chiuse, intravede una sola possibilità: sfruttare ancora una volta il padre» (P. Farinella). «Il padre commosso gli corse incontro» (Lc 15,20): per la cultura orientale un padre, o chiunque eserciti l’autorità, che si metta a correre perde la sua onorabilità (Sir 19,27; Pr 19,2). Inoltre «il figlio è un guardiano dei porci, è impuro. Il padre gli si getta al collo lo stesso: accetta di prendersi la lordura, l’impurità del figlio, pur di trasmettergli la vita» (A. Maggi). Il figlio comincia a recitare la formula di pentimento che aveva elaborato, ma «il padre non lo lascia finire, impazzito di gioia: “Questo mio figlio era morto ed è risuscitato! Era perduto ed è stato ritrovato! Mio figlio! Mio figlio!”» (R. Reviglio). «I Vangeli fanno capire che la cosa più inutile è chiedere perdono a Dio: mai Gesù invita i peccatori a chiedere perdono a Dio, perché Dio mai perdona, perché mai si sente offeso. Dio è amore e concede il suo amore a tutti, indipendentemente dalla loro condotta. Se è vero che mai Gesù invita a chiedere perdono a Dio, insistentemente invita gli uomini a chiedere perdono agli altri» (A. Maggi). Le azioni poi che il Padre compie ci lasciano davvero stupefatti. Il figlio dissoluto è subito reintegrato in tutti i diritti di prima, con un vero rito di investitura, attraverso tre simboli: la veste, segno di dignità, l’anello al dito, cioè il sigillo, con cui il figlio poteva compiere

Le parabole della misericordia ci chiedono di passare dall’immagine di un Dio severo e accigliato che attende di punire i cattivi, a quella un Dio allegro e festante che vuole riabbracciare i suoi figli perduti.

Feti Domenico, Parabola della dracma perduta, Olio su tela, Gemäldegalerie, Dresden.

CARLO MIGLIETTA redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Fiera di essere ebrea e cattolica Giustina de Toni, Edith Stein, chiesa santa Caterina d'Alessandria, Padova.

È una grande testimone del secolo XX: ebrea, filosofa, cattolica convertita, suora carmelitana, martire ad Auschwitz. Una vita alla ricerca della verità, che lei trovò nel Cristo Crocifisso. Il 9 agosto 1942 ad Auschwitz trovarono la morte due sorelle ebree, numeri 44.074 e 44.075, Rosa ed Edith Stein. Per i nazisti due semplici numeri, per Israele e per la Chiesa Cattolica due vittime e martiri dell’odio antisemitico e anticristiano. La seconda di esse, Edith, verrà canonizzata nel 1998, riconosciuta come martire, e proclamata compatrona d’Europa con Caterina e Brigida. Per la Chiesa sarà santa Teresa Benedetta della Croce. Dirà Giovanni Paolo II: «Eminente figlia di Israele e figlia della Chiesa». In effetti Edith davanti ai cattolici era fiera di essere ebrea, davanti agli ebrei fiera di essere cattolica. Non era semplice orgoglio, ma gioia di aver conosciuto tutte e due le facce della medaglia e di essere arrivata a Cristo Verità. Die kluge Edith

Edith è nata a Breslavia il 12 ottobre 1891, in una famiglia ebrea. Era di intelligenza brillante e vivace, infatti tutti la chiamavano die kluge, cioè l’intelligente. Fece tutti i suoi studi con ottimi risultati, a tutti i livelli, fino a diventare, all’università di Gottinga, assistente del filosofo Husserl, fondatore della fenomenologia. Questi inculcava ai suoi allievi di «andare alle cose e a domandare loro ciò che dicono di se stesse, per ottenere certezze che non risultino minimamente da teorie preconcette e da pregiudizi non sottoposti a verifica». Lo stesso Husserl dirà: «In Edith Stein c’è sempre stato qualcosa di assoluto…». Edith sarà alla ricerca della verità, interrogherà le “cose”, verificherà le risposte degli altri, ne formulerà di proprie, fino a trovarla, dopo un lungo e non facile travaglio, in Gesù Cristo. Lo studio incessante per lei era preghiera, perché era ricerca di Dio fatta per amore. E Dio è Amore e Verità. Lei stessa diceva: «Dio è verità e chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no». All’età di 12 anni – raccontò lei stessa – abbandonò la fede «per affermarsi come un essere autonomo». A 21 anni si dichiarò agnostica: «Mi sento incapace di credere all’esistenza di Dio». Poi l’incontro con Husserl. Questi sarà una tappa importante del suo cammino, ma non decisiva. Questo amore alla verità la farà andare da Husserl fino al suo secondo maestro, Tommaso d’Aquino. Lei passerà dallo 34

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Pensieri di Edith Stein

sguardo sulle cose e dalla percezione spassionata ed “empatica” del reale e delle certezze immediate, alla riflessione sull’essere in generale e sull’Essere che è il fondamento di tutto l’essere, di ogni essere. Questo Essere lei lo trovò nel Dio Tri Personale cristiano, nella Trinità rivelata da Gesù Cristo. L’uomo stesso è “immagine della Trinità”, ma non solo lui. Edith metterà in luce le “vestigia” della Trinità nascoste in seno alle cose. Edith quindi, gradualmente, di ricerca in ricerca, era passata dalla fenomenologia alla metafisica. Un lungo viaggio fatto per amore. Aveva trovato la verità, ora era decisa a vivere e morire per Cristo Verità. Da Edith Stein a suor Teresa Benedetta della Croce

Edith Stein ha cercato sempre finché non ha trovato. È interessante il suo itinerario spirituale di conversione e di incontro con la Croce di Cristo. Due piccole tappe. La prima: la visita alla giovane vedova di un suo collega filosofo morto in guerra. Invitata a casa, Edith si aspettava una donna in preda alla disperazione. La trovò invece addolorata certo ma serena: era una donna sostenuta dalla fede. Scriverà: «Fu il mio primo incontro con la Croce, la mia prima esperienza della forza divina che dalla Croce emana e si comunica a quelli che l’abbracciano». Seconda esperienza. In casa di amici, estate 1921, nella bi-

• Chi appartiene a Cristo deve vivere intera la vita di Cristo: deve raggiungere la maturità di Cristo, deve finalmente incamminarsi per la via della Croce... • Il cammino del genere umano è un cammino da Cristo a Cristo. • Maria è il simbolo più perfetto della Chiesa perché ne è il prototipo e l’origine.

blioteca. Scrisse lei stessa: «Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò sotto mano: era un grosso volume che portava il titolo Vita di S. Teresa scritta da lei medesima. Ne cominciai la lettura e non l’interruppi fino alla fine. Quando lo chiusi, dovetti confessare a me stessa: “Questa è la verità”». Un mese dopo ricevette il battesimo, diventando cattolica. Ma sarà solo nel 1933 che Edith entrerà nel Carmelo di Colonia. Scelse il nome: Teresa Benedetta. Come “cognome” programmatico aggiunse “della Croce”. Trovata la Verità, vivere fino a morire per essa

La Verità Edith l’aveva trovata. Scriverà lei stessa: «Gesù Cristo è il centro della mia vita». Gesù Cristo, e questo Crocifisso. Il Signore Gesù, il Signore della gloria che ci salva nella sofferenza, nel dolore, nell’obbrobrio della Croce. Non una sofferenza sopportata e bestemmiata, maledetta e respinta, ma accettata, trasformata e diventata strumento di amore riparatore e redentivo.

Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni di Mario Scudu Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00

La fede nel Crocifisso, la fede viva accompagnata dalla dedizione amorosa, è per noi l’accesso alla vita e l’inizio della futura gloria. «La croce non è fine a se stessa... è l’arma potente di Cristo» scriverà lei stessa. L’amore senza verità e la verità senza amore sono la negazione totale della verità. Ma la prova suprema dell’amore deve passare attraverso l’esperienza dell’abbandono del Getsemani e del Calvario. Un’ ultima annotazione. In una conferenza parlando dell’arricchimento spirituale della donna, Edith affermava che questa doveva raggiungere la sua santificazione personale, come madre o come professionista impegnata, guardando a Maria di Nazaret, diventando come lei disponibilità totale a Dio e al prossimo. E questa disponibilità totale a Dio e alla Croce di Cristo, insieme a Maria, e in unione a Lui per la salvezza del mondo lei stessa la ebbe fino a quel 9 agosto 1942. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

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Diciotto anni tra Nigeria e Ghana A tu per tu con don Silvio Roggia, missionario salesiano che si prende cura della preparazione e della formazione dei novizi.   Diciotto anni in missione tra Nigeria e Ghana. Don Silvio Roggia, nato a Novello, piccolo comune del Cuneese incastonato tra i gioielli delle Langhe, ha 53 anni e il volto disteso di chi vive e opera con cuore sereno. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua esperienza. I giovani, un’immensa risorsa

«Come è nato il desiderio di dedicarti alle missioni?» «In maniera semplice e graduale. Dopo gli studi a Torino, nel 1991 sono stato ordinato sacerdote e ho trascorso i primi sei anni a Valdocco, all’ombra della Basilica di Maria Ausiliatrice. La curiosità e l’interesse verso il mondo delle missioni ha cominciato a farsi largo negli anni di approfondimento della Teologia organizzando campi di lavoro e iniziative di sensibilizzazione missionaria. La decisione di prendere le valigie e di andarci in prima persona, però, è scattata in seguito alla scomparsa prematura di un compagno di studi partito per l’Africa appena ordinato sacerdote. Ogni volta che ci sentivamo non perdeva occasione per 36

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comunicarmi l’entusiasmo della missione e mi esortava a raggiungerlo. Partire, dopo la sua morte, mi è sembrato anche un modo per portare avanti la sua opera». «Quali sono stati i tuoi compiti?» «Nel 1997 ho lasciato Valdocco e ho vissuto per otto anni a Ondo, in Nigeria, e per dieci a Sunyani, in Ghana, prendendomi cura della formazione dei novizi Salesiani. I giovani africani che sentono di essere chiamati alla vita religiosa e sono destinati a prendere le redini della comunità sono un’immensa risorsa e offrono con gioia e generosità la propria vita per il Signore. La formazione dei futuri religiosi è un ministero che mi è rimasto nel cuore e nei prossimi anni continuerò a esercitarlo nella Casa Generalizia di Roma». «Che cosa ti ha insegnato l’impatto con l’Africa?» «Innanzitutto che sono un eterno principiante. Prima di partire sentivo la responsabilità di dover portare con me un bagaglio di nozioni e di formule da trasmettere. Quando ho messo piede in Africa ho capito di avere un’infinità di cose da

osservare e da imparare, a cominciare dal fatto che gli europei dispongono dell’orologio e gli africani del tempo. L’Africa, come ha scritto papa Benedetto XVI, è davvero il polmone spirituale del mondo e ha molto da insegnare». Condividere e crescere insieme

«Durante questi diciotto anni hai incontrato più gioie o difficoltà?» «Le gioie sono state senz’altro maggiori delle difficoltà. Abituarsi alle diversità climatiche e alimentari, e persino alla ma-


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voli dei pericoli mortali legati alla migrazione e offrire loro alternative perché costruiscano il proprio futuro in Ghana. Ma la tentazione dell’estero è forte. Ad esempio sono numerosi quelli che, con il supporto delle famiglie, puntano all’Europa o al Sud Africa nella speranza di entrare a far parte del vivaio di qualche squadra di calcio e diventare campioni. Sogni che quasi sempre s’infrangono lasciando molte le ferite da curare».

laria, rappresenta una minuzia rispetto alla gioia di condividere una realtà magari povera ma da costruire e vivere insieme alla luce del futuro e della speranza». «In Italia e in molti paesi europei il tema dei migranti è di grande attualità…» «Lo è anche in Africa. Da un anno e mezzo i Salesiani hanno aperto alla periferia di Accra, in Ghana, un Centro di protezione per bambini vittime di abusi e tratta e stanno anche lavorando a Brong-Aafo, nella regione che ha più migranti per rendere i giovani consape-

«Che cosa consiglieresti a un ragazzo incerto se dedicare la propria vita alle missioni?» «Di avere coraggio e di non fare troppi calcoli, iniziando da una esperienza di volontariato. Oggi andare e tornare è molto più facile di un tempo. Se vogliamo davvero contribuire a risolvere la povertà e le emergenze che l’affliggono, dobbiamo imparare a guardare la realtà africana dal punto di vista dell’Africa». CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività dei salesiani in Nigeria e Ghana può mettersi in contatto con:

Anche tu puoi fare qualcosa!

Associazione Missioni Don Bosco Valdocco Onlus via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino - tel. 011 39.90.101 e-mail: info@missionidonbosco.org sito: www.missionidonbosco.org LUGLIO-AGOSTO 2016

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Il diavolo e l’acqua Santa DIEGO GOSO dondiegogoso@icloud.com

La preghiera preconfezionata: ovvero l’arte di annoiare Dio

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(continua dai numeri scorsi… una signora semplice e un uomo elegante stanno discutendo mentre sono sull’autobus)   Nonostante la signora avesse ripreso il suo atteggiamento di calma e serenità l’ambiente attorno era ancora sotto la minaccia della boccetta d’acqua Santa. L’uomo fissava ancora fuori dal finestrino. Gli altri passeggeri spostavano lo sguardo dall’uomo alla donna di continuo. Anche l’autista che fino a quel momento sembrava non essersi accorto della discussione in corso ora non smetteva di lanciare occhiate tramite lo specchietto retrovisore. I due protagonisti compresero che per continuare la loro sfida di opinione dovevano riprendere il basso profilo con cui l’avevano comin-

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ciata. Per questo l’uomo si avvicinò con lentezza alla signora e la discussione riprese con un filo di voce. E se il tono del volume voleva indicare il desiderio di non turbare gli altri compagni di viaggio, il contenuto della dialogo era ormai una dichiarata non esclusione di colpi. - «Difenda la Chiesa come vuole, ma non può davvero negare che proprio voi baciapile siete i maggiori responsabili di tanti allontanamenti dalla fede... Se il Diavolo potesse assumervi non troverebbe altri capaci di soffiarvi il posto...» La signora fissò l’uomo di traverso: ormai erano ridotti a parlarsi ad un palmo di distanza l’uno dal viso dell’altra. - «Lei me la offre facile. Quante volte avrà già sentito dire che la nostra debolezza è proprio la prova


suoi, i problemi che forse vorrebbe poter esporre alla comunità invitandoli a pregare con lui e per lui. Nemmeno le prediche dei sacerdoti riescono a raggiungere un livello più basso di concentrazione». La signora si rese conto che stava abbassando le difese davanti a quell’uomo misterioso ma il pensiero della predica altisonante e piena di citazioni intellettuali del suo parroco durante la celebrazione della settimana scorsa gli tornò in mente per intero e all’improvviso. Scoppiò a ridere diventando contagiosa sull’uomo. Quel gesto liberatorio fece sciogliere anche la restante tensione negli altri passeggeri che poco alla volta tornarono ad occuparsi dei fatti propri. Anche l’autista si concentrò solo più sulla strada, tranquillizzato che non si prevedeva alcuna rissa alle sue spalle. - «Brutta lingua davvero l’ecclesiastichese... Dimostrano che si può essere uomini di Dio ma così lontani da Lui e dalle cose stesse della terra...» - «Come le preghiere spontanee che si leggono al termine dei funerali, scritte da qualche parente inconsolabile... Non sono mai preghiere, dicono cose banali vendute per eccezionali, e sono piene di dolore e pessimismo... Molto distanti dallo spirito di persone che credono nel fatto che almeno una volta nella vita un Uomo sia stato capace di compiere l’impossibile tornando indietro dalla morte...» La donna si rese conto che davanti a questo l’uomo sembrava non irriverente come al solito ma quasi ammirato dal prodigio della Risurrezione. Era quasi tentata di toccargli la mano per condividere la stessa sensazione di inadeguatezza davanti al fatto storico che aveva dimostrato che tutto in questo mondo è possibile per chi crede. La fermata del mezzo però la riportò sui suoi impegni: era quasi arrivata alla sua destinazione e cominciò a prepararsi alla discesa, la prossima fermata era la sua: ma rimaneva ancora il tempo per un ultimo scambio di battute. (continua) LUGLIO-AGOSTO 2016

chiesa e dintorni

della forza della presenza del Signore in mezzo a noi. La Chiesa è uno straordinario strumento di salvezza nonostante i nostri limiti e le nostre divisioni. Che poi non provengono certo dall’idea che del suo popolo ha Dio, ma dalle tentazioni e dalla poca coerenza: delle une perché non sappiamo resistere, della seconda perché siamo più abili a parlare che non ad agire nel concreto». - «Questo ci porta ad uno degli aspetti della preghiera cristiana che davvero non capisco...» - «Ecco, torniamo a bomba, stiamo sul tema, non usciamo dal seminato». - «Ecco, parliamo allora delle vostre formule liturgiche: ma davvero siete convinti che Dio si chini ad ascoltarle: certune di queste mi fanno personalmente addormentare. Certo non sono... Ehm... Quello lassù... - E per poco le parole gli uscirono come se un dentista gli stesse togliendo un dente - ... Ma non vi rendete conto che certe espressioni sono piuttosto frutto di vanità intellettuale che non pigolii di disperato affetto rivolti dai pulcini verso la chioccia?». La signora si scosse leggermente sulle spalle. – «Questa volta forse potremmo quasi essere d’accordo – ammise più tra se e se che non rivolta al suo oscuro interlocutore – devo proprio confessare che anche io rimango perplessa dall’abbondanza di tante inutili parole. Come se dovessimo spiegare a Dio il senso della pace che stiamo chiedendo, come se la Chiesa dovesse essere ogni volta definita. Raggiungiamo il massimo nelle “preghiere dei fedeli”. Alcuni formulari sono scritti da veri pastori e si comprende che vogliono davvero raccogliere le preghiere di tutto il popolo, ma altri...» Anche l’uomo si scosse e si raddrizzò. Stava sorridendo: - «In quel momento è bellissimo vedere le facce dei fedeli. Si staccano proprio i connettori dell’attenzione: tra chi deve mettercela tutta a capire cosa la richiesta di preghiera vuole davvero ottenere da Dio e chi si mette a pensare agli affari

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Volevo fare il macchinista

ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

I bambini e l’Arcivescovo

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È la risposta data da Mons. Nosiglia, in visita pastorale a Pozzo Strada, al bambino che gli chiede che cosa volesse fare da grande. Velocemente, il Vescovo traccia la storia della sua vita: l’infanzia a Campo Ligure, la vocazione, il seminario, l’ordinazione sacerdotale a 23 anni, la lunga permanenza a Roma, la nomina ad arcivescovo di Vicenza, il trasferimento a Torino. Propone ai bambini dei gruppi di catechismo la lettura del miracolo della moltiplicazione dei pani, soffermandosi sul gesto del ragazzo che offre i pani e i pesci. Invita quindi gli ascoltatori, insolitamente attenti, a trarre un insegnamento dalla pagina di Vangelo. «Che cosa insegna il gesto del ragazzo?». «La disponibilità, la generosità, la capacità di donare ma anche di accettare i doni» sono i commenti. «Insegna a non sprecare il cibo» dice qualcuno, riferendosi ai dodi-

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ci cesti di avanzi. «Perché l’evangelista non riporta il nome del ragazzo?» chiede il Vescovo. «Perché ognuno di noi può essere quel ragazzo!». «Se offriamo a Gesù le cose che abbiamo, possiamo aiutarlo a fare miracoli!» è la saggia conclusione. Seguono domande a raffica a Mons. Nosiglia: «Sei felice di fare il Vescovo? La tua famiglia è contenta della tua scelta?». «La felicità consiste nel realizzare il progetto di Dio per ognuno di noi». «Qual è stata la cosa più bella della tua vita?» «L’amicizia con Giovanni Paolo II» sono le risposte. Con sorridente sicurezza , il prelato risponde quindi alle domande più sbarazzine: «Quanti anni hai? È vero che tifi per la Samp? Come hai votato all’elezione del Papa? Ti piacerebbe diventare Papa?». L’ultima domanda quasi spiazza l’Arcivescovo: «Quante volte alla settimana ti confessi?»


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