Rivista Maria Ausiliatrice 5/2015

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MARIA AUSILIATRICE D E L L A

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se Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3 – CB–NO/TORINO

1,70 Euro IT

#L ’AMORE

E LA VITA ABITANO NELLA FAMIGLIA

4 G ENDER. COSA SIGNIFICA REALMENTE E QUALI SONO LE PERPLESSITÀ?

10 L ’AMORE NON “USA” PERCHÉ È CASTO E SI SACRIFICA PER GLI ALTRI. PAPA FR ANCESCO AI GIOVANI A TORINO

36 A MATHI E A NOLE.

ISSN 2283–320X

LA CARTIER A DI DON BOSCO. SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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“Meraviglioso” Assolutamente da visitare, meraviglioso sia dall'esterno che dall'interno! Nulla da invidiare a molti santuari piu famosi italiani. Roby81, Pomezia IT

“profondo” In questo santuario se si entra anche solo per visitarlo senza altre idee la sacralità ti entra nell'anima ed è difficile dopo l'uscita abbandonarla. Tamara, Torino IT

“Molto bella” Chiesa molto suggestiva, con all'interno le reliquie di Don Bosco. Si trova leggermente distante dal centro, ma partendo dalle Porte Palatine si arriva a piedi in 10 minuti. Da visitare! Angelacaroli, Portogruaro IT

“La Basilica delle Basiliche!” Basilica bellissima dedicata a Maria Ausiliatrice. La presenza di un Santo Sociale di Torino come San Giovanni Bosco sono la garanzia per un momento di preghiera raccolto di alto livello in un ambiente profusione di marmi e affreschi. Ampia possibilità di parcheggio. Pulizia ed ordine impeccabili. Santità, storia e monumentalità! Vit11981, Torino IT

“Dolci ricordi” Arte e storia nella visita alla Basilica di Maria Ausiliatrice. La piana di Valdocco di Salesiana memoria! Da non perdere. Patricia, Riva del Garda IT

“Per tutti” Sia per chi è cresciuto in oratorio, per chi amai bambini, per i poveri e i ricchi ..il Santuario delle spoglie di Don Bosco e Domenico Savio è un luogo per riflettere sul valore delle cose importanti e sapere che al mondo si può e si deve essere anche per gli altri. Neve, Roma IT

“da non perdere.” non conoscevamo questa basilica, ma quando siamo andati alla esposizione della sacra sindone, uno dei volontari ci ha suggerito di andarci, e così abbiamo fatto. assieme alla basilica della consolata, è una delle basiliche piu' belle che ci sono a torino. da vedere assolutamente. Mami014, Padova IT

“Pellegrina da Don Bosco” Emozione e devozione, raccoglimento e preghiera ma anche visita guidata a questi luoghi di Fede e di Santificazine. Ringrazio chi ci ha accolti, guidati ed accompagnati in una splendida mattinata a Valdocco. AleQuai, Domaso IT

“visita obbligatoria” Don Bosco è uno dei più grandi personaggi della storia d'Italia, uno dei più importanti... questo santuario è davvero una vista obbligatoria per chi va a Torino, per la bellezza del luogo e per l'atmosfera che si respira. Commovente. Luca, Mouans-Sartoux FR

“Best day of my life” It was a dream come true, to have visited Don Bosco's masterpiece. It was a really selfmoving experience and I highly recommend this to all the Salesians around the globe. Jorgecoro, San Juan, Argentina

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Da’ senso a ciò che ti è chiesto

foto: Mario Notario

Cari amici, dopo la calda pausa estiva, riparte il nostro cammino rientrando nella normalità della vita, con le sue gioie, le sue fatiche, le sue speranza e i suoi timori, i suoi impegni e le sue esigenze. Spesso ci si lamenta della pesantezza per la ripetitività dei giorni, per le cose normali, quotidiane, sempre uguali, per la poca novità della vita che si snoda senza particolari variazioni. C’è un famoso detto, particolarmente riferito alla vita dei religiosi e delle religiose: Mea maxima penitentia vita communis, interpretando quel «communis» come fatica del vivere insieme, cosa non sempre facilissima. Il card. Martini però, con la sua tipica capacità di lettura, dà un’altra interpretazione, più profonda e applicabile a tutti: «vita communis» viene tradotta da lui come «vita normale, comune, feriale, quotidiana», con le sue fatiche e le sue difficoltà, spesso priva di impennate. È vero: il ripetersi delle cose, sempre un po’ uguali, rischia di creare pesantezza e noia, perdita di interesse, di serenità e gioia, ma forse il problema non è dato dalle cose in sé, ma dalla nostra incapacità di cogliere in questo scorrere del tempo e delle cose quel pizzico di novità, di luce che è in esse, diventando un po’ lamentosi e spesso noiosi. Tante volte è il nostro occhio, probabilmente un po’ miope, che non sa porre il “normale” alla luce di un orizzonte più vasto. Quando Domenico Savio chiese a don Bosco il segreto per farsi santo, la prima cosa che don Bosco gli disse è «compi bene il tuo dovere», cioè da’ senso a ciò che fai, a ciò che ti è chiesto, scoprendo che in esso è nascosto un pizzico di eternità dato dall’ amore di Dio per te e di te per Dio. In fondo non è che la traduzione di quanto s. Paolo dice nella lettera ai Colossesi (3, 23): «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore». Possiamo dire che i trent’anni di vita di Gesù a Nazareth sono stati senza significato e non invece concreta e silenziosa partecipazione alla vita degli uomini, preparazione per quanto è avvenuto dopo? Che la vita di Maria sia stata vuota pur nella semplicità in un villaggio sperduto della Galilea? La novità di ogni giorno non sta nelle cose che si fanno, ma è data da un cuore generoso, aperto, che sa porre in ogni cosa quel tocco di amore che lo apre a Dio e ai fratelli: è la Liturgia della vita tanto richiamata come risposta generosa a Lui per i tanti doni del suo amore. Riprendiamo allora questo cammino nella speranza e con un occhio più attento, più profondo, più obiettivo, più capace di scorgere le scintille di bene presenti nel mondo e aiutare i nostri fratelli e sorelle a liberarsi dalla tristezza, dalla noia, scoprendo che la vita è sì fatica e impegno, ma è anche gioia,serenità, speranza. Affidiamo sempre tutti voi alla protezione di Maria Ausiliatrice nel suo Santuario. Un cordiale e caro saluto. DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net

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ROBERT CHEAIB

1 DA’ SENSO A CIÒ CHE TI È CHIESTO

DON FRANCO LOTTO

A TUTTO CAMPO 4 GENDER. LE SFUMATURE DI UN TERMINE ROBERT CHEAIB

CHIESA E DINTORNI 7 IO ATEO, TU PRETE ANNA MARIA MUSSO FRENI 8 SE LÌ C’È DIO, VA BENE MARIO SCUDU 10 L’AMORE É CASTO

GIOVANI 26 SEGUACI DI CRISTO

ERMETE TESSORE

MARCO BONATTI

18 ANNUNCIARE IL VANGELO A TUTTI

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SEMPRE CON NOI 22 GRAZIE DON ENZO MARIO SCUDU

LUCIANO CARDINALI

LA PAROLA 16 L’“ESTREMISMO” DI GESÙ

domus mea ic

MARCO ROSSETTI

Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80

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BERNARDINA DO NASCIMENTO

GIULIANO PALIZZI

14 CARLO DI CAMERANA: UN CAVALIERE

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MARIA 20 OSTINATAMENTE MADRE FRANCESCA ZANETTI 24 L’AUTENTICA DEVOZIONE MARIANA

28 TEMPO DI VACANZE

EZIO RISATTI

RAPITO DA CRISTO

MARCO BONATTI

O SOCI DI UN CLUB?

LA REDAZIONE

12 ASCOLTARE CON MENTE LIBERA E CUORE APERTO

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LA REDAZIONE

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Progetto Grafico: at Studio Grafico – Torino Stampa: Higraf – Mappano (TO)

Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino Centralino 011.52.24.822 Diffusione 011.52.24.203 Fax 011.52.24.677 rivista@ausiliatrice.net http://rivista.ausiliatrice.net

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BERNARDINA DO NASCIMENTO

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GIULIANO PALIZZI

DON BOSCO OGGI 30 DON BOSCO, PAPA FRANCESCO E DON FERNANDEZ ARTIME

CLAUDIO GHIONE

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42 DALLA CASA DI MARIA ALLE NOSTRE CASE PIERLUIGI CAMERONI

LORENZO BORTOLIN

32 ANCHE IL CARCERE PUÒ DIVENTARE UN ORATORIO

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44 PEPERONI IN AGRODOLCE

ANNA MARIA MUSSO FRENI

CARLO TAGLIANI

34 L A GALLERIA DI DON BOSCO, PRINCIPALE

ATTRAZIONE DELL’“EXPO” DI TORINO 1884 ANDREA CAGLIERIS

36 QUANDO DON BOSCO ACQUISTÒ LA CARTIERA

FEDERICO VALLE

38 DIRE DON BOSCO OGGI CON LA MUSICA CLAUDIO GHIONE

40 FAMIGLIE IN CAMMINO CON MARIA FAMIGLIE ADMA

POSTER IL ROSARIO: UN AIUTO PER LA GRANDE IMPRESA MARIO SCUDU

RivMaAus

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Foto FOTOLIA: Pavel Losevsk (4); Sergiogen (44); Nathalie P.(13); SYNC-STUDIO: Paolo Siccardi (6); ALTRI: Archivio RMA (5, 7, 12, 14, 16, 20-22, 24, 26-27, 29, 32-35); Andrea Cherchi (10-11,31); Comstock (17), Gabriele Guatteri (25); Stuart Black (28); F ederico Valle (36-37); Massimo Masone (38-39); ADMA-Torino (40-42);

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A TUTTO CAMPO

Gender. Le sfumature di un termine

ROBERT CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net

«LE DIFFERENZE TRA UOMO E DONNA NON SONO PER LA CONTRAPPOSIZIONE O LA SUBORDINAZIONE MA PIUTTOSTO PER LA COMUNIONE E LA GENERAZIONE, SEMPRE A IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO». «SENZA IL RECIPROCO CONTRIBUTO – AGGIUNGE – NESSUNO DEI DUE PUÒ COMPRENDERSI IN PROFONDITÀ».

(PAPA FRANCESCO, DISCORSO AI VESCOVI DI PORTO RICO, 8/6/2015)

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Gran parte dei nostri dibattiti contemporanei si fondano su sostenuti fraintendimenti. Forse uno dei termini su cui si discute senza ancora capirne il senso e la valenza è il termine gender divenuto in pochissimo tempo di uso comune. Ma cosa significa realmente? È alla definizione di questo termine che Aristide Fumagalli dedica la prima parte del suo libro La questione gender. Una sfida antropologica, edito da Queriniana. Il termine si mostra come non univoco e pertanto suscettibile di essere equivoco. Le sue valenze, infatti, possono variare dalla costatazione del sesso biologico, alla dichiarazione dell’identità di genere (relativa alla percezione di sé in accordo o meno con il proprio sesso biologico). Da questa scaturisce la comprensione del gender come orientamento sessuale e conseguentemente come adozione di un comportamento sessuale.

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Un’altra valenza di gender è il ruolo di genere legato alla dimensione socio–culturale e le sue attese e pretese riguardo all’identità e al comportamento sessuale degli individui. Quest’ultima dimensione costituisce la reale tematica della questione gender in quanto, diversamente dall’essenzialismo naturale (che riconosce che la sessualità è una dimensione innata), il costruzionismo socio–culturale ritiene che «le differenze di genere siano un’elaborazione della cultura sociale, cosicché uomini e donne non lo si è fin dalla nascita, ma lo si diventa». LE TAPPE DELLA GENESI DELL’IDEOLOGIA GENDER

L’autore rintraccia lo sviluppo dell’ideologia gender mostrando come la radice del tema sia ben diversa dall’esito attuale. Il libro individua quattro tappe che hanno


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portato alla situazione odierna. La prima parte dalla legittima causa per la parità di genere condotta dal femminismo. L’ingresso del dibattito sul gender risale agli anni settanta e specificamente alle quattro conferenze mondiali sulle donne promosse dall’Onu tra il 1975 e il 1995. La prima fu a Città del Messico e aprì il dialogo internazionale sulla parità del genere femminile e maschile. Le successive due continuarono nella stessa linea, ma è con la quarta (Pechino 1995), che la questione di gender acquisisce il suo attuale rilievo sessuale.

promuovono, ad esempio, la messa in questione della famiglia, per sua indole naturale bi–parentale, e cioè composta di padre e di madre, l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa». …ED ANTROPOLOGICHE

La conferenza di Pechino desta preoccupazione data la portata delle questioni in gioco. La dissociazione ideologica tra genitorialità affet-

PERPLESSITÀ ECCLESIALI…

La Chiesa esprime le sue perplessità, non sulla questione della liberazione della donna, ma sulle derive dissolutive della natura del legame familiare. «Questa antropologia – si legge in una Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2004 – che intendeva favorire prospettive egualitarie per la donna (…) di fatto ha ispirato ideologie che

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La questione gender. Una sfida antropologica Fumagalli Aristide Prezzo Euro 9,00 Queriniana 2015, pagine 112

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tiva ed effettiva porta a un indifferentismo verso la dimensione umana della genitorialità biologica. Questa diventa semplicemente una causa strumentale volta all’ottenimento di un prodotto, il bambino. Del genitore non importa più il patrimonio genetico e generativo, ma soltanto quello affettivo ed educativo (tanto che possono essere “etichettati” indifferentemente come genitore 1 e 2). Un tema che viene sistematicamente trascurato nelle affermazioni ideologiche sulla matrice sociale (e non “naturale”) dell’autocoscienza della propria sessualità è il dato incontrovertibile: l’essere umano nasce con un corpo sessuato. La sessualità non è (solo) un fatto culturale, sociale e inculcato, è un pre–dato genetico. Sessuati si nasce ed è in relazione al proprio corpo sessuato e al corpo sessuato dell’altro che l’essere umano coglie, matura ed esercita la propria sessualità. Per questo motivo Aristide Fumagalli conclude che «l’ideologica riduzione dell’identità sessuale al sentimento psichico e alla libertà individuale è una semplificazione indebita e contraddittoria delle variabili che intervengono nel processo di identificazione sessuale. Sentimento psichico e libertà individuale sono variabili imprescindibili ma non esclusive dell’identità sessuale, condizioni necessarie ma non sufficienti». La considerazione della complessità di fattori che incidono e concorrono a decidere l’identità e l’identificazione sessuale del soggetto obbligano necessariamente a una più ampia considerazione antropologica che costituisce il vero e proprio apporto riflessivo dell’autore. Di questi aspetti vorrei mettere in luce brevemente due dimensioni. Fuma-

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galli ribadisce “l’originarietà” della relazione tra uomo e donna, un’originarietà non arbitraria, ma oggettiva. Il rapporto sessuale tra uomo e donna è alla base dell’esistenza di ogni essere umano. Non si tratta di un’opinione, ma di un fatto innegabile. Questo stesso fatto co–implica la connaturalità, normalità e normatività della coppia uomo–donna. Il bambino accede al mondo tramite la differenza sessuale. Le leggi devono tutelare questo humus originale della formazione della vita: «Che i genitori da cui nasce il figlio siano i medesimi che lo cresceranno non è lo stesso che se fossero altri». Ogni alterazione delle figure genitoriali non è senza trauma per la vita fragile che va configurandosi nel mondo.   L’amore che deve vincere è quello verso chi è generato, l’anello più debole del gioco sociale perché non ha neppure il potere di pronunciare una parola sulla scelta del proprio humus di coltivazione. La sua fragilità deve risvegliare il nostro senso di responsabilità di un amore che vince, in primis le proprie brame illusorie di avere diritti infiniti.


Le strane vie della chiamata di Dio

ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

«E questa è la conclusione della storia» ride il giovane sacerdote indicando il proprio abito. «Il professore di matematica ed io siamo diventati ottimi amici, lui ateo, io prete, con il patto che non cercherò mai di convertirlo. La vocazione alla vita consacrata passa attraverso canali impensabili, magari arriva attraverso il cellulare!». «Allora non arrabbiarti, maestra, se lo teniamo sempre acceso!» conclude Matteo.

Libreria Elledici Torino – Valdocco

L’iceberg e la duna Bruno Ferrero - Elledici, 2015 pagine 80, euro 5,00

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Prendersi cura dell’amore Domenico Cravero - Elledici, 2015 pagine 398, euro 19,00

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LIBRERIA BELL’ANIMA LIBRERIA DON BOSCO Legge 27–02–2004 n. 46)

art. 1, comma 2 e 3 – CB–NO/TORINO

via San Donato 43/D Via Maria Ausiliatrice 10/A 10122 TORINO 10152 TORINO Tel. 011/19484565 Tel. 011 52 16 159 libreriabellanima@libero.it torino@elledici.org

E LA VITA IA ABITANO NELLA FAMIGL

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Ai ragazzi dell’ultimo anno di catechismo don Lorenzo, appena ordinato sacerdote, racconta la storia della propria vocazione. Atletico, benestante, simpatico e comunicativo, abile nella guida di auto sportive… e nel rimorchiare belle ragazze, all’ultimo anno di liceo progettava l’iscrizione al Politecnico, la laurea e il naturale inserimento nell’azienda paterna. Durante la cena di classe, prima della maturità, il professore di matematica lo apostrofò bruscamente: «Tu ingegnere? No, io ti vedrei bene prete». I compagni risero e lo canzonarono allegramente. Lui non rise. Come aveva potuto il professore, anticlericale e ateo convinto, fargli uno scherzo del genere? Cercò di non pensarci, preso dalla preoccupazione per gli esami. Prima delle vacanze andò a trovare il professore, chiedendogli spiegazioni per quell’infelice battuta. La risposta lo sconcertò. L’insegnante, ateo, si rammaricava di non avere avuto il dono della fede; in Lorenzo intuiva doti di grande umanità, di spiritualità, di capacità di comunicare con i giovani e di trascinarli con l’esempio: doti che ne avrebbero fatto un ottimo sacerdote. «La fede dipende anche un po’ da chi sa presentare gli argomenti giusti». Turbato, tornando a casa, il ragazzo passò attraverso il cortile dell’Oratorio. Da quanto tempo non entrava più in Chiesa? Senza fargli domande il parroco lo accolse amichevolmente e gli propose di aiutare per qualche ora gli animatori di Estate ragazzi.   In quel cortile, Lorenzo si rese conto di quanto fosse bello stare con i giovani, lavorare per uno scopo che non fosse soltanto il guadagno materiale. Rinunciò alle costose vacanze regalate dai genitori e si iscrisse ad un campo scuola della Parrocchia. A settembre, anziché iniziare il Politecnico, entrò in seminario.

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Io ateo, tu prete

4 GENDER.

COSA SIGNIFICA REALMENTE ? PERPLESSITÀ E QUALI SONO LE

“USA” PERCHÉ È CASTO. 10 L’AMORE NON ALTRI. GLI E SI SACRIFICA PER AI GIOVANI A TORINO PAPA FR ANCESCO

ISSN 2283–320X

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Se lì c’è Dio, va bene Fatta la Riforma della Scuola, rimane il problema di far studiare gli allievi, impresa molto più complicata. Un aiuto può venire dal patrono degli studenti: san Giuseppe da Copertino. Morto nel 1663, santo nel 1767. Non fu certo un intellettuale, tutt’altro, ma un santo sì.  Giuseppe Maria Desa nacque a Copertino (Lecce) il 17 luglio 1603 in una famiglia povera, rovinata economicamente. Da bambino andò poco a scuola perché malatticcio; non solo, sembrava inadatto ad ogni tipo di studio. Non era svoglia-

to, ma i libri furono sempre per lui un ostacolo difficile. La volontà c’era ma non aveva memoria, le nozioni le leggeva ma poi esse scivolavano via nell’oblio. E non ricordava niente. Quante volte gli insegnanti scuotevano il capo sentenziando: «Vada a zappare». Aveva poca memoria, poca salute, poche doti umane. Eppure coltivava un sogno: diventare sacerdote, nonostante i tanti anni di scuola, i libri, i professori, gli esami, paure e… possibili fallimenti. CUSTODE DI UN ASINO

Per coronare il sogno bussò ai conventi, che inesorabilmente dopo un po’ si chiudevano. Motivo? Manifesta incapacità. In tutto. Alla fine fu accettato (grazie a uno zio!) tra i Frati Conventuali alla Grottella presso Copertino.   In comunità non ci fu alcun discernimento sull’incarico da dargli: sapevano tutti che era un incapace, allora vada a custodire l’asino. Giuseppe era felice lo stesso, poteva finalmente realizzare il sogno. E i dannatissimi libri, gli esami con tutta la coreografia di professori, giudizi e paura? C’erano sempre superati in maniera inspiegabile. Un esempio: all’esame del diaconato. Fra Giuseppe era riuscito a imparare bene la spiegazione di un solo brano del Vangelo. Si presentò e gli fu chiesto proprio quel passo! Lui sorrise e promosso. 8

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ACCUSATO DI “MILLANTATA SANTITÀ”

Padre Giuseppe ebbe da Dio grandi carismi o doni straordinari (dono dell’estasi, di grande discernimento delle coscienze, del buon consiglio, anche doni profetici). È santo non per questi doni (che sono un regalo di Dio) ma per la sua risposta quotidiana, durante tutta la vita, a vivere le virtù del discepolo di Cristo. Egli visse di grande fede, di totale abbandono nelle mani di Dio (e della Madonna che considerava la sua Mamma, visto che quella terrena sembra non lo amasse molto), di pazienza e di preghiera. Tutto fu vissuto in maniera eroica. Qui sta la sua santità, non tanto la fama (e i parecchi “fastidi”) che ebbe già in vita. I guai e difficoltà furono tanti, specialmente all’interno delle comunità religiose dove fu mandato. Non tutti infatti credevano alla sua santità, anzi pensavano dove si nascondesse il trucco.   Nel 1630 ebbe anche il primo volo (il termine tecnico è levitazione). Aveva vinto la legge di gravità, era attirato con tutto il corpo verso il cielo, e si sollevava da terra e volava. Fenomeni visti, scrutati, discussi da tanti testimoni. I suoi confratelli poi che erano terra terra (non terra e cielo come lui) durante una di queste levitazioni, gli misero una candela accesa sotto i piedi per richiamarlo al rispetto della fisica. Lui finita l’e-

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO EBBE DURANTE TUTTA LA SUA VITA UNA SPICCATA, PERSONALE E ORIGINALE DEVOZIONE ALLA MADONNA. AI PELLEGRINI CHE ANDAVANO A VENERARE LA MADONNA DELLA GROTTELLA (NON LONTANO DA COPERTINO) SOLEVA DIRE, QUASI AMMONENDOLI: «LA MADONNA NON VUOLE NÉ FIORI NÉ FRUTTI, MA VUOLE I CUORI».

sperienza mistica sorrise esclamando: «Guardate che cosa mi fanno i confratelli». Scherzi da frati.   Fu anche denunciato al Sant’Uffizio. Sentite l’accusa: «Millantata santità, cioè di operare per virtù diabolica e non per santità di vita». I monsignori arrivati per l’esame scoprirono che quel frate era limpido come l’acqua di montagna. Altro che collusione col diavolo. AD ASSISI UN SANTO BASTA!

La gestione di un frate come padre Giuseppe non era facile. Per qualche superiore era solo «quello strano frate che mi procura un sacco di grattacapi». Quando veniva mandato in un nuovo convento esclamava: «Se lì c’è Dio, allora va bene!». Fu mandato anche ad Assisi. Anche qui lo raggiungeva gente di ogni tipo contadini, nobildonne, soldati e principi, persino un duca tedesco luterano. Anche qualche cardinale andò a chiedergli consiglio. Ma nel 1653 arrivò l’ordine: via da Assisi. La motivazione dello stesso Papa: «Ad Assisi un santo basta già».   Finché nel 1656 fu mandato ad Osimo. Anche qui nel nuovo convento segregazione, poco contatto con la gente e molta diffidenza e sofferenza dai confratelli.   Ma lui non perse mai né la fede né la serenità. Fino alla morte, che chiamava, l’ultimo “pellegrinaggio” che fece santamente il 18 settembre 1663. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

CHIESA E DINTORNI

All’esame del sacerdozio poi, Giuseppe era l’ultimo. L’esaminatore esaminò i primi della fila e dopo qualche tempo gli arrivò l’ordine di sospendere. Ma, visti che fino ad allora erano così preparati ammise tutti, compreso lui, che sorrise felicemente. Sapeva bene che la Madonna, che pregava spesso, si era schierata dalla sua parte, quindi... E così, nel 1628 diventò sacerdote.

Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00

DI LUI SI TRAMANDA ANCHE QUESTA PREGHIERA DI CONSACRAZIONE O AFFIDAMENTO ALLA MADONNA: «MARIA, IO MI SONO DATO A TE FIN DALLA NASCITA; DURANTE TUTTI I GIORNI DELLA MIA VITA MI SONO FATTO TUO SERVO E A TE SOLA HO DATO LE CHIAVI DELL’ANIMA MIA. NELL’ORA DELLA MIA MORTE, MOSTRATI VERA MADRE. MONSTRA TE ESSE MATREM... NESSUNO DUBITI DI ESSERE DA TE AMATO. OGNUNO SI ACCOSTI CON FIDUCIA AL TUO TRONO DI MADRE SICURO CHE IN TE TROVERÀ SALVEZZA».

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L’amore è casto

Ecco una breve, chiara e semplice catechesi sull’amore. Papa Francesco ne ha parlato rispondendo alle domande che gli hanno rivolto i giovani a Torino, in piazza Vittorio, nel tardo pomeriggio del 21 giugno.  «Parlare dell’amore è tanto bello – ha detto il Papa ai giovani, rispondendo a Chiara – , si possono dire cose belle, belle, belle. Ma l’amore ha due assi su cui si muove, e se una persona, un giovane non ha questi due assi, queste due dimensioni dell’amore, non è amore». L’AMORE “SI DÀ, SEMPRE SI COMUNICA”

«Prima di tutto, l’amore è più nelle opere che nelle parole: l’amore è concreto. (…) Non è amore soltanto dire: “Io ti amo, io amo tutta la gente”. No. Cosa fai per amore? L’amore si dà. Pensate che Dio ha incominciato a parlare dell’amore quando si è coinvolto con il suo popolo, quan10

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do ha scelto il suo popolo, ha fatto alleanza con il suo popolo, ha salvato il suo popolo, ha perdonato tante volte – tanta pazienza ha Dio! –: ha fatto gesti di amore, opere di amore. E la seconda dimensione, il secondo asse sul quale gira l’amore è che l’amore sempre si comunica, cioè l’amore ascolta e risponde, l’amore si fa nel dialogo, nella comunione: si comunica. L’amore non è né sordo né muto, si comunica. Queste due dimensioni sono molto utili per capire cosa è l’amore, che non è un sentimento romantico del momento o una storia, no, è concreto, è nelle opere. E si comunica, cioè è nel dialogo, sempre. Così Chiara, risponderò a quella tua domanda: “Spesso ci sentiamo delusi proprio nell’amore.


L’AMORE NON “USA” PERCHÉ È CASTO

«So che voi siete buoni e mi permetterete di parlare con sincerità. Io non vorrei fare il moralista ma vorrei dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti. Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. È un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente. E da questo ricaviamo una conseguenza: se l’amore è rispettoso, se l’amore è nelle opere, se l’amore è nel comunicare, l’amore si sacrifica per gli altri».

chi perché non hanno dormito bene per curare il proprio figlio ammalato, questo è amore! Questo è rispetto. Questo non è passarsela bene. Questo è – andiamo su un’altra parola chiave – questo è “servizio”. L’amore è servizio. È servire gli altri. Quando Gesù dopo la lavanda dei piedi ha spiegato il gesto agli Apostoli, ha insegnato che noi siamo fatti per servirci l’uno all’altro, e se io dico che amo e non servo l’altro, non aiuto l’altro, non lo faccio andare avanti, non mi sacrifico per l’altro, questo non è amore. Avete portato la Croce [la Croce delle G.M.G.]: lì è il segno dell’amore. Quella storia di amore di Dio coinvolto con le opere e con il dialogo, con il rispetto, col perdono, con la pazienza durante tanti secoli di storia col suo popolo, finisce lì: suo Figlio sulla croce, il servizio più grande, che è dare la vita, sacrificarsi, aiutare gli altri. Non è facile parlare d’amore, non è facile vivere l’amore. Ma con queste cose che ho risposto, Chiara, credo che ti ho aiutato in qualcosa, nelle domande che tu mi facevi. Spero che ti siano di utilità».

CHIESA E DINTORNI

In che cosa consiste la grandezza dell’amore di Gesù? Come possiamo sperimentare il suo amore?”».

«NON È AMORE SOLTANTO DIRE: “IO TI AMO, IO AMO TUTTA LA GENTE”. NO. COSA FAI PER AMORE? L’AMORE SI DÀ. DICO UNA COSA CHE VOI NON VI ASPETTAVATE, MA VI CHIEDO: FATE LO SFORZO DI VIVERE L’AMORE CASTAMENTE»

Tratto dal discorso di Papa Francesco ai ragazzi e ai giovani, Torino, piazza Vittorio, 21/6/2015

L’AMORE È SERVIRE GLI ALTRI

Guardate l’amore dei genitori, di tante mamme, di tanti papà che al mattino arrivano al lavoro stanSETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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CHIESA E DINTORNI

Ascoltare con mente libera e cuore aperto Imparare a non giudicare e a condividere le emozioni per far sbocciare rapporti più autentici e profondi.  Quando – il sesto giorno – Dio creò l’uomo e la donna, pensò di dotarli di due orecchie e di una sola bocca. Un modo elegante – suggerisce qualche fine teologo – per far comprendere all’umanità che nella vita è più importante ascoltare che parlare. Ascoltare, però, non significa stare in silenzio pensando agli affari propri e lasciare che gli altri parlino, ma richiede impegno, allenamento e dedizione. ACCOGLIERE SENZA PREGIUDIZI

Tra le abilità che è chiamato a sviluppare chi desidera imparare ad ascoltare, una delle più importanti è – senza dubbio – avvicinare le persone senza barriere e pregiudizi. Mettersi in relazione con gli altri, senza farsi influenzare da sentimenti di simpatia o di antipatia e prestando attenzione a quanto hanno da condividere, è preludio a un ascolto profondo.   Per sperimentare che si tratta di un esercizio tutt’altro che semplice è sufficiente sintonizzarsi su una delle tante trasmissioni che ospitano dibattiti politici e prestare attenzione alle proprie reazioni e ai propri stati d’animo. Non sarà difficile, infatti, sorprendersi ad abbracciare le tesi – a volte addirittura prima che vengano espresse – dell’ospite per cui si prova istintiva simpatia e a trovare irrilevanti o fuori luogo – talvolta senza averli neppure sentiti fino in fondo – i ragionamenti di chi ispira sentimenti d’antipatia. 12

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Non giudicare le persone non significa – naturalmente – non prendere posizione sulle loro scelte e sulle loro azioni. Anche perché, nel caso dei partiti politici, proprio dal condividere o dal rifiutare le proposte di cui sono portatori dipende la decisione di votare uno schieramento piuttosto che un altro.   Accostare gli altri senza pregiudizi è un atteggiamento che Gesù pratica in ogni occasione, anche a costo di suscitare scandalo o procurarsi antipatie. Quando incontra l’adultera che sta per essere lapidata o va a pranzo a casa di Zaccheo non si fa condizionare o turbare dai pregiudi-


e l’assassino perché sa che il cuore dell’uomo è un labirinto il cui mistero travalica le singole azioni e i comportamenti. E proprio il suo accogliere tutti, senza barriere, la rende autenticamente “cattolica”, ovvero “universale”.

gra e rattristarsi con chi si rattrista». Perché è scientificamente provato che condividere le emozioni di gioia amplifica e raddoppia l’allegria e condividere quelle dolorose lenisce in parte la sofferenza e rappresenta una valida medicina per alleggerire il cuore.   Altri “ingredienti” che non possono mancare sono credere che – al di là di tutto – l’uomo custodisce nel proprio cuore semi di bontà che possono germogliare in ogni momento e nutrire profondo rispetto per la libertà e la volontà altrui, nella consapevolezza che Dio chiede all’uomo di seminare ma è Lui a decidere quando è il tempo di raccogliere.   Sono passi che aiutano chi li compie ad aprire il cuore, a essere sempre più capace di voler bene a chiunque incontri sul proprio cammino. Perché, avanzando lungo il percorso della vita, è sempre più evidente che o s’impara ad amare tutti o si rischia di non amare nessuno. Non è possibile, infatti, imporsi delle categorie: decidere di voler bene a chi ha i capelli biondi e di detestare chi li ha bruni o di spalancare le porte dell’accoglienza ai comunitari e di chiuderle in faccia agli extracomunitari. Un cuore in ascolto non può non essere aperto a tutti.

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zi che li accompagnano e… cambia loro la vita!   È un insegnamento adottato anche dalla Chiesa che, come sottolinea sant’Agostino, «condanna il peccato ma non il peccatore». Essa denuncia, cioè, che sia male rubare e uccidere ma non giudica il ladro

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EZIO RISATTI PRESIDE SSF REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net

UN AMORE RIVOLTO VERSO TUTTI

Un’altra caratteristica fondamentale è l’empatia, la capacità di lasciar risuonare dentro di sé le emozioni che risuonano nell’altro. È un po’ quanto raccomanda san Paolo esortando i cristiani della comunità di Corinto a «rallegrarsi con chi si ralleSETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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CHIESA E DINTORNI

Carlo di Camerana: un cavaliere rapito da Cristo

LUCIANO CARDINALI redazione.rivista@ausiliatrice.net

Nobile, segretario di Legazione ad Istanbul, muore nel 1914, ad appena 29 anni. Scrive: «Gesù è così buono che perdona fino all’ultimo, ma occorre essergli fedeli anche nelle piccole cose». CARLO DI CAMERANA, UN VERO ANTICONFORMISTA PER LA SUA EPOCA, COMPRESE CHE PER L’UNICA NOBILTÀ È LA SANTITÀ. IL VERO EROE È COLUI CHE SI METTE COSTANTEMENTE A DISPOSIZIONE DI DIO, SERVENDOLO NEI SUOI PREDILETTI: I POVERI E GLI ULTIMI. DICEVA: «SONO NELLE SUE MANI PER TUTTO QUELLO CHE EGLI VUOLE DA ME».

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Era una calda giornata d’estate a Costigliole d’Asti, quel 27 luglio 1885. Il sole incendiava le colline cariche di filari sulla collina di San Michele. Ed in una di quelle case, la più nobile, con tanto di torre, era nato Carlo. La dimora di quei signori esiste ancora oggi, inglobata in un grande casolare.   Era intelligente e sveglio, Carlo Camerana. I genitori lo inviarono a Torino presso gli Scolopi per gli studi. Aveva tuttavia una forza segreta, che fin da piccolo lo aveva reso diverso dagli altri: aveva incontrato Gesù, l’amico per eccellenza. L’incontro con il Cristo, conosciuto in famiglia, lo segnò dentro e gli indicò la direzione di marcia. Comprese come la vera nobiltà non è quella del sangue, ma quella della santità. I veri atti eroici, quelli che cambiano la storia, non sono le gesta narrate dai romanzi cavallereschi, ma consistono nel servizio ai fratelli, soprattutto ai piccoli, i prediletti del Signore. Così Carlo, l’aristocratico conte di Camerana, non si lascia sedurre dalle luci dei salotti nobiliari.   Con queste convinzioni, si avviò alla carriera militare. Si laureò in Legge e divenne segretario di Legazione ad Istanbul. Gli ambienti frequentati, gli impegni crescenti non mutarono il suo stile: ascoltava

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Vista panoramica della città di Instanbul


TUTTO PER TE, GESÙ

I suoi scritti vibrano di una profondità notevole. In una pagina dei suoi appunti si legge: «Gesù, io ti voglio tanto bene. Piuttosto morire che commettere un solo peccato. Tutto per te, o Gesù, vivere per Te, morire con Te, o Gesù». E ancora, in una pagina del diario scrive: «Siano i miei giorni vivificati dalla Grazia, nella pace e serenità di spirito, nel supremo proposito di purezza. Quando l’anima è in grazia di Dio e si lavora nel suo intimo, si gusta in anticipo le gioie del Paradiso». In una lettera, così si rivolge al suo destinatario: «A Gesù per Maria, diretto e puro per sempre. Prega per noi, Vergine santa ed Im-

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spesso la Messa, riceveva sovente Gesù eucaristico, si dedicava quotidianamente alla preghiera ed alla meditazione.

macolata, difendici dal demonio, affinchè superiori sempre nella battaglia, veniamo in cielo a ricevere il premio». Lui, giovane, elegante, dal modo gentile, abbiente, spigliato, rinunciava ai beni ed alla carriera per Cristo. Davvero un dono completo di sé!   Una nostalgia continua del cielo agitava l’anima di Carlo, nostalgia che lo portava a riflettere sul pensiero dell’ultima ora. «Nella mia vita fin da fanciullo mi sono preparato ogni anno a morire. Il Paradiso è così bello per meritarcelo che, se non fosse del distacco dei miei cari, io sono così felice di andarvi. Questo pensiero calma, consola… Gesù è così buono che perdona fino all’ultimo, ma occorre essergli fedeli, fedeli anche nelle piccole cose». SONO NELLE SUE MANI

Desidera soffrire per unirsi più perfettamente alla passione redentrice di Cristo. Scrive: «Siamo rassegnati a soffrire e ringraziamo Dio di questa croce, perché godremo di più lassù. Anch’io gli chiedo di soffrire maggiormente: sono nelle sue mani per tutto quello che Egli vuole da me». Ed altrove: «Il Signore lascia spesso soffrire delle anime per salvarne delle altre che lo offendono molto». Il 28 luglio 1914 scoppia la prima Guerra Mondiale. Carlo si ammala incurabilmente ed il 6 ottobre dello stesso anno se ne va incontro a Gesù, amato come l’Unico: ha appena 29 anni.   A Costigliole ancora è viva la memoria di quel giovane in alta uniforme che, come un bambino, si inginocchiava teneramente alla balaustra della parrocchiale per ricevere la Comunione dal parroco, don Pietro Cadario. Sul ricordino funebre di questo “cavaliere di Cristo”, suo fedele servitore ed amante, sta scritto: «Gesù ha colto questo giglio nella sua freschezza per ornare le dimore del Cielo». SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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LA PAROLA

L’“estremismo” di Gesù

I primi a scandalizzarsi dalle sentenze di Gesù sono, in genere, i cristiani. Invece, non c’è un unico modo di incarnare nella storia, qui e ora, l’attuazione del Regno. «CHI NON È CONTRO DI NOI È CON NOI», ANCHE SE NON “APPARTIENE” ALLA NOSTRA DISCIPLINA. NON C’È ESCLUSIVA, SI DIREBBE; NON C’È UN UNICO MODO DI INCARNARE NELLA STORIA, QUI E ORA, LA LIBERAZIONE DEL VANGELO, L’ATTUAZIONE DEL REGNO.

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Una lunga serie di logia (sentenze) costituisce il capitolo 9 del Vangelo di Marco. Sono meno che parabole: piuttosto aforismi, slogan dietro i quali per i discepoli (e dunque, per i credenti dopo di loro) sta la dottrina intera del Signore. Appartengono a una sapienza radicale, che non ha bisogno di scendere a compromessi con nessun’altra conoscenza mondana. Eppure sono piene di “buon senso”, di astuzia e anche di umorismo («Chi parla nel mio nome…»: come si potrebbe infatti, in assenza di una precisa legislazione sul copyright, definire un’accusa di plagio?).

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NON C’È ESCLUSIVA

I primi ad essere scandalizzati dall’”estremismo” delle sentenze di Gesù siamo, in genere, noi cristiani. Noi, che facciamo dell’appartenenza alla Chiesa, della conoscenza della dottrina un punto forte della nostra identità; quasi una benemerenza. Bene, il Vangelo dice: «Chi non è contro di noi è con noi», anche se non “appartiene” alla nostra disciplina. Non c’è esclusiva, si direbbe; non c’è un unico modo di incarnare nella storia, qui e ora, la liberazione del Vangelo, l’attuazione del Regno. Ci sono molte culture, tante esperienze da conoscere e rispettare. C’è, inve-


LA PAROLA

GIOVANNI GLI DISSE: «MAESTRO, ABBIAMO VISTO UNO CHE SCACCIAVA DEMÒNI NEL TUO NOME E VOLEVAMO IMPEDIRGLIELO, PERCHÉ NON CI SEGUIVA». MA GESÙ DISSE: «NON GLIELO IMPEDITE, PERCHÉ NON C'È NESSUNO CHE FACCIA UN MIRACOLO NEL MIO NOME E SUBITO POSSA PARLARE MALE DI ME: CHI NON È CONTRO DI NOI È PER NOI. CHIUNQUE INFATTI VI DARÀ DA BERE UN BICCHIERE D'ACQUA NEL MIO NOME PERCHÉ SIETE DI CRISTO, IN VERITÀ IO VI DICO, NON PERDERÀ LA SUA RICOMPENSA. CHI SCANDALIZZERÀ UNO SOLO DI QUESTI PICCOLI CHE CREDONO IN ME, È MOLTO MEGLIO PER LUI CHE GLI VENGA MESSA AL COLLO UNA MACINA DA MULINO E SIA GETTATO NEL MARE. SE LA TUA MANO TI È MOTIVO DI SCANDALO, TAGLIALA: È MEGLIO PER TE ENTRARE NELLA VITA CON UNA MANO SOLA, ANZICHÉ CON LE DUE MANI ANDARE NELLA GEÈNNA, NEL FUOCO INESTINGUIBILE. E SE IL TUO PIEDE TI È MOTIVO DI SCANDALO, TAGLIALO: È MEGLIO PER TE ENTRARE NELLA VITA CON UN PIEDE SOLO, ANZICHÉ CON I DUE PIEDI ESSERE GETTATO NELLA GEÈNNA. E SE IL TUO OCCHIO TI È MOTIVO DI SCANDALO, GETTALO VIA: È MEGLIO PER TE ENTRARE NEL REGNO DI DIO CON UN OCCHIO SOLO, ANZICHÉ CON DUE OCCHI ESSERE GETTATO NELLA GEÈNNA, DOVE IL LORO VERME NON MUORE E IL FUOCO NON SI ESTINGUE. (MC 9, 38–48)

ce, un solo Signore, e una sola legge dell’amore: quella che i cristiani sono chiamati a conoscere, applicare e promuovere più di chiunque altro, perché più e meglio l’hanno ricevuta. Il pensiero del «chi non è contro di noi» viene continuato ed esplicitato da Gesù nei passi successivi: «Se qualcuno scandalizza (cioè, secondo altre traduzioni: fa perdere) uno di questi piccoli». L’agire in nome di Gesù comporta necessariamente la “testimonianza” della fede in Lui. E quando i nostri comportamenti segnalano altro che non sia la fede nel Signore e l’amore, come possiamo dirci credenti? È questo il senso delle durissime sfide dei versetti successivi: è meglio entrare nel Regno senza un occhio o senza una mano che aver tradito la fede… APPARTENENZA: A CHI E PER QUANTO?

Il Vangelo invita – obbliga – ad una appartenenza «forte», totale. E, visto che viviamo nel tempo, anche la nostra adesione ha da continuare, per tutto il tempo di cui potremo disporre. Questo del tempo è, nell’epoca nostra, un altro scoglio non da poco: perché siamo abituati a vivere molte “appartenenze”, ma a curarci poco di quanto e come durano nella nostra vita. La politica e la televisione (che certi giorni in Italia sembrano essere la stessa cosa) ci invitano

continuamente ad “appartenere”, a schierarci da una parte o dall’altra. I sondaggi ci chiedono di indicare una scelta: e vorrebbero farci credere che il nostro sì o il nostro no sono l’espressione della nostra “libertà”. Ma tutto questo non dura nel tempo: così come durano poco le esperienze spirituali fondate sulle emozioni, sulle sensazioni estetiche, se non arrivano poi alla “monotonia” della vita quotidiana. Non basta partecipare ai grandi raduni, compiere pellegrinaggi all’altro capo del pianeta, se una volta che si rientra in se stessi e nel proprio ambiente di vita queste esperienze non hanno “lasciato il segno”, non hanno trasformato e arricchito la vita della fede. C’è un “turismo dello spirito” molto simile al consumismo delle esperienze. E un turista, ammonisce Flaiano «è un essere che non rimane ferito da ciò che vede».

IL VANGELO INVITA – OBBLIGA – AD UNA APPARTENENZA “FORTE”, TOTALE. E, VISTO CHE VIVIAMO NEL TEMPO, ANCHE LA NOSTRA ADESIONE HA DA CONTINUARE, PER TUTTO IL TEMPO DI CUI POTREMO DISPORRE.

MARCO BONATTI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE COMMISIONE DIOCESANA OSTENSIONE SINDONE press@sindone.org

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LA PAROLA

Annunciare il Vangelo a tutti Insieme a Barnaba, Saulo compie il primo viaggio missionario (At 13,1–14,28). Una storia affascinante in cui si impara il dovere di annunciare e testimoniare a tutti il Vangelo di Gesù. MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net

«RISERVATE PER ME BARNABA E SAULO PER L’OPERA ALLA QUALE LI HO DESTINATI»

Sono le parole che lo Spirito fa echeggiare nella chiesa di Antiochia di Siria attestando che l’opera dei due missionari dipende da Lui, non da progetti umani. Così confermati, Barnaba e Saulo arrivano a Cipro, nella città di Pafo: li aveva fatti chiamare là il procuratore romano Sergio Paolo, desideroso di conoscere la Parola di Dio. Un mago di quel luogo, Bar Iesu, vuole però distogliere il procuratore dal suo intento: a nulla valgono i suoi tentativi che anzi gli si ritorcono contro quando l’Apostolo, riconoscendo in lui un «figlio del diavolo», lo riduce ad una temporanea cecità. Fatto utile a mostrare come Saulo sia pieno dello Spirito che lo aveva scelto, rendendolo capace di opporsi al Maligno, antagonista dei progetti di 18

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Dio. La Parola ed il miracolo, raggiungono il loro effetto: Sergio Paolo si converte. Un elemento curioso intanto si impone: per la prima volta Saulo viene chiamato Paolo (v. 9). Forse è il suo secondo nome, ma la scelta di introdurlo solo ora è utile a porne in rilievo la figura ed il compito. «NOI CI RIVOLGIAMO AI PAGANI»

Lasciata Cipro e compiuto un viaggio per mare e per terra, intorno al 47 d.C. Paolo giunge ad Antiochia di Pisidia: vi è là una comunità giudaica cui egli intende rivolgersi. Nella sinagoga pronuncia parole che eccellono per bellezza, tanto da essere ritenute un modello di catechesi

utile per porgere l’annuncio del Risorto a quanti credevano nel Dio di Israele. Nella scrittura di Luca il discorso appare ben articolato. L’Apostolo radica Cristo nei fatti più importanti della storia della salvezza, quindi arriva all’annuncio: quel Gesù discendente del re Davide, cui il Battista aveva dato testimonianza e che sotto Pilato era stato crocifisso, Dio lo ha risuscitato dai morti! Grazie a lui i peccati sono perdonati. L’accoglienza è buona, tanto che alcuni tra i Giudei e i proseliti – pagani che si erano avvicinati alla fede nel Dio di Israele – invitano i due missionari a riprendere la parola il sabato successivo. Altri invece, invidiosi, si oppongono. L’accaduto fa capire a Paolo e Barna-


ba che è venuto il momento di annunciare il Risorto ai pagani: tutta l’opera successiva dell’Apostolo dipenderà in effetti da questa decisione. «LAPIDARONO PAOLO E LO TRASCINARONO FUORI DELLA CITTÀ»

I due compagni lasciano Antiochia di Pisidia. Da quel momento la predicazione sarà segnata da pericoli, difficoltà, rifiuti, così come fu per Gesù. Lo provano i fatti di Iconio e di Listra. «Alzati, ritto in piedi!», dice Paolo in quella città ad un paralitico. La folla rimane stupita nel vederlo camminare: i due missionari sono ritenuti divinità greche in apparenze umane, c’è chi vorrebbe offrire loro un sacrificio, ma essi «riuscirono a fatica a far desistere la folla» da quell’intento. Paolo farà tesoro di quell’esperienza, imparando

che perfino l’annuncio del Vangelo ai pagani conosce resistenze. Anche la persecuzione non tarda: alcuni venuti da Antiochia e da Iconio lapidano Paolo. Soccorso dai suoi discepoli, egli è ben presto in grado di riprendere il viaggio e raggiunge Derbe. «Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli», i due missionari la lasciano; ritornando sui propri passi fanno visita alle chiese appena fondate, le incoraggiano e stabiliscono in ciascuna di esse dei responsabili. Giunti ad Antiochia di Siria da cui erano partiti, Paolo e Barnaba riferiscono la notizia più inattesa: la grazia di Dio ha aperto i cuori dei pagani all’accoglienza del Vangelo. Il Risorto è Salvatore di tutti, a tutti va testimoniato. La chiesa è “in uscita” fin dalle sue origini!

ANCHE PER SAN PAOLO LA PERSECUZIONE NON TARDA: ALCUNI VENUTI DA ANTIOCHIA E DA ICONIO LAPIDANO PAOLO. SOCCORSO DAI SUOI DISCEPOLI, EGLI È BEN PRESTO IN GRADO DI RIPRENDERE IL VIAGGIO E RAGGIUNGE DERBE. SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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MARIA

Ostinatamente madre FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

ELISA ERA MOLTO ORGOGLIOSA DI SUO FIGLIO, MA FIN DAL SUO INGRESSO ALLA SCUOLA MATERNA INIZIARONO LE DIFFICOLTÀ: GIULIO ERA EMARGINATO DAI COMPAGNI, NON SI ESPRIMEVA BENE, STENTAVA A FARSI CAPIRE. 20

Nella recente foto dell’anniversario di matrimonio Elisa appare sorridente e serena accanto a suo marito, seduti su un battello, come se la vita per lei fosse sempre stata facile e tranquilla, simile alle acque del lago che stanno attraversando.   Invece non è stato così. Ha fatto a braccio di ferro con la vita fin da piccola quando ha avuti grossi problemi alla schiena, portato busti negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza e subìto un’importante operazione alle vertebre.   Tutto ciò l’ha fatta sentire “diversa” rispetto ai suoi coetanei, le ha creato difficoltà nel partecipare ai divertimenti degli anni giovanili e ne ha patito molto.   Crescendo e diventando donna, nonostante la forza dimostrata nell’affrontare le avversità, ha mantenuto una certa fragilità di fondo, un senso di inferiorità rispetto agli altri e, pur essendone consapevole, non è riuscita a superarli mai del tutto. UN MARITO, UN FIGLIO… NUOVI PROBLEMI

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L’incontro con Pietro, uomo di

parecchi anni maggiore di lei, posato e maturo, ed il loro matrimonio, l’hanno fatta sentire “normale”. La nascita di Giulio l’ha, poi, anche rassicurata, cancellando i timori di non poter diventare madre a causa dei suoi problemi di salute.   Elisa era molto orgogliosa del suo bambino, ma fin dal suo ingresso alla scuola materna iniziarono le difficoltà: Giulio era emarginato dai compagni, non si esprimeva bene, stentava a farsi capire, reagiva alle difficoltà, a volte picchiando e a volte piangendo disperatamente.   Come in un brutto sogno, ad Elisa parve di essere ripiombata negli anni della sua difficile e complessa infanzia, sotto l’etichetta della diversità! Credeva di avere già pagato. Invece si sentiva nuovamente sotto gli occhi e le critiche degli altri. Abitando in un paese, era tutto più difficile. Si tende infatti a vedere in modo solamente positivo il clima di una piccola comunità, fatto di amicizia e aggregazione, ma in realtà, in un paese, le dinamiche relazionali sono ben più complesse di come si possa credere e difficili da gestire, special-


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mente quando si hanno problemi e ancor di più se sono di tuo figlio! ELISA, COME MARIA, MAMMA DETERMINATA

Il passaggio alla scuola primaria fu anche peggiore: fin dai primi mesi le insegnanti espressero forti dubbi sulla “normalità” di Giulio, sottolinearono le sue difficoltà ed i suoi insuccessi, peccarono di insensibilità e di mancanza di volontà di farsi carico di un bambino più impegnativo degli altri. Erano incapaci di stabilire un dialogo costruttivo con Elisa.   Lei, che aveva già patito molto, non avrebbe permesso in nessun modo che suo figlio fosse etichettato ed emarginato, avrebbe fatto ricorso a tutta la sua energia per aiutarlo, come aveva fatto Maria, la madre di Gesù, che nel corso della sua vita aveva sempre ascoltato ed agito, seguendo il figlio in tutti i suoi momenti, vigilando su di lui, condividendone la gioia ed il clima di sospetto, le critiche, la condanna, la morte.   Anche Elisa avrebbe ascoltato ed agito, determinata e decisa come

Maria, un modello di madre a cui lei guardava con fiducia e devozione. Attuò l’ascolto attraverso la lettura di testi sulle difficoltà di apprendimento, parlando con psicologi, logopedisti ed esperti vari. Iniziò ad agire cambiando cercando per Giulio un’altra scuola, con un team di insegnanti più attento e competente. Non le importava di rinunciare alla comoda scuola del paese a due passi da casa: per il bene Giulio avrebbe percorso anche molti chilometri al giorno!

L’OSTINAZIONE DI ELISA È STATA SICURAMENTE PREMIATA: IL PROSSIMO ANNO INIZIERÀ LE SCUOLE MEDIE. È ANCORA FRAGILE MA MIGLIORERÀ POICHÉ ACCANTO A LUI CI SARÀ MAMMA ELISA CON TUTTO IL SUO AMORE.

GIULIO CRESCE E MIGLIORA SEMPRE DI PIÙ

L’ostinazione di Elisa è stata sicuramente premiata: nel corso degli anni, grazie al suo continuo interessamento, a Giulio è stata fatta una diagnosi di dislessia ed è stato seguito da un insegnante di appoggio. Il prossimo anno inizierà le scuole medie, parecchi dei suoi problemi sono rimasti, è ancora molto emotivo e fragile, ma migliorerà nel suo percorso di crescita poiché accanto a lui ci sarà mamma Elisa con il suo amore ostinato. SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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SEMPRE CON NOI

Grazie don Enzo!

Don Enzo Bianco, anni 85 di età, 65 di vita religiosa e 55 di sacerdozio * Montegrosso d’Asti (AT) 19/04/1930 + Torino Valdocco 14/07/2015

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Non pochi lettori della Rivista si saranno accorti che in questo numero non è presente il consueto articolo di Enzo Bianco. Molto semplice: non sta più scrivendo su Dio e sulle cose di Dio (come ha fatto tutta la vita), ma lo sta contemplando da vicino in paradiso. Don Enzo è infatti tornato alla casa del Padre il 14 luglio 2015 qui alla Casa Madre dei Salesiani. Nato in provincia di Asti nel 1930, a Valdocco ha cominciato a conoscere don Bosco ed ad amarlo fino a seguirlo come salesiano, per ben 65 anni.   Don Enzo aveva grande capacità comunicativa e doti espressive. Era anche un fine umorista: sapeva vedere il lato positivo delle cose, e su questo faceva riflettere magari con citazioni dotte (ne ha scritto vari libri), sempre con un sorriso. Ha compiuto gli studi di Teologia presso la Università Pontificia Salesiana (UPS), e poi si è diplomato in Lettere e Giornalismo presso la Università Cattolica di Milano. E così Il suo destino era segnato: avrebbe lavorato per Dio e per don Bosco usando la penna (e poi… il computer). Ha diretto riviste (come Bollettino Salesiano e ANS), ha scritto numerosi libri, opuscoli, articoli, commenti non solo su don Bosco

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ma anche nel campo della liturgia, pastorale giovanile ed ecclesiale. Per molti anni ha lavorato alla Elledici di Torino, nell’Ufficio Pubblicità e Stampa, poi come bibliotecario ma fu sempre attivo nella catechesi. Per quasi quattro anni ha scritto per la nostra Rivista. Gli ultimi libri furono su Papa Francesco e sulla sua capacità comunicativa. Mi ha detto più di una volta: «Dobbiamo imparare da lui. È un maestro».   Un ricordo personale. Lo invitai, nel novembre 2012, a collaborare alla rubrica Liturgia della Domenica del sito della Casa Madre SDB (www.donbosco-torino.it). Accettò con entusiasmo il nuovo impegno di evangelizzazione “on line” ripetendomi, sovente, che questa è una forma importante di apostolato che don Bosco avrebbe usato moltissimo. Fu sempre puntuale nell’invio delle omelie scritte con precisione e semplicità condite sempre con citazioni di personaggi famosi: veri lampi che illuminavano l’argomento. Devo anche aggiungere che erano tra le più cliccate.   Don Enzo, a nome dei lettori della Rivista e cyberlettori del sito, grazie di tutto! MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net


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Il Rosario: un aiuto per la grande impresa MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net

Un pomeriggio del 1944, sulla riva del Djone, affluente del fiume Congo, il generale P. Leclerc passeggiava, da solo quando un uomo di colore gli si avvicinò: «Buon giorno, generale» lo salutò. «Buon giorno, amico». L’uomo, vista la sua cordialità, dopo un po’ di esitazione e con coraggio gli chiese: «Generale, perché lei sta qui tutto solo a passeggiare, mentre i suoi ufficiali e camerati sono laggiù alla mensa a bere acquavite?». Il generale Leclerc, mettendo una mano sulla spalla dell’uomo, gli rispose: «Vedi, io ho una grande impresa da portare a termine, ed ho bisogno di un grande aiuto. Perciò prego». E, così dicendo, gli mostrò la corona del Rosario che teneva fra le dita. La grande impresa. Ce n’è una più grande della riuscita della propria vita? Se conquistiamo il mondo intero ma falliamo il suo obiettivo, abbiamo perso tutto e per sempre. Non c’è dubbio: la vita di ciascuno di noi è una grande impresa, da realizzare giorno dopo giorno, ricominciando ogni mattina. Non da soli, ma con l’assistenza di tante persone che ci aiutano prima ancora di venire alla luce, ci consigliano, ci sostengono, ci perdonano quando sbagliamo e ci rimettono nella giusta via. Ma soprattutto ci amano, che è la cosa essenziale per vivere bene. E questo lo diciamo anche sul versante spirituale. Uno dei mezzi che la fede cristiana, nel solco di una lunga tradizione collaudata e sperimentata da tanti santi, è quello della recita del santo rosario. I papi l’hanno sostenuto, i santi lo hanno recitato e fatto conoscere, milioni di credenti, di tutte le razze e di tutti i gradi di cultura, lo recitano ogni giorno, traendone coraggio, conforto e nuova fiducia per andare avanti. Consci tutti che questa recita è una richiesta di aiuto a Maria di Nazaret, la Madre di Gesù, centro della nostra fede, la Via, la Vita, la Verità. In altre parole Gesù rimane sempre la Meta finale della grande impresa della nostra vita. Maria è vista nel rosario come colei che ci aiuta a meditare sul mistero di suo Figlio Gesù. Il centro del nostro pregare, e della sequenza di quelle Ave Maria, è proprio e solo Lui. Come scrisse papa Giovanni Paolo II (santo nel 2014): nel Rosario «con Lei e attraverso di Lei è in definitiva a Gesù che va l’atto di amore» (Rosarium Virginis Mariae, n. 26). È una bella definizione di rosario: un atto di amore a Gesù Cristo, attraverso il ricordo e il saluto “Ave Maria” a sua Madre. E di atti di amore, piccoli o grandi, visibili o nascosti, fatti dagli uni verso gli altri, in tutte le professioni sociali, ma specialmente nelle famiglie e comunità religiose, c’è assoluto bisogno. Il rosario recitato è un aiuto a vivere così e costruire piano piano, con gli altri e con Maria, la nostra grande impresa della vita. SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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«Per comprendere il Rosario, bisogna entrare nella dinamica psicologica che è propria dell’amore. Una cosa è chiara: se la ripetizione dell’Ave Maria si rivolge direttamente a Maria, con Lei e attraverso di Lei è in definitiva a Gesù che va l’atto di amore» (RVM, n26).


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O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci riannodi a Dio vincolo di amore che ci unisci agli angeli, torre di salvezza negli assalti dell’inferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell’ora dell’agonia. A te l’ultimo bacio della vita che si spegne. E l’ultimo accento delle nostre labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario di Pompei, o Madre nostra cara, o Rifugio dei peccatori, o Sovrana consolatrice dei mesti. Sii ovunque benedetta oggi e sempre, in terra e in cielo Beato Bartolo Longo (1841–1926), apostolo del Rosario e fondatore del Santuario di Madonna di Pompei, Napoli.

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Come può una religiosità ereditata diventare una fede matura che trasforma la vita personale?

IL LIBRO RISPONDE A QUESTA DOMANDA. Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata. Robert Cheaib Editrice: Il pozzo di Giacobbe pag. 200 Euro 15,00

allapresenzadiDio


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L’autentica devozione mariana  È bene soffermarsi brevemente sul senso della genuina devozione mariana lasciandoci guidare dai santi e dal concilio Vaticano II. Oggi si ha l’impressione, infatti, che l’acritica adesione di tante anime belle ai messaggi di presunti veggenti o alla predicazione di esaltati profeti, laici e clericali, abbiano inquinato ed appesantito la semplice testimonianza evangelica di Maria di Nazareth. LA TESTIMONIANZA DEI SANTI

Tutti i santi sono degli innamorati della madre di Gesù. Mi limito a presentare quanto scrive Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa ed appassionata devota della Vergine. Sono parole che tutti dovremmo sempre tenere ben presenti, soprattutto coloro che hanno il compito di essere guida e pastori dei fedeli. Scrive Teresa: «Non si dovrebbe consentire che in chiesa si raccontino cose inverosimili su Maria. Una predica sulla Santa Vergine, per portare frutti, dovrebbe mostrare la sua vera vita, quella che ci lascia intravedere il Vangelo, non una vita immaginata. Eppure si intuisce bene che questa sua vita, a Nazareth e successivamente, deve essere stata del tutto comune». I miracoli di Grazia compiuti da Jahweh nel cuore della donna ebrea scelta per essere artefice dell’Incarnazione divina, non l’hanno esentata dallo sperimentare sulla sua pelle tutte le emozioni, le paure, le fatiche, la solitudine che ogni madre prova e vive. Le grazie spirituali 24

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elargite dal buon Dio non sono mai delle assicurazioni antisofferenza o elisir di lunga ed allegra vita. Riconoscere Maria come modello, significa essere disposti a seguire i suoi esempi, sempre e dovunque, nel silenzio, nella muta solidarietà, nella discrezione della preghiera e nella docile disponibilità. Maria è un capolavoro di grazia, non “fenomeno da baraccone”. L’INSEGNAMENTO DEL CONCILIO

A cinquanta anni dalla sua conclusione, è bene andare a rileggere quanto dice la


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Lumen Gentium al capitolo VIII. I padri conciliari riconoscono nella Madonna «La vera Madre di Dio e del Redentore». Per essi «È la figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito santo». Per grazia di Dio «precede di molto tutte le altre creature, celesti e terrestri». «È unita, nella stirpe di Adamo, con tutti gli uomini bisognosi di salvezza», «è riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua immagine ed eccellentissimo modello nella fede e nella carità». La testimonianza che la Vergine ci presenta è ancorata al più radicale consenso esistenziale alla Parola; alla totale offerta di sé, come serva, alla persona ed all’opera del Figlio. La sua vita è come un fazzoletto nelle mani di Dio. La sua incredibile docilità non è mai a scapito della sua intelligenza e della sua libertà. In Lei non c’è nulla di fideistico, tutto profuma di profonda spiritualità animata da una fede trasparente e da una granitica obbedienza. Non è una “piagnona”, ma donna forte. Anche ai piedi della croce lo straziante dolore non lascia spazio alla disperazione o alle sceneggiate funebri allora tanto di moda. Nel tentativo di contestualizzarne la vita nella realtà del suo tempo è importante lasciarsi guidare dai numeri 56-5758-59. La sua ascensione non è frutto di un trucco magico del destino, non è altro che la testimonianza della sua piena confermazione al Figlio «vincitore del peccato e della morte». Il numero 61 sintetizza in modo meraviglioso l’essenza della vita ed il “core” della nostra devozione a Lei: «Col concepire Cristo, generarlo, nutrirlo, presentarlo al padre nel tempio,soffrire col Figlio suo morente sulla croce, ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo è stata per noi la madre nell’ordine della grazia». Il compito di qualsiasi

corretta spiritualità mariana è quella di insegnarci a riconoscerla come madre che ci segue con la stessa dedizione, costanza, riserbo, attenzione con cui ha vegliato su Gesù. La Madonna non è una divinità, ma un essere incarnato come ognuno di noi, che ha saputo rispondere in pienezza alla grazia divina. Quindi non c’è nulla di “demoniaco” se ci impegniamo a conoscerla più profondamente, con tutto il rispetto dovuto, nella sua realtà sociale, umana, culturale che come tutte le persone del suo tempo ha dovuto imparare a vivere, affrontare e gestire nella continua certezza di essere solo «l’umile ancella del Signore» e nient’altro. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Seguaci di Cristo o soci di un club? «SI AVVICINÒ A GESÙ UNO DEGLI SCRIBI E GLI DOMANDÒ: “QUAL È IL PRIMO DI TUTTI I COMANDAMENTI?”. GESÙ RISPOSE: «IL PRIMO È: “ASCOLTA, ISRAELE! IL SIGNORE NOSTRO DIO È L’UNICO SIGNORE”». (MC 12,28–29)

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NON AVETE ANCORA FEDE?

Se io ti chiedo: «Ma tu hai fede?» mi risponderai facilmente: «Sì io credo in Dio, credo che un Dio esista». Magari tu no ma tanta gente crede di credere perché non riesce a negare l’esistenza di Dio. Però poi alla prima occasione “difficile” con chi se la piglia se non con quel Dio anonimo e senza volto che ovviamente non risponde ai canoni che si pensa dovrebbe rispettare? E allora si arriva dire: «Se fossi io Dio!!!» e quindi a considerarsi migliore di Lui. Ho letto che «un cristiano che si considera migliore del Dio in cui crede è un perfetto ateo». E lo ritengo vero. Perché se di questo Dio affermo solo che esiste come posso riconoscerlo quando non lo vedo efficiente secondo l’immagine indefinita che ho di lui? Quando gli apostoli in piena tempesta nel lago (Mc 4,35–41) si

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rivolgono a Gesù che dorme «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» Gesù dice loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». CREDERE NON È AVERE FEDE?

Gli apostoli credevano in Gesù, era lì con loro sulla barca, eppure… non hanno ancora fede. Pietro crede in Gesù quando risponde alla domanda di Gesù «Tu sei il Cristo!» eppure subito dopo Gesù gli dice che lui ragiona secondo gli uomini e non secondo Dio. Avere fede è passare da un credere astratto in qualche verità, in qualche dogma o limitarsi a pensare che basta fare opere buone o tanti fioretti in quaresima per poter dire di avere fede. La fede è frutto di un «incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI in Deus


AVER FEDE È RISCHIARE

Avete mai preso parte allo spettacolo di un funambolo? Eccolo che con una lunga asta si aiuta a tenere l’equilibrio mentre cammina su una corda senza rete. Ma arrivato al termine guarda il pubblico e fa capire che rifarà il percorso trasportando una carriola. Ai suoi piedi la folla incuriosita condivide l’esito dell’evento. Alcuni dicono di credere che ce la farà, altri no. Uno di loro parte e va al livello del funambolo e gli dice che lui è sicuro che ce la farà. E il funambolo lo guarda negli occhi e gli dice che, se è così sicuro, salti nella carriola e faccia il percorso con lui. Ecco la differenza: quelli che sono in basso al sicuro e non rischiano nien-

te sono credenti o meno. Quello che rischia e si fida di colui nel quale dice di credere, quello ha fede. La fede della Madonna è la fede di chi rischia e rimette in discussione tutta la sua vita dietro una certezza che nulla è impossibile a Dio. Perché «Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» (Rom 8,31.35.37). AVER FEDE È PRENDERE TEMPO

«Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Perché siamo lontanissimi dal conoscere i pensieri di Dio. «Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Isaia 55,9). Però avere fede è sapere che nulla avviene per caso e prima o poi tutto sarà svelato. GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net

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caritas est). Fede è andare dietro uno che sa la strada non lasciandosi incantare da facili freccette colorate ai bordi della vita. Fede è più che credere, è fidarsi, è affidarsi. Gesù dice di diventare come i bambini perché i bambini hanno fede e quando tra le braccia del papà vengono lanciati in aria ridono felici perché hanno fede in quell’uomo che li educa a rischiare sulla fiducia e sanno che ricadranno tra le sue braccia.

«I PESCATORI DEL LAGO, QUELLI CHE GESÙ AVEVA CHIAMATO AL SUO SEGUITO, GLI AVEVANO CREDUTO. E ANCHE MOLTI TRA I POVERI E TRA GLI EMARGINATI, GLI AVEVANO DATO FIDUCIA. MA I SUOI COMPAESANI, I SUOI PARENTI, NO. PERCHÉ LA FEDE È RISCHIO PER DIO ANZITUTTO, E CONSISTE NEL PRESENTARSI, PARLARCI, E NON ESSERE CREDUTO. POI, SEMPRE IN FATTO DI RISCHIO, VENIAMO NOI, CHE DOBBIAMO DECIDERE SE CREDERGLI, SE AFFIDARGLI DAVVERO LA NOSTRA VITA SENZA CONDIZIONI, OPPURE NO». (DON PIERO RATTIN, “TRENTINO INBLU RADIO”, 5/7/2015)

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Tempo di vacanze  Durante l’ultima ora di scuola, prima dell’esame di maturità, ho voluto sondare le intenzioni degli allievi sul dove sarebbero andati a trascorrere le loro agognate vacanze di neodiplomati. Le loro risposte mi hanno fatto toccare con mano che il loro concetto di riposo ha nulla a che fare con il mio. Non mi hanno sorpreso perché anche in questo ambito il conformismo giovanile è quanto mai diffuso. Le auspicate mete sono le stesse dei loro predecessori degli ultimi anni. Voglio premettere che gli alunni sono in prevalenza rampolli della media e alta borghesia della Torino sabauda. Da povero salesiano, ho sempre fatta mia la seria preoccupazione di don Bosco, in termini di formazione umana e cristiana, a riguardo delle vacanze. VACANZE MODERNE

Per loro il periodo estivo è molto importante. Non vi giungono impreparati. Le ragazze hanno sviluppato un fisico da “pin-up” con diete severissime ed un’abbronzatura da bedui28

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ne del deserto. I ragazzi hanno scolpito il fisico tramite palestre, piscine, partite di calcio e fachireschi esercizi di bodybuilding. Solo la cura del cervello e della responsabilità, secondo me, lascia un pochino a desiderare. Devo ammettere che una piccola parte continua a pensare le vacanze come un momento di svago, di relax, di contatto con la natura, di cultura. La maggioranza, invece, condensa il proprio concetto di divertimento in un unico termine: sballo. Ma in che cosa consiste? Ha nulla a che fare con le vacanze del mio passato fatto di colonie, di visite a città, di passeggiate, di tempi privilegiati di lettura.... Quando ho parlato loro del mio modo di rilassarmi mi hanno sepolto di risa e di prese in giro. Da alcuni anni, quanto mi raccontavano delle loro imprese estive mi pareva paradossale. Così, nel tempo, ho voluto documentarmi di persona. Questa esperienza dovrebbe essere obbligatoria per tutti colori che hanno a cuore la formazione dei giovani. Umilmente ho iniziato un pellegrinaggio che non mi ha portato a Lourdes, ma ad Ibiza, a Myko-

nos, a Magaluf. I MODERNI SANTUARI DEL DIVERTIMENTO GIOVANILE

Lo spettacolo che la realtà ha squadernato davanti ai miei occhi mi ha fatto toccare con mano quanto i nostri ragazzi siano diversi dai facili modelli che applichiamo loro addosso. Ragazzi “buoni”, studiosi, seri, impegnati, diventati oggetti di “orge” senza senso e senza limite. I loro comportamenti di solito molto corretti, nei luoghi scelti per il divertimento, li reinventano come vittime della mentalità dello sballo che vince ogni loro inibizione e li trasforma in passivi oggetti di divertimento a disposizione di tutti. Sghignazzando praticano il balconing, che consiste nel saltare da un balcone all’altro degli hotel o nel buttarsi dai piani alti in piscina, col rischio di sfracellarsi. L’impotenza provata in quei momenti è paralizzante. A Magaluf, paesino dell’isola di Maiorca, lo sport preferito da leggiadre fanciulle è quello di esibirsi nel mamading, ossia squallido sesso orale circonda-


to da tifo e con tanto di premiazione finale che è meglio non specificare. Eppure sono le stesse ragazze che a scuola, probabilmente, arrossiscono facilmente e trasudano moralismo. Mykonos è la stella polare che brilla nel firmamento dell’immaginario giovanile. In questi anni la località greca si è trasformata nel paradiso terrestre dove tutte le inibizioni vengono polverizzate, dove il buon senso è severamente bandito, dove ogni esperienza sessuale è a portata di mano, in cui ogni paura è spazzata via dai fumi alcolici e le pulsioni hanno libero corso. Si va a dormire all’alba e ci si risveglia al tramonto. In questi divertimentifici la separazione sociale è rigorosa. I ricchi da una parte a divertirsi spendendo un patrimonio. Gli “sfigati” delle periferie delle megalopoli proletarie possono anche loro provare l’ebbrezza dello sballo a prezzi abbordabili. Con 400 euro alla settimana si può sballare senza limiti. Anche ai discount dell’allegro vivere la compulsione del non pensare viene appagata in senso deteriore. Con quattro euro lo spegnimento del cervello viene compensato dalla nevrotica

esaltazione delle gonadi. Nel mucchio selvaggio l’identità svanisce, ogni barlume di dignità è accantonato, l’intelligenza è obnubilata. Passata la tempesta demenziale, tornano a casa rivestendo i panni delle buone persone. Non girano più nudi per le strade, non orinano più davanti a tutti, più niente risse o schiamazzi, scomparse pure le sbarellate dovute a eccesso di alcool, mute le scurrilità carnascialesche. “Keep calm and see a doctor” è scritto dappertutto per rassicurare chi è al limite del coma etilico. È un consi-

glio che vale anche per chi ha fatto del sistema preventivo il fulcro del proprio operare tra i giovani d’oggi. Don Bosco diceva che per educare i giovani bisogna conoscerli. I giovani d’oggi sono sfuggenti ed abitano universi sconosciuti a troppi genitori ed educatori. Il seguirli con attenzione, senza per questo sentirsi autorizzati ad incasellarli in definizioni stereotipate ed inutili, penso che sia la primaria urgenza educativa moderna. Forse il dottor Bosco Giovanni qualche dritta ce la potrebbe dare ancora a tutti. ERMETE TESSORE redazione.rivista@ausiliatrice.net

La parola alla psicologa Nel suo libro I nuovi adolescenti, Pietropolli Charmet sostiene che, all’origine della propensione di adottare condotte rischiose, vi sia la paura della morte. La scoperta della mortalità del nuovo corpo sessuato e generativo, infatti, susciterebbe un profondo sentimento di paura, che costringe l’adolescente ad escogitare dei sistemi per dimostrare che, anche se la sua morte esiste, egli è capace di batterla. Come possiamo aiutare gli adolescenti ad affrontare queste paure? Nonostante le apparenze, gli adolescenti hanno fame di relazioni verticali con adulti da cui ottenere risposte su questioni essenziali, hanno il bisogno, spesso inconsapevole, di ammirazione da parte dell’adulto di riferimento. La funzione e l’effetto positivo che ciò può esercitare sull’adolescente spesso viene sottovalutata, poiché da parte loro, viene esaltata la tendenza a sfidare e deludere gli adulti, soprattutto quelli dotati di controllo istituzionale nei loro confronti. All’adulto, dunque, è richiesto di donare uno sguardo che legittimi, dia senso, misuri e limiti il comportamento del ragazzo. La sua competenza servirà all’adolescente per valutare e riflettere sulla correttezza dell’impresa e sulla sua coerenza con l’obiettivo finale che è quello di crescere ed essere riconosciuti. LUCIA CENSI PSICOTERAPEUTA DELL’ETÀ EVOLUTIVA

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Don Bosco, papa Francesco e don Fernández Artime Un recente volume esamina le radici salesiane del Papa, mentre un altro libro–intervista al Rettor Maggiore ripercorre la vita del nostro fondatore e l’opzione preferenziale per i giovani. UNA CULTURA NON BIGOTTA DON BOSCO, IL SUO PENSIERO E GLI ELEMENTI CHIAVE DELLA SUA VITA E DELLA SUA OPERA IN SINTESI: L’ORATORIO DI VALDOCCO, IL SISTEMA PREVENTIVO, MAMMA MARGHERITA, LA MISSIONE, L’EMIGRAZIONE, IL RUOLO DEI LAICI E DELLA DONNA, LA COMUNICAZIONE E SOPRATTUTTO L’OPZIONE PREFERENZIALE PER I GIOVANI.

Papa Francesco e don Bosco Lèon Alejandro Libreria Editrice Vaticana 2015, pagine 160 Euro 14,00

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Tra i libri editi per il Bicentenario della nascita di don Bosco, due sono da segnalare e non soltanto perché arricchiti da fotografie e documenti d’epoca. Il primo, infatti, esamina i legami che uniscono papa Francesco al fondatore della Famiglia Salesiana. Il secondo è una lunga intervista a don Ángel Fernández Artime, dove il decimo successore di don Bosco ripercorre la vita del santo e l’attualità del suo carisma. Il primo è intitolato, appunto, Papa Francesco e don Bosco (Libreria Editrice Vaticana, pag. 160, € 14) e ripercorre le radici salesiane di Jorge Mario Bergoglio, attraverso quattro lettere che lui, già sacerdote gesuita, scrisse al salesiano don Cayetano Bruno e che don Alejandro León, autore del volume, ha ritrovato nell’Archivio centrale salesiano di Buenos Aires. Lettere dense di ricordi e riflessioni che spiegano tanti odierni gesti del Papa.

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Se è noto che Bergoglio è stato battezzato nella basilica María Auxiliadora, a Buenos Aires, nel Natale del 1936, meno conosciuto è che da piccolo partecipava alla processione dell’Ausiliatrice, frequentava l’oratorio di San Francesco di Sales e ne conosceva i sacerdoti. Già questo spiega l’influsso salesiano nell’educazione e nella vita della sua famiglia. Nel 1949 e soltanto per un anno, lui è alunno del Collegio salesiano di Ramos Mejía, eppure oltre quattro decenni dopo ricorda con gioia quel periodo: «Il Collegio creava, attraverso il risvegliarsi della coscienza nella verità delle cose, una cultura cattolica che non era per nulla “bigotta” o “disorientata”». Nel 1990, nella seconda lettera, Bergoglio rivive il crescere della sua vocazione religiosa ricordando Enrique Pozzoli, che lo aveva battezzato e guidato spiritualmente: «Sono entrato nel Seminario nel 1956. Nell’agosto del 1957 mi viene la polmonite. Sto per morire. Poi mi operano al polmone. Padre Pozzoli mi visita durante la malattia. Durante il secondo anno di Seminario avevo maturato la vocazione religiosa. E così una volta guarito, in novembre, non torno più in seminario e voglio entrare nella Compagnia. Ne parlo con padre Pozzoli e dà il via libera».   La terza lettera, del 1986, riferisce


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l’esperienza con il salesiano coadiutore Artemide Zatti, «del quale sono divenuto molto amico» (Zatti è stato beatificato nel 2002 da san Giovanni Paolo II).   La quarta lettera riporta l’omelia per i 500 anni della scoperta dell’America. Nel libro è pubblicata anche la conferenza del gesuita Bergoglio all’Universidad del Salvador, nel 1976, per il centenario dell’arrivo dei salesiani in Argentina. Segue un capitolo con i ricordi di alcuni salesiani che hanno conosciuto padre Bergoglio dal 1949 al 2013, anno della sua elezione al pontificato. IL FUTURO È NEI GIOVANI

Il secondo volume è Don Bosco oggi, dall’esplicativo sottotitolo Intervista a don Ángel Fernández Artime, decimo successore di Don Bosco (Libreria Editrice Vaticana, pag. 240, € 20). Grazie alle domande dell’autore Ángel Expósito, emergono un ritratto di don Bosco, il suo pensiero e gli elementi chiave della sua vita e

della sua opera: l’oratorio di Valdocco, il Sistema Preventivo, la figura di Mamma Margherita, la missione, l’emigrazione, il ruolo dei laici e della donna, la comunicazione e soprattutto l’opzione preferenziale per i giovani.   Non a caso, nella prefazione il cardinale Rodríguez Maradiaga osserva: «La parola “giovani” è la più citata in questo libro e il decimo successore di don Bosco ha per i giovani lo stesso cuore di padre, maestro e amico del Fondatore. Il libro è scritto con lo sguardo posto sui giovani. E nei giovani c’è il futuro dell’Opera di don Bosco». Da segnalare, inoltre, alla fine di ogni capitolo, le schede di approfondimento di esperti dei vari settori, e le molte immagini d’epoca di don Bosco e della Torino del suo tempo, e sulla presenza salesiana oggi in Italia e nel mondo.

Don Bosco oggi. Intervista a don Angel Fernández Artime, decimo successore di don Bosco Ángel Expósito Libreria Editrice Vaticana 2015, pagine 284 Euro 20,00

LORENZO BORTOLIN redazione.rivista@ausiliatrice.net

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DON BOSCO OGGI

Anche il carcere può diventare un oratorio

CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net

A tu per tu con la giornalista Marina Lomunno, che ha raccolto la testimonianza di don Domenico Ricca, da trentacinque anni cappellano del Ferrante Aporti.  «In ciascun giovane, anche il più disgraziato, vi è un punto accessibile al bene e il primo dovere dell’educatore è cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore, e trarne profitto». Ne era convinto, oltre un secolo fa, don Bosco. E ne è convinto – oggi – don Domenico Ricca, da trentacinque anni cappellano del carcere minorile di Torino. La giornalista Marina Lomunno, redattrice del settimanale diocesano La voce del popolo e collaboratrice del quotidiano Avvenire, ne ha raccolto le memorie nel libro–intervista Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti (editrice Elledici). L’abbiamo incontrata per saperne di più. UOMO DI CHIESA E SERVITORE DELLO STATO

Come si è fatta strada l’idea di scrivere il libro? «È una storia che nasce da lontano. Nella primavera del 2001, in seguito ai tragici fatti di 32

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Novi Ligure, il quotidiano Avvenire mi chiese d’intervistare il cappellano del Ferrante Aporti, dove Erika e Omar erano reclusi. Nonostante le pressioni continue dei mass media, don Ricca non parlò mai dei due ragazzi. Con me, però, fece un’eccezione: andai da lui per esortarlo a dire cosa ritenesse opportuno affinché i lettori potessero comprendere, a partire dalle vicende di Erika e Omar, chi fossero gli adolescenti. Da allora è nata un’amicizia. In questi anni, osservando la sua opera, mi sono convinta che la sua esperienza di cappellano nel carcere in cui don Bosco ebbe l’intuizione del Sistema Preventivo doveva essere raccontata». Che cosa ti ha colpito di più della vita e dell’opera educativa di don Ricca? «Il grande rispetto per i ragazzi. Quando accenna alle loro storie non entra mai nei particolari: i volti, i segreti e le emozioni dei minori di cui si prende cura non vengono ostentati. Le loro vicende rappresentano un’occasione


UNA RETE PER OFFRIRE NUOVE POSSIBILITÀ

Il volume contiene un gran numero di aneddoti. Quali ti si sono impressi nel cuore? «In particolare alcune lettere. Quelle spedite da Ottavio, giovane siciliano che in don Domenico ha trovato il padre che non ha mai avuto e gli domanda consigli, e quella del papà di Emilia, una ragazza che don Ricca ha seguito nel percorso di reinserimento dopo la detenzione e che non ce l’ha fatta». Il volume è anche un’occasione per ascoltare le voci delle tante persone che ruota-

no intorno al carcere minorile torinese… «Don Domenico sostiene di essere cappellano non solo dei ragazzi ma di tutti coloro che operano nel carcere. Per questo ho voluto dar voce a chi, a diverso titolo, s’incontra al Ferrante Aporti: dalla direttrice al procuratore del Tribunale dei minori, dal comandante degli agenti penitenziari a don Mario Cattanea, predecessore di don Ricca recentemente scomparso. L’atmosfera che si respira è quella di un impegno congiunto affinché i giovani possano colmare positivamente il vuoto d’affetti, relazioni ed educazione cui la vita li ha costretti e reinserirsi nella società».

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per aprire spiragli sul mondo degli adolescenti, entrare nel loro universo e comprendere che i giovani “dietro le sbarre” non sono poi così diversi da quelli che frequentano gli oratori. Un altro aspetto che mi colpisce è la sua consapevolezza di essere, nel contempo, sacerdote e uomo delle istituzioni: come cappellano fa parte dell’organico del carcere e, in quanto tale, è al servizio dello Stato. L’uomo di Chiesa non scavalca mai l’uomo delle istituzioni e, in qualche modo, i due ruoli si compensano e si completano».

Hai deciso di devolvere i diritti d’autore per finanziare borse di studio e di lavoro per il reinserimento dei ragazzi che attraversano l’esperienza del Ferrante Aporti. Una scelta decisamente controcorrente… «Non è stato facile convincere don Domenico a parlare della sua vita e proporgli un’iniziativa che – attraverso il libro – potesse essere utile anche ai suoi ragazzi ha rappresentato un buon argomento. Ogni volta che ho varcato i cancelli del carcere per documentare esperienze e raccogliere interviste, inoltre, è cresciuta in me la convinzione che quei giovani potrebbero essere anche figli miei».

Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti Lomunno Marina Elledici 2015 pagine 340, Euro 14,90

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La Galleria di don Bosco, principale attrazione dell’“Expo” di Torino 1884 DOPO QUINDICI ANNI A “LA STAMPA” DI TORINO, DAL 2003 È INVIATO SPECIALE ED EDITORIALISTA DEL “CORRIERE DELLA SERA”. HA RACCONTATO LE OLIMPIADI DI ATENE E DI PECHINO, GLI ATTENTATI DELL’11 SETTEMBRE, IL G8 DI GENOVA, GLI OMICIDI DI MASSIMO D’ANTONA E MARCO BIAGI AD OPERA DELLE BRIGATE ROSSE. RECENTEMENTE, CON IL SUO ULTIMO LIBRO DIMOSTRA CHE LA RESISTENZA NON È IL PATRIMONIO DI UNA FAZIONE; È UN PATRIMONIO DELLA NAZIONE.

Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza Cazzullo Aldo Rizzoli 2015 pagine 403, Euro 19,00

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«Don Bosco è un pezzo importante della nostra identità sociale, la sua impronta indelebile è patrimonio di tutti». Parola di Aldo Cazzullo, editorialista de Il Corriere della Sera, abituato ogni giorno a raccontare sul quotidiano più letto l’Italia agli italiani. Lo ha fatto anche nei suoi libri. E proprio in uno di questi, Il mistero di Torino, scritto a quattro mani con Vittorio Messori, scopriamo un episodio inedito della vita del santo: mentre è in corso l’Expo milanese, ecco venire fuori un fatto storico che ne esalta ancora una volta il carisma e l’operosità.

nazionale della Scienza e della Tecnica, la prima e la più grande dopo l’Unità e che, naturalmente, vuole magnificare il progresso. Ottiene di parteciparvi anche don Bosco che, accanto alla Galleria ufficiale dell’Esposizione, ne costruisce una, tutta e solo sua, lunga quasi 60 metri: decine di suoi giovani, addestrati a usare macchine modernissime, mai viste in Italia, fabbricano la carta, stampano, rilegano, mettono in vendita edizioni illustrate con fregi e incisioni. Stando a tutte le testimonianze, la Galleria di don Bosco diventa subito la principale attrazione di quell’evento.

L’EXPO DI DON BOSCO

SANTIFICARE LE FESTE

1884. Al Parco del Valentino di Torino si tiene la grande Esposizione

«Dobbiamo rimettere al centro quella sfida donboschiana di fare dei

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giovani i veri protagonisti – spiega Cazzullo –. Una comunità che non punta su di loro non vive: sopravvive, senza la sensazione d’essere dentro una storia che va avanti». Non mancò del malumore tra gli organizzatori e il santo: il tutto perché don Bosco faceva fermare e chiudere la Galleria alla domenica, quando i visitatori erano più numerosi, volendo riaffermare l’importanza del riposo festivo. Un’inquietudine che sfociò in una ripicca inaccettabile. Conclusa l’Esposizione, infatti, erano previsti premi per i più meritevoli. Ai salesiani e ai loro impianti, che avevano attirato la maggiore attenzione e il maggiore compiacimento del pubblico, fu negata una delle medaglie d’oro distribuite generosamente e non fu attribuito che un diploma d’onore. Davanti a una così palese ingiustizia don Bosco protestò pubblicamente, e visto che le sue rivendicazioni erano ignorate, diede ordine di non ritirare neanche il diploma.

mo da dare a quanti oggi come ieri girano per le città senz’arte né futuro? Dobbiamo tornare ad aprire le scuole professionali, a costruire laboratori, a realizzare officine, insomma, a offrire un’alterativa a chi ha smesso anche di sognare». Genialità, capacità di inventare risposte sempre nuove ai problemi sociali ed educativi incessantemente emergenti. Tra troppi maestri di sventura e pochi profeti di speranza don Bosco è ancora e sempre punto di riferimento. ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net

Il mistero di Torino. Due ipotesi su una capitale incompresa Messori Vittorio; Cazzullo Aldo Mondadori 2005, pagine 496, Euro 10,50

IL FUTURO È NELLA GIOVENTÙ

Ma la meschineria dispettosa del premio negato non fece altro che sottolineare il messaggio che il santo aveva voluto lanciare: non c’è nessuna incompatibilità tra la nuova società scientifica e tecnica e una formazione a un cattolicesimo pienamente vissuto. «Lui che capì i problemi degli adolescenti nel passaggio dalla società agricola a quella preindustriale, saprebbe ancora interpretare i nuovi orizzonti della gioventù – conclude Cazzullo –. Quali prospettive abbia-

Manifesto dell’Esposizione Generale Italiana avvenuta del 1884 a Torino. SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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DON BOSCO OGGI

Quando don Bosco acquistò la cartiera UN PROGETTO PASTORALE-GESTIONALE INNOVATIVO

Alcune pagine della storia salesiana sono rimaste nascoste per tanto tempo e quando si ha la fortuna di riscoprirle senti il desiderio di raccontarle a tutti. Così è nata l’idea di una pubblicazione di taglio divulgativo sui legami di don Bosco con due piccoli paesi alle porte di Torino, sul crocevia tra il Canavese e le Valli di Lanzo: Mathi e Nole. Il ritrovamento quasi casuale negli archivi storici di questi paesi di alcuni documenti, sconosciuti anche alle fonti salesiane, mi hanno convinto a proseguire la ricerca. Si è ben presto delineata la figura di un don Bosco pioniere della carità, uomo capace di scorgere la meta della salvezza ma al tempo stesso di saper porre le basi perché tanti, specialmente giovani, potessero raggiungerla: «Per guadagnare anime a Dio io corro avanti fino alla temerità». Qui don Bosco pose le basi di un progetto pastorale-gestionale fortemente innovativo dove lavoro e carità, tornaconto materiale e profitto spirituale, impresa e persona, illuminate dal Vangelo trovano il giusto equilibrio tra loro. 36

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“SANTA IMPRESA”

Intorno al 1870 don Bosco era ormai diventato un editore a tutto tondo gestendo in proprio l’intero ciclo produttivo. L’intento era anzitutto catechetico ed educativo: «In ogni pagina ebbi sempre fisso quel principio - scrive il Santo nella prefazione della Storia Sacra - illuminare la mente per rendere buono il cuore». Infatti il contesto storico era completamente mutato: fino al Settecento le guerre si combattevano sui campi di battaglia, armi alla mano, dalla metà dell’Ottocento iniziò invece la battaglia della carta stampata. E don Bosco non si tirò indietro, tanto che alcuni dei suoi nemici fecero di tutto per togliergli l’arma principale e indispensabile: la carta. Ecco la vera necessità che spinse don Bosco nel 1877 ad acquistare una cartiera in Mathi: così il prete di Valdocco divenne imprenditore e chiese ad alcuni suoi salesiani, in particolare ad un gruppo di coadiutori, di fare lo stesso e buttarsi a capofitto nella gestione di un’impresa che contava all’epoca più di cinquanta dipendenti. Fu don Bosco stesso il primo “commerciale” della cartiera, intitolata a san Francesco di Sales, ricer-


“In treno con don Bosco”, Viaggio del rettor maggiore da Stazione Dora a Mathi.

DON BOSCO OGGI

cando nuovi clienti addirittura oltre oceano: «Mi sono messo a fare il negoziante e ho comprato una cartiera ad unico fine poter giovare alla buona stampa - scrive al missionario don Lasagna - se pertanto tipografi di Montevideo (che non stampino cose irreligiose) vogliono della nostra carta, io penso di poter offrire il venti per cento di riduzione». Fedeli alle parole del fondatore, «Quando si tratta di qualcosa che riguarda la gran causa del bene voglio essere sempre all’avanguardia del progresso», i Salesiani gestirono in primis la cartiera oltre quarant’anni, fino al 1919, prima di cederla alla famiglia Bosso.

I dirigenti della cartiera con il Rettor Maggiore posano la targa commemorativa della storica visita.

BENTORNATO DON BOSCO A MATHI E NOLE

Il 30 maggio scorso, tra le celebrazioni per l’anno Bicentenario, don Àngel Fernàndez Artime ha ripercorso i passi di don Bosco toccando i luoghi più significativi per la storia salesiana. Il viaggio del convoglio storico in treno con don Bosco, in collaborazione con l’azienda pubblica di trasporto GTT, ha permesso al Rettor Maggiore di ripetere i tanti viaggi che il Santo fece sulla linea ferroviaria. A Mathi la consegna della cittadinanza onoraria ha voluto celebrare il profondo segno lasciato dal santo nel tessuto sociale del paese: ancora oggi la ex cartiera salesiana è un sito produttivo di primo livello che offre lavoro a quasi 600 dipendenti; gli attuali proprietari, le multinazionali finlandesi Ahlstrom e Munskjo, continuano ad onorare il ricordo di don Bosco conservando con cura le stanze storiche dove il santo soggiornava e dove vissero le comunità dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Infine la tappa a Nole per ricordare l’amicizia di don Bosco con il medico condotto del paese, dott. Alessandro Chiappè, presso la cui casa era solito fermarsi nei suoi viaggi in zona.

L’ing. Mirone (direttore di produzione della cartiera) consegna al Rettor Maggiore in omaggio un quaderno stampato ai tempi di don Bosco a Mathi.

FEDERICO VALLE redazione.rivista@ausiliatrice.net

A Mathi e Nole sui passi di don Bosco Federico Valle Elledici - Velar 2015 pagine 48, Euro 5,00 SETTEMBRE-OTTOBRE 2015

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DON BOSCO OGGI

Dire don Bosco oggi, con la musica Intervista a don Maurizio Palazzo, autore del Musical su don Bosco: Giovan(N)i d’oggi.

DON MAURIZIO PALAZZO, SPIEGA CHE L’IDEA È DI CREARE UN COLLEGAMENTO TRA LA DIMENSIONE ATTUALE E IL TEMPO DI DON BOSCO. «UNO DEI RAGAZZI, CARLO, NON RIESCE A TORNARE, I COMPAGNI TORNANO INDIETRO A CERCARLO E LO TROVANO NELL’OTTOCENTO, COMPLETAMENTE AFFASCINATO DA DON BOSCO E HA CAPITO CHE NON È IMPORTANTE VIAGGIARE NEL FUTURO MA COSTRUIRE IL PRESENTE IN MODO INTELLIGENTE».

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L’anno del Bicentenario si è aperto con una manifestazione musicale di una certa particolarità: il musical Giovan(N)i d’oggi, composto e realizzato dal salesiano don Maurizio Palazzo. In questo angolo della nostra Rivista, dedicato alla musica e ai musicisti più vicini a noi, non potevamo rinunciare a interpellare don Maurizio, continuatore ideale di una linea di salesiani compositori e maestri, che ci auguriamo di riscoprire ed esplorare. Don Maurizio, in una parola, che cosa è stato Giovan(N)i d’oggi? Questo musical è stato organizzato per aprire le celebrazioni del Bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco, avvenute a Valdocco il 23 e 24 gennaio 2015. Alla prima esecuzione, avvenuta la sera del 23 gennaio era presente il Rettor Maggiore dei Salesiani e la Madre Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con una buona parte dei

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rispettivi Consigli Generali. «Tutti, e siamo qui in tanti, diciamo grazie per l’arte, per la bellezza e per tutto il tempo che avete messo per realizzare questo spettacolo». Con queste parole il Rettor Maggiore dei Salesiani, ha chiuso la prima assoluta di Giovan(N)i d’oggi al Teatro Grande Valdocco di Torino. Qual è per così dire il “taglio” di questa tua opera? Invece che elencare una serie di dati biografici, come in molti musical precedenti, qui si è voluto rovesciare il punto di vista, partendo dalla scoperta di don Bosco fatta da ragazzi moderni, che tornano indietro nel tempo. Scopriranno che don Bosco è “la chiave del tempo”, perché attraverso il suo messaggio ha saputo dare un significato vero al tempo presente, che deve essere utilizzato per costruire il Regno di Dio. Il presente va custodito, mentre il futuro è solo un sogno ingannevo-


Entriamo nel “vivo musicale”, che è il nostro interesse. Puoi spiegarci l’idea generativa di un musical come il tuo? Tutti i brani si avvalgono di un tema comune, che è quello dell’inno conclusivo (Un sogno che vola). Questa cellula, che ritroviamo al suo stato naturale nell’incipit del ritornello (re-mi sol; mi-sol-la) ricompare trasformata e variata in tutti i 22 brani del musical, che però si differenziano nelle atmosfere e stili. Andiamo dall’ouverture sinfonica iniziale, che contiene tutti i tempi principali, ai brani più semplici, stile canzone, alle marce, ai brani lenti e strumentali, alle grandi arie stile finale d’atto, ai brani rock, agli ariosi con i dialoghi, in stile drammatico, ai raccordi strumentali; una diversità che rende più evidente la differenza temporale imposta dalla storia: quattro ragazzi moderni (musica più moderna, rock) che fanno un viaggio a ritroso nell’ottocento (musica in stile più classico/sinfonico). Si allega un prospetto di alcuni dei temi più importanti dove tale parentela appare evidente. L’esistenza di un nucleo melodico originario, da

cui dipendono tutti gli altri temi, bilancia la diversità stilistica dei vari brani presenti in questo musical, ed evita la semplice giustapposizione di interventi musicali. Potremmo considerarlo un leit-motiv come spesso accade nella musica classica, e questo assicura una buona coesione formale. Tra i brani migliori ricordiamo: l’Ave Maria, per l’ampiezza dell’arco melodico; il finale del primo atto, pieno di imitazioni, e con una fluenza melodica interessante, i brani popolari Basta che siate giovani e Don Bosco è qua. Che bello, aggiungiamo noi, constatare per una volta che la musica salesiana non è soltanto storia passata, ma evento presente. È come aver ricevuto un segno, anzi, diremmo noi del mestiere un gesto di attacco di un nuovo concerto, in cui molti possiamo donare la nostra presenza e sensibilità. Siamo alla ricerca di un pubblico che ascolti, ma noi, intanto, la nostra parte la faremo proprio bene. CLAUDIO GHIONE redazione.rivista@ausiliatrice.net

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le quando non è nutrito di una vera ricerca del bene.

IL MUSICAL È UNA PRODUZIONE D’ALTO LIVELLO: SCENE MOBILI CHE AVVOLGONO IL PUBBLICO FINO A PORTARLO IN UN CIELO STELLATO, COREOGRAFIE, COSTUMI, SPETTACOLI DI LUCE A SORPRESA. CI SONO LA PASSIONE, LA MAGIA E IL GIOCO DI PRESTIGIO. COLPISCE PARTICOLARMENTE LA MUSICA DI DON MAURIZIO PALAZZO (CHE NELLO SPETTACOLO SUONA IL PIANOFORTE), ESEGUITA DA UNA ORCHESTRA DAL VIVO IMPONENTE ED UN CORO CHE POTREBBE COMPETERE CON LE PRODUZIONI PIÙ IMPORTANTI DEL MUSICAL TRA BROADWAY E TOTTENHAM COURT A LONDRA.

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DON BOSCO OGGI

Famiglie in cammino con Maria

ADMA FAMIGLIE redazione.rivista@ausiliatrice.net

Continuiamo a condividere le esperienze di vita di famiglie che fanno parte dell’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) o ne sono simpatizzanti.

QUANDO LA MADONNA CHIAMA, NON ESITIAMO A DIRE DI SÌ!

CONDIVIDERE QUESTA ESPERIENZA DELL’ADMA CON ALTRE FAMIGLIE CONSACRATE NEL MATRIMONIO CI RENDE DAVVERO UNITI CON UN FILO COMUNE IN UMILTÀ E CARITÀ IN GESÙ! (GIUSEPPINA E GIORGIO)

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Per noi l’impegno all’ADMA è stato un vero e proprio consolidamento nella fede, un traguardo che si taglia scoprendone l’esistenza solo dopo averlo superato e si esulta di gioia in comunione con Gesù, Maria e i Santi. Un consolidamento perché ci si sente in comunione completa con la Chiesa e si può iniziare a sbocciare e a portare tanti frutti, tutti e soltanto con gioia per Dio. è veramente un grande dono e a volte ci chiediamo se ne siamo all’altezza e perché ha scelto noi!   Un altro grande dono è la concretezza della presenza di Maria, di don Bosco e di tanti altri Santi, in particolare quelli legati alla Famiglia Salesiana, perché quando si invoca-

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no con fede nella preghiera, davvero si sentono vivi, a fianco a noi e veramente tutto si può chiedere per la nostra anima e per la nostra vita terrena! A volte ci chiediamo quando saremo con loro dopo questo grande passaggio di umiltà che è la morte, in che gioia immensa danzeremo con loro sotto il mantello di Dio. La nostra immaginazione si ferma quando il nostro cuore è colmo di allegria e felicità nel pensarlo. Infine, il condividere questa esperienza dell’ADMA con altre famiglie consacrate nel matrimonio ci rende davvero uniti con un filo comune in Umiltà e Carità in Gesù! Quando la Madonna ci chiama, non esitiamo neanche un po’ a dirle di Sì! I doni sono davvero tanti e impagabili! Grazie Dio! GIUSEPPINA E GIORGIO


DON BOSCO OGGI

IO E CLAUDIO APPARTENIAMO A MARIA!

Una sera di un 24 del mese ero stanca e ho detto a mio marito e ai miei bambini: «Andiamo a pregare la Madonnina» e siamo andati a Valdocco nella cappella di San Francesco di Sales. Ero stanca, confusa e mi sono dimenticata che lì c’era l’Adorazione. Quando siamo arrivati ho trovato Gesù. Mi sono seduta come sempre sotto il quadro di Maria e ho pensato: «Ecco, è proprio così: quando siamo stanchi, quando siamo confusi, basta dare la mano a Maria ed Ella ci porta da Gesù». Io e Claudio apparteniamo a Maria da sempre. Dicevamo il rosario già prima di incontrarci e ci siamo sposati nel mese di Maggio perché è il mese della Madonna. Poi a Maggio dell’anno scorso Maria ci ha fatto un grande regalo: ci ha fatto conoscere l’ADMA e tutti e due pensia-

mo di aver trovato un grande tesoro. Abbiamo trovato famiglie ricche di grandi esperienze di vita reale insieme a Gesù e che come noi pensano che la strada giusta per essere felici è stare con Gesù. Ho partecipato alle più belle condivisioni della mia vita e mi porto in tasca delle frasi che sono dei gioielli, delle pietre preziose. Abbiamo trovato don Roberto e don Pierluigi e per loro non bastano le parole, bisogna incontrarli. È aumentata in modo esponenziale la nostra preghiera personale e famigliare, e poi la partecipazione all’Eucaristia. Insieme a Maria preghiamo Dio perché sciolga i nostri nodi e dal dialogo continuo con Dio sono arrivati un sacco di miracoli. Bastava chiederli! Ma la gioia più grande è stare più tempo possibile con Dio e ci fa piacere che anche i nostri figli respirino il più possibile quest’aria.

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STEFANIA E CLAUDIO

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DON BOSCO OGGI

Dalla casa di Maria alle nostre case

PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org

“DALLA CASA DI MARIA ALLE NOSTRE CASE”

Dobbiamo impegnarci a portare il profumo di una nuova umanità, il soffio dello Spirito che fa nuove tutte le cose, attualizzando nei gruppi della Famiglia Salesiana e nelle famiglie una rete di relazioni autentiche, di corresponsabilità e di comunione ispirata allo spirito di famiglia di don Bosco. Ragione, religione e amorevolezza possono essere declinate in dialogo, volersi bene e presenza di Dio. PASTORALE GIOVANILE E PASTORALE FAMIGLIARE

La ricca esperienza vissuta durante il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice (Torino–Colle don Bosco 6–9 agosto 2015) ha costituito uno dei vertici dell’anno Bicentenario della nascita di don Bosco. Rinviando per la cronaca e i contenuti del Congresso al sito web dedicato, riportiamo qui in sintesi alcune delle conclusioni proposte dal Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, nella giornata conclusiva svolta al Colle don Bosco domenica 9 agosto. IMPEGNI DAL CONGRESSO

Alla luce dell’esperienza condivisa in questi giorni di Congresso, accogliendo il messaggio maturato nell’ascolto delle relazioni, delle testimonianze 42

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e delle esperienze, soprattutto restando in ascolto di ciò che lo Spirito ci dice vorrei condividere alcuni obiettivi, che siano punti di riferimento e tracce per un cammino nella nostra Famiglia Salesiana. Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, guidati da Maria Ausiliatrice e nella scia tracciata dal nostro padre don Bosco, sono convinto che questo Congresso rappresenti per la nostra Famiglia Salesiana un momento di grazia per annunciare il “Vangelo della famiglia”, riproponendone la bellezza, il ruolo e la dignità. In particolare guardando a don Bosco, alla sua paternità, vissuta nel primo oratorio con uno spirito di famiglia, sperimenteremo una crescita d’identità più chiara e più solida.

Don Bosco ha sognato un movimento di persone per i giovani: solo una comunità di discepoli-apostoli, accogliente ed esemplare, può trasmettere la fede ed essere credibile. Per questo “casa” e “famiglia” sono i due vocaboli frequentemente utilizzati da don Bosco per descrivere lo “spirito di Valdocco” che deve risplendere nelle nostre comunità. In questo senso accogliamo l’appello evangelico e carismatico alla mutua comprensione e corresponsabilità, alla correzione fraterna e alla riconciliazione. Anche noi siamo chiamati a fare in modo che la pastorale giovanile sia sempre più aperta alla pastorale familiare. Occorre far sì che le famiglie diventino nella vita quotidiana luoghi privilegiati di crescita umana e cristiana, nell’assunzione delle virtù che danno


LIBRERIA

stenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo» (relazione Sinodo sulla Famiglia n. 61).

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forma all’esistenza. Occorre camminare con le famiglie, accompagnarle nelle situazioni complesse che si trovano ad affrontare, individuando nuove vie e strategie comuni per sostenere i genitori nell’impegno educativo.   In linea con l’impegno di tutta la Chiesa che «svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di so-

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DON BOSCO OGGI

Peperoni in agrodolce Per ricordare la dolcezza della gioia e l’amarezza della fatica, ecco i semplicissimi peperoni in agrodolce. 4 peperoni rossi e gialli 4 cucchiai d’olio 1 spicchio d’aglio 1/2 bicchiere di aceto 1 cucchiaio di zucchero

Lavare e tagliare a pezzi i peperoni. In una padella rosolare lo spicchio d’aglio con l’olio; aggiungere i peperoni. Condirli con il sale, l’aceto e lo zucchero. Continuare la cottura, rimestando spesso, per 30 minuti circa.

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Giugno 2015, ultimo giorno di ostensione della Sindone. Fra poco dovremo ripiegare la canotta gialla con la scritta AccoglienzaValdocco, che ci qualificava come guide, accompagnatori o semplici presenze accanto ai pellegrini che a migliaia hanno attraversato i cortili di Maria Ausiliatrice. Dopo il 24 giugno il flusso dei visitatori è rientrato nella norma, venendo, così, a mancare quel clima di festa e anche un po’ di baraonda creato da persone di tutte le età che, dopo aver venerato la Sindone, venivano a pregare sui luoghi salesiani. Gente di famiglia, certo, ma anche gente che forse di don Bosco aveva appena sentito parlare e che qui ha sentito il fascino del carisma salesiano. Quante cose da raccontare, quante emozioni! Quante avventure: alcuni perdevano il loro gruppo, altri si infilavano nella chiesa sbagliata e non riuscivano poi a capire la celebrazione in una lingua non loro. Qualche spintone lungo la scala della Cappella delle reliquie, molte corse attraverso il cortile per acchiappare qualche pellegrino distratto, per portare al volo una bottiglietta d’acqua. Ed è stato bello, la sera di Maria Ausiliatrice, vedere il lungo fiume giallo delle nostre magliette snodarsi lungo il percorso della processione. Come dimenticare il giorno del Papa, con quei turni lunghi e impegnativi, con quella celebrazione eucaristica finale solo per noi, nella chiesa di San Francesco? Lì abbiamo sentito veramente di essere un ramo nuovo di Famiglia Salesiana, anche se, a titoli diversi, ne facciamo già parte. Sarà ancora bello continuare questo volontariato con ritmi più calmi. E la sera tornare a casa con la schiena a pezzi e il cuore che canta per tutti i sorrisi ricevuti e donati. Per le amicizie appena nate, per le vecchie amicizie ritrovate ai piedi di don Bosco. Per il dono promesso da Gesù a chi rimane nel suo amore: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena» (Gv,15–11). ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net


Dio benedica e ricompensi largamente la carità dei nostri benefattori. Don Bosco

Ricordiamo che la prima santa Messa quotidiana

celebrata nella Il Basilica di 1887 Maria Ausiliatrice 19 dicembre per l’ultima volta Don Bosco è officiata per tutti i benefattori dell’opera salesiana. si sedette alla scrivania e con fatica alcune 2016 frasi, l’abbonamento Avvisiamo i lettori che dascrisse gennaio come la presente, su immagini annuale Italia saràchedisi volevano Euro 15,00 anche per i rinnovi mandare Benefattori. LaaiRedazione MARIA AUSILIATRICE D E L L A

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3 ottobre 2015 In caso di MANCATO RECAPITO inviare a: TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente: C.M.S. Via Maria Ausiliatrice 32 – 10152 Torino, il quale si impegna a pagare la relativa tassa.


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