Maria Ausiliatrice d e l l a
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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
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vacanza, sempre con Lui
6 Il nostro “Gr azie!” al Signore per Maria Un 24 Maggio ricco di festa e di preghier a
14 Viandanti, col cuore di bambini Fr ancesco, Giacinta e Lucia di Fatima
26 I cristiani d’Egitto accettano il martirio
Fr ancesco e l’incontro con i fr atelli copti
ISSN 2283–320x
luglio-agosto 2017
Dopo settantacinque anni di liete armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
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CAUSALE: Restauro Organo Basilica di Maria Ausiliatrice - Torino. In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore. Luglio/Agosto 2016
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Don Bosco: l’uomo... del mare! Su don Bosco si è detto e scritto di tutto. Ma nessuno, finora, aveva osato proporre per lui questa definizione: l’uomo del mare. Eppure l’ex vicedirettore de L’Osservatore Romano, Carlo Di Cicco, non ha azzardato a caso l’immagine che dà il titolo al suo libro edito dalla LEV (L’uomo del mare, pp. 198, Città del Vaticano, 2017). Nella liturgia festiva di San Giovanni Bosco, infatti, l’antifona d’ingresso è tratta da un versetto del primo libro dei Re riferito a Salomone: «Il Signore gli ha donato sapienza e prudenza, e un cuore grande come la sabbia che è sulla spiaggia del mare» (1Re 5,9). Un paragone marinaro per indicare la capacità straordinaria di don Bosco di amare e servire i giovani, soprattutto quelli poveri ed emarginati. Nella copertina del libro c’è l’immagine di un barcone di immigrati che sta per affondare mentre, sullo sfondo, emerge dalle acque il volto di don Bosco, pronto ad aiutare i naufraghi e portali in salvo. Il volume si apre con un racconto sul ritorno temporaneo tra noi del santo, che prende le sembianze di Alpha, un emigrato che, insieme alla madre Margherita, sperimenta emarginazione e rifiuto. E termina con ritorno in cielo a bordo di un’astronave. In mezzo una serie di saggi, a volte provocatori. Dunque, un approccio originale a un gigante della fede che, come tale, offre sempre nuovi spunti a chi ne sonda la figura. Di Cicco propone un confronto tra il metodo educativo di don Bosco e tutte le questioni sociali, culturali e religiose che suscitano oggi dibattito e anche polemiche. Il famoso sistema preventivo del santo torinese può essere una risposta alla cultura dello scarto tante volte denunciata da papa Francesco. L’autore sottolinea le consonanze tra il pontefice latinoamericano e don Bosco e invita a rileggere la proposta formativa di quest’ultimo alla luce del Concilio Vaticano II. Enzo Romeo Caporedattore e vaticanista RAI Tg2 redazione.rivista@ausiliatrice.net
L’ uomo del mare. Con Don Bosco nel cambio di epoca Carlo Di Cicco Libreria Editrice Vaticana, 2017 198 pagine
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a tutto campo MARIA
Il profumo dell’amore Un percorso di cristologia affettiva. Ci sono due momenti nei vangeli in cui Gesù si lascia toccare a lungo da qualcuno. Più precisamente da due donne. Anzi, l’unzione di Maria a Betania è «il primo caso in tutto il Vangelo di Giovanni in cui un discepolo, una donna, entra in un rapporto di intimità così intenso con Gesù». All’analisi dei due episodi dell’unzione della donna peccatrice (Lc 7,36-50) e dell’unzione di Maria a Betania (Mc 14,39; Mt 26,6-13; Gv 12,1-8), Vincenzo Battaglia dedica il saggio Il profumo dell’amore. Un percorso di cristologia affettiva. La riflessione si inserisce nella linea del lavoro di approfondimento che l’A. sta svolgendo attorno al rapporto tra cristologia e contemplazione e mira a rivisitare e valorizzare i sensi corporei e spirituali. Nell’analisi del passo di Luca, l’A. evidenzia come lo scandalo patito dal fariseo 2
Maria Ausiliatrice n. 4
sia acuito dalla risposta di Gesù. Gesù lascia fare alla donna e «non la lascia fare per pietà, restando indifferente, passivo. Nei gesti compiuti dalla donna c’è un crescendo: se lei intensifica il “con-tatto” con lui, ciò vuol dire che, ad ogni gesto, avverte di essere assecondata. Gesù, a sua volta, intensifica il “con-tatto”, il rapporto con lei». Il profumo non si dona a chiunque, ma è destinato a mostrare deferenza a persone molto amate. La donna si dona e a lei Gesù mostra il volto materno e accogliente di Dio. «Gesù ha accolto la donna. Ma dove se non nel “grembo” della misericordia di Dio resa tangibile e fruibile da lui? Toccando Gesù la donna è accolta da Dio. Accolta da Gesù, è toccata da Dio, dal Padre celeste che, mosso a compassione, va incontro per primo, a chi ritorna da lui (cf. Lc 15,20)».
Ignis amoris
Dopo l’analisi delle pericopi evangeliche, l’A. offre una rassegna analitica di alcuni dei più importanti contributi sul tema dall’epoca patristica, medievale (che si biforca in due filoni: quella monastico, cistercense e domenicano, e quello francescano, a cui l’A. appartiene) e un ultimo capitolo dedicato a letture e riletture dal XIII al XX secolo. Giovanni Crisostomo legge dentro gli intenti della donna del vangelo di Luca dicendo: «Quel gesto infatti derivava da una mente devota, da una fede ardente e da un’anima contrita». Agostino considera il gesto come invito a esercitare le opere di penitenza e di misericordia: «Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore con i capelli che, appunto, sono considerati come una parte superflua del corpo. Ecco come devi impiegare il superfluo: per te è superfluo, ma per i piedi del Signore è necessario». Gregorio Magno si sofferma sulla forza purificatrice dell’amore: «Ha bruciato perfettamente la ruggine del peccato perché arde intensamente nel fuoco dell’amore. Questa ruggine è infatti perfettamente distrutta nella misura in cui il cuore del pec-
a tutto campo MARIA
Analizzando, poi, l’unzione di Betania l’A. nota che versare olio sul capo di un ospite era un’usanza nel mondo biblico e orientale in genere. Era segno di grande considerazione e onore. Era consuetudine tra gli ebrei in Babilonia «versare unguento sul capo dei rabbini presenti al matrimonio di una vergine». Ma – nota R. Infante – che tale prassi si faceva solo sul capo, evidenziando il gesto insolito di Maria che unge i piedi di Gesù. L’unguento versato in entrambi i casi è preziosissimo. Esso mostra quanto l’amore e la gratitudine di quelle persone verso Gesù non aveva prezzo.
catore arde nella gran fiamma della carità». La dilectio e l’ignis amoris sono la causa che produce la remissione dei peccati. Beda il Venerabile vede nel gesto di Maria la professione adorante dell’ortodossia cristologica: «Il capo del Signore, che Maria unse, significa la sublimità della divinità, i piedi l’umiltà dell’incarnazione. Ungiamo i suoi piedi quando predichiamo con debita lode il mistero dell’incarnazione, ungiamo il capo quando veneriamo l’eccellenza della divinità con degne parole». Unzione reciproca
C’è una corrispondenza tra il profumo cosparso dalle donne e l’opera di Cristo: «C’è il profumo usato dalle donne per cospargere i diedi e il capo – il corpo – di Gesù. C’è il profumo diffuso da Gesù Cristo con il suo amore colmo di misericordia e di compassione salvifiche; c’è la scia odorosa lasciata dal suo nome (cf. 2Cor 14-16), collegata sovente con Ct 1,3: “aroma che si spande è il tuo nome”. Attratta dal profumo del suo Signore e Sposo, la Chiesa lo diffonde nel mondo intero: “noi siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono” (2Cor 2,15)». Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net
Ungiamo i suoi piedi quando predichiamo con debita lode il mistero dell’incarnazione (Beda il Venerabile).
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Marco Bonatti
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Una VDB
1 don bosco: l’uomo... del mare! enzo romeo
Giuliano Palizzi
chiesa e dintorni 16 l’evangelo della famiglia nel nuovo testamento
a tutto campo 2 il profumo dell’amore
carlo miglietta
18 solo dio conosce il cuore dell’uomo
robert cheaib
ezio risatti
rettore 6 il nostro “Grazie!” al Signore per Maria cristian besso
23 i doni dello spirito Anna Maria Musso Freni
24 Fiera di essere ebrea cattolica
la parola 8 pause per capire
mario scudu
26 I mariti cristiani, oggi,
marco rossetti
10 scegliere dio, l’unico vero “tesoro”
sono di più dei tempi antichi Enzo Romeo
marco bonatti
maria 12 solo una grande assenza francesca zanetti
14 fatima e papa francesco
giovani 28 com’è il cuore di una donna? giuliano palizzi
30 blue whale e don milani ermete tessore
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Bernardina do nascimento
domus mea ic
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Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino
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Collaboratori: Federica Bello, Lorenzo Bortolin, Ottavio Davico, Marina Lomunno, Luca Mazzardis, Lara Reale, Carlo Tagliani
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Gabriele Miglietta
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andrea caglieris
don bosco oggi 20 a voce alta
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festa di maria ausiliatrice
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42 Adma famiglie: impegnati perché le
famiglie possano diventare scuola di vita e di amore
una vdb
chiara e davide
32 CNOS-FAP avigliano saluzzo: il coraggio di una nuova presenza salesiana!
44 crÊpes agli asparagi... francescane? Anna Maria Musso Freni
gabriele miglietta
34 Reinhold messner. Montagna: elevazione spirituale
inserto
sotto il manto di maria
andrea caglieris
àngel Fernández artime
36 testimone del sogno
di don bosco nel mondo carlo tagliani
38 una casa di don bosco per restituire speranza ai bambini di locri la redazione
40 pratica il sistema preventivo in famiglia: pastorale giovanile e pastorale famigliare pierluigi cameroni
Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Rivista Maria Ausiliatrice, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. CC BY-NC-SA 3.0 IT
RivMaAus
rivista.ausiliatrice
Foto FOTOLIA: .Godfer (18); Yaroslav Antropov (22); Paul Hill
(28); ALTRI: A. rchivio RMA (1-3, 8, 10-11, 14-15, 19, 21-22, 24, 26-27, 29, 31-33, 34); Andrea Cherchi (6); Renzo Bussio (7); Darren Green (12); R. iccardo Bruni (16); Syuji Honda (20); Romano Siciliani (23); Yuri Arcurs (30); Sammy Minkoff (34); Giorgio Tozzi (35); .Missioni don Bosco (36-37); SCS-Roma (38-39); ADMA (40-43); Mondadori Press (44)
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RETTORE
Il nostro “Grazie!” al Signore per Maria
Carissimi, vogliamo ringraziare il Signore per la bellezza delle celebrazioni e per l’intensità del clima spirituale che ha caratterizzato il santuario di Valdocco, particolarmente nel mese di maggio. Il mese mariano ha avuto momenti significativi sia nella preparazione alla solennità dell’Ausiliatrice (il triduo di san Domenico Savio, di santa Maria Domenica Mazzarello e l’ordinazione di don Fabio Mamino), sia nella sua conclusione: la festa della Visitazione della Beata Vergine Maria. Proprio questa festa ci ha suggerito l’atteggiamento spirituale migliore, col quale guardare alla Madre di Dio. Il desiderio di servizio, e la consapevolezza della piccolezza, muovono i passi della Vergine di Nazareth, al servizio ed all’incontro gratuito con l’anziana cugina. Colei che è potente contro il male, è modello di evangelica semplicità: si china sulle necessi6
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tà e sui bisogni di Elisabetta, anticipando così l’umile chinarsi di Gesù sui piedi dei discepoli. Questa semplicità feriale di Maria SS. è il preambolo necessario per la sua forte intercessione presso il Padre, per i bisogni e le necessità di ciascuno di noi, quella intercessione che la rende vera “madre e mediatrice di grazia”. Il mese di maggio ha portato, anche, con sé un dono prezioso al nostro santuario: don Giorgio Challisery è stato incaricato dal Rettor maggiore come vicerettore del Santuario. Insieme al “grazie” per la sua disponibilità, rinnoviamo per lui la preghiera e la fraterna accoglienza! Festa di preghiera
L’annuale solennità di Maria Ausiliatrice è stata caratterizzata da una abbondanza di gruppi, pellegrini e devoti. Molto suggestiva è stata l’adorazione notturna (dall’1,30 sino alle 5,30 del 24 maggio).
RETTORE
Una notte di preghiera che ha sostituito il tradizionale susseguirsi delle celebrazioni eucaristiche. Ringraziamo i gruppi che si sono resi disponibili per l’animazione e anche tutti coloro che costantemente hanno vegliato presso il mistero dell’Eucaristia, rinnovando in ciascuno l’amore per il mistero del sacrificio della croce. La giornata del 24 è culminata nella S. Messa dell’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia, ancora nei solenni Vespri del pomeriggio e nella celebrazione del Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime alle ore 18.30. Il santuario, in questa ultima occasione, era davvero traboccante: segno dell’amore per la Vergine Maria, ma anche del riconoscersi nella spiritualità salesiana, che trova nell’affetto al successore di don Bosco e nella devozione mariana un punto di riferimento imprescindibile. Alle 20,30 è iniziata la processione: sia il clima atmosferico sereno, sia lo sfilare ordinato dei gruppi, hanno raccolto le circa 45.000 persone in un sincero clima di preghiera. Ci siamo stretti con gioia intorno al card. Joseph Zen che è stato ospite illustre, unitamente all’Arcivescovo, lungo l’intero percorso della processione. Rinnoviamo il grazie a tutti coloro (tecnici e volontari) che hanno reso possibile l’intera organizzazione; soprattutto ringraziamo i numerosi gruppi delle case salesiane (Sdb e Fma) che si sono resi presenti con la partecipazione ed ancora con l’animazione, anche serale, della novena.
e oppressione cessino e presto si possa godere di una rinnovata convivenza, frutto del dialogo e dell’interscambio tra popoli, culture e tradizioni religiose. Infine, rimane per noi un impegno prioritario, affrontando i mesi estivi: davvero immergere nel Vangelo anche il nostro riposo. Il riposo dell’estate è dovere per rigenerare la nostra interiorità, in vista di un rinnovato impegno nella carità, nel perdono e nell’operosità. Penso che questo “riposo evangelico” non possa fare a meno di riscoprire il dono del silenzio, che non è assenza di relazioni, ma scoperta del mistero del Signore che parla nel profondo di noi per permetterci di riallacciare legami più robusti e rinnovati, con coloro che ci vivono accanto. Proprio dentro questo silenzio, compagno di viaggio rimane il Vangelo, magari davvero da portare di più con noi, scoprendo giorno dopo giorno quella pagina che caratterizza la liturgia quotidiana. Lo Spirito Santo parli al nostro intimo, così come abitava in Maria, conducendoci ad un ascolto più profondo del tesoro delle Scritture. don cristian besso RETTORE rettore.basilica@ausiliatrice.net
“Riposo evangelico”
Concludendo, davvero desideriamo affidare al Signore per le mani di Maria, Madre della Chiesa, le delicate situazioni politiche internazionali ed europee. Esse talvolta destano timore e spavento in ciascuno di noi; sempre più diviene necessaria un’accorata preghiera per la pace e la convivenza nelle nostre città. Chiediamo davvero al Signore la capacità, così propria dell’uomo, di confrontarsi, dialogare e sentire la responsabilità perché violenza luglio-agosto 2017
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LA PAROLA
Pause per capire Pietre cadono da mani pronte a lanciarle per uccidere. La piazza si svuota. Silenzio. Cosa è accaduto? È venuto Gesù che tutti interpella col suo essere misericordioso (Gv 8,1-11). «Tu che ne dici?»
Gerusalemme, cortile del Tempio. Gesù vi è arrivato di buon mattino per insegnare. Scribi e farisei trascinano una donna e la pongono tra loro e lui. Mosè nella Legge ha esplicitamente dichiarato che donne come quella, soprese cioè in adulterio, si lapidino. La sua sorte è già segnata. Perché portarla davanti al Maestro? È evidente che si voglia
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far diventare la colpa della donna un pretesto per metterlo alla prova: avrà l’ardire di sospendere la Legge, attirandosi l’ira delle autorità religiose, oppure deciderà per il rigore, creando però disorientamento tra la gente abituata a sentirlo predicare il perdono? «Tu che ne dici», gli chiedono espressamente. Ammiriamo la nobiltà di Gesù che si china e scrive per terra. Non prende tempo, piuttosto ne vuole concedere perché gli animi di tutti si calmino: si sta decidendo della vita o della morte di una donna e, cosa disdicevole, ci si sta servendo di una tragedia personale per fini distorti!
la parola
Una pausa per riflettere
Una pausa per concludere
È accattivante questa pausa imposta da Gesù e riempita da una scrittura che il vento cancella. È la sola volta nei Vangeli in cui si legga che egli scriveva. Forse per ciò, intorno a questo scrivere si è accesa la fantasia di molti; alcuni studiosi invece si sono applicati al fine di intuirne il contenuto. A mio parere non si tratta tanto di voler colmare ad ogni costo questa mancanza di dati. Più importante è usare sapientemente questo tempo che Gesù concede. Da come l’Evangelista riferisce, non si potrebbe forse intendere la pausa come una diretta provocazione a cercare nel racconto le Parole del Maestro che, grazie a questa vicenda, ne illuminino maggiormente l’identità? Più Parole troveremo, più capiremo chi è il Signore. Egli infatti è venuto per salvare il mondo; è venuto come «luce del mondo», perché noi non rimaniamo nelle tenebre del peccato; è venuto per dare la vita in abbondanza. Non è venuto per giudicare secondo la carne, vale a dire i criteri umani, ma per amarci fino alla fine e mostrarci che il Padre non vuole la morte dei peccatori, ma che si convertano e vivano! Ecco chi è questo Gesù che in silenzio scrive. L’animo degli avversari però brucia: non vogliono un gesto, ma una parola. Si staglia ora la grandezza di Cristo che non si mette ad insegnare cosa sia condanna o misericordia e sa superare con prudenza la provocazione di scribi e farisei: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Chinata poi nuovamente la testa, Gesù continua a scrivere. Ancora un’altra ... pausa che invoca di essere colmata con un esame della propria condotta ed intenzioni. Come possiamo giudicare noi che siamo ugualmente portati al peccato? Come possiamo giudicare nei fratelli ciò che anche noi compiamo? Chi può dirsi senza peccato? Le pietre vengono rimesse dove stavano, la piazza si svuota, il silenzio è palpabile. Un dialogo breve ed intenso chiude: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». La donna risponde: «Nessuno, Signore» e Gesù: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Così il Maestro ama correggere: non giudica né condanna; non tratta in astratto il peccato, ma lo pone in rapporto con noi, peccatori; trova per noi e con noi la soluzione migliore. In tal modo egli mette in luce il peccato, esorta a riconoscerlo con onestà, a chiamarlo per nome e a non accondiscendervi. La misericordia usata da Gesù per la peccatrice non è buonismo, ma grazia che si china su di lei, vigore che rinnova ed impone di cambiare l’orientamento della propria esistenza. In questo sta l’intensità di quel: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Parole che rassicurano e che corroborano facendo desiderare nuovi orizzonti e possibilità per la propria vita! Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
Gesù non è venuto per giudicare secondo i criteri umani, ma per amarci fino alla fine e mostrarci che il Padre non vuole la morte dei peccatori, ma che si convertano.
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Scegliere Dio, l’unico vero “tesoro” «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli 10
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disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,44-46). La nostra memoria
Lo scriba che estrae dal suo tesoro cose nuove e vecchie funziona come la nostra memoria, capace di ricordare ma anche di dimenticare. E appunto, in genere si ricordano i tesori e gli incontri fondamentali, e si tende molto più facilmente a dimenticare le sconfitte e i ridimensionamenti di ciò che immaginavamo e speravamo. Il fatto è che la memoria è “una formidabile falsaria”, come scrive Antonio Tabucchi: «Può anche capitare, nella vita, di dormire all’hotel
la parola
Zuari. Sul momento potrà sembrare un’occasione non particolarmente fortunata; ma nel ricordo, come sempre nei ricordi, decantata dalle sensazioni fisiche immediate, dagli odori, dal colore, dalla vista di quella certa bestiolina sotto il lavabo, la circostanza assume una sua vaghezza che migliora l’immagine. La realtà passata è sempre meno peggio di quello che fu effettivamente: la memoria è una formidabile falsaria (Notturno indiano). La presenza di Dio
Il Regno non è una promessa, è la nostra presenza in Dio qui e ora. In ogni momento ci viene ricordato che c’è “da scegliere Dio”, come i pescatori che buttano via il pesce cattivo che pure hanno raccolto nelle reti insieme a quello che serve. La scelta del Regno è la scelta della presenza di Dio, come ricordava il cardinale Ballestrero: «L’esercizio della presenza di Dio! quando ero novizio, ogni lunedì mattina dovevo andare dal padre Maestro a rendere conto della mia vita spirituale della settimana. Uno dei primi punti era come era andata la meditazione e, subito dopo, come era andata la presenza di Dio.
Le esortazioni del Maestro a proposito di questo esercizio erano incalzanti: non andava mai bene, non andava mai abbastanza. Certo è che saper vivere alla presenza di Dio è la sapienza suprema di un’anima carmelitana. A tu per tu con il Signore! Saper interpretare tutto come gesto della presenza di Dio, come fatto, manifestazione della sua presenza! Ci si può impegnare il cuore, la mente, la memoria, anche la sensibilità. Tutta la creatura può diventare tesa verso il Signore, a cui appartiene, per la consacrazione che ci lega a Lui. (A.A. Ballestrero, Autoritratto di una vita). Quando ci illudiamo di aver molto da fare, di avere molte cose a cui pensare, tante responsabilità: forse dovremmo ricordare che «il Signore dà nel sonno» ai suoi amici ciò di cui hanno bisogno. Marco Bonatti RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE DIOCESANA PER LA SINDONE press@sindone.org
Notturno indiano Antonio Tabucchi Sellerio Editore Palermo, 1984 124 pagine
Il “vero tesoro dell’uomo” è «l’amore di Dio», che «da’ senso agli impegni di ogni giorno», alle «fatiche» e alle «cadute», e «aiuta anche ad affrontare le grandi prove». (Papa Francesco, Angelus dell’11/8/2013).
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Solo una grande assenza
Rachele mentre leggeva un articolo sulla catechesi del Papa si era fermata, turbata, alla frase in cui si sottolineava come i Vangeli, parlando di Maria negli ultimi istanti di vita di Gesù, non si dilungassero a descrivere il suo dolore, ma semplicemente dicessero «lei stava» perché «le madri non tradiscono» e basta la loro presenza a testimoniare la totale condivisione con i figli, senza aggiungere nulla. Lei invece era stata solo una grande assenza per sua figlia... figlia però solo secondo l’etimologia della parola: figlio = produco, faccio, genero, niente di più. Mamma a sedici anni, costretta a donare la figlia
A sedici anni aveva avuto una storia d’amore che le era sembrata per tutta la vita, invece era rimasta incinta, il suo ragazzo spaventatissimo si era allontanato da lei, aveva cercato 12
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protezione nella famiglia che lo aveva difeso a spada tratta, dicendo che era troppo giovane per accollarsi una responsabilità più grande di lui e vedendo nell’aborto l’unica soluzione. Il padre di Rachele, uomo autoritario, poco aperto al dialogo con la figlia, seguendo una morale rigida come lui, non volle che interrompesse la gravidanza ma le impose di lasciare la bambina in ospedale, dopo il parto. E così fu... A Rachele di quei primi momenti di sua figlia restò solo il ricordo di un pianto, segno dell’esordio alla vita, perché preferì non conoscerla, non vederla, come il gioco che fanno i bambini piccoli quando chiudono gli occhi e pensano di scomparire alla vista degli altri: non vedo non esisto, non esisti. Rachele seppellì nel suo cuore quella figlia appena nata e subito perduta, evitò di pensare a lei, in famiglia non ne parlarono più e con-
Rachele comincia a riflettere, purtroppo incolpandosi.
Col passar degli anni un tarlo silenzioso però aveva iniziato a rodere la mente ed il cuore di Rachele, il muro che aveva costruito piano piano si stava sgretolando e si era trovata a dover fare i conti con il suo passato. Maria, madre di Gesù stava sotto la croce, con lo stesso coraggio con cui aveva risposto «sì» ancora giovinetta all’angelo Gabriele, nonostante non sapesse niente del suo destino. Aveva accolto la vita nel bene e nel male, senza disperarsi o arrendersi. Si era da subito mostrata una madre coraggiosa, sempre accanto al figlio, anche se spesso non aveva compreso il significato delle sue scelte. Come si era discostata da questo modello di madre Rachele! Non era stata pronta a nulla, né ad accogliere la figlia nata dal suo comportamento irresponsabile, né aveva saputo opporsi alla decisione del padre, era diventata una mamma anonima, una non mamma. Aveva iniziato allora ad immaginare sua figlia adulta, magari madre e si era sorpresa ad osservare giovani donne per strada, quasi sperando di riconoscerla. Come si sarebbe comportata se davvero si fosse concretizzata questa remota possibilità? Con il cuore di donna matura e senza figli, certamente avrebbe desiderato vedere sua figlia, ma con la
mente sapeva bene che non avrebbe mai avuto il coraggio di incrinare l’equilibrio raggiunto da sua figlia grazie magari a genitori adottivi che l’avevano scelta davvero, proprio perché era lei e l’avevano accompagnata nella sua crescita con quella sensibilità particolare che sanno avere i genitori di adozione che accolgono bambini che alle spalle hanno avuto situazioni di rifiuto. Lei non aveva potuto accogliere, papà era stato rigido nella decisione e lei non aveva saputo imporsi. Così si è vista sorda al modello della Madonna, perché non era mai stata accanto a sua figlia nonostante tutto e tutti. Ora comprendeva bene che non è il legame di sangue che conta, ma quello del cuore ed avrebbe continuato la sua vita portandosi dentro il triste rimpianto di non essere stata in grado di imporsi alla decisione di papà per poter imitare la Vergine Maria.
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tinuò la sua vita. Terminò gli studi, trovò lavoro e si sposò e come aveva sempre fatto con tutti, tacque anche a suo marito la sua esperienza giovanile, ma come per la pena del contrappasso, non riuscirono ad avere figli. Erano però una bella coppia, con molti amici, un cane ed un gatto da coccolare, una casa grande con giardino...
Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Fatima e papa Francesco Francesco pellegrino
La recente visita del papa a Fatima è stata ricca di testimonianza e di insegnamento. Personalmente penso che abbia segnato un serio e profondo monito sul nostro modo di amare e venerare Maria. Francesco non si è sottratto alla sua missione di guida e di pastore. Non ha nascosto la sua sconfinata venerazione alla Vergine, ma allo stesso tempo non ha esitato a delineare chiaramente l’orizzonte della genuina e trasparente spiritualità in cui deve essere vissuta la devozione mariana per non cadere in uno sterile vaniloquio verboso, melenso ed infarcito di inutile moralismo. Devozione ed identità cristiana
Punto di partenza della riflessione è l’interrogativo: «Che cosa significa essere cristiano?». Per lui, come per l’autore della Lettera a Diogneto, «i cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per modo di vestire. Non abitano in città proprie, né si servono di qualche dialetto strano, né praticano un genere di vita particolare. Abitano ciascuno la propria terra ma come stranieri residenti, a tutto partecipano attivamente come cittadini, e a tutto assistono passivamente come stranieri; ogni terra straniera è per loro patria, e ogni patria terra straniera. Si sposano come tutti e generano figli ma non abbandonano la loro prole. Mettono in comune la mensa ma non il letto. Si trovano nella carne ma non vivono secondo la carne. Passano la vita sulla terra ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle
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leggi costituite, eppure con la loro vita superano la legge». La vita è un perenne pellegrinaggio
L’autentico cristiano è un perenne ed instancabile viandante lungo le strade che uniscono la terra con il cielo. Nel suo andare privilegia le strade tracciate dal Signore ed illuminate dalla sua Parola. La sua santità si fonda sul retto camminare e sulla irreprensibilità davanti a Dio. Il papa ci dice che solo sotto il manto della Madonna non ci perdiamo nel percorso che porta al cielo. Come la sentinella biblica ogni credente sa che a volte il buio scende, oscura, inquieta e confonde il camminare nella vita. Il sentiero può trasformarsi in una trappola letale diventando pericoloso, difficile, scosceso, aspro tanto da rendere reale il rischio di perdere la giusta direzione. Ci sono giorni in cui l’interrogativo biblico: «Fino a quando durerà la notte?» gela il cervello, paralizza la volontà, attanaglia il
cuore, moltiplica le inquietudini che generano mostri. In queste difficoltà mai deve venire meno la certezza che nella Vergine abbiamo non una “santina” bella ed evanescente (una specie di “fatina” cortese) ma una Madre forte che ci testimonia che le tenebre vengono dissolte se viviamo la Parola e la paura svanisce con Lei vicino. Si tratta di una Madre sotto la cui protezione riscopriamo Gesù e così non ci perdiamo ed il nostro pellegrinaggio non si trasforma in perenne nevrotico vagabondare. La spiritualità di Fatima
Maria, apparendo a Francesco, Giacinta e Lucia, ci ricorda che dobbiamo essere dei viandanti con il cuore di bambini, semplici, innocenti, testimoni di servizio e di fede cristallina. Per camminare spediti dobbiamo pregare per poter arginare il male del mondo che rischia di trasformare la terra in un inferno colmo di cattiveria sorgente di guerre e di morte. Solo da Maria può venire la speranza e la pace di Cristo che si realizza nel rispetto e nella tutela degli ammalati, dei disabili, dei detenuti, dei disoccupati, dei poveri e degli abbandonati. L’ attaccamento ai sofferenti e la ferma determinazione a sconfiggere il male esigono da parte di tutti impegno, serietà nell’adempiere i propri doveri, mobilitazione contro la diffusa indifferenza che raggela il cuore ed aggrava la nostra miopia. La speranza, che deve riempire il cuore di ogni persona cristiana, deve essere viva e non abortita, proclama Francesco. La pace e la giustizia divina esigono, da parte nostra, la capacità di far crollare i muri divisori, di uscire dai nostri recinti, di abolire le frontiere per poter camminare alacremente verso le periferie portando luce e realizzando concretamente la giustizia per tutti. Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net
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L’Evangelo della famiglia nel Nuovo Testamento L’Evangelo del matrimonio presentatoci con tanta luminosità dall’Antico Testamento, ma spesso così disatteso dalla prassi di Israele, viene confermato con autorità da Gesù. Il progetto originario di Dio sul matrimonio
Il Deuteronomio aveva concesso al marito la possibilità di divorziare, se avesse trovato nella moglie eruat dabar, «qualcosa di sconveniente» (Dt 24,1). Ma sull’interpretazione dell’eruat dabar si erano create, ai tempi di Gesù, due scuole: quella di Rabbi Shammai, che ammetteva il divorzio solo in caso di adulterio, e quella di Rabbi Hillel, secondo cui qualsiasi motivo era sufficiente per ripudiare la consorte: bastava che la moglie avesse lasciato bruciare l’arrosto! I Farisei si avvicinarono a Gesù per vedere se concedesse il divorzio solo in caso di adulterio come Rabbi Shammai o «per qualsiasi motivo» (Mt 19,3), come Rabbi Hillel. Ma Gesù afferma che il divorzio è stato concesso solo per la sclerocardìa, la «durezza del cuore» (Mc 10,5) di Israele, concetto equivalente all’ebraico orlat lebab, la chiusura dell’uomo al piano di Dio. Gesù proclama che il progetto di Dio sul matrimonio non va ricercato nel Deuteronomio, ma nel libro della Genesi, il cui nome ebraico è Bereshit, «In princi16
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pio»: «Ma “in principio” (ndr: cioè nel libro della Genesi)... Dio li creò maschio e femmina: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Sicché non sono più due, ma una sola carne» (Mc 10, 6-9). Il brano parallelo di Matteo presenta, insieme al rifiuto del divorzio, il famoso inciso che tanto ha fatto discutere: «Chiunque ripudia la propria moglie, eccetto che in caso di
porneìa, e ne sposa un’altra, commette adulterio» (Mt 19,9). L’esegesi oggi più attendibile ci fa notare come tale inciso figuri solo nel Vangelo di Matteo, che scrive per gli ebrei convertiti, che consideravano zenut, o “prostituzione” secondo gli scritti rabbinici, quelle unioni considerate incestuose perché contrassegnate da un grado di parentela proibito nel libro del Levitico (Lv 18,6-18), come il matrimonio con la matrigna o
Il matrimonio sacramento dell’Amore tra Gesù e la sua Chiesa
Il primo miracolo operato da Gesù, a Cana (Gv 2,1-12), rientra nel genere letterario delle “azioni profetiche” o “mimi profetici”, cioè di quelle gestualità che i profeti sono soliti compiere per sottolineare un messaggio. A Cana si celebrano le nozze tra lo Sposo messianico e la sua Sposa, rappresentata dalla madre di Gesù e dai discepoli. Infatti una delle immagini costanti dell’Antico Testamento e degli scritti intertestamentari per esprimere la gioia dell’avvento messianico era l’abbondanza di vino: scriveva l’Apocalisse apocrifa greca di Baruc che quando verrà il Messia «in una vite ci saranno mille tralci e un tralcio farà mille grappoli e un grappolo farà mille acini e un acino farà un kor di vino (ndr: circa 450 litri)». E i rabbini dicevano che alle nozze del Messia si sarebbe bevuto «il vino tenuto in serbo fin dalla creazione». A Cana Gesù procura miracolosamente da 480 a 720 litri di vino: davvero un po’ troppo per un semplice banchetto nuziale! E il maestro di tavola si stupisce che si sia
conservato per la fine «il vino migliore» (Gv 2,10), «che non sapeva di dove venisse» (Gv 2,8). A Cana Gesù, prendendo a prestito “quel” matrimonio per significare le sue nozze con la Chiesa, ricorda che ogni matrimonio ha un significato “sacramentale”, è cioè segno di una realtà che lo trascende: i due sposi sono chiamati ad essere profezia vivente del suo amore per il suo popolo, la Chiesa. Matrimonio cristiano, proposta impegnativa e non per tutti
Il matrimonio cristiano è una realtà esigente. Tre volte, nei Vangeli, i discepoli rifiutano quanto Gesù propone loro. La prima volta è quando Gesù fa il discorso della Croce: «Pietro... cominciò a protestare: “Dio te ne scampi, Signore!”» (Mt 16,22). La seconda volta è quando Gesù presenta l’Eucarestia: «Da allora molti dei suoi discepoli... non andavano più con lui» (Gv 6,52-66). Così quando Gesù propone l’ideale del matrimonio cristiano, «gli dissero i discepoli: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”» (Mt 19,10). Il matrimonio non è quindi una realtà secondaria nel cristianesimo, bensì uno dei valori più elevati e difficili, come la Croce e l’Eucarestia. Ma il viverlo secondo il progetto di Gesù non è atto ascetico: è carisma divino, che non a tutti è dato: «Non tutti capiscono questo discorso,
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con la sorellastra, unioni spesso invece consentite dalla legislazione romana. Sarà la stessa porneìa (At 15,20.29) contro cui si scaglierà Paolo condannando «in balìa di Satana un tale convivente con la moglie di suo padre» (1Cor 5,1-5).
ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19,11). «È stato concesso», passivo senza un complemento d’agente espresso, è un “passivo divino”, uno dei modi usati dagli ebrei per non nominare il nome di Dio invano, e che quindi sottintende come agente Dio stesso: la chiamata al matrimonio è un particolare dono di Dio. Ed è una vocazione che può arrivare a richiedere scelte eroiche: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così...; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca» (Mt 19,12). Gli “eunuchi per il regno dei cieli” di cui parla Gesù non sono primariamente, come spesso si è detto, i celibi che si consacrano a Dio: dal contesto, il Signore si riferisce chiaramente a coloro che, anche se traditi e abbandonati dal coniuge, non «si risposano, commettendo adulterio» (Mt 19,9), ma restano celibi contro il loro desiderio, rinunciando all’uso della sessualità per ottemperare al comando di Dio. Se il matrimonio cristiano è carisma, abbiamo la certezza che è sempre accompagnato dalla grazia di Dio, e che, essendo un suo regalo, è comunque vocazione alla libertà e alla felicità. Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Solo Dio conosce il cuore dell’uomo Tra gli ammonimenti contenuti nel Vangelo il divieto di giudicare è uno dei più tassativi perché inaridisce il cuore e mina alle radici la disponibilità ad amare gli altri come se stessi... Ezio Risatti PRESIDE SSF REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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È uno sport assai diffuso a tutte le latitudini e, per praticarlo, non è necessario sottoporsi a diete ferree né ad allenamenti massacranti. C’è chi lo esercita con maggior assiduità d’estate, passeggiando lungo sentieri alpini o spaparanzato sotto l’ombrellone, e chi d’inverno, a spasso con gli amici sotto i portici del centro o nel bel mezzo di una pausa caffè con i colleghi di lavoro. Il meccanismo è semplice: si comincia, magari per gioco, lanciando nella conversazione un mezzo giudizio o una critica di poco conto sull’atteggiamento di un conoscente comune e si finisce con
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l’etichettare la persona con giudizi impietosi. A differenza della maggior parte degli sport, però, giudicare gli altri non giova né al benessere né alla salute spirituale di chi lo pratica. E i cristiani dovrebbero astenersene. Due monetine donate con amore
A sostenere la necessità che i cristiani si astengano dal giudicare è, naturalmente, Gesù. Quando – nei primi versetti del settimo capitolo del Vangelo di Matteo – esorta i discepoli a non farsi giudici di nessuno per non essere a propria volta
Neppure la Chiesa ha il potere di giudicare
Papa Francesco non si stanca di ricordare ai cristiani la necessità di non giudicare e di avere il cuore spalancato sulla misericordia. «Quando ci viene la tentazione di giudicare – afferma con il
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giudicati, li invita “a stare con i piedi per terra”, a non avventurarsi in un’impresa che nessun mortale ha la possibilità di portare a termine con successo. Chi giudica, infatti, è nel contempo ingenuo e temerario: ingenuo perché non si rende conto dei propri limiti e dei pregiudizi che possono condizionarlo e temerario perché tenta – seppur inconsciamente – d’usurpare il ruolo di Dio, l’unico a conoscere in profondità la natura più intima e i labirinti del cuore di ogni uomo. Marco, nel dodicesimo capitolo del suo Vangelo, offre un esempio concreto del fatto che nessuno – all’infuori di Dio – ha il potere di giudicare con oggettività le persone e il valore dei loro gesti perché sono troppe le variabili di cui è necessario tener conto. Quando, seduto nel Tempio di Gerusalemme, Gesù si ferma a osservare la folla che getta monete nella Sala del tesoro, non si lascia fuorviare dalla generosità dei ricchi che ne lanciano molte. E solo quando il suo sguardo, capace di penetrare il cuore, si sofferma su una povera vedova che getta appena due monetine, chiama a sé i discepoli e dice loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti, infatti, hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
suo stile semplice e diretto – è meglio che ci guardiamo prima allo specchio, non per nasconderci con il trucco ma per vedere bene come siamo realmente, ricordando che l’unico vero giudizio è quello di Dio con la sua misericordia. Tutti noi vogliamo, il giorno del giudizio, che il Signore ci guardi con benevolenza, che si dimentichi di tante cose brutte che abbiamo fatto nella vita. E questo è giusto, perché siamo figli, e un figlio dal padre si aspetta questo, sempre. Ma se giudichiamo continuamente gli altri, con la stessa misura saremo giudicati: il giudizio spetta solo a Dio; a noi compete piuttosto l’amore, la comprensione, il pregare per gli altri quando vediamo cose che non sono buone e, se serve, anche parlare loro per metterli in guardia se qualcosa non sembra andare per il verso giusto». Neppure alla Chiesa è dato il potere di giudicare. Ispirandosi alle Scritture essa può insegnare che alcuni gesti, come uccidere o rubare, costituiscono occasione di peccato e che altri, come aiutare chi si trova in difficoltà o difendere la vita, costituiscono occasione di beatitudine ma non può stabilire che chi ha ucciso o rubato è degno di andare all’Inferno. Nel campo del male come in quello del bene può giudicare i gesti e le azioni, ma mai – per nessun motivo – le persone.
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Chi giudica è contemporaneamente ingenuo e temerario: ingenuo perché non si rende conto dei propri limiti e dei pregiudizi che possono condizionarlo e temerario perché tenta - seppur inconsciamente d’usurpare il ruolo di Dio.
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A voce alta Alla conclusione degli Esercizi Spirituali itineranti proposti per le celebrazioni del primo Centenario del nostro Istituto, alcune VDB ci sono ritrovate nel cortile di Valdocco, ai piedi del monumento a don Bosco a scambiarsi le impressioni e i sentimenti di quei giorni tanto intensi. È nata così una “pioggia di domande” alle quali abbiamo cercato di dare delle semplici risposte. Cosa ha spinto don Rinaldi a proporre nuovi cammini ecclesiali per le donne? Don Rinaldi, interpellato dalla realtà ecclesiale e culturale degli inizi del secolo XX, caratterizzata da grandi certezze e molte incertezze, cosciente della realtà delle famiglie svantaggiate, delle poche opportunità e delle molte difficoltà che vivevano i giovani, come buon figlio di don Bosco, desiderava dare risposte concrete. Conosceva bene la sensibilità, l’audacia 20
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e il desiderio di offrirsi totalmente a Dio, restando nel mondo, di alcune donne che accompagnava spiritualmente e, ispirato dallo Spirito Santo, le inviò ad annunciare il Vangelo con lo spirito del Venerabile don Bosco, con la testimonianza della propria vita, per fare il maggior bene possibile. Cosa avevano e cosa non avevano le prime Sorelle? Abbiamo scoperto che le prime Sorelle avevano: • il cuore aperto alla voce dello Spirito Santo, • una grande disponibilità a lasciarsi modellare dallo Spirito, anche se sapevano che i loro sogni non potevano concretizzarsi immediatamente, • una grande fiducia in quel padre che era don Filippo Rinaldi, • tanto desiderio di rispondere a ciò che lo Spirito Santo suscitava.
Perché don Rinaldi le inviò al mondo, mentre avrebbe potuto pensare semplicemente a incrementare l’oratorio? Don Rinaldi ha vissuto “nel mondo” perché la sua fu una vocazione tardiva per l’epoca. Conosceva, quindi, da vicino la realtà temporale e il bisogno di Vangelo che c’era nella società. Aveva fatto un lungo discernimento prima di poter dire il suo Sì a don Bosco. Sulla propria carne ha sperimentato l’importanza di avere vicino persone che illuminassero il cammino, che aprissero alla vita nello Spirito e che aiutassero ad intraprendere nuovi cammini. Senza l’aiuto di don Bosco lui vedeva solo i suoi limiti e pensava di non avere doni sufficienti per poter dire di Sì. Don Bosco gli propose un orizzonte nuovo e lui si lanciò, superando tutti i suoi timori. Dinanzi alle realtà temporali spesso scristianizzate, con una Chiesa che non riusciva a giungere alle “periferie esistenziali”, il cuore salesiano di don Rinaldi, che batteva forte dinanzi alle situazioni di vulnerabilità dei giovani, delle donne, delle famiglie, rispose con una proposta audace, innovativa e originale: vivere la consacrazione nel cuore del mondo. Nuove sfide richiedevano audaci risposte, ed egli propose una vita di piena donazione al Signore della Storia, percorrendo la quotidianità con gli occhi di don Bosco.
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Non avevano sicurezze, né grandi certezze, e non avevano paura ad affidarsi totalmente a Dio e a don Rinaldi. Non avevano, sicuramente, alcuna struttura che le proteggesse.
ghi in cui le religiose non sarebbero potute andare per i limiti imposti, in quel tempo, dal loro stile di vita. È questo sguardo più ampio e lungimirante che gli permise di vedere “una Chiesa in uscita” che si apriva verso una nuova realtà evangelica. Volontarie di Don Bosco oggi: quale stile di donne? In un secolo tanto agitato, con cambi di paradigmi sociali, culturali ed ecclesiali, un secolo che ha celebrato nella sua storia ecclesiale il Vaticano II; in un secolo in cui il Papa ci invita ad uscire per incontrare l’altro, “percorrendo la Galilea”, abbracciando ogni realtà con un cuore misericordioso che ci permetta di dare la precedenza alla persona e dopo ai fatti, ci chiediamo: Donne! ...come? Forse a causa di una formazione ecclesiale predominante da moltissimi anni, ci troviamo conti-
Immagini tratte dallo spettacolo Un segreto da condividere sulla vita del beato Filippo Rinaldi.
Secolari Consacrate perché? Don Rinaldi, nel suo lungo percorrere la quotidianità della vita, ha scoperto la potenzialità della donna e i doni originali della femminilità, che uniti al particolare stile della spiritualità di don Bosco, avrebbero potuto generare vita nuova. Con questa certezza propose la consacrazione nel cuore del mondo per giungere nei luoluglio-agosto 2017
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nuamente a confrontarci con il pericolo di vivere dissociati tra la nostra umanità e la nostra vita spirituale. Può darsi che per molti anni la nostra spiritualità si sia basata più sui pensieri, sugli sforzi di volontarismo, ed abbia avuto poche esperienze di incontro, di gioia e di festa con Gesù. Per questo potremmo dire che la grande sfida di oggi è l’unità del nostro essere. È importante assumere integralmente il nostro essere donne, per poterci consacrare nel corpo e nell’anima. Non solamente la consacrazione del “mondo delle nostre idee”, ma la consacrazione del nostro corpo, reale, concreto, con bisogni, con limiti, con malattie, con desideri. A partire da questa corporeità possiamo andare incontro all’altro in pienezza, in caso contrario, con il “mondo delle idee”, non troveremmo nessuno, perché le idee non sono persone. Cosa dice oggi alla Famiglia Salesiana la Secolarità Consacrata? Qual è il contributo originale che l’istituto offre oggi alla Famiglia Salesiana? Agli inizi dell’Oratorio, don Bosco pensava alla vita consacrata: i salesiani. Però le sue prime “braccia” sono stati i laici: sua madre, la madre di don Rua, sua zia Marianna e altre donne che collaboravano dando vita e senso all’Oratorio. Gli
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uomini che lo accompagnavano in quel momento, quelli che si occupavano del sostentamento dell’Oratorio, i primi docenti della formazione professionale, erano anche laici, che dedicavano la loro vita alla missione. In quel tempo non esisteva una possibilità di consacrazione secolare. Guardando alla realtà laicale e rispondendo al desiderio di consacrazione, nacque la vocazione dei Coadiutori. Oggi, per la Famiglia salesiana, la vita consacrata secolare è la risposta al sogno di don Bosco di giungere nei diversi luoghi dove le strutture religiose non permetterebbero di arrivare. L’espressione «l’Oratorio è in te» dice che come consacrate secolari portiamo la salesianità nel mondo attraverso lo stile oratoriano, che è un modo di vivere, di pregare, di discernere, di dialogare, di essere cristiani. La Famiglia Salesiana si arricchisce per il contributo delle Volontarie di Don Bosco perché, come dice Paolo VI, gli Istituti Secolari portano «la Chiesa nel cuore del Mondo e il mondo nel cuore della Chiesa». La domanda di quel 20 maggio 1917 «Si effettuerà questo nostro e vostro desiderio?» è la stessa che noi ci facciamo mentre ci accingiamo ad entrare nel secondo Centenario, ringraziando Dio per la storia percorsa e costruita, vissuta, intrecciata, tessuta con la vita di ogni Sorella nel corso di questi primi 100 anni. Una VDB redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Foto di: Antonio Saglia, Renzo Bussio, Andrea Cherchi, Dario Prodan, Giuseppe Verde. luglio-agosto 2017
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Sotto il manto di Maria Il messaggio del Rettor Maggiore 24 maggio 2017 Siamo Famiglia e Maria Ausiliatrice è la nostra Madre premurosa e consolatrice. Ha preso per mano Giovanni Bosco e tiene per mano noi e ci guida per i sentieri di questo mondo. Proprio ieri una giovane sposa che sta attraversando un momento difficile mi diceva in un momento in cui si discorreva di fede: «Certamente che ho la fede, padre. Voglio vivere con fede e nella fede, posso dirle con certezza che ogni mattina, la prima cosa che faccio quando metto i piedi per terra è la mia preghiera a Maria Ausiliatrice». Il mio pensiero volò subito a Don Bosco e alla certezza assoluta che aveva in Maria Ausiliatrice. Proprio Don Bosco tante volte disse: «È impossibile arrivare a Gesù senza passare attraverso l’amore per Maria» e ancora: «Maria è stata sempre la mia guida. Chi pone la sua fiducia in Lei non sarà mai deluso». Quasi scherzando, una volta disse: «Se io verrò a sapere che qualcuno di voi abbia pregato bene, ma invano, scriverò subito una lettera a San Bernardo dicendogli che si è sbagliato nel dire: “Ricordatevi, o piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo che da voi sia stato rigettato od abbandonato alcuno, il quale implori i vostri favori”. Ma state pur certi che non mi accadrà di dover scriveII
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In basso mons. Adriano Van Luyn, vescovo emerito di Rotterdam.
In basso: don Enrico Stasi, superiore dei salesiani Piemonte e Valle d’Aosta e Lituania.
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Sopra: Mons. Giacomo Martinacci, rettore del Santuario della Consolata in Torino. A destra: sua Em. Card. Joseph Zen, cardinale emerito di Hong Kong.
A sinistra: sua Ecc. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino; a seguire in basso: don Àngel Fernández Artime, Rettore Maggiore dei salesiani e madre Yvonne Reungat, superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
re una lettera a san Bernardo». Immagino che per questa giovane sposa e per altre moltissime persone che vivono questa fiducia assoluta nella Madre del Cielo, il sentimento è il medesimo. La fiducia in Maria Ausiliatrice è una certezza che non sarà mai disattesa. Tutto questo mi parla molto più di un pio pensiero ricavato da don Bosco. Quante volte ho potuto contemplare la semplice e calda devozione di migliaia e migliaia di persone con gli occhi e il cuore rivolti a Maria, la Madre del Signore, in vari santuari mariani del mondo. A questo non posso restare indifferente e mi sento intimamente commosso. E vedere che cosa significa
Maria Ausiliatrice nel nostro “mondo salesiano”, nella Basilica di Valdocco, tocca profondamente il cuore. La mia immaginazione vede Don Bosco che cammina in questo stesso spazio, calpestando questo cortile, anche se altre erano le pietre, “innamorando” ogni giorno i suoi ragazzi, i suoi giovani e i primi Salesiani con questo vivo e forte affetto per la Madre del Cielo. Sento la sua voce raccomandare che se vogliamo tracciare un cammino di successo come educatori salesiani non possiamo fare a meno di far battere forte il cuore dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze per la Madre di tutti. Senza questo robusto sentimento, al nostro Luglio-agosto 2017
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principio educativo dei “buoni cristiani” manca qualcosa di essenziale. Vi posso assicurare che nei miei viaggi attraverso il mondo, continuo a vedere ogni giorno autentici miracoli frutto dell’educazione salesiana, risultato di un sistema preventivo che è affidamento in una presenza che rende ragionevole l’esigenza di mettere Dio come senso della vita e che fa sentire l’autentico affetto degli educatori che cercano soltanto il bene di questi bambini, adolescenti e giovani, preparandoli alla vita e facendoli crescere. La Madonna di Don Bosco è sempre raffigurata con un ampio mantello riparatore, rifugio protettivo in molti dei suoi sogni. Nel primo sogno, Maria “presemi con bontà per mano”. Don Bosco non lascerà mai quella mano. Così lo straordinario fiorirà nell’ordinario, perché questa è la vera fede. Potremmo dire “Dove c’è Don Bosco c’è Maria”. Una presenza concreta. Come Don Bosco ha cercato di spiegare alle suore riunite a Nizza. «Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto, molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo a voi!» Allora don Bonetti, vedendolo commosso, lo interruppe, e prese a dire, uniIV
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camente per distrarlo: «Sì, così, così! Don Bosco vuol dire che la Madonna è vostra madre e che essa vi guarda e protegge». «No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che la Madonna è proprio qui, in questa casa e che è contenta di voi e che, se continuate con lo spirito di ora, che è quello desiderato dalla Madonna...» Il buon Padre s’inteneriva più di prima e don Bonetti a prendere un’altra volta la parola: «Sì, così, così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre buone, la Madonna sarà contenta di voi». «Ma no, ma no, si sforzava di spiegare Don Bosco, cercando di dominare la propria commozione. Voglio dire che la Madonna è veramente qui, qui in mezzo di voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto» (Memorie Biografiche XVII, 557). Quando questa è la realtà, quando si vede tanta vita nelle case salesiane del mondo e tutto il bene che in esse si fa, si può veramente dire: «Tutto lo ha fatto Lei e ... confidate in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli». Continui a benedirvi questa nostra Madre, con tutto l’amore che solo le madri sanno dare.
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I doni dello Spirito «Nessuno di noi è così buono da meritare il sacramento della Cresima. Nessuno è così santo da esserne degno». Così Mon. Lanzetti salutava il gruppo di cresimandi adulti alla Parrocchia Gesù Buon Pastore, domenica 23 aprile scorso. Esordio apparentemente scoraggiante, che lasciava tuttavia spazio ad un sereno discorso sugli impegni di vita cristiana che un cresimato deve assumere nella società e nella Chiesa, sulla paternità e sulla misericordia di Dio che concede gratuitamente i doni dello Spirito. Non a caso questa particolare funzione si svolge ogni anno nella domenica della Divina Misericordia. Ed è bello vedere i cresimandi, commossi e preoccupati per timore di sbagliare, accostarsi con serietà e gratitudine al sacramento. Arrivano sempre un po’ perplessi all’inizio del cammino di preparazione, timorosi di essere interrogati o rimproverati per... non aver frequentato il catechismo “da piccoli”. Poi, una cena fraternamente condivisa o una serata in pizzeria sciolgono il ghiaccio. Gli incontri si animano, si discute, si pongono tante domande e si cercano tante risposte, per trovare alla fine una serenità nuova. «Ho rallentato il ritmo di una vita sempre in corsa e riflettuto più a lungo su quanto Gesù mi abbia aiutato in tutti questi anni: è una gioia infinita confermare la mia fede cristiana» dice Giorgio. «Grazie per aver riconfermato in me la fede che credevo di aver perduto» dice Giusi. E Sara: «Sono felice di questo percorso di fede iniziato da parec-
chi anni. La Cresima mi ha dato la consapevolezza che bisogna mettersi in gioco davvero per condurre una vita realmente cristiana». Stefano: «Non si può spiegare la gioia che ho nel cuore». Che cosa potremmo dire noi catechisti se non «Grazie, Signore, perché malgrado i nostri difetti, la sonnolenza della nostra fede, i dubbi, i ripensamenti, le negligenze di tutti i giorni, continui a credere in noi, a fidarti dei nostri scatti di buona volontà, a rinnovarci la chiamata a diffondere il tuo messaggio d’amore. Grazie soprattutto perché ci restituisci, moltiplicato e trasformato in dono di pace e serenità, il tempo che dedichiamo alla costruzione del tuo Regno». Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Il 9 agosto 1942 ad Auschwitz trovarono la morte due sorelle ebree, numeri 44.074 e 44.075, Rosa ed Edith Stein. Per i nazisti due semplici numeri, per Israele e per la Chiesa Cattolica due vittime e martiri dell’odio antisemitico e anticristiano. La seconda di esse, Edith, verrà canonizzata nel 1998, riconosciuta come martire, e proclamata compatrona d’Europa con Caterina e Brigida. Per la Chiesa sarà Santa Teresa Benedetta della Croce. Dirà Giovanni Paolo II: «Eminente figlia di Israele e figlia della Chiesa». In effetti Edith davanti ai cattolici era fiera di essere ebrea, davanti agli ebrei fiera di essere cattolica. Non era semplice orgoglio, ma gioia di aver conosciuto tutte e due le facce della medaglia e di essere arrivata a Cristo Verità. Die kluge Edith
Fiera di essere ebrea e cattolica Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) È una grande testimone del secolo XX: ebrea, filosofa, cattolica convertita, suora carmelitana, martire ad Auschwitz. Una vita alla ricerca della verità, che lei trovò nel Cristo Crocifisso. 24
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Edith è nata a Breslavia il 12 ottobre 1891, in una famiglia ebrea. Era di intelligenza brillante e vivace, infatti tutti la chiamavano die kluge, cioè l’intelligente. Fece tutti i suoi studi con ottimi risultati, a tutti i livelli, fino a diventare, all’università di Gottinga, assistente del filosofo Husserl, fondatore della fenomenologia. Questi inculcava ai suoi allievi di «andare alle cose e a domandare loro ciò che dicono di se stesse, per ottenere certezze che non risultino minimamente da teorie preconcette e da pregiudizi non sottoposti a verifica». Lo stesso Husserl dirà: «In Edith Stein c’è sempre stato qualcosa di assoluto». Edith sarà alla ricerca della verità, interrogherà le “cose”, verificherà le risposte degli altri, ne formulerà di proprie, fino a trovarla, dopo un lungo e non facile travaglio, in Gesù Cristo. Lo studio incessante per lei era preghiera, perché era ricerca di Dio fatta per amore. E Dio è Amore e Verità. Lei stessa diceva: «Dio è verità e chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no».
di un suo collega filosofo morto in guerra. Invitata a casa, Edith si aspettava una donna in preda alla disperazione. La trovò invece addolorata certo ma serena: era una donna sostenuta dalla fede. Scriverà: «Fu il mio primo incontro con la Croce, la mia prima esperienza della forza divina che dalla Croce emana e si comunica a quelli che l’abbracciano». Seconda esperienza. In casa di amici, estate 1921, nella biblioteca. Scrisse lei stessa: «Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò sotto mano: era un grosso volume che portava il titolo Vita di S. Teresa scritta da lei medesima. Ne cominciai la lettura... e non l’interruppi fino alla fine. Quando lo chiusi, dovetti confessare a me stessa: “Questa è la verità”». Un mese dopo ricevette il battesimo, diventando cattolica. Ma sarà solo nel 1933 che Edith entrerà nel Carmelo di Colonia. Scelse il nome: Teresa Benedetta. Come “cognome” programmatico aggiunse “Della Croce”.
Da Edith Stein a suor Teresa Benedetta della Croce
La Verità Edith l’aveva trovata. Scriverà lei stessa: «Gesù Cristo è il centro della mia vita. Gesù Cristo, e questo Crocifisso. Il Signore Gesù, il Signore della gloria che ci salva nella sofferenza, nel dolore, nell’obbrobrio della Croce. Non una sofferenza sopportata e bestemmiata, maledetta e respinta, ma
Edith Stein ha cercato sempre finché non ha trovato... È interessante il suo itinerario spirituale di conversione e di incontro con la Croce di Cristo. Due piccole tappe. La prima: la visita alla giovane vedova
Trovata la Verità, vivere fino a morire per essa
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All’età di 12 anni – raccontò lei stessa – abbandonò la fede «per affermarsi come un essere autonomo». A 21 anni si dichiarò agnostica: «Mi sento incapace di credere all’esistenza di Dio». Poi l’incontro con Husserl. Questi sarà una tappa importante del suo cammino, ma non decisiva. Questo amore alla verità la farà andare da Husserl fino al suo secondo maestro, Tommaso d’Aquino. Lei passerà dallo sguardo sulle cose e dalla percezione spassionata ed “empatica” del reale e delle certezze immediate, alla riflessione sull’essere in generale e sull’Essere che è il fondamento di tutto l’essere, di ogni essere. Questo Essere lei lo trovò nel Dio Tri Personale cristiano, nella Trinità rivelata da Gesù Cristo. L’uomo stesso è “immagine della Trinità”, ma non solo lui. Edith metterà in luce le “vestigia” della Trinità nascoste in seno alle cose. Edith quindi, gradualmente, di ricerca in ricerca, era passata dalla fenomenologia alla metafisica. Un lungo viaggio fatto per amore. Aveva trovato la verità, ora era decisa a vivere e morire per Cristo Verità.
L’essenziale è solo che ogni giorno si trovi anzitutto un angolo tranquillo in cui avere un contatto con Dio, come se non ci fosse nient’altro al mondo (Edith Stein).
accettata, trasformata e diventata strumento di amore riparatore e redentivo. La fede nel Crocifisso, la fede viva accompagnata dalla dedizione amorosa, è per noi l’accesso alla vita e l’inizio della futura gloria. La croce non è fine a se stessa... è l’arma potente di Cristo» scriverà lei stessa. L’amore senza verità e la verità senza amore sono la negazione totale della verità. Ma la prova suprema dell’amore deve passare attraverso l’esperienza dell’abbandono del Getsemani e del Calvario. Un’ ultima annotazione. In una conferenza parlando dell’arricchimento spirituale della donna, Edith affermava che questa doveva raggiungere la sua santificazione personale, come madre o come professionista impegnata, guardando a Maria di Nazareth, diventando come lei disponibilità totale a Dio e al prossimo. E questa disponibilità totale a Dio e alla Croce di Cristo, insieme a Maria, e in unione a Lui per la salvezza del mondo lei stessa la ebbe fino a quel 9 agosto 1942. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net
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I martiri cristiani, oggi, sono di più dei tempi antichi I nostri fratelli copti
La chiesa copta di San Giorgio, nel quartiere di Tanta, con le colonne scheggiate e sporche di sangue, è luogo di pellegrinaggio dall’attentato della domenica delle Palme, costato la vita a decine di persone. L’escalation di violenze aveva fatto temere la cancellazione del viaggio in Egitto di papa Francesco, che invece ha considerato quegli attacchi un motivo in più per compiere la sua missione. Poi, alla fine di maggio, l’assalto a due autobus diretti a un monastero nei pressi di Menyah, a sud dal Cairo, e la barbara uccisione di quasi quaranta copti, tra cui alcuni bambini, dopo che gli assalitori avevano inutilmente preteso dalle vittime l’abiura della fede cristiana. Nella capitale egiziana minareti e campanili si alternano, nell’interminabile intrico di strade. Nei giorni della visita papale, il 28 e 29 aprile scorsi, si vedevano qua e là grandi manifesti con il volto sorridente di Francesco e, accanto, una croce, una mezzaluna e una colomba. Insieme per la pace, cristiani e musulmani: questo il senso. Il miracolo della pacifica convivenza tra credi diversi, però, non si è ancora compiuto. I cristiani d’Egitto accettano il martirio e non si vendicano
Davanti all’università islamica sunnita di Al Azhar, una delle tappe principali del viaggio di Bergoglio, stazionavano i blindati dell’esercito. Si vive così oggi in Egitto, tra speranze di normalizzazione e paure di attentati. La sicurezza è pagata al prezzo della libertà, che è relativa. Qui tutti sono controllati e niente è possibile senza il consenso delle autorità. Le limitazioni le conosce bene chi si reca nei luoghi di culto cristiani. La strada d’accesso alla parrocchia latino-cattolica di San Giuseppe, dove andiamo, è disseminata di 26
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barriere e controllata dalle forze dell’ordine. Eppure la scuola, gestita dai Comboniani, è frequentata in maggioranza da allievi islamici. Il parroco, padre John Korir, un keniano, ci spiega che non ci sono distinzioni tra allievi cristiani e musulmani, che difatti vediamo giocare insieme festosi nel cortile. Suor Sarah Saleh Dakla, egiziana di Assuan, si spinge oltre; dice che anche gli islamici fondamentalisti portano lì i figli a studiare, consapevoli che solo nelle scuole cattoliche si può ottenere un livello di istruzione adeguato. La religiosa appartiene a una famiglia copta-ortodossa e tra i suoi parenti c’è chi è rimasto vittima della violenza. Ma i cristiani d’Egitto – afferma – accettano il martirio senza spirito di vendetta ed è questa la testimonianza più grande di fronte all’islam. Impressiona la serenità con cui da queste parti si vive il rapporto con la fede, che pure richiede di mettere in gioco
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«Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l`unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!». Papa Francesco, omelia all’Air Defense Stadium de Il Cairo.
tutto se stessi. La paura c’è, ma senza catastrofismi o eccessivi scoraggiamenti. «Il virus dell’integralismo non ha contagiato tutti i musulmani» sottolinea la religiosa durante la nostra chiacchierata. «Quando c’è un attentato contro i cristiani i primi ad accorrere sono spesso i vicini di casa musulmani e sono loro i più arrabbiati contro chi commette queste azioni in nome di Allah». La suora parla da cristiana e insieme da cittadina egiziana. Guai a separare i due ambiti. Il 10% della popolazione egiziana è di cristiani copti
Vale ancora oggi la lettera a Diogneto del II secolo: «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale». L’E-
gitto non sarebbe ciò che è senza la componente copta, circa otto milioni di persone, pari al 10% della popolazione, la più vasta comunità cristiana del Medio Oriente, presente nel Paese ben prima dell’arrivo dell’islam. La questione aperta è come far crescere, tra i cristiani d’Egitto e di tutto il Medio Oriente, una solida “cultura della cittadinanza”, che accetti la simbiosi con il mondo arabo, ma allo stesso tempo lo aiuti a uscire dalla logica della vendetta e delle stragi e contribuisca a modificare la mentalità che favorisce l’affermarsi di sistemi totalitari. Oggi tutti, senza distinzione alcuna, possono finire nel tritacarne se considerati un pericolo al sistema di potere. D’altra parte, la paura del fondamentalismo blocca chi, come i cristiani, potrebbe innescare un cambiamento in positivo della società. La parentesi della presidenza Morsi, che portò al potere i Fratelli Musulmani, spaventò la minoranza copta, che in quel periodo vide erodere i propri spazi di autonomia e di sicurezza. Ma ora il rischio è che si mantenga uno status quo rispondente di fatto alla logica perversa dello “scontro di civiltà”. La partita è aperta. Enzo Romeo Inviato Rai TG2 a Il Cairo redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Com’è il cuore di una donna? «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). L’evangelista Luca racconta l’episodio di Gesù dodicenne che si perde a Gerusalemme e i genitori tornano indietro a cercarlo e dopo tre giorni finalmente lo trovano tra i dottori del tempio (Lc 2). L’episodio finisce con questa frase: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore». Un cuore di donna
Spesso si sdottoreggia sul cervello delle donne. Ce l’hanno? È più piccolo di quello dei maschi? Ce n’è tanto o poco? Ecc. Però non ci si interroga mai sul cuore delle donne. Quando si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna come interpretarlo? Si tratta di una donna arrivista che spinge il suo stallone a sfondare in tutti i campi adulando il suo amor proprio di fronte al quale perfino Narciso arrossirebbe? Oppure si intende un grande cuore che sorregge, che scalda, che incoraggia, che sostiene e che se ne sta in disparte ma sempre in campo perché la fragilità maschile, nell’incapacità di costruire sul sacrificio, non inciampi costante per puntare piuttosto sul vincere facile, sul gratta e vinci e sulle corse dei cavalli? Il Vangelo dice che la Madonna custodiva tutto nel suo cuore. 28
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Il cuore di Maria
Cosa avrà provato di fronte alla possibilità di perdere fisicamente il suo figlio che non si trovava più? Cosa avrà pensato quando le è sembrato di perderlo completamente dopo quella frase sibillina «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Eppure è così felice di riaverlo che si accontenta di Gesù che «scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso». Però conservava tutto nel suo cuore. Capisco la sua gioia di averlo ritrovato perché ho visto con i miei occhi la gioia di una madre alla quale era sfuggito il controllo del piccoletto sulla spiaggia e dopo dieci minuti di panico indescrivibile quando potè riabbracciarlo per poco non se lo mangiava tutto tanto il suo cuore era colmo della sua creatura. E Gesù da chi imparò se non da sua madre quelle cose che racconta quando parla (Lc 15) di un padre che si vede ritornare il figlio andato via di casa e «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». E poi disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso,
Gesù, nato da donna
Gesù fa tanti miracoli. Quasi sempre su richiesta. I ciechi che ai bordi delle strade lo invocano come Figlio di Davide perché li guarisca. I lebbrosi che si avvicinano a lui nonostante i divieti di frequentare l’abitato e gli si gettano ai piedi perché li guarisca. E così gli storpi, gli indemoniati, e avanti fino alla... suocera di Pietro! Ma un giorno (Lc 7) Gesù incontra un corteo funebre. Siamo a Nain e viene portato al sepolcro un morto «unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei». Gesù sa cosa prova
il cuore di una madre alla quale viene sottratto il suo unico figlio e senza essere interpellato restituisce il figlio a sua madre. Quante cose aveva imparato da sua madre! Certamente una grande fiducia in Dio. Quel Dio a cui lei aveva detto «eccomi» fidandosi ciecamente di lui e dell’affermazione dell’angelo che «nulla è impossibile a Dio». Aveva ricevuto un cuore attento ai bisognosi. La sollecitudine verso la parente Elisabetta e l’attenzione in quel matrimonio dove gli sposi non avevano più vino e lei che spinge Gesù a darsi da fare. E quando Gesù sarà in croce vedrà ai suoi piedi lei, la sua mamma, fedele fino all’ultimo, lei che gli aveva dato la forza di restare fedele superando anche la disperazione del Getsemani. Aveva imparato a gioire per le meraviglie operate
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ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
dal Padre tutte le volte che una «umile serva» si lascia guardare da lui per permettergli di fare «grandi cose». Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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Blue Whale e don Milani Dopo la messa in onda di un shoccante servizio da parte di una trasmissione televisiva, siamo bombardati da notizie riguardanti certi comportamenti adolescenziali estremi legati a Blue Whale, che impropriamente viene presentato come un gioco ma che in realtà è un terribile mezzo di seduzione che viaggia in rete. Molti sono gli adolescenti, tra i 12-15 anni, che vengono catturati attraverso Youtube, Instagram, o Twitter. La cassa di risonanza generata da queste piattaforme mediatiche sfugge all’attenzione degli adulti, ma plagia pesantemente soprattutto le ragazzine. Tutti i casi caduti sotto l’attenta osservazione della polizia postale raccontano di “curatori” che agganciano tramite web, si fanno dare i numeri telefonici e poi comunicano solo attraverso WhatsApp. 30
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La pedagogia di Blue Whale
Il “curatore” comincia a proporre un cammino cementato da rigide regole da seguire acriticamente. Lo scopo è di raggiungere degli obbiettivi comportamentali modulati su cinquanta tappe. La precondizione per partecipare al “gioco” è di non svelare a nessuno dove conducono alla fine le prove a cui si viene sottoposti e che richiedono massimo impegno e dedizione assoluta. Si parte con sfide di coraggio per dimostrare a se stessi di che pasta si è fatti. Superate queste piccole sfide si passa all’attuazione di precisi ordini che impongono tagli, fatti con lamette, sempre più profondi. Quindi gli ordini si concentrano ad alterare il ritmo sonno/veglia e ad abituare ad innalzare sempre di più la soglia di sopportazione
al dolore. Ogni step deve essere documentato da foto da inviare scrupolosamente al “curatore” tramite WhatsApp. Poi durante le notti insonni gli adolescenti vengono sollecitati a visitare, da soli ed al buio, luoghi insoliti fissati dal tutor. Dopo quarantanove prove si è così succubi da non rifiutare la prova suprema di coraggio che è quella di vincere la paura della morte e cosi raggiungere la piena libertà lanciandosi dai piani alti degli edifici portando incisa sul braccio l’immagine di una balena blu; il tutto rigorosamente immortalato da un video. La psicoterapeuta Maura Manca, che ha pubblicato un libro intitolato L’autolesionismo nell’era digitale, cosi presenta l’identikit di queste giovani vittime: «Si tratta di adolescenti fragili, menti fragili che trovano dall’altra parte una
La pedagogia di don Milani
Il prossimo 20 giugno papa Francesco compirà un fulmineo pellegrinaggio a Bozzolo e a Barbiana per pregare sulla tomba di due grandi profeti moderni: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Si tratta di un viaggio che vuole riconoscere pubblicamente la santità di due grandi preti che in vita non sempre furono apprezzati dalle gerarchie ecclesiastiche. In particolare don Milani fu un educatore che amò i giovani «come solo le maestre e le donne di strada» (da Avvenire, giovedì 17 aprile 2014, Don Milani, le “Esperienze” rivalutate dalla Chiesa, di Andrea Fagioli) sanno fare (cfr., p. es, Lettera di don Lorenzo a Francuccio, Barbiana 4.4.1967). Fu un “toscanaccio maledetto”, aspro, spigoloso ma retto ed onesto sempre e con tutti, non molto attento al galateo borghese, ma affascinato dal vivere il Vangelo in modo “nudo e crudo”. Nato a Firenze in una famiglia dell’alta borghesia il 27 maggio 1923 e morto il 26 giugno 1967, in 44 anni di vita ha saputo essere un maestro dei giovani proponendo loro dei cammini educativi quanto mai attuali. La sua pedagogia ha nulla a che fare con il nihilismo dei curatori di Blue Whale.
La sua Weltanschauung (visione del mondo) ha come capisaldi la centralità assoluta della persona umana, l’assoluto rifiuto di qualsiasi compromesso politico o spirito di calcolo utilitaristico; una fede intima e personale; la capacità di perdonare in modo vissuto e non semplicemente conclamato, un ascetismo nel vivere frutto di una spiritualità libera e matura, profonda ed autentica, umana e cristiana insieme; la meditazione e lo studio della Parola per possedere e dominare le parole ed il linguaggio. Attento al pensiero di Simone Weil insegna ai suoi ragazzi a combattere con tenacia le costanti del pensiero borghese che stavano incancrenendo la società del suo/loro tempo: l’arrivismo, la sfrenata competizione, il denaro, il mito del falso progresso, la libidine del potere, la scienza asservita alla guerra, il bisogno di successo ad ogni costo, l’egoismo, la subdola violenza, il narcisismo dilagante, il disimpegno ed il menefreghismo, il mito della moda... In una lettera del 1949 a sua madre scrive: «Io non sono contento se la mia vita non ha ogni attimo la stessa intensità». Si tratta di un bellissimo messaggio educativo. La nostra vita non consiste in un lento e graduale assassinio di valori, ideali e sogni, ma di istanti da riempire di senso, serietà ed applicazione. Don Milani ricorda a tutti che vivere comporta obbedienza e sincerità, fermezza e bontà radicate in una coscienza la cui umanità si nutre di valori autentici sia che siano religiosi sia che siano laici, l’importante che siano liberi da qualsiasi tipo di dogmatismo ideologico o di moralismo retorico. Per lui vivere significa lottare quotidianamente contro l’indifferenza, il dubbio, l’incomprensio-
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personalità psicopatica capace di adescarlo e di manipolarlo. Di là c’è qualcuno che li fa sentire valorizzati e loro si lasciano guidare». Su una rivista russa è apparsa recentemente una intervista ad uno di questi tutor. Alla domanda perché si interessasse agli adolescenti per spingerli al suicidio risponde in modo agghiacciante: «Perché voglio liberare l’umanità dagli stupidi».
«Accostiamoci agli scritti di don Lorenzo Milani con l’affetto di chi guarda a lui come a un testimone di Cristo e del Vangelo». Messaggio di Papa Francesco a Tempo di libri.
ne, la durezza del cuore e della testa. Ai suoi ragazzi ha sempre suggerito lo studio della parola e del linguaggio. A questo proposito ha scritto: «La lingua la creano i poveri che la rinnovano all’infinito. I ricchi la cristallizzano per poter sfruttare chi non parla come loro o poterlo bocciare». Il prete di Barbiana allora lottava contro l’analfabetismo culturale oggi si impegnerebbe a vincere l’analfabetismo informatico che è quanto mai diffuso in tutte le fasce sociali. Il papa nel cimitero di Barbiana troverà solo una bianca lapide con sopra incisa la data di nascita e di morte e la precisazione «Dal 1954 parroco di Barbiana». Da questo sperduto paesello del Mugello ancora oggi suona forte e chiaro per ogni educatore il suo testamento per i ragazzi: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto al suo conto». Don Bosco ci ricorda che l’educazione è questione di cuore, non di morte. È un messaggio quanto mai valido oggi dove sembrano imperare i tutor disperati e senza senso. Ermete Tessore redazione.rivista@ausiliatrice.net
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CNOS-FAP Savigliano Saluzzo: il coraggio di una nuova presenza salesiana! L’esperienza di Savigliano e Saluzzo: aprire nuove opportunità a servizio dei giovani affidate ai laici.
Gabriele Miglietta Salesiano Direttore del CFP di Saluzzo - Savigliano
Durante il bicentenario di don Bosco, venne fatta una ricerca presso l’archivio storico del Comune per cercare tracce del suo passaggio in Savigliano. E vi si trovò che la municipalità del tempo non solo non invitò mai ufficialmente il Santo dei giovani, ma addirittura nel 1875 gli vietò l’ingresso in città! La storia di don Bosco a Savigliano era destinata ad esser scritta con altri calamai, quali il legame con la Congregazione della Sacra Famiglia, fondata dalla saviglianese Beata Giuseppina Gabriella Bonino che trovò in don Bosco un prezioso punto di riferimento per non dimenticare la presenza nel corso degli anni di un nutrito gruppo di Cooperatori Salesiani e dell’ADMA. Già una famiglia di 198 allievi!
Il CNOS-FAP approda a Savigliano nel 1998 quando
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il sindaco di allora, il prof. Sergio Soave, si rivolse a don Giampaolo del Santo dei Salesiani di Fossano chiedendo per la Città di Savigliano un Centro di Formazione Professionale di don Bosco e così, grazie anche all’interessamento della Famiglia Sordella, si avviarono le attività del Centro CNOS-FAP “Aldo Sordella” presso le strutture prese in affitto dell’ex orfanatrofio femminile di proprietà dell’Onlus Oasi Giovani. Dapprima fu un corso di elettromeccanica, poi vennero le Acconciatrici, nel 2004 la Panetteria-Pasticceria e nel 2010, con il trasferimento dei corsi di Acconciatura ad altra sede, si iniziò la Ristorazione. Oggi il Centro conta 198 allievi! Il bacino principale di provenienza degli alunni è sostanzialmente la linea ferroviaria Torino-Savona: da Villastellone, Carmagnola, Racconigi, ...
Da Savigliano a Saluzzo
E come coi cavoli della famosa buonanotte di don Bosco all’epoca della ricerca di una sede adatta per l’Oratorio anche qui accadde di non starci più numericamente: nel 2009 si
raggiunse la cifra record di 240 alunni! Nella vicina città di Saluzzo in un passato recente c’era una casa Salesiana, con tanto di Oratorio e di parrocchia, presenza che venne chiusa in un’ottica di ridimensionamento delle strutture della Congregazione. Da qui, l’idea di ritornare a Saluzzo: con l’allora Sindaco, il dr. Paolo Alemmano, si è individuato nell’affitto di parte di un Palazzo storico, già ristrutturato e idoneo ad accogliere le attività formative. Il neonato Centro venne intitolato al Coadiutore Salesiano Mario di Giovanni, morto per mano omicida testimoniando l’amore a don Bosco e ai giovani. Sarà perché si è scelto il “patrono giusto”, ma nel giro di pochi anni quella presenza, nata per “alleggerire” il Centro di Savigliano lo surclassò numericamente; oggi accoglie 243 ragazzi e ragazze nei corsi di Acconciatura, di Estetica e di Agroalimentare. Ora il Centro CNOS-FAP di Saluzzo e Savigliano dispone di 5 percorsi di Formazione Professionale per ragazzi in Obbligo di Istruzione, di per-
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da Fossano e oltre, fino a Cuneo e a Mondovì. Vengono per imparare l’Arte Bianca, le Trasformazioni agroalimentari e le gestioni della Ristorazione, alle volte poco motivati verso lo studio, nel tempo se ne appassionano: oggi più della metà degli allievi terminato il percorso di Qualifica Professionale prosegue con il Diploma Tecnico Professionale o con il Diploma di Stato presso gli istituti alberghieri del territorio. E pur senza una casa salesiana, si vive in tutto e per tutto il clima di famiglia dell’opera di don Bosco, grazie alla paziente attenzione dei formatori del CNOS-FAP che in ogni momento e attività hanno ben presente di costruire casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita, cortile (anche se piccolino) per incontrarsi in allegria.
corsi di Apprendistato, e dello Sportello per i Servizi al lavoro. Eroga corsi per gli adulti e per la Formazione Continua dei lavoratori, con particolare attenzione per tutto il comparto Agro-Alimentare: dalla “Patente per il trattore” alla “Somministrazione alimenti e bevande”, dall’HACCP ai Fitofarmaci.
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Reinhold Messner. Montagna: elevazione spirituale L’esperienza di Reinhold ci mostra il nesso montagna-spiritualità, ci ricorda i missionari “delle alte cime” e i percorsi di don Bosco con i ragazzi attraverso le colline. Impareggiabile scalatore. Ha conquistato le vette del mondo: unico ad aver fatto l’arrampicata in solitaria, e senza bombole di ossigeno, dell’Everest. Primo ad essere salito sul K2 in stile
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alpino e primo a toccare tutti i quattordici giganti della terra che superano gli ottomila metri. Lui è Reinhold Messner, il mito, l’uomo d’avventura che non ha mai smesso di ripetere: «Più sali di quota, più scendi dentro il tuo animo». Inutile cercare crepe nella personalità granitica di questo inquieto cercatore: «Immagino che ci sia un Creatore. Però noi siamo responsabili, con lui» dice. La montagna è maestra, insegna a combattere e a convivere col dolore. Insegna a superare le difficoltà, a fare amicizia, a rispettare se stessi, il prossimo. L’alta quota è il regno dello spirito? «La montagna ha un forte
legame con lo spirito – spiega –. Già la cima, che ci appare come qualcosa di irraggiungibile, quando riusciamo a raggiungerla suscita in noi la sensazione che qualcosa è oltre le nostre possibilità. La montagna è un dono stupendo che aiuta a riflettere». Il missionario esploratore
«Certo che ho sentito parlare di lui» risponde Messner quando gli si chiede di padre De Agostini. Il nome fa subito pensare all’Istituto geografico di Novara e a Giovanni, l’editore e cartografo che lo fondò nel 1901. Meno nota ma non
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raggiungere la sommità. «No, il bello è tornare a casa – spiega Messner –. Quando torno a fondo valle non ne so più degli altri, non sono più saggio degli altri, ma ho visto dall’alto, ho visto come vede la montagna». Misurarsi con se stessi
meno affascinante è la figura del fratello Alberto Maria (1883-1960), più giovane di vent’anni, sacerdote missionario salesiano ma soprattutto esploratore, scalatore e a sua volta geografo. Visse a lungo in Patagonia, viaggiando senza sosta, visitando in lungo e in largo quella terra remota e ancora oggi in gran parte sconosciuta, descrivendola, fotografandola e dando nomi italiani a molte zone inesplorate. Fece anche accurati rilievi topografici, che poi inviava al fratello per la produzione delle carte geografiche. La sua figura è molto più nota in Cile, dove gli è stato intitolato un grande parco nazionale nella Terra del Fuoco e un fiordo lungo 35 chilometri, che in Italia. Parlando di illustri protagonisti delle terre alte, viene da chiedersi se il bello di un’impresa è sempre e solo quello di
Don Bosco amava organizzare lunghe passeggiate con i suoi giovani. Niente a che vedere con le grandi imprese in cima, ma quelle camminate rientravano nei suoi metodi educativi, perché volevano dire muoversi, uscire all’aperto, vedere il mondo. La Città Metropolitana di Torino ha ideato Il cammino di don Bosco. Sono tre percorsi a piedi da fare in famiglia, con gli amici, in solitaria. Si parte sempre dal Santuario di Maria Ausiliatrice e si arriva per tutti al Colle. Da Valdocco si attraversa il centro storico cittadino (Rondò della forca, piazza della Repubblica, Duomo di San Giovanni, piazza Castello, piazza Vittorio Veneto) fino alla Gran Madre di Dio, lungo il fiume Po alle pendici della collina torinese. Da qui il camminatore può scegliere tra diverse vie: il tracciato “alto” di 55,4 chilometri prevede il proseguimento verso il Parco di Superga, Cinzano, Moncucco Torinese, Berzano San Pietro e l’arrivo nei luoghi di don Bosco. Il “basso” prevede tappe a Pecetto e Pino Torinese, Chieri, Riva, Buttigliera e Becchi per un totale di 46,5 km. Infine il “medio”, sempre dal Santuario, porta alla volta di Baldis-
Cresciuto a Funes (BZ), Reinhold Messner, a soli 5 anni, compie la sua prima ascensione dolomitica sul Sass Rigais in compagnia di suo padre Josef. Ha detto: «Sinceramente non mi manca nulla, ho la gioia nel cuore. Sono un uomo felice».
sero, Pavarolo, Montaldo Torinese, Marentino, Arignano e Castelnuovo Don Bosco (42,6 km). Da semplice passeggiata di un giorno si può trasformare in gita di trekking. Andrea Caglieris GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Testimone del sogno di don Bosco nel mondo
A tu per tu con Giampietro Pettenon, direttore di Missioni don Bosco, presente in oltre centotrenta paesi nei cinque continenti.
Un “cacciatore” di storie per verificare di persona quanto avviene in terra di missione e raccontarlo ai benefattori che, con il proprio sostegno, consentono al sogno di don Bosco di prendere forma ed espandersi nei cinque continenti. Si definisce così Giampietro Pettenon, cinquantadue anni, coadiutore salesiano da trentadue e da tre direttore di Missioni don Bosco. Dal Libano alla Siria, dal Madagascar all’India
Una scelta controcorrente, in un mondo che appare 36
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sempre più virtuale, quella di mettersi in viaggio per documentare la realtà... «Ogni due mesi mi prendo del tempo per visitare un’opera missionaria. A breve partirò per Libano e Siria dopo essere stato in Mozambico, Etiopia, Nigeria, Madagascar, India, Terra Santa, Laos, Thailandia e Vietnam. È un impegno importante perché mi aiuta a mantenere i contatti con coloro che sono impegnati “in prima linea” con i più bisognosi e mi consente di aggiornare i sostenitori di Missioni don Bosco su quanto di bello viene realizzato e sulle necessità cui è necessario far fronte».
quasi dal nulla, una scuola per circa 4.500 allievi dall’infanzia alla preuniversità, un convitto femminile che ospita anche orfane e una panetteria, una pasticceria e una coltivazione di banane e di ananas per finanziarsi». Qual è il segreto della longevità e della vitalità delle missioni salesiane? «Forse il fatto che i salesiani non si sono mai fermati: sono attualmente presenti in oltre centotrenta paesi del mondo ma continuano a muoversi, a spostare le frontiere all’esterno e all’interno di un medesimo paese. L’Africa è il continente in cui i missionari salesiani sono presenti in maniera più sistematica e strutturata e, dei circa 2.500 oggi attivi, almeno 1.500 sono nati lì». Chi sono, in linea di massima, i sostenitori di Missioni don Bosco? «Persone comuni che hanno fiducia in don Bosco e nell’opera salesiana. Si tratta, in molti casi, di ex-allievi che sentono una sorta di debito di ricono-
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Qual è, in generale, la soddisfazione più bella? «Senza dubbio constatare che, in ogni luogo, le opere salesiane non sono percepite come fortezze ma come case accoglienti, con le porte aperte a tutti. Che si tratti di una scuola in città, di una casa d’accoglienza per ragazzi di strada in periferia, di una scuola agricola in mezzo ai campi o di una parrocchia in un villaggio sperduto, la presenza salesiana è ovunque amata, rispettata, cercata e voluta e don Bosco è di casa e non un ospite». Quali le necessità? «Sono legate non tanto al bisogno di Dio, dal momento che nelle culture non europee il senso religioso è fortissimo e connaturato con la persona umana, quanto all’urgenza di cose materiali per elevare le condizioni di vita e dare dignità alle persone, dal momento che quando manca l’essenziale anche gli esseri umani si degradano. Poter offrire condizioni di vita dignitose significa poi anche poter puntare sulla crescita della vita ecclesiale, comunitaria e civile del villaggio».
scenza. Oggi, più di un tempo, non si accontentano di elargire un’offerta generica ma sono interessati a collaborare alla realizzazione di un determinato progetto e desiderano essere informati sul suo evolversi. Grazie alla loro generosità e alla loro costanza tante piccole “gocce” contribuiscono a realizzare un mare di progetti». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net
Tante piccole gocce per un mare di aiuti
Tra le numerose realtà incontrate, quale è rimasta nel cuore? «Sono davvero molte. In un recente viaggio in Mozambico, però, sono stato affascinato dalla vitalità e dall’entusiasmo di suor Lucilia Teixeira, Figlia di Maria Ausiliatrice portoghese che a Inharrime ha realizzato,
Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività di Missioni Don Bosco Onlus negli oltre centrotrenta paesi in cui opera può mettersi in contatto con l’Ufficio progetti
Anche tu puoi fare qualcosa!
Missioni don Bosco Valdocco Onlus
via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 116 e-mail: progetti@missionidonbosco.org www.missionidonbosco.org luglio-agosto 2017
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Una Casa di Don Bosco per restituire speranza ai bimbi di Locri
La redazione redazione.rivista@ausiliatrice.net
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«I diritti dei bambini qui a Locri non esistono. Qui i ragazzi non hanno voce» sono le parole di Nella, volontaria presso la Casa di Don Bosco che i Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS sostengono nella locride. Nella, insieme ad altri operatori, è impegnata ad assistere i bambini che quotidianamente frequentano il doposcuola in oratorio. Vivere a Locri vuol dire avere a che fare con la cultura dominante mafiosa e clientelare, dove i figli spesso sono etichettati a scuola con il cognome dei loro padri. Un’etichetta che non è facile togliersi. Come racconta Nunzia: «ca-
pita che gli insegnanti si facciano condizionare dai cognomi e chi potrebbe appartenere ad una famiglia affiliata alla criminalità viene penalizzato invece che essere aiutato». In questo contesto di rassegnazione e sfiducia è nata la Casa di Don Bosco guidata da don Mimmo Madonna che ogni giorno offre ai bimbi di Locri un luogo dove formarsi e divertirsi in modo sano. «Insegno loro a giocare a calcio – racconta don Mimmo – ma anche l’amore alla vita che, però, voglio che fiorisca qui, nel loro paese. La Calabria è una delle regioni più ricche d’Italia, per
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risorse umane e naturali ma le istituzioni locali lo ignorano e continuano a non avere uno sguardo lungimirante per questi ragazzi. È una terra che ha bisogno di sperare!» Quella di don Mimmo è solo una delle tante storie di salesiani e laici impegnati a contrastare i fenomeni di povertà educativa e di dispersione scolastica del nostro Paese. Il progetto Case di Don Bosco promosso da Salesiani per il Socia-
le – Federazione SCS/CNOS nasce per accompagnare quei giovani che in Italia si trovano in condizioni di povertà, ai quali manca la presenza costante di una famiglia e che hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro. Operano nelle periferie di grandi città come Novara, Foggia e Catania offrendo a questi quartieri spazi a misura di bambino per svolgere attività scolastiche o extra-scolastiche.
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Pratica il Sistema Preventivo in famiglia: Pastorale giovanile e Pastorale famigliare
In sintonia con la Strenna del Rettor Maggiore per il 2017 Siamo famiglia! Ogni casa, scuola di Vita e di Amore, riprendiamo in quest’anno alcuni passaggi del suo intervento tenuto al Colle don Bosco nel 2015 in occasione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice. Don Bosco ha sognato un movimento di persone per i giovani: solo una comunità di discepoli – apostoli, accogliente ed esemplare, può trasmettere la fede ed essere credibile. Per questo “casa” e “famiglia” sono i due vocaboli frequentemente utilizzati da don Bosco per descrivere lo “spirito di Valdocco” che deve risplendere nelle nostre comu40
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nità. In questo senso accogliamo l’appello evangelico e carismatico alla mutua comprensione e corresponsabilità, alla correzione fraterna e alla riconciliazione. Anche noi siamo chiamati a fare in modo che la pastorale giovanile sia sempre più aperta alla pastorale familiare. Occorre far sì che le famiglie diventino nella vita quotidiana luoghi privilegiati di crescita umana e cristiana, nell’assunzione delle virtù che danno forma all’esistenza. Occorre camminare con le famiglie, accompagnarle nelle situazioni complesse che si trovano ad affrontare, individuando nuove vie e strategie comuni per sostenere i genitori nell’impegno educativo.
sacramento e ponendo in risalto il primato della grazia. L’accompagnamento dei giovani sposi e dei genitori, coinvolgendoli nel cammino dei gruppi e delle associazioni della Famiglia Salesiana. La testimonianza di coppie e famiglie sane aiuterà a crescere nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. L’attenzione particolare alle famiglie in difficoltà di relazione e alle situazioni ‘irregolari’, soprattutto contrastando la precipitazione con cui tanti decidono di porre fine al vincolo coniugale e agli impegni famigliari e accompagnando con premura le situazioni di crisi. La pastorale della carità e della misericordia tendono al ricupero delle persone e delle relazioni. La grazia del sacramento della riconciliazione e la pratica del perdono aiutano a superare anche i momenti di crisi e di infedeltà. La spiritualità coniugale e familiare nella prospettiva della spiritualità salesiana. La formazione degli operatori di pastorale familiare, nell’ottica del sistema preventivo, che siano maestri nella fede e nell’amore.
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In linea con l’impegno di tutta la Chiesa che «svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo» (relazione Sinodo sulla Famiglia n. 61). Gli ambiti di interesse dentro i quali esprimere questa sinergia coprono tutto l’arco della vita affettiva e dell’esperienza familiare. In particolare: L’educazione degli adolescenti e dei giovani all’amore ispirandosi all’amorevolezza di don Bosco; si tratta di contrastare quelle tendenze culturali che sembrano imporre un’affettività senza limiti, narcisistica, instabile e immatura. Positivamente ridare ragioni e senso alla vocazione matrimoniale. Un’attenzione speciale va data alla formazione della coscienza e all’educazione alle virtù, in particolare alla castità, vissuta e proposta in forma esemplare da don Bosco, come condizione indispensabile per la crescita nell’amore autentico e libero. La preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia, aiutando i giovani nella maturazione affettiva attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio; ciò implica un itinerario di fede e un discernimento maturo e responsabile verso la scelta matrimoniale. La celebrazione del matrimonio, evidenziando la grazia propria del
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Pierluigi Cameroni pcameroni@sdb.org
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ADMA Famiglie: impegnati perché le famiglie possano diventare scuola di vita e di amore
L’alleanza educativa
Siamo Chiara e Davide. Nel nostro percorso di “famiglia di famiglie” ci troviamo spesso a vivere, nella pratica, quella che si chiama “alleanza educativa”. Che cosa significa? Innanzi tutto per potersi alleare bisogna trovare degli alleati e poi bisogna avere un obiettivo comune. Il nostro obiettivo è la famiglia. Ecco la nostra esperienza. Viviamo come “trottole” ma abbiamo bisogno di spiritualità
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
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Quando abbiamo incontrato l’ADMA famiglie, qualche anno fa, venivamo da un periodo molto faticoso. Da giovani siamo cresciuti in una casa salesiana, abbiamo svolto tanti tipi di servizio, siamo stati persino iper-attivi nelle nostre parrocchie. Abbiamo accumulato tan-
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te esperienze da “super animatori”: l’oratorio, il catechismo, il coro, i gruppi formativi, gli ex-allievi, l’accoglienza dei minori stranieri. Ci siamo sposati bene, con la benedizione di tanti amici e sacerdoti, abbiamo persino festeggiato all’oratorio: proprio un bel matrimonio salesiano, ma nel giro di pochi anni ci siamo ritrovati completamente a terra. Tutte le energie che pensavamo di avere erano sparite e anche le nostre convinzioni vacillavano. Da sposi abbiamo dovuto fare i conti con i tempi del lavoro, che di tempo te ne lascia poco, con le fatiche della convivenza, con due caratteri molto diversi, con abitudini famigliari molto diverse. Si fa presto a dire che “gli sposi mettono tutto in comune”. Certo, è facile mettere in comune un conto corrente e le bollette da pagare, ma due modi di sentire, di pensare, di decidere, di amare...è ben più difficile! Ancora più difficile è mettere insieme due fedi. Uomini e donne vivono la dimensione spirituale in modo diverso, ma all’epoca non lo sapevamo ancora. Se poi la tua vita spirituale fa acqua da tutte le parti perché ci dedichi meno tempo del minimo sindacale, allora è sicuro che sarai nei guai. Le difficoltà si vincono, con Maria. Basta decidersi!
Ad un certo punto è arrivata la nostra prima figlia, un amore di
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bimba che non ha dormito per due anni e mezzo. Di male in peggio. Ogni scusa era buona per trascurare la preghiera, le celebrazioni: siamo troppo stanchi, andremo un’altra volta, il Signore capirà. Non parliamo poi della confessione. Per carità! Con così tanti pensieri per la testa non potevamo certo perdere tempo a raccontare i fatti nostri ad un prete. E noi eravamo felici? Non tanto: eravamo stanchi, stressati e ci stavamo progressivamente svuotando. Io facevo dei sogni ricorrenti: sognavo di entrare in una grande chiesa, di desiderare di andare a confessarmi e poi di non farlo. All’epoca lavoravo in una scuola di montagna e al mattino, prima di andare a lezione, avevo preso l’abitudine di entrare nella chiesa del paese, di restare al fondo, vicino alla statua della Madonna, ma non ero più capace di pregare, stavo lì e basta. E infatti è bastato: il resto lo ha fatto la Madonna.
A furia di sognare di andare a confessarmi, scrissi al mio direttore spirituale, che non vedevo da due anni, sperando che non mi mandasse a quel paese. Non lo fece ed anzi, mi accolse con l’amore che solo un padre può offrire. Avevo trovato il primo alleato. In poco tempo mi aiutò a rimettere ordine nella mia vita, ma ora non ero più sola: c’era un marito, una figlia. Ci volevano altri alleati. E così ci mandò, senza spiegazioni e in modo piuttosto perentorio, al gruppo famiglie che lui seguiva da tempo. Non sapevamo ancora cosa c’entrasse l’ADMA, chi fossero queste persone, obbedimmo e basta. La Madonna ci aveva riportati a casa. Una famiglia, lasciata a se stessa, muore. Una famiglia ha bisogno di alleati e noi li abbiamo trovati: nel Sacerdote che segue i nostri cammini personali, di coppia e di genitori. Nelle altre famiglie. Chiara e Davide redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Crêpes agli asparagi... francescane?
ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
• 4 uova • 2 cucchiai di farina • ½ bicchiere di latte • un mazzo di asparagi • 2 hg di prosciutto cotto • 2 pacchi di sottilette. Preparare le crêpes: in una terrina mescolare la farina, il latte, le uova. In un padellino antiaderente versare due cucchiaiate di impasto alla volta, formando sottili frittatine che vanno cotte da ogni lato. (con queste dosi se ne possono ottenere 15/16) Lessare in acqua salata gli asparagi, quindi porre su ogni frittatina una fetta di prosciutto, una sottiletta, due asparagi cotti. Arrotolare le frittatine formando dei cannelloni, adagiarli in una pirofila imburrata e cuocere in forno a 150° per venti minuti.
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Non aveva compiuto quel viaggio in Egitto per negoziare con il sultano Malek al Kamel la restituzione di Gerusalemme alla cristianità, come avrebbe poi scritto qualche storico, ma «Per la sete del martiro. / Nella presenza del Soldan superba. / Predicò Cristo e gli altri che il seguiro» (Dante, Par.XI, vv100/102). Si tratta di san Francesco, la cui missione in Oriente, nel corso della Quarta Crociata, è tornata recentemente alla ribalta in occasione del viaggio in Egitto di Papa Francesco. Del nostro Francesco abbiamo potuto seguire in diretta tutti i passi, trepidando per gli imprevedibili pericoli. Il viaggio di san Francesco, più oscuro e pericoloso, dati i tempi, ha ispirato l’arte, la letteratura, la storia e, in un certo senso, la cronaca politica medioevale. E sulla missione del poverello di Assisi sono fioriti aneddoti e leggende che ne hanno fatto un astuto politico, un abile uomo d’affari, un profeta. La lettura che ne fece Dante è forse la più con-
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sona alle reali intenzioni del Santo, che in Egitto non aveva cercato altro che la diffusione del Vangelo e, forse, il martirio. Avendo trovato la gente troppo a conversione acerba il fraticello aveva fatto ritorno in Italia, dove, poco tempo dopo, avrebbe ricevuto le Stimmate sul monte della Verna. Quel viaggio aveva spinto Francesco a scartare le strade fino a quel momento intraprese dalla Chiesa ufficiale per affrontare il problema del rapporto con gli infedeli e a provare un altro percorso: non la guerra, non l’allontanamento e la scomunica, ma il dialogo. Le Crociate, con o senza armi, si sarebbero trascinate in qualche modo fino ai giorni nostri. Il fraticello, con le armi della dolcezza e dell’umiltà, avrebbe anticipato di otto secoli la posizione del Papato contemporaneo. Meno esotica e profetica del viaggio francescano, ecco la ricetta delle crêpes. Anna Maria Musso Freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Sabato 10 giugno nella Basilica di Maria Ausiliatrice 17 salesiani sono stati ordinati diaconi dall’Arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia. Per Andreoli Francesco (INE), Bobić Mario (CRO), Carta Francesco Giacomo (ICC), Danko Tomáš (SLK), Ehioghilen Theophilus (AFW-ICP), Ingegnere Piero (ICC), Kujundžić Mate (CRO), Lollobrigida Maurizio Giovanni (ICC), Miani Davide (INE), Muhaturukundo J. Jimmy (ICP), Nnadi Kenneth Chizoba (AFW-ICP), Pančura Marek ( SLK), Petrčić Josip (CRO), Rosso Mirko (ICC), Roth Peter (SLK), T. Manuel Amalan (INM-ICP), Vaško Marek (SLK) un augurio di buon cammino.
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