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L’arte della guerra nel Bellifortis di Konrad Kyeser, di Andrea Molinari “

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Codices Machinarum: ii. Bellifortis (1405)

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L’arte della guerra nel Bellifortis di Konrad Kyeser

di Andrea Molinari

Nel 1405, dalle montagne boeme dove si trovava in esilio per decisione del «perfidus princeps»1 Sigismondo, il medico bavarese (era nato ad Eichstätt nel 1366) Konrad Kyeser conclude il suo ponderoso trattato intitolato Bellifortis, un neologismo latino che possiamo tradurre come «forte in guerra». Il codice, costituito da ben 140 fogli di pergamena, è illustrato da preziose miniature, realizzate da artisti di scuola boema che, come Kyeser stesso, erano stati cacciati dalla corte di Venceslao quando quest’ultimo era stato deposto dal fratellastro Sigismondo, nel 1402.Malato e consapevole di essere vicino alla morte, Kyeser dedica ogni sua energia alla compilazione del Bellifortis, che assume per l’autore la valenza di una sorta di testamento spirituale. Basti pensare che il codice si conclude con un grande ritratto a colori di Kyeser stesso e addirittura con il suo epitaffio autografo, in cui viene lasciata in bianco la data di morte.

1 Bellifortis, Cod. Ms. philos. 63 der Universitätsbibliothek, Göttingen, fol. 139v. Tutti i riferimenti a Konrad Kyeser e al Bellifortis, ove non espressamente citato, fanno riferimento a Götz Quarg (ed.), Bellifortis, I, II, Verlag des Vereins Deutscher Ingenieure, Düsseldorf 1967.

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In effetti, il tratto più originale del Bellifortis è proprio la complessa e controversa figura dell’autore che, come vedremo, offre una sua personale, nitida e per certi versi sorprendente visione dell’arte della guerra del primo Quattrocento: certamente Kyeser non scrive in modo esplicito di future wars, almeno non nel senso che oggi attribuiamo a questa espressione, ma scorrendo le pagine del Bellifortis si intravvede uno scopo preciso: descrivere e far conoscere quegli strumenti che potranno permettere la riscossa dopo la disastrosa sconfitta subita dagli eserciti cristiani nella battaglia di Nicopoli, l’evento che pose fine alla crociata proclamata da Bonifacio IX nel 1394 e alla quale avevano aderito il regno d’Ungheria (il cui trono era tenuto da Sigismondo del Lussemburgo, figlio dell’imperatore Carlo IV) e la Francia di Carlo VI.

In quella crociata, ai contingenti ungherese e francese si erano aggiunte anche forze inglesi, della Valacchia, di varie regioni tedesche e transilvane. Nell’estate del 1396 l’esercito cristiano iniziò la campagna di guerra, conquistando Rahova e ponendo l’assedio a Nicopoli. La città resistette abbastanza da permettere al sultano Bayezid I di accorrere in suo soccorso con un forte esercito. Lo scontro campale che ne scaturì vide la disfatta dei crociati: i francesi attaccarono per primi e sembrarono prevalere ma furono poi travolti dagli ottomani. Sigismondo in un primo momento intervenne in aiuto dei francesi ma poi decise di fuggire, abbandonando le forze superstiti alla sconfitta.

Quel giorno, era il 28 settembre 1396, segnò per sempre la vita di Kyeser: presente egli stesso sul campo di battaglia, trascinato dall’entusiasmo per un’impresa che prometteva di ripercorrere le gesta di Alessandro Magno, conquistatore dell’Oriente, il futuro autore del Bellifortis assistette alla rotta degli eserciti cristiani, vide Sigismondo trasformarsi in un anti-Alessandro e fuggire con ignominia: Nicopoli divenne una Gaugamela alla rovescia e i sogni di Kyeser svanirono, lasciando il posto a un sordo risentimento che affiora in tutto il suo livore, a quasi dieci anni dai fatti, nelle prime righe del Bellifortis. Con profonda amarezza («perfusa amaritudine spiritus2»), Kyeser rievoca quel «diem impium», imputandone l’esito nefasto a Sigismondo, del quale aveva osservato la «repentinam

2 Bellifortis, cit. fol. 3r. Anche le citazioni seguenti sono tratte dal folio 3r.

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fugam». Al re d’Ungheria sono riservate parole durissime («fallacem et nequam», falso e buono a nulla) fino a quella già ricordata definizione di «perfidus», certamente legata alla decisione di Sigismondo stesso di esiliare i sostenitori del fratellastro Venceslao, tra i quali (non sorprendentemente) Kyeser e i già citati artisti della corte boema.

Se Sigismondo è il campione negativo del Bellifortis, le speranze di Kyeser sono riposte in Roberto III, elettore del Palatinato e Rex Romanorum dal 1400 al 1410, al quale, in un lungo panegirico introduttivo3, è dedicato il trattato. Nelle prime pagine, prive di illustrazioni ad eccezione del grande grifone che campeggia sul primo foglio, Kyeser inserisce anche indicazioni sulle sue fonti: oltre alle sue personali conoscenze («per sapientiam ruminatus sum»), dichiara di aver attinto «studiose [et] laboriose» a Vegezio, Antonio Romano e «aliis auctoribus autenticis»4. Dedicheremo in seguito alcune note circa la formazione di Kyeser e le sue fonti: diamo ora uno sguardo ai contenuti del Bellifortis.

la fortuna del Bellifortis

Il trattato di Kyeser si presenta come un codice manoscritto estremamente prezioso: per formato, numero di fogli di pergamena (ben 140), ricchezza di illustrazioni, uso dell’esametro latino. Queste caratteristiche lo iscrivono al genere dei cosiddetti «presentational manuscripts or books», ovvero quelle opere destinate a offrire a re, principi e signori una presentazione dotta, erudita e preziosa della materia trattata. Lo scopo di queste opere non era quindi quello di istruire tecnici e artigiani su come

3 Bellifortis, cit. fol. 2r e 2v. 4 Bellifortis, cit. fol. 3r. Kyeser stesso cita alcune delle sue fonti, tra cui Vegezio, Antonio

Romano (l’imperatore Gordiano, ritenuto nel Medio Evo autore di trattati di arte militare), altri autori antichi quali Filone di Bisanzio, Galeno, Tolomeo. In generale, Kyeser possedeva una solida formazione, acquisita nel corso di viaggi in Europa e studiando presso i domenicani di Eichstätt, l’università di Padova, le corti di Venceslao e di numerosi signori. Conosceva certamente, attraverso le traduzioni latine, i più noti trattati greci, ellenistici e arabi e opere come il Secretum Secretorum dello pseudo-Aristotetele, il liber ignium di

Marco Greco, gli experimenta attribuiti ad Alberto Magno, il De diversis artibus del monaco Teofilo, solo per citarne alcuni. Sulla formazione di Kyeser e i materiali di studio più diffusi al suo tempo, cfr. Benedek Láng, Unlocked books: manuscripts of learned magic in the Medieval libraries of Central europe, The Pennsylvania State U. P., University Park, 2008.

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costruire una certa macchina (in questo caso si parlerebbe di ‘workshop drawings’): questa distinzione deve essere tenuta sempre presente, diversamente si rischierebbe di fraintendere completamente il senso del Bellifortis e di altre opere simili5 .

Come esempio di «presentational manuscript», l’opera di Kyeser è preceduta solo dal texaurus di Guido da Vigevano6 dal quale però si discosta sotto molti aspetti: anche senza considerare i contenuti, il Bellifortis è più ricco e corposo. Si può affermare che esso sia un vero e proprio capolavoro, forse il più affascinante e prezioso codice tecnico manoscritto del Quattrocento, sicuramente superiore – per qualità complessiva delle illustrazioni – anche a lavori posteriori, come quelli del Taccola o del Fontana. La sua fortuna fu immediata e notevole, soprattutto (ma non solo) in Germania: il Bellifortis fu copiato o servì come fonte di ispirazione per numerosi altri trattati del genere, realizzati perlopiù nel corso del XV secolo. Tuttavia, dopo il Quattrocento la sua influenza scemò fino a scomparire; i primi studi moderni risalgono alla fine del XIX secolo ma è solo nel 1967, con l’edizione anastatica del manoscritto conservato presso la biblioteca universitaria di Göttingen,

5 Cfr. Wolfgang Lefèvre (ed.), Picturing machines, 1400-1700, Massachussets Institute of

Technology, Cambridge, 2004, pp. 13-15 e Marcus Popplow, Why draw pictures of machines? the social contexts of early modern machine drawings, in Lefèvre, cit., pp. 20-28. 6 Su Guido da Vigevano, cfr. Giustina Ostuni, le macchine del re. il “texaurus regis Francie” di Guido da Vigevano; trascrizione, traduzione e commento del codice lat. 11015 della Bibl. nationale di Parigi, Diakronia, Vigevano 1993. Segnalo anche i numerosi studi di Aldo A. Settia, tra cui la voce «Guido da Vigevano» online su Treccani.it e il saggio che compare in questo stesso volume.

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curata e commentata da Götz Quarg, che il Bellifortis ritornò alla luce in tutto il suo splendore e la sua complessità7 .

Struttura e contenuto

Il codice si articola su dieci capitoli, preceduti da un «Exordium» introduttivo e seguiti da un «Epichedion» conclusivo. I capitoli non hanno titolo ma l’autore, nell’introdurre ciascuno di essi, descrive genericamente l’argomento che verrà trattato. L’elenco qui sotto riporta, sintetizzandola e attualizzandola, la descrizione di Kyeser di ciascuna sezione del Bellifortis:

I. Carri e macchine da guerra campali

II. Macchine d’assedio (“instrumenta ingeniorum”)

III. Ponti e sistemi di attraversamento dei corsi d’acqua

IV. Scale d’assalto

V. Balestre

VI. Sistemi difensivi e di guardia

VII. Mezzi di illuminazione

VIII. Fuoco e artiglierie a polvere

IX. Mezzi di riscaldamento

X. Strumenti e attrezzi ausiliari

Gli argomenti trattati sono numerosi e restituiscono un’idea di completezza: Kyeser – in questo pienamente uomo del suo tempo – non vuole offrire un approfondimento tecnico su un argomento specifico ma piuttosto una visione organica, completa ed esaustiva del sapere applicato all’arte della guerra, fondendo insieme le arti liberali, le arti meccaniche e le arti magiche («Artes theurcigae»).

Quest’ultimo aspetto è tra quelli più interessanti e originali del Bellifortis e ci torneremo in seguito: per il momento, basti sottolineare come Kyeser

7 Sulla fortuna del Bellifortis cfr. Lynn White, Jr, «Kyesers’s ‘Bellifortis’: the first technological treatise of the Fifteenth century», technology and culture, 10, luglio 1969, pp. 436441. Al saggio di White sono debitore per gran parte delle argomentazioni svolte, in particolare per l’analisi di alcune delle più interessanti tavole del Bellifortis.

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dichiari che le arti magiche non solo sono connesse a quelle meccaniche, ma addirittura ne rappresentano la parte più sofisticata («Artes cuncte theurgice maioris et minoris cunctarum mechanicarum stili subtilioris»8). Significativo anche il fatto che, nell’elenco delle arti stilato da Kyeser, le artes theurgicae siano citate subito prima dell’ars militaris, quasi che quest’ultima discenda dalle prime.

Ma soffermiamoci ora più in dettaglio sui contenuti del Bellifortis.

Il trattato si apre con una serie di magnifiche raffigurazioni astrologiche, in cui gli astri sono rappresentati come personificazioni equestri. Questo è pienamente nel solco della consolidata tradizione medievale dei medici astrologi e non costituisce in sé una novità. Medicina e astrologia erano strettamente connesse nell’insegnamento universitario del tempo e non sorprende che il medico Kyeser conceda uno spazio tanto ampio all’astrologia. Tuttavia, la scelta di Kyeser di aprire il suo trattato con una processione degli astri personificati costituisce una preziosa introduzione alla

8 Bellifortis, cit., fol. 136r.

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personale visione dell’autore, in cui i fatti terreni non possono essere disgiunti dalle potenze astrali o dalla magia: una visione, quindi, che deve molto alla formazione dello stesso Kyeser.

Subito dopo la processione dello zodiaco incontriamo il personaggio più citato e rappresentato all’interno del trattato: Alessandro Magno9. Kyeser lo descrive come mago e inventore di una grande macchina da guerra10 . Seguono altre macchine campali, tra cui si distinguono grandi carri protetti e armati con falci e cannoni, simili alla panthera di Guido da Vigevano11 . Notevoli le illustrazioni con i carri in formazione (folio 17r) e l’esotica macchina teratomorfa attribuita al re indiano Poro (un altro riferimento indiretto ad Alessandro; folio 27r).

All’inizio del secondo capitolo, dedicato alle macchine d’assedio, si trova la magnifica raffigurazione di un grande trabucco a contrappeso (folio 30r: forse la tavola di maggiore valore artistico dell’intero codice), la prima così dettagliata e precisa dopo lo schizzo tecnico di Villard de Honnecourt del XIII secolo. Numerose sono le rappresentazioni di tettoie e mantelletti (scudi mobili), uno dei quali opera dello stesso Kyeser (folio 41v).

Il problema del superamento di fiumi e ostacoli acquatici è l’oggetto del terzo capitolo. Interessanti i ponti modulari e d’assalto, le navi a ruote, i sistemi idraulici. Particolarmente degni di nota sono la vite di Archimede al folio 63r (prima chiara rappresentazione di tale dispositivo dall’antichità12) e le attrezzature di respirazione subacquea (folio 55r, 62r, 63v, 66r).

Il capitolo quarto contiene disegni di ingegnose scale d’assalto, di tipologie diverse; il capitolo cinque è interamente dedicato alle balestre. Se ne presentano numerose versioni, completate da rappresentazioni di dardi e di sistemi di caricamento, tra cui un interessante verricello a pulegge con

9 Alessandro Magno è raffigurato per ben quattro volte (fol. 11v, 12r, 91r, 93r) e citato in otto punti del testo: fol 12r (r 1); 15v (r 1 e 15); 90v (r 19); 91r (r 1); 93r (r 1); 100v (r 10 e 37). 10 La macchina attribuita ad Alessandro (che l’avrebbe realizzata su suggerimento di Aristotele) è il grande carro protetto da trasporto truppe al folio 16r: «Hoc instrumentum ab allexandro repertum, philisopho summo traditum est» (fol. 15v, r 1). 11 In particolare il carro al folio 25r. 12 Cfr. White, cit. p. 439.

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fuso conico (folio 76v) che, secondo Lynn White13, anticipa di una generazione i meccanismi simili introdotti negli orologi.

Il sesto capitolo illustra alcuni sistemi di guardia da porre a difesa dei castelli o degli accampamenti: cani, oche, pali acuminati nei fossati o intorno alle tende, ponti levatoi che collassano a comando. Curiosa la scena rappresentata nella tavola del folio 87r: vi si vedono contadini attaccare e uccidere soldati intontiti dal vino avvelenato con una pozione ottenuta dalle radici del «muliol», un albero misterioso e non identificato.

Il capitolo seguente (settimo) è uno dei più originali del Bellifortis: l’autore si concentra sul problema di realizzare adeguati sistemi di illuminazione che non si spengono con la pioggia o con il vento. Il riferimento è ancora una volta Alessandro Magno, raffigurato a cavallo con una lunga picca sulla cui sommità risplende un globo infuocato (folio 91r). Seguono pagine e pagine di ricette magiche e incantesimi, come la necromanzia del folio 94r: in una notte di luna (la prima dopo la luna piena), uno stregone

13 Ibidem, p. 439.

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(con ogni probabilità lo stesso Kyeser14) richiama gli spiriti suonando un corno dalla torre più alta di un castello. Alla base della collina su cui sorge il castello camminano due goblin con un manico di scopa e una torcia confezionata col grasso del cadavere di un uomo impiccato, il cui spettro sta entrando nella fortificazione.

I due capitoli successivi, l’ottavo e il nono, sono dedicati al fuoco e alle sue applicazioni. Le prime pagine sono interamente occupate dalle ricette per ottenere diversi tipo di fuoco (in alcuni casi il Kyeser cita Aristotele e Alessandro15). Il folio 102r è illustrato con un rudimentale razzo costituito da un sacco aperto a un’estremità, raffigurato insieme alla sua piattaforma di lancio16. Un’altra interessante illustrazione è quella di un drago volante con all’interno una struttura riscaldata che permette di ottenere un effetto ascensionale (è il primo accenno figurato al principio dell’aerostato17). Seguono diversi disegni di artiglierie multiple, proiettili, protezioni. Il capitolo nono contiene illustrazioni di caldaie, concepite perlopiù per riscaldamento di bagni ed edifici, anche se non manca una serie di disegni magici (il ritratto della regina di Saba, folio 122r; una strega che appicca il fuoco a un edificio soffiando dalla bocca, folio 122v).

Infine, l’ultimo capitolo, il decimo, presenta disegni di accessori e strumenti di svariato genere, tra cui mazze, fionde, scudi, una cintura di castità e meccanismi poco pratici come un piccolo strumento musicale a campanelli mosso da ingranaggi dentati e un ascensore con ruote da mulino a vento. Il codice si conclude, come accennato, con una lunga teoria delle arti: grammatica, logica, retorica, aritmetica, geometria, musica, astronomia, divinazione, teologia, filosofia, legislazione, diritto canonico, fisica, alchimia, arti magiche, arte militare. Infine, l’epitaffio di Kyeser e il suo ritratto18 .

14 Ibidem, p. 438. 15 Bellifortis, cit., fol. 100v («Ignis quem invenit Aristotiles quando cum allexander ad loca obscura pergeret...»). 16 Cfr. White, cit., p. 439. White sottolinea come il razzo di Kyeser preceda di almeno quindici anni i disegni di razzi di Giovanni Fontana. 17 Ibidem, p. 439. 18 La sezione conclusiva del Bellifortis occupa i fogli da 135r a 140v. Il ritratto di Kyeser (fol. 139r) è il primo di un autore dall’antichità classica. Kyeser vi appare vestito di verde, il colore di Giove, il suo pianeta. Cfr. White, cit., p. 438.

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l’ingegnere e lo stregone

Qual è il significato del Bellifortis? Come deve essere inteso? In che rapporto porre i contenuti del codice con la personalità del suo autore? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sorgono di fronte alla complessità di un’opera del genere che, pur essendo correttamente definibile come un trattato di ingegneria militare, al tempo stesso ne travalica i confini. Questa “non specializzazione” non deve stupire: nella cultura medievale e del primo umanesimo la distinzione netta tra saperi e discipline diverse era del tutto impropria. I grandi intellettuali del tempo di Kyeser si caratterizzavano tutti per una sapienza a tutto tondo, non limitata a uno specifico settore.

Se analizziamo più attentamente le figure assimilabili a Kyeser, notiamo che la professione medica è un tratto comune: medici erano, infatti, Guido da Vigevano e Giovanni Fontana19 (il primo autore del texaurus regis Francie del 1335, il secondo dell’instrumentorum bellicorum liber del 1420 circa). È indubbiamente grazie alla sua formazione in medicina che Kyeser si avvicina all’astrologia: il nesso tra le due discipline era dovuto essenzialmente all’enorme influenza che ebbero nei secoli centrali del Medio Evo le traduzioni scientifiche di trattati arabi (come quelle di Gerardo da Cremona), in parte originali e in parte ripresi da opere greche ed ellenistiche. A ciò si aggiunse l’influsso di opere bizantine e la diffusione garantita da scuole come quella di Salerno. L’astrologia divenne parte fondante della medicina: i medici astrologi, per i quali la cura delle malattie non poteva essere distinta dall’analisi dell’oroscopo del paziente, acquisirono fama e rilevanza, tanto da trovare impiego presso le grandi corti d’Europa20. L’astrologia, a sua volta, richiedeva l’uso di sofisticati strumenti di misurazione del tempo: da qui lo studio degli orologi, del moto, della meccanica: il più grande costruttore di orologi del Medio Evo,

19 Su Giovanni Fontana e l’instrumentorum bellicorum liber, cfr. Eugenio Battisti, Giuseppa

Saccaro Battisti, le macchine cifrate di Giovanni Fontana. Con la riproduzione del Cod. icon. 242 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera e la decrittazione di esso e del Cod. lat. Nouv. acq. 635 della Bibliothèque Nationale di Parigi, Arcadia Edizioni, Milano 1984. 20 Cfr. Lynn White, Jr, «Medical astrologers and late Medieval technology», Viator, 6, 1975, pp. 295-308.

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Giovanni de’ Dondi, era professore di medicina e astronomia all’università di Padova.

Nella formazione di Kyeser troviamo quindi elementi che giustificano il suo interesse per l’astrologia e la meccanica ma, come abbiamo ricordato nel paragrafo precedente, uno dei tratti più interessanti del Bellifortis sono i riferimenti alle arti magiche.

Kyeser, come evinciamo da quanto egli stesso racconta di sé21, trascorse un periodo presso la corte di Francesco II di Carrara, a Padova. Nella città veneta, sede di una delle più prestigiose università del mondo occidentale del tempo, Kyeser perfezionò i propri studi entrando con ogni probabilità in contatto con ambienti che ruotavano intorno al pensiero di uno dei più prestigiosi (e controversi) pensatori dell’epoca: Biagio Pelacani (1355 ca - 1416), conosciuto anche come Biagio da Parma22 .

Professore di matematica, filosofia e astrologia a Pavia, fu costretto a trasferirsi per due volte presso l’università di Padova (1384-88 e 14071411) a causa di accuse di eresia e stregoneria. Pelacani, infatti, fu fortemente influenzato dal pensiero anti-aristotelico dei calculatores di Oxford ed egli stesso si distinse per la veemente polemica contro l’ortodossia aristotelica adottata dalla Chiesa.

Processato per eresia nel 1396, affermava l’influenza degli astri sulla vita umana, negava l’immortalità dell’anima e la necessità di Dio come primo motore immobile. Sospettato di pratiche magiche, si era guadagnato da parte dei suoi detrattori l’appellativo di «doctor diabolicus»23 .

Pelacani fu maestro del già ricordato Giovanni Fontana (1390 ca – 1455 ca): veneziano di nascita, Fontana aveva studiato medicina presso l’università di Padova dove, nel 1418, era divenuto «rettore delle arti». Geniale e creativo, scrisse trattati di medicina, filosofia, astrologia, astronomia,

21 Bellifortis, cit., fol. 137r. 22 Su Biagio Pelacani, cfr. le sezioni specifiche in C. B. Schmitt; Quentin Skinner; Eckhard

Kessler; Jill Kraye. the Cambridge History of renaissance Philosophy. Cambridge University Press 1988 e la voce «Pelacani, Biagio» online su Treccani.it. 23 Curioso come, nonostante il suo ‘curriculum’, Pelacani abbia ottenuto alla sua morte, nel 1416, la sepoltura nel duomo di Parma (era comunque stato nominato rettore della locale università nel 1412). La sua lapide tombale è addirittura murata nella facciata della cattedrale, alla sinistra del portale centrale, dove può essere ammirata ancora oggi.

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meccanica, fisica, trigonometria… Suo anche il citato instrumentorum bellicorum liber, in cui compaiono bombe incendiarie, razzi e – significativamente – la raffigurazione di un incantesimo di guarigione24 .

Come il suo maestro Pelacani, anche Giovanni Fontana incorse in accuse di eresia25: fu probabilmente a causa di queste che la sua carriera si interruppe bruscamente nel 1438, quando lo ritroviamo a Udine come medico condotto. La sua stessa fortuna fu limitatissima e le sue opere restarono largamente ignorate.

Kyeser, come abbiamo visto, trascorse un fondamentale periodo di formazione in quella stessa Padova di Pelacani e Fontana, ma fu poi presente a Praga26. Qui Kyeser, medico, astrologo e – verosimilmente – già avvicinatosi a concezioni eretiche e se non a vere e proprie pratiche magiche, ebbe la possibilità di entrare in contatto con gli ambienti di una della capitali europee della magia e della stregoneria: addirittura – è stato ipotizzato – la sua entrata (e successiva cacciata) alla corte di Venceslao potrebbe essere connessa alle sue abilità come mago e stregone27 .

Kyeser fu dunque medico, astrologo e praticante di arti magiche. Ma fu anche un ingegnere militare? La risposta è certamente positiva a condizione che, come abbiamo già accennato, si tenga presente che lo scopo del Bellifortis non era quello di costituire un raccolta di disegni tecnici. Kyeser non era un esperto costruttore di complesse macchine da guerra né aspirava a esserlo, ma non era neppure del tutto inesperto dell’argomento:

24 instrumentorum bellicorum liber, Cod. Icon. 242, Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera: bombe incendiarie fol. 12v e 13r; esempio di medicina magica fol. 24v; razzi fol. 37r. 25 La fama di Fontana presso i suoi contemporanei non fu certamente aiutata dal suo interesse per l’illusionismo magico, ossia per la costruzione di oggetti e macchinari che, mediante sofisticati meccanismi interni e il sapiente uso di sostanze infiammabili, davano vita ad automi diabolici destinati a terrorizzare i nemici. Due dei più noti esempi di tali dispositivi sono il «diavolo meccanico» e «la strega infuocata» (fol. 59v e 63v, instrumentorum bellicorum liber, Cod. Icon. 242, Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera). 26 L’accostamento tra Kyeser e Fontana è suggerito in William Eamon, «Technology as magic in the late Middle ages and the Renaissance», Janus, LXX, 3-4, 1983, pp. 171-212, e in Pamela O. Long, openness, secrecy, authorship. technical arts and the culture of knowledge from antiquity to the renaissance, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, 2004, pp. 105 e segg. 27 Láng, cit., pp. 71-78; Eamon, cit., p. 190

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egli stesso, nel descrivere un imponente scudo mobile, afferma che fu lui a costruirlo28. Inoltre, la stessa grandissima varietà delle macchine raffigurate nel Bellifortis è riprova dell’ampia padronanza della materia da parte del suo autore il quale, giova ricordarlo, aveva anche esperienza diretta di guerra. Da sottolineare anche che, nel corso del suo percorso formativo, Kyeser aveva certamente appreso delle conoscenze relative alla costruzione di automi e all’uso del fuoco e del vapore29 .

Ma, per tornare alla domanda iniziale, qual era la visione della guerra che emerge dalle pagine del Bellifortis? Abbiamo già detto della peculiare, anche se non sorprendente, commistione tra arti meccaniche, astrologia e

28 Bellifortis, cit., folio 41v. 29 Sia pure in modo piuttosto criptico, il Bellifortis presenta nel folio 95v un automa che Eamon, cit, p. 186, definisce una eolipila, ossia una macchina a vapore del tipo di quella descritta da Erone di Alessandria. Effettivamente, nel testo che accompagna la tavola troviamo un riferimento esplicito («Ego sum Philoneus...») alla tradizione ellenistica e a Filone di Bisanzio. Nel nono capitolo vi sono anche numerosi esempi di applicazione del vapore.

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magia che caratterizza il trattato di Kyeser: dobbiamo ora soffermarci sullo scopo che l’autore assegna alla sua opera e al significato della figura di Alessandro, a cui viene fatto spesso riferimento30 .

alessandro Magno e la visione della guerra in Kyeser

Nell’epitaffio che conclude il trattato, Kyeser non fa sfoggio di modestia: stando a quanto egli stesso scrive, grazie al Bellifortis sarebbe possibile sconfiggere interi eserciti e il suo autore avrebbe dimostrato una padronanza dell’arte militare quale nessun uomo prima di lui aveva avuto. Proprio questa immensa gloria sarebbe stata causa della sua rovina e gli avrebbe procurato un’orribile morte da esule, abbandonato all’ira divina31 .

Il Bellifortis rappresenta dunque, secondo Kyeser, la più alta sintesi di arte militare ed è sicuro strumento di vittoria. Quale debba essere il nemico per eccellenza contro cui scagliare la sua arcana potenza lo deduciamo nei passaggi iniziali e finali: è l’Oriente, l’avversario eterno sin dai tempi di Alessandro, impersonato ai tempi di Kyeser da quell’impero ottomano che aveva umiliato gli eserciti cristiani a Nicopoli.

Ed è proprio la figura di Alessandro ad acquisire un valore centrale: nel Bellifortis non mancano – sparsi, poco enfatizzati e di sapore piuttosto formale – radi riferimenti alla fede cristiana, ma il vero “eroe” è Alessandro Magno32. Ne sono esempi, oltre alla grande macchina del folio 16r, le splendide raffigurazioni del sovrano macedone. Nel folio 12r vediamo Alessandro a cavallo con la sua lancia magica («almerione») ricevuta da Febo, su cui sventola il drappo stellato di colore verde (segno del patronato di Giove). La punta della lancia è essa stessa un potente amuleto che mette in fuga i nemici: Alessandro la tiene in mano nella tavola del folio 11v e su di essa compare la misteriosa scritta «meufaton»33 .

30 Cfr. nota 9. 31 Bellifortis, cit., fol. 137r. 32 Cfr. Chiara Frugoni, la fortuna di alessandro Magno dall’antichità al rinascimento, La

Nuova Italia, Firenze, 1978 33 Il «meufaton» è una delle più note tavole del Bellifortis. Molto diffuse ma del tutto errate le numerose interpretazioni che vogliono che si tratti della rappresentazione di un razzo, mentre il testo indica che si tratta del ferro della lancia di Alessandro. La parola “meufaton”, di dubbio significato, ha probabili origini cabalistiche, cfr. Wilfried Tittmann, «Die

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Al folio 93r Alessandro regge un «lucibulum», la cui luce inestinguibile rischiara i campi di battaglia per le sue schiere.

Kyeser, forte della sua sofisticata e solida formazione, è una figura rappresentativa del passaggio tra Medio Evo e Rinascimento: imbevuto dei miti e delle suggestioni della classicità perduta, è un idealista che insegue il sogno di una crociata vittoriosa condotta con le armi della sapienza piuttosto che della fede. Il suo campione è Alessandro Magno, la cui figura, così come è tramandata nel Medio Evo, rappresenta (grazie anche al legame con Aristotele, il sommo filosofo) la perfetta conoscenza delle arti liberali oltre che dei segreti delle arti magiche.

Il primato di Alessandro non è politico né militare: piuttosto è il frutto del dominio di quegli instrumenta ingenii che per Kyeser – medico, astrologo, stregone, ingegnere – rappresenta la chiave per asservire la natura alla volontà umana. Poco importante che il campo di applicazione sia la medicina, la magia o la realizzazione di macchine da guerra: è la conoscenza dello strumento a consentire il disvelamento del segreto e, in ultima analisi, a definire il sapiente.

Il Bellifortis assume allora il valore di un monumento sapienziale, che attinge alla tradizione piuttosto che alla sperimentazione (ancora non trionfante come metodo di indagine), in nome della restaurazione della perduta grandezza della civiltà occidentale. Ancora pochi decenni e questa grande eredità, genuinamente medievale, si ridurrà a pallida ombra, richiamata nella trattatistica rinascimentale da omaggi rituali all’esotismo di maniera34 .

Geschützdarstellungen des Walter de Milemète von 1326/7», Waffen und Kostümkunde, 35. Jg. 1993, p. 8. 34 Un esempio di questo nuovo atteggiamento nel De re militari di Valturio del 1450 circa.

Cfr. Pier Luigi Bassignana (a cura di), le macchine di Valturio nei documenti dell’archivio storico aMMa, Allemandi, Torino 1988.

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Future Wars

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