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RI VIS TA D E L L A BAS I LI C A DI TO R I N O – VA LDOCCO
BASIL IC A
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
MARIA AUSILIATRICE
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TEMPO DI SPIRITUALITÀ E DI ASCOLTO DEI FRATELLI
6 M ARIA AUSILIATRICE DI TORINO E MARIA AIUTO DEI CRISTIANI DI SPOLETO 18 DAL CONFRONTO '88 A PANAMA 2019 21 1 978-2018: 40 ANNI DI FORMAZIONE PROFESSIONALE SALESIANA ISSN 2283–320X
CHIESA E DINTORNI
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Est
Maria Ausiliatrice
DON BOSCO OGGI
A Casa Brancati accogliamo quei giovani che non hanno più punti di riferimento Il 25 luglio 2017 è stata inaugurata a Torre Annunziata Casa Peppino Brancati, comunità nata per ospitare ragazzi minori (tra i 13 e i 18 anni) che affrontano difficili situazioni familiari. Ristrutturata grazie al contributo di Salesiani per il sociale – Federazione SCS/CNOS, attualmente la comunità ospita otto minori quotidianamente accompagnati da un’equipe di educatori e volontari e da don Antonio Carbone, direttore della casa salesiana di Torre Annunziata. Mentre guarda Ciro, uno dei ragazzi accolti, prova a raccontare il difficile incontro con lui e con gli altri giovani della casa. «Quando varcano la soglia della nostra comunità sono scontrosi, diffidenti e non vedono l’ora di andare via. Molti provano anche a fuggire, ma poi quando per loro inizia il percorso di recupero e si integrano, in tanti vorrebbero non andare via». Un lavoro difficile quello di educatore salesiano che prima che un mestiere rappresenta una missione «devi vivere con loro – spiega ancora – devi avere la forza di fargli cambiare idea, si ha una responsabilità importante e non importa solo la quantità del tempo che stai con loro ma la qualità del tempo che spendi con loro. Ogni minuto è importante e fondamentale a far recuperare loro la quotidianità: l’hanno persa inseguendo falsi e sbagliati ideali, spesso l’assenza dei genitori
alle spalle ma nella maggior parte, come nel caso delle baby gang che sembrano un fenomeno che spunta ora ma che invece rappresentano una realtà ormai da tempo, è solo colpa della società che è più propensa a pubblicizzare e proporre ai ragazzi cattivi esempi». «Sono solo ragazzi che se non aiutati in tempo continueranno a delinquere o nel peggiore dei casi invece finiranno per essere rinchiusi in carcere per reati ancora più gravi. Abbiamo l’obbligo di aiutarli ma non con le parole». Noi Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS crediamo che l’educazione possa illuminare il futuro di tanti giovani del nostro Paese e che sia il presupposto per uscire dalle situazioni di emarginazione e miseria in cui molte città ancora oggi si trovano. (l’intervista è stata curata da metropolisweb.it). SCS SALESIANI PER IL SOCIALE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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MARINA LOMUNNO
DON BOSCO OGGI 1 A “CASA BRANCATI” ACCOGLIAMO QUEI GIOVANI CHE NON HANNO PIÙ PUNTI DI RIFERIMENTO SCS
RETTORE 4 E DOPO IL 150°, ASCOLTIAMO I GIOVANI DON CRISTIAN BESSO
BOCCARDO PER I 150 ANNI DELLA BASILICA MARINA LOMUNNO
DI CRISTO (SAN GIROLAMO) CARLO MIGLIETTA
10 I PROPOSITI DI MALE VENGONO
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12 L’ARCA DI NOÈ CAMILLA FURNO
GIOVANI 14 UN DIO “CATTOLICO”? GIULIANO PALIZZI
16 UN DIO DELL’ “ALLEANZA” CHIESA E DINTORNI 18 DAL “CONFRONTO ’88” ALLA XXXIV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ ANDREA CAGLIERIS
LA PAROLA 8 L’IGNORANZA DELLE SCRITTURE È IGNORANZA
20 UN DIO “CATTOLICO”? ANNA MUSSO FRENI
DON BOSCO OGGI 21 ALESSANDRIA: UN CFP IN CAMMINO
FUORI DALL’INTERNO
VERSO LA MODERNITÀ
MARCO BONATTI
MAURO TERUGGI
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MAURO TERUGGI
GIULIANO PALIZZI
CENTOCINQUANTA 6 GRANDE FESTA CON MONS. RENATO
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CAMILLA FURNO
MARIA AUSILIATRICE N. 4
Progetto Grafico, impaginazione ed elaborazione digitale immagini: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)
Foto di copertina: Mario Notario Archivio Rivista: http://basilicamariaausiliatrice.it/ rivista-maria-ausiliatrice
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ROBERT CHEAIB
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CARLO TAGLIANI
MARIA
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INSERTO
I
36 QUESTA È LA MIA CASA, DA QUI LA MIA GLORIA!
24 RIACCENDERE IL SORRISO
ADMA FORMAZIONE
FRANCESCA ZANETTI
38 QUANDO UNA PELLICOLA T’ISPIRA LA VITA…
CHIESA E DINTORNI 26 ASCOLTARE DIO NELLA VITA QUOTIDIANA. LE INTUIZIONI DI UN MAESTRO SPIRITUALE DEL XX SECOLO ROBERT CHEAIB
28 CATERINA, UNA DONNA STRAORDINARIA
CARLO TAGLIANI
40 TORTA RUSTICA (A MODO MIO)
ANNA MUSSO FRENI
INSERTO
PHOTOGALLERY
MARIO SCUDU
DON BOSCO OGGI
30 DALL’ORATORIO ALL’AFRICA
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PER SERVIRE I GIOVANI CARLO TAGLIANI
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
32 CHIARA BADANO, LA LUCE DI UN SORRISO. LA REDAZIONE
34 CON MARIA, DONNA CREDENTE ADMA CRONACA
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13a GIORNATA PER LA CUSTODIA DEL CREATO
Coltivare l’alleanza RivMaAus
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RETTORE
E dopo il 150°, ascoltiamo i giovani Carissimi lettori, con una solenne celebrazione eucaristica sabato 9 giugno abbiamo concluso l’anno consacrato al 150° anniversario della dedicazione al culto della nostra basilica di Maria Ausiliatrice. Nella mattinata si percepiva un senso di profonda gratitudine, soprattutto a don Bosco ed ai primi salesiani, che hanno donato e custodito fedelmente questa “casa di preghiera”, che accompagna ciascuno di noi ad incontrare il Signore, ad affidarci alla Madre del cielo, ad ascoltare con intensità le parole del Vangelo ed a convertire la vita. 4
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La presenza di mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, ha aiutato ciascuno ad andare idealmente alle apparizioni in terra umbra che sostennero don Bosco a scegliere per la sua chiesa il titolo di Maria Auxilium Christianorum. Durante la celebrazione il Rettor Maggiore era rappresentato da don Stefano Martoglio (Consigliere generale per la Regione Mediterranea), e la Madre generale della FMA da suor Phyllis Neves (Consigliera Visitatrice). Ci sentivamo, così, in comunione con le tante realtà della Famiglia Salesiana, sparse in tutto il mondo. Dall’Ausiliatrice tutti
RETTORE
sta sono stati presieduti dal responsabile della diocesi di Torino per l’animazione vocazionale don Alessandro Marino: ci ha invitato a pregare particolarmente per le vocazioni di speciale consacrazione. Sia l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, sia il Rettor Maggiore hanno suggerito di non dimenticare, come elemento portante di un’autentica spiritualità mariana, quel «Fate quello che Egli vi dirà» del Vangelo secondo Giovanni. Poi, con molta gratitudine desideriamo ringraziare tutti coloro che con sacrificio e generosità ci hanno aiutato a organizzare ogni manifestazione. VACANZE: RIPOSO E ASCOLTO DEI GIOVANI
noi abbiamo, infatti, imparato a guardare a quel Bambino Gesù che Lei tiene amorevolmente in braccio, ma soprattutto ci offre, perché lo accogliamo nella nostra vita e così, in Sua compagnia, le nostre giornate cambino. «Siate buoni» ha ripetuto mons. Boccardo, nell’omelia: sia la bontà uno dei primi segni di chi è discepolo del Signore e devoto della Madonna. «FATE QUELLO CHE EGLI VI DIRÀ»
Anche la processione di Maria Ausiliatrice, la veglia notturna di adorazione e la giornata di preghiera del 24 maggio sono state occasioni nelle quali ringraziare il Signore per il dono della basilica. La celebrazioni si sono aperte con i primi Vespri presieduti dal Rettor Maggiore ed hanno avuto il centro sia nella Eucaristia delle ore 11 del 24 maggio, sia nella festosa celebrazione della serata, animata dal Movimento Giovanile Salesiano. I secondi Vespri della fe-
Eccoci, dunque, giunti all’estate! Il tempo delle vacanze sia un tempo di riposo. Tuttavia mi sembra bello suggerire, per questi mesi, due piste di cammino interiore. Quando il tempo è più disteso, talvolta anche più rallentato, poiché siamo meno presi dal vortice delle attività, la nostra interiorità può camminare con vigore per rinnovare l’impegno alla conversione ed all’ascolto delle nuove generazioni (e qui penso al Sinodo dei Giovani, in programma ad ottobre). La conversione del cuore è scegliere di abitare nel bene, allontanando gradualmente ciò che soffoca il nostro desiderio di carità e di fede. È necessario, talvolta, rafforzare la volontà, perché il Vangelo ritorni ad occupare “un posto di protagonista” nelle nostre scelte. L’ascolto delle nuove generazioni - figli, nipoti, conoscenti - va scelto. Possiamo, infatti, correre il rischio di non sentire il bene che c’è nella vita dei giovani. Possiamo, persino, essere infastiditi da alcune loro sensibilità, e non guardare con simpatia al loro modo di aprirsi alla vita… per un mondo adulto che si dice disincantato e talvolta poco appassionato del dono della vita. Lo spirito del Risorto ricevuto a Pentecoste e la protezione della Vergine Maria ci sostengano nel “nostro camminare sotto il sole” dell’estate e sotto il sole che è Cristo, Risorto e Vivente nella nostre vite. DON CRISTIAN BESSO RETTORE rettore.basilica@ausiliatrice.net
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CENTOCINQUANTA
Grande festa con mons. Renato Boccardo per i 150 anni della Basilica «La Madonna è la fondatrice e sarà la sostenitrice delle opere nostre a favore della gioventù». Così don Bosco, parlando con don Giovanni Cagliero, poi cardinale salesiano, motivava il suo desiderio di consacrare «una grande chiesa a Maria Ausiliatrice». Era il 9 giugno del 1868 quando l’allora arcivescovo di Torino, mons. Alessandro Riccardi, consacrava a Valdocco la chiesa di Maria Ausiliatrice, presente don Bosco, che vedeva così realizzato il più celebre dei suoi sogni. Una notte nel 1844, quando era ancora alla ricerca di una sede stabile per il suo oratorio, Maria gli apparve indicandogli il terreno dove costruire un luogo dove «Dio sia onorato in modo specialissimo». GENERAZIONI E GENERAZIONI 6
MARIA AUSILIATRICE N. 4
SI SONO AFFIDATE A MARIA IN QUESTA BASILICA
Così nella mattinata di sabato 9 giugno, a 150 anni esatti dopo la consacrazione di una delle chiese più conosciute nel mondo, le celebrazioni di questo anno solenne hanno avuto il loro culmine in Basilica: «150 anni fa don Bosco portava a compimento la costruzione di questa Basilica e affermava che era stata la Madonna stessa a costruire la sua casa e che ogni mattone corrispondeva a una grazia» – ha ricordato nell’omelia mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, che ha presieduto la concelebrazione con decine di salesiani e animata magistralmente dai cori di Basilica, Colle don Bosco e Castelrosso diretti dal maestro don Maurizio Palazzo. «Non è tanto il numero degli anni in sé ad impressionare, quanto piuttosto il pensiero delle generazioni
che qui si sono succedute, unite nella devozione e nella supplica a Maria Aiuto dei cristiani». Mons. Boccardo è stato invitato nel cuore della salesianità in questo giorno speciale da don Cristian Besso, rettore della basilica Maria Ausiliatrice e don Guido Errico, direttore della Comunità di Valdocco, perché c’è un legame profondo tra don Bosco e la diocesi di Spoleto.
CENTOCINQUANTA
come titolo “Aiuto dei cristiani”. Nelle memorie del santo si dice che il 24 maggio 1862 “don Bosco annunzia alla sera con sua grande contentezza la prodigiosa manifestazione di una immagine di Maria avvenuta nelle vicinanze di Spoleto” e dice che “siccome la devota immagine non aveva alcun titolo, l’Arcivescovo di Spoleto mons. Arnaldi giudicò che fosse venerata sotto il nome di Auxilium christianorum”». Di qui l’ispirazione di don Bosco ad intitolare a Maria Ausiliatrice la “sua” Basilica. Chissà, come ha auspicato il rettore don Besso, in memoria del 150° non si possa gemellare l’Ausiliatrice di Valdocco con l’Ausiliatrice di Spoleto. La solenne concelebrazione, come ha richiamato don Stefano Martoglio, consigliere per la regione mediterranea del salesiani, ringraziando mons. Boccardo a nome del Rettor Maggiore, «ha suggellato un fitto calendario di celebrazioni promosse dalla Comunità salesiana di Maria Ausiliatrice in occasione del 150° della consacrazione della Basilica: tra queste, la visita il 6 marzo scorso a Maria Ausiliatrice del presidente della Cei Gualtiero Bassetti e poi la visita ispettoriale di animazione del Rettor Maggiore dei salesiani don Ángel Fernández Artime che ha visitato le opere, incontrato i giovani degli oratori torinesi e ha partecipato alla solenne processione di Maria Ausiliatrice nella solennità del 24 maggio presieduta dall’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia. MARINA LOMUNNO redazione.rivista@ausiliatrice.net
AIUTO DEI CRISTIANI DI SPOLETO E MARIA AUSILIATRICE DI TORINO
«Ringrazio per essere qui stamattina per tanti motivi » ha proseguito Boccardo «perché sono piemontese e qui pellegrino fin da piccolo con mia mamma e poi come pastore della Chiesa di Spoleto-Norcia: la diocesi che mi è stata affidata, e che recentemente è stata martoriata dal terremoto, custodisce una venerata immagine in un santuario nelle valli di Spoleto che ha ESTATE 2018
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CHIESA ELA DINTORNI PAROLA
L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo (San Girolamo)
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COME LEGGERE LA BIBBIA - 2 -
LA BIBBIA È CRISTO
Ha detto Papa Francesco: «La mancanza del sostegno e del vigore della Parola conduce ad un indebolimento delle comunità cristiane… Noi tutti siamo responsabili se “il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere il profumo del Vangelo” (Evangelii gaudium, n. 39). Pertanto, resta valido l’invito ad un particolare impegno pastorale per far emergere il posto centrale della Parola di Dio nella vita ecclesiale, favorendo l’animazione biblica dell’intera pastorale. Dobbiamo far sì che nelle abituali attività di tutte le comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola, perché, come ci insegna san Girolamo, «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (Dei Verbum, 25)».
Infatti Cristo stesso è la Parola, il «Verbo» di Dio che «si è fatto carne» (Gv 1,1.14). E «le Scritture sono Lui» (Ireneo di Lione); «le Scritture sono il corpo unico e perfetto del Verbo» (Origene). Dice Girolamo: «Noi mangiamo la carne e il sangue di Cristo nell’Eucarestia, ma anche nella lettura delle Scritture... Io ritengo l’Evangelo corpo di Cristo»; e Ignazio di Antiochia: «Noi dobbiamo accostarci alla Scrittura come alla carne di Cristo»; e Cesario d’Arles: «Chi ascolta in modo non attento sarà colpevole quanto colui che avrà lasciato cadere negligentemente per terra il Corpo del Signore». Per questo i Padri parlano di “spezzare la Parola” così come si spezza il Pane eucaristico. Non conosciamo Gesù perché non conosciamo le Scritture! Non amiamo Gesù perché non amiamo le Scritture! Purtroppo paghia-
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LA CENTRALITÀ DELLE SCRITTURE SECONDO IL CONCILIO VATICANO II
Certamente il Concilio Vaticano II è stato una vera esplosione profetica che ha riportato la Scrittura al centro della vita di Fede: ma i suoi accorati appelli sono ben presto stati fraintesi o minimizzati. Invece di un incontro personale con la Bibbia si è spesso preferito un approccio parziale, leggiucchiandone qualche brano qua e là, magari tramite Lezionari con “brani scelti”, pii Commentari che evitano lo sforzo personale di ricerca, costruiti per una predicazione “a effetto” ma che spesso impedisce che la Scrittura, spada a doppio taglio (Eb 4,12-13), ci giudichi e metta a nudo le nostre pigrizie, le nostre incoerenze, le nostre ambiguità... COME NON SI DEVE LEGGERE LA BIBBIA
Si è poi assistito, in questi anni dopo il Concilio, a varie “letture deformate” della Parola. La lettura “fondamentalista” è quella letterale, che non accetta che il testo abbia significati simbolici. I fondamentalisti parlano ad esempio di accordo Bibbia-Scienza; e nella Genesi spiegano le discrepanze con i dati scientifici tramite il “diluvionismo” (il diluvio avrebbe sconvolto i reperti geologici) o con il “concordismo” (i “giorni” del racconto bibli-
co corrisponderebbero ad “epoche” geologiche). Così i Testimoni di Geova leggono nei 144.000 di Ap 7,4 l’esatto numero dei salvati, e non l’evidente allusione al popolo delle dodici tribù e al suo compimento (12x12x1000). La lettura “parziale”: si scelgono i brani che interessano su particolari tematiche e se ne fa un bel collage, estrapolandoli dal contesto: la Bibbia viene usata come puro “supporto” per una catechesi già preordinata; anche tante “Missioni bibliche” non sono uno sforzo per innamorare alla Parola, ma il semplice utilizzo di qualche pagina della Scrittura per introdurre riunioni comunitarie. La lettura “intellettualistica” è quella di chi coglie ideologicamente i “segni dei tempi”, e vuole avallare il proprio pensiero con brani biblici: faccio dire a Dio ciò che penso io. La lettura “politica” utilizza solo certi brani biblici come appoggio a varie preordinate dottrine su specifici modelli sociali. La lettura “intimistica”, antropocentrica ed egocentrica, coglie nella Bibbia solo una serie di dolcezze interiori personali: la Bibbia è utile strumento per il relax dello spirito, una sorta di “Cynar”. contro il logorio della vita moderna. La lettura “magico-meccanicistica”: taluni gruppi o movimenti fanno aprire la Bibbia a caso assicurando che in questa lotteria spirituale il Signore rivelerà le sue volontà: è la “Bibbia-oroscopo”. Ho saputo di un tale che, prendendo a caso la Bibbia per avere una precisa rivelazione di Dio sulla sua vita, si trovò davanti al versetto: «E Giuda… si allontanò e andò ad impiccarsi» (Mt 27,5). Così ricordo quella signora che mi fu mandata dalla Curia di Torino perché sconvolta dall’aver chiesto a Dio lumi sulle scelte matrimoniali del figlio e che, aprendo la Bibbia a caso, vi aveva trovato il versetto: »I suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie» (Sl 109,9).
LA PAROLA
mo a caro prezzo secoli di oblio della Bibbia nella tradizione ecclesiale. Dopo la Riforma Protestante, per reazione al “Sola Scriptura”, il cattolicesimo ha come oscurato la Parola, leggendola solo più... in latino. Ne è derivato che l’annuncio cristiano, invece di essere proclamazione gioiosa dell’incontro con il Vivente, spesso si è ridotto a speculazione filosofica o moraleggiante. Per di più, si è creato un vero monopolio in mano al clero, l’unico che poteva avere accesso diretto alla Scrittura: e a ciò ha fatto seguito un crescente distacco del popolo di Dio dalla Bibbia, e la carenza di una vera teologia del laicato e delle tematiche ad esso più pertinenti: la sessualità, il matrimonio, il lavoro, l’impegno sociale, l’ecologia... Ecco perché «è necessario che la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (Dei Verbum, n. 21)!
CARLO MIGLIETTA redazione.rivista@ausiliatrice.net
Gli appuntamenti con Carlo Miglietta proseguono sul sito: www.buonabibbiaatutti.it In particolare, per questo argomento: www.buonabibbiaatutti.it/introduzione-alla-sacra-scrittura
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LA PAROLA
I propositi di male vengono fuori dall’interno
Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi ono10
MARIA AUSILIATRICE N. 4
ra con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». (Marco 7,1-8.14-15.21-23)
LA PAROLA
Fornicazioni, furti, omicidi, adulteri… l’elenco di ciò che “esce dal cuore dell’uomo” serve, evidentemente, da fonte di ispirazione per i canovacci di quasi tutti i programmi televisivi di oggi. Come si fa a fare una puntata di telefilm senza almeno un morto ammazzato, o un paio di corna ben messe? Quanto ai “talk shows” e alle isole dei famosi, non radunano forse il meglio di “impudicizia, invidia calunnia superbia…”: ci si parla addosso di argomenti sempre più vacui e pruriginosi, al solo scopo di trattenere davanti al teleschermo gli spettatori che devono comprare i prodotti reclamizzati nei “consigli per gli acquisti”. Non è una situazione nuova: si sfrutta la “bassa voglia” che alberga dentro ciascuno di noi. Già Dante viene aspramente rimproverato per questo da Virgilio, quando si ferma allucinato a seguire l’alterco fra due dannati. (Inferno 30, 130-135).
Le “radici” servono per farci ricordare chi siamo, ma è “dai frutti” che si viene riconosciuti (Matteo 7,16). E questo aprirebbe un’altra bella questione su quegli interessati propagandisti delle radici cristiane, gli atei devoti a cui dichiaratamente non interessa la fede, ma la possibilità di usare anche la fede per le loro crociate. Il loro profilo culturale somiglia in modo impressionante a quello dei Farisei di questa pagina. E forse non è un caso che i propagandisti dello scontro di civiltà della guerra crociata per difendersi dai “nemici” siano gli stessi che possiedono petrolio e armi, e televisioni. E ne vorrebbero sempre di più.
LA PUREZZA DEL CUORE NON SI CONQUISTA SERVENDO LE TRADIZIONI, ATTENENDOSI AI FORMALISMI DEI RITI CONSOLIDATI.
MARCO BONATTI redazione.rivista@ausiliatrice.net
COME VOGLIAMO VIVERE?
Il fatto è che la purezza del cuore non si conquista servendo le tradizioni, attenendosi ai formalismi dei riti consolidati. Uno dei romanzi maggiori del Novecento, I Buddenbrook di Thomas Mann, è la fotografia della lotta di una famiglia contro la propria decadenza; l’impietosa scoperta che i riti del passato non bastano mai a fermare la storia: perché la vita, dentro di noi e fuori di noi, ci obbliga ogni giorno (ogni momento) a fare i conti con la domanda del perché viviamo, e del come vogliamo vivere. Non c’è magia di tradizione che tenga; e non è incensando il passato che si conquista il presente.
I Buddenbrook di Thomas Mann Mondadori, 2008 pp. 742. ESTATE 2018
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LA PAROLA
L’arca di Noè
Tutti gli animali della Bibbia presentati in un libro, con i versetti che li nominano e con i santi e le curiosità che li riguardano. È citato anche il “Grigio”, il cane amico e difensore di don Bosco. «Acrìda! Che animale è questo?», vien da chiedersi facendo il verso a don Abbondio che si domandava: «Carneade! Chi era costui?». Ebbene, l’acrìda è un insetto simile alla cavalletta, citato soltanto una volta nella Bibbia e considerato commestibile dagli ebrei, cosa, quest’ultima, che spiega perché Giovanni Battista poteva mangiare anche cavallette. Ed è pure il primo elencato nel libro “Gli animali della Bibbia”: un testo colto e nello stesso tempo divertente, che merita di essere letto (e consultato) da giovani e da adulti, anche 12
MARIA AUSILIATRICE N. 4
non credenti. Il volume è, infatti, una miniera di citazioni e notizie sorprendenti. In ordine alfabetico sono presentate tutte le 161 “voci” nominate nella Bibbia, comprese alcune generiche, come branco e ruminanti, e qualche animale citato indirettamente, come la chiocciola (la versione biblica di riferimento è quella della Conferenza Episcopale Italiana, la più diffusa, oltre che usata nelle celebrazioni cattoliche). IL PIÙ CITATO È IL CAVALLO
Per ogni animale ci sono un’illustrazione,
LA PAROLA
che richiama i bestiari medievali, e alcune notizie: il nome italiano e quello latino, quante volte è presente, se è nominato al singolare o al plurale, se si trova soltanto nell’Antico Testamento o soltanto nel Nuovo o in entrambi. Si scopre, così, che gli animali più citati sono il cavallo (183 volte), l’agnello (179), la pecora (169), il leone (165) e la capra (159 volte) e che, al contrario, ce ne sono altri 22 con una sola citazione, come acrìda, appunto, o gatto, ippopotamo, o stambecco. È indicato anche se per gli ebrei l’animale è kashèr (commestibile) o no: un dettaglio importante perché le norme alimentari stabilite nell’Antico Testamento erano, ovviamente, praticate al tempo di Gesù e l’informazione aiuta a capire meglio vari passi del Nuovo Testamento. Dopo queste notizie, per ogni “voce” sono riportati tutti o quasi i versetti biblici che la riguardano: in tutto, oltre duemila. Poi, sono elencati i casi in cui un animale è associato a un episodio, o a un miracolo, o alla vita di un santo. Tra le circa 200 citazioni ci sono, ad esempio, il corvo di san Benedetto, il lupo di san Francesco, il maialino di sant’Antonio abate, i pesci di sant’Antonio di Padova, o il “Grigio”, il cane amico e difensore di don Bosco. Non basta: di ogni animale sono ricordati fatti storici, stemmi papali (come l’orso presente in quello di Benedetto XVI), o vescovili, o comunali italiani e stranieri, marchi di aziende (come la gru della Lufthansa), nomi di navi o di veicoli (come l’Ape della Piaggio), costellazioni. E ancora, i libri, film e fumetti dove l’animale è protagonista, e i proverbi e i modi di dire. VOLATILI “INGRASSATI”. FORSE OCHE O CUCULI
Un volume così affascina, comprensibilmente, lettori di ogni età. Grazie al linguaggio semplice, ma mai banale, si può
leggere in famiglia con i bambini, che scoprono e ricordano tanti avvenimenti biblici proprio attraverso gli animali citati. Un esempio: la colomba che dopo il diluvio porta a Noè una foglia di ulivo. Il libro piacerà anche ai giovani e agli animatori di gruppi e di comunità religiose, che vi troveranno spunti per la riflessione, per la preghiera ed anche per omelie. E incuriosirà pure insegnanti, amanti della natura ed etologi. Come si legge nell’introduzione, infatti, a volte «la parola ebraica o greca che identifica un animale è resa in modo diverso a seconda delle versioni o degli specifici passi biblici: i “volatili ingrassati”, ad esempio, sono tradotti anche con oche o cuculi. Altre volte il termine è corretto, ma per qualche studioso non indica la specie vera e propria: forse il pellicano di qualche versetto era in realtà un capovaccaio». Insomma, una “arca di Noè” dove, osserva ancora l’autore, «non c’è animale senza sorpresa. A conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’infinita fantasia di Dio». CAMILLA FURNO redazione.rivista@ausiliatrice.net
Gli animali della Bibbia di Lorenzo Bortolin. Citazioni dalle Sacre Scritture, santi e curiosità. Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2018, pp. 336. ESTATE 2018
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«In verità sto rendendomi conto (dice san Pietro) che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,34-35) Il Cardinal Martini diceva che il Dio di Gesù Cristo non è cattolico, perché ama tutti, anche i non cattolici. Non chiede a nessuno mai la carta d’identità o tanto meno il certificato di battesimo. «Chiunque pratica la giustizia… è accetto a Dio». Pensate quanto lontano era quel Dio che aveva dovuto inventarsi il limbo perché non sapeva dove sistemare i bambini che morivano senza battesimo!!! Quanto poco innamorato dell’uomo era quel Dio! E per di più sembrava che tutto fosse organizzato e tutto doveva rientrare in certi schemi inventati da uomini che non avevano mai conosciuto il Dio di Gesù Cristo. Un amore senza fantasia. Il Vangelo invece è il trionfo della fantasia di Dio. Dio è amore e non c’è limite per nessun motivo all’incarnazione di questo amore fino a dare la vita per poterla riprendere tutta rifatta nuova, risorta e immortale in ognuno di noi. Quanta piccolezza nella Chiesa del limbo: una Chiesa che voleva rinchiudere l’amore infinito nelle sue piccole vedute! FUORI DALLA CHIESA…
Possiamo far risalire il tutto alla frase pronunciata da San Cipriano, vescovo di Cartagine, nel III secolo «Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza» non sempre interpretata nel modo corretto. Nel passato tanti cristiani hanno identificato il regno di Dio con l’istituzione ecclesiale di cui erano “soci” ostentando arroganti sicurezze verso gli altri che venivano morti14
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Un Dio “cattolico”?
ficati, coltivando verso le altre religioni forti pregiudizi e definendo i loro «soci» impuri, lontani e, ahimè, ricorrendo anche alla forza per costringere i popoli alla conversione e al battesimo. L’errore sta nel concepire l’uguaglianza tra chiesa-istituzione e regno di Dio. Quante zone d’ombra nella chiesa si escludono dal regno di Dio perché sono delle lobby di potere che hanno poco a che fare con il Vangelo. Ricordiamo l’urlo di Benedetto XVI contro la sporcizia presente nella Chiesa. Quella sporcizia che lo portò a dimettersi non sentendosi in grado di poterla com-
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«L’INTERA VICENDA DI GESÙ PUÒ ESSERE RILETTA ALLA LUCE DEL SUO TENTATIVO DI RIATTIVARE L’AUTORIZZAZIONE AD AMARSI IN OGNI UOMO E IN OGNI DONNA CHE HA INCONTRATO. E NON HA LASCIATO FUORI NESSUNA POSSIBILITÀ DELL’UMANO: IL PECCATORE, IL MALATO, IL RICCO, IL POVERO, IL POTENTE, IL FERITO, L’UOMO IN RICERCA, LO STRANIERO. NESSUN UMANO È A-TEO, CIOÈ PRIVO DI QUELLA BENEDIZIONE DIVINA CHE AUTORIZZA LA BENEDIZIONE DI SÉ». DON ARMANDO MATTEO, "NEL NOME DEL DIO SCONOSCIUTO", MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO EDITRICE.
è automaticamente colui che recita il credo come una filastrocca, rispetta qualche norma morale a piacimento trasgredendone altre, e ogni tanto si fa vedere a frequentare qualche liturgia vagante. “Credente” è chi vive come Cristo e a sua imitazione pratica la giustizia, la fraternità, la condivisione dei beni, l’ospitalità, la fedeltà, la sincerità, il rifiuto della violenza, il perdono dei nemici, l’impegno della pace, segue un solo padrone e questo non è il denaro. Ciò che qualifica l’appartenere a Cristo non è il sacro ma l’amore all’uomo come segno di amore a Dio perché «chiunque fa questo a uno dei più piccoli, lo fa a me». GIULIANO PALIZZI redazione.rivista@ausilitrice.net
battere ed eliminare. Nello stesso tempo ci sono masse enormi al di là dei confini della chiesa-istituzione che rientrano nel regno di Dio perché vivono in sintonia con lo Spirito e non seguono i santoni di turno e i pericolosi visionari. SIAMO TUTTI CATTOLICI
Nel nostro paese tanti si dicono cattolici perché sono nati nel paese del Papa, perché battezzati, perché vanno a messa la notte di Natale, perché “fanno” delle cose. “Praticante” non vuol dire “inserito nel corpo di Cristo”. “Credente” non ESTATE 2018
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Un dio dell’ “alleanza” Tutte le volte che celebriamo l’eucaristia sentiamo, nel momento centrale della cosiddetta consacrazione «Prendete e bevetene tutti: Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza…». Che valore dare a questa parola “alleanza”? Qual è la valenza che il mondo biblico attribuisce a questo termine? Cominciamo col dire che nei libri dell’Antico Testamento il termine ricorre ben 286 volte! Ciò dice l’importanza che il popolo di Israele attribuisce alla parola con la quale descrive il suo rapporto con il Signore-Dio. CHE SIGNIFICA FARE ALLEANZA?
A prima vista verrebbe da pensare che si tratti di un patto bilaterale. Invece no. O per lo meno non è perfetta questa definizione. Con Noè per esempio Dio stipula la prima alleanza ma più che altro è una promessa unilaterale da parte sua di non mandare più il diluvio malgrado sapesse che l’uomo avrebbe continuato a disubbidire «perché l’istinto del cuore umano (si legge in Gn 8,21), è incline al male fin dall’adolescenza». Quando Dio chiama Abramo gli promette una terra e una grande discendenza e gli chiede solo di fidarsi di lui, di credere al suo amore gratuito. Come farà con la fanciulla di Nazaret alla quale dirà solo di fidarsi di Dio perché «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). GRATUITÀ E IMPEGNO UNILATERALE
Sono le due caratteristiche delle alleanze di Dio. Israele ne coglieva la grande valenza ma continuava a tradire questa alleanza alla quale Dio restava sempre fedele. Sono alleanze che non hanno nulla di contrattuale ma sono pura “grazia”: Dio ci ama così, senza condizioni, in attesa di fare un’alleanza che sarà il massimo del suo amore nei riguardi dell’uomo e che i profeti descrivevano così: «Ecco, verranno 16
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giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni… porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,31-33). «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro
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di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme» (Ez 36,26-27). L’ALLEANZA DEL CUORE DI CARNE
«La nuova ed eterna alleanza» non è un patto da sottoscrivere ma un invito ad accogliere la proposta di mutua appartenenza come fanno gli sposi. L’eucaristia è lo scambio degli anelli. Senza nessun suggello attraverso riti nei quali si passava tra un vitello squartato a metà che sarebbe stata la sorte di chi avrebbe tradito o l’aspersione col sangue per significare l’appartenenza ad una stessa vita che il sangue appunto rappresentava. Un’alleanza in cui Dio si dona tutto per insegnarci a donarci come lui. Si fa “pane spezzato”» perché ognuno sia pronto ad essere così con gli altri nella vita, pane spezzato. Lava i piedi perché «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). L’eucaristia è aperta a tutti. Gesù non esclude neanche Giuda il traditore o Pietro che lo rinnegherà. Tutti possono mangiare. Una sola condizione. «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (MT 5,23-24). Non si può essere in comunione con Dio se non lo si è con i fratelli. Questa è la condizione se non si vuol fare un sacrilegio. Tutte le altre attenzioni sono solo attenzioni a cominciare dall’opportunità di un’ora di digiuno in preparazione. GIULIANO PALIZZI redazione.rivista@ausilitrice.net
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Dal “Confronto ’88” alla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù DA VALDOCCO A PANAMA
Chi c’era, l’ha definita una sorta di Woodstock della gioventù salesiana: tremila ragazzi arrivati a Valdocco da ogni continente per discutere, sotto una grande tenda bianco-celeste allestita nel cortile a lato della Basilica, di se stessi, di don Bosco, della fede. “Giovani, nella Chiesa per il mondo” lo slogan scelto per Confronto ‘88, appuntamento che nel settembre di trent’anni fa segnò fortemente le celebrazioni per il centenario della nascita del Santo mettendo le fondamenta di quello che oggi è il Movimento Giovanile Sale-
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siano. «Festa, con te la vita è festa, con te la vita è canto, è fremito di gioia» recitava l’inno ufficiale intonato anche da Giovanni Paolo II in visita in quei giorni a Torino e venuto a salutare i partecipanti. Parole che non sono rimaste scritte sulla carta. «DON BOSCO, SIAMO QUI»
Cinquanta gruppi di lavoro, ognuno con un proprio animatore, e poi colloqui informali, forum, veglie. Del Concilio, quei giovani, avevano l’età e il senso del futuro. «Vogliono mettersi sulla lunghezza d’onda di una memoria, riferirsi a un
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uomo di Dio che sanno essere dalla loro parte» disse don Gianni Sangalli, rettore del Santuario. Dalla Germania alle Filippine, dal Kenya all’Argentina, vennero a Torino da ogni angolo della terra, rappresentanza qualificata di centinaia di migliaia di altri giovani che vivevano quotidianamente l’esperienza salesiana, e dai quali, in mille “Confronti” locali, avevano ricevuto un mandato di rappresentanza per concludere, con respiro internazionale, un itinerario di fede. È bastato dire: «Don Bosco, siamo qui» per cementare un’unità di stile, di presenza, di testimonianza. Nell’aprire i lavori, il Rettor Maggiore don Egidio Viganò volle evitare di dare indirizzi e orientamenti precostituiti: «È tempo che la parola passi a voi, perché maturi una vostra risposta. Parlo di maturazione perché il confronto sui valori esige un attento dialogare, un riflettere, un decidere. La risposta che piace a don Bosco, proprio perché sapeva amare, è esigente». ESSERE PROTAGONISTI NEL MONDO
Impossibile riferire nel dettaglio le appassionate discussioni che sono seguite di volta in volta trattando temi come la crisi della funzione educativa delle istituzioni o i motivi che spesso impediscono ai ragazzi di prendere iniziative nel sociale. Ci si interrogò anche sull’“essere Chiesa”. E poi, cosa significa “evangelizzare” i giovani? Da dove iniziare? Con quali mezzi e in che modo? Al termine del Confronto ‘88, fu approvato e lanciato un messaggio: «Il nostro cuore non può restare deluso: non si può fermare il nostro bisogno di vita, di gioia, la nostra ansia di libertà, il nostro bisogno di espanderci. Troppo spesso però i nostri sogni restano mortificati. Vogliamo
essere presenti là dove si sta costruendo la storia del mondo. Vogliamo mettere insieme le nostre migliori risorse nei gruppi e nelle associazioni per dire un sì pieno alla vita. Vogliamo essere preparati ai grandi compiti che questo momento storico ci richiede. Lo facciamo nel dialogo con gli adulti e nel recupero delle testimonianze che il passato ci consegna». UNA STORIA CHE CONTINUA
Quel Confronto ‘88, punto di incontro di quanti vivono i valori salesiani nella loro quotidianità di animatori, studenti e lavoratori e si impegnano nella società come buoni cristiani e onesti cittadini, mostrò che la stoffa per fare un buon abito di testimonianza cristiana c’era ed era forte. Il seme del Movimento giovanile salesiano era stato gettato. Trent’anni dopo quell’entusiasmo vive ancora. Lo scorso maggio a Valdocco il Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime ha incontrato i ragazzi del MGS (Movimento Giovanile Salesiano) del Piemonte. E nel 2017 al Colle don Bosco si è tenuto il Confronto europeo del SYM (Salesian Youth Movement). Mercoledì 23 gennaio 2019, poi, si terrà a Panama il prossimo incontro mondiale del Movimento Giovanile Salesiano all’interno della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. ANDREA CAGLIERIS redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Gli operai dell’ultima ora
NELLA LOGICA DI DIO LA SESSA RETRIBUZIONE DATA A TUTTI È SEGNO DELL’INFINITA MISERICORDIA DI UN PADRE CHE VUOLE ACCOGLIERE PROPRIO TUTTI, ANCHE I PIÙ LONTANI, ARRIVATI ALL’ULTIMO MOMENTO.
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«È proprio una brutta storia»! sentenzia Gian Luca, a proposito della parabola raccontata in Matteo, 1-16, in cui si parla di operai che ricevono la stessa retribuzione dopo aver lavorato per un diverso numero di ore. «È come se arrivassimo a scuola a mezzogiorno e avessimo gli stessi voti di chi è lì dalle otto del mattino!». Francamente, a nessuno di noi piacerebbe vedersi surclassato, assistendo alla gratificazione / avanzamento / promozione degli ultimi arrivati, mentre noi ci stressiamo da una vita nello stesso ambiente di lavoro, senza vedere riconosciuti i nostri sforzi. Eppure succede, nella logica dell’uomo. In quella di Dio, la sessa retribuzione data a tutti è segno dell’infinita misericordia di un Padre che vuole accogliere proprio tutti, anche i più lontani, arrivati all’ultimo momento. Logica difficile per i bambini. Forse perché troppo abituati ad esercizi di lettura e scrittura creativa, pro-
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pongono l’invenzione di un nuovo finale della parabola. Si leggono così storie di violente agitazioni sindacali, scioperi di massa, ricatti a danno del padrone, fino al tentativo di rapina a mano armata! Infine viene riequilibrato il gioco delle parti, con il togliere qualche cosa agli ultimi o con l’aggiungerlo ai primi. Beatrice, che ha avuto i genitori a lungo disoccupati, non ha scritto nulla. «Non aveva voglia di scrivere» dicono le male lingue. Ma la bambina fornisce una splendida lezione di vita. «Tutti gli operai sono andati a casa contenti», dice , «per aver ricevuto i soldi, ma anche per aver lavorato, perché essere senza lavoro è una cosa bruttissima, la più brutta del mondo!». Nessuno osa fiatare, tranne Matteo: «Hai ragione. Però dovevi esserci quando Gesù ha inventato la storia, così potevi suggerirgli questo bel finale». ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
Festa di Maria Ausiliatrice Torino Valdocco, 24 maggio 2018 Foto di: Dario Prodan, Andrea Cherchi, Antonio Saglia, ANS-Roma ESTATE 2018
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Il Rettor Maggiore Stiamo celebrando il centocinquantesimo anniversario dell’inaugurazione e consacrazione di questo santuario dedicato a Maria Ausiliatrice, che all’epoca esternamente era come è dipinto nel quadro dell’altare di San Giuseppe, e era molto sobrio e spoglio, senza marmi e decorazioni sulle pareti. Nei decenni successivi è stato ingrandito ed abbellito per continuare a esprimere l’amore e la devozione della nostra Famiglia Salesiana alla Madonna di Don Bosco. Ma per noi salesiani e salesiane, laici e consacrati, giovani e adulti, il culto e l’amore a Maria Ausiliatrice non è soltanto e primariamente né una “devozione” né un modo di pregare ed esprimere la nostra pietà: si tratta piuttosto dell’esperienza della Presenza attiva e operante di Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa, Maestra e Aiuto del Santo Popolo Fedele di Dio. Questa Presenza si verifica nei nostri cuori e nelle nostre opere. È un rapporto personale e comunitario con Colei che «ha fatto tutto». Si tratta, infine, di un fatto carismatico, un elemento costitutivo della nostra identità e missione. Celebrare l’anniversario di questa bellissima basilica è entrare nel mistero profondo della nostra esistenza come figli e figlie di Don Bosco. Sappiamo bene che Don Bosco era convinto che fosse stata la Vergine stessa a volere questa sua Casa-Chiesa-Santuario. Infatti senza di Lei sarebbe stato impossibile costruirla perché nostro Padre non aveva neanche un soldo in tasca, quando cominciò il progetto. Egli ripeteva tante volte ai suoi che «è la Madonna che vuole la Chiesa; essa penserà a pagare». E fu così... anche con grande fatica sua e di tanti soci, colla-
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boratori e benefattori. Maria stessa ha voluto che questa chiesa fosse la sua casa. Ma non una semplice casa dove si abita, dove uno si trova tra i suoi, in famiglia, dove c’è ristoro e affetto. Questa veniva chiamata ad essere una casa “MADRE”, cioè una casa dalla quale si ricevesse vita e spinta per andare oltre, a trasmettere vita: oltre le frontiere, oltre i mari e le montagne, e oltre ogni immaginazione possibile... È la casa aperta ed accogliente di una famiglia in uscita! Don Bosco ci racconta che nel mese di ottobre del 1844 ha fatto un sogno. Giovane prete, Giovanni fu costretto a trasferire l’Oratorio alla periferia della città, cioè a Valdocco. Il luogo e i mezzi e le persone a disposizione erano assolutamente incerti. Possiamo immaginare l’angoscia e l’ansia che questo creava in lui. Possiamo quasi sentire il battito inquieto del suo cuore... In quel sogno si ripete in parte la scena del sogno avuto ai 9 anni: «Sognai di vedermi in mezzo ad una moltitudine di lupi, di capre e capretti, di agnelli, pecore, montoni, cani ed uccelli. Tutti insieme facevano un rumore, uno
schiamazzo e meglio un diavolio da incutere spavento ai più coraggiosi...», ci racconta tempo dopo. Di fronte a questo scenario egli «voleva fuggire»! Curiosamente diverse volte durante il sogno egli vuole fuggire o andarsene... Ma non lo fa. E non lo fa perché non è da solo. In messo a quella confusione trova «una Signora, assai ben messa a foggia di pastorella». Ecco, la Presenza della quale vi parlavo prima, ecco l’esperienza fondante di questo rapporto costitutivo della nostra spiritualità carismatica salesiana. È bellissimo anche vedere alla nostra Madre come “pastorella”. Ma non soltanto per la sua apparenza di pastorella ma per quello che fa. Dice Don Bosco che quando lui, in sogno, voleva fuggire, Lei gli «fece cenno di seguire ed accompagnare quel gregge strano, mentre ella precedeva» E continua: «Andammo vagando per vari siti; facemmo tre stazioni o fermate...». Lei si presenta non solo vestita da pastorella ma mentre fa il mestiere di pastora! Ditemi se non è bello vedere la nostra Madre del Cielo, Regina di tutto il creato, vestire e fare la pastora! Vedete come non possiamo separare la
nostra esperienza della Sua Presenza dalla nostra missione e dal nostro vissuto come educatori-pastori dei giovani e del popolo di Dio e soprattutto di quelli più svantaggiati, più difficili, più soli e abbandonati. Questa imponente basilica, la cui costruzione ha procurato tante fatiche a Don Bosco e ai suoi successori per diventare così bella, non può essere capita e giustamente valorizzata se si la stacca dell’esperienza dell’Oratorio. In questo senso, per noi, dire Basilica di Maria Ausiliatrice e dire Valdocco e dire Oratorio di San Francesco di Sales è quasi una stessa cosa. Perché questa è la Casa della Regina-Pastorella che ha guidato maternamente Don Bosco nella fondazione di questo originale modo di vivere e lavorare nel cuore della Chiesa di Gesù. Nel sogno del ‘44 la Pastorella ha chiesto a Giovanni di guardare con attenzione, e allora Egli vide «...una stupenda ed alta chiesa. Nell’interno di quella chiesa era una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali era scritto: “Hic domus mea, inde gloria mea”» “Questa è la mia casa, da qui uscirà la mia gloria”. Come ho detto prima “questa casa” non si riferisce solo alla chiesa, ma a tutta la tipica esperienza educativo-pastorale del primo oratorio salesiano, qui, a Valdocco, che «fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria».1 È per questo che «l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera»2 Questo significa che ogni opera salesiana, di qualsiasi gruppo della Famiglia Salesiana, trova questa esperienza fondante, originale e originante, nella sua matrice ca-
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rismatica più profonda. Certo, ogni gruppo della nostra Famiglia, oggi con 31 rami, ha la sua particolarità e natura, i suoi elementi essenziali e i suoi destinatari preferenziali, ma tutti condividiamo lo stesso DNA sorto «... non da solo progetto umano, ma per iniziativa di Dio... [quando] lo Spirito Santo suscitò con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.»3 Perciò dicevo prima che questa casa di Maria è casa “Madre”, casa che da vita e identità carismatica. Da
qui sono partiti tanti missionari e missionarie! Da qui è partita la “Gloria” della nostra Madre che è la Gloria di Dio vissuta in chiave domboscana. Da qui sono partiti tanti “Valdocco”. Il Valdocco originale è uno, quello di Don Bosco perché non si tratta solo di coordinate di spazio, ma di spazio e di tempo. Il “criterio permanente” è quel Valdocco di Don Bosco, nella periferia de la Torino ottocentesca. Ma oggi troviamo tanti altri Valdocco in tutto il mondo e io posso dare testi-
monianza di questo con tanta gioia e lode a Dio. Ogni opera della Famiglia Salesiana che fa presente quello spirito originale sorto qui, tradotto alle diverse culture e paesi dove ci troviamo, viene chiamata a far emergere e brillare lo stesso DNA degli origini. Ecco la gloria che esce da questa casa Sua! Non si tratta della gloria della grandezza, delle ricchezze, delle influenze di potere, ma della gloria di una originale esperienza spirituale, educativa e pastorale: l’oratorio di Valdocco. Nostra Madre e Maestra, la Regina-Pastora dell’umanità intera, ha voluto farsi questa casa come matrice di umanità e santità, faro la cui luce arriva ad ogni angolo sulla terra. Oggi abbiamo un Papa, il nostro caro Papa Francesco, che è in parte frutto di questa ondata di spiritualità salesiana. Egli è nato alla vita cristiana nella fonte battesimale della Basilica di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, e più tardi ha assaporato con piacere il dolce gusto dell’ambiente salesiano. Sicuramente oggi il suo cuore è qui con noi, come tutti i 24 di ogni mese, come faceva là, quasi alla fine del mondo... Quando i primi missionari e missionarie partivano da qui ogni anno per le diverse parte del mondo, tutti portavano nel cuore il consiglio che don Bosco aveva scritto su un foglietto consegnato a Giovanni Cagliero: «Confidate ogni cosa in Gesù Sacramentato e in Maria Ausiliatrice, e vedrete che cosa sono i miracoli». I miracoli sono tanti, i “Valdocco” oggi sono tanti, ma ancora la gloria di questa “Casa Madre” viene chiamata ad andare oltre!
MARIA, NOSTRO AIUTO, PREGA PER NOI! DON ÀNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
1. Cost. SDB art. 40 2. Ibid. 3. Cost. SDB art. 1
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Alessandria: un CFP in cammino verso la modernità Nuovi arredi scolastici e tecnologie perché gli allievi siano al passo con in tempi, anzi li anticipino È già trascorso il mio primo anno da direttore del Centro di Formazione Professione di Alessandria. Un anno carico di aspettative, di speran-
ze ed anche di qualche timore, pur conoscendo questo CFP, in quanto responsabile territoriale dei Centri CNOS-FAP del Piemonte Orientale. Il CFP si trova nel quartiere “Cristo” di Alessandria, dove i Salesiani da sempre accolgono tutti e sono punto di riferimento sociale e lavorativo. Con l’aiuto di tante persone, quest’anno sono stati ritinteggiati gli ambienti e sostituiti gli arredi, come i banchi a trapezio e le sedie che conESTATE 2018
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sentono di applicare nuove tecniche di apprendimento. Poi, le tecnologie informatiche, compreso il wi-fi per l’accesso ad internet: sono il supporto per formatori e allievi, che così dispongono del materiale didattico a portata di mano. NUOVE OFFERTE FORMATIVE
Per stare al passo con i tempi e con le esigenze delle persone, il CFP ha rinnovato parte dell’offerta formativa, pur mantenendo la sua vocazione storica nel settore meccanico e dell’automazione industriale. Così, sono nati il nuovo laboratorio di saldatura, impianto senza necessità di manutenzione e dotato di otto postazioni di lavoro e di macchine di ultima generazione; poi, l’officina di meccanica d’auto, in collaborazione con FCA e altre aziende del territorio; ed ancora, è stato avviato il corso per il diploma professionale nel settore vendite ed è stato potenziato lo Sportello SAL dei servizi per il lavoro: le attività di placement! Ci sono, inoltre, una stampante 3D per la produzione di prototipi ed un braccio robotizzato, utile agli 22
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studenti di meccanica industriale per approfondire le conoscenze settoriali. Grazie alla squadra nella quale ciascuno svolge il proprio ruolo - dai formatori al personale amministrativo e di segreteria didattica – il CFP è quindi un punto di riferimento per le imprese che cercano risorse umane nei settori della meccanica industriale, dell’automazione, del commercio, con la sapiente regia degli operatori dello Sportello SAL, “centro per l’impiego” al servizio degli studenti e di tutti i cittadini dell’hinterland. IL CUORE DI DON BOSCO
L’azione educativa ne fa, poi, un polo di integrazione tra culture diverse, grazie all’opera svolta dal referente educativo, la cui figura quest’anno ha debuttato anche ad Alessandria, come in tutti i CFP piemontesi. Il referente, in collaborazione con il Direttore dell’Opera, don Gianfranco, ha accompagnato la crescita di circa 180 giovani iscritti ai corsi di formazione professionale iniziale e di oltre 100 adulti, con le varie proposte extracurriculari che scandiscono da sempre la vita dell’Opera Salesia-
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na. Il suo “lavoro” è prezioso perché complementare con quello svolto dai formatori, che ha rafforzato la relazione educativa con le famiglie. Tra le attività che hanno coinvolto i “primini”, c’è stato il percorso di accoglienza, conclusosi in una cena con i genitori ed i formatori. I ragazzi del secondo e terzo anno di qualifica, invece, hanno visitato i luoghi più significativi della Famiglia Salesiana, partendo dalle origini: Valdocco. Tutto questo per far vivere e trasmettere i valori salesiani, iniziando così un percorso di conoscenza con tutti gli allievi. Nel corso dell’anno, inoltre, sono state molte le iniziative sportive, culturali ed educative. Fra tutte spicca l’evento dedicato al lavoro organizzato in onore di don Bosco, il Torneo Beggiato-Aneli, giunto alla 18ma edizione, e il SAL-Day di fine maggio.
WORK IN PROGRESS
L’innovazione tecnologica e didattica è stata seguita di pari passo con quella organizzativa per rendere il lavoro di tutto il personale del CFP maggiormente rispondente alle esigenze del territorio e delle imprese: work in progress! La principale novità riguarda l’introduzione di un modello di lavoro basato sulla collaborazione e l’interazione del personale. Ai lettori lasciamo il “dono” più grande che abbiamo ricevuto quest’anno: la possibilità di vivere la Comunità Educativa, come non capitava da anni. Per tutti noi è stata una gioia sentirsi accolti come a casa e poter contribuire alla realizzazione del “Sogno Educativo” immaginato da don Bosco. MAURO TERUGGI redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Riaccendere il sorriso
Quando nel riordinare un cassetto in casa di sua madre Debora aveva ritrovato una vecchia foto di lei e della figlia Daniela davanti alla torta del suo primo compleanno, si era posta subito una domanda: chi aveva spento il suo sorriso? Doveva ammetterlo, era proprio un bel sorriso, pieno, aperto, illuminato dalla luce dei suoi occhi neri. Si era guardata allo specchio e non aveva trovato più nulla di quella donna felice. Ora era un’altra persona e non perché fossero passati tanti anni e, come diceva ridendo una sua amica, «il tempo passa e devasta». Il suo Io profondo era stato minato da una vita dura, piena di problemi e difficoltà. L’uomo che aveva sposato con amore ed entusiasmo si era rivelato molto al di sotto delle aspettative, debole ed incapace a farsi carico del ruolo di marito e di padre dei loro quattro figli. 24
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Col suo lavoro aveva tirato avanti la famiglia anche nei periodi in cui suo marito era stato disoccupato, poi i figli erano cresciuti, era diventata nonna ma nulla l’aveva più resa davvero felice, tutto era stato faticoso e pesante. Gli unici momenti di pace ed evasione erano quelli che dedicava alla cura dell’orto e del giardino: coltivare fiori e verdure era l’ unica cosa che riusciva a darle sprazzi di serenità. La fotografia ritrovata era stata come un pugno nello stomaco, una presa di coscienza di come si fosse fatta piegare e spegnere dalle avversità della vita, di come non fosse più capace a sorridere e come di questo suo sorridere avesse privato chi le stava intorno, perché si può rendere davvero felici gli altri solo se si è felici nel cuore e lei non lo era più stata, da tanti anni. Aveva sentito allora l’esigenza di fare un qualcosa di diverso che spez-
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zasse un tran tran senza luce e che le desse una scossa. DEBORA A LOURDES
Nella parrocchia del suo paese avevano organizzato un viaggio a Lourdes: quella poteva essere l’occasione giusta per fare un’esperienza importante e così Debora aveva deciso di parteciparvi. Era stato un viaggio speciale, in mezzo a gente vera, fatta non solo di malati ma anche da chi, come lei, aveva bisogno di leggersi dentro. A Lourdes, piccolo paese della Francia, Debora aveva trovato un’atmosfera meravigliosa che le aveva colpito l’anima. In mezzo ad una variegata moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo, pellegrini, volontari ed ammalati aveva cercato di attingere una nuova speranza. Il sorriso dei malati andava oltre il dolore, era pieno di fiducia, faceva sciogliere il suo cuore e l’invitava a guardare il mondo con occhi diversi. Si era poi ritrovata davanti al fascino della statua di gesso della Madonna, piccola ma carismatica, riflesso materiale della divinità e della grandezza della Madre di Dio. Non era mai stata una “bigotta”, anzi era una credente poco praticante ma la serenità che le aveva infuso questo incontro aveva fatto svanire tutto il resto, i tanti problemi personali quotidiani, le delusioni e l’amarezza.
con l’Angelo di Dio, si era rivelata a lei come lo aveva fatto con la pastorella Bernadette; era stato un dialogo intimo fra mamme, perché anche lei aveva sofferto e avuto paura per suo Figlio come tutte le madre del mondo ed è proprio la sua umanità che si fonde col divino che riesce a toccare ed aprire i cuori. Questo è il più grande miracolo di Lourdes: fare riflettere, riportare sintonia fra corpo e spirito, incontrare il divino, riscoprire se stessi per ritrovarsi con gli altri. Da Lourdes Debora aveva portato a casa la volontà di continuare la sua vita con la ritrovata positività scaturita dall’incontro con Maria e l’impegno e il desiderio di riaccendere il suo sorriso, per sé e per la sua famiglia, perché come diceva Madre Teresa di Calcutta: «un sorriso non costa nulla e rende molto, arricchisce chi lo riceve, senza impoverire chi lo dona… non dura che un istante ma il suo ricordo a volte è eterno».
L'UFFICIO DELLE COSTATAZIONI MEDICHE DEL SANCTUAIRE NOTRE-DAME DE LOURDES COMUNICA CHE "SU PIÙ DI 7000 DOSSIERS DI GUARIGIONI DEPOSITATI A LOURDES, DOPO LE APPARIZIONI, AD OGGI SONO 70 I CASI RICONOSCIUTI COME 'MIRACOLI' DALLA CHIESA". LEGGI: HTTPS://WWW. LOURDES-FRANCE. ORG/IT/GUARIGIONI-EMIRACOLI
FRANCESCA ZANETTI redzione.rivista@ausiliatrice.net
LA POSITIVITÀ RITROVATA GRAZIE A MARIA
La Madonna che aveva parlato ESTATE 2018
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CHIESA E DINTORNI
Ascoltare Dio nella vita quotidiana Le Intuizioni di un maestro spirituale del XX secolo
Il discernimento non è un’attività tra altre nella vita spirituale, ma è una prassi fondamentale per mettersi in ascolto del Soggetto per eccellenza dell’avventura dello Spirito. Essa non è tanto un’operazione circoscritta nel tempo, quanto una regolare disciplina che orienta e affina il nostro ascolto della voce di Dio. Il grande passaggio della vita spirituale è passare dalla sordità, a una vita di ascolto. A questa dimensione profonda del vissuto spirituale è dedicato il volume postumo di Henri Nouwen, Il discernimento. Leggere i segni della vita quotidiana, per i tipi della Queriniana. Il libro costituisce il terzo e ultimo volume della trilogia spirituale postuma di Henri Nouwen. I precedenti volumi, pubblicati dalla Queriniana sono: La direzione spirituale. Sapienza per il lungo cammino della fede (2007) e il secondo La formazione spirituale. Seguire i movimenti dello Spirito (2012). Da quest’opera così ricca vorrei evidenziare 26
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tre momenti importanti che costituiscono colonne costitutive dell’apprendistato del discernimento IMPARARE A VEDERE
Il terreno del discernimento è costituito dalla vita stessa. Già Meister Eckhart raccomandava: «Aspettatevi sempre Dio in ogni cosa». Il discernimenti comincia con la presa di coscienza che Gesù è lì attento alla nostra vita in tutte le sue sfumature. È una via che comincia con la preghiera. È lì che si lacera il velo dell’esistenza apparente e si coglie ciò che i mistici chiamano «la Realtà Invisibile». La contemplazione, infatti, «non guarda tanto alle cose quanto attraverso esse, fino al loro cuore, fino al centro e attraverso il loro centro per scoprire tutto il mondo della bellezza spirituale, che è più reale, ha più massa e densità» (41). La preghiera ci insegna a vedere e non solo a guardare. Non a caso i padri greci, grandi uomini
GUARDARSI DALL’ALTO
Questo ascolto di Dio non è sinonimo di una sottomissione cieca che svuota la vita. La volontà di Dio è la pienezza della vita e quando cominciamo ad attendere lui, scopriamo che è lui il primo ad attenderci e a promuoverci verso la nostra pienezza. Con quest’ascolto l’uomo ascolta se stesso, ma cambiando prospettiva. Non si guarda più dal basso, dal limite, dove la prospettiva è falsata, ma comincia guardarsi dall’alto, con l’occhio di Dio, con la grandezza infinito del desiderio e della fantasia di Dio. Quest’arte di guardare se stessi e gli eventi dall’alto è quanto si percepisce nell’esperienza dei santi (delle persone sante che incrociamo nell’ordinario della nostra vita). Sono persone che vivono la contingenza senza soccombervi. Leggono la storia e le possibilità non a partire da calcoli umani, ma nella prospettiva di Dio per il quale “nulla è impossibile”. FARE SPAZIO A DIO
Il discernimento è un dono dello Spirito di Dio. È lo Spirito che scruta le profondità del mondo e il cuore di Dio stesso (1Cor 2,10). Ma i doni di Dio, per fiorire e portare frutti richiedono la disponibilità umana. Ciò che si richiede all’uomo è allestire lo spazio favorevole all’ascolto di Dio. Per questo Nouwen ribadisce che «per una vita fisica, emotiva e spirituale sana dobbiamo strutturare il nostro tempo» perché «un ritmo di vita in cui i tempi e i luoghi sacri sono programmati ci dà molto sostegno spirituale e ci porta ad attenderli con ansia come “momenti di ristoro” per il discernimento» (49). Dio opera sempre e a volte ci sorprende anche quando non siamo preparati. Però, per permettere l’ordinaria opera divina, l’uomo deve creare le condizioni umane. È così che si dà una “possibilità” a Dio. DIO PARLA!
Nouwen considera diversi modi con cui Dio parla all’uomo e fa confluire nella riflessione sia la sua esperienza personale di discernimento, sia
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di discernimento, venivano chiamati “dioretici” perché vedevano il cuore delle questioni (dioráo: vedere dentro, vedere attraverso).
la tradizione della Chiesa e le esperienze dei santi. Egli mostra come Dio parla tramite i libri (in questo caso offre una lunga rassegna delle letture di Thomas Merton, il monaco che ha avuto un grande influsso su Nouwen). Dio parla anche in un libro molto particolare, quello della natura. In questo ambito, Nouwen evoca l’affinità di Gesù con il mondo naturale che lo circondava e afferma che chi vuole seguire Gesù deve «rimanere vicino al suolo» (101). Vi è una reciprocità tra contemplazione e natura. La prima ci apre gli occhi alla natura, e quest’ultima ci rende più attenti alla guida divina (103). Egli arriva ad affermare che la natura è la prima lingua di Dio. Dio parla a noi tramite le persone che incontriamo sul nostro cammino. In questa sede Nouwen parla a lungo delle varie persone che hanno segnato il suo cammino e che l’hanno portato ad affermare che Dio parla a noi tramite le persone che ci parlano di lui. Inoltre, Dio ci parla tramite gli eventi, quei eventi particolari che costellano la nostra vita. È la lettura dei «segni dei tempi». Lo spazio della lettura di questi segni è la mia vita stessa. La mia storia e presenza in questo momento preciso della storia non è una svista divina, ma è una chiamata e l’autore olandese invita a cogliere la grazia del momento. Anzi, per dirla con il classico di Jean Pierre De Caussade a cogliere «il sacramento del momento presente». Un ultimo momento che vorrei segnalare dai diversi che Nouwen sottolinea è il momento “sacramentale”. È interessante che Nouwen para dell’eucaristia, come luogo di ascolto di Dio a partire dalla pericope dei discepoli di Emmaus mostrando la convergenza nell’eucaristia dell’amicizia con Cristo e del valore dell’ospitalità. I due discepoli riconoscono Gesù nell’ospitalità, nel cuore aperto e generoso aperto a cogliere e ad accogliere il valore profondo dell’amicizia. Il discernimento è un momento di attesa, di pazienza, ma non per questo è passività. È piuttosto «un’attesa attiva in cui viviamo il momento presente per trovarvi i segni di colui che stiamo aspettando» (224). ROBERT CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Caterina, una donna straordinaria È la patrona di Genova. Una donna nobile, ricca e bella, malmaritata a Giuliano. Dopo la conversione si diedero ambedue ad una vita sobria, al servizio dei poveri e dei malati. Chiamata “dottore del Purgatorio” per il suo pensiero originale, diede origine alla Fraternità del Divino Amore. Nella “Lettera alle Donne” (1995), Giovanni
Paolo II parla del genio della donna che sì è manifestato lungo i secoli. Ecco le parole: «Penso alla lunga schiera di martiri, di sante, di mistiche insigni... E come non ricordare poi le tante donne che, spinte dalla fede, hanno dato vita ad iniziative di straordinaria rilevanza sociale a servizio specialmente dei più poveri?». Le ultime parole si applicano benissimo a Santa Caterina da Genova, una donna di straordinaria bellezza prima, e dopo la conversione di straordinaria carità e servizio ai bisognosi e malati. CATERINA MALMARITATA A GIULIANO
Caterina nacque a Genova nel 1448 dalla nobile famiglia dei Fieschi. Era ancora una fanciulla ma sentiva molto forte l’attrattiva alla preghiera. Era non solo molto bella ma anche intelligente, di carattere forte e alquanto impressionabile. Ricevette una buona educazione letteraria, ma di certo non perse la testa per i classici. A tredici anni invece chiese di entrare nel monastero delle suore agostiniane. Ma data anche l’età, l’opposizione della famiglia e dei parenti lo impedirono con estrema decisione. Avevano ben altri progetti sulla bella Caterina. E così fu indotta a pronunciare il fatidico sì a 16 anni. Era chiaramente un matrimonio 28
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“politico”, combinato, che curava gli interessi delle famiglie, dei Fieschi e Adorno. Non si pensava minimamente alla volontà ed alla felicità della ragazza. Lo sposo poi, un certo Giuliano, non era certo farina per fare ostie: violento, brutale, dissoluto, dissipatore delle ricchezze, senza regole. Quanto basta. Altro che principe azzurro. Furono 5 anni di autentica sofferenza, lacrime, solitudine e dubbi. Finché dietro suggerimento di alcune amiche, anche Caterina ebbe un assaggio di vita “mondana”. Scrisse un biografo: «Si diede alle cose del mondo, id est, a fare come le altre non però ne le cose de peccato». Ma lei non era assolutamente come le altre, e nel profondo del suo cuore non voleva esserlo. Ed ecco la conversione totale avvenuta (come per altre sante e santi) davanti al Crocifisso. Aveva capito in un istante, per vie dirette dall’alto (come già san Paolo sulla via di Damasco) che “Dio è Amore”, e che questo Amore si era manifestato in Cristo Gesù, particolarmente nella sua passione e morte. AL SERVIZIO DEL DIO AMORE
Caterina ebbe così una di quelle estasi o rapimenti mistici che si ripeteranno anche in seguito. Primo effetto della sua conversione fu la conversione di Giuliano, suo marito tutt’altro che marito. Insieme e di comune accordo, lasciarono
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la loro grande casa e si ritirarono in una molto più modesta vicino all’ospedale di Pammatone. E sempre insieme, si diedero al servizio dei malati. Un vero miracolo di coppia. Un fatto destò la meraviglia dello stesso Lutero in visita a Genova. Scrisse in seguito: «Negli ospedali accorrono delle spose onestissime tutte velate; per alcuni giorni, quasi sconosciute, servono i poveri e poi tornano a casa». Oggi si direbbe che facevano del volontariato per amore a Dio e al prossimo. Caterina quindi non era la sola a praticare con tanto eroismo l’amore al prossimo. Anche questo aiutava il rinnovamento della Chiesa. Un altro importante contributo per la riforma della Chiesa Caterina lo diede con la fondazione, insieme ad un notaio umanista, Ettore Vernazza, della Fraternità del Divino Amore. La sua vita eroica e di servizio totale ea nota a tutti, con il risultato che molte persone, attratte da lei e dal suo carisma, le chiedevano di essere la loro guida nel cammino della Via del Signore. E così nei convegni spirituali di Pammatone, lei effondeva in preziosi ammaestramenti quello che sosteneva il suo cuore e la sua azione: l’Amore di Dio. Le esperienze mistiche che aveva le traduceva, come poteva, in parole di sostegno e incoraggiamento agli altri. I suoi insegnamenti ci sono stati trasmessi anche con due opere: Dialogo spirituale e il Trattato sul Purgatorio. Qui parla, con linguaggio semplice e accessibile, della terribile serietà delle sofferenze delle anime per prepararsi all’incontro con Dio. È l’Amore di Dio che le sostiene nel dolore e la certezza di vederlo, quando lui vorrà. È un’opera di densa teologia, studiata e ammirata anche da esperti del settore.
spensabile però è spogliarsi dell’amor di sé o egoismo, che per Caterina, è il vero anticristo o anti dio. Questo riesce ad impadronirsi del cuore e della mente dell’uomo fino a diventare il vero motore del suo pensare ed agire, escludendo di fatto Dio dal proprio orizzonte di valori guida. Può anche arrivare ad accecare l’anima procurandole «tanta oscurità tra Dio e noi». A questa purificazione del nostro io, cresciuto troppo a scapito di Dio, servono le sofferenze che Dio stesso permette che abbiamo in questa vita e nel Purgatorio. E Caterina di sofferenze ne ebbe veramente tante. Il suo io era completamente purificato dal suo amore totale per Dio, attraverso i servizi più umili ai poveri, malati ed abbandonati. Verso la fine Caterina fu assalita da una misteriosa malattia, che la medicina del tempo non riuscì a capire. Lei comunque rimase sempre serena e tranquilla, totalmente nelle mani di Dio, abbandonata alla sua volontà fino alla morte. Questa, d’altra parte, non le faceva certo paura, avendola vista tante volte sul volto dei malati e peveracci che lei assistette. E la morte «dolce, soave... e bella», come lei la chiamava, arrivò il 15 settembre 1510. Aveva 63 anni. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
O MORTE DOLCE, SOAVE E… BELLA
Alla base della vita spirituale (sua e nostra) Caterina pone la lotta all’amor proprio. Dio deve essere amato per se stesso, non per i suoi doni e per le grazie che ci concede. Ed il fine della vita spirituale è proprio arrivare ad amare Dio solo per... amore di Dio. Condizione indi-
Pazze per Dio di Mario Scudu. Profilo storico-spirituale di 40 sante. ELLEDICI 2018 pp. 432. ESTATE 2018
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Dall’oratorio all’africa per servire i giovani Incontro con Paolo Vaschetto, coadiutore salesiano sulle orme di Don Bosco tra Kenya, Ghana e Nigeria «Il mio rapporto con don Bosco è nato nella quotidianità, senza “effetti speciali”. Frequentavo l’Oratorio salesiano di Bra, la città in provincia di Cuneo in cui sono nato, e sentivo farsi largo in me il desiderio di servire il Signore dedicandomi ai giovani, soprattutto ai più poveri. E l’opportunità di vivere e di operare in Africa ha fatto il resto, dando slancio alla mia vocazione». Con il volto sereno di chi sente di aver “azzeccato” le scelte cruciali della propria vita e le parole che inseguono i ricordi Paolo Vaschetto, quarantotto anni di cui ventinove trascorsi come coadiutore salesiano, racconta con semplicità il proprio essere missionario. IN MISSIONE CON PAPÀ
Com’è nata la passione per la missione? «Durante i miei primi anni di vita religiosa mio papà, perito agrario ed ex allievo salesiano, si è offerto come volonta30
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rio per la missione salesiana di Embu, in Kenya. Nel periodo delle vacanze estive l’ho raggiunto per un mese e, mentre lui metteva a frutto le proprie competenze in campo agricolo, io cominciavo a gettare i semi della vita missionaria grazie al contatto con i ragazzi più poveri, alla fede vissuta con intensità e ai paesaggi mozzafiato offerti dalla natura. E quando, nel 2001, l’Ispettore dei Salesiani mi domandò: “Te la sentiresti di andare in missione?”, risposi: “Perché no?”. Perché davvero non avevo motivi per rifiutare». E come si è sviluppata? «Da diciassette anni in Africa rinnovo ogni giorno la promessa di dedicare tutte le mie forze per realizzare il progetto educativo di don Bosco e ho sempre cercato di fare del mio meglio prima ad Akure, in Nigeria, poi a Sunyani, in Ghana, e infine a Ibadan, nuovamente in Nigeria. Ho ricoperto incarichi di amministrazione ma, per fortuna, sempre in tandem con l’ani-
SEMI DI SPERANZA PER UNA NIGERIA MIGLIORE
Da diversi anni vivi in Nigeria. Come è organizzata la presenza dei Salesiani? «Abbiamo sedi in otto città e, secondo il nostro stile, lavoriamo principalmente per la gioventù più povera e abbandonata. Le scuole tecniche e professionali, le parrocchie, i centri giovanili e le case che accolgono i ragazzi di strada sono solo alcune delle opere che fanno onore alla nostra Congregazione e alla Chiesa cattolica in uno Stato in cui le questioni religiose sono non di rado causa di conflitti. La formazione professionale dei giovani, unita a una solida formazione umana e civile, rappresentano le basi per una società più pacifica e tollerante sulla quale, nel nome di Don Bosco, ci impegniamo a scommettere ogni giorno». E la missione di Ibadan, in cui operi? «Don Bosco a Ibadan ha la “missio-
ne” di formare ottanta studenti di filosofia impegnati a riflettere su come la cultura cristiana possa rapportarsi con la cultura odierna e la maggior parte di loro seguirà una vocazione religiosa o sacerdotale. Le porte dell’oratorio, inoltre, sono aperte ogni giorno per accogliere i giovani, prevalentemente musulmani, cui vengono proposte occasioni di formazione umana, culturale e religiosa. I ragazzi più poveri e abbandonati che vivono prevalentemente in strada sono invece parte del programma chiamato Bosco Boys Project, che permette loro di ricominciare a vivere».
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mazione in Oratorio, in centri per ragazzi di strada o nei villaggi della foresta».
Quali consigli daresti a un giovane incerto se dedicare la propria vita ai più poveri? «Gli direi che offrire la propria vita ai giovani è grandioso ma terribilmente impegnativo. Che è necessario attrezzarsi, curando prima di tutto la vita spirituale, e che non esistono ragazzi “standard”, che corrispondono alle indagini sociologiche, ma persone. Dopodiché lo esorterei a buttarsi con generosità ed entusiasmo». CARLO TAGLIANI redazione.rivita@ausiliatrice.net
DALLE PAROLE AI FATTI Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività di Missioni Don Bosco Onlus in Nigeria può mettersi in contatto con l’Ufficio progetti, via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino, telefono 011/39.90.101, e-mail info@missionidonbosco.org o visitare il sito Internet www.missionidonbosco.org
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Chiara Badano, la luce di un sorriso. Un libro ripercorre il breve percorso terreno di una ragazza che affrontò la sofferenza con la serenità e la fede dei grandi. «La secolarizzazione è ormai ampiamente diffusa. Ma siamo ancora in grado di custodire e alimentare il buon seme della fede. Lo dimostra tanto la perseveranza di chi nella quotidianità rimane saldo nei principi religiosi, quanto la presenza di alcuni che hanno saputo vivere con particolare pienezza le virtù cristiane.Il presente volume è dedicato ad uno di questi testimoni, Chiara Badano». Con queste Mons. Pier Giorgio Micchiardi, Vescovo emerito di Aqui, presenta il nuovo libro edito da Elledici “La luce di un sorriso. Meditazioni sulla Beata Chiara Luce Badano” (pagine 120). L’autore è Paolo Parodi direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Asti, che ripercorre la breve vita di Chiara Luce Badano, attraverso i ricordi dei testimoni che ne hanno sostenuto la causa di beatificazione. Una storia di fede inten32
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sa, che apre a riflessioni profonde e illumina la strada della fede come una scia luminosa. AFFRONTA LA SOFFERENZA CON SERENITÀ E FEDE
Ma chi era Chiara Luca Badano? L’autore, che su invito di Mons. Livio Maritano è stato delegato vescovile per l’inchiesta diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione di Chiara Badano, la presenta come una ragazza come tante, che ha incontrato, però, la sofferenza molto presto e l’ha affrontata con la serenità e le fede dei grandi. Chiara nasce nel 1971 e a dieci anni conosce il Movimento dei Focolari, al quale in seguito aderisce. Intanto prosegue gli studi, ma nel 1988, durante una partita a tennis avverte un dolore lancinante alla spassa sinistra. Da lì inizia il suo calvario: viene più volte opera-
UN NUOVO NOME
La fondatrice dei Focolarini nel risponderle le assegna un nuovo nome: «Chiara Luce», ed è da qui che tutti prendono a chiamarla così. Da quel momento Chiara, rendendosi conto di come la sua vita fosse ormai verso la fine, comincia a predisporre tutto per il suo funerale, che lei chiamò la sua messa, le sue nozze con Gesù. Volle essere sepolta col vestito da sposa, bianco, lungo e semplice, perché morire per lei era incontrare lo Sposo; animata da questa fede, non solo era serena, ma invitava i suoi genitori, di cui era l’unica figlia, a vivere con letizia quel momento. Chiese a tutti di non piangere perché le sue esequie fossero un momento di gioia, non di dolore. Il 7 ottobre 1990 salì in cielo, non ancora diciannovenne. Inizialmente si credette che questi fatti, così come i racconti che ne seguirono fossero enfatizzati, ma non era così: erano il frutto maturo di una formazione che si era sviluppata ed espressa con costanza e fermezza nella prova della malattia. LA BEATIFICAZIONE
Nove anni dopo la sua morte iniziò l’istruttoria diocesana per aprire la causa di beatificazione;
vennero ascoltati 72 testimoni, tra i quali 1 vescovo, 2 sacerdoti, 2 diaconi permanenti, 3 religiose, 9 focolarini consacrati, 46 laici, di cui 7 congiunti della beata. L’inchiesta si concluse nell’agosto del 2000 e ne venne firmato il decreto sulla validità con la dichiarazione del 3 luglio 2008, che la confermò Venerabile. Il 19 dicembre 2009 venne riconosciuto un suo miracolo (la guarigione di un giovane triestino da meningite fulminante) e nel settembre 2010 il Papa firmò il decreto di beatificazione, celebrata il 25 settembre 2010 presso la Madonna del Divino Amore in Roma. «Siate felici perché io lo sono», così diceva a tutti Chiara Luce, nel momento della sua massima sofferenza, a testimonianza di come, proprio nel punto più abissale della delusione esistenziale, le fu paradossalmente possibile trovare le felicità. Come ricorda l’autore, «è nel saper scorgere la stella nell’angoscia della notte, e nel saper abbandonarsi a seguirla, che si sfugge alla disperazione e si scorge la presenza di Dio che si affaccia nella vita in modo imprevedibile».
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ta, ma gli esiti della malattia sono inesorabili. Decide di sospendere le cure, scrive a Chiara Lubich, informandola della decisione di interrompere la chemioterapia: «Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all’immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia… Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua, spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi».
LA REDAZIONE redazione.rivista@ausiliatrice.net
La luce di un sorriso di Paolo Parodi. ELLEDICI 2018 pp. 120. ESTATE 2018
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Con Maria, Donna credente
VIII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice Nel corso della Consulta Mondiale della Famiglia Salesiana, svoltasi a Torino dal 21 al 23 maggio 2018 in concomitanza con la festa di Maria Ausiliatrice, è stato ufficialmente annunciato il tema dell’VIII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, che si celebrerà a Buenos Aires (Argentina) dal 7 al 10 novembre del 2019. Con il titolo “Con Maria, Donna credente” l’evento, mettendo al centro l’ascolto della Parola, evidenzia come la fede in Gesù si trasmetta da persona a persona, da generazione a generazione, narrando le meraviglie compiute da Dio. Tutto questo con Maria, colei che ha accolto Gesù nel suo seno verginale e per 34
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questo è madre, maestra e guida della nostra fede. In modo particolare nell’accompagnamento delle giovani generazioni, nel loro cammino alla gioia, come ricorda il Documento di preparazione al Sinodo di ottobre, con il quale la Chiesa invita ad essere adulti generativi, radicati «nella preghiera e nella richiesta del dono dello Spirito che guida e illumina tutti e ciascuno». MARIA, L’AIUTO PER TUTTI, PER SEMPRE
In tale disegno che posto occupa Maria, dal momento che tutte le generazioni l’avrebbero chiamata beata? Questa parola non abbraccia solo tutti gli uomini che vivevano a quel tempo, ma quelli ancora che sarebbero venuti dopo sino alla fine del mondo. Ora affinché la gloria di Maria potesse estendersi a tutte le generazioni e avessero a chiamarla
IN ARGENTINA, TERRA DI PAPA FRANCESCO, DEVOTO DI MARIA AUSILIATRICE
L’VIII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, evento di Famiglia Salesiana, è promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) in accordo con il Segretariato della Famiglia Salesiana e con la Famiglia Salesiana dell’Argentina. La scelta di questa terra vuole ricordare la prima frontiera missionaria di don Bosco e insieme il particolare valore che rappresenta per papa Francesco la devozione all’Ausiliatrice e la Basilica di Maria Ausiliatrice di Almagro, dove venne battezzato e dove espresse il suo amore a Maria Ausiliatrice, fin quando venne elevato alla cattedra di Pietro.
DON BOSCO OGGI
beata, bisognava che qualche beneficio straordinario e perenne venisse da Maria a tutte queste generazioni; cosicché essendo perpetuo in esse il motivo di loro gratitudine fosse ragionevole la perpetuità della lode. Ora questo beneficio continuo e mirabile non può esser altro che l’aiuto che Maria presta agli uomini. Aiuto che abbraccia tutti i tempi, si estende a tutti i luoghi e ad ogni genere di persone.
Dal 1988 si sono celebrati sette Congressi Internazionali: – I: Torino-Valdocco (Italia) nel 1988, in occasione del centenario della morte di Don Bosco; – I I: Cochabamba (Bolivia) nel 1995; – III: Siviglia (Spagna) nel 1999; – IV: Torino-Valdocco (Italia) nel 2003, in occasione del centenario dell’incoronazione di Maria Ausiliatrice; – V: Città del Messico (Messico) nel 2007; – VI: Czestochowa (Polonia) nel 2011: – VII Torino-Valdocco/Colle Don Bosco (Italia) nel 2015, in occasione del bicentenario della nascita di don Bosco. ADMA PRIMARIA redazione.rivista@ausiliatrice.net
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
I CONGRESSI E IL 150° DELL’ADMA
I Congressi di Maria Ausiliatrice sono eventi di rilevanza mondiale per la Famiglia Salesiana che attraverso la promozione della devozione a Maria Ausiliatrice vuole far crescere la sua identità spirituale ed apostolica. Provvidenzialmente nel 2019 l’ADMA festeggierà il 150° di fondazione. ESTATE 2018
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ADMA PRIMARIA redazione.rivista@ausiliatrice.net
Questa è la mia casa, da qui la mia gloria! Storia della costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice (terza parte). Celebrando il 150° di consacrazione della Basilica di Maria Ausiliatrice (9 giugno 2018).
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DECORAZIONE
Don Bosco aveva in mente un preciso piano iconografico: voleva, attraverso i dipinti posti sugli altari, comunicare dei contenuti, presentare al fedele non solo dei santi cui indirizzare le proprie preghiere, ma degli esempi da seguire. Nel giugno del 1868 era già al suo posto il quadro maggiore del pittore Tommaso Lorenzone; mancavano all’appello gli altri quattro dipinti che dovevano decorare altrettanti altari minori, ma nel giro di sette anni, entro il 1875, l’impresa era portata a compimento. L’altare nel transetto sinistro era (ed è tuttora) dedicato a San Giuseppe, “Sposo della Madre di Dio”. Il transetto destro ave-
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va un altare dedicato a San Pietro (oggi l’altare è dedicato allo stesso don Bosco); il soggetto era la consegna delle chiavi simboliche a Pietro da parte di Gesù. Successivamente, procedendo verso il fondo, si incontrava l’altare dedicato a Sant’Anna. Il soggetto raffigurava Sant’Anna che insegna alla piccola Maria a leggere. A sinistra della porta principale vi era un altare dedicato ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria. Gli affreschi che decoravano la volta e le pareti erano stati approntati dal pittore Giuseppe Rollini con scene allegoriche. Ultimo lavoro, compiuto dopo la morte di don Bosco, fu la decorazione della cupola con la Gloria dell’Ausiliatrice.
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Magnifici pontificali; funzioni quotidiane fatte non solo con gravità sacerdotale, ma anche con divota partecipazione di folte schiere giovanili; abbondanza della divina parola. Insomma, eretta che fosse la bella casa di Dio, egli scorgeva nel suo interno pietà, all’esterno festevole ammirazione, in ogni dove serenità di pensieri e giocondità di vita, e sul vertice la Madonna benedicente e dicente: “Io sono quassù per vedere e ascoltare tutti i miei figli dell’oratorio”».(1) CHIESA-MADRE DEI SALESIANI
CUORE DELL’ORATORIO
A don Bosco premeva che «la chiesa di Maria Ausiliatrice divenisse veramente il cuore dell’Oratorio. Vagheggiava già con la mente svariate forme di attività che all’ombra della sua cupola avrebbero preso svolgimento fra un mondo di persone; pregustava la gioia che avrebbe provato vedendo tutti riuniti sotto le sue volte fare un sol coro, cantando le lodi del Signore e della Madonna, e dissetare le loro anime alle fonti della grazia; si rappresentava la gara generale per celebrarvi con solennità le feste maggiori, nelle magnificenze del culto. Il concerto delle sue campane avrebbe ricreato e sollevato gli spiriti come armonie scese dal cielo. Per le sue porte sempre aperte sarebbero passati grandi e piccoli durante il giorno per andar a pregare dinanzi al tabernacolo di Gesù Sacramentato e al quadro della Beata Vergine.
Una chiesa di tali dimensioni veniva a operare un’evoluzione nel luogo dove sorgeva. I giovani salesiani che ne vedevano crescere i muri, non poterono fare a meno di pensare che l’Oratorio si avviava a diventare qualche cosa di più e di meglio che un semplice ospizio per ragazzi poveri. Don Bosco di tanto in tanto sollevava un lembo del velo che ricopriva il futuro e i suoi salesiani nutrivano un vago presentimento di essere i pionieri chiamati ad aver parte agli inizi di un’opera straordinaria. Egli mirava ad accendere un mistico focolare a cui si sarebbero accese e tornate a ritemprarsi generazioni di operai evangelici, mandati a lavorare nella vigna del Signore. «Sai un’altra ragione per fare una nuova chiesa? Domanda a un altro dei suoi chierici, don Cagliero. “Penso, rispose il Cagliero, che sarà la chiesa madre della nostra futura congregazione, ed il centro dal quale emaneranno tutte le opere nostre a favore della gioventù”. Hai indovinato, confermò don Bosco, Maria SS. è la fondatrice e sarà la sostenitrice delle nostre opere».(2) (1) E. Ceria, Annali della Società Salesiana dalle origini alla morte di S. Giovanni Bosco (1841-1888), 1941, vol. I, pp. 88-89 (2) Memorie Biografiche, vol. VII, p. 334
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Quando una pellicola t’ispira la vita... Incontro con padre Vittorio Castagna, che ha “conosciuto” Don Bosco attraverso un film e da otto anni è missionario salesiano in Guatemala. «Il mio primo “incontro” con il mondo salesiano lo ricordo bene. Avvenne a Washington attraverso le immagini della pellicola Don Bosco, realizzata dal regista Leandro Castellani nel 1988, in occasione del centenario della morte del santo. Avrò avuto otto o nove anni: mio padre lavorava all’Ambasciata italiana degli Stati Uniti d’America e io, tra una lezione e una partita con gli amici, amavo guardare film alla tv». A raccontarlo è padre Vittorio Castagna, trentotto anni, originario di Taranto ma nato a La Spezia e da otto anni missionario salesiano in Guatemala. LA FORZA DELL’ESEMPIO E LA DOLCEZZA DELLE PAROLE
Che cosa accadde dopo la visione di quel film? «Quando lasciai gli Stati Uniti per tornare a Taranto incontrai non poche difficoltà ad 38
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adattarmi alla nuova vita. Per contribuire ad attutirne l’impatto i miei genitori decisero di mandarmi a scuola dai Salesiani. Fui immediatamente conquistato dalla loro serenità e dal loro entusiasmo nel trasmettere, non solo a parole, istruzione ed educazione. E cominciai a domandarmi sempre più spesso: “Perché non posso seguire le loro orme? Perché non posso diventare come loro?”». E così, nel 2010, sei stato ordinato sacerdote salesiano… «È stato il coronamento di un sogno che portavo nel cuore. Ma un altro desiderio, dopo aver ascoltato numerose testimonianze di missionari salesiani in Africa, in Asia e in America latina si stava facendo strada in me: andare in missione. Informai i superiori che ero disponibile a partire e loro stabilirono d’inviarmi in Guatemala. Fui destinato al dipartimento di Petén, nel nord del Paese, per dar vita a un centro giovanile.
AL SERVIZIO DEL POPOLO MAYA Q’ECHI
Come è stato il primo approccio con la missione? «Non facilissimo, a cominciare dalle difficoltà legate alla comprensione della lingua. I Q’eqchi sono una popolazione indigena molto antica, discendente dai Maya. La loro cultura è molto aperta e non ha fatto fatica, nel corso dei secoli, ad accogliere elementi di religioni e tradizioni con cui è entrata in contatto. Accanto ai riti tradizionali i Q’eqchi hanno accettato alcuni elementi della cultura cristiana che hanno dato vita a un processo di evangelizzazione che si sta sviluppando all’interno di un forte sincretismo religioso». Quali sono i “segni particolari” della tua missione? «La parrocchia in cui opero è formata complessivamente da 250.000 abitanti suddivisi in 350 villaggi. Oltre che nell’evangelizzazione aperta a tutti siamo impe-
gnati soprattutto sul fronte dell’istruzione rivolta, in particolare, ai giovani tra i quindici e i vent’anni di età. Anche se non possiedono grandi ricchezze, i Q’eqchi sono un popolo felice. Quando s’incontrano non si dicono, come da noi, “Buongiorno” o “Buonasera”, ma si domandano l’un l’altro “È felice il tuo cuore?”: un segno della profonda spiritualità e dello spirito di condivisione che li anima».
DON BOSCO OGGI
Quando atterrai in Guatemala, però, mi chiesero di fermarmi temporaneamente nel distretto di Alta Vera Paz, abitato dalla popolazione indigena dei Q’eqchi, per sostituire un confratello malato. Da allora sono trascorsi otto anni…».
Che cosa ti ha regalato condividere la vita con loro? «Innanzitutto la dimensione della paternità spirituale. Vivere la missione mi aiuta a superare progressivamente le barriere interiori e condividere la vita con i Q’eqchi ha rappresentato, per me, una seconda conversione umana e spirituale. Dopo otto anni al loro fianco credo di avere imparato a osservare, ad aspettare e a rispettare». CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net
DALLE PAROLE AI FATTI Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività di Missioni Don Bosco Onlus può mettersi in contatto con l’Ufficio progetti, via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino, telefono 011/39.90.101, e-mail info@ missionidonbosco.org o visitare il sito Internet www. missionidonbosco.org
ESTATE 2018
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DON BOSCO OGGI
Torta rustica (a modo mio) ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
In questo straordinario 2018, in occasione del compleanno della nostra Basilica, sono molto gettonati i sogni di don Bosco, specialmente quelli profetici, relativi al cammino della Congregazione Salesiana, e quelli relativi all’aldilà. Ne richiedono con interesse il racconto i gruppi parrocchiali della Terza Età con impronta culturale. Oltre ai sogni che don Bosco faceva dormendo, destano molta curiosità quelli fatti ad occhi aperti, come la speciale visione del futuro di Giovanni Cagliero. Nell’estate del 1854, nella Torino colpita da una grave epidemia di colera, i ragazzi dell’Oratorio di Valdocco si erano distinti nel servizio degli ammalati, senza risparmiare fatiche. Una sera, al ritorno dal lazzaretto dove aveva lavorato duramente, Giovanni Cagliero fu colpito da una febbre violenta. La diagnosi: tifo, non lasciava molte speranze. Dopo un mese di malattia, il ragazzo, stremato, fu preparato con delicatezza dal compagno Giuseppe Buzzetti a ricevere l’Estrema Unzione; i medici disperavano di salvarlo. Don Bosco entrò piangendo nella stanza del malato portando il Viatico. Ma improvvisamente si fermò, quasi paralizzato dallo stupore. Vide una colomba candida volteggiare sul letto di Giovanni. Portava nel becco un ramo d’ulivo che lasciò cadere sulla fronte del malato. Le pareti della stanza improvvisamente si dilatarono, la40
MARIA AUSILIATRICE N. 4
sciando il posto a spazi sconfinati ed una lunga fila di uomini giganteschi, di pelle scura, stranamente abbigliati, si avvicinò al letto. Due di loro, fissando il volto dell’ammalato, dicevano, piangendo: «Se lui muore, chi verrà in nostro soccorso?». Don Bosco, a quella visione, i cui particolari raccontò dopo molto tempo a Cagliero e Buzzetti, ebbe la certezza che il ragazzo sarebbe guarito, «avrebbe portato il breviario e lo avrebbe fatto portare a molti altri». Giovanni Cagliero divenne sacerdote, fu il primo missionario ed il primo vescovo salesiano. Fatto degno di commemorazione con la torta seguente: • INGREDIENTI PER LA TORTA RUSTICA: • UN ROTOLO DI PASTA SFOGLIA • 1 HG DI FORMAGGIO ASIAGO • 50 G DI PROSCIUTTO COTTO • UNA MELA ROSSA
Foderare una tortiera imburrata con metà della pasta sfoglia. Tagliare la mela, con la buccia, a fettine sottilissime, con il robot da cucina o l’affettatartufi. Coprire la base di pasta con le fettine di prosciutto, adagiare su queste il formaggio a fettine e coprire il tutto con le fette di mela. Ricoprire il ripieno con l’altra metà della pasta sfoglia, spennellata con il latte. Cuocere in forno a 180° per 50 minuti.
Ricordiamo che la prima santa Messa quotidiana celebrata nella Basilica di Maria Ausiliatrice
è officiata per tutti i benefattori dell’opera salesiana. La redazione
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