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Le missioni dei carabinieri a Creta e in Macedonia, di Ferdinando Angeletti “
Noi credevamo
I Carabinieri a Creta e in Macedonia
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Tra politica di potenza e germi di peacekeeping
di Ferdinando Angeletti 223
Introduzione
Con la fine della guerra fredda e dell’ordine bipolare, sono riemersi tensioni e conflitti latenti in tutto il Rimland eurasiatico, e specialmente nel settore occidentale dal Baltico all’Asia Centrale, intensificando gli interventi anche militari e di polizia da parte della comunità internazionale e delle organizzazioni globali e regionali di sicurezza, ma anche di «coalizioni di volenterosi». Diversamente dagli interventi della guerra fredda, che miravano esclusivamente alla separazione di forze ostili successivamente alla conclusione di tregue («peacekeeping»), gli interventi del post-guerra fredda sono stati molto più vasti, impegnativi e permanenti, evolvendo dalla «imposizione della pace» in assenza di accordi tra le parti («peace enforcing») alla «esportazione della democrazia» e alla ricostruzione nazionale («nation building»), con una significativa evoluzione anche del diritto internazionale, perché la prassi internazionale, pur contestata, ha riconosciuto la subordinazione della sovranità nazionale alla «responsabilità di proteggere» («responsibility to protect, R2P») i «diritti umani», col conseguente diritto-dovere della comunità internazionale di esercitare la supplenza degli «stati falliti» o caduti sotto regimi responsabili di «crimini contro l’umanità». La continuità storica tra i conflitti attuali e quelli di uno o due secoli fa e la evoluzione dei criteri etici, giuridici, geopolitici, strategici e operativi con cui li analizziamo e li interpretiamo, offre la possibilità di ripercorrere da nuovi punti di vista gli interventi militari internazionali, meno numerosi ma ricchi di analogie con gli attuali, che furono svolti dalle Potenze Europee prima e dopo la grande guerra, e che, basati sul principio giuridico dell’autotutela dei propri interessi anziché dei diritti umani, erano connessi inizialmente con la crisi dell’Impero Ottomano, il «grande malato d’Europa» sotto controllo finanziario europeo, e con la rivalità anglo-russa sulla sperata spartizione della Cina imperiale umiliata e annichilita dal Giappone, e in seguito con il crollo dei grandi imperi multietnici (zarista, asburgico e ottomano) provocato dalla grande guerra e perseguito dai vincitori, soprattutto Gran Bretagna, Francia e Italia. Anche in queste missioni ebbe parte rilevante, come adesso, il controllo dell’ordine pubblico e la ricostruzione delle forze di gendarmeria nei territori di intervento. E fin da allora l’Arma
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dei RRCC acquisì quell’unanime riconoscimento di particolare competenza che continua a essere parte essenziale del prestigio internazionale del Paese. Esamineremo qui il ruolo dei CC RR negli interventi a Creta (1896) e in Macedonia e nell’Impero Ottomano (1912).
La missione italiana a Creta
Inizialmente esclusa dal riconoscimento internazionale dell’indipendenza greca, con la crisi siriana del 1841 era emersa anche la questione candiota1. La tensione fra le comunità greca e turca era da allora andata crescendo, fino a coinvolgere direttamente la Russia, protettrice dei Popoli Ortodossi contro l’Impero Ottomano e campione dell’indipendenza bulgara. Al culmine di settimane di scontri sanguinosi tra le due comunità dell’isola, il 21 maggio 1896 alcuni militari di guardia ai consolati russo e greco alla Canea furono uccisi da dimostranti turchi. Su richiesta degli altri consoli europei e in base alla prassi della «gunboat diplomacy», ossia del diritto di intervento armato a protezione delle vite e degli interessi dei connazionali proclamato quasi mezzo secolo prima da Lord Palmerston proprio nei confronti della Grecia («Don Pacifico Affair»)2, gli altri governi europei imposero al governo turco, le cui finanze erano direttamente amministrate dai creditori occidentali3, di accettare il loro intervento militare in un territorio di cui era ormai solo nominalmente sovrano4. Primi a intervenire, nella baia di Suda, furono la corazzata Hood e gli incrociatori Piemonte e Neptune. Il coordinamento della missione fu attribuito agli ambasciatori europei a Costantinopoli, dove, a causa dei contrastanti interessi e disegni dei partner, le decisioni furono ostacolate e rallentate da veti, cautele e sospetti reciproci, come
1 Jules Ballot, Histoire de l’insurrection Crétoise, Paris, L. Dentu, 1868. Roderick H. Davison, «Turkish Attitudes Concerning Christian-Muslim Equality in the Nineteenth Century», The American Historical Review, Vol. 59, No. 4. 1954, pp. 844–864. Panteles Prebelakes, Crète infortunée: chronique du soulèvement crétois de 1886-1869,tr. dal greco di Pierre Coavoux, Paris, Les belles lettres, 1976. Douglas Dakin, The Unification of Greece, 1770–1923, London, 1972, p. 152 cit. in Misha Glenny, The Balkans. Nationalism, war and the great Powers 1804–2012, Anansi Press, Toronto 2012. Davide Rodogno, Against
Massacre: Humanitarian Interventions in the Ottoman Empire, 1815–1914, Princeton U. P., 2012 2 V. Ilari, «Civis Romanus sum! La protezione diplomatica degli investimenti stranieri», Quaderno Sism 2017 Economic Warfare, pp. 155-170. 3 Giampaolo Conte, «Il debito d’Oriente. L’imperialismo finanziario e il default ottomano ed egiziano di fine Ottocento», Quaderno Sism 2017 Economic Warfare, pp. 181-192. 4 AUSMM, R.B., b. 161, f. 7; e b. 2380, f. 2. L’Archivio possiede inoltre il carteggio versato dagli eredi dell’amm. Canevaro. V. pure L. Fulvi, T. Marcon, O. Mozzi, Le fanterie di Marina italiane, Roma, USSMM, 1998, p. 15. I residenti europei erano peraltro appena 175, di cui 55 italiani.
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emerge anche dai documenti diplomatici italiani. Confrontati con le continue emergenze, i consoli alla Canea trovarono invece maggiori sintonie pratiche, pur cercando di non pregiudicare la posizione dei rispettivi governi, sia reciprocamente che nei confronti del governo turco. Tra i primi risultati conseguiti dai consoli fu la sospensione delle ostilità concessa dal neo costituito comitato rivoluzionario cretese, peraltro a condizione di un intervento diretto. In dicembre fu così costituita una missione multinazionale con istruttori inglesi, italiani, montenegrini, russi e ottomani incaricata di organizzare una gendarmeria locale, composta di 100 montenegrini al comando del maggiore inglese Bor, primo caso di unità multinazionale di polizia della storia moderna. Dopo alcuni mesi di relativa tranquillità e di trattative, la rivolta riprese all’inizio del 1897, provocando il voltafaccia dell’Austria, che giunse a proporre alla Grecia l’ingresso nella Triplice Alleanza, e della Russia, che in odio all’Inghilterra aizzò la repressione ottomana. Il 5 febbraio l’esercito turco aperse il fuoco contro le manifestazioni greche alla Canea. Settecento insorti greci si asserragliarono ad Akrotiri innalzando la bandiera ellenica, i musulmani saccheggiarono l’arsenale e la Regia Nave Etna (CV Giovanni Giorello) accolse a bordo 1.240 rifugiati portandoli in Italia5. Mentre le flotte greca e turca salpavano per La Canea, le potenze europee spedirono le loro squadre, ma, paralizzate dalle divergenze, non poterono prevenire l’affondamento di un trasporto truppe turco da parte di una corazzata greca e lo sbarco di una brigata greca. Fu allora costituito un Consiglio degli Ammiragli europei, la cui presidenza fu attribuita al comandante della squadra italiana, ammiraglio Felice Canevaro, scelto anche per essere il più elevato in grado e per la particolare consistenza della squadra italiana (30 navi su 87), ma soprattutto per la posizione naturalmente mediatrice dell’Italia, esordiente del Concerto Europeo, al tempo stesso membro della Triplice e partner della Gran Bretagna in Africa ed Estremo Oriente, in rapporti distesi con Russia e Turchia e a corrente alternata con la Francia.
Dal febbraio 1897 il governo fu assunto dagli Ammiragli e ciascuna potenza assunse l’amministrazione di un settore (l’Italia ebbe La Canea) dove organizzò un proprio corpo di gendarmeria, passando inoltre sotto comando italiano anche la centuria dei connazionali della Regina Elena. Dai rapporti settimanali inviati a Canevaro dal capitano dei RRCC Federico Craveri (1860-1938), oggi conservati presso l’Archivio del Museo Storico dell’Arma, emergono giudizi fuori dai denti non solo su greci e turchi ma pure sugli “alleati” francesi, inglesi russi, tedeschi ed austriaci, spingendosi talora anche a valutazioni politico-diplomatiche. Craveri contestava in particolare la parzialità degli altri europei verso l’una
5 F. N Canevaro, Affari cretesi 1897-98 (Diario inedito, in AUSMM, Carte Canevaro, cart. 34) cit. in Mariano Gabriele e Giuliano Friz, La politica navale italiana dal 1885 al 1915, Roma, USSMM, 1982, p. 95.
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o l’altra delle parti in conflitto, amplificata dal fatto di impiegare in compiti di polizia e ordine pubblico normali truppe di fanteria, prive della qualificazione e dell’esperienza specifica dei carabinieri italiani6. Ciò fu confermato dall’insurrezione della comunità turca nel settore britannico di Heraklion, che reagì a due anni di vessazioni col massacro di 18 soldati inglesi e di centinaia di ortodossi. Per reazione le Potenze costrinsero la Turchia a evacuare completamente l’Isola, che, pur restando nominalmente sotto la sovranità turca, fu sottoposta ad una amministrazione internazionale sotto il principe Giorgio di Grecia, secondogenito di re Giorgio I. Tra le prime misure il 15 dicembre 1898 il principe convocò alla Canea i comandanti delle 4 gendarmerie per studiarne l’unificazione in una «gendarmeria cretese» (Κρητική Χωροφυλακή) e, riconoscendone le competenze, ne incaricò i carabinieri7 .
Un resoconto pubblicato sulla Rivista Militare del 1907, usò gli avvicendamenti al comando (1900 Balduino Caprini, 1903 Eugenio Monaco) per periodizzare la missione in tre fasi («preparazione», «assetto» e «completamento»)8 .
6 Pur dimostrandosi anche particolarmente retti ed anche un po’ duri nei confronti della popolazione, con numerosi arresti e processi intentati. 7 Craveri pianificò una gendarmeria di 1.600 teste inquadrata da 140 ufficiali e sottufficiali dell’Arma, su 5 compagnie (moiras) provinciali (Canea, Sfakia, Heraklion, Rhetymno e Lasithi) comandate da tenenti col grado temporaneo di capitano (Luigi Bassi, Ettore Lodi, Arcangelo de Mandate, Egidio Garrone e Filiberto Vigliani) e suddivise in tenenze (ypomoirarchìas) e stazioni (enomotias). Caprini eresse a 6a compagnia (Ferdinando Mensitieri) il QG della Canea. Gradualmente il personale italiano fu sostituito da quello cretese, ma i primi 11 subalterni indigeni furono nominati solo il 14 gennaio 1907. Gli effettivi, armati di fucile, baionetta e pistola, si fermarono a 1.265. 8 E. Fumo, «La gendarmeria cretese durante l’ultima insurrezione», Rivista Militare Italiana, 16 febbraio 1907, pp. 297-321. Schema ripreso da Mario Pagano, «I Carabinieri a Cre-
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Il terzo e ultimo periodo fu in realtà il più difficile, per la rivolta armata guidata da Venizelos in nome dell’énosis alla Grecia (25 marzo-25 novembre 1905), contro il governo internazionale. La gendarmeria, rimasta nel complesso fedele al principe Giorgio, e unica forza di sicurezza dell’Isola, dovette combattere duramente, insieme a 650 militari russi, contro 1.500 guerriglieri asserragliati alle gole di Theriso nelle Montagne Bianche (Lefka Ori). I gendarmi passati con gli insorti furono esclusi dall’amnistia ma fu loro concesso il trasferimento in Grecia. La gendarmeria assicurò imparzialmente lo svolgimento delle elezioni del 1906, vinte con lieve scarto dai partiti filo-principe. Le potenze però ne decisero ugualmente la sostituzione con un uomo politico greco, e attribuirono all’esercito greco il controllo della gendarmeria. Pertanto il 16 dicembre 1906 Monaco passò le consegne al capo della missione greca, maggiore Andreas Momferratos.
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La missione dei CC.RR. in Macedonia e nell’Impero Ottomano
Mentre a Creta i Carabinieri italiani, nell’ambito della missione multinazionale, riuscivano a far ritornare l’isola ad una lenta normalità, l’attenzione delle grandi potenze si pose sulla Macedonia. Proprio come a Creta, anche in Macedonia fu una rivolta repressa nel sangue a provocare l’intervento europeo. Nell’autunno 1902 bande armate ed addestrate dalla Bulgaria avevano tentato di sollevare alcuni centri macedoni, ma sia per la forte presenza di truppe ottomane,
ta dal 1897 al 1906», Il Carabiniere, marzo e aprile 1969. Umberto Ancarani, La gendarmeria cretese organizzata dai RR. Carabinieri italiani, Roma, Tip. delle Mantellate, 1924: Ezio Ferrante, «I carabinieri e l’ordine pubblico a Creta», Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, gennaio-marzo 1984; Tommaso Gandini, I Carabinieri reali nel Mediterraneo orientale, Roma, Tip. Agostiniana, 1934. Maria Gabriella Pasqualini, Le missioni all’estero dei Carabinieri 1855-1935, Ente Editoriale Arma dei Carabinieri, Roma, 2001; Vincenzo Pezzolet, «La crisi di Creta: l’opera dei Carabinieri Reali (1897-1899)», in Missioni militari italiane all’esterno in tempo di pace (1861-1939), Commissione Italiana di Storia militare, Roma 2001. In generale Giovanni Macchi, «Partecipazione italiana ad una operazione multinazionale: Creta 1897-1906», Studi Storico militari, USSME, 1986. Emanuela Alberini, «La marina italiana a Creta. Il potere marittimo in funzione della politica estera (1896-1899)», USMM, Roma 1998; M. Mattioli, «Creta 1897: una ‘Missione Alba’ di 100 anni fa», Panorama Difesa, XVI, N.151, febbraio 1998. Umberto Rocca e Annalisa Besso, «I carabinieri nell’Isola di Creta», Informazioni della Difesa, 2006.
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sia per il mancato sostegno popolare, il conato insurrezionale era stato domato in poche settimane, con annesse, però, stragi e nefandezze.
Lo scopo di “internazionalizzare” il conflitto, come si direbbe oggi, venne però raggiunto anche se all’opposto di quanto sperava il governo bulgaro, le cui iniziative destabilizzatrici andarono oltre il limite consentito dalle stesse potenze che lo sostenevano. Così furono proprio Austria e Russia a promuovere l’intervento, cominciando con la proposta alla Turchia di una amministrazione speciale temporanea (triennale) da parte di un ispettore generale di gradimento delle due potenze, dotato di notevole autonomia, con l’amnistia agli insorti, misure economiche e l’epurazione della gendarmeria, inquadrata da ufficiali stranieri e reclutata ex novo per quote etniche. La Turchia dovette accettare, nominando ispettore Hüseyin Hilmi Pasha (1855-1922), futuro ministro dell’interno, gran visir all’inizio della seconda era costituzionale e infine ambasciatore a Vienna durante la grande guerra. Il veto austro-russo sul gradimento dell’ispettore provocò peraltro una forte irritazione a Londra e la protesta degli altri partner, tra cui l’Italia9. Inoltre tra maggio e ottobre 1903 la Macedonia fu investita da nuove rivolte e scontri, che la gendarmeria, sottopagata, indisciplinata, inquinata dalla criminalità e fuori controllo10 non era in grado di fronteggiare. Austria e Russia promossero allora un nuovo accordo internazionale, il cosiddetto Programma di Mürzsteg11, che prevedeva, tra le altre cose, la riorganizzazione della gendarmeria ottomana sotto controllo di ufficiali stranieri. Su input dell’Ambasciatore austroungarico a Costantinopoli12 Vienna propose riservatamente all’Italia il comando della missione, e, forte di questo appoggio, il ministro degli esteri Tittoni raccomandò alla nostra legazione a Costantinopoli di «rammentare con quanta pienezza di successo i nostri ufficiali hanno riordinato e fatto funzionare la gendarmeria indigena in Creta, ove ad uno stato di permanente disordine, è ora subentrata perfetta tranquillità»13. Fallito un maldestro tentativo di ottenere invece un generale francese, la Porta si rassegnò a chiedere un italiano. Così ai primi del 1904 fu designato il TG dei RRCC Emilio De Giorgis, all’epoca comandante la Divisione di Cagliari, che in febbraio assunse il comando della Gendarmeria
9 DDI, Terza Serie 1896–1907, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato. 10 Silvano Gallon, Rapporti politici dei regi consoli d’Italia a Monastir (1895- 1916), Associazione d’amicizia macedone-italiana di Bitola, Bitola, 2004, p. 205. «La gendarmeria – scriveva il col. Albera – è un ammasso di indisciplina, di immoralità e di miseria. Ufficiali e truppa hanno vissuto fino a pochi mesi or sono di rapine, estorsioni e mance. Non esistono caserme, non si sa cosa sia casermaggio, equipaggiamento, amministrazione e servizio» [in Pasqualini, op. cit.]. 11 Così in DDI, Terza Serie, VIII N. 2 (4 novembre 1903). 12 Ibidem n. 38 (30 novembre 1903). 13 Ibidem n. 44 (2 dicembre 1903)
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macedone col titolo di «Lieutenant Général Réorganisateur»14. Lo accompagnavano altri ufficiali dell’Arma che avevano avuto analoga esperienza a Creta, in primo luogo il capitano Balduino Caprini (1861-1947), che fino al settembre 1903 aveva comandato la Gendarmeria cretese. Non però incaricati dell’inquadramento di quella macedone, ma solo della formazione e dell’addestramento del personale ottomano15. Si aggiunse nel giugno 1904 il colonnello Enrico Albera (1853-1931), aggiunto militare italiano a Monastir e poi a Costantinopoli.
Le difficoltà di riorganizzazione della gendarmeria in Macedonia erano però molteplici. Come già a Creta, la presenza di funzionari e truppe ottomane di certo non aiutava. Nell’isola, anche per altre situazioni politico – diplomatiche, si potè ad un certo punto cacciare gli ottomani, in Macedonia questo non era possibile e quindi l’influenza ottomana era piuttosto forte. Scriveva Albera nel giugno del 1905 al ministro della guerra:
«Lenta procede l’opera nostra in questo vilayet unicamente per gli ostacoli che le autorità turche ci innalzano sul cammino che tende alla nostra meta (...). Le indagini e investigazioni fatte dagli ufficiali per la scoperta dei rei di gravi crimini, quasi a nulla servirono, inquantoché l’autorità giudiziaria [ottomana] è amministrata sempre a suono di danaro […] È da chiedersi quale azione possa avere la gendarmeria anche ammettendo che venisse riorganizzata nel vero senso della parola? Non azzardo una risposta per non peccare di pessimismo. Gli ufficiali quantunque in gran parte mutati, non rispondono ancora del loro mandato. Apatici, sempre indifferenti, pigri, indolenti, riottosi all’applicazione del regolamento, privi di criterio disciplinare e di iniziativa»16 .
Per risolvere quest’ultimo problema fu deciso uno speciale arruolamento all’interno dell’esercito ottomano di ufficiali da inviarsi in Macedonia. Appositi corsi furono tenuti dagli ufficiali dell’Arma per formare la dirigenza così come per i Comandanti di Stazione ma, mentre i primi non ebbero un gran successo, i secondi raggiunsero buoni risultati.
14 Morto durante la missione, nel novembre 1908, fu sostituito da un ufficiale di stato maggiore in servizio diplomatico, il gen. brigata Mario Nicolis di Robilant (1855-1943), futuro comandante della 4a Armata in Cadore e sul Piave, senatore e rappresentante italiano nel Consiglio Supremo di Guerra a Versailles. 15 Ed in tale veste nulla aveva da richiedere a quello italiano. Addirittura gli Ufficiali italiani avrebbero dovuto autonomamente pagare al governo italiano le ritenute previdenziali per coprire quel periodo trascorso all’estero. 16 Così in M.G. Pasqualini, op. cit.
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Vi erano anche grandi difficoltà economiche, sia nell’acquisizione di equipaggiamenti ed armamenti che nel pagamento del personale ottomano. Distrazioni di fondi ed una burocrazia fenomenale nel paralizzare il paese impedirono un buon lavoro di formazione e, anzi, provocarono invidie e screzi tra il personale. L’opera dei carabinieri fu però apprezzata e, mentre il personale di altri paesi rientrava in madrepatria (sia per ragioni politiche che economiche), quello dell’Arma fu anzi mantenuto in servizio per un ulteriore periodo successivo al primo pianificato. Ufficiali dell’Arma furono richiesti anche in altre aree dell’immenso impero ottomano, come Salonicco, Smirne, Beirut, Trebisonda e Baghdad; dalla riorganizzazione della gendarmeria macedone si stava passando alla riorganizzazione della gendarmeria ottomana.
La guerra italo–turca interruppe la missione e già nell’aprile 1913 l’addetto militare a Costantinopoli, colonnello Ernesto Mombelli, riferiva allo S. M. dell’Esercito circa lo stato pietoso in cui era ricaduta la Gendarmeria dopo il 1911. Sollecitato dagli stessi ufficiali ottomani, il governo turco chiese a Roma l’invio di nuovi istruttori, ma il negoziato fu interrotto dalla grande guerra. Le ultime missioni dell’Arma in territorio ex-ottomano si svolsero dopo l’armistizio e nella parte asiatica, a Gerusalemme e a Costantinopoli, dal 1918 al 1923.17
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17 Sulla missione dei CCRR in Turchia dopo la grande guerra v. Cesario Totaro e Antonio
Bagnaia, Missione Caprini. Il contributo dell’Arma dei Carabinieri per il riordino della
Gendarmeria ottomana, Torino Pintore Editore 2005. Giovanni Salierno, «I Carabinieri in Turchia 1919-1923, Tra Corpo di Occupazione e Missione di Pace», Informazioni della
Difesa, 2007, pp. 48-52.