Rivista Maria Ausiliatrice n. 5/2017

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# CHIAMATI

in ogni parte del mondo

1 P er essere all’altezza della nostr a esistenza.

dal nuovo libro di Robert Cheaib

6 1875: don Bosco

Pensa di inviare missionari in India

14 Mai “nostri”, sempre di Dio.

ISSN 2283–320x

I figli secondo la Bibbia

settembre-ottobre 2017


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Grazie.

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Chiesa e dintorni

Oltre la morte di Dio. La fede alla prova del dubbio Dal nuovo libro di Robert Cheaib. Cerco Dio

Non avete sentito parlare di quell’uomo folle che nel chiaro mattino accese una lanterna, corse al mercato e si mise a gridare senza posa: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? Poiché proprio lì si trovavano radunati molti di quelli che non credevano in Dio, la sua apparizione suscitò grandi risate. «Qualcuno l’ha forse perduto?», disse uno. «Si è smarrito come un bambino?», disse l’altro. «O se ne sta nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato sulla nave? È emigrato?» – così gridavano e ridevano fra loro.1 Così inizia il famoso aforisma 125, noto come «aforisma dell’uomo folle», della Gaia scienza di Nietzsche, uno dei suoi testi più famosi e che costituisce, per così dire, il suo manifesto narrativo della morte di Dio. Attraverso il folle, Nietzsche invita l’uomo a rendersi conto della propria grandezza che gli ha permesso di uccidere Dio stesso. Il folle invita gli ignari assassini di Dio a capacitarsi di questo fatto capitale. Per lui, se l’uomo ha ucciso Dio, deve farsi dio egli stesso, deve farsi superuomo (Übermensch). Chiaro: camminiamo, con queste riflessioni, per andare oltre la morte di Dio. Cito la parabola dell’uomo folle per mettere in luce la gravità con la quale questi pone la questione della

sparizione di Dio dall’orizzonte dell’uomo. Nel tipico stile pluristratificato del pensiero di Nietzsche, troviamo in questo testo – forse contro l’intento esplicito del suo autore – un invito a non prendere alla leggera l’idea della morte di Dio, del far a meno di Dio. A prescindere dalle sue conclusioni, l’uomo folle ci interpella a non passare oltre questa notizia capitale come uno dei tanti titoli di notiziario che ci interessano per quell’attimo fuggente, attimo che cerchiamo di riempire con curiosità frivole per distrarci dalle domande fondamentali dell’esistere umano e per fuggire da noi stessi.

Dobbiamo diventare all’altezza della nostra esistenza

Come con i suoi superficiali contemporanei, anche oggi l’uomo folle piomba in mezzo a noi, ci trapassa con lo sguardo e ci interroga: «Dov’è andato Dio?». Ci interpella e ci obbliga a interrogarci sottolineando il vuoto che ha lasciato l’eclissi indotta di Dio nella nostra terra che abbiamo sciolto dalla catena del suo sole. Ci pone dinanzi al gesto tremendo che abbiamo effettuato con prosaica noncuranza, cancellando con la spugna l’orizzonte. Come abbiamo fatto? – risuonano accusatrici le parole dell’uomo folle – Come

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chiesa e dintorni

abbiamo potuto bere il mare? Chi ci ha dato la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto quando abbiamo sciolto questa terra dalla catena del suo sole? In che direzione essa si muove adesso? In che direzione ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non precipitiamo continuamente? E all’indietro, ai lati, in avanti, da tutte le parti? C’è ancora un sopra e un sotto? Non vaghiamo come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non viene continuamente la notte e più notte? Non bisogna accendere lanterne di mattina?2 Le sue domande sono pungenti e ci risvegliano al peso della responsabilità dalle proporzioni enormi che abbiamo nei confronti degli interrogativi radicali dell’esistenza: da dove veniamo? Dove andiamo? Chi siamo? Esiste Dio? Esiste l’anima? ecc.. Il folle di Nietzsche ci stuzzica ad essere all’altezza della nostra esistenza perché una vita senza ricerca non è degna dell’uomo, non è 2

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degna di essere vissuta.3 «Dove ti trovi, lì scava in profondo! Là sotto sta la sorgente» (4). È sempre Nietzsche che ci interpella, ci spinge a cercare, a non affondare nel banale, bensì ad andare fino in fondo non accontentandoci di surrogati di risposta. Norberto Bobbio, un altro filosofo ateo, affermava: «La differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti; ovvero tra coloro che riflettono sui veri perché e gli indifferenti che non riflettono».5 Cerco l’uomo

Possiamo forse – almeno apparentemente – sottacere la domanda su Dio, ma un’altra domanda rimane insita nella nostra essenza umana, la domanda, appunto, sull’uomo. Questa domanda grida in noi. Questa domanda è noi. Questa domanda ci trasforma in grido! L’uomo folle di Nietzsche rievoca spontaneamente il filosofo cinico Diogene. Anche questi, tra la folla distratta del mercato, con il lanternino in mano, cer-

cava. Il folle di Nietzsche cercava Dio. Diogene, invece, gridava: «Cerco l’uomo». E non è forse questa domanda un’eco, seppure lontano, di quella domanda che Dio rivolge all’umano: «Dove sei?».6 Una domanda rivolta all’uomo di tutti i tempi per risvegliarlo al senso di se stesso e di colui che l’ha fatto. A ben vedere, i due “ricercati” sono strettamente collegati. Quando si perde di vista l’uomo si perde Dio. Quando si perde il senso di Dio, il senso dell’infinito, si perde il senso dell’esistenza umana, perché «come un albero sradicato dal terreno, come un fiume allontanato dalla propria sorgente, l’anima umana deperisce se viene recisa da ciò che è più grande di lei».7 Da un lato, la domanda su Dio diventa o troppo astratta o troppo crudele (si veda il fondamentalismo religioso e il terrorismo di matrice religiosa) se perde di vista l’uomo, se non implica umanizzazione, se non interpella più l’umano e non lo eleva all’altezza della sua vocazione. Dall’altro lato, l’uomo si comprende solo sullo sfondo dell’eterno, dell’infinito, dell’oltre. Motivo per cui, nella morsa stretta del finito e dell’effimero l’uomo soffoca, soffre di denutrizione esistenziale, perde il terreno da sotto i propri piedi. L’uomo senza orizzonte è esposto – che ne abbia coscienza o meno – all’angoscia claustrofobica della fine senza finalità, dell’interruzione d’orizzonte, dell’aborto esistenziale indeprecabile, è esposto all’angoscia della morte che interrompe tutti i suoi sentieri e vanifica ogni suo sentire. Dinanzi all’orizzonte della morte,


l’uomo è simile a un corridore in un gioco perverso dove si trova a dover correre a piena velocità al buio sapendo che, nella sua corsa e da un momento all’altro, troverà un muro di filo spinato su cui si schianterà ridicolmente, ma fatalmente. Le due ricerche – quella di Dio e quella dell’uomo – si sorreggono a vicenda. Esse sono come due ali che mantengono il planare dello spirito umano a un’altezza degna del proprio volo. In entrambi gli episodi, la lanterna è usata in pieno giorno per denunciare un’illusione: quella del sapere scontato delle cose. Ci illudiamo di sapere cosa sia l’uomo come ci illudiamo di sapere chi sia Dio, e proprio a causa di questo riduzionismo non conosciamo né Dio né l’uomo. C’è addirittura chi nega Dio, chi è a-teo, senza nemmeno essersi fatto un’idea, un’affermazione, sul Dio che nega. Le lanterne in pieno giorno ricordano che non tutto ciò su cui cade la luce del sole è necessariamente illuminato. Anzi, ciò che è noto, sovente non è conosciuto.8 Ciò che abbiamo sempre davanti agli occhi è spesso ciò che più ci sfugge. Nel caso specifico dell’aforisma dell’uomo folle, la lanterna sta a indicare che la terra, il mondo della creatura umana, si è sganciata dal sole, abbracciando il suo buio, il suo eterno precipitare, il suo abisso del nulla.9 Dopo l’uccisione di Dio nella coscienza dell’uomo, l’uomo non si scopre forse come una «passione inutile»?10 O come una quantité négligeable, come poca cosa per essere preso sul serio? Con l’eclissi dell’orizzonte infinito sappiamo cosa

fa l’uomo, ma non sappiamo cosa sia, cosa significhi. Chi è l’uomo? Dov’è l’uomo? Il folle di Nietzsche sembra suggerirci che stiamo sprofondando in un infinito nulla. Recidendo sé da Dio, suo Creatore, l’uomo ha imitato il boscaiolo che si siede sul ramo che vuole tagliare. Questo accade, poiché lì egli si trova più comodo per poterlo segare nel suo punto d’innesto col tronco. Ma se chi taglia non si ferma in tempo, cade anch’egli insieme al ramo. Tanto meglio se è nell’acqua, come un contadino di mia conoscenza. Forti correlazioni tra morte di Dio e fine dell’uomo

La liberazione profetizzata a partire dal XIX secolo ha assunto il carattere di una caduta libera. Michel Foucault analizza in questo modo tale concatenarsi di cose: «Ai nostri giorni, non è tanto la morte di Dio che si è affermata, quanto invece la fine dell’uomo. [...] La morte di Dio e la fine dell’uomo hanno forti correlazioni. [...]

Secondo Nietzsche, è l’ultimo uomo che annuncia di aver ucciso Dio. Ma, dal momento che lo ha ucciso, è lui stesso che deve rendere ragione della sua finitezza. [...]. Più che la morte di Dio, o piuttosto sulla sua scia e secondo una profonda correlazione con essa, ciò che il pensiero di Nietzsche annuncia, è la fine del suo omicida».11 (continua) Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net

Oltre la morte di Dio di Robert Cheaib San Paolo, 2017 pagine 192

F.W. NIETZSCHE, La gaia scienza, in ID., Opere filosofiche, vol. I, Utet, Torino 202, 206-207. 2 Ibid., 207. 3 Cf. PLATONE, Apologia di Socrate 38A. 4 F.W. NIETZSCHE, La gaia scienza, 93. 5 L’espressione, probabilmente orale, è citata sovente da Carlo Maria Martini. Si veda C.M. MARTINI, Le cattedre dei non credenti, Bompiani, Milano 2015, 195. 6 Gen 3,9. 7 A.J. HESCHEL, L’uomo alla ricerca di Dio, Qiqajon, Magnano (VC) 1995, 18. 8 Cf. G.W.F. HEGEL, La fenomenologia dello spirito, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1984, 25. 9 Cf. J. WERBICK, Essere responsabili della fede. Una teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2002, 40. 10 J.-P. SARTRE, L’Etre et le Néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Gallimard, Poitiers 1966, 708. 11 Cf. R. LAURENTIN, Dio esiste. Ecco le prove, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, 11-12 1

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Giuliano Palizzi

chiesa e dintorni 1 oltre la morte di dio.

la fede alla prova del dubbio robert cheaib eo

i figli secondo la Bibbia

16 diventare dei portacristo mario scudu

utile e profondo

rettore 8 curare i frutti interiori

ezio risatti

20 chiesa cattolica cinese

scoperti nell’estate

salvo ganci

cristian besso

giovani 10 una fede fredda e ideologica giuliano palizzi

12 tredici, la serie tv di netflix non adatta ai minori di 14 anni pietro caccavo

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chiesa e dintorni 14 «li benedisse: “siate fecondi”»:

18 comunicare in modo semplice,

carlo tagliani

don bosco oggi 23 CNOS-fap di vercelli: un centro

storico e una storia da raccontare silvano lago

26 l a spal di ferrara andrea caglieris

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Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione)

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Foto di copertina: Archivio RMA, Mario Notario

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Andrea Caglieris

carlo miglietta

a tutto campo 6 Il volto “indiano” di don bosco

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Silvano Lago

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Marco Rossetti

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Francesca Zanetti

28 islam. 100 e più domande

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poster

I

40 il signore è con te,

ed il sì della amata da Dio

la redazione

gianni sangalli

30 Il gruppo appartamento,

42 Ave, maria, regina del santo rosario

un’occasione per crescere da adulti

angelo di maria

salesiani per il sociale

32 affida, confida e sorridi

don bosco oggi 44 pesche allo zabaglione

elena e elisabetta

anna maria musso freni

34 praticare il sistema preventivo in famiglia pierluigi cameroni

poster

la parola 36 spazio alla parola

una grande missionaria... mario scudu

marco rossetti

maria 38 punto e a capo:

la fatica di ricominciare francesca zanetti

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a tutto campo MARIA

Il volto “indiano” di don Bosco

Incontro con “padre Rico”, missionario salesiano che ha consacrato la propria vita al servizio dei giovani più poveri e svantaggiati.  Il suo nome è padre Ricopar Royan ma per i ragazzi che frequentano le case salesiane in India è semplicemente “padre Rico”. Quarantasei anni, salesiano da venticinque, è animato da una passione per don Bosco sbocciata sui banchi di scuola insieme al desiderio di consacrare la propria vita ai giovani più poveri e svantaggiati. Lo abbiamo incontrato per conoscere più da vicino la realtà missionaria salesiana nel subcontinente indiano. Una storia lunga centoundici anni

Da quanto tempo i Salesiani sono presenti in India? Se scorriamo la biografia di don Bosco scopriamo che già nel 1875 l’India era tra i suoi progetti di evangelizzazione. 6

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Solo una decina d’anni dopo, però - il 5 gennaio 1906 - il primo gruppo di cinque salesiani, “capitanato” da don Giorgio Tomatis, raggiunse Thanjavur, nell’India sudorientale. Da allora siamo diventati oltre 2.500 e la stragrande maggioranza di noi è originaria dell’India». Quali campi d’azione privilegiate? «La nostra attenzione principale è rivolta ai giovani e alla loro educazione. Gestiamo circa 200 scuole e collegi universitari, una novantina d’istituti professionali e alcune istituzioni agricole che coinvolgono complessivamente circa duecentocinquantamila giovani. Numeri che appaiono enormi rispetto ad altre realtà ma che tendono inevitabilmente a ridimensionarsi se si considera che l’India conta oltre un miliardo di abitanti».


a tutto campo MARIA

Come don Bosco avete un occhio di riguardo per i giovani più deboli e sfortunati... «L’attenzione ai ragazzi che vivono ai margini della società è un tratto distintivo dell’essere figli di don Bosco. Il nostro impegno in questo campo è riconosciuto anche dalle autorità governative e centinaia di Salesiani s’impegnano ogni giorno per offrire di più a coloro cui la vita ha dato di meno».

Chiunque desideri approfondire o sostenere l’attività di Missioni Don Bosco Onlus negli oltre centrotrenta paesi in cui opera può mettersi in contatto con l’Ufficio progetti

Anche tu puoi fare qualcosa!

Missioni don Bosco Valdocco Onlus

via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 116 e-mail: progetti@missionidonbosco.org www.missionidonbosco.org

Un aiuto semplice e concreto

Tra i tanti progetti sostenuti da Missioni Don Bosco in tutto il mondo non pochi riguardano l’India. Quali sono i più importanti? «Certamente quelli rivolti ai minori malati di Aids realizzati nell’ambito del Progetto Don Bosco Care Home di Salem, nello Stato di Tamil Nadu, che assicura assistenza a livello medico-sanitario, nutrizionale, psicologico, educativo e ricreativo. Quando arrivano al centro sono deboli, tristi e sofferenti ma poco a poco diventano più forti: recuperano energie e fiducia nella vita e imparano ad aprirsi vedendo che ci sono altri coetanei che vivono la loro medesima situazione». Numerosi progetti offrono occasioni d’istruzione e di formazione professionale... «Certo, perché la nostra missione è formare buoni cristiani e onesti cittadini. A Garigaon, nello Stato di Haryana, nell’India nordoccidentale, abbiamo dato vita a una scuola materna per offrire la possibilità a 700 bambini in balìa di se stessi di frequentare l’asilo e la scuola elementare. A Chennai, capitale dello Stato di Tamil Nadu, sorge il Bosco Illam, un ostello che ospita 180 giovani orfani o poveri che frequentano l’Istituto salesiano di Arti grafiche».

E non manca l’impegno in favore delle ragazze... « In Tamil Nadu i Salesiani si battono da anni al fianco degli emarginati, in particolare dei bimbi e delle donne dalit, le prime vittime di questa gravissima situazione. A loro, alle donne, è dedicato un progetto che mira ad aiutarle ad acquisire strumenti in grado di accrescere l’autostima e le capacità professionali. Per questo i Salesiani hanno progettato un’iniziativa capillare, che coinvolge donne di ben 45 villaggi in cui intendono organizzare 120 gruppi di autoaiuto in 2 anni. E, per farlo al meglio, è necessario l’aiuto di tutti». Carlo Tagliani redazione.rivista@ausiliatrice.net

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RETTORE

Curare i frutti interiori scoperti nell’estate  Carissimi, i mesi estivi, presso il Santuario dell’Ausiliatrice, sono trascorsi come immersi nella costante e gioiosa presenza di molti gruppi di giovani e di pellegrini, che hanno approfittato della pausa estiva per trascorrere almeno una manciata di ore presso i luoghi salesiani. Davvero è il caso di dire che la Basilica, in molte giornate, era avvolta da una suggestiva armonia, creata dall’incontro tra la preghiera liturgica ed il vociare entusiasta dei più giovani; i cortili sembravano respirare a pieni polmoni la loro vocazione sia di spazio destinato al gioco e all’incontro, sia (soprattutto nelle ore mattutine e serali) di spazio accogliente per quanti vogliono raccogliersi nella lettura e nell’interiorità. L’estate è anche il tempo nel quale i salesiani ricevono le loro “nuove obbedienze”; la comunità di Maria Ausiliatrice ha, così, salutato il suo direttore don Félix 8

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Urra e ha accolto il nuovo, don Guido Errico. Don Félix, a conclusione di un triennio, ha ricevuto l’incarico come direttore presso la casa salesiana di la Coruña (Spagna - Galizia) e don Guido viene nella Casa Madre, portando con sé l’esperienza di coordinatore delle attività del VIS (Volontariato Internazionale Sviluppo) e dei cammini formativi dell’Italia salesiana. Momenti significativi a Valdocco

Non vogliamo dimenticare due significativi appuntamenti mariani celebrati nel mese di agosto: il sabato 5 (Dedicazione della Basilica di S. Maria Maggiore: celebrazione degli anniversari di professione religiosa delle nostre sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice) ed il 15 agosto (Assunzione della B. Vergine Maria: tradizionale giornata di pellegrinaggio e turismo, soprattutto per i giovani e le famiglie). Il no-


Mai soli: le nostre attività siano in sintonia con la Volontà di Dio

Se i lavori e le attività qui a Valdocco sembrano non avere mai battute di arresto, occorre sempre chiederci quali possano essere i “frutti interiori” che il riposo e la distensione del periodo estivo hanno portato con sé. Spesso le vacanze ci permettono di distendere cuore e mente, ed in un certo senso di recuperare quel gusto e quell’apprezzamento del vivere, che è il primo dono di Dio, frutto della Creazione. Nei giorni estivi, forse, abbiamo imparato a vivere con un po’ più di calma, e forse abbiamo posto maggior ordine nelle nostre priorità. Abbiamo gustato la gioia di relazioni senza rancore, segnate dalla bellezza del perdono, più facile quando c’è maggior riposo; può essere che abbiamo sentito anche l’intensità del vivere in comunione vera col Figlio di Dio e con il Vangelo, che Lui ci invita a vivere con sempre maggior radicalità, per la beatitudine. Bene, non tralasciamo troppo in fretta queste sane abitudini scoperte, facciamo tesoro della qualità di vita imparata nuovamente, dopo alcuni giorni di vacanza. Riprendiamo con energia la nostra attività lavorativa e di studio, sapendo che il senso del dovere, l’impegno professionale e l’ordine della propria vita sono intima-

mente connessi con la Volontà del Padre per ciascuno di noi.

RETTORE

stro Rettor Maggiore è stato presente con noi in occasione del Campo Bosco venerdì 4 agosto. Domenica 13, poi, duecento cinquanta giovani del SYM (Salesian Youth Movement, Movimento Giovanile Salesiano) si sono radunati a Valdocco, per una giornata intera sui luoghi di don Bosco, in occasione del loro incontro europeo. Ricordiamo ancora, che con la fine del mese di giugno sono iniziati i programmati lavori di restauro dell’organo della Basilica: un lavoro ingente ed accurato, reso possibile quasi interamente dalle offerte dei fedeli. Abbiamo, ancora, bisogno di completare il preventivo di spesa, ci permettiamo così di fare ancora appello alla vostra generosità.

I nuovi appuntamenti

L’anno pastorale che inizia, porta con sé anche una lieta ricorrenza: ricorre il “150° anniversario di consacrazione della Basilica”, evento di grazia compiutosi il 9 giugno 1868. Stiamo pensando ad almeno un doppio binario di proposte: sia alcuni appuntamenti di catechesi e di celebrazione, sia il ripensamento (con appropriati sussidi) dell’accoglienza dei vari ospiti del Santuario. La visita può essere una opportunità preziosa per riscoprire ed approfondire la fede, imparando dai santi salesiani l’importanza della spiritualità mariana e l’affidamento a Colei che è aiuto e sostegno del nostro cammino di conformazione al cuore crocifisso e risorto del Figlio di Dio. Attraversare i cortili di Valdocco può essere, grazie anche all’anniversario che celebreremo, una occasione non solo per una visita storico-turistica, ma una vera e propria riscoperta di alcuni temi decisivi per la ricerca di Dio. Ad una società che cammina talvolta un po’ distratta, occorre offrire oasi di senso e di interesse spirituale; ci piacerebbe moltissimo coinvolgere volontari e giovani per ripensare insieme questi cammini e questi sussidi contemporanei, per intercettare l’attenzione interiore di molti dei nostri visitatori, in particolare i giovani.

Grazie al riposo estivo abbiamo imparato a vivere con un po’ più di calma, e compreso meglio quali sono le vere priorità.

don cristian besso RETTORE rettore.basilica@ausiliatrice.net

Grazie a don Felix

Benvenuto don Guido

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giovani

«Se facessimo un elettrocardiogramma spirituale il risultato sarebbe lineare, senza emozioni» (Francesco).

Una fede fredda e ideologica  Oggi spesso si accusa la Chiesa di smarrimento e tutto si concretizza nella domanda esplicita: «Dove ci sta portando questo papa?». Tutti quelli che hanno toccato raramente un Vangelo e son rimasti attaccati a quelle quattro risposte imparate da ragazzi frequentando il catechismo per prendere i sacramenti e non hanno mai fatto il passo di scegliere Gesù Cristo e di affidarsi a lui come fondamento della fede (e non alla sola dottrina), si sentono smarriti quando non sentono parlare “il linguaggio della dottrina” ma sentono parlare “il linguaggio del Vangelo”, tipico 10

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di questo Papa. Sono cresciuti (meglio: sono rimasti bambini) pensando che per essere cristiani basta fare il precetto domenicale, fare sacrifici in quaresima (gli incredibili fioretti per calare due chili!!!), confessarsi una volta, più o meno, quando capita..., fare un’adozione a distanza di una bambina di colore da mantenere a 1,00 € al giorno e soprattutto per far vedere alle vicine la fotografia collocata accanto a quella di Padre Pio, qualche volta non mangiare carne al venerdì. Poi ti arriva questo Papa che dice che la Chiesa deve essere Chiesa di poveri per i poveri, me-

glio una Chiesa malata ma che esce dalle sue mura per andare nelle periferie esistenziali degli uomini che una Chiesa chiusa in se stessa come i discepoli la sera di Pasqua quando Gesù per poter entrare deve attraversare il muro, una Chiesa che segue un Dio misericordioso che perdona sempre e prima ancora che l’uomo si penta (com’è possibile? Ci avete insegnato di confessarsi e dire tutti i peccati e quante volte!! Ma se perdona tutti allora ognuno fa quello che vuole. Ecco perché non ci si confessa più!), una Chiesa che deve accogliere i migranti come se “fossero” Gesù (quei


Uomo per il sabato?

«Non sono venuto ad abolire la legge», così diceva il famoso Galileo, «ma a dare pieno compimento». È proprio quello che sta facendo il Papa. Dalla legge-fine Gesù e Francesco sono passati a alla legge-mezzo, mettendo al centro l’uomo: «Non l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo». È questo il compimento che da valore all’osservanza della legge, che non è in funzione di se stessa (sono andata a messa quindi sono a posto) ma è a servizio dell’uomo. Una legge che non è per l’uomo non viene da Dio (legano fardelli...). Un digiuno che non mi spinge ad amare di più il prossimo (privarmi per donare) non viene da Dio. Una messa precetto che non mi porta a incarnare la Parola ascoltata (chi riprende in mano la Parola della domenica? Quando usciamo di chiesa ci fermiamo a commentarla o.. tutto finisce lì e di corsa per le nostre faccende) è un precetto fine a stesso, da fare perché bisogna farlo, è una tassa da pagare... è questo che vuole Dio?

erano credenti in Dio, sapevano tutti i comandamenti, ma il cuore era chiuso, fermo, non si lasciavano inquietare». «Lasciarsi inquietare dallo Spirito Santo: io sono capace di ascoltarlo? Io sono capace di chiedere ispirazione prima di prendere una decisione o dire una parola o fare qualcosa? O il mio cuore è tranquillo, senza emozioni, un cuore fisso? Chiedo che mi guidi per il cammino che devo scegliere nella mia vita e anche tutti i giorni? Chiedo che mi dia la grazia di distinguere il buono dal meno buono? Perché il buono dal male subito si distingue. Ma c’è quel male nascosto che è il meno buono, ma ha nascosto il male». Chi non ha «questi movimenti nel cuore, che non discerne cosa succede, è una persona che ha una fede fredda, una fede ideologica. La sua fede è un’ideologia, tutto qui». Signore, aumenta la nostra fede!

chiesa e dintorni giovani

migranti che ci cacciano dai loro paesi e vanno in giro a fare i terroristi), una Chiesa che accoglie tutti (persino i divorziati risposati)...!!!

«Non l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo». Un digiuno che non mi spinge ad amare di più il prossimo (privarmi per donare) non viene da Dio.

Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net

ECG piatto

Il Papa (Santa Marta 29 maggio): «Certi cuori, se noi facessimo un elettrocardiogramma spirituale il risultato sarebbe lineare, senza emozioni». «Nei Vangeli ci sono questi, pensiamo ai dottori della legge: settembre-ottobre 2017

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Tredici, la serie tv di Netflix non adatta ai minori di 14 anni Mentre genitori, insegnanti e presidi stanno avendo problemi con l’adattamento tv, Tredici rimane la serie più popolare dell’anno su Twitter e gli altri social. Tutti gli episodi della prima stagione sono disponibili in streaming.  Una voce fuori campo che racconta di come sia giunta alla risoluzione definitiva di farla finita con la sua vita e di suicidarsi. La tv e il cinema, spesso, hanno usato questa situazione narrativa. Ultimamente è arrivata Tredici, la serie tv disponibile on-demand sulla piattaforma Netflix. Scritta da Brian Yorkey, Tredici è un teen drama tratto dal romanzo dal titolo italiano omonimo (Thirteen Reasons Why, in originale), di Jay Asher, uscito nel 2008 per Mondadori. Tutto è incentrato su Hannah, una liceale di una cittadina della provincia americana uguale a tante altre, ragazza bella, e travagliata dai problemi della sua età, che si è suicidata. Quali problemi? Bullismo, rapporti tra compagni di classe che sfociano in violenza sessuale. Questioni di non poco conto, oggi, che le principali agenzie educative (famiglia, scuola...) che, ancora una volta, vengo-

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no richiamate alle loro responsabilità dalle sfide che la modernità e la tecnologia (distorte) fanno ad ognuno di noi. I messaggi registrati da Hannah

Torniamo alla Hannah di Tredici, allora, ritratto in flashback di una ragazza normale e sfortunata. Sensibile, molto sensibile. Hannah, esuberante e normalmente curiosa della vita e dei ragazzi, dopo una serie di equivoci, infelici coincidenze e maliziose manipolazioni, finisce col farsi la reputazione di tipa facile, poco di buono. E questo la rende sempre più sola, sempre più fragile, spingendola al gesto finale ed irreparabile. Prima, però, utilizzando delle audiocassette, registra tredici lunghe spiegazioni del perché abbia deciso di uccidersi, ognuna delle quali è destinata a persone della sua scuola che lei ri-


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Comunicare. Già, si torna sempre al punto: in un mondo come il nostro di super-comunicazione, di strumenti che ci rendono connessi a tutto ed a tutti, è difficile parlarsi per svelare veramente (e solo a chi vogliamo) i nostri sentimenti più profondi. E soprattutto, l’età più critica, quella dell’adolescenza – quando la persona dovrebbe completare la sua formazione, fortificandosi – sembra esserne la più danneggiata. Una faccenda seria: saper distinguere la realtà dalla fiction

tiene responsabili dell’averla spinta al suicidio. Con una specie di catena di Sant’Antonio, poi, i tredici le dovranno ascoltare, in modo che la colpa e la vergogna (del gesto di Hannah) li seguano per sempre. Paradossale, un po’ estremo ed esile, forse, il meccanismo che regge questo plot. Ma riviviamo, come ipnotizzati, la storia di Hannah con gli occhi e l’ascolto di Clay, il compagno di classe che sarebbe potuto essere la sua relazione, il suo amore più puro e sincero, ma che per timore, complessi, timidezza non è mai riuscito a comunicare alla giovane la profondità del suo sentire.

I personaggi degli adulti, in Tredici, poi, non sono scevri da colpe: il professore psicologo della scuola, tanto premuroso ed attivo quanto sordo alle richieste d’aiuto di Hannah; i genitori dei ragazzi, assenti, annoiati, distanti o, se affettuosamente vicini, comunque “non senzienti”. Il racconto di Tredici procede per accumulazione, per cerchi concentrici e progressivi disvelamenti dei dettagli della vicenda, lampi di luce negli angoli scuri del quadro generale. Sgradevole, come è giusto, in alcuni dettagli (le scene della violenza sessuale e del suicidio). Non bisogna creare voglia di emulazione, corretto. Ma la triste, vera vicenda dell’italiana Tiziana Cantone resta un monito. Tredici è una serie interessante e molto ben fatta. Richiede adolescenti, giovani ed adulti che, vedendola, siano svegli, consapevoli e responsabili. Che distinguano il vero dalla fiction. Perché la realtà, lì fuori, è un’altra cosa ed è faccenda seria. Pietro Caccavo redazione.rivista@ausiliatrice.net

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«Li benedisse: “siate fecondi”»: i figli secondo la Bibbia to procreativo. Però è importante sottolineare che i bambini non sono il frutto “automatico” dell’essere sessuati. Per avere un figlio, occorre ogni volta una particolare benedizione di Dio (Gen 1,28). È la benedizione di Dio che renderà Abramo padre di molte nazioni (Gen 22,17). I figli sono «benedizione... del Signore» (Sl 128,3-4). La “teologia della sterilità”

«Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo» (Sl 127,3).  Tutta la famiglia trova nel mistero trinitario di Dio la sua radice e la sua vocazione. Subito dopo aver creato la coppia a sua immagine e somiglianza, Dio infatti la costituisce a dimensione di famiglia: «Dio li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”» (Gen 1,28). La “teologia della benedizione”

Nella Scrittura c’è una vera “teologia della benedizione (be14

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rakà)”. In ebraico, berakà è la “forza salutare o vitale”, ma anche il “ginocchio”, eufemismo per indicare gli organi sessuali. La benedizione non è solo augurio, ma è forza viva, è sinonimo della vita stessa che Dio dona: benedire è trasmettere la propria capacità generativa a un altro rendendolo fecondo. La sessualità nasce per l’aiuto reciproco («Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto simile a lui»: Gen 2,18), ma inscindibile è l’aspet-

Nella Bibbia troviamo anche una vera propria “teologia della sterilità” che sottolinea come tutti i figli siano sempre dono gratuito e immeritato di Dio. Sara partorisce un figlio nella vecchiaia ad Abramo solo per un prodigioso intervento divino (Gen 18). Rebecca, sterile, ha un figlio solo dopo le insistenti preghiere del marito Isacco (Gen 25,21). Rachele, moglie di Giacobbe, è talmente abbattuta per la sua sterilità che rischia di morirne dal dolore, ma «Dio si ricordò anche di Rachele e la rese feconda» (Gen 29,31). Solo per una particolare azione di Dio la moglie di Manoach diviene madre di Sansone (Gdc 13,1-24) e Anna madre di Samuele (1 Sam 1,718). Elisabetta, «sterile e avanti negli anni», partorisce Giovanni Battista solo dopo molte preghiere del marito Zaccaria (Lc 1,7-25). La stessa Maria, madre di Gesù, diventa feconda solo per un intervento ecce-


I figli, «dono di IHWH»

Non è quindi casuale che le mogli dei tre antenati del popolo eletto, e di altre donne della Scrittura, fino a Maria, non siano fertili senza uno specifico aiuto divino. I figli sono «dono di IHWH» (Sl 127,3): è Dio che «fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli» (Sl 113,9). La Scrittura ci ricorda quindi che i figli sono un “qualcosa di più” che Dio dà agli sposi: essi non sono un loro diritto. Ribadisce l’“Amoris laetitia”, riprendendo il Catechismo, che i figli «non sono qualcosa di dovuto ma un dono» (AL, n. 81). Per questo la Chiesa ha sempre ribadito nel suo Diritto Canonico che il matrimonio è pienamente valido anche se sterile (n. 1084, c. 3). La “teologia della benedizione” mette quindi in discussione tanti capisaldi della cultura attuale, che la Bibbia contesta con forza. Non esiste nessun diritto ad avere un figlio ad ogni costo, quindi la Scrittura deplora la ricerca della procreazione con ogni metodo e ad ogni età. Così la Parola di Dio condanna il rifiuto di concepire per egoismo, rinunciando a collaborare con la fecondità di Dio. Si deve comunque accettare di portare a compimento procreazioni talora “eroiche”, come quelle frutto di violenza, proprio perché il figlio è sempre e comunque “dono di Dio”, anche quando non nasce dall’amore dei due genitori. Così è da accogliere anche un figlio con malformazioni, per-

ché scopo della vita non è la salute, cosa ovviamente auspicabilissima, ma la relazione con Dio, che può avvenire anche in ogni condizioni di malattia o di disabilità. Proclamando il primato della fecondità spirituale (Lc 11,27-18), la Bibbia interpella tutti: ai single per vocazione o… per circostanza (quelli che non hanno trovato l’occasione giusta per sposarsi), ricorda che ogni vita è sempre chiamata all’amore; alle coppie fisicamente sterili, sottolinea che esse dovranno comunque esplodere in donazione e servizio; alle coppie fisicamente fertili, rammenta che si può rifiutare di procreare per egoismo, così come si può anche scegliere di avere figli proprio solo per il proprio tornaconto, per tamponare così le proprie frustrazioni, per avere in essi un aiuto futuro, o considerandoli un proprio possesso. Invece la Scrittura ci ricorda che i figli non sono mai “nostri”, ma sono di Dio, che ce li dà, anche se “naturali”, sempre “in affidamento”: solo lui, il «Padre di tutti» (Ef 4,6), «dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15), è l’unico vero Padre: «Non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). La trasmissione della Fede

Il vero compito educativo di ogni genitore sarà quindi far sì che i figli incontrino il loro vero Padre, Dio, di cui essi non sono che vicari e affidatari. La Fede normalmente nasce dalla “tra-

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zionale dello Spirito Santo (Lc 1,34-35).

dizione”, cioè dal racconto che viene trasferito alle nuove generazioni (1 Cor 11,23; cfr Lc 1,1-2). Ciascuno ha ricevuto la fede dai suoi genitori; quando Dio si rivela a Mosè sull’Oreb, gli si presenta come «il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,4): il nostro Dio è «il Dio dei nostri padri» (Dt 26,7). Se noi oggi crediamo, è perché possiamo dire: «Dio, i nostri padri ci hanno raccontato l’opera che hai compiuto ai loro giorni» (Sl 44,2). Ovviamente, ciò che si trasmette nasce dal proprio vissuto: i genitori narrano ai figli la loro esperienza di salvezza: «In quel giorno, tu istruirai tuo figlio: “È a causa di quanto ha fatto il Signore per me”» (Es 13,8). Solo se sperimentiamo personalmente che solo Dio può dare un senso al nostro vivere e al nostro morire riusciremo a trasmettere la Fede alle nuove generazioni. Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Diventare dei portaCristo

Ha scritto E. Hello: «Cristoforo è un nome terribile. Fare il PortaCristo è qualcosa fuori del comune; forse il mistero del nome contiene il mistero della storia, in ciò che c’è di più nascosto». Voglio servire il più forte

Le origini del suo culto sono antiche, risalenti infatti al 452 16

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in Bitinia, Asia Minore, quando gli fu dedicata una chiesa. In essa vennero poste le reliquie anche se l’iscrizione non ne indicava la provenienza. Il Martirologio Romano ricorda che Cristoforo durante la prigionia prima del martirio subì anche un tentativo di seduzione. Il nostro non solo superò l’impegnativo test, ma addirittura convertì le due prezzolate “fanciulle”...

fino a subire il martirio con lui. Episodio bello ma non provato. La sua “fortuna” nei secoli la deve al racconto di Jacopo da Varazze (beato). Cristoforo era un Cananeo, un gigante dotato di grande forza e imponenza fisica. Aveva un grande desiderio: mettersi al servizio del più forte. Ed allora eccolo alla ricerca. Trovò dapprima un re potente e, subito si mise a seguirlo. Ma un giorno in presenza di un giocoliere che cantava una canzone nella quale si nominava il diavolo, vide che il re quando egli pronunciava quella parola si faceva il segno della croce. A Cristoforo, dubbioso, il re confidò: «Quando sento nominare il diavolo, mi faccio il segno della croce per togliergli ogni possibilità di nuocermi». Concluse Cristoforo: allora il diavolo era più forte. E via alla sua ricerca... ma, dato il soggetto, non faticò molto a trovarlo. Infatti un giorno vide venirgli incontro un personaggio dall’aspetto terribile che gli chiese: «Dove vai e chi cerchi?». Cristoforo: «Sto cercando il signor diavolo perché ho sentito dire che è il più forte». E il diavolo: «Sono io quello che cerchi». Detto fatto: era al suo servizio. Ma un giorno incontrarono una Croce e il diavolo cambiò precipitosamente strada. E Cristoforo: «Perché eviti la Croce?». Il diavolo fece finta di non capire. «Si direbbe che tu ne abbia paura». Di nuovo silenzio. Poi alla minaccia di abbandonarlo, il diavolo a denti stretti confessò quell’unica de-


Che cosa devo fare per vedere Gesù Cristo?

Di nuovo in cammino, di nuovo in ricerca. «Dov’è Gesù Cristo?» chiese alla gente. Risposta: «Vai da quell’eremita laggiù. Ti mostrerà Gesù Cristo». Andò e lo trovò. «Che cosa devo fare per vedere Gesù Cristo?» gli chiese. Risposta: «Devi digiunare». Lo guardò perplesso: «Digiunare? Non sono capace. Insegnami un altro mezzo». Rispose: «Per vedere Gesù Cristo bisogna pregare molto». Cristoforo: «È un’altra cosa che non posso fare perché non so pregare». L’eremita allora gli indicò il fiume dicendogli: «Nessuno può attraversarlo senza pericolo di morte. Ebbene, mettiti sulla sua riva: la tua enorme statura e la tua prodigiosa forza ti serviranno a trasportare da una riva all’altra i viaggiatori. Faresti un servizio che a Cristo sarebbe molto gradito. Allora potrai vederlo». Era soddisfatto: «È una cosa che posso fare e, per servire Cristo, la farò». Una notte sentì la voce di un bambino che lo chiamava: «Cristoforo, vieni, aiutami ad attraversare il fiume». Cristoforo uscì dalla sua capanna ma non vide nessu-

no. E così una seconda volta. Nessuno. Finalmente vide un bambino che lo pregava: «Vieni e trasportami all’altra riva». Se lo caricò sulle spalle e cominciò la traversata. Una cosa semplice, pensava, invece tutto si complicò. Il peso aumentava, l’acqua saliva, e lui, il gigante, cominciò ad aver paura: credeva di non farcela. Ma ci riuscì. Allora gli disse: «Bambino mio, tu mi hai messo in un bel pericolo. Pesavi così tanto come se avessi avuto il mondo intero sulle mie spalle». E lui: «Non meravigliarti, Cristoforo, tu hai portato sulle tue spalle non solo il mondo intero, ma anche Colui che lo ha creato. Io sono Gesù Cristo, il padrone che tu servi...».

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bolezza: sì, aveva paura davanti alla Croce da quando un certo Gesù Cristo vi era morto sopra... «Allora se hai paura vuol dire che non sei tu il più forte. Addio, camminerò fino a trovare questo Gesù Cristo». E abbandonò il diavolo al suo destino.

Tratto in forma ridotta da: Anche Dio ha i suoi campioni di Mario Scudu Elledici, 2011 pagine 936

“Cristoforo è un nome terribile. Fare il PortaCristo è qualcosa fuori del comune; forse il mistero del nome contiene il mistero della storia, in ciò che c’è di più nascosto”. (Ernest Hello)

Chiamati ad essere traghettatori del prossimo

«Prima del battesimo mi chiamavo Rifiutato, ora mi chiamo Cristoforo». Queste le parole, secondo una tradizione, furono pronunciate durante l’interrogatorio prima del martirio: affermava che il suo vero nome (e il compito scelto) era di essere Portatore di Cristo: un vero programma di vita. La bella storia di Cristoforo ci sprona a pensare e interpretare la nostra vita come un dovere di “traghettare”, di trasportare gli altri da una riva all’altra, da una situazione ad un’altra, superando un qualche “fiume” pericoloso. Ce ne sono tanti nella nostra esistenza. Pensiamo ai genitori che “traghettano” i figli

giorno dopo giorno; agli insegnanti, ai dottori e infermieri, ai lavoratori di ogni genere .... Tutti chiamati a “traghettare” e a portare gli altri da uno stato di vita (malattia, ignoranza, povertà, bisogni vari...) ad un altro, per rendere la vita meno pericolosa, specialmente quando si attraversano certi “fiumi” (o difficoltà) che fanno paura. Se questo viene fatto con lo stesso spirito di Cristoforo, con dedizione amorosa, come servizio a Gesù Cristo, allora contribuiremo a rendere questo mondo più vivibile. Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

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Comunicare in modo semplice, utile e profondo Trovare le parole giuste affinché i discorsi raggiungano la mente e il cuore di coloro cui sono rivolti non è quasi mai una semplice questione di vocabolario...

Anche se può sembrare la cosa più naturale del mondo, dal momento che bocca e orecchie sono tra gli organi che le persone utilizzano più frequentemente, comunicare non è sempre facile. Trovare le parole per affrontare un argomento scottante con il partner, per essere credibili e autorevoli nel dire un sì o un no ai figli, per convincere gli amici della bontà del proprio punto di vista richiede di rivolgersi agli altri in modo semplice, utile e profondo. Mettersi nei panni di chi ascolta

Per raggiungere la semplicità è necessario provare a calarsi nei panni di chi ascolta, “accordare” il linguaggio e la complessità degli argomenti in base all’età e alle conoscenze dell’interlocutore. Un atteggiamento che le mamme conoscono molto bene e che viene loro naturale quando si rivolgono ai loro piccoli, ma che può non nascere spontaneamente in altre situazioni. L’”ingrediente” fondamentale per una comunicazione efficace è - senza dubbio -

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l’amore, dal momento che quando si vuole bene a qualcuno è più facile trovare il modo di stabilire un rapporto di empatia. Altro elemento da non sottovalutare è aver chiaro ciò che si vuole dire e dirlo senza troppi preamboli e giri di parole che possano sviare dal nocciolo del discorso. Il rischio, per chi non rispetta tale raccomandazione, è vedersi iscritto a buon diritto all’Ucas, l’Ufficio complicazione affari semplici, il cui motto recita: «Non esiste un affare così complesso e complicato che, con un po’ di buona volontà, non si possa rendere ancora più complesso e complicato». Mirare dritto al bersaglio

Per essere sicuri di comunicare in modo utile è necessario essere consapevoli dello scopo che s’intende raggiungere. La comunicazione utile, infatti, è quella che - con precisione di freccia scoccata dall’arco - centra in maniera inequivocabile il bersaglio. Don Bosco, che aveva capito l’importanza della comunicazione e il giorno in


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cui celebrò la prima Messa chiese a Dio il dono di comunicare in maniera efficace, sapeva cosa dire ai ragazzi e come dirlo. Per trasmettere loro l’importanza e la bellezza della santità non si perdeva in lunghi e vuoti panegirici ma li esortava a stare allegri e a fare il proprio dovere. Li spronava, cioè, a raggiungere una meta ambiziosa attraverso una “ricetta” semplice, di cui conoscevano gli “ingredienti” perché per quanto umili e poco istruiti - avevano sperimentato almeno una volta, nel corso della propria esistenza, che cosa significhi provare allegria e lavorare con perizia o studiare con profitto. Una ricetta talmente alla portata di tutti da far esclamare a san Domenico Savio: «Ma come? È così semplice?». La profondità dà spessore alla vita

La profondità - a differenza del pettegolezzo, del chiacchiericcio e del sentito dire - è uno stile di vita che ha il potere di modificare progressivamente l’esistenza e di renderla migliore. Frutto di un lavoro

che la persona intraprende su se stessa, ne aumenta - nel corso del tempo - la consapevolezza di sé e del proprio operare. In quest’ottica, la comunicazione profonda nasce da cose profonde. Negli ultimi anni della propria vita don Bosco confidava ai confratelli di continuare a scoprire nuovi modi per aiutare i ragazzi ad aprirsi all’incontro con Dio nella Confessione. Una chiara dimostrazione di come, nonostante l’età e l’esperienza accumulata, continuasse a interrogarsi su come svolgere al meglio la propria missione e offrire ai giovani un aiuto sempre più valido. Indipendentemente dai risultati, perché l’interlocutore può sempre decidere d’interrompere il dialogo o di rifiutare il confronto, imparare a comunicare in maniera semplice, utile e profonda è un “investimento” sicuro e un’occasione di crescita e di maturazione interiore soprattutto per chi lo fa. Ezio Risatti PRESIDE SSF REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Chiesa cattolica cinese Ci parla il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong.   «I dittatori non hanno il gusto della libertà, anzi ne hanno paura. Senza dubbio hanno torto perché in fondo un atto libero solo raramente può essere cattivo», scrive il teologo svizzero Maurice Zundel riferendosi a quella libertà dei figli di Dio, «carta d’identità di ogni cristiano», come ricorda Papa Francesco, spesso sottaciuta, perseguitata, peggio se sottesa nella sua negazione, entro una contraddizione che non lascia spazio alla speranza. Una “falsa libertà”, insomma, verso cui non smette di lottare, nemmeno a ottantacinque anni compiuti, il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, salesiano, a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice: sguardo vivace e sincero, soprannominato il “vescovo combattente” di Hong Kong per la sua fiera opposizione al

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governo comunista di Pechino, non nasconde la sua preoccupazione per il futuro dei cristiani in Cina perseguitati ancora oggi dal governo: «danno l’impressione della libertà, ma non è una libertà reale – denuncia il porporato – la gente prima o poi si renderà conto che alcuni vescovi sono pilotati dal governo e vengono meno alla loro missione di pastori del gregge». «La Cina continentale – continua Zen – è interamente sotto il regime comunista. Tutte le nostre opere salesiane sono state confiscate dal governo, i nostri confratelli messi in prigione, rimane ben poco. Ad Hong Kong invece è diverso, abbiamo una relativa autonomia che ci permette ancora oggi di proseguire l’attività di evangelizzazione e la missione di don Bosco nelle

nostre scuole, parrocchie, insieme al clero diocesano, in sinergia con altre congregazioni religiose. Una libertà relativa più che falsa. Esatto, che ci permette di evangelizzare a patto che ciò non metta in discussione la riforma educativa che i comunisti, una volta giunti al potere, hanno provveduto a modificare. Per cui noi salesiani non saremo più padroni delle nostre scuole che passeranno in mano ad un corpo di direzione eletto tra parenti (genitori), maestri, ed ex allievi. Asianews.it nel novembre 2016 in un articolo parla del «cauto pessimismo del cardinale Zen verso i dialoghi tra Cina e Vaticano», può spiegarci meglio questa sua posizione? In Italia sono tante le voci ottimiste che parlano di una possibile risoluzione pacifica con il governo di Pechino. Io invece andrei cauto: i comunisti continuano con il loro regime di oppressione, di controllo assoluto. Tutto è rimasto come prima. In principio anche io ero speranzoso: il presidente Xi Jinping aveva intrapreso azioni contro la corruzione interna e della società. Poi si è scoperto che il suo unico interesse era il potere, e chiunque lotti per il rispetto dei diritti umani viene


perseguitato, umiliato e imprigionato. Non so in cosa speri la Santa Sede. Sia io che mons. Savio Hon Tai-Fai, l’attuale “numero due” della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, siamo ormai voci che gridano nel deserto. O quasi. Papa Francesco però ha puntato più volte il dito contro chiunque perseguiti ancora oggi i cristiani nel mondo. Il Papa ha un cuore grande, vorrebbe abbracciare tutti, ma qui, forse, si rivela un po’ troppo ottimista: lui, conosce per esperienza vissuta, i comunisti perseguitati in America latina, dove il problema è con il governo militare che sostiene i ricchi e non si cura delle classi più disagiate (sono i comunisti a difendere i poveri), ma non conosce, allo stesso modo, i persecutori comunisti che in Cina continuano ad uccidere centinaia di migliaia di persone. Non credo che il governo cinese accetterà altre soluzioni se non la sottomissione della Chiesa alla leadership del governo comunista. Tra i comunisti ci saranno pure delle brave persone, ma come sistema il comunismo è malvagio: vuole assoggettare la Chiesa rendendola sottomessa, così da dividere la stessa in una Chiesa “ufficiale”, vicina al volere del Governo, e una chiesa “sotterranea” fedele al Papa. In che senso “Chiesa ufficiale”? Una Chiesa in cui è spesso il compromesso tra il governo

Cinese e la Santa Sede a far da padrone, persino nella scelta dei vescovi, quando va bene. Altre volte è unicamente il Partito a decidere sulle ordinazioni episcopali, che di per sé sono valide ma illecite. Noi speriamo in un accordo che ci tuteli, in cui è il Papa a decidere unicamente, ad avere piena autorità sulle questioni ecclesiastiche. Invece sembra che c’è un accordo oramai già preparato, controfirmato, in cui quell’autorità non sarà più assicurata. La lettera di Papa Benedetto XVI del 2007 ai cattolici cinesi, spiegava chiaramente la dottrina della Chiesa, fin dove noi cattolici potevamo spingerci, dove non cedere. Al Papa attuale è rimasta solo la voce per protestare, mentre invece il governo comunista continua imperterrito ad avere sempre più libertà d’azione. Eminenza, si spieghi meglio. Temo che la Santa Sede accetterà un “accordo di compromesso”. Preferisco un mancato accordo ad un “cattivo accordo”: le difficoltà aumenterebbero e la situazione sarebbe peggio di quella attuale. Sarebbe una resa incondizionata. Non possiamo cedere alle pressioni di un governo ateo, ciò significherebbe tradire Gesù Cristo in persona, che ha lasciato alla Chiesa l’autorità di scegliere i propri vescovi a guida del gregge. Siamo propensi al dialogo, magari su questioni legate alla scelta di un porporato, a patto che non si accentri il po-

tere decisivo unicamente nelle mani dei comunisti atei. Facciamo un passo indietro: come nasce la sua vocazione salesiana? In maniera del tutto naturale. Vivevo in una Shangai devasta dalla guerra, dalla miseria, mio padre ammalato non poteva provvedere al mio sostentamento. Dal canto suo aveva sempre desiderato ardentemente che io diventassi prete. Un giorno mia madre mi condusse dai salesiani, lì conobbi un grande missionario, don Carlo Braga, che mi accettò alla casa di formazione salesiana. Nel 1948 mi trasferii a Hong Kong dove cominciai il mio noviziato. Da poco si è aperta la causa di beatificazione di don Braga. settembre-ottobre 2017

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io la facessi disperare più del dovuto: “questo ragazzo non è tanto buono, mi fa spazientire...” confessò a don Braga che si abbandonò ad un sorriso; “e va bene, va bene”, le replicò dandomi una pacca sulle spalle e accettandomi nella casa. Da quel momento la mia titubanza lasciò spazio alla certezza: fui per la prima volta sicuro della mia vocazione.

Sì, anche se mi sembra che non abbia tanta voglia di fare miracoli. Dobbiamo spingere, dobbiamo far conoscere la sua persona affinché la gente si rivolga a Dio attraverso la sua intercessione, abbiamo bisogno di qualche miracolo perché possa diventare servo di Dio. Ricorda qualcosa in particolare di don Carlo Braga, definito il “don Bosco della Cina”? Di ricordi, beh, ne ho tanti: la mia ammissione, la preparazione alla vita salesiana ma soprattutto il nostro primo incontro. Di quella mattina ricordo tutto, i capelli sciolti di mia madre, la sua modesta onestà con cui mi introdusse a don Braga: gli parlò della nostra difficile situazione famigliare, del mio passaggio dalla scuola elementare alla scuola secondaria, non nascose neanche che ogni tanto

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Papa Benedetto XVI nel 2013 ha chiesto ai cattolici cinesi di affidarsi a Maria Ausiliatrice, venerata santuario di Sheshan. La Madonna aiuta, siamo noi a non vedere. I comunisti hanno paura della Madonna: i loro tentativi di impedire

la diffusione della devozione sono divenuti ridicoli, è proibito persino introdurre le sue immagini. Non ci resta che sperare, pregare attraverso il rosario per cui, nonostante la debolezza dell’esercito, abbiamo già vinto. Non è più l’esercito delle armi, ma quello della fede, della sopportazione, della generosità, della carità. La Madonna sta continuamente facendo miracoli: speriamo faccia il più grande miracolo, quello di far convertire i comunisti, di far comprendere loro che siamo dei buoni cittadini proprio in quanto cristiani. I miracoli avvengono. Dobbiamo solo crederci. Salvo Ganci redazione.rivista@ausiliatrice.net

Da quando lo scorso maggio la nostra redazione ha intervistato il card. Zen ci sono stati due importanti avvenimenti degni di menzione. Il 18 maggio scorso mons. Pietro Shao Zhumin, vescovo di Wenzhou, è stato “forzatamente allontanato dalla sua sede episcopale” dalla polizia, riferisce la sala stampa della Santa Sede e da allora non si hanno più sue notizie. Lo scorso giugno, sulla rivista Civiltà Cattolica, il gesuita Joseph You Guo Jang, nel suo lungo articolo, si è detto invece ottimista sul possibile dialogo tra la Santa Sede e Pechino, tanto da scrivere che “la chiesa cattolica e la società cinese non si scontreranno più”. Questi avvenimenti indicano che il cammino di dialogo è tutt’ora in tensione e che una eventuale soluzione in merito richiederà ancora tempo.


Una grande missionaria... da casa! Mario Scudu archivio.rivista@ausiliatrice.net

chiesa e dintorni poster

Novanta anni fa (14 dicembre 1927) papa Pio XI (chiamato anche “il papa missionario”) dichiarava solennemente: «Santa Teresa di Gesù Bambino è Patrona di tutti i missionari, uomini e donne, di tutte le missioni esistenti in tutta la terra, a pari merito con S. Francesco Saverio, con tutti i diritti e privilegi liturgici che si convengono a questo titolo». Per il papa non c’era nessuna differenza di genere: a pari merito con un grande missionario, quale il Saverio (15061552), che consumò letteralmente se stesso in terra di missione, lei, Teresa, morta poco più che ventenne (1873-1897), che non era stata mai in missione, ma fu solo una monaca carmelitana. O meglio, il suo campo di missione lo trovò nel monastero di Lisieux. Fu una grande missionaria tanto da meritare quel prestigioso titolo. Nelle cose spirituali lasciamo da parte la logica umana. Nel regno della Grazia che sola opera la salvezza, la contemplazione di Dio operata da Teresa, avvolta e travolta dal suo amore, può equivalere all’azione (o missione) fatta per amore di Dio (Francesco Saverio). La fonte della salvezza è sempre e solo Dio. Noi, guidati dal suo Spirito, possiamo solo collaborare. Un’altra cosa importante: Dio, per sé, non ha bisogno del nostro operare per lui (è onnipotente!) ma desidera il nostro amare lui stesso (come frutto della nostra libertà). Ma che cosa di speciale ha fatto Teresa per meritare questo titolo? Lei stessa scriverà: «L’amore racchiude tutte le vocazioni, l’amore è tutto e abbraccia tutti i luoghi e tutti i tempi. Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore». Ecco qui il suo programma di vita spirituale, che attuò nelle quattro mura del suo monastero. E tutto questo amore, e non può essere diversamente, era concentrato su Gesù Cristo. È lui infatti il grande Missionario, mandato da Dio su questa terra per portare il Vangelo, cioè la Bella Notizia che tutti siamo amati di un amore indistruttibile da Dio Padre. Teresa aveva stabilito un rapporto di donazione totale a Gesù, e al suo amore appassionato fino alla Croce, per l’umanità. Sta proprio qui il fondamento dell’essere missionaria di Teresa: il suo essersi consacrata all’amore di Dio che con Cristo (e i suoi discepoli, di tutti i tempi) deve essere esteso a tutti gli uomini. La giovane suora si lasciò “portare” da questo amore divino desiderando essere missionaria... anche senza uscire dal convento. È interessante notare che a Teresa furono “assegnati” anche come “fratelli spirituali” due missionari veri, che ella seguì con la preghiera e con le proprie sofferenze, sofferte per amore di Dio. Ella non solo pregò incessantemente per loro, ma li consigliò con le lettere incoraggiandoli sempre. Fu insomma una vera “missionaria”... di missionari. Papa Francesco ha scritto: «Essere cristiani ed essere missionari è la stessa cosa». Lo deve essere per tutti. Lo fu per Teresa: una grande cristiana (è santa!) e una grande missionaria... pur rimanendo a casa. settembre-ottobre 2017

I


II

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Settembre-ottobre 2017

III

(S. Teresa di Lisieux)

L’ amore racchiude tutte le vocazioni, l’amore è tutto e abbraccia tutti i luoghi e tutti i tempi. Nel cuore della Chiesa io sarò l’amore.


POSTER

Perché ti amo, Maria. Voglio cantare perché ti amo. Maria, il tuo dolce nome riempie il mio cuore di gioia. Quando contemplo la tua vita nel Vangelo, non ho più paura di avvicinarmi a te, Vergine piena di grazia. Tu a Nazaret sei vissuta povera tra i poveri. Tu sei la madre dei poveri, degli umili, dei piccoli. Essi possono, senza timore, alzare gli occhi a te. Tu sei l’incomparabile Madre che va con loro per la strada comune, per guidarli al cielo. O Maria, voglio vivere con te, voglio vivere come te, voglio seguirti ogni giorno. Mi immergo nella tua contemplazione e scopro gli abissi d’amore del tuo cuore. Tutti i miei timori svaniscono nel tuo sguardo materno che mi insegna a piangere e a gioire. (Teresa di Lisieux)

IV

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CNOS-FAP di Vercelli: un centro storico e una storia da raccontare il Borgo a don Gaggino che lo riceveva con firma di garanzia Salesiana. Il primo Direttore e Parroco fu don Natale Signoretti il quale fece il solenne ingresso il 17 Novembre 1912. Incrementò le opere acquistando la casa per le Figlie di Maria Ausiliatrice, si migliorarono i locali e nel 1920 si avviarono le Scuole Elementari.

I Salesiani di don Bosco assunsero l’assistenza religiosa del popoloso borgo a nord della città di Vercelli chiamato “Belvedere” nel 1912. Nel 1902, un sacerdote diocesano iniziò l’opera in questo rione con l’inaugurazione della cappella san Pancrazio e con l’avvio dell’oratorio in un prato nei pressi della Ferrovia. Tra il 1908 e il 1912 fu costruita la bella chiesa dedicata al Sacro Cuore. Le cronache attestano che questa chiesa «crebbe come per incanto in tempi difficilissimi», per soddisfare le necessità della crescente popolazione del Borgo e per generosa iniziativa dell’arcivescovo Monsignor Teodoro dei conti Valfrè di Bonzo,

con gli aiuti economici del Papa san Pio X, della famiglia Reale, di nobili Vercellesi e della Popolazione. Il Disegno è dell’Ing. Canetti il quale, ispirandosi alle linee del bel sant’ Andrea, creò una vera opera d’arte. La Nuova Parrocchiale venne benedetta il 16 febbraio 1912 e affidata dalla Diocesi in perpetuo alla Congregazione Salesiana con l’assenso del Rettor Maggiore don Paolo Albera con atto del 4 novembre 1912. In questo anno giunse il primo salesiano, don Gaggino, che ebbe l’incarico di guida religiosa del Belvedere. Le cronache riferiscono che l’incontro fu commovente: don Rossi, forte del suo motto «datemi delle anime», affidava

Origini della Scuola Professionale “Don Bosco”

La Scuola Professionale ebbe il suo avvio con il primo corso nell’anno scolastico 1946/47 per l’intraprendente iniziativa del parroco don Tomè e del Salesiano laico Vincenzo Diana. L’avvio del progetto di educazione e di preparazione al lavoro, affiancato al progetto educativo oratoriano ebbe tanto successo che, nel secondo anno scolastico 1947/48, gli allievi risultavano 54, il doppio dell’anno precedente. Il parco macchine a disposizione era costituito da un tornio cono puleggia, un trapano a colona, una limatrice, un seghetto meccanico e da posti morsa al banco. Poche risorse e grande entusiasmo. settembre-ottobre 2017

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Evoluzione della struttura

Il momento di maggior espansione della struttura scolastica si ebbe nel 1970 con l’inaugurazione da parte dell’allora ministro del lavoro, l’Onorevole Donat Cattin, del nuovo capannone industriale per il laboratorio di Meccanica di 1600 m2, con annessi i cortili per il gioco. Dal 1972 è stato riconosciuto il CAP (Centro Addestramento Professionale) con D.P.R. del 15 gennaio 1972 n° 10, con il coordinamento e le disposizioni della Regione Piemonte. 1 ottobre 1975: una storia nella storia, quella personale

Arrivo a settembre come giovane universitario, studente del 3° anno della facoltà di ingegneria meccanica del Politecnico di Torino, presso l’istituto professionale, legalmente riconosciuto, don Bosco di Vercelli in cerca di lavoro, come insegnante supplente. Era venuto il momento di diventare “adulto”. Vengo assunto da don Mario Lavatelli per insegnare matematica, fisica e tecnologia meccanica nelle prime ed in una seconda dell’IPI (Istituto Professionale Industriale) e del CAP (Centro addestramento professionale); direttore delle Opere Salesiane don Volpato. Inizia la mia storia di formatore che mi ha cambiato la vita facendomi scoprire quale fosse la mia vocazione e che, 42 anni dopo, mi vede ancora qui come direttore, a 6 anni dall’i24

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nizio del nuovo incarico ed a 1 o 2 dalla pensione. Il 21 Dicembre 1978 viene varata la legge quadro 845 inerente la Formazione Professionale che, da attuazione agli articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione, è l’inizio del cammino attuale: e nascono i Centri di Formazione Professionale CNOS-FAP. La società italiana sta attraversando una fase caratterizzata da alterne vicende politiche e sociali. È l’anno dell’apice del terrorismo rosso in italia, è stato rapito ed ucciso un ex Presidente del consiglio ed importante uomo politico, l’on. Aldo Moro. Siamo altresì nel mezzo di un processo di sviluppo economico ed industriale, iniziato timidamente nel primo dopoguerra, ma che in questi anni raggiunge livelli mai avuti. Il nostro Centro di Formazione Professionale è in fase di crescita e prepara per il lavoro, nel proprio settore, gran parte dei meccanici che si inseriscono nelle aziende del territorio. Gli onesti cittadini ed i bravi cristiani che don Bosco voleva, sono molto apprezzati dalle imprese. La storia continua

Gli anni ’80 sono gli anni dello sviluppo tecnologico, dell’automazione industriale e quindi dell’evoluzione dei sistemi produttivi che sicuramente producono nuove opportunità lavorative, ma rendono obsolete e non più essenziali molte professionalità. La Formazione Professionale è chiamata fortemente in causa ed i centri Sa-

lesiani, quindi anche il nostro, rispondono con prontezza e, a volte, addirittura anticipando i cambiamenti che sarebbero avvenuti nelle aziende. Sono gli anni in cui abbiamo introdotto macchine e laboratori nuovi. Le parole d’ordine sono: informatica, macchine utensili a controllo numerico, cad, cam, pneumatica, oleodinamica, plc e controlli automatizzati di macchine e processi. Dalla metà degli anni 80 fino ad oggi, la formazione per i giovani è integrata anche da quella per gli adulti che richiedono specializzazioni e a disoccupati che cercano nuove opportunità. Per soddisfare alle nuove richieste formative vengono implementati diversi settori: quello informatico, quello elettrico sia civile che industriale, quello dei serramenti in alluminio, quello della meccanica dell’autoveicolo, quello del benessere-acconciatura e vengono introdotte nei laboratori della meccanica tradizionale, alcune macchine a controllo numerico e l’utilizzo del cadcam. Abbiamo fatto un salto in avanti e ci siamo allineati con le nuove tecnologie, ma la corsa non è finita. L’eredità di don Giampaolo

Il 1 settembre 2011 inizia per me il secondo periodo della mia vita lavorativa, investito di una grande responsabilità. Ricevo il testimone da un grande Direttore e Salesiano: don Giampaolo Delsanto. Con lo spirito di servizio, per chi tanto mi aveva dato, mi metto


di un laboratorio adeguato allo scopo, dopo aver fatto importanti lavori di restauro sulle coperture del laboratorio stesso. Comincia anche il 4° anno, con diploma professionale ed abilitazione, del corso di tecnico dell’acconciatura. Questo costituisce una grande opportunità per le ragazze neo diplomate. I dati dell’anno formativo appena concluso sono: più di 500 allievi sono passati per il nostro CFP e circa la metà sono stati giovani in obbligo di istruzione e formazione. La missione affidataci da don Bosco in uno spirito di famiglia, continua con entusiasmo e fiducia per accompagnare quanti più giovani potremo alla vita adulta, quella di onesto cittadino e buon cristiano. La felicità dei nostri giovani qui e nell’eternità, è anche la nostra. Per il 2017-18 si sta allestendo un laboratorio per la falegnameria in sostituzione di quello della serramentistica in alluminio che è stato attivo per

chiesa e dintorni

umilmente al servizio dei giovani del nostro centro, in una squadra educativa formata da più di 20 colleghi Formatori, 5 dei quali anche miei ex allievi. Nel 2012 viene inaugurato il secondo laboratorio per le acconciatrici per il crescente numero di allieve vengono riallocati e potenziati alcuni laboratori. I corsi LAPIS per la prevenzione della dispersione scolastica nelle scuole medie producono frutti. Più del 90% dei ragazzi/e che lo hanno frequentato, hanno conseguito la licenza di scuola media di 1° grado e più di metà, iscritti ai corsi biennali di formazione, si qualificano. Nel 2015-16 viene attuato per la prima volta a Vercelli il tanto atteso 4° anno, con diploma professionale, nel settore dell’automazione industriale, con le sinergie della sede di Vigliano, producendo ottimi risultati. Questo è anche l’anno in cui, sul territorio, si manifestano i primi segni di ripresa occupazionali, dopo una profonda crisi economica e sociale cominciata nel 2008. Il S.A.L. (servizi al lavoro ), da poco creato, contribuisce a realizzare quanto don Bosco faceva con l’accompagnamento al lavoro degli allievi in uscita dalle Scuole di mestieri Salesiane, ora chiamate CFP (Centri di Formazione Professionale).

9 anni con i corsi annuali IAPP per ragazzi di 16-17 anni. Si avranno per la prima volta due corsi per il conseguimento del diploma professionale 4° annoFIXO (formazione innovazione per l’occupazione) per i settori dell’automotive e dell’acconciatura e questo oltre a renderci felici aggiunge molte opportunità ai nostri giovani allievi e per le imprese. Silvano Lago direttore CNOS-FAP Vercelli redazione.rivista@ausiliatrice.net

L’attualità

Nel 2016-17 viene avviato un nuovo corso biennale per operatore termoidraulico con la conseguente preparazione settembre-ottobre 2017

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La SPAL di Ferrara Don Bosco... in serie A.  Accettare la sfida educativa che proviene dal mondo dello sport ha portato don Bosco anche in serie A. Storia bellissima e tutta salesiana quella della SPAL, la squadra di calcio di Ferrara che dopo quarantanove anni di attesa da quest’anno torna a giocare nel massimo campionato. Un oratorio, un prete, un acronimo. La SPAL ha origini particolari: non nasce in un bar o in una palestra e il nome non richiama la città di appartenenza. Sboccia nell’oratorio di un quartiere popolare dove campeggia la frase del santo: «Ciascuno scelga, tra molti, il gioco in cui si sente più libero». Dall’oratorio alla Serie A

Don Pietro Acerbis è un salesiano di quelli tosti, sa come prendere i giovani e tenerli lontano dalle cattive compagnie: nel 1907 fonda la Società Polisportiva Ars et Labor, un centro dove si coltivano pittura e sport, ciclismo e ginnastica, ma non il calcio che arriverà cinque anni dopo, nel 1912. Don Pietro fa suo l’invito di don Bosco ad “amare ciò che i giovani amano”, capisce che quella del pallone di cuoio è la disciplina più gettonata tra i suoi ragazzi e con l’aiuto del confratello don Giovanni Pastorino allestisce la prima squadra. I colori delle maglie sono il bianco e l’azzurro, gli stessi dello stemma dei salesiani creato nel 1885 e intitolato Da mihi animas, caetera tolle, (dammi le anime, prenditi tutto il resto). Dopo oltre un secolo di alterne fortune, dal periodo bellico agli irripetibili tredici anni in serie A tra i ’50 e i ’60, ora è tutto pronto per una stagione che comunque vada sarà indimenticabile. Gli insegnamenti salesiani nati all’oratorio di via Coperta non sono andati persi: la SPAL è una società rifio-

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rita a partire dalle radici, quelle più verdi del settore giovanile. Un raro spettacolo di sportività, in un clima di sano strapaese aggiornato al terzo millennio. La squadra di Francesco

Quella della SPAL ricorda un’altra storia calcistica salesiana che vale la pena di raccontare. Lo ha fatto, con passione, Papa Francesco nella sua visita alla Basilica di Maria Ausiliatrice nel giugno 2015. Il Santo Padre, nel ripercorre i suoi ricordi legati alla Congregazione, ricordò il suo tifo per il San Lorenzo de Almagro, club argentino fondato nel 1908 dal salesiano don Lorenzo Massa nell’oratorio San Antonio, al civico 4050 di Calle México a Buenos Aires, e che aveva anche una compagine di tutto rispetto nel basket,


don bosco giovani oggi

La SPAL ha origini particolari: sboccia nell’oratorio di un quartiere popolare dove campeggia la frase di don Bosco: «Ciascuno scelga, tra molti, il gioco in cui si sente più libero».

Un campo educativo privilegiato

disciplina amata e praticata dal papà di Bergoglio, Mario. Don Lorenzo, di origini piemontesi come Francesco, incontrò a inizio secolo un gruppo di quei giovani con la palla sempre al piede che, con il nome di Los Forzosos de Almagro (i “forti” del quartiere), giocava per strada. Offrì loro il campo vicino alla chiesa in cambio della puntualità alla Messa domenicale e il San Lorenzo calcio nacque così. Quella per la squadra sudamericana, di cui il Papa ha persino la tessera associativa numero 88235N-0, è una passione nata durante l’infanzia trascorsa proprio nel quartiere Almagro dove c’è la Basilica dell’Ausiliatrice: per questo i colori sociali del San Lorenzo sono il rosso e il blu, in onore della tunica rossa e del mantello blu dell’iconografia legata a Maria.

«Don Bosco cosa faceva? – si è chiesto il Papa nel suo discorso a Valdocco –. Lo sport, che porta a essere “sociali”, a una competitività sana, alla bellezza di lavorare insieme, e poi all’educazione». Un invito a proseguire su questa strada. Francesco ha ricordato come in tutto il mondo è difficile non trovare murales dove don Bosco non sia rappresentato in mezzo ad un cortile pieno di ragazzi che scorrazzano. Come non citare, per questo, l’immenso patrimonio umano rappresentato dalle Polisportive Giovanili Salesiane (PGS), la cui conduzione non vede direttamente coinvolti i Salesiani, ma ha uno storico riferimento a don Bosco. Un impegno che trova il suo punto più alto nei Giochi Internazionali della Gioventù Salesiana: la diciannovesima edizione si terrà a Cracovia, dal 28 Aprile al 3 Maggio 2018. Il futuro della fede nello sport passa anche da qui. Andrea Caglieris Giornalista RAI e Segretario dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Islam. 100 e più domande Per un tema di grande attualità, Silvia Scaranari sceglie il metodo della domanda/risposta per meglio conoscere, comportarsi e dialogare con i fedeli islamici nei diversi ambiti di vita.  Le premesse sono quelle che ogni giorno si presentano ai nostri occhi, riflesso di una situazione storica che interroga e invita a riflettere fuori dai luoghi comuni e dai pregiudizi. Oltre 60 Stati, a partire dall’Africa, passando per l’Asia per giungere in Europa e in America, sono coinvolti in guerre più o meno dichiarate e logoranti. In particolare, il Medio Oriente è in fiamme da diverso tempo registrando, negli ultimi anni, un pericoloso aggravamento della situazione con la guerra civile in Siria dal 2011 e con la nascita nel 2014 del Calif28

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fato dell’IS (o “Stato islamico”) oggi fortemente in crisi. Resistono, inoltre, le logoranti tensioni tra Palestina e Israele, la situazione drammatica dello Yemen in piena guerra civile tra esercito e gruppi islamisti, a loro volta ingabbiati in una lotta intestina. E non godono di tranquillità neanche il Camerun, l’Etiopia o l’Eritrea. Il quadro si completa con i conflitti che riguardano il mondo islamico: Mali, Nigeria, Somalia, Sudan, Afghanistan, Pakistan e con con le minacce, i proclami apocalittici, gli attentati, azioni di guerra che, in molti casi, portano la firma di adepti o fanatici. Finalmente un libro semplice che aiuta a capire

Prendendo spunto da questa situazione internazionale “calda” e guardando dentro le nostre città,


Islam: un mondo variopinto

La fede del popolo musulmano è chiara e sintetica. Si basa sulla dichiarazione: «Non c’è Dio se non il Dio, e Muhammad è il suo Profeta» e sulla certezza che il Corano è la parola di Dio: sono questi i punti essenziali per essere considerato un muslim. L’islam è una religione con valenza universale e nel tempo, ormai 16 secoli, ha incontrato innumerevoli civiltà, abitudini, legislazioni. Se ha islamizzato tutti, da tutti è stato influenzato, almeno per quanto riguarda gli usi e i costumi.

Non è pensabile riassumere in modo esaustivo il variopinto mondo islamico è impossibile. L’islam, inserito in contesti geografici e sociali diversi, ha acquisito particolarità specifiche ma ha cercato di salvaguardare il contenuto proprio della fede e del dettato coranico. Ecco perché, per questo libro, si è scelto il metodo della domandarisposta per presentare i princìpi religiosi condivisi e dedurre gli aspetti che sono formalmente vietati o leciti, lasciando poi valutare, nella situazione specifica, quello che invece è un dato culturale. La scelta di questa formula ha lo scopo di fornire informazioni in modo sintetico, facilitare le relazioni tra cristiani e musulmani nei diversi contesti della vita: dalla scuola, all’oratorio, dall’ospedale alla vita pubblica. Il prezioso libro scritto da Silvia Scaranari

La prima parte del libro presenta i princìpi religiosi condivisi dalle comunità islamiche. La seconda suggerisce i comportamenti da tenere nelle diverse situazioni della vita, per un corretto rapporto di relazioni di dialogo. Sulla base di informazioni sintetiche, ma molto chiare, si entra in un mondo complesso, come quello islamico, con le carte in regola per una corretta relazione e un dialogo basato sul rispetto e la conoscenza di culture e tradizioni molto distanti. È, in definitiva, il libro di cui c’era bisogno per non cadere nei luoghi comuni che quasi sempre allontanano le persone invece di aiutarle a dialogare, confrontarsi, integrarsi, collaborare in una convivenza pacifica.

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Silvia Scaranari ha scritto per la Elledici il prezioso libro “Islam. 100 e più domande. Scuola, ospedale, famiglia, oratorio e...Come comportarsi?” (pagine 144). L’autrice, esperta del mondo islamico, cerca di leggere il ruolo dell’islam, delle tradizioni e delle più recenti interpretazioni della religione di Maometto. Punto di partenza è una chiara e puntuale presentazione delle origini, del fondatore, delle vicende e delle norme contenuto nel Corano che hanno portato alla diffusione dell’islam nel mondo. La Scaranari, presentando il miliardo e 800 milioni di seguaci del “profeta”, parte dall’affermazione che «ci sono tanti islam quanti sono i fedeli islamici». È un paradosso che rende bene l’idea della complessità della religione di Maometto. Non si può, quindi, ingabbiare l’islam in formule preconfezionate per non condannarsi inesorabilmente alla non comprensione. Ecco perché, questo agile volume, presenta i principi religiosi condivisi, deducendone gli aspetti formalmente vietati o leciti.

L’islam in 16 secoli, ha incontrato innumerevoli civiltà, abitudini, legislazioni. Il libro di Silvia Scaranati, con il metodo domanda-risposta, fornisce informazioni in modo sintetico per facilitare le relazioni tra cristiani e musulmani nei diversi contesti della vita.

Islam.100 e più domande Scuola, ospedale, famiglia, oratorio e... Come comportarsi? di Silvia Scaranari Elledici, 2017 pagine 144

La redazione redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Il Gruppo Appartamento,

un’occasione per crescere da adulti

Le storie di Giuseppe ed Ivan ospiti del Gruppo Appartamento gestito dai salesiani di Palermo.  «Per anni ho avuto attorno persone che non mi davano fiducia, forse per i miei errori commessi in passato. Fino a quando ho incontrato un salesiano che ha scommesso su di me, facendomi rinascere!». Sono le parole di Giuseppe, uno dei ragazzi ospiti presso il Gruppo Appartamento di Palermo, una casa pensata per tutti quei giovani in difficoltà che compiuti i 18 anni, per legge, non possono più richiedere ospitalità e sostegno presso le case famiglia. «Il Gruppo Appartamento di Palermo – spiega Don Giuseppe Cutrupi, responsabile del progetto – accoglie ragazzi fino ai 22-23 anni che non hanno prospettive e che da soli si sentirebbero smarriti. Questi giovani hanno bisogno di essere so30

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stenuti, lì dove non ci sono risposte. Per loro imparare un mestiere, svolgere un tirocinio è fondamentale per poi acquisire esperienza e autonomia lavorativa». Il progetto GAF Palermo, sostenuto da Salesiani per il Sociale – Federazione SCS/CNOS, in questi anni è andato in contro a giovani provenienti da adozioni o affidamenti falliti, oppure terminati senza che il ragazzo avesse raggiunto l’indipendenza adeguata. Qui infatti, a differenza di una casa famiglia, i ragazzi sono tenuti a sperimentarsi autonomi vivendo da adulti il quotidiano. «Ringrazierò sempre i salesiani per questa possibilità – racconta Ivan – ho imparato tante cose (tenere or-


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dinata casa, lavare i piatti, cucinare per me e per gli altri e tanto altro). Il soggiorno presso l’appartamento mi ha fatto conoscere di più e riscoprire anche quel lato spirituale a cui nessuno mi aveva educato. Grazie ai salesiani ho iniziato a lavorare, ho frequentato una scuola professionale e oggi sono aiuto cuoco in un ristorante».

«Il compito di noi salesiani – conclude Don Giuseppe – è quello di fornire a questi giovani gli strumenti per poter fare da soli le loro scelte. Come Giuseppe ed Ivan che dopo questi anni trascorsi insieme intraprenderanno da soli il loro cammino». Salesiani per il Sociale redazione.rivista@ausiliatrice.net

è la nostra foresteria per ospitare: singoli, famiglie, piccoli gruppi; pellegrini

Ufficio Accoglienza

tel. 011.5224201 – fax: 0115224680 accoglienza@valdocco.it www.accoglienza.valdocco.it

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Affida, confida e sorridi

Ciao a tutti, siamo Elena ed Elisabetta, studiamo all’università e da qualche anno abbiamo iniziato un cammino di giovani all’interno dell’ADMA di Torino. Oggi cercheremo di raccontarvi la nostra esperienza in modo molto concreto a partire da “affida, confida e sorridi” che è il motto che ogni giorno cerchiamo di vivere, con l’aiuto di Maria. AFFIDARE è per noi porre nelle mani del Signore difficoltà e incertezze. Ed è proprio affidando che comincia il nostro percorso. Quello tracciato dal rosario sgranato ogni 24 del mese, durante le nostre giornate o nei momenti di adorazione. Infatti potrebbe suonare strano e, permetteteci, assolutamente controcorrente che un giovane si avvicini a una preghiera così tradizionale e lenta, in un mondo in cui tutto è immediato e molto dipende dalla quantità di “like raggiunti” dai nostri 32

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post. Eppure è proprio questo metterci nelle mani del Signore una vera e propria palestra di vita, che concretamente aiuta a superare le difficoltà e le incertezze. Volta dopo volta, il rosario è diventato la colonna sonora della nostra vita, anche nelle più piccole difficoltà: come quando abbiamo recitato il rosario in pullman in italiano e in arabo con i ragazzi del Medio Oriente quest’estate durante la GMG, in viaggio verso il Campus Misericordiae con il Movimento giovanile Salesiano. È venuto spontaneo quando il nostro autista stentava a trovare la strada. E pregando insieme, con il sostegno reciproco e nel ringraziamento, abbiamo scoperto e condiviso le diverse storie di fede: quella che si vive con difficoltà tra le bombe e le lacrime della guerra, e quella che arranca tra un ateismo occidentale dilagante. Così impariamo anche a CON-


l’ADMA è per tutti

Non abbiamo infatti timore di proporre esperienze che qualcuno potrebbe definire troppo alte e irraggiungibili. Sappiamo che davvero abita in ciascun giovane il desiderio di vedersi rivolto uno sguardo amorevole, che apra alla sua capacità di accogliere l’Amore di Gesù. Nel servizio cerchiamo di testimoniare che ragione, religione e amorevolezza sono ancora oggi un connubio sano e santo per ogni ragazzo. Papa Francesco alla GMG in Polonia è stato perentorio: «Se non ti metti al servizio, non servi a niente». Anche per questo, inseriti nella realtà dell’ADMA famiglie, offriamo ai bambini l’esperienza che abbiamo fatto di Dio nei nostri ritiri e la nostra amicizia. Oltre a vivere il nostro cammino di formazione nei ritiri annuali dell’ADMA giovani, siamo anche molto impegnati nelle varie iniziative del MGS sia portando i nostri ragazzi sia mettendoci a disposizione. Ormai ci hanno conosciuto, ma all’inizio il primo impatto è stato fantastico: «ADMA che?». «Ma siete un oratorio vagante?». Ma ora si sta comprendendo quanto è attraente questa esperienza che, nella sua semplicità, è accessibile a tutti e negli ultimi mesi altri ragazzi di altre parrocchie salesiane hanno fatto partire il ventiquattro del mese con un incontro di condivisione e di preghiera a servizio del cammino oratoriano. In questo modo avanziamo un passo alla volta in questo cammino con Maria e grazie a Lei, ad ogni passo, affidiamo, confidiamo e sorridiamo.

don bosco oggi

FIDARE e a costruire la nostra casa sulla roccia. È a contatto con l’ADMA famiglie che sperimentiamo concretamente una testimonianza straordinaria. Perché in un tempo in cui non si può più parlare di fiducia, castità, fedeltà e soprattutto di vocazione, toccare con mano che questi ideali non crollano se fondati in Cristo, è la più bella speranza che noi giovani possiamo nutrire. E grazie a questa apertura di pastorale famigliare e giovanile vengono rinsaldate le nostre sicurezze. E chi ha ancora timore se pone il suo futuro nelle mani di Dio? È questo quello che apprendiamo nel vedere sacerdoti, suore e coppie che vivono in fecondità la loro chiamata. Crescendo con queste famiglie, la paura e l’incertezza si attenuano e il nostro futuro si prospetta più luminoso e ricco di significato. Al tempo stesso riconosciamo nei sacerdoti un dono di Dio e li ringraziamo con la nostra preghiera. E infine, con il SORRISO sulle labbra, cerchiamo di essere testimoni del vangelo della gioia, sull’invito di Papa Francesco. Una gioia che va oltre gli schemi preconfezionati di questo mondo, e che ci porta a vivere in profondità un’amicizia sana. Non “sfigata” o “bigotta”, ma piena di entusiasmo e di semplicità, che diverte e fa crescere per essere “Veri amici per le cose dell’anima”, sottolineava san Domenico Savio nel regolamento della Compagnia dell’Immacolata. E chi meglio di lui sa indicarci la strada per una santità giovane che consiste nello stare molto allegri?

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

AFFIDARE è per noi porre nelle mani del Signore difficoltà e incertezze. CONFIDARE è saper costruire la nostra casa sulla roccia. Con il SORRISO sulle labbra, cerchiamo di essere testimoni del vangelo della gioia, sull’invito di Papa Francesco.

Elena e Elisabetta redazione.rivista@ausiliatrice.net

È Dio che si fa garante della nostra amicizia e che ci permette di estendere le nostre iniziative anche ad altri amici al di fuori dell’ADMA. settembre-ottobre 2017

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Praticare il Sistema Preventivo in famiglia Una sfida per tutta la Famiglia Salesiana

In sintonia con la Strenna del Rettor Maggiore per il 2017 «Siamo Famiglia! Ogni casa, scuola di Vita e di Amore», riprendiamo in quest’anno alcuni passaggi del suo intervento tenuto al Colle don Bosco nel 2015 in occasione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice. Prima di offrire due prospettive e piste di cammino vorrei riprendere una convinzione che ho già avuto modo di esprimere. La nostra fedeltà a don Bosco come Famiglia Salesiana in questo secolo XXI e negli anni successivi al suo Bicentenario, chiede a noi un servizio alla Chiesa, al popolo di Dio, ai giovani, specialmente i più poveri, e alle famiglie che si distingua e si caratterizzi per il servizio nella semplicità, nella familiarità, nell’umiltà, di essere e di vivere per gli altri, di darsi per i giovani 34

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delle nostre presenze perché abbiamo accettato che questo è il nostro modo di vivere. Ci distingue l’essere a servizio gli uni degli altri

La nostra fedeltà è a rischio grave quando si vive nel potere e nella forza. E se questo potere è legato al denaro, allora il rischio si fa maggiore. Attenzione sorelle e fratelli, religiosi, religiose e laici della nostra Famiglia Salesiana, a questa tentazione reale e molto pericolosa. La nostra forza è di vivere una vera vita di comunione e di fraternità che sia più evangelica in modo da essere più interpellante, attraente di per sé, e la nostra comunione nel servizio, all’interno di ciascuna delle nostre istituzioni o gruppi, e nella nostra stessa Famiglia parlerà da sé stessa. Con questo spirito invito a: • promuovere lo scambio, la com-


I Sacramenti, fonte di gioia e unità

Vorrei concludere invitando le coppie e le famiglie a rinnovare la grazia del loro matrimonio, vivendo la chiamata alla santità come sposi cristiani, come famiglie animate dal vangelo e dal carisma salesiano. Vorrei incoraggiare tutti ad avere fiducia nell’amore misericordioso di Dio che opera e salva dentro le debolezze e le miserie della condizione umana. In particolare sento che dobbiamo come Famiglia Salesiana credere di più al Sistema Preventivo,

non solo come metodo pedagogico, ma come espressione di quella grazia preveniente e provvidente che è propria dell’Amore di Dio. Alla scuola di don Bosco e di mamma Margherita ciò significa curare la formazione delle coscienze, educare alla fortezza della vita virtuosa nella lotta, senza sconti e compromessi, contro il peccato, con l’aiuto dei sacramenti dell’eucarestia e della riconciliazione, crescendo nella docilità personale, famigliare e comunitaria alle ispirazioni e mozioni dello Spirito Santo per rafforzare le ragioni del bene e testimoniare la bellezza della fede. Per realizzare questo è necessaria una conversione missionaria: la crisi della fede, l’assenza di Dio hanno prodotto la crisi del matrimonio e della famiglia e la trasmissione stessa della fede alle nuove generazioni. Le famiglie e le comunità pastorali-educative toccate dalla grazia sapranno, per attrazione, essere segno e strumento per altre famiglie e per le nuove generazioni dell’annuncio del “Vangelo della famiglia” con gioia e speranza.

don bosco oggi

plementarietà e la corresponsabilità tra vocazione matrimoniale e quella alla vita consacrata e sacerdotale, valorizzando la condivisione di esperienze, progettando insieme, affinché le differenti sensibilità diventino sempre più ricchezza per il bene dei giovani; • condividere e valorizzare le esperienze e le proposte già in atto nei gruppi della Famiglia Salesiana in merito alla Pastorale Famigliare, promuovendone di nuove come forma concreta di realizzazione dello stesso carisma.

Pierluigi Cameroni pcameroni@sdb.org

ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE

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LA PAROLA

Spazio alla Parola (Mc 4,1-9.14-20) Un fatto è affermare di conoscere la «parabola del seminatore», altro è averla ben imparata. Impalpabile seme posto nel campo della nostra vita, la Parola di Dio vi è seminata per crescere rigogliosa e fortificarci.

La parabola del Seminatore

Nel suo Vangelo Marco offre molto spazio agli insegnamenti di Gesù. Il discorso in parabole concentrato in Mc 4 ne è un bell’esempio. Attorniato da tanta gente, il Signore ha appena concluso una difficile conversazione con gli Scribi. Né costoro, né le folle capiscono chi egli sia: sono tutti suggestionati dalle parole che sentono, ma soprattutto dai suoi miracoli. L’arrivo di Maria, sua Madre, gli offre un’occasione per impartire un insegnamento sulla sua nuova famiglia, costruita non su legami di sangue, ma sul compimento della volontà di Dio. Intanto numerose persone accorrono per ascoltarlo: egli lascia perciò la casa in cui si trova e riprende ad insegnare sulle rive del Mare di Galilea. È allora che racconta le parabole del seminatore, della lampada, del seme che cresce da solo, del granello di senapa. Raccontata in momenti in cui molti si mostrano incapaci di accogliere veramente la sua parola, la parabola non è una favola, ma un racconto frequentemente misterioso nell’insegnamento che vuole dare, tant’è che i discepoli – come in questa occasione – sono costretti

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a chiederne spiegazione. È così che Gesù preferisce parlare del Regno di Dio: con immagini ed esempi, in cui vuole provocare i suoi ascoltatori ad accogliere la buona notizia del Regno. Una decisione che in ogni caso dipende dalla mente e dal cuore libero di chi ascolta. Un racconto esagerato?

Certamente. Nelle parabole il linguaggio è spesso eccessivo, non per ingannare, ma per far capire meglio l’insegnamento. Ecco perché tanta insistenza è data ai terreni infruttuosi: pericolosamente vicini a strade di terra battuta su cui quando il seme cade è buono solo per diventare mangime per gli uccelli, oppure pieni di sassi che si arroventano al sole cocente della Terra Santa e fanno seccare tutto, o insidiati da rovi che tendono a prendere tutto lo spazio possibile. Sono quei terreni che quando Gesù scioglie l’enigma, ci dice siano solo un modo per parlare di persone che ascoltano male o non ascoltano affatto. Finito di leggere, viene da obiettare se sia possibile che ci siano solo terreni non fertili! È a questo punto che Gesù ci parla di un


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terreno buono, fertilissimo, capace di dare frutto su frutto. Lo fa solo adesso perché risulti chiara la differenza tra coloro che ascolano poco, male e non ascoltano e chi invece è aperto ad un retto ascolto della sua Parola! Forte la provocazione a dissodare il terreno buono che certamente c’è in noi, a non scoraggiarci per gli altri tipi di terreno, ma a prenderne coscienza e a darci maggiormente da fare!

Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: “Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare.” E diceva: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”.

«Ascoltate»

Ora si capisce meglio perché Gesù inizi la parabola dicendo «Ascoltate» e la concluda similmente affermando «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Il doppio invito non è un modo di dire tipico dei Paesi del Vicino Oriente Antico. Non è neppure soltanto una modalità per avvertire dell’importanza di quanto si dice, ma un’autentica sfida a disporsi seriamente davanti a ciò che Gesù ha da dire. Insomma, se rifletti su questa esortazione all’ascolto, troverai già tutta la parabola, la chiave di lettura per capirne l’insegnamento. Quale? La Parola di Gesù va accolta con attenzione e costanza

da gente che ha testa e cuore sinceri. Facili entusiasmi ed incostanza nell’ascolto non producono niente: banalizzano la Parola e la rendono incapace di produrre in noi la Salvezza, scopo più grande per cui ci è data. Il suo venire verso di noi è infatti di per sé infallibile: la Parola è come la pioggia e la neve, il cui scendere dal cielo fa germogliare la terra perché dia seme e pane a chi la coltiva (Is 55,10-11). Questo è il suo nobile fine. Non vanifichiamolo. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net

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Punto e a capo: la fatica di ricominciare Il suo nome è Isabel : è una donna sui trentacinque, giunta in Italia dall’Ecuador quindici anni fa. Una storia come tante per noi, ormai abituati a vedere nel nostro paese una folla multietnica. Una storia unica per lei, molto sofferta e con tanti punto e a capo.  Il primo di questi punti lo mise sua madre alla sua storia d’amore con un giovane poliziotto, quando ventenne frequentava l’Università a Quito. Una madre egoista la sua, da sempre solo centrata su se stessa, con una vita affettiva sregolata ed il timore che i figli, facendo una loro strada, smettessero di occuparsi economicamente di lei. Isabel, bisognosa di affetto e protezione, finì di accettare la corte di un uomo più grande di lei, dal quale ebbe un bimbo, Diego. Era una storia che avrebbe potuto avere un futuro, avrebbero 38

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formato una famiglia regolare, come lei non aveva mai avuto, ma l’uomo si ammalò ed in breve tempo morì. Isabel si ritrovò sola e con un bambino a cui provvedere ed in Ecuador non era facile trovare un lavoro. Sull’esempio di Maria

Fin da piccola era molto religiosa, amava recarsi in chiesa e pregare davanti alla statua di cera della Vergine ed in quel momento difficile si rivolse alla madre di Dio, guardandola oltre la ricchezza degli abiti di seta che la facevano sembrare una regina, la sentì una sorella,

un’amica, seduta sulla panca della chiesa accanto a lei, compagna di un viaggio faticoso. Come Maria per salvare Gesù aveva lasciato la sua terra e si era rifugiata con la sua famiglia in Egitto, così Isabel per amore del piccolo Diego pensò di raggiungere in Italia un’amica che aveva trovato lavoro e che a lei offriva la possibilità di occuparsi di una coppia di anziani. Il suo bambino aveva solo undici mesi, lo avrebbe dovuto lasciare a sua madre e mantenere tutti e due con il suo lavoro. Punto e a capo, doveva ricominciare una nuova vita in


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di apprendimento, di linguaggio e di relazione. Lei continuò a darsi da fare, lavorò tantissimo e cercò di sopperire a tutte le carenze del bambino, un po’ delusa poiché il marito, dopo un iniziale interesse per Diego, aveva assunto un atteggiamento distaccato ed insofferente. L’hanno aiutata molto i momenti di preghiera: Isabel trova consolazione nella recita del rosario, quel modo universale di pregare che accomuna tutte le religioni rivelate e che la riporta con il cuore e la mente alla statua della Madonna del suo paese. un paese che non conosceva, così lontano dal suo, ma ce l’avrebbe fatta e sarebbe tornata a riprendersi il suo bambino al più presto. Isabel trova consolazione pregando il rosario

Invece di anni ne passarono molti, Isabel cambiò parecchi lavori, cercò di risparmiare il più possibile per non far mancare nulla al suo bambino ma non fu facile. Poi conobbe un uomo, Nino, che si innamorò di lei, la sposò ed Isabel decise che era giunto il momento di andare a riprendersi Diego e portarlo in Italia. Così fece. Ben presto, però, si rese conto che il bambino aveva patito molto, troppo il distacco da lei e quando iniziò la scuola elementare emersero problemi

Come Maria per salvare Gesù aveva lasciato la sua terra e si era rifugiata con la sua famiglia in Egitto, così Isabel per amore del piccolo Diego pensò di raggiungere in Italia un’amica che aveva trovato lavoro e che a lei offriva la possibilità di occuparsi di una coppia di anziani.

Maria continua ad illuminare le scelte di Isabel

Adesso il suo bimbo è cresciuto ma anche i suoi problemi... e il non aver superato il primo anno di scuola superiore ha contribuito a rompere definitivamente il fragile equilibrio della sua famiglia. Nino, frustrato anche da problemi di lavoro, ha assunto un atteggiamento di continuo rimprovero verso Diego ed ha avuto scatti di violenza che hanno spaventato Isabel e le hanno fatto prendere la decisione di lasciarlo, per il bene di suo figlio. Ora Isabel sta per mettere un nuovo, doloroso punto e a capo alla sua vita, ma sa che è necessario affinchè Diego possa maturare autostima e trovare quella serenità che lei ha tanto desiderato per lui.

Deve ricominciare una nuova vita, ma anche questa volta sa che avrà come compagna di viaggio Maria, una madre che ha sempre anteposto ai suoi desideri la realizzazione dei progetti del Figlio. FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Dio attende una risposta libera anche dalla sua futura “mamma”

Il Signore è con te, ed il sì della amata da Dio

Maria ha avuto Dio vicino più di ogni altra creatura, fin dalla nascita. Ma una vicinanza totale e inimmaginabile si preparava per lei. Il suo corpo immacolato era destinato a diventare l’Arca di Dio, la dimora anche fisica del Dio fatto uomo. Maria ancora non lo sapeva. Quando l’angelo le dice: «Il Signore è con te», essa - che conosceva bene le Scritture - capisce che queste sono le parole che precedono l’annuncio di una chiamata al servizio del Signore, per una missione che interessa i destini del suo popolo. Così era iniziata la vocazione di Abramo: «Non temere: Io sono il tuo scudo», gli aveva detto il Signore (Gn 15,1). E a Mosè, mandato a liberare il suo popolo: «Io sarò con te, perché tu possa compiere quello per cui io ti ho destinato» (Es 3,12). Così a Giosuè, a Gedeone, a Geremia, a Davide e a quanti altri chiama per una missione di salvezza, Dio ripete sempre: «Io sarò con te, perché tu possa compiere quello per cui io ti ho destinato». C’è un progetto di salvezza che si snoda nei secoli tra la fedeltà immutabile di Dio e le incertezze e i tradimenti del popolo che lui ha scelto e amato. Ma c’è un piccolo “resto” fedele dei “poveri di Iahvè”, che han-

Don Gianni Sangalli, nato nel 1922 e scomparso nel 2004, ha fondato e diretto questa nostra Rivista per 22 anni. È stato, tra l’altro, direttore delle Edizioni Elledici, rettore della Basilica dal 1979 al 1993 e direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della Diocesi di Torino. Tra i suoi scritti abbiamo trovato queste riflessioni su Maria, che riproponiamo. 40

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no messo ogni loro speranza nel Signore. La pienezza dei tempi è ormai giunta. E a collaborare al progetto del suo amore che salva, Dio questa volta chiama non un re, un condottiero, un profeta, ma un’umile fanciulla di Nazaret, un piccolo paese sperduto sui monti di Galilea: Maria. E perché il suo cuore non soccomba sotto il peso dell’annuncio, le viene garantito l’aiuto, la forza: «Il Signore è con te». Dio è già con Maria, ha già deciso, ha già scelto, ha già stretto alleanza con la Figlia di Sion che «primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui al salvezza» (LG 55). Vuole, però, la sua adesione nella fede e nella speranza. Sempre - quando Dio parla alla sua creatura - attende la risposta della sua libertà. Myriam: l’umile fanciulla è la “principessa” scelta da Dio

«L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria». (Lc 1,2627). Tutte le volte che sentiamo leggere quell’incantevole pagina del Vangelo, noi avvertiamo distintamente che, con l’annuncio di quel nome, è incominciata la nuova storia dell’umanità. Qual è il significato del nome Myriam, o Mariám

come scrive Luca? Per gli antichi - più che per noi oggi - la scelta del nome aveva un significato di presagio, di augurio: voleva esprimere il destino di colui o colei che lo portava, la sua missione. Maria, Myriam in aramaico (la lingua parla da Gesù), significa “grande signora”, “principessa”. È più probabile, però, che il nome Maria sia derivato dalla lingua egiziana. Infatti la prima volta che il nome Maria appare nella Bibbia, è per indicare la sorella di Mosè e di Aronne, nata come loro durante la schiavitù di Egitto. Mosè e Aronne sono due nomi egiziani: è logico pensare che anche la sorella Maria abbia avuto un nome egiziano. Myriam, in egiziano, ha il significato di: “Amata da Dio”. In tal caso, la fanciulla ebrea che Dio aveva scelto per essere la madre del Messia, avrebbe avuto segnato, anche nel nome, il suo meraviglioso destino, la sua missione, la sua grandezza: Maria, amata da Dio. Impariamo a pronunciare sempre con amore questo

nome benedetto, che racchiude in sé il mistero di colei che ha dato la carne e il sangue al Figlio di Dio, ma che è pure nostra madre! Gianni Sangalli redazione.rivista@ausiliatrice.net

Don Gianni Sangalli Nato a Treviglio (BG), in seno ad una famiglia di robusta fede cristiana, a 17 anni si dona a Don Bosco e gli rimane fedele per 64 anni. Nell’Anno Santo del1950 viene ordinato sacerdote a Monteortone (PD). Dal1975 al 1979 È chiamato a dirigere l’importante casa salesiana dell’Elledici a Torino-Leumann. Nel1979 lo troviamo a Valdocco. Per 14 anni È Rettore della Basilica, nel 1980 e nel1988 fa gli onori di casa a Giovanni Paolo II, rifonda la rivista Maria Ausiliatrice e la dirige per 22 anni con solerte atten-zione e maestria. settembre-ottobre 2017

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Ave, Maria, Regina del santo rosario  «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1, 28) Così l’angelo si rivolge a Maria ed Elisabetta riconosce in lei la madre del Signore (Lc 1, 43) e la preannunziò benedetta dalle genti. Noi peccatori la invochiamo come Madre e ne imploriamo l’aiuto sempre e soprattutto nel momento della morte. È la preghiera dell’Ave che da sempre è sgorgata dal cuore degli umili e semplici. Tutti: bambini ed adulti, persone umanamente sapienti ed ignoranti hanno trovato in essa la forza che Cristo dona a chi

prega con fede. È una preghiera di un figlio a Dio, in Cristo per Maria. Maria è una madre che ci ama

Maria: nella grotta di Nazareth, Gesù, che nasceva, era al centro di tutto. Pensiamo: come avrà accolto il Signore? Come lo avrà atteso prima dell’Annuncio e dopo, in quei meravigliosi lunghi nove mesi? Come avrà vissuto con lui e per lui nei suoi trent’anni trascorsi a Nazareth e poi pellegrinante per

la Palestina; non sempre amato, anzi, non sempre cercato, anzi... fino sulla croce? Come lo avrà atteso ed adorato risorto? Con Maria, nella preghiera del santo rosario, riviviamo ogni momento della vita e della esperienza salvifica di Gesù. Noi lo meditiamo nel mistero della sua nascita gaudiosa, nella sua fanciullezza umile ed obbediente, nella sua giornata operosa accanto a Maria e Giuseppe. Noi lo ammiriamo quando, nella vita pubblica, annuncia il Vangelo del Regno, illuminando ogni persona, perché Gesù

© L´ANNUNCIAZIONE di Jean-Marie Pirot (ARCABAS)

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è “la luce del mondo” (Gv 8, 12). Lo contempliamo, umili e riconoscenti, nel suo dolore redentivo e con la gioia dei redenti lo adoriamo risorto e nella gloria. Con Cristo onoriamo Maria che con fede ed amore ne è stata Madre, aiuto, discepola fedele e corredentrice. Il rosario è meditare i misteri di Cristo

Il rosario è vivere ogni esperienza della nostra vita nella fiducia che in cielo c’è una madre che ci ascolta, che accoglie le nostre parole, i nostri problemi e li porta a Dio. Amare il rosario è la maniera più semplice e facile di onorare Maria e di arrivare a Gesù. È bello ripetere tante volte con fiducia: «Ave Maria». Non si possono dire queste parole senza desiderare di diventare migliori, perché si chiede a Maria, la tutta santa, di aiutarci: «prega per noi peccatori». Proprio come il bambino che mette la sua mano in quella di sua madre ed è tranquillo e sicuro (Sal 130, 2) perché sa che non può perdersi. Oggi, purtroppo, il rosario è una preghiera poco apprezzata, a volte derisa; sembra una preghiera troppo semplice e puerile o per persone anziane e invece svela la profondità dell’amore che abbiamo verso Dio e verso Maria. La ripetizione insistente dell’Ave Maria rivela il bisogno di andare a Dio attraverso la madre. Il rosario è scuola di santità, perché Maria ci invita a riflettere sulla nostra esistenza, ci invita a cambiare, ad essere coraggiosi, ad implorare perdo-

no e a perdonare, a vivere come Gesù. È una catena di rose verso il cielo, l’”arma” che Maria stessa sempre ci ha offerto. Don Bosco ha fatto del rosario uno strumento indispensabile per l’evangelizzazione. Pregare con il santo rosario è meditare il mistero della grandezza della Vergine Santa; lei sempre in intima comunione con Dio, fiduciosa in lui, totalmente abbandonata alla sua volontà. Noi spesso sentiamo, di fronte alla sofferenza e ai problemi, un poco di scoraggiamento, ma dovremmo pensare ai problemi ed alle difficoltà che ha vissuto Maria. Certo, aveva vicino Gesù, ma anche noi lo abbiamo nel cuore con l’Eucaristia e dobbiamo perciò vivere anche noi questo abbandono che a volte richiede un coraggio che sembra superare le nostre possibilità, con problemi talmente grandi che ci gravano addosso come macigni. Pensando a Maria, ai problemi che ha avuto e alla sua fede, noi, recitando il rosario, comprendiamo che affidandoci a lei, questi problemi non scompaiono, ma sono più facili da portare perché troviamo dentro il nostro cuore più coraggio e più volontà di andare avanti. Il rosario valorizza la nostra vita

Valorizzando il santo rosario valorizziamo la nostra vita. Ogni Ave Maria deve diventare un sì ripetuto a Dio, un sì all’ascolto della volontà del Padre. Con il santo rosario, meditando la vita di Cristo e la sua mis-

sione redentrice, noi comprendiamo la nostra grandezza. Ci rivolgiamo a Dio che ci è Padre. Siamo figli chiamati a collaborare con Cristo, sull’esempio di Maria, a portare al mondo pace ed amore mettendoci a disposizione dei fratelli per aiutarli a conoscere il vero volto di Dio che è il volto di un padre. Siamo invitati a prendere la nostra croce, come ha fatto Gesù e con lui Maria, perché la volontà di Dio si compia. Maria ci aiuta! Ricorriamo a lei con semplicità e fiducia, con riconoscenza filiale, lavorando con amore e per amore tutti i giorni, qualunque cosa facciamo, sempre lieti, sempre nella gioia e nella speranza, sempre ottimisti. Sul letto di morte don Bosco provò tanta gioia, pace e sicurezza al pensiero di essere stato un devoto ed un apostolo di Maria: una madre che non delude mai. Ed ora preghiamo:

O Maria, regina del santo rosario, dona alla nostra preghiera la fede sicura perché attraverso la meditazione dell’amore di Cristo per noi e la fiducia nel tuo materno aiuto sappiamo far crescere nel nostro cuore e nei cuori dei fratelli il desiderio di essere santi. Angelo Di Maria redazione.rivista@ausiliatrice.net

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Pesche allo zabaglione

ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net

•4 pesche divise a metà,

sbucciate e snocciolate, o mezze pesche sciroppate

•U na confezione di amaretti •M ezzo bicchiere di liquore all’amaretto

• 2 tuorli d’uovo • 80 g di zucchero • ½ bicchiere di marsala Sbriciolare grossolanamente gli amaretti, inzupparli di liquore amaretto e riempire con il composto le pesche. Sbattere i tuorli con lo zucchero, unirvi il marsala e cuocere a bagnomaria lo zabaglione finché si addensa. Versarlo, raffreddato, sulle pesche.

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A proposito di migranti e senzatetto  Di queste sfortunate persone si fa oggi un gran parlare; non c’è notiziario che non ne riveli quotidianamente una tragedia. L’episodio che segue si riferisce tuttavia alla fine degli anni Ottanta, quando erano ancora lontani i grandi flussi migratori. Protagonisti: Mons. Franco Peradotto, un senzatetto, un gruppo di fedeli che in un rigido mattino d’inverno seguiva la Messa al santuario della Consolata. L’uomo, disteso su un banco, avvolto in un cappotto sporco e lacero, russava vigorosamente, incurante del luogo sacro e di quanto succedeva intorno. La scena suscitava perplessità. Ci si domandava se il celebrante sapesse. Impossibile non vedere e non sentire. Sguardi dubbiosi, irritati, non molto compassionevoli. Signore bene che scuotevano vigorosamente la testa. Don Peradotto celebrava la Messa tranquillo e sereno.

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Qualcuno forse pensava «Che cosa aspetta a cacciarlo?» Al momento della Comunione il celebrante scese i gradini dell’altare avvicinandosi ai fedeli. Per raggiungerlo si doveva per forza passare davanti al banco del poveraccio addormentato, e gli sguardi di indignazione e di disprezzo si moltiplicarono. Allora, riponendo un’Ostia nel calice, il sacerdote si rivolse alle belle signore impellicciate e ingioiellate che avevano lasciato le loro comode e calde abitazioni per recarsi a Messa: «Ogni mattina, alle sei, apro la porta principale del santuario per fare entrare e riscaldare i barboni che hanno passato la notte sulla piazza, al freddo. Questa bella chiesa è la loro casa, prima che la vostra. Cristo è venuto soprattutto per loro. E se la scena vi offende o vi scandalizza, è meglio che non vi accostiate all’Eucarestia». La fila dei fedeli procedenti verso l’altare si diradò. Parecchi voltarono le spalle e uscirono. Una ragazza giovanissima, con un gran fascio di libri sotto il braccio, sgusciò fuori velocemente da un’uscita secondaria. Tornò dopo qualche minuto con un dolcetto in mano. Si avvicinò all’uomo, che intanto si era svegliato. «Ecco – gli disse porgendogli il dolce – è la sua colazione». Con un frettoloso segno di Croce corse sulla piazza. La Messa era finita.


GRAZIE MAMMA TERESA ! Lo scorso giungo il Signore ha chiamato a se mamma Teresa Bianco. Come Rivista ancora sentiamo vivo il suo ricordo e non possiamo fare a meno che esserle riconoscenti per l’umile e prezioso aiuto che in tanti anni ha voluto dare, insieme a suo marito, all’ufficio Diffusione della Rivista. Ora che sei con la Mamma celeste intercedi per noi.

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