MARIA AUSILIATRICE R I V I S T A
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DI NATALE, LUCE DI GESÙ
4 A MBIENTE BENE DI TUTTI LA LAUDATO SI’ DEL PAPA
22 I VERBI DELL’AMORE PER COLLABOR ARE MEGLIO AL PIANO DI DIO
36 DIAMO AI FIGLI R ADICI E ALI
ISSN 2283–320X
ACCETTARE LA LORO UNICITÀ NOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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Don Bosco e il Giubileo della Misericordia
foto: Mario Notario
Cari amici, questo finale dell’anno, segnato all’inizio dalla festa dei Santi e dalla memoria dei Defunti, ci proietta sul grande dono del Giubileo Straordinario della Misericordia, indetto da papa Francesco, «come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti» (n. 3). Il motto dell’Anno Santo è Misericordiosi come il Padre. Vi invito a leggere con attenzione il testo della Bolla di indizione del Giubileo Misericordiae vultus: è un prezioso strumento per entrare in questa esperienza di grazia che il Signore ci regala. Il papa scrive: «Abbiamo sempre bisogno della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (n. 2). Se scorriamo le pagine della Sacra Scrittura, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ci imbattiamo spesso nella parola misericordia e tanti sono i concreti esempi di misericordia che ivi sono narrati. La misericordia non è una parola astratta, ma concreta che rivela a noi l’amore di Dio e chiede a noi di trasformarlo in amore per gli altri. Matteo, nel discorso delle Beatitudini (5,7), usa questa espressione: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia»; potremmo anche dire, invertendo i termini: «Beati coloro che hanno trovato misericordia perché saranno misericordiosi». Chi di noi non ha fatto esperienza di misericordia ottenuta! Tutti abbiamo bisogno di perdono, di misericordia, di tempi supplementari per poter aderire sempre meglio al Signore, e al tempo stesso, abbiamo bisogno di aprirci alla misericordia, al perdono, alla comprensione verso gli altri per realizzare in pienezza il comandamento del Signore. Il Giubileo inizierà il giorno 8 dicembre, solennità dell’Immacolata, nel 50° anniversario del Concilio Vaticano II; è affidato alla intercessione di Maria che nel Salve Regina invochiamo come «Madre di misericordia». Non dimentichiamo poi che, nella nostra tradizione salesiana, il giorno 8 dicembre segna l’inizio dell’azione misericordiosa di don Bosco verso i giovani nell’incontro con quel primo ragazzo orfano, nella sacrestia della chiesa di san Francesco d’Assisi in Torino. Che questo Giubileo porti grazia e pace a tutti. Anticipando anche gli auguri per il Santo Natale, vi assicuriamo sempre il nostro ricordo in Basilica. DON FRANCO LOTTO RETTORE lotto.rivista@ausiliatrice.net
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ALBERTO GUGLIELMI
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ROBERT CHEAIB
DEBORAH CONTRATTO
1 DON BOSCO E IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
DON FRANCO LOTTO
A TUTTO CAMPO 4 LAUDATO SI’:
UN’ENCICLICA NON SOLTANTO “VERDE”
ALESSANDRO GINOTTA
LA PAROLA 6 PERCHÉ CI SIA CONCORDIA
MARCO ROSSETTI
8 LE MIE PAROLE NON PASSERANNO
MARCO BONATTI
CHIESA E DINTORNI 10 UN MISSIONARIO GENIALE: FRANCESCO SAVERIO
18 PARTE TERZA: IL CATALOGO DEL DOLORE
MARIO SCUDU
12 UNA VITA CHE FIORISCE
DIEGO GOSO
20 IL TESORO DEI “MESSAGGINI”
CARLO TAGLIANI
ALBERTO GUGLIELMI
14 SEI NOMI PER UN PRESEPE
22 AFFINCHÉ L’AMORE NON VENGA FRAINTESO
LORENZO BORTOLIN
ROBERT CHEAIB
16 UNA SPALLA SU CUI CONTARE
25 AFFIDA, CONFIDA, SORRIDI
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EZIO RISATTI
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Direzione: Livio Demarie (Coordinamento) Mario Scudu (Archivio e Sito internet) Luca Desserafino (Diffusione e Amministrazione) Direttore responsabile: Sergio Giordani Registrazione: Tribunale di Torino n. 2954 del 21–4–80
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GIULIANO PALIZZI
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ERMETE TESSORE
DON BOSCO OGGI 28 CONSEGNE DEL RETTOR MAGGIORE
CLAUDIO GHIONE
44 SPUMA DI MELE
BERNARDINA DO NASCIMENTO
FRANCESCA ZANETTI
GIOVANI 38 SE CONDIVIDI MOLTIPLICHI!
TRADUZIONE A CURA DI DEBORAH CONTRATTO
32 LA MUSICA È QUALCOSA DI VIVO
POSTER
36 UN FIGLIO NON È UNA FOTOCOPIA
PIERLUIGI CAMERONI
30 IL SEGRETO DELLA FELICITÀ
MARIO SCUDU
MARIA 34 IL SEGRETO DI MARIA
AL VII CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MARIA AUSILIATRICE
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GIULIANO PALIZZI
40 PAPA FRANCESCO INTERPELLA I GIOVANI
ANNA MARIA MUSSO FRENI
ERMETE TESSORE
42 UN CUORE GRANDE COME
LA SABBIA DEL MARE
ANDREA CAGLIERIS
POSTER GESÙ, MISERICORDIA DI DIO MARIO SCUDU
A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio.
RivMaAus
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Auguri di buone feste NOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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A TUTTO CAMPO
Laudato si’: un’enciclica non soltanto “verde”
ALESSANDRO GINOTTA redazione.rivista@ausiliatrice.net
Educare all’alleanza tra umanità e ambiente. Nuove abitudini per cambiare il mondo.
Laudato Si’ Francesco (papa) Elledici 2015 pagine 200, euro 1,90
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I media l’hanno definita l’“enciclica verde”, ma presentarla così è decisamente riduttivo. Si tratta di un documento sorprendente, esplosivo e dirompente. Così vero da risultare pungente. Così autentico da risultare scomodo. Così aderente al Vangelo da risultare spiazzante. Una delle principali novità di questa enciclica è costituita dai destinatari. Papa Francesco scrive: «Voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta» (paragrafo 3) e, poco più avanti, «a tutte le persone di buona volontà» (n. 62). Un documento che «non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica» (n. 188), ma che non manca di evidenziarne le mancanze. Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto «il grido dei poveri» (n. 48), gli esclusi, che sono «la maggior parte del pianeta, miliardi di persone» (n. 49). San Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus Annus scriveva: «Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza
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escludere né privilegiare nessuno». Papa Francesco nella Laudato si’ osserva: «Non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi» (n. 93). L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri (n. 95). SCEGLIERE IL BENE
«L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione alle conseguenze negative. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale» (n. 109). Non solo: «l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali e favorisce comportamenti antisociali e violenza» (n. 149). «Il mercato, a sua volta, tende a creare
UNA SFIDA EDUCATIVA
«La coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini. Molti sanno che il progresso attuale e il semplice accumulo di oggetti o piaceri non bastano per dare senso e gioia al cuore umano, ma non si sentono capaci di rinunciare a quanto il mercato offre loro. Nei Paesi che dovrebbero produrre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa» (n. 209). L’educazione alla responsabilità am-
bientale incoraggia comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente. Per esempio, evitare o limitare l’uso di imballaggi, della plastica o della carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare soltanto quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con attenzione gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via.
A TUTTO CAMPO
un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti e le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue» (n. 203). San Giovanni Paolo II era solito dire che la situazione attuale del mondo «provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo». Papa Francesco nella Laudato si’ richiama questo concetto ed osserva che «più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. Perciò non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca» (n. 204). «Eppure non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto» (n. 205).
FIDUCIA ED OTTIMISMO
«Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali gesti producono frutti ben maggiori di quanto si possa constatare, perché provocano un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, questi comportamenti ci restituiscono il senso della nostra dignità, ci conducono ad una maggiore profondità esistenziale, ci fanno sperimentare che vale la pena passare per questo mondo» (n. 212). Papa Francesco non si limita a stilare un elenco di problemi, ma propone soluzioni ed esorta politici, scienziati, ambientalisti, cittadini e tutti noi, credenti e non, a fare la nostra parte. Lo ascolteremo? San Francesco diceva: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. All’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».
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LA PAROLA
Perché ci sia concordia Custodire la concordia e l’unità della Chiesa senza eliminare le diversità, ma valorizzandole e garantendo la complementarietà di ciascuno. È lo scopo per cui intorno al 49 d.C., si riunisce a Gerusalemme la prima assemblea della comunità cristiana (15,1-35). L’APPELLO ALLA CHIESA MADRE DI GERUSALEMME
«Ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così ci ha ordinato il Signore» (At 14,46). È la decisione maturata da Paolo ad Antiochia di Pisidia. A chi spetta però il compito di legittimarla? Cosa significa praticarla? Quali conseguenze avrebbe comportato nelle relazioni tra i cristiani che provenivano dal Giudaismo e quelli che invece venivano dal paganesimo? Il problema – come Luca attesta – nasce ad Antiochia di Siria quando alcuni venuti da Gerusalemme, ma
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senza l’autorità degli Apostoli, creano scompiglio: insegnano infatti che per ottenere la salvezza, devono essere circoncisi ed osservare la Legge di Mosè anche coloro che si convertono dai culti pagani. Il contrasto tra Paolo, Barnaba e quegli impostori è forte. Chiarire la questione è urgente per stabilire solida concordia all’interno di una Chiesa che, fin dalle origini, appare mista per provenienze e per tradizioni. I capi della comunità di Antiochia intuiscono la necessità di appellarsi alla Chiesa madre, quindi agli Apostoli, per po-
LA PAROLA
ter stabilire in modo unanime quale comportamento adottare coi fratelli che provengono dalle molteplici religioni diverse dal Giudaismo. LA SALVEZZA È DATA PER LA GRAZIA DEL SIGNORE GESÙ
Insieme ad altri, Paolo e Barnaba salgono a Gerusalemme. Alla presenza degli Apostoli e degli “anziani”, vale a dire di altri responsabili della Chiesa in quella città, Pietro prende la parola: il Signore non fa distinzione tra Giudei e pagani, ha infatti effuso lo Spirito Santo anche sul centurione Cornelio e sulla sua casa. Non è pertanto il caso di opporsi alla volontà di Dio che ha mostrato di gradire la conversione dei pagani senza chiedere loro di ottemperare la Legge e ha donato a tutti «la salvezza per la grazia del Signore Gesù». La conclusione di Pietro è decisiva. La missione ai pagani deve far capire a tutti che la salvezza dipende unicamente dalla grazia che Dio dona in Cristo Gesù. Questo è l’essenziale! Il silenzio tra i presenti si fa palpabile. È poi la volta di Paolo e Barnaba che convalidano le parole di Pietro raccontando le meraviglie operate dal Signore tra i pagani durante il loro primo viaggio missionario. A pronunciarsi infine è Giacomo che per avvalorare il discorso di Pietro, mostra come i Profeti di Israele avessero in fondo già annunciato quanto stava accadendo: ai pagani che chiedono di diventare seguaci di Cristo non si deve pertanto imporre la Legge di Mosè. COME PIACE ALLO SPIRITO SANTO
Giacomo formula infine una proposta perché ai pagani sia chie-
sto soltanto di non mangiare le carni immolate alle divinità pagane, di evitare matrimoni incestuosi, di non mangiare carni di animali il cui sangue non sia stato tolto e di non bere quel sangue. Non si tratta di un... compromesso con la Legge, piuttosto di essenziali regole che permettano una reale convivenza tra i cristiani provenienti dai due gruppi, dato che alcuni modi di vivere dei fratelli di origine giudaica continuavano ad essere ispirati dalla Legge. L’opinione di Giacomo è da tutti ben accolta. La si fissa in una lettera in cui la comunità di Gerusalemme chiarisce la sua posizione e comunica le risoluzioni. Le introduce la rilevante premessa «Piacque allo Spirito Santo e a noi» in cui è stabilito il principio perenne di ogni decisione ecclesiale ed azione pastorale: la Chiesa può prendere iniziative solo se si lascia guidare dallo Spirito del Risorto. Che si viva unanimi e concordi in una comunità cristiana composta da molti e diversi per origine, ma accomunati dalla sola fede nel Signore Gesù e da un solo Battesimo, è perciò una consegna da custodire sempre.
DIO HA MOSTRATO DI GRADIRE LA CONVERSIONE DEI PAGANI SENZA CHIEDERE LORO DI OTTEMPERARE LA LEGGE E HA DONATO A TUTTI «LA SALVEZZA PER LA GRAZIA DEL SIGNORE GESÙ».
MARCO ROSSETTI rossetti.rivista@ausiliatrice.net
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LA PAROLA
Le Mie Parole non passeranno Conoscere il funzionamento del mondo è utile e importante, ma i criteri secondo i quali vivere, hanno origine “oltre”, fuori dal mondo stesso. Il giorno e l’ora della fine non ci appartengono. IN QUEI GIORNI, DOPO QUELLA TRIBOLAZIONE, IL SOLE SI OSCURERÀ, LA LUNA NON DARÀ PIÙ LA SUA LUCE, LE STELLE CADRANNO DAL CIELO E LE POTENZE CHE SONO NEI CIELI SARANNO SCONVOLTE. ALLORA VEDRANNO IL FIGLIO DELL’UOMO VENIRE SULLE NUBI CON GRANDE POTENZA E GLORIA. EGLI MANDERÀ GLI ANGELI E RADUNERÀ I SUOI ELETTI DAI QUATTRO VENTI, DALL’ESTREMITÀ DELLA TERRA FINO ALL’ESTREMITÀ DEL CIELO. DALLA PIANTA DI FICO IMPARATE LA PARABOLA: QUANDO ORMAI IL SUO RAMO DIVENTA TENERO E SPUNTANO LE FOGLIE, SAPETE CHE L’ESTATE È VICINA. COSÌ ANCHE VOI: QUANDO VEDRETE ACCADERE QUESTE COSE, SAPPIATE CHE EGLI È VICINO, È ALLE PORTE. IN VERITÀ IO VI DICO: NON PASSERÀ QUESTA GENERAZIONE PRIMA CHE TUTTO QUESTO AVVENGA. IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO. QUANTO PERÒ A QUEL GIORNO O A QUELL’ORA, NESSUNO LO SA, NÉ GLI ANGELI NEL CIELO NÉ IL FIGLIO, ECCETTO IL PADRE. (MC 13, 24-32).
Per le prime generazioni della Chiesa l’attesa della fine dei tempi era un elemento importante nella vita stessa delle comunità; la promessa del ritorno di Gesù era vissuta e interpretata come prossima. Sempre nei primi secoli il Cristo era raffigurato, nelle chiese, non tanto come Crocifisso quanto come “Signore glorioso”, nei momenti della risurrezione o - appunto - del giudizio finale. L’ansia dell’attesa per il ritorno del Signore rimane una costante nella vita della Chiesa, lungo i secoli e oggi: anche perché per i credenti quello è il punto di riferimento ultimo, il senso definitivo dell’esistenza del mondo. Non è nel mondo la risposta alla domanda sul senso del mondo: attendere il ritorno del 8
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Signore significa anche riconoscersi incompatibili con questo mondo, vivere la condizione della vita come provvisoria. Il mondo non è eterno, né autosufficiente. Questa rivelazione scava una differenza enorme tra i cristiani e gli “altri”, per due motivi importanti. Il primo: non è il mondo il “fondamento” della vita, né tanto meno della fede. Conoscere il funzionamento del mondo è utile e importante, ma le “regole della vita”, i criteri secondo i quali vivere, hanno origine “oltre”, fuori dal mondo
VIVERE DA PAGANI, O NO
stesso. Il secondo motivo: il giorno e l’ora della fine non ci appartengono e non fanno neppure parte della rivelazione che tocca a Gesù Cristo. L’AMORE GRATUITO
Ad accettare tale prospettiva le conseguenze sono notevoli. Se il mondo non è la regola della vita, se non è eterno, non contiene neppure la verità sulla vita. Il Signore viene a predicare l’amore gratuito (il contrario della necessità): e proclama che si
Noi viviamo quasi sempre, come pagani: che invocano l’aiuto del Signore quando ce n’è bisogno, ma poi seguono le regole che conoscono e “riconoscono”, quelle del mondo, La dichiarazione che il giorno e l’ora non dipendono da noi e nemmeno da Gesù Cristo sta a ricordare altro: che si parla non tanto della conclusione cosmica, ma di quella fine certa, concreta e vicina riguardante la nostra vita biologica individuale. A questa morte prima di tutto siamo chiamati a pensare e prepararci; in funzione di essa ci viene chiesto di “interpretare i segni dei tempi” e il corso delle stagioni, affinché arriviamo a capire che “l’estate è alle porte”, e il Signore è vicino. Quando il mondo sarà «passato», cioè anche quando noi saremo passati, la parola del Signore rimarrà come l’unico segno certo, la bussola della speranza. A noi tocca non di «cambiare le regole del mondo», ma di camminare con Dio sulla strada che Gesù ha insegnato: la gratuita dell’amore.
LA PAROLA
può lasciare persino la vita, per amore. Se però la necessità della vita materiale non è la regola, significa anche che nessuna delle cose del mondo è “sacra” per se stessa. Ma tanto meno sono sacri i poteri costituiti dagli uomini, le leggi dell’economia o della politica. Ovviamente il Signore non viene a negare la natura e le leggi ma piuttosto a rafforzare quel primo Comandamento che proclama la signoria di Dio su qualunque altra realtà. Le leggi (naturali e sociali) vanno conosciute e rispettate, ma sono anch’esse sottoposte a Dio.
C’È UN NON CONFORMISMO DEL CRISTIANO, CHE NON SI FA CONFORMARE. QUESTO NON VUOL DIRE CHE NOI VOGLIAMO FUGGIRE DAL MONDO, CHE A NOI NON INTERESSA IL MONDO; AL CONTRARIO VOGLIAMO TRASFORMARE NOI STESSI E LASCIARCI TRASFORMARE, TRASFORMANDO COSÌ IL MONDO (BENEDETTO XVI, 15 FEBBRAIO 2012 AL PONTIFICIO SEMINARIO ROMANO MAGGIORE).
MARCO BONATTI RESPONSABILE DELLA COMUNICAZIONE COMMISIONE DIOCESANA PER LA SINDONE press@sindone.org
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CHIESA E DINTORNI
Un missionario geniale: Francesco Saverio Convertito dall’esempio di Ignazio di Loyola, diventò gesuita e fu un grande missionario, geniale e metodologicamente creativo. È il Patrono delle Missioni. Sarà vero che “una rondine non fa primavera”, ma il passaggio di un santo su questa terra suscita davvero una primavera di santità a beneficio dell’umanità. È il caso di S. Giovanni Bosco, e alcuni secoli fa di Francesco, di Domenico e di Ignazio di Loyola e di altri. Quest’ultimo, dopo la conversione, era a Parigi per studiare teologia, e proprio qui ci fu l’incontro provvidenziale, con un giovane
basco pure lui, Francesco, nato a Xavier (1506) da famiglia nobile. Scriverà: «Quale grazia Nostro Signore mi ha fatto nell’aver conosciuto il signor Maestro Ignazio». Questi, di 15 anni più vecchio, gli fece veramente da Maestro. Dopo lunghe conversazioni infatti, anche Francesco si convertì con tutto il cuore a Gesù Cristo, fino alla morte. Fu uno del gruppo di “ignazisti” che a Montmartre (1534) emisero i voti religiosi istituendo la Compagnia di Gesù o Gesuiti. Diventato sacerdote a Venezia (1537) e dopo un po’ di apostolato a Vicenza e Bologna, fu segretario di Ignazio nel 1539-1540. Poi la svolta radicale. Nel 1540 Francesco accettò di sostituire un missionario in partenza che si era ammalato. FRANCESCO TRA I PESCATORI DI PERLE
Il 1500 è stato un secolo di grandi navigatori. La scoperta dell’America con il genovese Cristoforo Colombo (1492) aveva risvegliato l’entusiasmo: il mare non faceva più paura anzi vi si vedevano grandi opportunità e nuove vie di comunicazione. Anche Francesco partecipò di questo spirito di avventura. Erano molti quelli che sfidavano i mari per arricchire se stessi materialmente. Tanti missionari (prima e dopo) affronteranno le stesse fatiche e rischi per arricchire gli altri spiritualmente. 10
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I GIAPPONESI AMANO ASCOLTARE LE COSE DI DIO
Arrivò nel 1549 in Giappone con Yajiro, che sarà l’interprete. Trovò un paese in preda a dissidi e contese tra i feudatari e latifondisti ed il problema della lingua emerse subito. Impiegò ben 40 giorni ad imparare i Comandamenti in giapponese. I frutti di conversione, dopo un po’ di tempo e cambi metodologici, arrivarono e furono abbondanti. Scriverà: «La gente con la quale abbiamo finora parlato è la migliore che abbia mai incontrato... amano ascoltare le cose di Dio». Ma oltre le rose arrivarono anche le spine. Cresceva infatti l’opposizione dei bonzi buddisti. Allora puntò in alto, alla corte e all’imperatore stesso, commettendo però un
errore. L’aspetto umile dei missionari non fu capito, Francesco non fu nemmeno ricevuto. Cambiò strategia e metodologia (oggi si direbbe saggiamente si inculturò meglio). Si presentò vestito secondo l’etichetta di corte e con ricchi doni... e ottenne il permesso di predicare. Ma c’era sempre un’obiezione. Questa nuova religione la conoscono in Cina? Obiezione non proprio strana: la Cina allora era considerata al “top” anche in campo religioso. Doveva conoscere anche il Cristianesimo se era la verità. E Francesco, sapendo di logica, pensava la nuova missione: cristianizzare la Cina.
CHIESA E DINTORNI
Nel maggio del 1542 era a Goa. Ma il suo primo vero lavoro missionario fu nel sud dell’India, a Ceylon. Lavorò con dedizione e amore tra i pescatori di perle, convertiti da poco tempo, e privi di cure pastorali. Francesco ne imparò la lingua, il tamil, li istruì scrivendo per loro un Catechismo e difendendoli dagli sfruttatori. Nel biennio ’45-’47 operò nelle isole Molucche. Stesso lavoro, stessa dedizione, stesso entusiasmo e... risultati. Ma Francesco sognava di evangelizzare tutta l’Asia, specialmente Cina e Giappone. Ed ecco un incontro provvidenziale con un vero giapponese, Yajiro, un ex pirata. Questi gli parlò dei connazionali come gente di buona cultura e aperta alle cose religiose. Francesco voleva rispondere a questo loro desiderio di “cose nuove su Dio”.
Tratto in forma ridotta da: Mario Scudu Anche Dio ha i suoi campioni Elledici, 2011 pagine 936, euro 29,00
FRANCESCO, MISSIONARIO CATECHISTA
Ebbe sempre una opzione preferenziale per i bambini e i ragazzi e proprio per essi preparò i Catechismi. Per gli adulti invece creò un “metodo per pregare” e anche un catechismo adatto a loro. Francesco dava grande importanza al ministero della Parola, e questa era annunciata con stile semplice e comprensibile. La considerava come il centro di tutta la evangelizzazione. È proprio vero che l’uomo propone e Dio dispone. Francesco ritornò a Goa per prepararsi alla Cina. Dopo varie difficoltà arrivò a Canton, accompagnato da un solo compagno, cinese e cristiano. Colto da forti febbri, morì a 46 anni, sull’isola di Sanchnan, davanti alle coste cinesi. Era il 1552. Fallimento? No, il suo sogno sarà realizzato da altri. MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
FRANCESCO SAVERIO FU GRANDE MISSIONARIO PERCHÉ GRANDE CATECHISTA. QUESTO LO DIMOSTRÒ NELLA SUA PRIMA MISSIONE NELL’INDIA DEL SUD E IN CEYLON, DOVE PER I BAMBINI E RAGAZZI PREPARÒ DEI CATECHISMI. IN GIAPPONE I PRIMI APPROCCI LI FECE CON I SIGNORI FEUDALI E I BONZI. SEMPRE COMUNQUE DIEDE MOLTA IMPORTANZA AL MINISTERO DELLA PAROLA DI DIO, COME CENTRO DI TUTTO.
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CHIESA E DINTORNI
Una vita che fiorisce Incontro con Michele Riva, malato di Sla che ha fondato un’associazione per essere d’aiuto a chi condivide le sue condizioni.
«Una mazzata tra capo e collo. D’improvviso ti senti crollare il mondo addosso e ti rendi conto che sei vulnerabile e che la tua vita non potrà mai più essere come prima». Così Michele Riva, fondatore dell’associazione Una voce per Michele, ricorda il momento in cui i medici - una quindicina d’anni fa - gli diagnosticarono la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Fino ad allora la sua esistenza era stata simile al corso di un lungo fiume tranquillo: la famiglia a Beinasco (To) con la moglie Vanda e il figlio Fabio, il lavoro di responsabile tecnico in una piccola azienda e la passione per la politica e i temi legati alla natura e all’ambiente. PRENDERSI CURA DEL PROSSIMO
Dopo il primo impatto, come ha reagito alla malattia? «A 41 anni non è facile accettare di essere 12
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colpiti da un male per cui non esistono cure. Rassegnato, decisi di lasciarmi morire senza opporre resistenza. Ricordo il fisico debilitarsi di settimana in settimana e il morale sempre più a pezzi. Nel 2005 venni colpito da una crisi respiratoria e persi i sensi: i medici riuscirono a salvarmi praticandomi la tracheotomia ma restai in coma sette giorni. Quando mi risvegliai ero una persona nuova e sentivo una gran voglia di vivere. Da allora la Sla ha interrotto il suo processo degenerativo e oggi posso muovere un po’ le gambe e l’espressione del viso, mentre il resto del corpo è paralizzato». Come il risveglio dal coma le ha cambiato l’esistenza? «Il desiderio di vivere mi ha spinto a darmi da fare. Per prima cosa mi sono procurato un lettore ottico che traduce in voce automatica quanto “digito” sulla tastie-
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ra con il movimento degli occhi, perché la tracheotomia mi ha reso muto, e una carrozzina elettrica per avere la possibilità di muovermi. Una volta riacquistata tutta l’indipendenza possibile ho deciso di dedicarmi ad aiutare chi è colpito da Sla. E così la mia vita ha ritrovato senso. È un impegno che mi occupa tutti i giorni e la sera mi fa addormentare sfinito e felice». Purtroppo le disavventure legate alla salute non sono finite... «La vita è piena di sorprese e nel giugno scorso hanno dovuto amputarmi il braccio destro per un sarcoma sinoviale, una forma tumorale che va arrestata immediatamente. Ancora una volta ho sperimentato come la mente umana pensi, a torto, di essere immune alle disgrazie: lo pensavo a 41 anni, quando ero convinto che solo gli altri si potessero ammalare di Sla, e lo pensavo qualche mese fa, convinto di avere già la “mia” malattia e di non poter prenderne altre».
covero in ospedale per l’amputazione del braccio. Mi ha accarezzato e incoraggiato ad andare avanti. Gli ho regalato una copia del mio libro Il ramarro verde, che racconta la mia storia e quella di altri malati, e gli ho mostrato la clinica mobile attrezzata gestita dall’associazione di cui sono fondatore: un grande camper di undici metri allestito appositamente per consentire ai malati di Sla e ai loro famigliari lunghi trasferimenti in sicurezza». Che cosa si sente di dire a chi vive situazioni di malattia e sofferenza e magari ha perso la speranza? «Che la vita è bella e che le piccole o grandi disavventure capitano a tutti: l’importante è non mollare. E che la fede può essere di grande aiuto». CARLO TAGLIANI redazione.rivista@ausiliatrice.net
LA CAREZZA DI PAPA FRANCESCO
Si è mai domandato perché proprio a lei è toccata questa sorte? Si è dato una risposta? «Sì, mi sono posto la domanda molte volte ma non ho trovato risposte e ho deciso di non pormela più. Penso solo che se il Signore mi ha indicato questo sentiero io devo seguirlo. Sla e tumore non sono riusciti a togliermi la vita ma, con l’aiuto del Signore, mi hanno aiutato a darle un senso. Se ripenso al mio passato, mi rendo conto che ho fatto più cose utili per il prossimo negli ultimi quindici anni da malato che nei primi quaranta da persona sana». Nel giugno scorso ha avuto l’occasione d’incontrare papa Francesco... «È stato un momento molto emozionante e, per poterlo vivere, ho rimandato il riNOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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Sei nomi per un presepe In tutto il mondo, non c’è presepe senza alcuni personaggi. Eccoli in ordine alfabetico, come sono citati nel libro Natale è - Usi, tradizioni, storia, leggende e curiosità. ANGELI
Nella Bibbia sono citati 323 volte, di cui 52 nei soli Vangeli. In genere, preannunciano un’azione di Dio e non a caso il nome deriva da una parola orientale che significa messaggero, annunciatore. Appaiono, per esempio, a Zaccaria (per rivelargli la nascita di Giovanni Battista), a Maria (l’arcangelo Gabriele le annuncia
che lei sarà la madre di Gesù) e a Giuseppe (in vari sogni). I più natalizi entrano in scena con i pastori di Betlemme e fanno parte della “corale” che intona «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). GESÙ
Il suo nome è il più citato nel Nuovo Testamento: 1004 volte. Deriva dall’ebraico Je(ho)shua, Jahvè è aiuto, ed è ancora abbastanza frequente tra gli ebrei. L’evangelista Luca scrive che è stato l’angelo Gabriele a dirlo alla Madonna: «Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (1,31). Secondo la tradizione ebraica, però, il nome è stato ufficialmente imposto al momento della circoncisione. Un dettaglio (si fa per dire): Gesù non è nato 2015 anni fa, ma attorno all’8-6 a.C. e forse, secondo alcuni studiosi, il 4 a.C. Nel Vangelo di Matteo, infatti, si legge che la nascita è avvenuta «al tempo di re Erode» (2,1), e questi è morto nel 4 a.C. All’origine delle differenze c’è il conteggio sbagliato del monaco Dionigi il Piccolo. GIUSEPPE
Lo sposo di Maria sicuramente era un “uomo giusto”, ma era anche un gran sognatore. Infatti, ogni volta che l’evangelista Luca ricorda un suo gesto, riferisce anche che angelo gli appare in sogno e gli suggerisce come comportarsi. In ogni caso, il suo nome compare soltanto tredici volte nei Vangeli: davvero poche se si pensa al ruolo di padre putativo di Gesù. Le statue nelle chiese e quelle del presepe lo raffigurano con la barba, vecchio e così stan14
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co da appoggiarsi a un bastone, oppure con in mano un martello o una sega, per ricordare il suo lavoro di carpentiere. È evidente il richiamo non alla realtà, ma alla apocrifa “Storia di Giuseppe il falegname”. MAGI
Di loro parla soltanto l’evangelista Matteo, usando questa parola appena quattro volte e dicendo che «giunsero da Oriente» (2,1-16). Nessun’altra indicazione geografica, né il numero, né i nomi. Così, ha potuto diffondersi la leggenda: erano tre re, si chiamavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, avevano molti cammelli ed erano ricchi (altrimenti come potevano permettersi un viaggio così lungo e di regalare oro, incenso e mirra?). Una tradizione milanese li vuole sepolti nella basilica di sant’Eustorgio, dove un sarcofago reca la scritta latina Sepulcrum trium magorum, sepolcro dei tre magi, appunto. Però nel 1164, in seguito alla conquista di Milano da parte di Federico Barbarossa, le spoglie conservate a Milano furono traslate in Germania, nel duomo di Colonia.
All’epoca considerati impuri per il loro lavoro, sono i primi testimoni della venuta di Gesù. Guardando le statuine del nostro presepe, è bello ricordare la successione dei verbi citati dall’evangelista Luca: «Andarono dunque senz’indugio e trovarono... E dopo averlo visto, riferirono... Tutti quelli che udirono, si stupirono... I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio» (Lc 2,16-20). LORENZO BORTOLIN redazione.rivista@ausiliatrice.net
LIBRERIA
Ecco tua Madre Anna Maria Canopi San Paolo, 2015 pagine 144, euro 12,00
Se si esclude la Sacra Famiglia, sono i personaggi per eccellenza del Natale.
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Che cosa dire di lei, dopo i milioni di libri che le sono stati dedicati? Qui basta ricordare che, nonostante il suo ruolo, il suo nome è citato soltanto cinque volte nel Vangelo di Matteo, una in quello di Marco, dodici volte in Luca e nessuna in Giovanni. E che i cristiani d’Oriente la venerano come Teotokos, cioè “colei che genera Dio”, “la creatura che genera il Creatore”, o più semplicemente, Madre di Dio. Nella liturgia cattolica il primo giorno dell’anno solare, cioè il 1° gennaio, è dedicato proprio alla solennità di Maria Santissima Madre di Dio.
Natale è... Usi Tradizioni storia leggende Lorenzo Bortolin Effatà Editrice, 2014 pagine 96, euro 9,00
4 AMBIENTE
BENE DI TUTTI LA PAPA LAUDATO SI’ DEL
“USA” PERCHÉ È CASTO 10 L’AMORE NON ALTRI. GLI E SI SACRIFICA PER AI GIOVANI A TORINO PAPA FR ANCESCO
ISSN 2283–320X
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Una spalla su cui contare Accogliere e ascoltare chi sente il bisogno di alleggerire il cuore quando i problemi aumentano e la vita si fa pesante... A volte può sgorgare, spontanea e inaspettata, come risposta a un semplice: «Come stai?». Altre volte farsi strada, timida e incerta, quando la testa e il cuore sembrano avere un carico troppo pesante da portare. La necessità di sfogarsi con un amico o con una persona di fiducia per cercare comprensione e mettere in ordine idee e sentimenti la proviamo tutti, almeno una volta nella vita. Non sempre, però, chi è chiamato ad ascoltare si dimostra all’altezza della situazione. Ecco, allora, qualche suggerimento e qualche rischio da evitare.
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TACERE, ASCOLTARE E NIENT’ALTRO
Sembra ovvio, in teoria, ma la pratica dimostra che non lo è. Per lasciare a qualcuno la possibilità di sfogarsi e di tirar fuori tutti i pesi che lo opprimono sono necessarie due doti essenziali: tacere e ascoltare. È fondamentale – infatti – accogliere in silenzio ogni parola che la persona ha da dire. Non di rado, invece, dopo una manciata di minuti dedicati all’ascolto si fa largo la tentazione d’interrompere l’interlocutore
AFFRONTARE LA VITA E I SUOI PROBLEMI
Tra gli atteggiamenti che può essere utile tenere presenti ne spiccano senza dubbio due: non guardare troppo a lungo e troppo intensamente negli occhi l’interlocuto-
re, per evitare che possa sentirsi a disagio o giudicato, e non aver paura di essere se stessi, di lasciare affiorare la propria umanità, senza ambire ad apparire improbabili e stucchevoli “cloni» di papa Francesco o di Sigmund Freud. Offrire agli altri la possibilità di sfogarsi è un regalo prezioso perché, a volte, si ha l’assoluta necessità di “dirsi” le cose per riuscire a comprenderle e a comprendersi meglio. È donare un’occasione per approfondire l’analisi e la conoscenza di sé ma non bisogna dimenticare che – come accade per ogni medicina – non bisogna abusarne. Eccedere negli sfoghi, infatti, può essere nocivo perché rimescolare continuamente ferite, amarezze e situazioni che fanno soffrire, alla lunga, fa stare peggio. Per questo è importante che chi ascolta sia fermo: se la persona che si è sfogata ricomincia ogni volta a elencare i propri problemi è necessario che abbia il coraggio di ricordarle: «Queste vicende le conosco, me le hai già raccontate». Se la funzione dello sfogo, infatti, è la possibilità di dire a sé stessi le cose che non vanno per prenderne coscienza, è importante – una volta che se ne sia presa coscienza – passare all’azione e provare ad affrontarle. Un po’ come quando ci si accorge di avere una macchia di gelato sulla giacca: una volta che se ne è presa coscienza, non serve a nulla continuare a riporre la giacca nell’armadio e tirarla fuori ogni mattina per osservare che è impossibile indossarla perché macchiata. Le soluzioni sono solo due: o si sceglie di lasciarla così e di rinnovare il guardaroba o la si porta in tintoria.
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proponendo rimedi e consigli non richiesti o tentando sterili paralleli con la propria vita o con quella dei propri cari. Le sole interruzioni consentite, quando si decide di regalare a qualcuno la possibilità di sfogarsi, sono quelle strettamente necessarie a mettere a fuoco e a comprendere meglio particolari importanti del racconto. Se, per esempio, l’amica Francesca mi confida di essere preoccupata «perché da quando la figlia maggiore è entrata in contatto con Gigetto è ogni giorno più sfuggente e si comporta in modo strano», è lecito che mi preoccupi di sapere chi sia Gigetto. Perché, se per Francesca è ovvio, per me non lo è affatto e Gigetto potrebbe essere – indifferentemente – un compagno di scuola, un professore o un amico immaginario... Ascoltare in silenzio – naturalmente – non significa lasciare che l’altro parli pensando a cosa si mangerà per cena o a come sarebbe bello essere sulla spiaggia a contemplare il mare. Ma aprire la mente e il cuore anche attraverso atteggiamenti ed espressioni del volto che non stridano con quanto viene confidato.
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ASCOLTARE IN SILENZIO PER APRIRE LA MENTE E IL CUORE ANCHE ATTRAVERSO ATTEGGIAMENTI ED ESPRESSIONI DEL VOLTO CHE NON STRIDANO CON QUANTO VIENE CONFIDATO.
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Parte Terza: il catalogo del dolore (continua dai numeri scorsi: una signora semplice e un uomo elegante stanno discutendo mentre sono sull’autobus...)
LA MALATTIA PUÒ CONDURRE ALL’ANGOSCIA, AL RIPIEGAMENTO SU DI SÉ, TALVOLTA PERSINO ALLA DISPERAZIONE E ALLA RIBELLIONE CONTRO DIO. MA ESSA PUÒ ANCHE RENDERE LA PERSONA PIÙ MATURA, AIUTARLA A DISCERNERE NELLA PROPRIA VITA CIÒ CHE NON È ESSENZIALE PER VOLGERSI VERSO CIÒ CHE LO È. MOLTO SPESSO LA MALATTIA PROVOCA UNA RICERCA DI DIO, UN RITORNO A LUI. (CATECHISMO CHIESA CATTOLICA N. 1501)
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«Allora concordiamo che non esiste un Dio “telecomando” a disposizione dell’uomo per soddisfare i suoi bisogni più bassi». «Io affermo che proprio non esiste un Dio capace di soddisfare qualsiasi desiderio». Per un attimo l’uomo sembra perdere la sua supponente sicurezza e si appoggia al finestrino lanciando gli occhi verso la strada. L’autobus è fermo per il traffico e il tempo pare essersi rallentato anch’esso. La donna si sente spinta a procedere con più cordialità e intimità. «Sembra che abbia provato sulla pelle questa cosa... la dice con dolore... e mi scusi se sono indiscreta», pensa poi di aggiungere per il timore di aver fatto il passo più lungo della gamba. L’uomo si ricompone e scuote la testa come per cancellare la debolezza di un istante prima. Si vede che ora fa fatica a controllare la rabbia ma la donna capisce di non essere lei l’oggetto di quel guizzo improvviso. Risponde con parole che cadono come macigni in quella conversazione: «Non è nemmeno capace di ascoltare i bisogni più importanti, i desideri più alti. Figuriamoci se si abbassa alle chiacchiere dei falliti di questa vita». La donna teme ad insistere ma è anche curiosa. Nel loro gioco entrambi sanno con chi hanno a che fare ma la maschera che portano
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permette loro di farsi adesso domande che forse mai potranno riproporsi: «Ha sofferto molto?». L’uomo la guarda e riflette sull’opportunità di una risposta sincera. «Più di chiunque altro. Il dolore più terribile. O meglio la somma dei più terribili dolori che si possano provare. Vuole che le illustri il catalogo?». La signora prende un ventaglio perché avverte che, forse a causa del mezzo fermo sotto il sole, l’aria sta diventando particolarmente afosa.
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Annuisce un poco intimorita. «Quello dell’essere sostituiti. Di sentirsi traditi dall’attenzione di chi si ama rivolta verso un altro. Di sentirsi non compresi quando si è reagito a quel torto cercando di fare fuori l’avversario. Di venire allontanato se non mi piegavo a chiedere scusa. Di sentirmi solo e ormai fuori da quella luce che per me era tutto. Senza amore e senza compagnia. Ho cercato dei surrogati ma solo mostri ho trovato, per quanto sensuali e seducenti, banali imitazioni del grande sentimento che mi scaldava il cuore». La donna prova un sincero sentimento di commozione. Sta per toccare la mano dell’uomo che com-
prende cosa sta per accadere e si ritrae come se il bus fosse invaso da uno sciame di calabroni. «Non ci provi nemmeno...», urla richiamando l’attenzione di tutti dentro il mezzo. La donna viene radiografata dagli occhi degli altri passeggeri. Qualcuno commenta scuotendo il capo e sorridendo: «Eh brava la signora! Che audace!...». «Donnaccia!», rimbalza un’altra anziana sbiascicando e sputando saliva su un fazzoletto. Lei diventa rossa e avverte davvero caldo. Anche l’uomo è imbarazzato ma non sembra volerla aiutare. Per fortuna la donna ha un colpo d’ingegno: «Ha solo da guardare dove mette i piedi se non vuole che qualcuno glieli calpesti», pronuncia impettita e ventilandosi a più non posso per recuperare aria e perdere colore. Rimangono in silenzio a fissare la strada finché il mezzo non riparte. «Le sta bene quello che le è successo!», sentenzia alla fine vendicativa la donna quando il rumore dell’autobus in marcia copre di nuovo le loro basse voci. L’uomo la guarda inespressivo. «E se mi permette le spiego perché Dio non ascolta le preghiere di gente come Lei...», insiste determinata. (continua...)
I POVERI O COLORO CHE SI RITENGONO FALLITI O MESSI DA PARTE SONO COLORO CHE CI APRONO LA VIA VERSO UN MONDO NUOVO: IL LORO GRIDO CHIEDE CHE FINISCANO LE INGIUSTIZIE, UNA NUOVA MANIERA DI COSTRUIRE FRATERNITÀ. QUESTO COMPORTA CHE CI METTIAMO ALLA LORO SCUOLA, PENA L´INCAPACITÀ A COLLABORARE ALLA NOVITÀ DEFINITIVA CHE DIO VUOLE INTRODURRE NELLA NOSTRA STORIA. DIO RIMANE COLUI CHE SEMPRE ASCOLTA IL GRIDO DEL POVERO.
DIEGO GOSO dondiegogoso@icloud.com
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Il tesoro dei “messaggini”
Una delle memorie più belle del mio servizio di pastore di comunità parrocchiale è questa. Una famiglia ha il terzo figlio nato con pochi residui uditivi e quindi quasi muto. Papà e mamma lo accompagnano in un percorso robusto che gli dona capacità di parola e di ascolto. Come esito: la sua laurea in giurisprudenza. Il giorno della laurea il papà dona al figlio la sua Bibbia con la seguente “dedica” scritta sulla prima pagina: «Caro Giulio, a te che cerchi la perfezione in ogni cosa. Con pazienza e umiltà, qui la troverai tutta. Tuo padre Renato». Dopo alcuni mesi il papà morirà improvvisamente di infarto. Quella frase, quasi un testamento, l’ho fatta incidere sul marmo dell’ambone della parrocchia. LETTERINE E IMMAGINETTE
Nelle antiche tradizioni delle nostre famiglie c’è il tesoro dei “messaggini scritti”, veri gioielli di comunicazione intima, una “parolina all’orecchio” o meglio al 20
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cuore per esprimere affetto, desideri e auguri incomunicabili a voce. Anzitutto le “letterine” scritte tra figli e genitori nelle occasioni importanti: Natale, anniversari. Poi le “dediche” che accompagnano un regalo: un biglietto che spiega la scelta del regalo, un augurio. Ancora le “dediche” scritte sulla prima pagina di un libro-regalo che spiega la scelta di quel libro. Altro mezzo comunicativo: il “santino” con il pensiero che è scritto sul retro. Negli anni del mio servizio pastorale in parrocchia ho invitato i fanciulli dell’iniziazione cristiana a fare la ricerca di antichi “santini” nei vecchi libri di preghiere dei nonni. L’esito è stato di una meravigliosa scoperta di preziose memorie. Le “dediche”, le frasi sul retro, sono veri racconti che comunicano sentimenti, che trasmettono fede autentica. Abbiamo trovato immaginette mandate da un genitore al figlio sul fronte di
OGGETTI DI PIETÀ APPARTENUTI A PERSONE CARE
Altro mezzo di trasmissione della fede: gli oggetti di pietà appartenuti ai familiari. Una icona, un crocifisso, un libro di pietà, una corona del rosario appartenuta ai nonni, sono oggetti da non gettare nella spazzatura: sono memorie care da non smarrire. Anni fa un signore mi ha fatto un bel regalo: il testamento spirituale di sua moglie. Una bellissima pagina che indica un cammino: «...indirizzandovi alla lettura di San Paolo, vorrei che interpretaste l’amore come “dignità”. Dignità di sé per camminare diritti, non importa se correndo o arrancando, ma sempre avanti, con la certezza che Dio ci ha nobilitato con il suo stesso alito, con quello spirito che continuamente ci infonde, di momento in
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guerra con la raccomandazione di pregare per la pace e per il termine della guerra. Molte immaginette consegnate ai fanciulli in occasione della eucarestia di prima comunione o della cresima che augurano che quel giorno segni una tappa importante del cammino della loro vita.
momento, per arricchirci di luce, di forza, di coraggio, di volontà». Educato da queste esperienze, oggi consiglio a tanti anziani che incontro, di scrivere un testamento spirituale come il più grande dono di eredità: la fede che abbiamo nutrito nel cammino della vita. I linguaggi tecnologici che usiamo oggi per comunicare e trasmettere i nostri pensieri, sono troppo veloci e hanno una durata molto limitata. Non sono un nostalgico del mezzo scritto, né di tradizioni passate, ma mi pare importante l’indicazione di Gesù: «perciò uno che diventa discepolo del Regno di Dio è come un padre di famiglia che dal suo tesoro tira fuori cose vecchie e cose nuove» (Mt 13,52). ALBERTO GUGLIELMI redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Affinché l’amore non venga frainteso
Il nuovo libro di Robert Cheaib Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata – tutto “da pregare” – stimola il lettore a decidere di collaborare sempre meglio a scolpire la bellezza del sogno di Dio in lui e su di lui. Si tratta di accogliere l’Amore di Dio e di imparare da Lui cosa significa “amore” e “amare”. Per evitare l’abuso e l’inflazione di queste parole, tanto pronunciate e tanto cantate, l’autore ci presenta, tratte dal libro, riflessioni su sei verbi offerti da padre Varillon. Verbi che costituiscono lo spazio realista di un esercizio sano dell’amore: offrire, donare, perdonare, domandare, accogliere e rifiutare. In questo numero mediatiamo sui primi quattro.
OFFRIRE
Questo primo verbo esprime l’attenzione dell’amore che non solo vede, ma prevede. L’amore non vive di ragionamenti aposteriorici quanto di intuizioni e anticipazioni. L’amore non è cieco, è chiaroveggente. «Non si può dire che il vero amore rende ciechi: questo varrebbe semmai dell’infatuazione. Il vero amore piuttosto rende la persona non solo capace di vedere, ma di essere chiaroveggente, persino profetica». L’amore pre-vede il bisogno, l’aiuto che può dare, anticipa la richiesta. Un eloquente esempio è il quadro delicato di Maria a Cana, dove la madre di Gesù intuisce il bisogno, la mancanza di vino e si attiva – sen(continua a pag. 23)
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POSTER
Gesù, misericordia di Dio MARIO SCUDU archivio.rivista@ausiliatrice.net
LA PREDICAZIONE DI GESÙ CI PRESENTA QUESTE OPERE DI MISERICORDIA PERCHÉ POSSIAMO CAPIRE SE VIVIAMO O NO COME SUOI DISCEPOLI. RISCOPRIAMO LE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE... E NON DIMENTICHIAMO LE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE. (MISERICORDIAE VULTUS, N. 15)
Abbiamo iniziato l’8 dicembre 2015 il Giubileo straordinario della Misericordia. È un evento importante che aiuta non solo la Chiesa ma anche la società in generale a riflettere sulla parola “Misericordia” e sulla sua incidenza sociale. Ed è anche un invito a riconsiderare i principi della nostra fede cattolica in questa ottica particolare. Fondamento di tutto il nostro vivere e morire, del nostro credere e sperare è «Gesù Cristo, volto della misericordia del Padre» (Misericordiae vultus, 1). Teniamo presente questo invito anche nella nostra riflessione e preghiera davanti al Presepe del Natale, per non cedere alla emozione e al sentimento, cose buone ma non sufficienti per la nostra fede. Il tema della misericordia non è molto in voga nella cultura: «La mentalità contemporanea... sembra opporsi al Dio di misericordia... la parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo» (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n. 15). Eppure è fondamentale, dopo la disastrosa esperienza delle ideologie totalizzanti (e guerre mondiali) del secolo scorso. L’uomo non ha bisogno solo di tecnologia per vivere, ma anche di dialogo, di pazienza e misericordia. Tutta l’azione di Gesù fu improntata a salvare l’uomo usandogli misericordia nella difficoltà del suo esistere quotidiano segnato dalla fatica e dal peccato. Si narra del colloquio tra due condannati a morte. Il primo: «Io domani muoio, e mi presento al tribunale di Dio, che avrà misericordia di me». Il secondo: «Sei proprio sicuro della misericordia?». Risposta: «Certo. È il suo mestiere». Usare misericordia con tutti è stato il “mestiere” di Cristo nella sua vita e anche nella sua morte quando implorò il perdono per i crocifissori. E a noi, discepoli di Cristo cosa dice? Ecco il suo comando: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro» (Lc 6,36). Come? Papa Francesco ci esorta: «È mio vivo desiderio che il popolo cristiano durante il Giubileo rifletta sulle opere di misericordia corporale e spirituale» (Misericordiae vultus, n. 15). È un compito preciso e rivoluzionario, perché sono opere dell’amore e su di esse saremo giudicati. NOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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(Papa Francesco, Misericordiae Vultus, n. 1)
Dio mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore... GesÚ di Nazaret con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.
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MARIA, MADRE DI MISERICORDIA La dolcezza del tuo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come te, Maria, ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella tua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria. Sei stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Hai custodito nel tuo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il tuo Figlio Gesù. Il tuo cantico di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, sei stata testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria tu attesti che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a te la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non ti stanchi mai di rivolgere a noi i tuoi occhi misericordiosi e ci rendi degni di contemplare il volto della misericordia, tuo Figlio Gesù. (Papa Francesco, Misericordiae Vultus, n. 24) IV
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Per questo motivo donare il proprio tempo è tra i doni più sublimi. Donare ascolto e presenza è quanto di più unico ognuno di noi possa donare agli altri. È ciò che non possiamo più riavere indietro, è un dono iscritto nell’eternità. PERDONARE
Il prefisso “per” la dice lunga sul senso di questo gesto. “Per” implica “fino in fondo”. Così ad esempio “per-fezionare” significa fare fino in fondo, fare alla grande; “per-correre” significa correre fino al traguar-
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za essere interpellata – per supplire al bisogno (cf. Gv 2,1-11). Offrire è un’iniziativa creatrice, crea legami, partorisce amicizia. Con il suo sguardo penetrante, l’amore anticipa, concepisce e partorisce relazione, incontro e letizia. Ne è esempio la parabola del buon samaritano che non agisce spinto dal dovere, ma sospinto dal potere dell’amore (cf. Lc 10,29-37). Ci sono indigenti che vivono la povertà estrema, quella di non essere capaci di chiedere. Verso di essi occorre praticare, con grande discrezione, l’amore che sa offrire. Quell’amore che salta il protocollo della richiesta.
DONARE SE STESSI SIGNIFICA REALIZZARSI. METTERCI NEI PANNI DI UN’ALTRA PERSONA E COGLIERNE EMOZIONI E IDEE PUÒ AIUTARCI A CAPIRE E AD ACCOGLIERE ANCHE I FRATELLI CHE APPARTENGONO A CULTURE DIVERSE DALLA NOSTRA ED È UNO DEGLI ELEMENTI CHE CI STIMOLANO A OFFRIRE SOSTEGNO A CHI HA BISOGNO DI SOSTEGNO O DI SOCCORSO.
DONARE
Non tutto ciò che elargiamo agli altri lo doniamo veramente. Certi doni a volte, specie quelli che scaturiscono dal superfluo, sono “doni” che regaliamo a noi stessi per riordinare i nostri spazi. L’amore che dona invece, lo fa con il piatto della bilancia pendente verso l’alterità. Sì, c’è gioia nel donare ed è inutile privarsene, ma bisogna badare alle dinamiche interne che ci muovono al dono. Donare non è sinonimo di dare per scaricare l’inopportuno (anche se alcune situazioni ci obbligano a questo); non è sinonimo di elargire per sentirsi meglio e meno in colpa a causa delle presunte fortune della propria vita. Il vero donare lo vediamo nell’episodio della vedova che getta due spiccioli nel tesoro del tempio. Gesù commenterà che la povera ha messo più di tutti, perché gli altri mettevano dal loro superfluo, lei ha messo tutto ciò che aveva per vivere (cf. Lc 21,1-4). Donare, allora, è dare dell’essenziale, è dare qualcosa di sé, dare qualcosa di vitale. NOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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CHIESA E DINTORNI
Alla presenza di Dio. Per una spiritualità incarnata Robert Cheaib Il pozzo di Giacobbe, 2015 pagine 200, euro 15,00
do. Per-donare è donare fino alla fine, fino in fondo. È il dono gratuito per eccellenza. Non può esistere una vita con gli altri, una con-vocazione, se non c’è perdono. Non sempre bisogna perdonare qualche errore, qualche peccato o qualche misfatto. A volte bisogna perdonare semplicemente l’alterità, il fatto che l’altro sia diverso da me, dall’idea che mi sono fatto di lui/lei. Perdonare è allargare il cuore alla polifonia dell’alterità e all’autentica diversità. Perdonare è anche perdonarsi, o meglio accogliere se stessi nel perdono di Dio. Spesso fatichiamo a perdonare agli altri perché siamo incoscienti di quanto perdono abbiamo ricevuto nella vita. Lasciar posare sulla propria vita lo sguardo di Dio che salva-guarda, che rigenera le ferite e risuscita la nostra co-creatività, diventa spesso lo slancio che ci apre a perdonare agli altri. «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,32).
DOMANDARE
È tra i gesti d’amore più difficili. Anzi, non di rado, si fa fatica a capire come domandare e chiedere possano essere un gesto d’amore. In realtà, chiedendo riconosciamo all’altro la nostra piena fiducia in lui, ci affidiamo senza nutrire vergogna. Esercitiamo l’umiltà tipica dell’amore. Facciamo un atto di fede nell’ascolto e nella generosità dell’altro, nella sua capacità di amare. Varillon è lapidario su questo punto: «Se non sappiamo domandare, non sappiamo pregare». Chi domanda e domanda in modo retto, offre all’altro la possibilità di amare. Ora permettere all’altro di amare e di crescere nell’amore è a sua volta un immenso gesto d’amore. Non è forse quello che Dio fa creando e affidandoci la creazione, domandandoci di esserne i custodi? Non è quello che fa anche affidandoci e domandandoci l’annuncio del Vangelo? ROBERT CHEAIB redazione.rivista@ausiliatrice.net
Testimonianza dell’ADMA Giovani
DON BOSCO OGGI
Affida, confida, sorridi. ADMA GIOVANI redazione.rivista@ausiliatrice.net
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
www.admadonbosco.org
Spesso ci vengono fatte domande. Domande su chi siamo, su cosa facciamo, su cosa viviamo come ADMA Giovani. È sempre difficile rispondere a questi interrogativi per noi, perché chi vive qualcosa di bello, spesso non lo sa spiegare. Oggi ci proviamo proprio attraverso quegli interrogativi che spesso ci vengono posti. Associazione Devoti di Maria Ausiliatrice. Quindi in questo gruppo c’entra in qualche modo la preghiera? Il rosario. I giovani. Due parole apparentemente molto lontane. Perlomeno in questo tempo in cui la nostra persona viene sintetizzata in 140 caratteri su Twitter e tutto deve essere immediato. Per cui il lento sussurrare di centinaia di Ave Maria non sembra che una vera e propria perdita di tempo. Eppure la nostra esperienza quotidiana scardina tutti i luoghi comuni. La preghiera mette radici nelle nostre relazioni e dà loro uno scopo comune. Perché nel nostro progetto Maria assume un
ruolo fondamentale. Quel ruolo importante e significativo che riveste una madre. Ma in che modo un cammino di fede comune vi permette di vivere la vita con Maria? Concretamente in cosa consiste? E soprattutto... funziona? Concretamente significa aprirsi a quell’affetto che ci guida e intercede per noi. Per questo per noi giovani una preghiera così legata alla tradizione e a primo impatto, permetteteci, un po’ controcorrente, è una vera e propria palestra di vita. Alla scuola di questa straordinaria maestra impariamo ad affidare, a confidare. Apprendiamo quindi quella predisposizione d’animo che ci dà una carica in più. Che vuole essere la vera forza alla base di una gioia contagiosa e apostolica. Uno dei nostri tanti slogan è, proprio per questo motivo affida, confida e sorridi. Il successo è garantito. Ok! Questo risponde al come vivere la NOVEMBRE-DICEMBRE 2015
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fede. Ma che cosa significa invece vivere l’amicizia nell’ADMA Giovani? Quel Dio umile che Maria non smette mai di indicare con le sue mani tese, si fa garante della nostra amicizia. Perché per noi essere parte dell’ADMA Giovani significa vivere totalmente questo rapporto che è reso fecondo e duraturo da un lega«INSERITI NELLA me infallibile. «Veri amici per le cose REALTÀ DELLE dell’anima», sottolineava san DoFAMIGLIE IN CUI menico Savio nel regolamento della SIAMO CRESCIUTI, IL Compagnia dell’Immacolata. E chi NOSTRO SERVIZIO SI meglio di lui sa indicarci la strada RIVOLGE AI RAGAZZI per una santità giovane che consiste A CUI VOGLIAMO OFFRIRE L’ESPERIENZA nello stare molto allegri? E in questi CHE ABBIAMO FATTO tempi in cui l’amicizia è sottovalutata, dato che si conta dai numeri di DI DIO NEI NOSTRI RITIRI E ATTRAVERSO like e dai contatti di Whatsapp, nienLA NOSTRA te è più attuale ed efficace di una reAMICIZIA». lazione vissuta in questo modo. Quindi questo legame si basa sostanzialmente solo sulla preghiera in comunità. Non c’è forse una qualche forma di testimonianza? Inevitabilmente chi ha fatto esperienza concreta di Dio non può che
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testimoniare questa gioia. Per questo il nostro impegno di apostolato si realizza nell’attività di animazione. Infatti, inseriti nella realtà delle famiglie in cui siamo cresciuti, il nostro servizio si rivolge ai ragazzi a cui vogliamo offrire l’esperienza che abbiamo fatto di Dio nei nostri ritiri e attraverso la nostra amicizia. Mettendoci in gioco cresciamo giorno dopo giorno, ognuno nelle proprie possibilità e nelle proprie realtà, dalle parrocchie a tutte quelle esperienze in cui il Signore ci pone. Quindi oltre alla preghiera, al cammino di fede nell’amicizia c’è anche un’esperienza di servizio nell’animazione salesiana. Ma tutto questo in che modo viene formato e viene fatto crescere? Certe cose non si imparano certo da soli. È a contatto con l’ADMA Famiglie che questo nostro contributo è ripagato al meglio. In questa famiglia di famiglie in cui siamo inseriti viviamo la testimonianza più grande e significativa. Perché in un tem-
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Libreria Elledici Torino – Valdocco
po in cui non si può più parlare di fiducia, castità, fedeltà e soprattutto di vocazione, toccare con mano che questi ideali non crollano se fondati in Cristo, è la più bella speranza che noi giovani possiamo nutrire. Quanti guardandoci negli occhi si lamentano del nostro futuro sempre più labile e insicuro. Eppure grazie a questa compenetrazione di pastorale famigliare e giovanile vengono rinsaldate le nostre sicurezze. E chi ha ancora timore se pone il suo futuro nelle mani di Dio? Chi di noi non crederà ancora più fermamente al legame matrimoniale, contro le mode che dichiarano facile e immediato il divorzio? È questo quello che apprendiamo nel vedere sacerdoti, suore e coppie che vivono in fecondità la loro chiamata. La paura e l’incertezza si attenuano e ogni cosa diventa pura esperienza del fatto che veramente «la carità è paziente. Tutto può la carità». Avanziamo un passo alla volta in questo cammino con Maria e grazie a Lei, ad ogni passo, affidiamo, confidiamo e sorridiamo.
Quei simpatici personaggi della Bibbia Gianazza P. Giorgio Elledici, 2015 pagine 120 , euro 8,00
Calendario liturgioco 2016 Pierangelo Coscia e Giovanni Godio Elledici, 2015 pagine 64, euro 1,00
Secolarità e consacrazione. Elogio della vita quotidiana Barbarino Ortensia; Trenti Zelindo Elledici, 2015 pagine 264, euro 19,00
MARIA AUSILIATRICE D E L L A
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BENE DI TUTTI LA PAPA LAUDATO SI’ DEL
“USA” PERCHÉ È CASTO 10 L’AMORE NON ALTRI. GLI E SI SACRIFICA PER AI GIOVANI A TORINO PAPA FR ANCESCO
ISSN 2283–320X
36 A MATHI E A NOLE. BOSCO. LA CARTIER A DI DON
NOVEMBRE-DICEMBRE
2015
A
via San Donato 43/D Via Maria Ausiliatrice 10/A 10122 TORINO 10152 TORINO Tel. 011/19484565 Tel. 011 52 16 159 libreriabellanima@libero.it torino@elledici.org
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Consegne del Rettor Maggiore
al VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice COLLE DON BOSCO 6-9 AGOSTO 2015
«Sono convinto che questo Congresso rappresenti per la nostra Famiglia Salesiana un momento di grazia per annunciare il Vangelo della famiglia, riproponendone la bellezza, il ruolo e la dignità. In particolare guardando a don Bosco, alla sua paternità, vissuta nel primo oratorio con uno spirito di famiglia, sperimenteremo una crescita d’identità più chiara e più solida». Con queste parole don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore, ha introdotto, al termine del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, le consegne per la Famiglia Salesiana. «DALLA CASA DI MARIA ALLE NOSTRE CASE»
Attualizzare nei nostri gruppi e nelle famiglie una rete di relazioni autentiche, di corresponsabilità e di comunione ispirata allo spirito di famiglia di don Bosco. Ragione, religione e amorevolezza possono essere declinate in dialogo, volersi bene e presenza di Dio. In comunione con papa Francesco vogliamo anche noi essere discepoli-apostoli, ribadendo il primato della preghiera e della vita spirituale per un fecondo e autentico impegno apostolico. «PASTORALE GIOVANILE E PASTORALE FAMIGLIARE»
Don Bosco ha sognato un movimento di persone per i giovani. Anche noi siamo chiamati a fare in modo che la pastorale giovanile sia sempre più aperta alla pastorale familiare. Occorre far sì che le famiglie diventino nella vita quotidiana luoghi privilegiati di crescita umana e cristiana, nell’assunzione delle virtù che danno forma all’esistenza. Occorre camminare con le famiglie, accompagnarle nelle situazioni complesse che si trovano ad affrontare, individuando nuove vie e strategie comuni 28
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per sostenere i genitori nell’impegno educativo. Ambiti di interesse: • L’educazione degli adolescenti e dei giovani all’amore ispirandosi all’amorevolezza di don Bosco; si tratta di contrastare quelle tendenze culturali che sembrano imporre un’affettività senza limiti, narcisistica, instabile e immatura. Positivamente ridare ragioni e senso alla vocazione matrimoniale. Un’attenzione speciale va data alla formazione della coscienza e all’educazione alle virtù, in particolare alla castità, vissuta e proposta in forma esemplare da don Bosco, come condizione indispensabile per la crescita nell’amore autentico e libero. • La preparazione dei fidanzati al ma-
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trimonio e alla famiglia; ciò implica un itinerario di fede e un discernimento maturo e responsabile verso la scelta matrimoniale. • La celebrazione del matrimonio, evidenziando la grazia propria del sacramento e ponendo in risalto il primato della grazia. • L’accompagnamento dei giovani sposi e dei genitori, perché crescano nella devozione all’Eucarestia e a Maria Ausiliatrice e siano coinvolti nel cammino dell’ADMA. La testimonianza di coppie e famiglie che cercano di vivere questi valori aiuterà a crescere nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. • L’attenzione particolare alle famiglie in difficoltà di relazione e alle situazioni “irregolari”, soprattutto contrastando la precipitazione con cui tanti decidono
di porre fine al vincolo coniugale e agli impegni famigliari e accompagnando con premura le situazioni di crisi. La grazia del sacramento della riconciliazione e la pratica del perdono aiutano a superare anche i momenti di crisi e di infedeltà. • La spiritualità coniugale e familiare nella prospettiva della spiritualità salesiana. 3. «COME FAMIGLIA SALESIANA»
• Promuovere lo scambio, la complementarietà e la corresponsabilità tra vocazione matrimoniale e quella alla vita consacrata, missionaria e sacerdotale, valorizzando la condivisione di esperienze, progettando insieme, affinché le differenti sensibilità diventino sempre più ricchezza per il bene dei giovani. • Condividere e valorizzare le esperienze e le proposte già in atto nei gruppi della Famiglia Salesiana in merito alla Pastorale Famigliare, promuovendone di nuove come forma concreta di realizzazione dello stesso carisma. Vogliamo vivere sull’esempio di “Maria [che] prega, supplica e intercede come Madre tenerissima e misericordiosa, perché «è proprio della misericordia il reputar nostro il bisogno altrui. Sollecitudine e diligenza nel prevenire e nel provvedere: un aiuto opportuno e al giusto momento, perché espressione e frutto dell’intima unione della Madre col Figlio nell’opera della salvezza» (don Bosco in Meraviglie della Madre di Dio). PIERLUIGI CAMERONI pcameroni@sdb.org
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Il segreto della felicità Una testimonianza vivace.
Per tutta la settimana non sono riuscita a fare a meno di pensare all’Incontro e alla festa del Bicentenario di don Bosco. In uno stesso movimento, in molti e dai diversi luoghi del Paese, non solo con gli amici, abbiamo continuato a guardare foto, a rivivere momenti, a condividere esperienze; come per volerci assicurare che quello che avevamo vissuto non ci sfuggisse dalle mani o dall’anima. La Buona Notizia che abbiamo vissuto, ciò di cui abbiamo potuto fare esperienza, resterà per sempre e non solo nella categoria dei “ricordi”, ma come parte inseparabile di noi stessi. Oggi mi sono svegliata con una certa nostalgia. Mi mancano tante cose. Ho voglia di “tornare”, in particolare di “stare accanto” ad alcune persone. Mi chiedo come un’esperienza di soli tre giorni possa essere 30
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Dal blog di Amalia Damboriana
così piena da sentirla come un “senza tempo” condiviso, un’eternità vissuta insieme. Ci penso e ci ripenso, quasi a voler cercare la formula, per poterla estrarre e usare per tutta la vita. UN ESERCIZIO PER TUTTI. COMINCIO IO
Faccio un esercizio: faccio memoria, per esempio, dei momenti che ho potuto condividere con un amico per me molto speciale; faccio la somma dei minuti e delle ore (un mate, un momento di dialogo, una barzelletta, un gesto, una foto...due, una messa...due...). Obbiettivamente non sono molti questi momenti, tuttavia questa presenza è così importane che mi fa sentire che ogni momento condiviso è così intenso che, sentendoci in comunione tra noi, fa sì che le ore si trasformino in
LA VERA FORMULA È SENTIRSI E SAPERSI AMATI
Sì, penso di averla trovata, la formula della felicità: è l’amore. Non mi riferisco a un concetto di puro romanticismo, assolutamente no. Questa pienezza dell’anima non ha nulla a che vedere con i minuti condivisi, ma ha a che vedere con ben altro. Non ha a che vedere con la grandezza o la quantità dei gesti condivisi. Non ha a che vedere con qualcosa di emotivo, aiutato, tra l’altro, con il prezioso e unico contesto che abbiamo avuto la fortuna di condividere. Intuisco con sicurezza che la pienezza dell’anima è direttamente proporzionale all’esperienza di sentirsi e sapersi veramente amati. Quando si è ben voluti, quando l’altra persona ci accoglie nella sua vita con attenzione, con autentico affetto, l’infinità dell’amore ci marca per tutta la vita il cuore con questo timbro: “Felicità”.
ANCHE TU PUOI!
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eternità. Continuo a cercare la formula, come se esistesse la “formula della felicità”, e penso anche di averla trovata. Sono stata così felice in alcuni incontri. Mi sono stati sufficienti sguardi, piccoli gesti, un paio di parole affinché il mio cuore iniziasse a fare delle vere e proprie acrobazie di gioia nel petto; perché mi venisse un’irrefrenabile voglia di dare abbracci e di ringraziare.
Tutti quanti abbiamo nelle nostre mani la chiave della felicità, semplicemente non abbiamo ancora capito che, usandola, possiamo aprire la porta della nostra felicità. La chiave consiste nel fatto che un’altra persona (o molte altre) facciano esperienza, attraverso di noi, di sentirsi veramente amati. Abbiamo questa missione, questo compito. E se siamo stati benedetti ad aver sperimentato tutto questo siamo quasi in obbligo, in dovere, di far in modo che anche altri possano vivere la stessa esperienza, aprendo la felicità che è ancora chiusa nel cuore dei fratelli. Nell’autenticità dell’amore e dell’intenzionalità, a volte anche un piccolissimo gesto segna il cuore e lo segna per tutta la vita. Una sola esperienza di amore di questo tipo può salvare dell’abbandono, dalla tristezza, dalla solitudine, ci mette faccia a faccia con la vita e con l’allegria. Tutto questo, ti fa venire in mente l’esperienza della Fede, sentirsi Figli amati del Padre, scoprendosi abbracciati da quell’Amore... (ma questo è un altro capitolo). TRADUZIONE DEBORAH CONTRATTO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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La musica è qualcosa di vivo
Incontro ravvicinato con il compositore salesiano don Luigi Lasagna DON LUIGI LASAGNA È STATO ORGANISTA E MAESTRO DI CAPPELLA NELLA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE DAL 1945 CIRCA AL 1988. OGNI ANNO LA RAI REGISTRAVA LE SUE ESECUZIONI.
Non di rado chi frequenta gli ambienti salesiani “storici” sente parlare di tradizione musicale salesiana, il più delle volte con ammirazione e reverenza. La musica è qualcosa di vivo, che esiste in pienezza solo nel momento in cui viene suonata o cantata, e schiettamente dobbiamo riconoscere che in poche occasioni è dato di ascoltare qualcuno degli autori salesiani il cui nome suscita così spesso, tra confratelli, ex allievi e altri simpatizzanti, un sentimento di indubbia nostalgia. L’intento della rubrica di quest’anno è proporre alcuni esempi di qualità musicale provenienti dalle composizioni sacre di “grandi” della tradizione salesiana, per aiutarci a comprendere innanzitutto l’oggettivo valore artistico di queste pagine, ed in secondo luogo dare un po’ di sostanza a quelli che rischiano di essere solo ricordi, se non recriminazioni, di un passato glorioso. 32
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LE MESSE DI DON LUIGI
Tale passato non parla solo nel momento in cui gli fosse dato di ritornare, identico a come era. Il passato culturale salesiano parla innanzitutto se è compreso – adesso – per quello che era, per il valore che aveva e che può ancora comunicare, al di là di ogni rimpianto. Ma per far questo occorre venire a contatto con questi prodotti culturali in maniera un po’ più approfondita di quanto è permesso, appunto, dal semplice ricordo. Per cominciare in grande, ricorriamo alla figura di don Luigi Lasagna, famosissimo compositore e organista di Valdocco, le cui note biografiche più curiose saranno rimandate ad un prossimo articolo. Ci avviciniamo immediatamente, invece, ad alcune sue Messe, in particolare la Messa Quarta in onore del cuore immacolato di Maria (1961), la Messa Ottava dedicata a Papa Giovanni XXIII (1964), e la Messa in honore di S.M.D. Mazzarello (1958). Tre esempi cronologicamente vicini,
IL KYRIE
Concentrandoci sul Kyrie, la pagina d’apertura di ogni Messa, notiamo la vivida capacità di disporre dei più svariati mezzi compositivi, sia dal punto di vista melodico, con l’abbondante ricorso alla modulazione, sia dal punto di vista organizzativo, padroneggiando alla pari l’omofonia e il contrappunto. Per modulazione intendiamo la riproposizione di
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ma neanche troppo, e tre opere accomunate ciascuna dallo stesso genere: si tratta di Messe, nel senso più classico del termine, ovvero redazioni musicali delle parti fisse della liturgia eucaristica: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus, Agnus Dei. Per parti fisse intendiamo quei testi liturgici che non variano mai all’interno del Rito; prima del Concilio Vaticano II erano i testi sopra citati, e lo sono tutt’ora, anche se nella diversa comprensione e svolgimento della liturgia eucaristica attuale questa definizione (parte fissa) ha un peso differente. Un compositore, anche profano, aspira sempre a confrontarsi con questo genere di opera, a prescindere dal fatto che essa possa essere effettivamente eseguita all’interno della liturgia. Nel caso di don Lasagna, però, ci troviamo di fronte a partiture espressamente dedicate alla celebrazione.
un’identica melodia ad un’altezza diversa, raggiunta non immediatamente, ma con passaggi più o meno progressivi. In particolare nel Kyrie della Messa in onore del Cuore di Maria notiamo il ricorso a questo mezzo espressivo, coerentemente con il testo che viene ripetuto. Per omofonia intendiamo che le diverse voci di un episodio polifonico (ad esempio, la frase Kyrie eleison) si muovono tutte secondo lo stesso disegno ritmico. Questo efficace accorgimento espressivo si nota nel Kyrie della Messa dedicata a Papa Giovanni XXIII, e nuovamente nella terza invocazione della Messa al Cuore di Maria. Per contrappunto, infine, intendiamo, ancora genericamente, la raffinata tecnica compositiva atta a disporre più parti musicali secondo leggi rigorose che ne regolano i rapporti di coesistenza, al fine di ottenere, pur nell’autonomia di ciascuna voce, un tessuto musicale di particolare bellezza, rispetto al quale emergono a turno le singole parti in tratti e imitazioni riconoscibili. Ne troviamo un bellissimo esempio nel Kyrie della Messa per Madre Mazzarello. CLAUDIO GHIONE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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MARIA
Il segreto di Maria Stare sempre con Gesù. In occasione della recente visita apostolica del papa negli USA, è apparsa sui media americani una interessante vignetta. Essa rappresenta due senatori americani, un democratico ed un repubblicano, con sullo sfondo Gesù. Osserva il democratico: «Sul cambiamento del clima Francesco la pensa come me». Ribatte il repubblicano: «Sulla difesa della vita il papa è con me». Il battibecco avviene sotto lo sguardo sornione di Gesù che “ridendo sotto i baffi” pensa tra sé : «Scusatemi, ma io sono sicuro che in tutto sia con me». Questa vignetta rappresenta bene l’atteggiamento di Maria nei confronti del Figlio. Di questo non dobbiamo mai dimenticarci nel nostro voler bene alla Madonna. La sua più totale conformità ed adesione a Gesù è il grande insegnamento della Vergine. Non possiamo attribuire a Maria le nostre “paturnie” pseudo spirituali o rivestire la sua persona con le nostre ideologie di parte. La personalità straripante del Cristo provoca molte tempeste nelle certezze acquisite della giovane donna ebrea. MARIA E LE SCELTE PERSONALI DI GESÙ
Come è l’uso di allora la ragazza di Nazareth viene educata nel più totale rispetto degli usi e delle tradizioni degli antenati. La sua fede si fonda sul rispetto del sabato, sul pellegrinaggio al Tempio e sulla Thorah. Quando Gesù non si lascia intrappolare nelle reti con cui è blindata la vita durante il sabato, Maria è spiazzata nelle sue abitudini. Quando Cristo punta il dito contro i controllori del Tempio la Vergine non comprende. Quando, nel massimo rispetto, il Messia si manifesta superiore alla Legge lo sgomento scuote il cuore di sua madre. L’unica cosa certa è che i dubbi, le chiacchiere, le cattiverie, 34
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le gelosie, le maldicenze non scalfiscono la sua granitica adesione alla persona di suo figlio. In questo contesto, il sostenere che Lei rimane turbata di fronte alla scelta celibataria fatta dal Signore non deve suonare a bestemmia alle orecchie di certe anime belle. Per qualsiasi ebreo del tempo la sessualità ed il matrimonio vengono considerati come benedizioni donate all’umanità da parte di un Creatore benevolo. Il celibato come stile di vita per i comuni ebrei religiosi e specialmente per un maestro o un rabbi, sarebbe stato impensabile al tempo di Gesù. L’UNICA INTENZIONE DI MARIA: STARE DALLA PARTE DI DIO. SEMPRE
Noi sappiamo con certezza che Gesù è celibe per scelta sua personale. Ma una
MARIA
scelta così radicale, e così in controtendenza con le regole sociali del tempo, scuote le coscienze e turba gli animi. Su un argomento così importante e sensibile, è impossibile che Maria non sia coinvolta. Non si tratta del dubbio che corrode la fede, ma di quello che interpella ed inquieta l’intelligenza. È vero che gli Esseni praticano il celibato. Ma essi non prendono moglie non certo per motivi nobili, ma per convenienza: il non sposarsi li libera dal fastidio delle donne che potrebbero essere egoiste, gelose ed esigenti. Le convinzioni degli Esseni sono note al popolo. Che esse stiano alla base della scelta di Gesù turba l’anima di Maria, ma non mina la sua indistruttibile fiducia in Lui. Noi sappiamo che Gesù è celibe non perché misogino, ma perché ha chiara
la certezza della sua singolare vocazione profetica a dedicare totalmente se stesso alla sua missione divina di salvezza. Ma come può Maria essere cosciente di questo? Umanamente è impossibile. La sua totale adesione e piena comprensione avviene solamente dopo un lungo cammino di lenta macerazione maturata nella sofferenza, nella preghiera, nella sequela e nello smisurato amore. Essere «piena di grazia» non la esime dal percorrere il cammino di qualsiasi mamma del mondo che voglia penetrare il mistero nascosto in ogni figlio. Privarla di questo significa svuotarla della sua umanità per farne una divinità che non le compete affatto. La luna e le stelle sotto i suoi piedi, la corona di diamanti, l’aureola d’oro, le magnifiche tuniche, la bellezza indescrivibile fanno parte di un devozionalismo che le fa torto e che sminuisce la sua dignità di persona umana. Maria è grande non per queste chincaglierie, ma perché nella testimonianza della sua radicale appartenenza al Figlio ci ha insegnato la strada che ognuno di noi deve percorrere se vuole camminare con Lei alla sequela del suo Figlio. Lei non si è mai preoccupata, come i due senatori americani, di avere Dio dalla sua parte. La sola sua intenzione è stata quella di stare lei dalla parte di Dio. Sempre. BERNARDINA DO NASCIMENTO redazione.rivista@ausiliatrice.net
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Un figlio non è una fotocopia Una madre dopo una feroce aggressione all’amato figlio realizza che è tempo di prendere atto della sua omosessualità. Lidia decide di stare accanto a Stefano e di provare ad accettare le sue scelte.
Davanti alla sala del Pronto Soccorso Lidia si rese conto che non poteva più fingere e doveva affrontare, in primo luogo con se stessa, il problema. Nella notte era stata svegliata da una telefonata dei carabinieri che l’avevano avvisata che suo figlio Stefano era stato ricoverato presso l’ospedale della loro zona, a seguito di un’aggressione. Il ragazzo era stato picchiato, o meglio pestato a sangue con una rabbia, una violenza ed un odio feroce: gli avevano rotto alcune costole ed il viso era tumefatto, gli occhi gonfi, le labbra e i denti anteriori spaccati a forza di calci e pugni: e per non farlo soffrire troppo i dottori lo avevano sedato. Lidia comprese subito che il furto del cellulare non era stata la causa primaria, suo figlio era stato vittima di un grave episodio di omofobia, mentre tornava a casa a piedi, da solo. Sino ad allora aveva cercato di non vedere una realtà per lei trop36
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po difficile, nonostante quotidianamente avesse sotto gli occhi Stefano: un ragazzo studioso, intelligente, brillante, dai gusti molto raffinati, con tanti amici ed amiche ma anche con tante inquietudini, silenzi, disagi che lei aveva preferito non approfondire come se l’ignorare equivalesse al negare l’esistenza di un problema. APRI GLI OCCHI!
Ora doveva aprire gli occhi, guardare in faccia una situazione che la metteva a disagio perché, nonostante i tempi fossero cambiati, per lei non era così semplice e naturale. Sui giornali, in televisione, al cinema, nei libri si parla ormai liberamente di omosessualità e delle diverse forme dell’amore senza imbarazzi, perché per lei invece costituiva una realtà così dura, che la spaventava e la destabilizzava? Era rimasta stupita e al contempo
DON BOSCOMARIA OGGI
ammirata dal comportamento di una sua amica che, venuta a conoscenza dell’omosessualità del figlio, ne aveva parlato con tutti, come fosse una cosa assolutamente normale. Ripensandoci ora, mentre attendeva nel silenzio del corridoio d’ospedale, le veniva il dubbio che quell’eccessiva esibizione di apertura mentale dell’amica rivelasse invece un disperato bisogno di trovare consensi ed approvazioni per essere lei stessa rassicurata! Lidia era invece ben decisa a trovare da sola la strada che l’avrebbe portata ad accettare in toto quel figlio che tanto amava e su quella strada l’avrebbe guidata Maria.
PROVI UN’ATTRAZIONE OMOSESSUALE E SEI IN CERCA DI RISPOSTE? COURAGE, APOSTOLATO DELLA CHIESA CATTOLICA, FORNISCE ASSISTENZA ALLE PERSONE CON ATTRAZIONE PER LO STESSO SESSO E AI LORO CARI ED È STATO APPROVATO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA (CARD. LOPEZ TRUJILLO -. PROT N216/93). SAN GIOVANNI PAOLO II HA DETTO DI QUESTO MINISTERO: «COURAGE STA COMPIENDO L’OPERA DI DIO!»
MARIA MEDITAVA NEL SILENZIO
Nel Vangelo di Luca, l’evangelista più delicato, quello che Lidia prediligeva, viene sottolineato l’atteggiamento della Madonna che meditava dentro di lei quanto le capitava di vivere e lo serbava nel suo cuore. Meditando, nella ricchezza del silenzio, Maria aveva potuto imparare a capire il cammino che Dio le proponeva e viverlo sino in fondo. Un cammino spesso diverso da come se lo era immaginato, a volte incomprensibile ma che le aveva insegnato a sue spese cosa intendeva dire Simeone con la frase: «...una spada ti trafiggerà l’anima e dovrai soffrire molto». Anche Lidia, attraverso la meditazione, avrebbe ripensato alla vita sua e di suo figlio, ed anche senza comprendere nel profondo gli avvenimenti inaspettati che le si erano parati davanti, avrebbe cercato di essere sempre profondamente vicina a Stefano, come aveva fatto Maria, anche quando non era fisicamente vicina
a Gesù mentre lui percorreva strade polverose verso villaggi e città, per predicare; aveva condiviso ogni cosa e quando a lui una lancia aveva trapassato il costato, a lei una spada aveva trafitto il cuore. OLTRE IL PREGIUDIZIO
Anche Lidia si sentiva percossa nel corpo e nello spirito come suo figlio, ma questa sofferenza l’avrebbe aiutata a maturare la sua capacità di comprensione e condivisione. Avrebbe imparato ad accettare le scelte di Stefano, ad accantonare le proprie aspettative, a gestire i disagi e ad essere forte perché sapeva che suo figlio percorrendo quella strada avrebbe incontrato difficoltà e pregiudizi. FRANCESCA ZANETTI redazione.rivista@ausiliatrice.net
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GIOVANI
Se condividi moltiplichi! Ricordi quella stupenda pagina che noi chiamiamo “moltiplicazione dei pani”? Pensa che è l’episodio più raccontato dagli evangelisti a dispetto di altri raccontati solo da uno o dall’altro. La lavanda dei piedi, per es., la racconta solo san Giovanni. Luca e Marco la raccontano due volte! Quindi in totale sei volte. Sarà certamente perché vuole darci un messaggio preciso al di là del semplice fatto straordinario dei pani e i pesci che bastano per tutti e avanzano ancora abbondantemente. IL PROBLEMA DELLA FAME
Nei vari testi non si parla di “moltiplicazione” ma viene raccontato un momento di grande “condivisione”. È importante coglierne la differenza. Dire moltiplicazione significa affermare che qualcuno finalmente risolve il problema. Dire condivisione è un invito a farsi carico del problema. Come dire che non c’è soluzione se non ci si lascia coinvolgere personalmente. Gli apostoli, cioè tutti noi, hanno molti dubbi sul come affrontare il problema. Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». I Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle cam38
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pagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Insomma sembrano dire a Gesù che il problema della fame non è un problema loro, non ha niente a che fare con la fede. Non pensiamo anche noi così? La fede è credere in Dio, pregare, andare a messa, non fare questo e fare quello... ma la fame la risolvano i politici o gli addetti di mestiere. Oppure, ognuno si arrangi! LA SOLUZIONE DI GESÙ
Il Regno di Dio, dice Gesù, non è “altrove”, il Paradiso non è qualcosa di diverso dalla vita concreta che vivo giorno dopo giorno. Non è un punto di arrivo perché «il Regno è vicino, il tempo è compiuto, convertitevi e credete al Vangelo». Bisogna smettere di fare fioretti per andare in Paradiso. Bisogna occuparsi di costruirlo il Paradiso, il Regno di Dio, facendo di tutto perché chi ha fame mangi, chi ha sete abbia da bere, chi è nudo sia vestito, chi è malato sia curato, chi è migrante sia accolto, chi è nero non venga considerato diverso dal bianco... Alla fine dovremo rendere conto solo di questo. E se falliamo la risposta (Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato, nudo, migrante?) non varrà nulla difender-
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GESÙ RAGIONA SECONDO LA LOGICA DI DIO, CHE È QUELLA DELLA CONDIVISIONE. QUANTE VOLTE NOI CI VOLTIAMO DA UN’ALTRA PARTE PUR DI NON VEDERE I FRATELLI BISOGNOSI! E QUESTO GUARDARE DA UN’ALTRA PARTE È UN MODO EDUCATO PER DIRE, IN GUANTI BIANCHI, “ARRANGIATEVI DA SOLI”. E QUESTO NON È DI GESÙ: QUESTO È EGOISMO. (PAPA FRANCESCO, ANGELUS 3/8/2014)
ci portando a nostra difesa che non abbiamo perso messa una domenica e tutte quelle storie lì. Una sola domanda. Riconoscere Gesù ogni volta che incontriamo uno che non riesce a vivere dignitosamente la sua umanità per problemi materiali o psichici o morali superando tutte le forme culturali che riducono il Vangelo a qualcosa che guarda il futuro ma ignora il presente. Il Regno di Dio è vicino. Il tempo è compiuto. Quindi? BEATI I POVERI
È chiaro che Gesù non si preoccupa solo della fame di pane e quindi offre un pane molto diverso dalla manna di Mosè. «Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Dopo la Risurrezione gli apostoli prima dubbiosi agiranno come Gesù. Pietro: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!». Non avere niente è povertà ma dare tutto è condivisione. Madre Teresa
a un giornalista che le chiedeva se pensava di risolvere i problemi della povertà dell’India, rispondeva che lei era una goccia ma se tante gocce si mettono insieme diventano un oceano e ce ne sarà per tutti. Beati i poveri in spirito. Più si è veramente poveri, evangelicamente parlando, più si vive tutti i giorni la condivisione e tutti mangiano e raccolgono gli avanzi, riempendo dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Buon Natale! GIULIANO PALIZZI palizzi.rivista@ausiliatrice.net
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Papa Francesco interpella i giovani I nuovi problemi sociali.
Durante i mesi estivi, mentre la gran parte degli italiani si godeva le agognate vacanze, l’opinione pubblica europea è stata colpita e scioccata dall’esodo di profughi che si è abbattuto sul nostro continente risvegliando paura, egoismi nazionali e tenebrosi atteggiamenti razzisti. La politica europea si è subito dimostrata non all’altezza di poter gestire questo enorme problema sociale. Si sono riaccese le braci del nazionalismo. Le frontiere abolite dal trattato di Schengen sono ritornate di moda. La libera circolazione sbandierata come un segno di civiltà è stata rimessa in discussione. La cosa più vergognosa è che alcuni partiti hanno cominciato a soffiare sulle inevitabili inquietudini e perplessità della gente. La rete ha cominciato a pullulare di insulti, parolacce e provocazioni contro i fuggiaschi e profughi.
media hanno inondato le nostre case con l’agghiacciante foto di un soldato turco che esce dal mare portando il corpo di un bambino siriano, originario della città di Kobane, affogato con la madre ed un fratello al largo delle spiagge della località turistica di Bodrum. L’immagine, nella sua drammatica essenzialità, tocca la coscienza di molti. L’opinione pubblica, che solo alcuni giorni prima aveva metabolizzato senza battere ciglio le fotografie di diversi altri ragazzi siriani morti affogati distesi sulle sabbie libiche di Zuwara, sembra intenerirsi. Ma è questione di poco tempo. L’avanzata travolgente dei fuggiaschi spazza via la pietà per lasciare il posto al cinismo bieco dei moderni politici tutti protesi a salvaguardare solo i propri interessi nazionali. ALCUNE REAZIONI
UN EPISODIO CHE TOCCA LE COSCIENZE
L’indignazione montante contro i nuovi flussi immigratori il 2 settembre scorso si è arrestata, momentaneamente, davanti ad un episodio terribile. In quel giorno i 40
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In Italia ci sono state alcune reazioni che non possono essere passate sotto silenzio. Mi limito accennarne due: una di un politico e l’altra di un prete. Il politico è l’attuale leader di uno dei partiti politici italiani di opposizione. Non ha esitato
LA SPINTA PROFETICA DI PAPA FRANCESCO
Da Capitol Hill, sede del Congresso americano, per fortuna, ai giovani giunge per l’ennesima volta forte e chiaro l’invito all’accoglienza, alla speranza, al rispetto di ogni vita, alla tutela di ogni persona che deve godere di diritti inalienabili. A chiare e pacate parole il papa ricorda ai politici americani che tutte le volte che cantano il loro inno definiscono gli USA «terra dei liberi e casa dei valori». Con parole appassionate ricorda a tutti l’obbligo di educare alla responsabilità personale e sociale da realizzare nel rispetto della legge e della dignità trascendente di ogni essere umano. Rammenta che libertà significa lavoro e sacrificio per costruire un futuro migliore per tutti. Come modelli da imitare propone quattro grandi americani: il presidente Abramo Lincoln, il pastore Martin Luther King, la beata Dorothy Day ed infine il monaco trappista Thomas Merton. Tutti e quattro sono depositari di un sogno da realizzare con impegno e costanza. Abramo Lincoln ha fatto suo l’ideale della libertà radicata nella ricerca per il bene comune che richiede capacità di amare e di collaborare con spirito di sussidiarietà e solidarietà in un clima di non ideologia, di non violenza, di assenza di fanatismo
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un istante a saltare sul carro del razzismo grondante pregiudizi e gravido di torbide paure. Con un linguaggio da carrettiere di infima qualità si è fatto paladino di una campagna politica finalizzata ad irridere l’invito all’accoglienza rivolto da papa Francesco a tutti. Il prete è un parroco di un paese alle porte di Pisa che dalla pagina web, da cui comunica con i parrocchiani, invita una madre di famiglia, che manifesta la sua paura nei confronti dei rom, a munirsi di fiammiferi e di benzina. Penso che sia il politico sia il prete non rendano un buon servizio alla causa dell’educazione dei giovani.
religioso e di non sudditanza economica. Martin Luther King, con la sua famosa marcia da Selma a Montgomery, ha profetizzato una società che riconosca pienezza di diritti civili e politici per ogni uomo, in cui a tutti è dato di vivere nobilmente e giustamente senza distinzione di razza o di religione. Dorothy Day ha incarnato il sogno della possibilità di dedicarsi completamente all’impegno sociale a cui si è dedicata con passione e con inesauribile dedizione. Il trappista Thomas Merton viene presentato da papa Francesco come uomo del dialogo con tutti. Per lui libertà vuole soprattutto dire essere liberi dalla propria violenza, dai propri egoismi, dai propri disperati e contrastanti desideri. In sintesi da Washington Francesco presenta ai giovani un progetto educativo che li abiliti a voler crescere liberi, collaborativi, solidali, lontani da ideologie e religioni alienanti, testimoni di speranza, capaci di guarire i cuori pietrificati, testimoni di giustizia, paladini della carità, rispettosi dei diritti, capaci di moderare i propri desideri ed aspettative individuali. È un progetto che anche noi dobbiamo avere il coraggio di proporre alla nostra gioventù. ERMETE TESSORE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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SEMPRE CON NOI
Un cuore grande come la sabbia del mare
Il mio Toro. La mia missione Gandolfo Beppe; Rabino Aldo Priuli & Verlucca, 2012 pagine 143, euro 14,90
Un prete insieme antico e moderno, concreto e lungimirante, che ha abbracciato la causa di don Bosco e quella della squadra di calcio del Toro di cui è stato per quarantacinque anni il cappellano, affascinato dall’idea di farsi prossimo ai bisogni dei ragazzi per richiamarli poi a orizzonti più ampi. Erano in duemila lo scorso 20 agosto nella Basilica di Maria Ausiliatrice per l’ultimo saluto al salesiano don Aldo Rabino, scomparso all’improvviso a 76 anni circondato dai suoi giovani dell’OASI (Ora Amici Sempre Insieme) di Maen in Valtournenche, sulla strada verso Cervinia. INSEGNARE PER CRESCERE
Docente di Storia e di Religione dal 1969 al 1978 all’ex Istituto salesiano per ragionieri San Paolo, don Aldo non è stato mai banale per tan42
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te generazioni di ragazzi che lo ricordano con l’affetto che si dà a qualcuno che è stato più di un professore. Dalla parte dei giovani, sempre. I giovani «realtà splendida e faticosa» si legge nel libro-intervista Il mio Toro, la mia missione scritto con l’amico e giornalista Beppe Gandolfo. SALESIANO PRIMA CHE PRETE
Penultimo di cinque fratelli, don Aldo è cresciuto all’oratorio Rebaudengo per poi proseguire il suo cammino salesiano a Chieri: noviziato a Pinerolo, liceo a Foglizzo, tirocinio a Lombriasco e Teologia a Roma. Sono quelli gli anni del Vaticano II e della Populorum Progressio di Paolo VI. Sia il Concilio sia quell’enciclica indicano ai giovani la strade del servizio, dei poveri. Don Aldo ci sta: nell’agosto del 1965 ai Becchi di Ca-
stelnuovo fa la sua professione perpetua, nel dicembre ’68 diventa sacerdote e si dà agli altri.
di Rivalta, altro polo per i giovani. Un motore diesel nato per macinare chilometri e capace di trasformare le idee in realtà.
UN ORATORIO SENZA CONFINI
IL TORINO CALCIO
Ha fatto tanto: dopo un periodo nella missione salesiana in Bolivia, a fine anni Sessanta a Torino fonda l’Operazione Mato Grosso, per coinvolgere in quegli anni ruggenti giovani e adulti in un impegno terzomondiale capace di misurarsi con la marginalità reale; nelle favelas brasiliane di Campo Grande contribuisce alla costruzione del lebbrosario e dell’ospedale gratuito per malati di cancro e di Aids di San Julião, e poi l’OASI in Valle d’Aosta, progetto nato dalla ristrutturazione di una vecchia centrale dell’Enel ai tempi dell’oratorio in Borgo San Paolo dove nei primi anni Settanta molti ragazzini non avevano spazi di ritrovo in estate e per questo finivano in strada. Ancora: il Laura Vicuña
Il Toro entra nella vita di don Aldo il 4 maggio del 1949 quando bimbo vide passare per l’ultima volta sopra la colonia estiva ligure di Loano dove si trovava l’aereo che avrebbe dovuto riportare a casa il Grande Torino. «Un segnale premonitore» dirà poi lui. Raccolse il testimone di cappellano della squadra nel 1971 da un’altra figura speciale, don Franco Ferraudo, cinque lauree e un passato da musicista nella banda della Marina. Diventerà presto un punto di riferimento per chi è cresciuto con quella maglia addosso, per chi ce l’ha fatta ad arrivare a giocare in serie A, per i presidenti, per gli allenatori, per i bambini della scuola calcio e per i loro genitori, per le migliaia di iscritti ai Toro Club.
UN’EREDITÀ DI CUI FARE TESORO
Don Aldo è uno di quelli che gli insegnamenti di don Bosco li ha letti, capiti, rispettati. Ha vissuto per la Chiesa, i giovani e il calcio. Quello sport che è un mondo difficile, geloso di se stesso, che non accetta invasioni. Bisogna rispettarlo, esserci quando ti chiamano, guadagnarti la stima di chi si gioca tutto nei novanta minuti di una partita. Lui ce l’ha fatta: alla fine è stato un compagno di squadra per tanti che grazie a questo salesiano sono cresciuti nello spirito e nell’amicizia. Un “don” in maniche di camicia, in mezzo agli altri, per gli altri. ANDREA CAGLIERIS GIORNALISTA RAI E SEGRETARIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DEL PIEMONTE redazione.rivista@ausiliatrice.net
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DON BOSCO OGGI
Spuma di mele
4 grosse mele 2 cucchiai di zucchero a velo 1 albume d’uovo 1 etto di panna montata
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Chissà se EXPO 2015 assegnerebbe ai Salesiani il primo premio, negato a don Bosco e alla sua editoria, dalla giuria torinese dell’Esposizione della Scienza e della Tecnica nel lontano 1884? Per quella mostra era quasi stata smontata e rimontata la cartiera salesiana di Mathi. I media hanno dato spazio al viaggio del Rettor Maggiore a Mathi, il 30 maggio scorso, per ricordare l’importanza di quel piccolo miracolo economico che aveva cambiato radicalmente la vita del paese canavesano. Accanto alla cartiera (oggi di proprietà finlandese) e per affiancarne l’attività erano sorte quattro comunità di FMA, poi chiuse fra gli anni Settanta e Novanta. Ad una di quelle, il Convitto Santa Lucia, sono legati il ricordo e l’affetto di tante exallieve della Valtellina, che al Convitto avevano frequentato la scuola di ricamo e che ogni anno, puntualmente, tornano a Mathi in pellegrinaggio, dal 1987. Nel luglio di quell’anno una frana, seguita all’alluvione, aveva distrutto completamente molti dei loro paesi di origine. Le exallieve, miracolosamente sopravvissute alla tragedia, si ritrovarono e si riunirono, da diversi punti della valle, organizzando una catena di solidarietà per aiutarsi, confortare i superstiti, seppellire i morti. Nell’autunno dello stesso anno organizzarono un pellegrinaggio a Torino per ringraziare Maria Ausiliatrice che aveva salvato le loro famiglie. Da Torino proseguirono per Mathi. Negli anni successivi hanno continuato (e continuano) a percorrere puntualmente lo stesso itinerario, con figli e nipoti: Torino, Messa in Basilica; tappa a Mathi per rivedere i luoghi dell’adolescenza e ritrovare emozioni del passato. Infine, allegro pranzo al ristorante, dove, forse, oggi si serve ancora il semplice dolce di mele che le suore del Santa Lucia preparavano per la festa dell’Immacolata e di cui le riconoscenti exallieve conservano la ricetta. Togliere il torsolo alle mele e cuocerle al forno. Passarle quindi al passaverdure, sbattendo poi il composto con una frusta elettrica. Unirvi, mescolando delicatamente, l’albume, montato a neve con lo zucchero, e la panna montata. Servire in coppe individuali, con biscotti secchi o fette di panettone tostate. ANNA MARIA MUSSO FRENI redazione.rivista@ausiliatrice.net
Dio benedica e ricompensi largamente la carità dei nostri benefattori. Don Bosco
Ricordiamo che la prima santa Messa quotidiana
celebrata nella Il Basilica di 1887 Maria Ausiliatrice 19 dicembre per l’ultima volta Don Bosco è officiata per tutti i benefattori dell’opera salesiana. si sedette alla scrivania e con fatica alcune 2016 frasi, l’abbonamento Avvisiamo i lettori che dascrisse gennaio come la presente, su immagini annuale Italia saràchedisi volevano Euro 15,00 anche per i rinnovi mandare Benefattori. LaaiRedazione MARIA AUSILIATRICE R I V I S T A
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36 A MATHI E A NOLE.
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