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Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27–02–2004 n. 46) art. 1, comma 1 NO/TO
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#C ostruiamo
un mondo “a colori”
4 La gioia di essere Figlie di Maria Ausiliatrice. Madre Y vonne ci parla
7 Coppia & dintorni: il gioco dell’amore Robert Cheaib ci spiega che nessuno basta a se stesso
14 “Non guardate la vita dal balcone” Un articolo coinvolgente e gioioso di Alessandr a Ferr aro
ISSN 2283–320x
settembre-ottobre 2016
Il saluto del nuovo Rettore Con vivo desiderio di incontrare personalmente tutti coloro che collaborano per la vita della Basilica, e sentono particolarmente la Chiesa di Valdocco parte intima della loro vita di fede, porgo un caloroso saluto. È la prima volta che scrivo, collaborando alla Rivista. Ho accolto con gioia e un po’ di timore l’incarico che mi è stato affidato; tuttavia sono consapevole che la sincera buona volontà, e la vicinanza di ciascuno, mi aiuterà a custodire uno dei luoghi più preziosi del carisma salesiano. Guardare alla nostra Basilica è riconoscere che essa protegge con cura sia la preziosa immagine di Maria Ausiliatrice sia le reliquie dei nostri cinque santi e beati “fondatori”. Questo luogo santo non può essere attraversato con distrazione, né può essere considerato “uno dei tanti”. Soprattutto per la Famiglia Salesiana, la Basilica rimane una vera e propria oasi spirituale, ove rigenerare la vita di fede: per l’annuncio del Vangelo, per la testimonianza credente e per la compassione, nei confronti di tutti coloro che si appoggiano alle nostre vite. Ecco che la Chiesa di don Bosco è chiamata ad essere sempre più luogo di comunione e di preghiera. Se talvolta possiamo essere spaventati dinanzi alle tempeste del nostro mondo (che ci provoca con la sua velocità e violenza), tuttavia possiamo avere la certezza che la comunione e la preghiera ci salvano. Maria Santissima sembra suggerirci con evidenza questi due aspetti radicali per la nostra esperienza di fede: la comunione con il Signore diviene sorgente di relazioni e legami davvero robusti, grazie ai quali ‘in cordata’ attraversare i giorni della vita. Concludo, porgendo un grande grazie a don Franco Lotto per l’impegno e la serietà, (soprattutto nell’accompagnamento spirituale), donati in questi otto anni come Rettore della Basilica. Rinnovo ancora la gratitudine a tutti coloro (Vicerettori, salesiani incaricati, collaboratori, volontari, la corale…) che compongono quella squadra robusta che accoglie, accompagna nella visita, pensa alla pastorale. Maria, madre di misericordia, abbia molta pazienza con noi, ci insegni la Sua pazienza ed apra il nostro cuore al Vangelo. Come ci ricorda don Bosco: «Nei pericoli, nelle difficoltà, nei dubbi, pensiamo a Maria, invochiamo Maria: con il suo aiuto, ogni fatica sarà per noi leggera, con lei non cadremo mai». Don Cristian Besso RETTORE rettore.rivista@ausiliatrice.net
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robert chaib
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ezio risatti
1 IL SALUTO DEL NUOVO RETTORE don CRISTIAN BESSO
carlo miglietta
14 Francesco:
«non guardate la vita la balcone» alessandra Ferraro
A TUTTO CAMPO 4 LA GIOIA DI ESSERE FIGLIE
16 il diavolo e l’acqua santa diego goso
DI MARIA AUSILIATRICE
18 crescere un po’ ogni giorno
CARLO TAGLIANI
ezio risatti
chiesa e dintorni 7 solo i monaci
possono diventare coppia robert cheaib
Anna MAria Musso Freni
maria 24 una lode per maria
marco rossetti
chiesa e dintorni 12 Dall’oratorio alla basilica marina lomunno
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carlo miglietta
e la preghiera dei sensi
di un incontro unico
francesca zanetti
26 la fede di MAria bernardina do nascimiento
domus mea ic
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Corrispondenza: Rivista Maria Ausiliatrice Via Maria Ausiliatrice 32 10152 Torino
PER SOSTENERE LA RIVISTA:
Direttore responsabile: Sergio Giordani
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Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80
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i tuoi peccatti” (Mt 9,2)
23 il senso della preghiera
la parola 10 il frutto benedetto
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20 “coraggio, figliolo, ti sono rimessi
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Foto di copertina: Inara Prusakova Archivio Rivista: www.donbosco–torino.it
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francesca zanetti
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pier giuseppe accornero
giovani 28 un dio «mangione e beone»?
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42 famiglia: ambiente di fede per una vera identità cristiana
giuliano palizzi
MICHELA FARES
30 violenza: problema d’educazione?
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ermete tessore
ANNA MARIA MUSSO FRENI
don bosco oggi 32 la luce della vita
poster
Salve regina, Madre misericordiosa
andrea CAGLIERIS
34 j’amis ad ‘Castelneuv Pier giuseppe accornero
36 dalla strada al bosco boys: un passo che a nairobi cambia la vita federica bello
38 inizia la scuola
Dopo 75 anni di liete armonie
nino gentile
40 maria segno dell’amore misericordioso di dio
PIERLUIGI CAMERONI
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È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompagnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti della Congregazione Salesiana. Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore, fu costruito da Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è uno dei più grandi e preziosi d’Italia.
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a tutto campo MARIA
La gioia di essere Figlie di Maria Ausiliatrice
Alla vigilia del 180° della nascita di santa Maria Domenica Mazzarello incontriamo madre Yvonne Reungoat, superiora generale delle FMA (Figlie di Maria Ausiliatrice). Declinare al femminile, con lungimiranza e sensibilità, il sogno e il progetto educativo di don Bosco e di madre Mazzarello per i giovani. È questo lo spirito che anima la missione delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) e le porta a operare, con amore ed entusiasmo, in tutto il mondo. Ne parliamo con madre Yvonne Reungoat, da otto anni superiora generale dell’Istituto delle FMA. La gioia di amare e di sentirsi amati
Che cosa può comunicare oggi, 4
Maria Ausiliatrice n. 5
al mondo, la vita e l’opera di Maria Mazzarello? «Cofondatrice con don Bosco dell’Istituto delle FMA, madre Mazzarello rimane attuale perché vera. Il suo messaggio conserva la freschezza delle cose semplici e genuine perché parte dalla vita e raggiunge la vita. Con le prime FMA ha dato origine allo “spirito di Mornese”: un clima ricco di relazioni nel segno della fiducia, della speranza e della gioia di amare e di sentirsi amati. Mornese è un piccolo paese del Monferrato, dove madre Mazzarello nacque, conobbe don Bosco e co-
Secondo quali modalità e caratteristiche viene declinato, oggi, lo “spirito di Mornese”? «In un mondo non di rado segnato dall’individualismo, la sua testimonianza corale di comunione ha un grande valore. Come FMA siamo presenti sul fronte dell’educazione e, nei luoghi di maggiore emarginazione, ci impegniamo nella promozione della donna, convinte che “educare una donna è educare un popolo”. La spiccata fisionomia mariana dell’Istituto ci rende ausiliatrici con l’Ausiliatrice, consapevoli del fatto che nella misura in cui si seguono le orme di Maria si avvia un processo di misericordia, compassione, comunione e solidarietà che spinge a prendersi sempre più cura di chi vive nelle periferie dell’esistenza».
a tutto campo MARIA
minciò la propria opera. Qui religiose e giovani erano attratte da una vita piena d’amore a Gesù e di dedizione agli altri con la sollecitudine materna di Maria».
razioni. La mia responsabilità mi chiede di essere vincolo di comunione e segno di unità per tutto l’Istituto, assicurando la fedeltà dinamica al carisma in continuità con madre Mazzarello, di cui sono la nona successora». Quali sono i momenti più belli e quali i più difficili del suo mandato? «Momenti belli sono quelli in cui posso constatare lo sviluppo e la crescita vocazionale di sorelle che vivono con fedeltà creativa il proprio “sì” a Dio anche in situazioni difficili. Mi rallegro quando si tiene viva la comunione, si coltiva la speranza e la fede dà sapore alla vita; quando usciamo dalle nostre sicurezze per vivere la conversione pastorale tanto raccomandata da papa Francesco. Gioisco quando sento l’apprezzamento della Chiesa per ciò che rappresentiamo e non solo per i servizi che svolgiamo e quando una FMA chiede di andare in missione o si prende cura dei migranti anche nel proprio Pa-
Vivere la vocazione con fedeltà creativa
Che cosa significa essere la superiora generale delle FMA? «Aver ricevuto il dono di una nuova maternità per essere grembo accogliente per le FMA e per le giovani generazioni. Convinta che Maria Ausiliatrice sia la vera superiora della comunità - come riteneva madre Mazzarello - vivo l’esperienza del mio mandato lasciandomi prendere per mano da Maria e guardando alla sua vita di donna, sposa, madre e discepola. Solo affidandomi posso sostenere la responsabilità di animazione e di governo dell’Istituto, condivisa con le sorelle del Consiglio generale. Cerco di rinnovare ogni giorno il mio “sì” per servire il bisogno di vita e di gioia delle FMA perché a loro volta, come in una parabola di comunione, possano generare vita tra le giovani genesettembre-ottobre 2016
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a tutto campo
ese. Non mancano momenti difficili e di prova: guerre, carestie, calamità naturali, situazioni di stanchezza e povertà relazionale che possono indebolire la missione». Valorizzare la diversità
In un recente discorso in Thailandia ha lodato la bellezza delle ghirlande perché, composte di fiori diversi, mostrano “l’importanza di valorizzare la diversità e metterla in dialogo perché diventi bellezza e armonia”. Come le FMA incarnano questo ideale? «È una grande sfida per un Istituto internazionale presente in 94 nazioni dei cinque continenti. La diversità, però, non è mai tale da non poter essere composta in unità, frutto di un lavoro paziente, umile, silenzioso, come quello necessario a realizzare la ghirlanda thailandese. Così noi, pur essendo differenti per lingua, abitudini e cultura possiamo diventare “artigiane” nella costruzione di ponti che uniscono, di un nuovo modo di pensare, di relazionarci e di agire che favorisce la comunione e la pace. Nella Chiesa e nel territorio ci apriamo a una solidarietà che suscita protagonismo, promuove
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microimprese, valorizza il microcredito specialmente a favore delle donne. Tuttavia il nostro impegno prioritario non è rispondere alle sfide ma essere noi stesse una sfida vivendo l’esperienza dell’unità nella diversità». Che cosa consiglierebbe a una ragazza incerta se seguire le orme di Maria Mazzarello? «Di non avere paura e di affidarsi. “Rallegrati, non temere” è la prima esortazione del Nuovo Testamento rivolta a una giovane donna che coltiva un proprio progetto di vita secondo la tradizione del tempo. Dio che fa irruzione nella vita di Maria provoca sconcerto e perplessità, ma la risposta della ragazza è l’affidamento a Lui. Ogni vita, in fondo, dalla nascita alla morte, si svolge nell’affidamento. Come per Maria di Nazareth, un elemento chiave per comprendere se si è sulla buona strada è certamente la gioia. “La gioia diceva madre Mazzarello - è segno di un cuore che ama molto il Signore. Chi ama Gesù va d’accordo con tutti e desidera portare agli altri il proprio amore”». CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net
chiesa e dintorni Robert Cheaib redazione.rivista@ausiliatrice.net
Solo i monaci possono diventare coppia Nel suo nuovo appassionante libro, Robert dimostra che la felicità di coppia non è un miraggio, ma una possibilità. Non basta però trovare la persona giusta, bisogna fare i passi giusti! In più è un libro rivolto a tutti. Nessun panico! Non è una campagna per svuotare i monasteri! Non sto parlando di “monaci”, ma mi baso sull’etimologia della parola. Monaco viene da monos e indica una persona una, unificata, riconciliata con sé. Sono convinto che solo chi è così può formare una coppia felice con un’altra persona. È un grande paradosso, ma ha proprio ragione Fromm quando afferma che «la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare».
La coppia non può fondarsi su due invertebrati incapaci di stare in piedi da soli. La coppia non si fonda su due che si alleano per fuggire ognuno da sé, dalla propria non-vita. La coppia è una comunione di vita, non di due nullità. Due mezze persone che si incontrano, non fanno una coppia, ma due metà che si accuseranno a vicenda delle mancanze della coppia. Uscirà fuori un mostro apocalittico con scenari apocalittici. È necessario essere monos, uno, unisettembre-ottobre 2016
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ficato e intonato per vivere l’unione, per non stonare nel duetto. Scrive il filosofo libanese René Habachi: «Una persona unificata è come uno strumento musicale accordato, con tutte le sue corde tese sullo stesso diapason, armonizzato al punto da poter entrare in concerto con un altro, in un accordo sempre più ricco e sempre più unificato. Solo a questo punto la persona è matura per l’amore, la voce dell’altro non la spaventerà, la sua presenza non la disintegrerà sconvolgendo il suo orientamento interiore». Coloro che fuggono dalla solitudine e si rifugiano nella vita di coppia, si ritrovano con una solitudine più amara, perché priva della speranza illusoria di simbiosi perfetta che si nutriva prima dell’incontro. L’amore di coppia consiste in «due solitudini che si proteggono l’una con l’altra, si sfiorano e si augurano il bene» (Rilke). Solo chi è così realista può vivere un grazioso e grato incontro con un’altra persona reale. Solo così la vita di coppia sarà un coronamento di una gioia, non un antidepressivo. Hai bisogno di un coniuge, non
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di un bue; di un soggetto complice, non di un complemento d’oggetto. L’elogio della solitudine – l’ho detto già prima – non è un invito all’isolamento. Anzi, chi si isola si danna e si condanna al contrario della natura dell’uomo che è la comunione e l’incontro. C’è una paradossale correlazione tra solitudine e comunione. Non diventa se stesso chi costruisce muri intorno a sé. L’essere umano è un essere relazionale che si realizza nell’esporsi, non nel conservarsi sotto vuoto; nel dispensarsi e non nel darsi dispense. Il fine della solitudine è l’incontro e «Dio si serve della solitudine per insegnare la convivenza» (Paulo Coelho). Non è bene che l’uomo sia single
Se questo “titoletto” vi sembra insensibile, perché sappiamo che non tutti sono “single per scelta”, vi dico di più: l’ho usato come titolo di una conferenza che ho tenuto per un’associazione di single. Non era un tentato suicidio per far avere alla mia famiglia i proventi dell’assicurazione sulla vita (che non ho). Non è bene che l’uomo sia single: ne ero e ne sono profondamente convinto e, dato l’esito di quella conferenza – sì, ne sono uscito vivo! – penso di aver convinto anche qualcun altro. Non siamo fatti per vivere solo per noi stessi. Anche chi non ha avuto la fortuna (o l’infortunio… dipende dai punti di vista) di trovare un’altra persona con cui formare una coppia, è costituito per essere in relazione. Lo dico anche per chi vuole amare tanto se stesso! Ecco un paradosso: chi vuole davvero amare se stesso, non deve amare solo se stesso! «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). La qualità del mio essere è strettamente collegata alla qualità delle mie relazioni. Chi pretende realizzarsi senza
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di amare se stessi, ma fa di questo amore a sé un ripiegamento soffocante sul proprio ombelico. Chi ama se stesso in modo giusto non cede alla tentazione di annegare nelle sabbie (im)mobili dell’ego. È bene sempre ribadire che nessuno si salva da solo. Nessuno è felice nell’isolamento. Nessuno basta a se stesso. «Ciò che vogliamo di più è vivere la complementarietà. Non ci bastano salvezze private» (David H. Lawrence).
Robert Cheaib, docente di teologia presso varie università tra cui la Pontificia Università Gregoriana e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ama definirsi come «catechista itinerante». Svolge un’intensa attività di conferenziere su varie tematiche che riguardano la vita di coppia, la preghiera, l’ateismo, il rapporto tra fede e cultura. Gestisce un sito di divulgazione teologica www.theologhia.com. Tra le sue opere recenti: Un Dio umano. Primi passi nella fede cristiana (Edizioni san Paolo). Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata (Il pozzo di Giacobbe). Per Tau Editrice ha già pubblicato: Rahamim. Nelle viscere di Dio. Briciole di una teologia della misericordia.
IL GIOCO DELL’AMORE
L’amore è inseparabile dall’umore. Tante coppie non resistono ai colpi seri della vita perché non sanno concepire la loro vita come un gioco. Chi è invece realista e lucido, sa riconoscere la forza del ludico nella propria vita e in quella della persona amata. Come ogni gioco, l’amore ha le sue regole e i suoi trucchi. Questo libro ne offre dieci coniugando psicologia, umore, spiritualità ed esperienza.
ROBERT CHEAIB
relazionarsi è simile a un seme che vuole diventare albero senza entrare in contatto con la terra, l’acqua e il sole, senza venire spogliato dalla dirompenza della forza della vita che lo avvolge, lo stravolge e lo fa fiorire. Il celibato non è né sinonimo né incentivo a diventare narcisisti. Tanta psicologia da due spicci si concentra sulla necessità
ROBERT CHEAIB
IL GIOCO DELL’AMORE 10 passi verso la felicità di coppia
Il gioco dell’amore. Dieci passi verso la felicità di coppia, di Robert Cheaib Tau Editrice, 2016.
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LA PAROLA
Il Frutto Benedetto di un incontro unico La vicenda unica dell’Annunciazione a Maria di Nazareth (Lc 1,26-37) ha molto da insegnarci su cosa possa scaturire dall’incontro tra il Signore ed una sua creatura. Tale annuncio, che è come uno spartiacque nella storia della salvezza, è il modo nuovo che Egli inaugura per rapportarsi con le persone. Un incontro unico
Maria e Nazareth: nomi accomunati dalla caratteristica di un’apparente insignificanza, a riprova del fatto che Dio ama incontrare ciò che è piccolo, sconosciuto. Questo privilegio fa parte della sua misericordia. Proprio in quel luogo, proprio per quella giovane donna, l’incontro è segnato da un saluto del tutto speciale: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». Ci troviamo ad un livello di saluto profondo che rinsalda il cuore e squaderna orizzonti nuovi. Il Signore sta dicendo a Maria di averle dato la sua grazia, vale a dire la totalità dei doni che una volta ricevuti non lasciano come prima, ma trasformano, fanno nuovi, abilitano a compiere quanto Lui stesso chiede. Maria percepisce la grandezza dell’incontro, per questo è «turbata»: di cosa sarà portatore quell’incontro e saluto? Ella sente il bisogno di riservarsi un tempo. Scrive bene l’Evangelista appuntando che la Vergine non risponde immediatamente, ma invoca 10
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per sé un tempo di prolungata riflessione, come se si raccogliesse in un dialogo amoroso col suo Signore. Un incontro che crea sconcerto
Attraverso il suo Angelo, è Dio in persona che viene nuovamente incontro a Maria, mostrando un’iniziativa che non la schiaccia, ma la corrobora. Le assicura di essere al suo fianco e di averle già garantito la sua grazia perché possa concepire un figlio, darlo alla luce e chiamarlo Gesù (cfr. il v. 31): egli «Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo». L’Angelo parla dando compimento alle profezie di Isaia (7,14) e di Natan (2Sam 7,12-16): il re che doveva discendere dalla casa di Davide, sta per venire nel mondo! Dio, che non poteva prima essere neppure visto, sta per essere concepito. La promessa si fa ora realtà per la nostra salvezza. Il Signore garantisce, spiega, e Maria, così come è proprio di un incontro, senza voler
la parola William Holman Hunt-Whitworth Art Gallery, University of Manchester, Mancheste, UK.
oscurare l’iniziativa del suo Dio, chiede spiegazione: «Come avverrà questo?». Non pare proprio di poter leggere in ciò una qualche difficoltà da parte sua, quanto piuttosto l’esplicitazione di un sentimento di totale spoliazione di sé per amore: Dio crea sconcerto anche in chi lo accoglie e decide per Lui!
macchia: ora in quel cuore purissimo Egli chiede, non impone, di poter porre la propria dimora, riversando lì tutto il bene che serbava in cuor suo. Di fronte alla richiesta del Signore, Maria «piena di grazia» si proclama sua «serva» e dichiara completa disponibilità: «Avvenga per me secondo la tua parola». Ecco come si conclude questo incontro che non smette di sorprenderci, malgrado lo conosciamo quasi a memoria! A quel meraviglioso «Voglio» di Maria, Dio scende in lei con la forza dello Spirito Santo, la rende feconda ed esaltandone la verginità la rende Madre del Cristo. A tanto Ella arriva perché permette al Signore di incontrarla e perché ascoltandolo entra in intimo dialogo con Lui! L’ascolto e la pratica della Parola, fanno sì che ogni suo incontro non rimanga infruttuoso. In Maria il frutto è ineguagliabile: è Gesù, il Frutto Benedetto del suo grembo. Marco Rossetti rossetti.rivista@ausiliatrice.net
Henry Ossawa, The Annunciation, Tannev 1876.
Il frutto dell’incontro
Il dialogo, nota tipica di questo incontro, continua. Il Signore mediante il suo Angelo delinea ora la potenza della propria azione che si compirà per mezzo dello Spirito Santo, che è Spirito creatore e datore di vita; è la sua onnipotenza creatrice che avvolge di sé una creatura! Come unico è l’intervento dell’Onnipotente nella vita della donna di Nazareth che per sempre sarà detta beata, altrettanto unica è la santità del Bambino promesso: Santo è il nome di colui che nascerà, perché costui è Dio stesso che si fa uomo. Il Signore crea in Maria un cuore immune da ogni settembre-ottobre 2016
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Dall’oratorio alla Basilica «Quando sono stato ordinato sacerdote, 40 anni fa dopo 10 anni di professione religiosa, il 29 maggio 1976 proprio nella Basilica di Maria Ausiliatrice, mai avrei pensato di diventarne il Rettore. Sono entrato nei salesiani per stare accanto ai giovani in oratorio dove sono cresciuto». Così don Franco Lotto, classe 1942, dal 2008 rettore della Basilica a cui guarda tutto il mondo salesiano sparso nei 5 continenti, alla vigilia del termine del suo incarico, traccia un bilancio degli otto intensi anni trascorsi a “custodire” la casa di don Bosco. Da settembre, gli succede il confratello don Cristian Besso: don Franco è stato nominato direttore e rettore di un altro Santuario, quello della Madonna dei Laghi di Avigliana, centro di spiritualità salesiana e punto di riferimento non solo per la diocesi di Torino per ritiri e momenti di formazione. Lo abbiamo incontrato in un 12
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caldo pomeriggio di luglio nella sacrestia della Basilica dopo ore di confessionale mentre accoglie un confratello argentino di passaggio a Torino: la mamma era spagnola per questo don Lotto parla perfettamente il castigliano. «Essere praticamente bilingue mi ha aiutato molto soprattutto qui a Maria Ausiliatrice dove il via vai di pellegrini ispanici è ininterrotto». Don Franco racconta che nel suo lungo ministero sacerdotale, dopo il primo incarico nel 1976 come responsabile dell’oratorio e del Centro giovanile salesiano della Crocetta, non si è più fermato, sperimentando praticamente tutti i settori del carisma salesiano fino a quello più “simbolico” come rettore di Maria Ausiliatrice: è stato insegnante a scuola e ne di centri di formazione professionale, maestro dei novizi, direttore di svariate comunità tra cui Valdocco, Cumiana e Rebaudengo.
Don Franco cosa significa per un salesiano essere nominato rettore della Basilica, centro propulsore del carisma salesiano? «È un regalo che mi ha fatto la Provvidenza: questa è la Chiesa che don Bosco ha sognato, è il luogo da cui è partita tutta la sua opera: stando qui, avvicinando centinaia di migliaia di pellegrini che vengono alla tomba del santo e a pregare Maria Ausiliatrice ho capito quanto la Madonna è amata. Quando incontri confratelli, suore, donne, uomini e tanti giovani che entrando in Basilica piangono e si inginocchiano ti rendi conto che questo è davvero un posto particolare. Del resto – e lo credo fermamente come ha detto anche il Papa lo scorso 21 giugno durante la sua visita a Valdocco – don Bosco senza Maria Ausiliatrice non sarebbe diventato santo. Per questo questa Basilica
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non deve diventare un museo ma una casa viva». Rettore di Maria Ausiliatrice nell’Anno delle celebrazioni del Bicentenario di don Bosco che ha avuto come culmine la presenza di papa Francesco: cosa le è rimasto di quel tempo così speciale? «Nell’accogliere in quei mesi migliaia di pellegrini mi sono reso conto di quanto Maria Ausiliatrice e don Bosco sono amati nel mondo, come se 200 anni non fossero mai passati. Soprattutto mi hanno colpito i giovani: ci sono state sere dove a difficoltà chiudevo le porte della Basilica, non volevano uscire: tanti chiedevano la confessione, o erano raccolti in preghiera silenziosa, come se non volessero lasciare un luogo santo. Un’atmosfera davvero commovente». Don Franco, in questi anni in Basilica ha visto passare milioni di pellegrini alla ricerca di una risposta:
secondo la sua esperienza di cosa ha bisogno la gente oggi? «Di essere accolta, di essere ascoltata, di non essere giudicata, di qualcuno che ti dia fiducia e che – come diceva don Bosco quando accoglieva i ragazzi, anche quelli più disperati – nelle tue miserie di uomo o di donna o di giovane riesca a cogliere “quel punto accessibile al bene” che è in tutti noi. I preti e noi salesiani in particolare, come ci ha invitato il Papa e il nostro Rettor Maggiore, dobbiamo tornare ai fondamenti del nostro carisma: gente concreta che dà risposte concrete a chi ti chiede aiuto, che dà speranza con il sorriso sulle labbra. Ecco allora la funzione della Basilica e che con l’aiuto dei miei confratelli ho cercato di creare: una casa sempre aperta 7 giorni su 7 dalle 6 alle 19, dove chi varca la soglia trova sempre qualcuno ad accoglierti, a dirti una buona parola, ad asciugare le lacrime, a confessare. Ho passato tanto tempo
in confessionale in questi anni perché è il luogo dell’incontro con il cuore delle persone, dove posso dire qualcosa a nome di Dio. Ecco la Basilica che lascio al mio successore e questo è lo stile con cui mi accingo a mettermi a servizio nel santuario di Avigliana: con il sorriso che – come diceva san Francesco di Sales – dice che il cuore è in casa, la porta è aperta. Da questo si riconosce un salesiano. Ed è questo prete che, con l’aiuto di Dio, continuerò a cercare di essere». marina lomunno redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Francesco: «Non guardate la vita dal balcone»
«Non guardate la vita dal balcone, per favore: non mettetevi nella coda della storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Calciate avanti, costruite un mondo migliore, un mondo di fratellanza, di giustizia, di amore, di pace, di fraternità, di solidarietà». È l’appello a vivere la vita, pronunciato da Papa Francesco a tre milioni di giovani presenti a Rio de Janeiro per le Giornate Mondiali della Gioventù. Era l’estate del 2013. Da pochi mesi Jorge Mario Bergoglio era salito al soglio pontificio, dopo le dimissioni di papa Benedetto. Sulla spiaggia di Copacabana, invasa da giovani provenienti da ogni parte del mondo, papa Francesco ha voluto rivolgere un invito forte 14
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e chiaro a prendere in mano la propria vita, a contribuire attivamente alla storia e non rimanere ai margini. Non restare al balcone
Certo, non è facile, ma saper raccogliere il suo appello significa mettersi in discussione, interrogarsi, cercare ogni giorno di ricominciare. Non restare al balcone, perché il panorama che si gode può essere anche molto bello ma non ci coinvolge, non ci rende protagonisti attivi. Fin da subito appare evidente il nuovo stile comunicativo di papa Francesco: un linguaggio diretto e informale, che tocca il cuore e che ognuno può comprendere. Una forza comunicativa che non è frutto
di studiate tecniche di comunicazione. La sorgente della sua efficacia sta nella sua autenticità evangelica. Al tempo stesso papa Francesco ha la capacità di mettere l’interlocutore, chiunque sia, in una condizione di parità e non di distanza, instaura una relazione di prossimità, stabilisce un legame di vicinanza. Le sue parole abbracciano, confortano, accolgono. Gesti semplici ma significativi, come quando nel giorno del suo compleanno ha voluto accogliere a Casa Santa Marta tre senzatetto. Li ha fatti cercare tra coloro che ogni notte trovano riparo sotto il colonnato del Bernini, in piazza San Pietro, e ha voluto festeggiare il compleanno con loro. Un gesto
Potenza della condivisione
Il Papa prende spunto dalla vita concreta per farci capire il significato profondo dell’essere cristiani. Non a caso per spiegare l’importanza di fare comunità, in un mondo sempre più segnato dall’individualismo e dall’egoismo, ha preso in prestito un’espressione popolare «imparare ad aggiungere acqua ai fagioli», ovvero accogliere il prossimo condividendo con lui il poco che si possiede e soccorrendolo nella difficoltà. Parole e azioni con cui Francesco sprona ognuno a guardare verso le periferie del mondo e dell’esistenza, a partecipare concretamente alle opere di carità, a sporcarsi le mani e le scarpe come quando, lui stesso, ancora Arcivescovo di Buenos Aires, camminava nelle villas miseria, le favelas argentine. Un magistero “gestuale”
Francesco vuole essere innanzitutto un esempio da seguire. Non ha scelto di andare a vivere nell’appartamento papale, ma ha preferito la vita più semplice e comunitaria a Casa
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Santa Marta. Ha voluto fare il suo primo viaggio apostolico sull’isola di Lampedusa, dove con un chiaro «no alla globalizzazione dell’indifferenza» ha parlato ai migranti con la voce del cuore, della prossimità, dell’accoglienza. Un Papa che ha messo in discussione con questo suo modo di essere anche noi giornalisti, un Papa che accantona i testi dei discorsi ufficiali con continui fuori programma, parlando a braccio, e ti costringe a seguirlo, ad essere sempre desto e vigilante, ad entrare in profondità. In questi tre anni di pontificato ci ha dato segni ammirevoli di un dialogo paziente e costruttivo con tutti: giovani, famiglie, anziani, malati, non credenti. La sua azione, però, non vuole restare solitaria ed esclusiva, ma coinvolgere tutta la Chiesa in una dimensione missionaria: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo! Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita nelle strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Come resistere allora a questa chiamata? Non restiamo a guardare la vita dal balcone! Alessandra Ferraro Vice Capo Redattore TGR RAI Valle d’Aosta redazione.rivista@ausiliatrice.net
«Non guardate la vita dal balcone, per favore: non mettetevi nella coda della storia. Siate protagonisti!» Questo è l'imperativo che Papa Francesco rivolge, non solo ai giovani, ma a tutti. Un appello forte ed incisivo che coinvolge ogni persona a non restare immobile, subendo in modo passivo i problemi della vita e del mondo. Le difficoltà del cammino quotidiano ci sono e ci saranno sempre, ma occorre per Papa Francesco combattere le fragilità, affrontare con coraggio le debolezze e mettersi in gioco. Niente vittimismo, ma forza e determinazione: è lo stile di Francesco, unico anche sotto il profilo della comunicazione. Un linguaggio diretto, basato sull'esempio. Jorge Mario Bergoglio, dalla baraccopoli della Villa 21 di Buenos Aires al Vaticano, continua ad essere testimone di tenerezza e speranza. Del resto non è un caso che proprio durante l’ultima veglia pasquale come arcivescovo di Buenos Aires avesse detto: «Non abbiate paura. Non optiamo per la sicurezza del sepolcro, in questo caso non vuoto ma pieno dell’immondizia ribelle dei nostri peccati ed egoismi. Apriamoci al dono della speranza».
«Svegliate il mondo,
Alessandra Ferraro è vice caporedattore nella sede Rai di Aosta. Lau-
reata in Lettere all’Università di Torino, ha seguito un corso di alta formazione in “Comunicazione e teologia pastorale” alla Pontificia Università Lateranense. Si occupa di informazione sociale e religiosa e nello specifico vaticana, con servizi e dirette televisive. In particolare, come inviata ha seguito nel 2005 per il TG1 gli ultimi mesi di vita di Papa Giovanni Paolo II e l'elezione di Papa Benedetto, mentre nel 2013 per la trasmissione Porta a Porta il conclave che ha portato all'elezione di Papa Francesco. Ha ricevuto la targa d'argento «Premio Nazionale Saint Vincent di Giornalismo» (2007). Ha vinto il «Premio Nazionale Spadolini», sezione Ezio Trussoni (2013). È autrice delle pubblicazioni Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI. Il segno della continuità tra Vaticano e Valle d'Aosta (Ed. Le Chateau 2005) e Le montagne dei Papi (opera fotografica con Grzegorz Galaska, Ed. Michalineum 2006).
siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere».
- Papa Francesco
ISBN 978-88-01-05642-6 ISBN 978-88-01-05642-6
€ 9,90
9 788801 056426
Con il libro Non guardate la vita dal balcone, edito dalla casa editrice Elledici Alessandra Ferraro, vice capo redattore RAI TGR Valle d’Aosta si è aggiudicata il primo primo premio del Concorso Nazionale di Arti Letterarie Città di Torino. Tra le sue pubblicazioni anche: Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, Le Château, 2005, ricordo affettuoso per Giovanni Paolo II e il saluto al nuovo successore, nel segno della continuità.
alessandra ferraro
«non guardate la vita dal balcone...» Francesco, testimone di speranza
«non guardate la vita dal balcone...»
che ci interroga profondamente, che mette in discussione la nostra capacità di accoglienza. Accogliere chi? La persona che conosco, che non mi crea particolari difficoltà, oppure aprirmi all’altro, al mio prossimo che non conosco e che può rompere il mio perfetto equilibrio di vita quotidiana.
Non guardate la vita dal balcone, con il contributo di Bruno Vespa, Pascual Chávez Villanueva, Enzo Romeo, Antonio Staglianò e Dario Edoardo Viganò Elledici, 2016. «Dio ci ama.
Non dobbiamo aver paura di amarlo. La fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l'amore».
con i contributi di
bruno vespa e
pascual cHÁveZ villanueva enZo roMeo antonio staglianÒ dario edoardo viganÒ
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Il diavolo e l’acqua santa Parte settima: la lingua della speranza (continua dai numeri scorsi… una signora semplice e un uomo elegante stanno discutendo mentre sono sull’autobus). Il signore elegante e la donna si guardano. Le porte centrali del mezzo sono aperte e con un reciproco cenno del capo decidono di scendere. I passeggeri e l’autista sembrano quasi dispiaciuti: i due li hanno intrattenuti con un bello spettacolo. Il mezzo riparte e i due restano soli, nessun altro è sceso. Adesso arriva il freddo del mattino che in qualche modo l’effetto “gente” prima copriva. La signora tira fuori dei guanti dalla borsa, l’uomo prende un elegante fazzoletto dalla tasca perché avverte i primi sintomi del naso infreddolito. «Dalle mie parti c’è sempre il fuoco accesso eppure siamo di continuo al freddo...» La signora comprende che siamo alle battute finali ma continua a stare al gioco che hanno mantenuto fino ad ora. «Forse se ogni tanto lasciaste entrare un minimo di speranza, al posto di combattere tutti quelli che ne portano un poco nel mondo...» «Per noi non c’è speranza. Ecco perché non preghiamo». – È il commento dell’uomo. La donna non riesce a comprendere se ci sia più tristezza o più determinazione in quello che sta dicendo. «Io credo che ci sia speranza per tutti, sempre. E credo che la preghiera sia 16
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una buona scuola di quello che regge il mondo». L’uomo scoppia a ridere: «E cosa regge il mondo? Sicura che siano cose che possano essere mescolate con la preghiera? Denaro, soldi, potere… come pensa che tutte questo incredibile groviglio del cuore umano possa piacere lassù?». Ora è la donna che si lascia andare ad una bella risata a bocca larga. L’uomo quasi si indispone vedendo scomparire la compostezza che fino ad ora ha contraddistinto la sua interlocutrice. «Si contenga» – le dice quasi sdegnato. «Se non fosse impossibile, direi che lei mi fa morire… – continua ridendo la donna, ormai con le lacrime agli occhi, e continua: – ma davvero pensa che il mondo sia retto da quelle storpiature della vita?». «Quelle cose sono la vita, per sempre più gente» – la interrompe l’uomo innervosito visibilmente. La donna si calma a fatica. Aveva bisogno di quella risata per stemperare la
tensione di quell’ora indimenticabile. Non vuole però che si lascino in malo modo. Quindi manda giù tutto il suo ritrovato buonumore e risponde seria e con voce calma: «Quelle cose distruggono il mondo. Che sarebbe finito secoli fa se non ci fosse un numero sterminato di persone che continuano ad avere Fede in qualcuno, Speranza in qualcosa e vivere la Carità verso i più poveri ancora di loro. Riparano il danno che con tanto clamore fanno gli amici delle storpiature di quelle realtà umane compiono di continuo. Certo costoro avranno sempre il baccano e il puzzo del male dalla loro, ma per il resto sono ancora minoranza in un mondo che non si arrende a sperare: e la lingua della speranza è la preghiera». L’uomo sa di non potercela fare. E finché questo limite lo indirizzerà verso l’Alto avrà sempre la forza di sollevarsi dal fango creato dalle volte in cui si abbassa e striscia. «Bella predica, davvero. Mi commuo-
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verei se non sapessimo tutti e due che questo è davvero impossibile». «Le direi che pregherò per lei, ma non credo le faccia piacere». «Le direi solo che sta sprecando altro tempo e che potrebbe coltivare altre sensazioni, meno assolute ma molto più facili e a disposizione se proprio vuole impantanarsi il cervello...». «Oooh, non mi farà arrabbiare proprio adesso. Non mi farà dire che lei è senza... speranza. Perché io vivo di speranza e preghiera e anche se la sua luce è debole io posso splendere per tutti e due». L’uomo indossò anche lui i guanti scuotendo la testa. E le porse la mano, così potevano toccarsi. «Io scendo, qui con le scale della metropolitana. Ho diversi piani da fare». «Io salgo, laggiù, con l’ascensore di quel palazzo. Ho diversi piani da fare anche io». «Le direi che è stato un piacere, ma temo che diamo a quella parola significati diversi». «Come a tutto il resto. Non prenda troppo freddo, al caldo». L’uomo non rispose più e cominciò a scendere lentamente. La donna lo vide scomparire nel sottoscala e si diresse verso il palazzo. Intanto cercava di ricordare le facce delle persone sul mezzo. Avrebbe pregato per ciascuno di loro, perché è bello pregare per i compagni di viaggio di questa avventura che è la vita. Diego Goso dondiegogoso@me.com
24 ore con Gesù, Corso intensivo di Beatitudini (con salvataggio del mondo incluso) Diego Goso San Paolo edizioni, 2016. 160 pagine, disponibile anche in e-book settembre-ottobre 2016
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Crescere un po’ ogni giorno L’educazione e la formazione personale non dovrebbero riguardare solo gli anni dell’infanzia e della giovinezza ma l’intero corso dell’esistenza. EZIO RISATTI PRESIDE iusto REBAUDENGO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Gli esami – si dice – non finiscono mai. E i tragici fatti di cronaca, legati soprattutto ai casi di femminicidio, contribuiscono a evidenziare, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità che le persone vengano educate e si educhino – lungo l’intero arco della vita – a gestire in maniera sempre più equilibrata e responsabile il proprio essere e le proprie emozioni. Verso la maturità e l’armonia
Formare il proprio io ed educare le emozioni non dovrebbe essere vissuto come una fastidiosa incombenza da cui svicolare senza rimorsi alla prima difficoltà ma come un’opportunità irrinunciabile per vivere un’esistenza più ricca e intensa. La posta in gioco, infatti, è decisamente elevata: raggiungere con passo graduale, in ogni fase della vita, un livello di maturità tale che – a partire dalla nascita – condu-
Imparare a gestire le emozioni
Un altro passo fondamentale che caratterizza il cammino verso la maturità e l’armonia è la capacità di gestire e gover-
nare le emozioni, soprattutto quelle più impetuose e distruttive, che se non arginate e “disattivate” in tempo possono talora condurre ad esiti irreparabili e drammatici. Quando accade di venire assaliti da emozioni quali un’incontenibile rabbia, una sofferenza che si fa largo con la forza irrefrenabile di un Tir in corsa, il desiderio di distruggere tutto o di far del male a qualcuno, è importante imparare a visualizzarle, ossia ad attribuire loro una forma, un colore o un nome che le rendano riconoscibili ogni volta che si palesano. Come definire “cane nero” l’angoscia che attanaglia la mente e il cuore alla vigilia di una prova importante o “mare amaro” il senso d’isolamento che afferra alla gola quando le scadenze incalzano e sembra venir meno l’ossigeno per far fronte agli impegni. È un modo efficace per distinguerle da sé, per creare una linea di confine che permetta di non confondere se stessi con le proprie emozioni. Una separazione che è bene rimanga netta anche a livello di discorso interiore, magari ricorrendo allo stratagemma di preferire a frasi come «io sono arrabbiato» o «mi sento depresso» espressioni quali «la rabbia si sta impadronendo di me» o «la depressione mi sta tendendo una trappola». Stabilire una separazione dall’emozione negativa permette alla persona di sfidarla e – nel tempo – di dominarla. Simili a videogame
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ca alla realizzazione di sé all’insegna dell’equilibrio e dell’armonia. Uno dei passi più difficili e cruciali di tale cammino è – senza dubbio – il raggiungimento della maturità affettiva, che si realizza compiutamente quando si riesce a passare dal bisogno di ricevere, tipico del bambino, alla capacità di dare “a fondo perduto”, senza chiedere nulla in cambio. A differenza del bambino, che non può essere affettivamente maturo e che per star bene necessita di essere al centro dell’attenzione e di sentirsi accettato e amato, l’adulto raggiunge la maturità affettiva nella misura in cui impara a diffondere gratuitamente intorno a sé amore e comprensione accogliendo e sostenendo chiunque incontri sulla propria strada. Strutturare il proprio io ed educare le emozioni è un cammino che dura tutta la vita e lungo il quale non è mai dato di sentirsi “arrivati”. Simile a un sentiero tra i boschi che dal fondovalle s’inerpica gradualmente – tornante dopo tornante – verso cime che fanno pregustare panorami mozzafiato, è accessibile a tutti coloro che desiderino intraprenderlo con forza di volontà, cuore sincero ed entusiasmo.
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più o meno sofisticati, infatti, le emozioni negative non sono intelligenti ma «programmate» per affiorare seguendo canoni e percorsi predefiniti. Imparare a conoscerli e a prevederne le manifestazioni è un buon modo per sbarrarne le porte e limitarne o impedirne gli effetti devastanti.
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“Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati” (Mt 9,2)
Peccato e perdono nella Bibbia.
Mancare il bersaglio
In latino peccatum indica un’infrazione a una norma comunitaria che merita una punizione da parte di un’autorità (il sovrano, il magistrato, i genitori...). Ma in greco la parola è amartìa, che significa essenzialmente “mancare il bersaglio”. Anche in ebraico la parola che di solito esprime il peccato è chatà, che significa “non raggiungere un obiettivo”, “sbagliare strada”. In Gd 20,16 chatà è usato per descrivere i frombolieri beniaminiti che con le loro fionde non mancavano neanche un bersaglio sottile come un capello. Il vero significato biblico del peccato, quindi, non è la trasgressione di un precetto, ma è il non raggiungere il bersaglio, lo scopo delle nostre azioni, cioè la pienezza della nostra vita. Dio ci dà i comandamenti non per metterci alla prova, ma per indicarci qual è la nostra felicità. È questo che viene evidenziato con chiarezza nel racconto della prima trasgressione: se gli uomini vorranno «mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2,17), cioè decidere loro ciò che ritengono «buono e desiderabile» (Gen 3,6), andranno verso la sofferenza e la morte. Se invece si affidano a Dio,
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avranno la vita. Il peccato è credere che i nostri progetti possano essere migliori di quelli che Dio Padre, che ci ama follemente, ha previsto per noi. La cosiddetta “teologia delle due vie” fin dal libro del Deuteronomio (Dt 28; 30) ci ricorda che Dio è la felicità, è la vita: stare sulla via di Dio significa vivere la nostra realizzazione; allontanarsi da lui significa invece avviarsi verso cammini di angoscia e di morte. Quando pecco non “offendo” Dio, ma faccio un danno a me stesso. La conversione
In ebraico la parola teshuvàh, “conversione”, deriva dal verbo shùb, che significa “tornare sui propri passi”: indica un cambiamento radicale, un’“inversione ad U” della propria vita. In greco “conversione” è metànoia, che deriva da mèta, “cambiare”, e noùs, il pensiero, la mentalità: significa quindi cambiare la testa, il modo di pensare. Convertirsi è tornare alla strada della propria piena realizzazione. Ma non è volgersi ad una nuova etica, bensì ad una Persona: significa aderire a Gesù, farsi suoi discepoli, suoi amici, suoi intimi. «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15): è Gesù la Gioiosa notizia, la nostra felicità (Mc 1,1).
è Amore, è dono gratuito, la massima espressione di Dio è il perdono (Sir 2,18). La sua capacità di perdonare ci manifesta quanto il Dio biblico sia straordinario, meraviglioso, sorprendente. L’Anno della Misericordia deve essere occasione per noi di rottamare le false immagini di Dio che ci portiamo dentro, spesso mutuate da speculazioni filosofiche, per aderire alla stupefacente novità del Dio della Bibbia. Innanzitutto il Dio che Gesù ci rivela non è giusto! Secondo il nostro concetto di giustizia, Dio infatti dovrebbe punire i peccatori: Dio invece mai castiga, ma sempre perdona. L’amore non è mai giusto: chi ama perde la capacità di essere oggettivo, e non vede i difetti dell’amato, anzi tende sempre a discolparlo. «Ogni scarrafone è bello a mamma sua»: persino uno scarafaggio è bello per sua madre, recita un proverbio
Il perdono, il massimo dei doni
Nel Simbolo apostolico proclamiamo: «Credo nella remissione dei peccati». “Per-donare” è il verbo “donare” al superlativo. Poiché Dio
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“Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia... È condizione della nostra salvezza”. PaPa Francesco
“La misericordia è la cosa più grande di tutte... Per quanto nella nostra vita cerchiamo di essere misericordiosi, arrivassimo pure a perdere noi stessi per amore degli altri, noi non siamo ancora in grado di avvicinarci alla misericordia di Dio”. enzo Bianchi, Priore di Bose
carlo Miglietta, medico, padre di famiglia, studioso e autore molto apprezzato per i suoi studi e corsi biblici, ha già pubblicato con successo: L’Evangelo del matrimonio, Perché il dolore?, La famiglia secondo la Bibbia, Condividere per amore, L’Eucaristia secondo la Bibbia, Quando amare è difficile, Edificherò la mia Chiesa, L’ingiustizia di Dio e altre anomalie del suo Amore... tutti editi da Gribaudi.
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Gribaudi
Gribaudi Spiritualità e Religione @GriReligione
e 16,50
Carlo Miglietta redazione.rivista@ausiliatrice.net
LA MISERICORDIA DI DIO
La misericordia di Dio è il cuore della Fede cristiana. Nell’Anno Santo straordinario della misericordia indetto da Papa Francesco, questo libro propone un robusto percorso biblico per meditare su un argomento così fondamentale, attraverso una traccia logica e progressiva, spaziando dalla misericordia di Dio nell’Antico Testamento a Gesù, misericordia di Dio, al significato biblico di peccato e perdono, alle parabole della misericordia, a Maria, madre di misericordia, alla beatitudine dei misericordiosi, alla misericordia di Dio per tutto il creato, al senso biblico del Giubileo. Ma è fatto anche in forma modulare, per cui si può fruire utilmente anche di singoli argomenti. Un percorso che parte dalla Bibbia perché “insieme con la Sacra Tradizione, la Chiesa ha sempre considerato e considera le Divine Scritture come la regola suprema della propria fede” (Dei Verbum, n. 21). L’autore di questo excursus ci accompagna all’essenza, almeno per comprenderne tutta la portata e poterla condividere con i fratelli.
le marachelle del nipotino, ma che piuttosto soffrono perché il figlio o il nipote hanno preso cattive strade, di infelicità e abiezione. Se Dio nella Bibbia non pretende mai che gli si chieda perdono, vuole però che sappiamo chiedere scusa ai fratelli, come ogni papà che anela che i figli vivano in pace tra di loro (Mt 6,10). La sofferenza di Dio, il suo dispiacere, è la nostra mancata beatitudine, e non l’affronto a lui arrecato. A tanto giunge la grandezza della sua Misericordia!
Carlo Miglietta
napoletano. Perché l’Amore “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7). Perciò Gesù non solo perdona i suoi crocifissori, ma addirittura li scusa: «Non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Dio poi non solo perdona, ma dimentica le nostre colpe (Ger 31,34; Is 43,25): la Scrittura dice che i nostri peccati vengono «gettati in fondo al mare» (Mi 7,19), saranno «dissipati come nube e come nuvola» (Is 44,22), diventeranno «bianchi come la neve e come la lana» (Is 1,18). Liberiamoci quindi da una visione pagana di un Dio giudice che alla fine della vita ci chiederà conto delle nostre colpe: egli infatti, ci dice la Bibbia, le dimentica completamente! Egli ci vedrà tutti “santi e immacolati” (Ef 1,4)! È davvero la fine di ogni logica meritocratica, che tanto spesso inquina la nostra spiritualità. Le immagini bibliche del “giudizio finale”, con la felicità eterna dei buoni (“Regno dei cieli”, “città santa che scende dal cielo”, “banchetto di nozze”...) e la dannazione dei peccatori (“tenebre”, “inferno”, “fuoco eterno”, “Gheenna”, la discarica di Gerusalemme dove continuamente bruciavano le immondizie...), sono generi letterari che non intendono descriverci premi o punizioni a cui Dio ci destina, ma solo esprimere che chi ha scelto Dio, fonte della vita, avrà un’esistenza piena, mentre chi se ne è allontanato andrà verso la morte e la negatività (Mt 25,46). Colpisce poi come Dio nella Scrittura non pretenda mai che l’uomo gli chieda perdono: chiede sì la conversione, cioè che l’uomo torni sulla via della propria felicità, ma mai che ci si scusi con lui (Lc 15,11-32). Il suo amore è tale che non si sente neanche offeso dai nostri peccati, come un padre o una madre che mai si sentono oltraggiati dagli sbagli dei figli, o un nonno dal-
Carlo Miglietta
LA MISERICORDIA DI DIO Percorso biblico per l’Anno Santo della Misericordia
Prefazione di Sua Ecc.za Mons. Guido Fiandino Vescovo Ausiliare di Torino
Gribaudi
La Misericordia di Dio Percorso biblico pe l’Anno Santo della Misericordia Carlo Miglietta Gribaudi, 2016. 264 pagine
Salve Regina, Madre di misericordia MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
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Vita, dolcezza, speranza nostra... L’abbiamo riconosciuto tutti, è l’inizio della Salve Regina, una preghiera antichissima, bellissima e recitatissima. Secondo gli studiosi ha avuto origine nel secolo XI ad opera di Ermanno lo Storpio (Beato, 10131053), un monaco di nobile famiglia, molto intelligente, dalla grande cultura, devotissimo della Madonna e... con “imperfezioni” fisiche. Una preghiera che ha attraversato i secoli, infatti la recitiamo anche oggi e ogni giorno pregando il Rosario, attingendo da essa consolazione e coraggio. Una curiosità: le ultime parole sembrano siano di S. Bernardo (1090-1153), il quale sentendola aggiunse: «O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria». Parole appropriate di un grande della Chiesa. Ci intimorisce il pensare a Maria invocata come Regina? Scacciamo ogni timore. Ella è soprattutto Madre di Gesù, la Misericordia di Dio fatto carne. Ricordiamo la stessa autodefinizione data da Lui stesso in una visione a santa Faustina: «Io stesso sono la Misericordia». E non può essere diversamente. Egli, ed egli solo è il vero ed unico Mediatore tra Dio e l’uomo. Quindi ogni grazia e ogni misericordia a noi umani peccatori e peccatrici ci arrivano attraverso di lui... e di Maria, solo perché così lui ha voluto. Non dimentichiamo il passo molto illuminante delle Nozze di Cana. C’è un pensiero di san Massimiliano M. Kolbe (1894-1941) molto ardito... ma visto che è stato dichiarato santo dalla Chiesa, lo accettiamo. Eccolo: «Gesù Cristo, non volendo castigarci ma perdonarci, ha voluto offrire a noi una Mediatrice, una Protettrice, una Mamma carissima ed ha affidato a Lei l’intera economia della misericordia, riservando a sé la giustizia. Egli poi l’ha creata così buona che Ella non è capace di abbandonare neppure il peggiore dei peccatori che ricorre a Lei» (SK 1248, p. 2200). Parole molto consolanti e incoraggianti. Pensieri non diversi da quelle di sant’Alfonso de’ Liguori (1696-1787) altro grande santo devoto della Madonna che ha scritto in Le glorie di Maria: «Mi rivolgo a te, speranza dei miseri, io misero peccatore. Io spero, Signora, di potermi salvare per i meriti di Gesù Cristo, e poi per la tua intercessione. Ho questa fiducia, l’ho talmente che se la mia salvezza eterna stese nelle mie mani, la metterei nelle tue, poiché mi fido più della tua misericordia e protezione che di tutte le mie opere». Infatti invochiamo Maria come “rifugio dei peccatori”. Abbiamo capito? Noi non possiamo, nessuno può andar perso perché Dio ci ama infinitamente tutti come figli e figlie, perché salvati dall’amore “a caro prezzo” del Figlio Gesù. E abbiamo Maria di Nazaret che “veglia sul mondo” e su di noi, che ci accompagna nel nostro viaggio quotidiano, ci protegge, e sarà sempre per noi non solo Regina ma soprattutto Madre di Misericordia e speranza nostra.
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Ideazione: Mario Scudu Realizzazione: Luigi Zonta
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O Maria, Madre misericordiosa di Dio,
accogli questo tuo servo che a te ricorre per ogni affanno. Accoglimi, o Vergine purissima, come uno che non avrebbe dove trovare conforto. O mia Signora, guarda alla mia afflizione e dischiudi per me le profondità della tua misericordia. Eccomi a te: busso, imploro, supplico. Non mi allontanerò e non ti lascerò. Ti resterò sempre vicino finché non mi userai misericordia. Mi sono ben noti la tua ineguagliabile dolcezza ed il materno affetto di cui è capace il tuo cuore, infiammato e traboccante di amore divino al punto da rendere del tutto inconcepibile il timore che la tua consolazione possa farsi indietro… Vieni, Madre prescelta di Dio, e mostrami la preclara grandezza della tua misericordia... Vieni, dunque, Vergine Maria, Vieni, mia speranza e mia gioia… Da: Tommaso da Kempis, “L’imitazione di Maria” IV
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Il senso della preghiera e la preghiera dei sensi Come la percezione del corpo diventa preghiera.
anna maria musso freni redazione.rivista@ausiliatrice.net
Ad un gruppo di catechiste che gli chiedevano preoccupate in che modo spiegare il sesto comandamento ai bambini, il compianto don Riccardo Della Valle suggeriva di liberarsi dai tabù della loro infanzia, invitando i piccoli alunni a scoprire e valorizzare la bellezza del corpo per lodare Dio attraverso i sensi. Sembrava difficile, ma i bambini, più di noi, percepiscono la fisicità anche... nelle cose dello spirito. Dalla riflessione sul dono del corpo e la funzionalità dei suoi organi, è scaturita una preghiera, elaborata in gruppo. Grazie, Signore che mi hai dato gli occhi per vedere le cose belle. Grazie perché mi hai dato le mani per disegnare, scrivere, accarezzare il mio cagnolino (e qualche volta anche mio fratello).
Grazie perché mi hai dato i piedi per correre e giocare a calcio. Grazie perché mi hai dato le orecchie per ascoltare la musica. Grazie perché mi hai dato la bocca per cantare, mangiare il cioccolato e le patatine (anche se poi devo lavarmi i denti). Ci sono bimbi malati che non possono sfruttare tutti questi doni. Aiutali a guarire. Facci diventare capaci di aiutare i compagni in difficoltà. Grazie perché ci hai dato questa bella casa che è il mondo. Quando sarò grande lo farò diventare più bello e cercherò di tenerlo più pulito. Tutto vero e giusto! Non sembra un po’ il Cantico delle creature? Fra semplici ci si capisce! Laudato si’ mio Signore! settembre-ottobre 2016
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Una lode per Maria Rosanna è sempre stata una donna raffinata, elegante nella figura e nei modi, dotata di senso estetico e buon gusto, senza mai eccedere, con equilibrio ed intelligenza. Colta, col dono di una bellissima voce, da giovane aveva fatto parte del coro della sua parrocchia poiché diceva che amava pregare cantando. Madre di una bimba molto sveglia e simpaticissima, delusa da un marito dedito solo al lavoro, nervoso ed introverso, aveva riposto nella figlia tutta la sua vita. L’aveva seguita nei suoi studi scolastici, incoraggiata nell’interesse per lo sport e per la musica dandole la possibilità di seguire lezioni di pianoforte. Era molto orgogliosa di sua figlia Paola, uno spirito libero, intraprendente, volitivo e sicuramente, come tutte le ma24
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dri, avrà sperato per lei un futuro felice e gratificante ma... all’inizio dell’ultimo anno di Liceo tutto cambiò. Delusa del marito, lascia tutto per Francesco
Paola, durante una gita in una località montana vicina alla cittadina dove abitava, incontrò un maestro di sci che l’affascinò al punto da farle cambiare radicalmente la vita. Fu un amore così forte che la spinse nel giro di pochi mesi a lasciare la scuola, la casa dei suoi genitori ed andare a vivere con Francesco, nel suo piccolo paese fra i monti. Rosanna si giocò tutte le carte possibili per impedire quello che per lei era una scelta affrettata ed irrazionale ma la maggiore età della figlia non le
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permise di porre drastici divieti. Si chiedeva continuamente come una ragazza abituata ad un certo stile di vita, ad un ambiente stimolante, alla scuola, potesse rinunciare a tutto ed adattarsi ad una vita così diversa come quella di un paese di montagna ma sapeva anche che Paola era molto orgogliosa ed ostinata e, comunque fossero andate le cose, non avrebbe mai ammesso di aver sbagliate e ciò le faceva ancora più paura. Nel corso degli anni il rapporto fra Paola e Francesco, prima così entusiasmante e vivace, mostrò delle falle e cominciò ad incrinarsi. Il fascinoso maestro di sci e guida alpina iniziò ad anteporre l’interesse per la montagna a quello per Paola, il suo carattere si fece più chiuso, lunghi silenzi calarono fra di loro e neppure la bionda bambina che avevano avuto impedì a Francesco di salire suoi monti e restare lontano da casa per giorni interi. Rosanna, quando andava dalla figlia, percepiva il peso di questa situazione anche se Paola, ostinatamente, non le rivelava i suoi problemi e trovava sempre mille scuse diverse per giustificare l’assenza di Francesco.
e la grande pala dell’altare raffigurante la giovane madre di Gesù con suo figlio in braccio, pareva le sorridesse. Anche ora avrebbe rivolto il suo sguardo verso di lei e cantato in cuor suo le lodi, affinché la Vergine Madre le desse la forza di aiutare in modo efficace la sua Paola ad affrontare e superare il dolore che le aveva arrecato Francesco. Avrebbe attinto il coraggio dalla nostra Madre celeste per essere un punto di riferimento, discreto ma costante per la figlia e la sua bambina, senza forzature, assecondandone le scelte, condividendone le difficoltà senza criticare, senza intromissioni, certa che le sue preghiere sarebbero state accolte come una lode cantata come quando era giovane e piena di speranze. Francesca Zanetti redazione.rivista@ausiliatrice.net
Anche un’altra madre aveva molto sofferto per la sorte del proprio figlio senza poter cambiare la situazione: la Vergine Maria.
Ma poi Francesco la lascia sola
Una sera, con una telefonata breve ed essenziale, la figlia le comunicò che Francesco se ne era andato di casa perché voleva riavere la sua libertà. Si era avverato ciò che aveva sempre temuto ed inutilmente cercò di convincere la figlia ad andare abitare da lei con la bimba, Paola non voleva tornare sui suoi passi. Anche un’altra madre aveva molto sofferto per la sorte del proprio figlio senza poter cambiare la situazione: la Vergine Maria. Rosanna si rivide ragazza mentre cantava le lodi alla Madonna della Salute e la sua voce era come una preghiera che si diffondeva fra le navate della sua parrocchia. Cantando le sembrava di avvicinarsi alla Madonna, di entrare in contatto con lei settembre-ottobre 2016
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MARIA
La fede di Maria Il fallimento di Gesù.
Origene scrive che la vita di Gesù, umanamente parlando, risulta essere un completo fallimento. Lui mandato a predicare la Buona Notizia muore senza il sostegno di coloro che ha scelto come discepoli. La solitudine del Calvario attesta questa sconfitta esistenziale. Nonostante il suo peregrinare, i suoi discorsi, le sue parabole e miracoli non riesce a fare breccia nei cuori di quanti lo acclamano, seguono, osannano e tradiscono. Sulla Croce tutto finisce nel nulla e tra atroci sofferenze. Amara, al riguardo, è la constatazione del vangelo apocrifo di Pietro: «Tutto è finito, i discepoli se ne vanno e ritornano alle proprie case; la festa è finita» (14,58). Le apparizioni di Gesù
Per rimediare a questo sconsolante dato di fatto, una volta risorto, Cristo è costretto ad un overtime di fatica apparendo in diversi luoghi a coloro che avrebbero dovuto credere in Lui. Le apparizioni del Risorto non sono altro che un mezzo per riaccendere la fiamma della fede 26
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Bernardina Do Nascimento redazione.rivista@ausiliatrice.net
e rianimare la speranza in cuori sfiduciati ed in preda alla paura ed al disorientamento. I Vangeli e gli Atti degli Apostoli attestano e certificano queste apparizioni. Prima della sua Ascensione sono molti a vederlo. L’unica persona a cui non appare è a sua madre Maria. Come mai? Per la donna di Nazareth non un accenno, non una parola, non una visita. Il silenzio della Scrittura, al riguardo, è tombale. Il motivo di questo, all’apparenza, strano comportamento risiede nel fatto che le apparizioni avvengono per i deboli, per gli increduli, per i testardi, per gli stupidi che non vogliono altrimenti capire e per i duri di cuore. La Madonna non rientra in questi stereotipi umani. Lei accetta il Figlio ancora prima di concepirlo, lo genera, alleva, educa, studia da vicino, lo segue con trepidazione ed affanno, con fatica e paure che scuotono ma mai scalfiscono la sua fede. Anche sulle rampe del Calvario Lei è presente impietrita dal dolore e blindata nel più assoluto silenzio. Non ha bisogno di prove, di apparizioni. Lei che «spera contro ogni speranza» (Rm 4,18),
MARIA
Lei che al dire di Elisabetta «ha creduto» è la più preparata a ricevere lo Spirito Santo, lo stesso Spirito dell’Annunciazione, nel giorno della Pentecoste. Le apparizioni mariane
La Madonna è modello di fede, non oggetto di fede. Scrive Alberto Maggi: «Maria, grande nella fede, non ha bisogno di quelle stampelle che i deboli da sempre rivendicano: visioni, apparizioni, messaggi, vedere, toccare, un circolo vizioso che mai sazio torna sempre a rigenerare insaziabili voglie». La fede vera non necessita di miracolismi. La fede vacillante non si rafforza «neanche se uno risuscitasse dai morti» (Lc 16,31). Nonostante le apparizioni del Risorto l’evangelista Matteo amaramente annota: «Alcuni però dubitavano» (Mt 28,17). Solo Maria nutrita da una robusta fede non dà ascolto a favole stupide, roba da vecchierelle (cfr 1 Tim 4, 6-7). Rimane un mistero come mai la
madre di Cristo, che non ha bisogno di essere supportata da visioni, si specializzi, nel corso del tempo, in apparizioni vere o presunte che siano. Si ha quasi l’impressione che col passare del tempo la limpida figura della Madonna si sia appesantita di compiti e di prerogative che i Vangeli non Le assegnano. Padre Maggi sostiene che troppa devozione inquina la fede e rende stantia, banale e ripetitiva la Vergine che nelle sue apparizioni appare come una madonna gira-mondo, sempre loquacissima che, apparendo un po’ qua e un po’ là, affida misteri e segreti a persone di ogni genere. Sinceramente non abbiamo bisogno di una Madre celeste sempre pronta a versare fiumi di lacrime (meglio ancora se di sangue), a minacciare spaventosi castighi sull’umanità definita sempre come corrotta, malvagia e peccatrice. Sarebbe bello se Maria, manifestandosi a noi, ci insegnasse a credere e ci sostenesse nel testimoniare la nostra fede.
è la nostra foresteria per ospitare: singoli, famiglie, piccoli gruppi; pellegrini
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Un Dio «mangione e beone»?
Un giorno Gesù dice (Mt 16,16-19): «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie». Secondo l’evangelista Giovanni il primo segno Gesù lo fa in un pranzo di nozze, a Cana. E poi lo troviamo spesso e vo28
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lentieri a tavola con tutti, soprattutto con i peccatori e i poveri. A volte anche con farisei e ne approfitta per impartire bellissime lezioni di vita e di interpretazione della legge, contro un comportamento definito farisaico, cioè molto attento all’esteriorità, per far presente a tutti che senza cuore l’osservanza della legge è lontana dai pensieri e dai piani di Dio. Un Dio triste?
I cristiani spesso sono tristi. Pensa quante volte il Papa fa riferimento alla gioia. E questo vuol dire proprio che siamo incalliti nel seguire un Dio triste. Ma da dove è uscito questo Dio? Dalla testa di quelli che vivono studiandolo, adorandolo, celebrandolo, incensandolo,
anziché incontrarlo per le strade, soccorrerlo là dove soccombe, perdonarlo 70x7, vestirlo, sfamarlo, pulirlo... Solo qui nasce la gioia vera, quella dell’incontro faccia a faccia. Non c’è gioia chiusi in una sacrestia, ma neanche in una stessa chiesa che profuma d’incenso. «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»: con queste parole si apre l’esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale di papa Francesco (EG). E ai migranti dice: «Non lasciatevi rubare questa speranza e la gioia di vivere, che scaturiscono dall’esperienza della divina misericordia, anche grazie alle persone che vi accolgono e vi aiutano».
giovani
Papa Francesco e la gioia
Nel viaggio in Uganda: «I piaceri materiali non danno la gioia». E per vivere l’anno santo: «Come cristiani abbiamo la responsabilità di essere missionari del Vangelo. Quando riceviamo una bella notizia, o quando viviamo una bella esperienza, è naturale che sentiamo l’esigenza di parteciparla anche agli altri. Sentiamo dentro noi che non possiamo trattenere la gioia che ci è stata donata e vogliamo estenderla. La gioia suscitata è tale che ci spinge a comunicarla». «[...]Il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù è la gioia che proviamo nel comunicarlo anche agli altri. E questo non è “fare prose-
litismo”: questo è fare un dono. Ma, io ti do quello che mi dà gioia a me [...]. Leggendo il Vangelo vediamo che questa è stata l’esperienza dei primi discepoli: dopo il primo incontro con Gesù, Andrea andò a dirlo subito a suo fratello Pietro (Gv 1,4042), e la stessa cosa fece Filippo con Natanaele (Gv 1,4546). Incontrare Gesù equivale a incontrarsi con il suo amore. Questo amore ci trasforma e ci rende capaci di trasmettere ad altri la forza che ci dona». «A volte, alcuni cristiani malinconici hanno più faccia da peperoncino all’aceto che di gioiosi che hanno una vita bella!». Ricorre a questa singolare metafora Papa Francesco, per esortare i cristiani alla gioia, come “dono di Dio”.
Meno santi ma più felici
Mi piace immaginare Gesù godersi i risultati della sua catechesi: la gioia dei malati guariti, la gioia dei giovani che lo seguono, la gioia dello stare a tavola insieme, la gioia di incontrare i bambini chiassosi («fate chiasso», dice loro il Papa), la gioia della povertà condivisa (pane e pesci per tutti), la gioia del vino buono, la gioia di dare la vita, la gioia della risurrezione dopo ogni morte, la gioia di accompagnare chi scappa ad Emmaus, la gioia di chi si sente perdonato, la gioia di chi può tornare a casa... perché in cielo si fa festa! E noi? Giuliano Palizzi palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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Violenza: problema d’educazione?
Ermete Tessore redazione.rivista@ausiliatrice.net
Un grave problema moderno. Mai come in questi ultimi mesi le nostre case sono state invase da orribili notizie di cronaca intrise di inaudita violenza. Treni che si scontrano per ingiustificabili disattenzioni degli addetti al traffico; Tir impazzito che si trasforma in un autentico tritacarne nelle mani di un pazzo fanatico islamico accecato dall’odio; pseudo colpo di stato in Turchia tanto misterioso quanto gravido di morti, di feriti e di conclamato desiderio di vendetta foriera di auspicata reintroduzione della pena di morte; ragazzina romana di sedici anni brutalizzata da due energumeni tunisini recidivi e lasciati impuniti da una giustizia italiana impotente e soffocata da un giuridismo da commedia tragica; ex marine americano che si fa giustizia freddando tre poliziotti a Baton Rouge nello stato americano della Louisiana; dipendenti pubblici italiani che frodano lo Stato attestando presenze fasulle sul posto di lavoro... Non basta accendere candele
I messaggi veicolati da queste notizie sono deleteri per tutti. Manifestano l’oggettività di una corruzione violenta che permea tutti gli strati della società moderna. Lentamente si sta insinuando la convinzione 30
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che il vivere non sia più una vocazione da realizzare con impegno e coerenza, ma un’opportunità da sfruttare per il proprio interesse con determinazione, senza scrupoli ed ad ogni costo. La certezza di farla franca sempre ed in ogni modo è supportata dalla constatazione di una giustizia impotente, ipertrofica e corrosa dall’interno da vergognose sacche di privilegio e di impunità. Vivere si è trasformato in una specie di roulette russa dove l’irresponsabilità ed il menefreghismo, il fanatismo religioso becero e violento, l’arrivismo parossistico ed immorale, il cinismo e l’autoreferenzialità dilagano ed esondano nella società civile, nelle chiesa e nella vita individuale. E noi che facciamo? Dopo ogni strage, ogni violenza, ogni scandalo ci limitiamo nella nostra indignazione ad accendere candele, ad accatastare mazzi di fiori in memoria, a dare vita a fiaccolate di inutile protesta condite da discorsi grondanti stantii moralismi. È necessario svegliare i giovani dal loro letargo esistenziale
Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi che sono loro che devono ripartire nel tentativo di dare senso al vivere moderno. Onestamente dobbiamo
ammettere che gli adulti, che sono i principali responsabili del degrado civile e sociale, senza l’aiuto dei giovani difficilmente riusciranno ad emendarsi. Di conseguenza devono risvegliarsi, riprendere in mano i loro sogni di realizzare un mondo migliore. Siamo giunti ad un tale grado di barbarie che l’odore delle candele accese per ricordare le vittime delle continue stragi comincia a far venire il vomito. Tutto questo sa di routine collaudata, finalizzata solo ad esorcizzare i propri sensi di colpa e a sopire la constatazione amara di paura che attanaglia e rende impossibile qualsiasi forma di reazione. Dopo ogni nuova strage ci
illudiamo che il peggio sia ormai alle spalle fino al momento in cui una nuova carneficina ci fa sussultare per qualche istante rendendoci ribollenti di moralismi svariati e malmostosi verso tutto e tutti. Nuovamente di fronte a uomini, donne e bambini macellati ci limitiamo a reagire a parole e a candele. La situazione è così tragicomica che l’inconcludente verbosità e le fumiganti candele segnano il confine che ci separa dai criminali assassini. Se non ci fossero dovremmo inventarle perché sono rimaste l’ultimo segnale di distinzione tra noi e loro di fronte alla morte. Quan-
do le candele si spegneranno e le nostre bocche taceranno allora vorrà dire che ci saremo rivestiti dello stesso cinismo criminale di fronte alla morte. I giovani nostri educatori
I giovani possono rieducarci a fare nostri i sogni, gli ideali ed i valori di tutti coloro che sono stati spazzati via dalla barbara follia omicida di efferati assassini. Essi devono trasformarsi in appassionati archeologi della pedagogia che ci guidino nello scavare nella storia per riscoprire i valori fondanti dell’educazione che noi, così dette per-
sone adulte e mature, abbiamo ricoperto con le nostre macerie esistenziali fatte di conformismo, borghesismo, materialismo, moralismo e pigrizia dell’intelligenza e bulimia di cose. I ragazzi, con la loro voglia di vivere e di non limitarsi a sfiorire soffocati da un flaccido benessere, devono insegnarci a riscoprirci come persone e non come parossistici consumatori di sensazioni frivole, nevrotici adulatori di qualsiasi forma di potere, ossessionati dalle nostre paure. Dai giovani deve germinare una nuova classe politica convinta che la democrazia non è un punto di partenza ma un punto di arrivo da raggiungere attraverso la formulazione di leggi giuste da far osservare da tutti senza distinzione alcuna. Sempre i giovani ci devono sostenere nel ricostruire dalle fondamenta un nuovo modo di credere, nuove comunità evangeliche, solidali, sobrie, coerenti, libere da ogni condizionamento, ricche solo di valori umani e cristiani e di tanta misericordia. Inoltre devono accompagnarci a ritrovare la nostra vera identità. Non sappiamo più chi siamo, anche le nostre aspettative sono indefinite e le nostre speranze ossidate. Nell’impegno del vivere dovrebbero ricordarci che «Fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute e conoscenza». In che cosa consista il significato di “virtute e conoscenza” ognuno di noi lo deve urgentemente scoprire nel contesto di una quotidianità che sembra aver perso la bussola del vivere e la stella polare dell’identità. settembre-ottobre 2016
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La luce della vita Andrea Caglieris GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net
«È stata un’esperienza indimenticabile. Che ti segna. Quando torni non sei più quella di prima». Lorella Cuccarini, uno dei volti più amati della tv, moglie e mamma di quattro splendidi figli, ha incontrato don Bosco nella sofferenza dei bambini dell’Asia e dell’Africa che i salesiani insieme al VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) assistono nello Sri Lanka e nel Congo. Dieci anni fa lei, volto e anima di Trenta Ore per la Vita, la lunga maratona televisiva che bussa al buon cuore degli italiani, ha sposato la causa dell’infanzia più povera e smarrita andando a vedere da vicino l’opera che aveva deciso di sostenere. Ancora oggi nel suo racconto traspare emozione e riconoscenza verso quei sacerdoti e quei volontari che le hanno insegnato in silenzio come anche gli ultimi possono diventare i primi. Da problema a opportunità
Prima tappa la città costiera di Negombo, nello Sri Lanka occidentale, ai 32
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tempi da pochi anni distrutta dallo tsunami. I salesiani sono presenti in quel paese dal 1956, da quando il missionario francese don Hendrey Remery portò l’educazione preventiva di don Bosco in una zona dimenticata da tutti. Oggi ci sono 17 centri in tutta l’isola, Lorella ha visitato in particolare quello di Uswetakeyawa, denominato Bosco Sevana, che
Una terra ricca e sfortunata
Il viaggio è poi proseguito nella Repubblica democratica del Congo, al centro Don Bosco di Ngangi, periferia di Goma, cittadina che si trova alla frontiera col Ruanda. «Sono stata accolta da 1.800 bambini e ragazzi fra canti, musica, giochi – continua il racconto –. Ho toccato con mano una gioia di vivere che fa riflettere in un luogo dove ancora troppi minorenni partono ogni giorno alla ricerca di oro, diamanti o di coltan, il minerale adoperato per fabbricare i nostri cellulari e i nostri pc. È incredibile: i congolesi muoiono di fame mentre dal loro sottosuolo si estraggono queste ricchezze». La prima presenza salesiana risale al 1911, nel Katanga, a sud del Congo. Guidati da don Giuseppe Sak, un gruppo di missionari venuti dal Belgio aprirono una scuola professionale a Eisabethville, futura Lubumbashi. Oggi
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si occupa nel recupero dei giovani emarginati, ex soldato, scampati alla piaga del turismo sessuale, con programmi specifici che vedono protagonisti primari la scuola e l’avviamento a una professione. «Grazie ai salesiani in quella terra si è osato l’impossibile trasformando i problemi in opportunità – spiega la Cuccarini –. Davanti a quello che hanno saputo fare insieme ai ragazzi del VIS alzi lo sguardo e la visuale cambia».
l’Ispettoria è affidata a religiosi autoctoni. Trenta ore per il mondo
In tutti questi anni i progetti del VIS sostenuti da Trenta Ore per la Vita sono stati quasi esclusivamente di tipo educativo, basati su recupero, alfabetizzazione, formazione professionale e avviamento al lavoro, sostegno di microimprese o cooperative di produzione e commercializzazione. A Luanda, in Angola, è stato costruito un centro sanitario specializzato nella prevenzione e nella cura dell’Aids. In Burundi i ragazzi di strada di Bujumbura presso il Centro Cité des Jeunes hanno a disposizione una biblioteca e aule dove studiare. Ad Addis Abeba, in Etiopia, è stato finanziato un dormitorio all’interno di un centro salesiano. Africa ma non solo: aiuti sono arrivati anche in Bolivia per il reinserimento dei giovani di strada della struttura Techo Pinardi di Santa Cruz, parte del Progetto don Bosco, nato per volere di padre Ottaviano Sabatin. «In tutte le persone, sia adulti che bambini, ho notato il piacere di condividere il “meno di niente” che avevano – conclude Lorella –. Ho visto nei loro occhi una luce che, francamente, non riesco sempre a vedere in quella dei nostri ragazzi più fortunati. Grazie ai salesiani per quello che fanno: con loro si ricomincia a vivere e a sperare in un futuro migliore».
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Beato Giuseppe Allamano.
J’amis ad ‘Castelneuv Pier Giuseppe Accornero redazione.rivista@ausiliatrice.net
Giuseppe Allamano amava dire: «Nui ad ‘Castelneuv soma ativ, laborios, intraprendent» (Noi di Castelnuovo siamo attivi, laboriosi, intraprendenti). Definizione appropriata per quanti sono nati a Castelnuovo d’Asti, oltre a Giovanni Bosco il 16 agosto 1815: San Giuseppe Cafasso (1811-1860), direttore spirituale, formatore di sacerdoti e consolatore dei condannati a morte, amico e finanziatore di don Bosco. San Domenico Savio (1842-1857) incontra don Bosco e lo segue a Valdocco dove diventa un ragazzo-modello: assiduità ai Sacramenti e devozione alla Madonna. Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), quartogenito di Giuseppe e Maria Anna Cafasso, sorella minore di don Giuseppe: fonda i Missionari e le Missionarie della Consolata. Don Giovanni Cagliero (18381926) è posto da don Bosco a capo della prima spedizione salesiana in Argentina (1875), primo vescovo (1884) e primo cardinale salesiano (1915). Mons. Giovanni Battista Bertagna (1828-1905), moralista e primo vescovo ausiliare di Torino. Non solo preti
Poi ci sono due laici. Giuseppe Rapelli (1905-1977), militante nell’Azione Cat34
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tolica e nel movimento sindacale cristiano, fiero antifascista. Diventa segretario della Camera del Lavoro di Torino per la corrente cristiana e fonda le Acli torinesi. Fa parte dell’Assemblea costituente che prepara la Costituzione. Eletto più volte in Parlamento, è un politico serio e un sindacalista tutto d’un pezzo. Giovanni Argentero (1513-1572), medico in Francia, Fiandre e in varie città italiane. Tornato in Piemonte, insegna all’Università di Torino. Le sue opere De errorum veterum medicorum, De causis morborum, De morbis lo rendono famoso in Europa. Il metodo “Consolata”
Venticinque anni fa, il 7 ottobre 1990, Giovanni Paolo II beatificava il figlio di Castelnuovo che, senza mai muoversi dalla Consolata, aveva fondato i Missionari e le Missionarie. Il suo è “il metodo Consolata”: «Bisogna fare degli indigeni tanti uomini laboriosi per poterli fare cristiani: mostrare loro i benefici della civiltà per tirarli all’amore della fede, ameranno una religione che oltre le promesse dell’altra vita li rende più felici su questa terra». È il «sistema preventivo» di don Bosco: educare «buoni cristiani e onesti cittadini».
La richiesta di beatificazione di don Bosco
Il rettore della Consolata e del Convitto Ecclesiastico il 10 febbraio 1903 scrive a Pio X per chiedere la beatificazione, che avverrà il 2 giugno 1929, del suo antico maestro, don Bosco: «Il Convitto Ecclesiastico di Torino si gloria di aver avuto per un triennio fra i suoi alunni il servo di Dio don Bosco fondatore della Congregazione Salesiana. È tuttora viva tra noi la memoria di tale permanenza, e delle virtù ivi esercitate dal degno sacerdote; è specialmente ricordato il suo zelo per la sa-
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Di don Bosco è alunno per quattro anni, dall’autunno 1862, all’Oratorio. Avvertendo la vocazione, non diventa salesiano ma entra nel Seminario diocesano. Sviluppa un programma di vita centrato sull’imitazione di Cristo. Pensa alle missioni ma deve superare le perplessità dell’Arcivescovo cardinale Gaetano Alimonda e di coloro che non vogliono lasciar partire «i giovani sacerdoti con detrimento della diocesi». Famose le sue frasi, frutto di una sapienza incarnata e di una saggezza antica: «Fare bene il bene. Ci vuole fuoco per essere apostoli. Con il Signore non si mercanteggia: o tutto o niente. Voglio gente allegra, attiva, energica. Prima santi poi missionari. Tutto per Gesù, niente senza Maria. Tutto faccio per il Vangelo. Quando sarò lassù vi benedirò ancora di più dal “pugiol” (balcone)». Giovanni Paolo II lo elogia: «L’Allamano spicca per il suo sorriso bello e il fare tranquillo e pacato, da cui traspare un cuore grande che tutti abbraccia, la mano destra posata sul mappamondo esprime non soltanto la sua attività, ma il sentimento di amore con cui si è rivolto al mondo, per portare ovunque Gesù Cristo. Accanto a lui la Vergine Consolata, ispiratrice e sostegno di tutta la sua vita e delle sue opere».
lute delle anime e la cura che si prese dei giovanetti, i quali istruiva nella dottrina cristiana nella chiesa annessa al Convitto. Uscitone vi ritornava sovente per avere direzione dal santo rettore il servo di Dio don Giuseppe Cafasso, da cui prendeva in ogni sua opera consiglio e aiuto». Poi confida al Papa: «Il sottoscritto si stima fortunato d’aver convissuto per quattro anni con il servo di Dio nell’Oratorio; durante il quale tempo ebbe ad ammirare le virtù singolari, e poté godere della direzione spirituale. Per questi motivi e per la fama generale di santità di cui risplendeva il servo di Dio, il sottoscritto fa umili voti presso la Santità Vostra perché si degni d’introdurre la causa unitamente al maestro di lui il servo di Dio don Giuseppe Cafasso, essendo di ambedue già deposti a vostri piedi i processi diocesani». settembre-ottobre 2016
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Dalla strada al Bosco Boys: un passo che a Nairobi cambia la vita L’impegno di don Felice Molino, missionario in Kenya da 40 anni per i ragazzi di strada. Per loro il centro salesiano è anzitutto una famiglia, un luogo dove sperare e costruire un futuro migliore.
di partire per le missioni e venne destinato al Progetto Africa in Kenya. Dal 1981 è stato a Nairobi, per passare poi a 21 anni di missione a Makuyu, sempre in Kenya, e ritornare a Nairobi per gestire le attività delle missioni della capitale africana. La missione è toccare il cuore, parlare al cuore dei piccoli e dei poveri
«Ho incominciato ad interessarmi dei poveri, ad avere questa passione per i poveri quando avevo 17 anni. Mi ricordo che chiesi di poter mettere fuori dalla scuola che frequentavo un banchetto per raccogliere aiuti... Più tardi, diventato prete salesiano, sono stato mandato al Rebaudengo a Torino in un periodo in cui era da poco stato lanciato dalla congregazione il Progetto Africa e si pensava a come aiutare l’opera in quel continente, a Macallé. Allora ho iniziato ad andare a parlare dell’impegno missionario con i 36
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ragazzi ai quali facevo scuola di religione: parlavo loro dell’importanza di aiutare i poveri e incominciai a organizzare marce per Torino: si partiva da corso Giulio Cesare con centinaia di ragazzi e si arrivava alla basilica di Maria Ausiliatrice cercando di raccogliere fondi per le missioni». Così don Felice Molino, missionario di don Bosco, classe 1947, salesiano da 50 anni, racconta l’inizio della sua vocazione missionaria. Un cammino che ha preso forma concreta quasi 40 anni fa quando chiese
Tanti i progetti sostenuti da Missioni Don Bosco che don Felice ha avviato negli anni, cercando sempre di arrivare - come sottolinea ripensando alla sua vocazione e al significato del suo impegno – «al cuore delle persone». «Agli inizi – prosegue – mi sembrava di morire: mi mancava l’ambiente italiano, la lingua, tutte le amicizie del passato: poi lentamente mi sono accorto che gli stacchi che fai sono invece molto importanti e che senza tagli non riusciresti a calarti nella nuova realtà e ad arrivare a parlare al cuore delle persone per le quali sei partito…». Ed ecco che i cuori che don Molino ha toccato sono stati quelli di tanti giovani senza nulla. Il Bosco boys
«Missioni don bosco – racconta – ci sta aiutando a prenderci cura di 300 ragazzi di strada a
Nairobi nella scuola salesiana Bosco boys. La scuola raduna i ragazzi dalle baraccopoli dove in migliaia sono senza istruzione, senza famiglia, senza un posto dove vivere dignitosamente. Questa opera vive solo di carità: non possiamo chiedere una retta a questi ragazzi che hanno bisogno di tutto: dalle scarpe al cibo. Manca loro tutto quello che è necessario ad un bambino normale, ma in più si tratta di giovani che hanno vissuto esperienze drammatiche da cui devono tirarsi fuori e per questo hanno bisogno anche di educatori che siano capaci di voler loro bene, di parlare a loro davvero con il cuore, che è la cosa più importante». Non solo garantire un’istruzione... ma essere anzitutto una famiglia che accoglie
I ragazzi arrivano al Bosco Boys portati dalla polizia che fa rastrellamenti nelle strade di Nairobi, altri da parenti che
li ritrovano per strada e li affidano ai salesiani perché li aiutino a riavvicinarli al nucleo familiare, altri sono avvicinati in strada direttamente dai salesiani. Alcuni si fermano per pochi mesi, altri per anni. Chi infatti desidera proseguire il percorso passa poi ad un secondo centro in cui i salesiani offrono corsi di alfabetizzazione e corsi scolastici e professionali. Quando è possibile don Molino con gli altri missionari cercano di far integrare i ragazzi nel loro nucleo familiare originario, anche se la loro stessa accoglienza è anzitutto offrire il calore di una famiglia. «Agli inizi quando ero a Makuyu – conclude don Molino – non capivo cosa voleva dire incontrare un ragazzo sulla strada alle 10 del mattino: erano i bambini scacciati da scuola perché non avevano pagato la retta che la scuola statale esigeva. Iniziammo di lì...». E a Nairobi l’opera continua con i ragazzi delle baraccopoli, i ra-
gazzi che se restano in strada non avranno futuro. Questo il sogno del Bosco Boys, il sogno di don Molino: continuare ad offrire a migliaia di bimbi la possibilità di cambiare la loro vita, di pensare al futuro con speranza. Federica Bello redazione.rivista@ausiliatrice.net
Don Felice Molino, salesiano missionario.
Chiunque desideri sostenere l’opera Bosco Boys con una adozione a distanza di un ragazzo o una ragazza può mettersi in contatto con:
Anche tu puoi fare qualcosa!
Missioni Don Bosco Valdocco Onlus
via Maria Ausiliatrice 32, 10152 Torino tel. 011 39 90 191 e-mail: adozioni@missionidonbosco.org www.missionidonbosco.org settembre-ottobre 2016
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Inizia la scuola Settembre. Pronti? Via!
Laura e Michele frequentavano la stessa classe di scuola media e li ho incontrati in questi primi giorni di settembre a girare per gli ambienti del CFP: sì il centro di formazione professionale, quella “scuola” dove si impara un mestiere. Hanno pensato bene, ed hanno convinto i loro genitori, che questa poteva essere una strada dopo la terza media: un percorso triennale di qualifica dopo il quale valutare se proseguire gli studi per conseguire il diploma professionale o il diploma di scuola media superiore. Sono venuti questa mattina a consegnare gli ultimi documenti e all’accoglienza c’è la mia collega della segreteria con l’iPad perché, oltre a prendere i dati, deve fare la foto che inserirà nel database assieme alle altre. Mi trovavo lì per la consegna di alcune pratiche e vedendoli mi sono incuriosito e mi è venuto spontaneo fare loro qualche domanda. Il corso di meccanica industriale
Mi raccontano come è maturata la loro scelta: dal colloquio individuale con l’orientatore prima con la famiglia e poi da 38
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soli, alle Porte Aperte durante le quali hanno potuto visitare i laboratori e le officine per toccare con mano attrezzature e strumenti. «Prima non sapevamo cosa fosse un CFP – mi dice Michele – né cosa fosse lo Sportello Orientamento, la didattica digitale, ma, soprattutto, che tutto questo potesse avere a che fare con il percorso di formazione di meccanica industriale. Vorremmo diventare entrambi dei bravi “meccanici”, quelli che a partire dal disegno tecnico e dal ciclo di lavoro realizzano il particolare meccanico al tornio e alla fresatrice. Pensa che abbiamo visto un macchinario grandissimo, con degli sportelli; tu puoi caricargli i dati del pezzo da realizzare, mettere il blocco di ferro o acciaio in posizione e “lui da solo” fa il resto, mentre tu stai li a controllare che tutto proceda correttamente! Siamo entrati anche nei laboratori di informatica, perché il disegno meccanico prima lo fai con riga, squadretta e matita, ma subito dopo, come ci hanno raccontato i nostri accompagnatori (due allievi in tuta da officina gentilissimi e chiari nelle spiegazioni), si passa al CAD ossia a disegnare con il computer».
«Abbiamo scelto proprio questo CFP anche perché non ci è sembrato una scuola come tutte le altre – continua Michele – tanto che il direttore nel suo intervento di presentazione ha più volte ripetuto: “il nostro è un Centro Formazione Professionale e non è una scuola intesa come liceo o istituto tecnico o professionale... Si tratta di un luogo dove viene data ampio spazio all’intelligenza delle mani e per questo c’è bisogno di essere presenti, puntuali e di partecipare dando tutto e noi vi aiuteremo ad allenare il vostro impegno e a sostenere la vostra motivazione.” Certo che convincere i nostri genitori non è stato proprio facile perché loro volevano che ci iscrivessimo in una scuola per conseguire almeno il diploma e quando hanno capito che quella strada era comunque possibile hanno accettato». «Per mia mamma e mio papà – dice Laura – è stato un duro colpo quando ho manifestato la mia volontà di fare il meccanico dell’industria. “Questo non è un lavoro adatto ad una donna, ti sporcherai di grasso, è un lavoro pesante!”... Solo dopo aver visitato le officine ed essersi resi conto dell’ambiente, della pulizia e dei macchinari, hanno acconsentito (loro malgrado!). Mentre l’orientatore del CFP ha sottolineato che comunque non sarei stata né l’unica né la prima, perché
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Una scelta controcorrente
qui e in altri CFP altre ragazze avevano già fatto la stessa scelta». Mentre ci stavamo salutando, mi raccontavano che oltre alle attività formative, il CFP proponeva momenti di animazione tipica salesiana, laboratori di musica, attività sportive. E allora nel salutarli ho fatto loro gli auguri a modo mio, aggiungendo che al termine dei tre anni avrebbero avuto la possibilità di essere inseriti nel mondo del lavoro grazie alla presenza dei servizi SAL (servizi al lavoro). E allora: buon anno Laura e Michele, buon anno a tutti voi! Nino Gentile RESPONSABILE COMUNICAZIONE CNOS-FAP Piemonte antonino.gentile@cnosfap.net
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© Nino Musio
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Maria segno dell’amore misericordioso di Dio
Come don Bosco ha spesso testimoniato, Maria Santissima è una persona viva, una presenza reale in mezzo a noi, una Madre ricca di tenerezza e di amore per ciascuno di noi. Dio l’ha voluta e l’ha donata alla Chiesa e all’umanità per manifestare il suo amore misericordioso per ciascuno di noi. Nella sua persona e nella sua missione materna ci manifesta l’amore di Dio che vuole che ciascuno di noi scopra e sperimenti la grazia unica con cui è stato voluto ed è amato. Attraverso le sue apparizioni, i suoi messaggi, Ella è messaggera di pace e di amore, affinché comprendiamo che dolore e gioia, sofferenza e amore fanno sì che la nostra anima viva intensamente. 40
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Maria ci ama infinitamente uno per uno
Come canta il profeta Osea, celebrando l’amore tenero e misericordioso di Dio per il suo popolo: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,4-5), Maria ci manifesta con la sua presenza questo amore infinito per ciascuno di noi, affinché possiamo aprirci al dono di Dio, frantumando gli idoli che ci costruiamo con le nostre mani e liberandoci dalla schiavitù del peccato e della morte. La sua azione di Madre
È Dio che salva e libera
Come don Bosco visse tutto per la salvezza dell’anima dei suoi ragazzi desiderando e spendendosi senza misura perché vivessero nell’amicizia con il Signore e si cibassero dell’Eucaristia in modo degno e fruttuoso, così Maria ci ricorda che la fede nell’amore misericordioso di Gesù suo Figlio viene sempre ricompensata e che prima o poi Dio salva e libera coloro che a Lui gridano. Si tratta di preparare un cuore aperto all’azione di Dio: «Seminate per voi secondo giustizia e mieterete secondo bontà; dissodatevi un campo nuovo, perché è tempo di cercare il Signore, finché egli venga e diffonda su di voi la giustizia» (Os 10.12). Alla scuola di Maria, stretti al suo Cuore Immacolato, possiamo crescere puri di cuore, in modo che i raggi della grazia di Dio si riflettano nella nostra anima con tutto il loro splendore. Essere un cristallo che fa passare la luce dell’amore di Dio e figli in cui il Padre si compiace.
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tenera e paziente fa sì che ciascuno di noi possa venire alla luce della vita dei figli di Dio, facendo sì che l’apertura del cuore a Dio sia fonte di gioia. La strada verso Gesù è difficile e piena di rinunce e di lotte ma, alla fine, c’è sempre la luce. Maria comprende i nostri dolori e le nostre sofferenze e, con materno amore, asciuga le nostre lacrime, invitandoci a confidare nel suo Figlio Gesù, poiché Egli farà per noi quello che non sapremmo nemmeno chiedere.
no che c’è in ciascuno di noi. Giovanni Bosco fu un grande educatore dei ragazzi, «perché aveva avuto una mamma che aveva educato la sua affettività. Una mamma buona, carina, forte. Con tanto amore educò il suo cuore. Non si può capire don Bosco senza Mamma Margherita. Non lo si può capire» (Papa Francesco nel suo intervento a Torino il 21 giugno 2015). Mamma Margherita ha contribuito con la sua mediazione materna all’opera dello Spirito nella plasmazione e formazione del cuore del figlio. Don Bosco imparò ad amare, come egli stesso dichiara, in seno alla Chiesa, grazie a Mamma Margherita e con l’intervento soprannaturale di Maria, che gli fu data da Gesù come “Madre e Maestra” nel sogno profetico dei nove anni. Don Bosco fu un sacerdote circondato dallo splendore che proviene dall’Immacolata perché l’amava e la faceva amare con cuore di figlio. Don Pierluigi Cameroni Animatore spirituale ADMA pcameroni@sdb.org
Maria è una persona viva, una presenza reale in mezzo a noi, una Madre ricca di tenerezza e di amore per ciascuno di noi.
Maria e Mamma Margherita
Quante donne sono state il riflesso della maternità di Maria e hanno esercitato nella storia della Chiesa un’autentica e feconda maternità spirituale facendo venire alla luce nel cuore di tante persone il bambi-
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Famiglia: ambiente di fede per una vera identità cristiana
Testimonianza di Michela Fares, Presidente del Consiglio dell’ADMA dell’Ispettoria Meridionale. Desidero portare la mia testimonianza e quella della mia famiglia ricordando la giornata vissuta a Bari il 13 Marzo 2016 presso la casa salesiana del Redentore, dove con un rilevante numero di associati ADMA dell’Italia meridionale ci siamo ritrovati come una grande famiglia in occasione dell’Assemblea ispettoriale. Ascoltare le parole del Presidente dell’ADMA Primaria di Torino-Valdocco, il Sig. Tullio Luca, che ci ha ricordato semplicemente che la famiglia ha bisogno di rimanere unita nella fede, mi ha fatto riflettere come in questi anni si è andato perdendo l’ “ambiente di fede” che esisteva nelle 42
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famiglie. Infatti è sempre più raro che la famiglia si riunisca per condividere la sua fede o per pregare. La mia famiglia è una che cerca di mantenere viva l’identità cristiana. Le priorità di Michela e Dino
Io e mio marito Dino abbiamo sempre condiviso questa identità e ci siamo preoccupati di trasmetterla alle nostre figlie Mariele e Rita, e a quanti ci circondano. La fede è per noi un fattore importante, che noi non abbiamo abbandonato, anche quando tutto ci ritornava contro. Insieme abbiamo vissuto la fede in forma attiva e fatto della nostra casa un luo-
Pregare insieme il “Padre nostro”, intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria: è facile. E pregare insieme il Rosario, in famiglia, è molto bello, dà tanta forza! (papa Francesco, Omelia alle famiglie 27 ottobre 2013)
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go di Vangelo vissuto. Dino e io, sin dal nostro primo incontro, abbiamo preso coscienza e abbiamo sentito la responsabilità di vivere la fede e di condividerla in quella che poi sarebbe diventata la nostra famiglia. Continuamente coscienti delle difficoltà e non sufficientemente preparati, ci siamo predisposti ad apprendere e migliorare la vita cristiana. Non ci sentiamo arrivati, ma penso che un minimo lo stiamo dimostrando, per quel che riguarda me, ora che ho intrapreso questo fantastico viaggio. Un “viaggio” attraente, stuzzicante e contagioso
Anche mia figlia Rita, animatrice, ha accettato, nonostante i suoi impegni scolastici di far parte della consulta locale del Movimento Giovanile Salesiano, mentre Mariele, oggi studentessa universitaria a Bari, è stata per otto anni animatrice, costante nei suoi corsi di formazione e sempre presente a tutte le attività oratoriane. Mio marito Dino, simpatizzante dell’ADMA, mette a disposizione tutte le sue energie perché il nostro cammino venga fatto con attenzione. Da parte mia cerco sempre di custodire nel mio cuore le parole ascoltate nell’incontro di Bari: «Don Bosco amava Maria Ausiliatrice». E mi piace ricordare come don Bosco ha fondato l’ADMA per difendere e diffondere la fede cristiana del popolo di Dio. Voglio concludere con alcune parole di Papa Francesco: «E tutte le famiglie, abbiamo bisogno di Dio: tutti, tutti! Bisogno del suo aiuto, della sua forza, della sua benedizione, della sua misericordia, del suo perdono. E ci vuole semplicità: per pregare in
famiglia, ci vuole semplicità! Pregare insieme il “Padre nostro”, intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria: è facile. E pregare insieme il Rosario, in famiglia, è molto bello, dà tanta forza! E anche pregare l’uno per l’altro: il marito per la moglie, la moglie per il marito, ambedue per i figli, i figli per i genitori, per i nonni... Pregare l’uno per l’altro. Questo è pregare in famiglia, e questo fa forte la famiglia: la preghiera» (papa Francesco, Omelia alle famiglie 27 ottobre 2013). Michela Fares redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Frittata alla pizzaiola Curiosando tra i Giubilei.
• 4 uova • un cucchiaio di farina • ½ bicchiere di latte • una tazza di salsa di pomodoro • una mozzarella • una manciata di olive nere • due cucchiai di parmigiano grattugiato 44
Verso la fine dell’anno 1299 si diffuse fra la cristianità la credenza che al passaggio da un secolo all’altro potesse essere concessa una speciale perdonanza, come quella di Assisi e dell’Aquila, ai fedeli che si recassero in pellegrinaggio a Roma, sulla tomba di san Pietro. La città fu presa d’assalto da una folla di credenti e Bonifacio VIII, eletto papa dopo il “gran rifiuto” del pontificato da parte di Celestino V, quasi preso alla sprovvista, indisse in fretta il primo Giubileo dell’era cristiana, stabilendo che avesse la durata di un anno e si ripetesse al termine di ogni secolo. I Papi successivi, per dare a un maggior numero di fedeli la possibilità di ottenere l’indulgenza, abbreviarono a 50 anni il periodo intergiubilare, successivamente ancora abbreviato a 25 anni. Il Giubileo del 1300 rimane il più famoso non soltanto perché fu il primo, ma in quanto attirò a Roma personaggi come Cimabue, Giotto, Dante, il quale descrive così il doppio senso di marcia dei pellegrini da e verso San Pietro: «Come i Roman
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ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
per l’essercito molto, / l’anno del giubileo, su per lo ponte / hanno a passar la gente modo colto, / che da l’un lato tutti hanno la fronte / verso ’l castello e vanno a Santo Pietro; / da l’altra vanno verso il monte...» (Dante, Inferno, XVIII, vv. 28-33). Particolare più interessante: nell’anno di quel Giubileo, precisamente nella Settimana Santa del 1300, Dante ambienta il suo viaggio immaginario nei tre regni dell’oltretomba narrato nella Divina Commedia. Coincidenze che rendono davvero unico quel primo lontano Giubileo. Un po’ come unica, anche se più prosaica, è questa particolare frittata: stemperare la farina con il latte; aggiungere, mescolando, i tuorli delle uova, sale, due cucchiai di parmigiano e gli albumi montati a neve. Cuocere la frittata da ambo i lati, senza farla colorire troppo. Adagiarla in una pirofila, cospargerla con la salsa di pomodoro, la mozzarella tagliata a dadini, le olive. Passarla in forno a 180 gradi per una decina di minuti.
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è officiata per tutti i benefattori dell’opera salesiana. La redazione
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