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di Giorgio Scotoni “
Noi credevamo
La cooperazione italo-russa a sostegno della Serbia
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di Giorgio Scotoni1 231
Il 28 giugno 1914 l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca ereditario Francesco Ferdinando fu il pretesto per il redde rationem tra le potenze europee. D’intesa con Berlino, Vienna attribuì la responsabilità dell’attentato a Belgrado e, dopo un ultimatum di trenta giorni, il 28 luglio dichiarò guerra alla Serbia. La crisi di Sarajevo innescò in Europa la reazione a catena che rese irreversibile lo scontro tra i due blocchi militari: la Triplice Alleanza (creata nel 1882 da Germania, Austria-Ungheria, Italia) e la Triplice Intesa (formata nel 1907 da Francia, Inghilterra e Russia). Il 30 e 31 luglio Francia e Russia risposero a Vienna con la mobilitazione. A sua volta il 1° agosto la Germania entrò in guerra, anzitutto contro la Russia, per avere la certezza che il partito Socialdemocratico votasse i crediti di guerra. Quindi, il 3 agosto Berlino dichiarò guerra anche alla Francia. Il 4 agosto la violazione della neutralità di Belgio e Lussemburgo da parte tedesca provocò l’ingresso in guerra dell’Inghilterra contro la Germania. Il collasso dell’ordine europeo, si estese per effetto domino su scala globale, dalle colonie in Africa, Asia e Oceania, al Giappone, all’Impero ottomano. L’Europa rimase il centro del conflitto, combattuto su tre fronti principali: Occidentale (Francia, Belgio), Balcanico (Serbia, Montenegro) e Orientale (Impero russo).
Il ri-avvicinamento italo-russo (1908 -1914)
All’inizio della Grande guerra Italia e Russia si collocavano, sulla carta, in due campi avversi. Il 3 agosto tuttavia il Regno d’Italia dichiarò la sua neutralità. Roma motivò la sua scelta con il carattere aggressivo della guerra dichiarata da Vienna e con la mancata consultazione da parte della Triplice.2
1 Università MEPhI (Moscow Engineering Physics Institute). 2 Il 4 agosto 1914 l’Italia fu coinvolta in appoggio alla squadra navale tedesca del Mediterraneo. Due incrociatori, il Goeben e il Breslau, partirono dal porto di Messina ed eseguirono un bombardamento contro i posssedimenti francesi sulle coste dell’Algeria; quindi fecero rientro a Messina, si rifornirono, e ripartirono per Costantinopoli. Qui il 10 agosto furono incorporati nelle forze navali ottomane, tramite una vendita fittizia alla Turchia. Nell’ottobre 1914 i due incrociatori bombardarono Odessa e Sebastopoli, determinando l’entrata in guerra della Russia contro la Turchia, schierata a fianco degli Imperi centrali
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In realtà benchè l’Austria-Ungheria e l’Italia fossero legate militarmente, dopo il riarmo austriaco nelle relazioni tra Roma e Vienna era prevalsa la diffidenza. Per contro, dal 1908 gli indirizzi della politica estera italiana e russa avevano iniziato a convergere. L’avvicinamento russo-italiano era stato favorito proprio dall’espansionismo di Vienna. Roma e Pietroburgo da tempo condividevano due obiettivi strategici: indebolire l’influenza dell’Impero ottomano nel Mediterraneo e frenare la penetrazione austro-tedesca nei Balcani.
Nel 1908 l’annessione austriaca della Bosnia Erzegovina aprì al Reich la via per gli Stretti e il Medio Oriente, insidiando la proiezione dell’Italia nell’Adriatico e umiliando il prestigio russo nel mondo slavo. Il 28 dicembre 1908 il terremoto di Messina – ad oggi la più grave catastrofe naturale per numero di vittime in Europa – propiziò la svolta nelle relazioni italo-russe: il 29 dicembre la squadra russa dell’ammiraglio Ponomarev giunse con 6 navi e coordinò i primi soccorsi.
Mentre la Russia, membro dell’Intesa offriva solidarietà all’Italia, l’AustriaUngheria, l’alleata della Triplice, profittava della mobilitazione del Regio Esercito in Sicilia per pianificare nel 1909 una “guerra preventiva” contro l’Italia.3
Il 24 ottobre 1909, la convergenza strategica tra Roma e San Pietroburgo si concretizzò nell’Accordo di Racconigi. Il patto segreto tra lo zar Nicola II e re Vittorio Emanuele III mirava a contenere l’espansione austro-tedesca nei Balcani e in Adriatico e fu stipulato all’insaputa della Triplice Alleanza. In cambio del riconoscimento italiano dell’influenza russa nei Balcani, la Russia riconobbe all’Italia un ruolo centrale nel Mediterraneo e il suo diritto ad intervenire nel Nord Africa – il che sfocerà nella guerra di Libia del 1911.
Da allora l’armonizzazione dei rispettivi interessi strategici divenne la via maestra nei rapporti politici tra l’Italia e la Russia, fino al 1° agosto 1914.
Con l’avvio delle ostilità a Roma si prospettò da subito la possibilità di un ribaltamento delle alleanze. L’ipotesi indusse il comando del Regio Esercito a valutare nuovi scenari militari: il 21 agosto 1914 il Capo di Stato maggiore, Luigi Cadorna avviò la pianificazione di operazioni offensive contro l’Impero AustroUngarico.
Considerando la ridislocazione delle truppe austriache dal fronte Orientale a
La guerra fu dichiarata dagli Alleati alla Turchia il 5 novembre. 3 L’indomani del terremoto il Capo di S.M. austriaco gen. Conrad von Hötzendorf propose al Kaiser di lanciare un attacco a tradimento per neutralizzare ogni futura minaccia italiana. Il disegno si imperneava su un’offensiva attraverso l’altopiano di Asiago volta ad occupare il Veneto. Con il pretesto di manovre militari, uno schieramento di truppe imponente fu ammassato al confine del Trentino; in risposta Roma schierò in Veneto due armate e fece confluire la flotta in Alto Adriatico. Decisivo per l’annullamento del piano fu il rifiuto del Kaiser austriaco.
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quello italiano, Cadorna abbandonò la concezione difensiva-controffensiva, che da sempre, posta la conclamata superiorità militare austro-ungarica, informava la pianificazione bellica italiana. Prefigurando di operare nel quadro di una “guerra di coalizione” egli aggiornò la pianificazione operativa in senso offensivo.4
Entro la fine del 1914, lo Stato Maggiore italiano delineò così un piano d’attacco su larga scala, finalizzato ad invadere l’Austria-Ungheria in concorso con l’esercito russo.
Sui futuri teatri operativi la strategia di Cadorna propugnava lo stretto coordinamento con le forze armate serbe e montenegrine. Tra le ipotesi formulate l’occupazione di Fiume e una marcia su Agram «che potrebbe rappresentare un concorso diretto alla marcia dei Serbi attraverso la Bosnia»5 Altri sbarchi erano previsti sulla costa adriatica, segnatamente ad Antivari e Metkovich, in Dalmazia, per fornire rinforzi all’esercito montenegrino, «in particolare di artiglieria, di cui i montenegrini difettano, per concorrere direttamente alla conquista dell’Erzegovina»6 .
Il prologo all’ufficializzazione di rapporti diretti tra i Comandi supremi del Regno d’Italia e dell’Impero russo fu il rafforzamento della cooperazione economica. Nella coalizione dell’Intesa l’Impero russo era l’attore chiave. Lo zar in tempo di pace aveva l’esercito più numeroso (1.284.155 uomini) e nel 1914 era riuscito a mobilitare il maggior numero di effettivi (5.460.955). Al di là del fattore demografico, la Russia non aveva però un’industria bellica moderna e dipendeva dagli alleati per le forniture di tecnologia militare, oltre che per i crediti di guerra.
L’apporto italiano alla modernizzazione dell’economia russa era veicolato tramite la Camera di Commercio Russo-Italiana di Pietroburgo e la sua filiale moscovita. Si trattava di un’organizzazione sui generis, la sola operante in Russia finalizzata all’interscambio economico con un paese della Triplice Alleanza.7 Con lo scoppio della guerra l’Italia, formalmente alleata della coalizione austro-tedesca, fu interdetta dall’invio di forniture belliche all’Impero russo.
4 Filippo Cappellano, Piani di guerra dello Stato Maggiore Italiano contro l’Austria-Ungheria (1861-1915) Ed. Rossato, Valdagno, 2014 5 AUSSME Ufficio del Capo di SM dell’Esercito, Roma 21.08.1914 Memoria riassuntiva circa un’azione offensiva contro la Monarchia Austro-Ungarica durante l’attuale conflagrazione europea. Possibili obiettivi, presumibili operazioni da svolgersi, p. 2. 6 Ibidem 7 Ermanenk I.O. «Perspektivy dvukhstoronnikh otnoshenij i budushevo mira v ozenkakh Russko-Ital’janskoj torgovoj palati (po materialam informazionnogo bjullettina 19141916 gg.)», (Le prospettive delle relazioni bilaqterali e della future pace nelle valutazioni della Camera di Commercio Russo-Italiana – secondo i materiali del Bollettino informativo), Novejshaja istorija Rossii, 2014 n.3 p. 46
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Tuttavia pur osservando Roma una rigida neutralità, crebbe l’interesse per i prodotti delle manifatture italiane in sostituzione delle produzioni concorrenti.
Dal luglio 1914 al 1° gennaio 1915 il numero di imprese aderenti alla Camera di Commercio Russo-Italiana passò da 88 a 134, senza contare le filiali bancarie e gli uffici di rappresentanza delle società presenti in proprio sul mercato russo.8 L’espansione era altresì frutto dell’intensa attività promozionale svolta alla vigilia del conflitto, in specie la storica visita dei rappresentanti della Camera di Commercio e del Comune di Torino a maggio 1913.9
Così, nonostante la neutralità, nel 1914 il Direttivo della Camera di Commercio Russo-Italiana decise di «sfruttare l’attuale momento favorevole per predisporre la sostituzione delle importazioni tedesche e austriache in Russia con importazioni italiane».10 Il piano ottenne l’avallo del Console generale d’Italia. La più tempestiva fu la FIAT che anticipò la fornitura di 90 autoblindo da 50 HP, e in seguito dell’intero impianto metalmeccanico per la produzione di veicoli militari11 .
Peraltro, il primo anno di guerra l’Italia ottemperò scrupolosamente al divieto di esportare tecnologie militari, come ben evidenziò il c.d. “caso Belloni”.12 Solo dopo l’adesione all’Intesa, che Pietrogrado salutò entusiaticamente come “l’unione Russo-Italiana”13, Roma autorizzò l’invio di forniture belliche (in due an-
8 «Bilancio sull’attività della Camera di Commercio Italo-Russa per l’anno 1914», “Bollettino della Camera di Commercio Italo-Russa, Pietrogrado 1915 n. 1 p. 6 9 Nel maggio 1913 la delegazione torinese aveva presentato il meglio dell’industria italiana (anzitutto la “Fiat”), nelle città più sviluppate dell’Impero (Pietroburgo, Mosca, Odessa, Kiev, Varsavia). La visita ufficiale ricambiava l’importante partecipazione russa all’Esposizione Internazionale di Torino del 1911-12; il Comitato russo all’expo italiana era guidato dal ministro del Commercio, Timirjazev. 10 «Bilancio sull’attività della Filiale di Mosca della della Camera di Commercio Italo-Russa», Bollettino della Camera di Commercio Italo-Russa, P. 1915 n. 1 p. 11-12 11 Lo stabilimento metalmeccanico di Izhora, regione di Pietroburgo, tuttora in funzione. La commessa per l’esercito zarista fu eseguita tramite la fabbrica FIAT negli Stati Uniti. Nel 1917 il mezzo divenne un’icona della Rivoluzione russa e fu il primo blindato in servizio all’Armata Rossa (v. foto). 12 Nel 1914 il cantiere del Muggiano, alla Spezia realizzò per la Flotta Imperiale russa il moderno sommergibile “Svjatoi Georgii” (San Giorgio), classe “F43”, ma in ottemperanza ai divieti la consegna della commessa fu bloccata. Ad ottobre 1914 il responsabile per i collaudi, tenente di vascello Belloni, durante le prove in mare trafugò il mezzo. L’ intento iniziale era di consegnare il battello alla Marina russa, ma naufragò, per il timore dell’attache militare russo V.I. Dmitiev di compromettere i rapporti con Roma. Belloni decise allora di fare rotta su Pola per silurare una nave della flotta austro-ungarica e trascinare l’Italia in guerra. Approdato al porto di Ajaccio per imbarcare dei siluri fu arrestato dalle autorità francesi e tradotto in Italia. Qui Belloni fu processato e assolto. 13 Così titolò l’editoriale di Ju. Rummel pubblicato sul Bollettino n.4/1915. Il 23 maggio la Camera di Commercio Russo-Italiana convocò un’assemblea strordinaria al Borodinskij,
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Fig. 1. Autoblindo FIAT 50 HP, Mosca, Museo di Storia contemporanea.
ni l’industria italiana esporterà in Russia 1840 motori aeronautici, 300 aeroplani, 7500 autoveicoli FIAT, 255 Lancia, 465 autocarri SPA e Itala).
L’alleanza militare italo-russa
Il 26 aprile 1915 il governo italiano firmò a Londra l’accordo segreto con i rappresentanti alleati – l’inglese Gray, il francese Cambon e il russo Benckendorff – che preludeva all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa. In compenso si concedeva all’Italia, dopo la resa degli Imperi centrali, il diritto di annettere i territori austro-ungarici di Trento e Trieste ed esigere riparazioni di guerra dalla Germania.
Questa vittoria diplomatica fu un successo strategico per gli alleati. Il 1915 infatti si era aperto per l’Intesa con una serie impressionante di catastrofi militari. Il fallimento dei piani offensivi aveva portato allo stallo sui fronti Occidentale, Orientale e Balcanico, costringendo a una logorante guerra di posizione. Dopo la vittoriosa controffensiva dell’esercito zarista in Galizia - che nell’estate 1914 aveva salvato la Serbia dalla disfatta, gli Imperi centrali avevano concentrato la risposta militare sul fronte Orientale: nell’aprile 1915 il Fronte Sud-Occidentale russo era stato travolto dalle forze austro-tedesche e aveva iniziato la “grande ritirata”.
nella sala riunione degli Ingegnieri. Ad essa presenziò il ministro degli Esteri russo, Sazonov, i rappresentati del ministro del Commercio, Veselag e del ministro dell’Industria, Shakovskij: l’ospite d’onore fu l’Ambasciatore d’Italia, marchese Carlotti di Rivabella.
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Anche le truppe anglo-francesi stavano subendo sanguinose sconfitte. La c.d “operazione dei Dardanelli” fortemente voluta dal ministro inglese della Marina, Winston Churchill, volgeva al peggio: dopo la disastrosa spedizione navale dell’ammiraglio De Robeck e lo sbarco nella penisola di Gallipoli dal 25 aprile gli alleati erano di fatto accerchiati sulla testa di ponte.14
In tale congiuntura il Memorandum di Londra impegnò l’Italia a sostenere immediatamente la lotta contro l’Austria-Ungheria. In specie l’Intesa chiedeva al Regio Esercito di organizzare un’offensiva alla dichiarazione di guerra, fissata entro un mese, al fine di distrarre parte delle forze austriache dal fronte Orientale e alleggerire così la pressione sull’esercito russo.
L’obiettivo posto dagli alleati suggerì al comando italiano un nuovo approccio operativo. Lungo il suo confine settentrionale l’Italia fronteggiava l’Impero Austro-ungarico su due teatri alpini: il Trentino, al centro e il Friuli, a nord-est. Il Capo di SM Cadorna progettò di dirigere l’attacco principale contro l’esercito austriaco nel settore orientale, lungo il confine del fiume Isonzo e sviluppare poi l’avanzata su Trieste e Lubiana. Un attacco secondario fu pianificato verso la Carnia, su Tarvisio e Caporetto, per coprire l’offensiva dal fianco sinistro.
Nel settore centrale, il fronte del Trentino, le truppe italiane dovevano restare sulla difensiva. Stando al piano, in sincronia con l’offensiva italiana le forze russe si sarebbero lanciate all’attacco delle linee austro-ungariche sul fronte Orientale. In caso di successo entrambi gli eserciti avrebbero poi sviluppato l’avanzata attraverso la pianura ungherese, penetrando con un attacco convergente sulla direttrice comune di Budapest.15 Nella preparazione dell’offensiva, la cooperazione con l’esercito zarista e il coordinamento operativo con l’esercito serbo per Roma assunsero una valenza chiave.
Già il 30 aprile l’addetto militare italiano a Pietrogrado, tenente colonnello Ropolo, ebbe ordine di concludere una Convenzione militare con l’Impero russo in base all’articolo 1 del Memorandum di Londra. Il Capo dei Stato Maggiore impartì quest’istruzione: «La massima, assoluta necessità contemporaneità sforzi per impedire nemico manovra centrale Assoluta necessità che alla nostra rottura ostilità esercito russo pronunci vigorosa offensiva per dar modo nostre truppe di
14 Il fine degli anglo-francesi era riaprire le vie di collegamento con la Russia dal Mar Nero, forzando gli stretti controllati dalla Turchia. La Francia schierò 80mila effettivi, la Gran Bretagna quasi 100mila. Le forze turche, 200mila fanti al comando di Mustafa Kemal e dal generale tedesco Liman von Sanders, resistettero suIle alture di Kritiya e impedirono alla truppe franco-britanniche di sviluppare l’avanzata, che raggiunse un’estensione max di 7 km.. L’operazione fallì con gravi perdite per gli alleati (32.000 caduti, 100.000 feriti); Churchill si dimise. 15 Cappellano F. “Piani di guerra dello Stato Maggiore Italiano contro l’Austria-Ungheria (1861-1915)” op. cit.
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copertura convenientemente rinforzate di eseguire subito il primo sbalzo offensivo. Convenienza di una contemporanea azione Serbia in direzione Agram in collegamento con destra forze italiane. Necessità che nel corso delle operazioni vengano stabiliti successivi obiettivi di comune accordo»16 .
Il 3 maggio l’Italia denunciò il trattato di Triplice alleanza con Germania e Austria-Ungheria. Il 5 maggio al Quartier Generale dell’esercito russo i rappresentanti di Cadorna arrivarono per le trattative. In breve ci si accordò sulle azioni militari congiunte da condurre in simultanea anche con l’alleato serbo.
Si convenne in particolare che tutte le forze dell’esercito russo, escluse le truppe che fronteggiavano gli austro-tedeschi in Prussia orientale, Polonia dovessero irrompere nella pianura ungherese e battere definitivamente l’Austria insieme con le forze italiane e serbe. Inoltre, l’esercito russo avebbe interdetto all’esercito austro-ungarico ogni spostamento di truppe verso il fronte meridionale.
In cambio del sostegno militare la Russia chiese all’Italia supporto materiale per l’esercito serbo, che deficitava di attrezzature e vettovaglie: assolutamente pressante fu la richiesta di rifornimenti alimentari, per alleviare alla Russia l’onere dell’assistenza ai serbi. Il Capo di Stato Maggiore italiano a nome del Ministro degli Esteri dichiarò però che Roma non era in grado di fornire risorse alimentari, dal momento che essa stessa ne scarseggiava e le riserve di grano erano sufficienti a malapena per soddisfare i bisogni della popolazione italiana.
In seguito al rifiuto di Roma il comandante in capo dell’esercito zarista, granduca Nikolaj Nikolaevich, protrasse il negoziato. Il 20 maggio, quando la Russia rinunciò alla clausola sulla Serbia, le parti firmarono. Redatto in francese, il testo della “Convenzione militare italo-russa” comprendeva sei articoli che elencavano i fini generali della guerra e i termini dell’aiuto reciproco. Si precisava che per sconfiggere il nemico sul comune teatro di guerra delll’Austria-Ungheria, in specie sui Carpazi e nelle Alpi italiane, entrambi gli eserciti, italiano e russo, dovevano assumere impegni reciproci per un piano in comune, ed elaborare di comune accordo le direttrici operative delle loro truppe
A tale scopo si doveva concentrare il grosso delle forze nei due teatri di montagna, mantenendo in tutti gli altri settori un semplice fronte difensivo. Al contempo le truppe di Serbia e Montenegro avrebbero assunto l’offensiva in direzione nord-occidentale per coordinare le loro azioni con l’ala destra del Regio Esercito. Presso i rispettivi Stati Maggiori si distaccarono ufficiali di collegamento per assicurare il coordinamento diretto tra i comandi russi e italiani.
Come noto, l’esito delle operazioni non assecondò i piani. Il potenziale militare di entrambi gli eserciti era insufficiente a conseguire obiettivi ambiziosi. Il 23
16 AUSSME Istruzione del Capo di SM Cadorna. 30.04.1915.
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Fig. 2. Narbut G.I., L’entrata in guerra dell’Italia (1915)
Allegoria pubblicata sulla rivista pietroburghese “Luk’omor’e”Fonte: catalogo della mostra “La prima guerra mondiale 1914-18”, Museo usso, San Pietroburgo 1914
maggio 1915, Roma dichiarò guerra all’Austria-Ungheria e mobilitò 36 divisioni di fanteria e 4 divisioni di cavalleria, in totale 1.089.000 effettivi. Le operazioni del Regio Esercito iniziarono nelle Alpi Giulie con le prime quattro battaglie dell’lsonzo (23 giugno - 2 dicembre 1915). Nessuno degli obiettivi strategici fu raggiunto. A causa della scarsa efficienza bellica le forze italiane conseguirono solo limitati successi locali. Tuttavia l’intervento dell’Italia e l’atteggiamento offensivo assunto, costrinsero il comando austro-ungarico a trasferire consistenti aliquote di truppe dal fronte Orientale a quello italiano per costituire una linea di difesa lungo il confine meridionale. Ciò rallentò il crollo militare dell’Impero russo, pur non impedendo lo sfondamento austro-tedesco ad Est.
La “grande ritirata” dell’esercito zarista si protrasse per tre mesi: il 5 agosto le
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Fig. 3. La disfatta della Serbia (8 ottobre – 1° dicembre 1915)
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truppe tedesche conquistarono Varsavia, il 26 agosto Brest-Litovsk e il 19 settembre occuparono Vilnius. La perdite russe superarono il milione di effettivi. Oltre alla Polonia l’Impero russo perse la Lituania, quasi tutta la Galizia, parte dei paesi baltici e della Bielorussia. La débacle causò la crisi della direzione militare zarista. Tuttavia, grazie anche all’intervento italiano, l’obiettivo strategico degli Imperi centrali – l’uscita della Russia dalla guerra, non fu conseguito.
Nel 1915 - 1916 la cooperazione militare italo-russa si rivelò cruciale per le sorti della Serbia. Il piccolo esercito serbo era riuscito a resistere più di un anno alle preponderanti forze austro-ungariche, respingendo vittoriosamente tre offensive.
Il 6 ottobre 1915 l’entrata in guerra della Bulgaria a fianco degli Imperi centrali causò il crollo repentino delle difese serbe: 29 divisioni austriache e bulgare attaccarono il paese su due fronti, travolsero 11 divisoni serbe e il 9 ottobre conquistarono la capitale, Belgrado. L’offensiva austro-bulgara si sviluppò fino a fine novembre.
L’occupazione della Serbia e poi del Montenegro, compromise la situazione degli Alleati nei Balcani consentendo all’Austria di collegarsi direttamente con la Turchia e unificare gli obiettivi delle operazioni negli Stretti e nei Balcani. L’esercito serbo fu accerchiato e ripiegò verso sud-ovest. Incalzati dalle truppe austroungariche e bulgare, i serbi superstiti cercarono scampo attraverso le montagne albanesi, dirigendosi verso la costa dell’Adriatico. Durante la marcia invernale oltre 300mila uomini morirono per il freddo, la fame e le epidemie.
In questa catastrofe militare e umanitaria brillò l’intervento della Regia Marina. Gli italiani crearono campi di assistenza con ospedali e alloggi in territorio albanese - a Valona e a Durazzo, organizzando una colossale operazione di salvataggio. I resti dell’esercito serbo furono imbarcati su mercantili, scortati da navi militari, che facevano la spola tra la sponda orientale e occidentale delll’Adriatico, utilizzando Brindisi come base logistica e stazione sanitaria. Dal porto di Brindisi i resti dell’esercito serbo erano smistati negli ospedali da campo e infine trasferiti a Biserta, Marsiglia o sull’isola di Corfù. Qui l’esercito serbo (50 mila effettivi) si ricostituì e andò a rafforzare le truppe alleate sul fronte macedone di Salonicco. Nelle operazioni furono impegnate anche navi alleate: in totale 45 piroscafi italiani, 25 francesi e 11 inglesi, che effettuarono rispettivamente 202, 101 e 19 viaggi. A Natale 1915 i marinai italiani portarono in salvo a Brindisi i regnanti Karageorgevich di Serbia e nel gennaio 1916 i regnanti del Montenegro.
Il soccorso italiano alla Serbia fu ricambiato nel giugno 1916 dall’esercito zarista. Dopo la “grande ritirata” russa gli Imperi centrali pianificarono una grande offensiva sul fronte italiano, in base al disegno strategico elaborato nel 1909 dal generale Conrad. L’esercito austriaco avrebbe attaccato dal saliente del Trentino per sfondare attraverso Asiago nella pianura veneta, fino a Verona, tagliando le retrovie alle armate italiane schierate sull’Isonzo.
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Fig. 4. Il trasbordo del re di Serbia al porto di Brindisi
L’operazione, che gli austriaci denominarono Strafexpedition e gli italiani «Battaglia degli Altipiani» si sviluppò dal 15 maggio al 24 luglio 1916, su un fronte di 40 km dalla Val Lagarina alla Valsugana. L’attacco iniziale, lanciato a sorpresa sull’altopiano di Asiago travolse le linee italiane e pose le difese del Regio Esercito in una situazione critica.
Il comando italiano, sostenuto dal generale francese Joffre, chiese al Quartier generale russo un’immediata azione offensiva contro l’Austria-Ungheria, per alleggerire la pressione nemica. Vittorio Emanuele telegrafò personalmente a Nicola II, pregandolo di accelerare l’avvio della offensiva estiva in preparazione sul Fronte Sud-occidentale.
Onorando gli obblighi di alleanza, l’esercito russo fornì il contributo cruciale. Il generale Brusilov che da aprile stava preparandosi all’offensiva in Galizia, concordò con lo zar di anticipare l’operazione dal 15 giugno ai primi del mese. All’alba del 4 giugno le quattro armate del Fronte Sud-occidentale (8a, 11a, 7a e 9a) attaccarono simultaneamente a sorpresa su tutta la linea, 550 km. di Fronte, avanzando lungo la direttrice generale di Lutsk.
La sorpresa riuscì perfettamente: le truppe russe travolsero di slancio le difese austro-ungariche e già il 7 giugno presero Lutsk. I risultati dell’operazione superarono ogni aspettativa. L’esercito austro-tedesco perse circa un milioni di effettivi, 408 mila caddero prigionieri.
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Lo “sfondamento di Brusilov” – una delle più brillanti ofensive della Prima guerra mondiale, inferse all’esercito austriaco una disfatta schiacciante, che permise agli alleati di riprendere l’iniziativa. Per tamponare la breccia in Galizia la Germania trasferì 18 divisioni dalla Francia, mentre l’Austria-Ungheria trasferì 6 divisioni dall’Italia. La vittoria russa contribuì a stabilizzare il fronte delle Alpi: il Regio Esercito concentrò i rinforzi e arrestò la Strafexpedition.
Durante la guerra di coalizione i rapporti nell’Intesa tra le grandi potenze (Inghilterra e Francia) e l’Impero russo, furono complicati da asimmetrie politico-economiche e dispute sui piani strategici. La cooperazione militare italo-russa contro l’Austria-Ungheria costituì invece un raro esempio di solidarietà militare. Fedeli agli impegni assunti, il Regio Esercito e l’esercito zarista coordinarono le proprie azioni sia in aiuto alla Serbia sia a reciproco sostegno.
Fig. 5. Lo sfondamento di Brusilov