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di Giovanni Punzo “
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«Gott schützte Österreich!»
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La protezione militare italiana dell’Austria fino all’Anschluss
di Giovanni Punzo
Il tema dell’Anschluss suscita ancora notevole interesse: in Austria si dibatte se l’annessione al Reich sia stata desiderata o subita, mentre in Italia la questione viene vista in funzione del successivo rovesciamento della posizione italiana verso la Germania hitleriana. Mentre gli studi austriaci sono incentrati su aspetti identitari, quelli italiani vertono principalmente su quelli politici e diplomatici, trascurando però quelli strettamente militari. Nella prospettiva italiana la questione dell’indipendenza austriaca era connessa con la politica di influenza nell’area balcanico-danubiana e la sicurezza geopolitica, minacciata non solo dalle mire annessioniste della Germania, ma pure dalla rivalità italo-jugoslava e dalla politica francese degli Antemurali contro il revanscismo dei vinti e il revisionismo italiano, concretata nella Piccola Intesa. Per questo, coi Protocolli di Roma nel 1934 tra Italia, Austria e Ungheria, si era tentato un contrappeso; la perdita di valore e l’abbandono della pedina austriaca divennero però inevitabili con le guerre d’Etiopia e di Spagna, quando il baricentro strategico italiano iniziò a spostarsi fuori dall’Europa continentale.
La debolezza militare della Prima repubblica austriaca
Nel novembre 1918 la repubblica austriaca nel nuovo contesto mitteleuropeo costituiva un piccolo stato di sei milioni di abitanti (circa il 22% dell’ex impero), stanziati su meno di ottantaquattromila chilometri quadrati (pari al 28% dell’estensione precedente) con difficoltà interne (dissoluzione delle forze armate, crescenti difficoltà economiche e sociali) ed esterne (pressioni territoriali esercitate dal Regno dei serbi, croati e sloveni a SE e dall’Ungheria ad E): in tale quadro si manifestò l’aspirazione all’unificazione con la Germania, la Deutschösterreich1 esclusa dal Trattato di Versailles, che pure aveva imposto rigide limitazioni militari (massimo di effettivi e artiglierie consentiti, divieto di coscrizione obbligatoria, di fortificazioni e di aviazione).
1 Giorgio Marsico, Il problema dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Giuffré, Milano, 1983: Alfred Low, The Anschluss Movement 1918-1938. Background and Aftermath: an annotated Bibliography of German and Austrian Nationalism, London-New York, 1984.
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Tale debolezza da una parte impediva tentativi revanscisti o di restaurazione monarchica, ma dall’altra esponeva lo stato all’espansionismo dei vicini e alla cronica instabilità interna, soprattutto per le difficili condizioni economiche che ricaddero sull’esercito, continuamente chiamato a sostegno delle forze di polizia2, a causa dei frequenti disordini che tennero il paese per quindici anni sull’orlo di una guerra civile tra due formazioni politico-paramilitari (Heimwehr3 e Schutzbund4). A metà degli anni Venti impietosamente Theodor Körner (18731957) descrisse infatti l’esercito come un ‘corpo amministrativo’ il cui scopo era la tutela e la sorveglianza dei beni militari e che a malapena garantiva la sicurezza dei confini5 .
I disordini del 1927, che provocarono a Vienna l’incendio del palazzo di giustizia e altri scontri di piazza, costituirono un’altra dura prova per le forze armate, ma soprattutto ne sancirono ulteriormente la debolezza di fronte alla crescita dell’Heimwehr6. Dopo la liquidazione dello Schutzbund nel febbraio 1934 da parte del governo e dell’Heimwehr, la situazione cambiò in seguito al fallito tentativo di colpo di stato nazista del 25 luglio 1934 nel corso del quale fu assassinato il cancelliere Engelbert Dollfuss (1892-1934): le forze armate, che avevano nel frattempo ottenuto dai governi di destra maggiore attenzione (e relativi stanziamenti), si rivelarono in questo caso determinanti, ma apparve chiaro che non erano in grado di respingere una minaccia esterna ed era necessario potenziarle superando i limiti imposti da Versailles e soprattutto aumentando la spesa militare.
Solo nel giugno 1935, poiché il trattato di pace vietava un corpo di stato maggiore, presso il ministero della difesa nazionale (Landesverteidigung) fu creata la “iii sezione” per esercitare ufficiosamente tali funzioni. Autentica svolta nella
2 Wolfgang Etschmann, «Österreich und die Anderen unter deutschem Expansionsdruck», Österreichische Militärische Zeitschrift, XLVI Jahrg., July/August 2008, p. 419-430;
Gerhard Botz, Gewalt in der Politik: Attentate, Zusammenstöße, Putschversuche und
Unruhen in Österreich 1918 bis 1934, München, 1974. 3 Walter Wiltschegg, Die Heimwehr: Eine unwiderstehliche Volksbewegung? Wien 1985 (Studien und Quellen zur österreichischen Zeitgeschichte, Bd. 7); Bruce F. Pauley,
Hahnenschwanz und Hakenkreuz. Steirischer Heimatschutz und österreichischer Nationalsozialismus 1918 bis 1934, Wien-München-Zürich, 1972. 4 Otto Naderer, Der bewaffnete Aufstand. Der Republikanische Schutzbund der österreichischen Sozialdemokratie und die militärische Vorbereitung auf den Bürgerkrieg (19231934), Graz, 2004. 5 T. Körner, ufficiale di stato maggiore nel 1918, lasciò l’esercito nel 1924 iscrivendosi al partito socialdemocratico e assumendo il coordinamento dello Schutzbund fino all’arresto e alla condanna nel 1934. Nel secondo dopoguerra divenne presidente della repubblica austriaca (Theodor Körner, Denkschrift über das Heerwesen der Republik, Wien 1924). 6 Norbert Leser-Paul Sailer-Wlasits, 1927. Als die Republik brannte. Von Schattendorf bis
Wien, Wien-Klosterneuburg, 2002.
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difesa austriaca furono infine la reintroduzione della coscrizione obbligatoria nel luglio 1936 che consentì di trasformare le brigate in divisioni (come suggerito da Mussolini), la creazione di una piccola aviazione e le altre forniture militari dall’Italia che completarono l’armamento di quello che tuttavia rimaneva sempre un piccolo esercito con un compito sproporzionato.
La politica italiana
La scomparsa dell’impero asburgico aveva sorpreso l’Italia creando uno scenario politico nuovo, ricco di opportunità, ma anche di pericoli già intuiti (ad es. Gaetano Salvemini aveva sottolineato la necessità di un buon rapporto con la Jugoslavia). A parte il sostegno prestato nell’immediato dopoguerra contro i tentativi jugoslavi di espansione territoriale in Stiria e Carinzia7, una vera e propria ‘politica austriaca’ da parte dell’Italia iniziò a manifestarsi solo a partire dal 1929: infatti la ‘questione tirolese’ (200.000 germanofoni in provincia di Bolzano)8 aveva creato tensioni in diverse occasioni e solo a partire dal 1927 era iniziato un rapporto personale tra Benito Mussolini (1883-1945) ed Ernest Rüdiger Starhemberg (1899-1956)9, capo dell’Heimwehr, allo scopo di spingere a destra l’asse po-
7 Rodolfo Mosca, «L’Austria e la politica estera italiana dal trattato di St. Germain all’avvento del fascismo al potere (1919-1922)», in Id., Le relazioni internazionali nell’età contemporanea. Saggi di storia diplomatica, Firenze, Olschki, 1981, p. 94 e ss.; Stefan Malfer, Wien und Rom nach dem Ersten Weltkrieg. Österreichisch-italienische Beziehungen 1919-1923, Wien, 1978. 8 Mario Toscano, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Bari, Laterza, 1967;
Federico Scarano, Mussolini e la repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italie e Germania dal 1927 al 1933, Napoli, Giannini, 1996; Rolf Steiniger, Südtirol 19181999, Innsbruck-Wien, 1999. 9 Dopo i disordini del 1927 fu avviata segretamente da Mussolini a Starhemberg una prima fornitura di armi leggere: Ernst Rüdiger Starhemberg, Memoiren, mit einer Einleitug von
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litico. Primo atto fu il trattato di amicizia italo-austriaca del 6 febbraio 1930 allo scopo di bilanciare le relazioni austro-tedesche che si erano intensificate dopo la crisi del 1929 – ipotizzando anche un’unione doganale austro-tedesca che però non avvenne – e nello stesso tempo contenere l’espansionismo jugoslavo e la Piccola Intesa10 .
Già in questo riavvicinamento nella prima metà degli anni Trenta si verificarono due episodi significativi: nell’autunno 1930, nonostante il divieto di disporre di forze aeree, dall’Italia venne il primo velivolo militare (Fiat Ansaldo A.120) per la formazione dei piloti austriaci e nel 1933 seguirono cinque biplani Fiat CR2011; nel gennaio 1933 scoppiò l’«affare Hirtenberg», qualcosa di più di un traffico di armi leggere: 80.000 fucili e un migliaio di mitragliatrici (armi catturate all’esercito austriaco al momento della resa in Italia nel novembre 1918), ufficialmente destinate all’Ungheria, comparvero in una fabbrica austriaca ‘per riparazioni’, mentre parte di esse era invece destinata all’Heimwehr di Vienna12. Soprattutto, attraverso il sostegno a Dollfuss (cioè all’Heimwehr che lo appoggiava), l’Italia riuscì a condizionare l’Austria sul piano interno e su quello internazionale fino alla firma dei Protocolli di Roma assieme all’Ungheria nella primavera del 1934.
All’assassinio di Dollfuss seguì – come è noto – una pronta reazione italiana, anche se non si trattò di una ‘mobilitazione’ vera e propria localizzata solo al Brennero (come generalmente ritenuto), ma piuttosto di un’azione dimostrativa con le forze disponibili nelle zone di frontiera fino al Tarvisiano (reparti già presenti e impegnati in esercitazioni) nel timore di un’ingerenza jugoslava dopo che insorti nazisti erano fuggiti dalla Carinzia in quel paese13. Che la parte orientale
Heinrich Drimmel, Wien-München, Amalthea Verlag, 1971. 10 Luciano Monzali, Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale (1918-1941), Firenze, Le Lettere, 2010; Massimo Bucarelli, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, Graphis Edizioni, 2006. 11 In tutto una trentina: Erwin Pitsch, Alexander Löhr. Der Generalmajor und Schöpfer der
Österreichischen Luftstreitkräfte, Österreichischer Miliz-Verlag, Salzburg, 2004. 12 Dieter A. Binder, «Der Skandal zur „rechten“ Zeit. Die Hirtenberger Waffenaffäre 1933 an der Nahtstelle zwischen Innen- und Außenpolitik», in Michael Gehler-Hubert Sickinger (Hrsg.), Politische Affären und Skandale in Österreich. Von Mayerling bis Waldheim, Kulturverlag, Thaur, 1995, pp. 278–294; Ennio di Nolfo, «I rapporti austro-italiani dall’avvento del fascismo all’Anschluss (1922-1938)», Storia e Politica, 1974, nn. 1-2, pp. 33-81. Enzo Collotti, «Il fascismo e la questione austriaca», Il Movimento di liberazione in
Italia, N. 81, 1965, pp. 3-25. 13 Umberto Corsini, «Iniziative politico-militari italiane nella crisi austriaca dell’anno 1934»,
Annali dell’Istituto italo-germanico in Trento, Bologna 1989, pp. 347-371; Antonio Sema, «Minacce su Trieste. Aspetti della pianificazione difensiva italiana al confine orientale negli anni venti e trenta», in Paolo Ferrari-Alessandro Massignani (cur.), Conoscere il nemico. Apparati di intelligence e modelli culturali nella storia contemporanea, Milano, Fran-
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della frontiera italo-austriaca preoccupasse ambo le parti forse più del Brennero, risulta anche dalla segnalazione all’addetto militare austriaco a Roma colonnello Emil Liebitzky (1892-1961), incaricato da Vienna di accertare se gli italiani, in caso di conflitto con la Jugoslavia, avessero predisposto un ‘piano 34’ che prevedeva uno sconfinamento in Carinzia14 .
Degno di nota fu soprattutto il tentativo di ‘internazionalizzare’ la questione austriaca mediante gli accordi che diedero vita al ‘fronte di Stresa’, ma l’atteggiamento italiano nei confronti di Francia e Inghilterra a causa delle sanzioni per la guerra in Etiopia (e nonostante un significativo riavvicinamento alla Francia15) lo fece fallire. Il sostegno all’indipendenza austriaca nella fase del disimpegno fu oggetto di dissidio tra il triestino Fulvio Suvich (1887-1980)16 che temeva i contraccolpi dell’annessione sulla sicurezza italiana, e Ciano, divenuto fautore di un’apertura alla Germania, tanto da annotare, nel novembre 1937, che ormai occorreva comportarsi verso Vienna come «un medico che deve dare l’ossigeno al moribondo senza che se ne accorga l’erede. Nel dubbio ci interessa più l’erede che il moribondo»17 .
Armamenti e pianificazione operativa
L’apporto materiale italiano riguardò sia armamenti terrestri che aerei: furono restituiti 150 pezzi di artiglieria, già ‘preda bellica’ italiana e forniti 72 carri leggeri l3/35 (armati di mitragliatrici) [che costituirono, assieme ad un nucleo di autoblindo pesanti adgz di produzione austriaca, la ‘divisione celere’, ovvero la massa di manovra secondo il piano difensivo in seguito elaborato18] e una settantina di velivoli, inclusi 45 caccia Cr 32 bis, ossatura della forza aerea austriaca19 .
co Angeli, 2010. 14 Ludwig Jedlicka, «Die aussen- und militärpolitischen Vorgeschichte des 13. März 1938», Österreichische Militärische Zeitschrift, VI Jahrg., 1968, pp. 67-84. 15 Giovanni Buccianti, Verso gli accordi Mussolini-Laval, Milano, Giuffré, 1984; un accordo franco-italiano prevedeva il sostegno all’Austria. 16 Eugenio Di Rienzo, Ciano. Vita pubblica e privata del “genero del regime” nell’Italia del
Ventennio nero, Roma, Salerno, 2018, pp. 146 ss.; Tomaso De Vergottini, «Fulvio Suvich e la difesa dell’indipendenza austriaca», Rivista di studi politici internazionali, vol. 60, n. 2 (238), aprile-giugno 1993, pp. 257-268. Sui legami di Suvich col mondo finanziario imprenditoriale: Pasquale Cuomo, Il miraggio danubiano. Austria e Italia politica ed economia 1918-1936, Milano, FrancoAngeli, 2012. 17 Diari, 24 novembre 1937. 18 Il c. d. «piano Jansa»: Erwin A. Schmidl, «Gott schütze Österreich- die Bundesheer durfte es nicht!», Österreichische Militärische Zeitschrift, XLVI Jahrg., July/August 2008, p. 431-438; v. anche nt 24. 19 Per l’acquisto degli aeroplani intervenne anche una sottoscrizione popolare: F. Haubner,
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Benché in apparenza limitata, la fornitura assunse un chiaro significato politico, cui fu dato ampio rilievo sulla stampa austriaca, né si deve dimenticare che carri ed aerei erano in quel momento moderni, benché poi si rivelassero obsoleti dopo lo scoppio della guerra.
Figura chiave del riarmo fu il generale Alfred Jansa von Tannenau (1884-1963)20: già addetto militare a Berlino e a partire dall’estate del 1935 capo della ‘iii sezione’, Jansa ebbe contatti diretti con Benito Mussolini, con Federico Baistrocchi (1871-1947), Alberto Pariani (18761955) e Mario Roatta (1887-1968) nel corso delle manovre in val di Non (Trentino) nel luglio 1935. Tali contatti – nella massima cordialità, come sottolinea più volte Jansa – proseguirono a Roma nell’aprile 1936 con le stesse personalità e soprattutto con Fulvio Suvich approfondendo gli aspetti finanziari per l’ammodernamento delle forze armate nel settore aeronautico e delle infrastrutture21 . La prima richiesta di Jansa riguardò le artiglierie austriache che si trovavano in Italia: un migliaio di bocche da fuoco, tutte di buona qualità, e in corso di lento assorbimento per l’impiego nel regio esercito22. Furono infatti restituiti nel luglio 1936 150 pezzi d’artiglieria (2/3 cannoni e 1/3 obici e relativo munizionamento), ma non ne seguirono altri. Nel frattempo le stesse artiglierie avevano avuto destinazioni diverse: ad es. l’obice austriaco Skoda da 75mm (“75/13 mod. 1915” prodotto ulteriormente in Italia) era diventato l’arma base della specialità ‘da monta-
Die Flugzeuge der Österreichischen Luftstreitkräfte vor 1938. Graz, H. Weishaupt Verlag, 1982. 20 Peter Broucek (Hrsg.), Ein österreichischer General gegen Hitler. Feldmarschallleutnant
Alfred Jansa Erinnerungen, Wien-Köln-Weimar, Böhlau Verlag, 2011: Aus meinem Leben, conservato presso il Kriegsarchiv, pur noto e consultato dagli storici, ha atteso tuttavia più di mezzo secolo per essere pubblicato. 21 La principale questione riguardava le necessità finanziarie austriache e la negoziazione un prestito internazionale per farvi fronte. Mussolini annotò sul rapporto di Suvich di preferire in questo caso un prestito da parte inglese piuttosto che francese: DDI, VIII Serie:1935-1939, vol. III (1° gennaio-9 maggio 1936), n. 620, Colloquio Jansa-Suvic, p. 679. 22 Fino al 1934 questi pezzi d’artiglieria non erano ancora stati introdotti in servizio: Giorgio
Rochat- Giulio Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano 1861-1943, Torino, Einaudi, 1978, p. 220.
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gna’, altri pezzi erano stati restituiti agli ungheresi e infine in Spagna erano stati dirottati ingenti quantitativi di artiglierie23. Jansa, nel luglio 1935, considerando già acquisiti una trentina di carri leggeri italiani, ma non ancora sufficienti al fab-
23 Filippo Cappellano, Le artiglierie del Regio Esercito nella Seconda Guerra mondiale, Parma, Albertelli, 1998; Id., «Relazioni militari tra Italia e Ungheria (1930-1943)», Informazioni della Difesa, n.1, 2008, p. 46-51; Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943.
Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, Torino, Einaudi, 2005.
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bisogno, si interessò inoltre ad un carro ‘medio’, ossia più pesante del modello l3/35. Di fronte a questa esigenza il generale Pariani, teorico della cosiddetta guerra di rapido corso, rispose che l’Italia non aveva allo studio un carro con tali caratteristiche perché ‘non necessario’.
L’ipotesi operativa di Jansa, consapevole dei limiti delle forze e confidando in una soluzione internazionale dell’eventuale crisi, era tutta impostata sullo Zeitgewinn (lett. guadagno di tempo): il piano prevedeva infatti una difesa in profondità lungo la linea del fiume Traun (affluente del Danubio) per bloccare la strada su Vienna in attesa di altri interventi. In tale prospettiva, nel corso di colloqui con Mario Roatta, Alfred Jansa discusse le modalità con cui fare affluire rinforzi e si accordò su ricognizioni delle vie di facilitazione dal confine italiano alle eventuali zone di impiego in Austria da parte di ufficiali italiani24. Oltre all’asse principale del Brennero contava infatti di avviare i rinforzi attraverso il passo Monte Croce Carnico (Plöckenpass) e attraverso la conca di Tarvisio, ma anche di superare la catena montuosa degli Alti Tauri lungo la nuova strada del Grossglockner per giungere a Salisburgo25 .
Diffidenze e ambiguità
La vicenda austriaca fu connotata anche da reciproci pregiudizi che giocarono un certo ruolo nel disimpegno italiano: l’aspetto non è nuovo né in sé determinante, ma aiuta a comprendere l’accettazione dell’Anschluss, nonché le giustificazioni per il mutato atteggiamento. Nei Diari Ciano accenna al fatto che un intervento militare su suolo austriaco non sarebbe stato affatto gradito («ci avrebbero sparato addosso»)26: in effetti già nel 1926 vi erano stati colloqui tra i comandi austriaci e le due organizzazioni paramilitari (Heimwehr e Schutzbund) per una collaborazione in caso di attacco italiano27, senza contare le note tergiversazioni
24 Bedrohungsfall «DR» (Deutsches Reich, ovvero Germania), o «piano Jansa»: Broucek,
Ein österreichischer General gegen Hitler, cit. (in particolare il x capitolo delle memorie);
Schmidl, Gott schütze Österreich- die Bundesheer durfte es nicht!, cit.; inoltre Fortunato Minniti, «I piani militari contro la Germania prima e dopo l’‘Anschluss’», Clio, 1998, n. 3, pp. 445 ss. 25 La strada, indubbiamente nuova ed ampia, presentava però le ovvie difficoltà di una strada alpina il cui percorso si snodava per lunghi tratti in alta quota. 26 Diari, 23 e 24 febbraio 1938. 27 Bedrohungsfall «I» (caso di minaccia «Italia»), considerato all’epoca allo stesso livello di pericolo di quello jugoslavo: Manfried Rauchensteiner, «Zum operativen Denken in Österreich 1918-1938», Österreichische Militärische Zeitschrift, XVI Jahrg., März 1978, pp. 107-116; Peter Broucek, Die militär-politische Situation in Österreich 1938 und die
Entstehung der Pläne zur Landesverteidigung, in Anschluss 1938. Protokoll des Symposium in Wien am 14. und 15. März 1978, München, Oldenbourg, 1981; Helge Lerider,
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di Schuschnigg sull’argomento più volte manifestate a Mussolini28. Neppur dopo l’assassinio di Dollfuss e l’appoggio coi movimenti di truppe – e nonostante i successivi riavvicinamenti e le forniture militari – avvenne un sostanziale mutamento29 .
Oltre alla mancata metabolizzazione della sconfitta, attribuita principalmente all’Italia, esisteva anche un’ostilità riconducibile direttamente al movimento nazista che dal 1934 operava in clandestinità. Parte della storiografia austriaca minimizza la presenza di simpatizzanti nazisti nelle forze armate30, ma ad altre conclusioni portano alcuni episodi, come quelli riportati nelle memorie di Mario Roatta31 che, riassumendo l’azione informativa svolta dal SiM nei confronti della Germania e commentando l’Anschluss, sottolinea gli alti incarichi raggiunti nella Wehrmacht da tre generali provenienti dal Bundesheer. In realtà furono molti di più32: il caso più eclatante fu probabilmente quello del generale Franz Böhme (1885-1947)33, capo dei servizi informativi austriaci, che a seguito dei colloqui di Berchtesgaden (febbraio 1938) fu imposto come capo di S. M. in sostituzione
«Die Wehrpolitik der ersten österreichischen Republik im Spiegel der operativen Vorbereitungen gegen die Nachfolgestaaten der Monarchie», Militärgeschichtliche Mitteilungen, Bd. 24/2, 1978, p. 49-69. 28 Alexander Lassner, «The Foreign Policy of the Schuschnigg Government 1934-1938: the Quest for Security», in Günter Bischof-Anton Pelinka-Alexander Lassner (Hrsg.), The
Dollfuss/Schuschnigg Era in Austria. A Reassessment, London-New Brunswick, Transactions Publisher, 2003: Yannik Mück, Österreich zwischen Mussolini und Hitler. Der Weg zum Juliabkommen 1936,Bonn, Minifanal, 2015. 29 Nel 1937 Mussolini aveva protestato energicamente per l’atteggiamento della popolazione viennese in occasione di una partita di calcio con una squadra italiana. 30 I simpatizzanti nazisti tra la truppa erano stimati intorno al 5%, ma il dato saliva significativamente per gli ufficiali: Erwin Steinböck, Österreichs militärisches Potential im März 1938, Wien, Verlag für Geschichte und Politik, 1988. 31 Mario Roatta, Sciacalli addosso al Sim, Mursia, Milano, 2018 (rist. della prima ed. 1955), p. 173. Secondo Roatta la decisione di preporlo al riordino del SIM fu presa dallo SMRE sotto l’impressione del fallito colpo di stato nazista del 1934. 32 Transitarono nella Wehrmacht più della metà dei generali austriaci in servizio nel marzo 1938; Bertrand Michael Buchmann, Österreicher in der Deutschen Wehrmacht: Soldatenalltag im Zweiten Weltkrieg, Wien-Köln-Weimar, Böhlau, 2009: Wilfried Garscha, «Ordinary Austrians: Common War Criminals during World War II», in Günter BischofFritz Plasser-Eva Maltschnig (Hrsg.), Austrian Lives, University of New Orleans Press, 2012, pp. 304-326; Thomas R. Grischany, Der Ostmark treue Alpensöhne. Die Integration der Österreicher in die großdeutsche Wehrmacht 1938-1945, Göttingen-Wien, V&R Unipress-Vienna U. P., 2015. 33 Böhme si suicidò nel 1947 durante il processo per crimini di guerra perpetrati nei Balcani: Walter Manoschek, «Opfer, Helden, Kriegsverbrecher? Österreichische Wehrmachtsgeneräle auf dem Balkan», Öst. Zeitgeschichte, 5/1994, pp. 54-77.
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del legittimista Jansa. Altre figure controverse furono Edmund Glaise-Horstenau (1882-1946)34, ministro senza portafoglio del governo Schuschnigg dal luglio 1936 (e cioè dagli accordi di ‘normalizzazione’ con la Germania) e vice-cancelliere nel gabinetto di transizione (11-13 marzo 1938) guidato dal collaborazionista Arthur Seyß-Inquart (1892-1946) e il generale Alexander Löhr (1885-1947)35 , comandante della forza aerea al momento dell’Anschluss, che aveva collaborato con l’Italia per la ricostituzione in segreto della forza aerea vietata dal Trattato di Versailles.
34 Glaise-Horstenau collaborava con i servizi d’informazione austriaci nel luglio 1934 all’epoca del tentato putsch nazista e si suicidò prima di essere estradato in Jugoslavia: Peter Broucek (Hrsg.), Ein General im Zwielicht. Die Erinnerungen Edmund Glaises von Horstenau, Wien-Köln-Weimar, Böhlau, 1980. 35 Löhr è menzionato come «quello che prendeva in consegna gli aeroplani che la nostra aeronautica gli forniva di nascosto»: Roatta, Sciacalli, cit., p.172. Fu giustiziato a Belgrado nel 1947 per crimini di guerra perpetrati nei Balcani.