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2.2. Dal definitivo acquisto della baia di Assab a Dogali. Pag
A chiusura vale sottolineare come, nonostante l’ideologia contraria, furono uomini della Sinistra storica come Benedetto Cairoli88 e Stanislao Mancini89 a dare una svolta alla politica coloniale italiana in Africa poiché evidentemente erano cambiate le condizioni in Italia, in Europa ma soprattutto in Africa.90
2.2. Dal definitivo acquisto della baia di Assab a Dogali.
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Prima di procedere con il racconto dell’effettivo inizio della politica coloniale italiana, giova fare alcune considerazioni sulla politica estera, quindi anche quella coloniale, del nostro paese e sulle sue costanti storiche che hanno spesso limitato le vedute della classe politica e hanno portato a compiere anche macroscopici errori, che peraltro vediamo ripetersi spesso anche ai giorni nostri. Una prima importantissima costante è quella della collocazione dell’Italia all’interno di una gerarchia di potenze e la confusione che spesso è stata fatta in merito al rango di una nazione ed il ruolo della stessa, termini spesso usati in modo intercambiabile ma in realtà cose diverse. A partire dal giorno successivo all’unità, il ruolo dell’Italia è stato interpretato e misurato dal sistema politico interno in termini di posto da occupare nella scala formale di potenza fra le nazioni europee (questo però è il rango) e non nelle funzioni svolte e nel peso specifico in termini di potenza politica, economica, militare che un attore esercita e quindi guadagna sul campo (ruolo). In Europa chi era all’interno della fascia delle grandi potenze pareva essere accomunato agli altri in termini di rango, di diritti e privilegi, ma in realtà una rigida gerarchia di ruoli collocava l’Italia all’ultimo posto nella classifica dei potentati del vecchio continente. Stanislao Mancini, ministro degli Esteri tra il 1881 ed il 1885, ricorda in proposito che l’ambasciatore di Russia gli riferì, senza alcuna volontà di offesa, che l’Italia, dopo l’unificazione, era stata invitata a partecipare alle riunioni del gruppo di testa della politica internazionale per pura cortesia. La seconda costante è quella che deriva dalla filosofia di sicurezza che il nostro paese ha sempre ricercato; la politica estera italiana ha sempre anteposto a qualsiasi altra argomentazione la protezione dei propri interessi vitali affidandosi spesso ad un alleato molto più forte, chiunque esso fosse, sperando di assicurarsi una protezione globale che però non compromettesse in maniera totale la propria autonomia regionale.
88 Cairoli, Benedetto. - Patriota e uomo politico italiano (Pavia 1825 - Capodimonte, Napoli, 1889); figlio primogenito di Carlo e di Adelaide Bono, ardente neoguelfo in gioventù, volontario nella guerra del 1848, aderì nel 1850 al partito mazziniano e poco dopo fu costretto a rifugiarsi in Piemonte. Passato in Svizzera, si allontanò dalle posizioni mazziniane, e, tornato a Genova, vi conobbe nel 1854 Garibaldi, al cui seguito combatté volontario nel 1859 e nell'impresa dei Mille. Eletto deputato nel 1861, si schierò con la sinistra e, dopo Aspromonte, si riavvicinò al Mazzini sostenendo la liberazione del Veneto (volontario nella guerra del 1866) e di Roma. Salita la sinistra al potere (1876), appoggiò alla Camera, poi combatté, A. de Pretis, al quale successe come presidente del Consiglio il 28 marzo 1878, dando vita a un ministero orientato in senso nettamente democratico. Ferito il 17 nov. 1878 dall'anarchico Passanante mentre accompagnava per Napoli il re Umberto I, accusato di debolezza nella sua politica interna, il C. si dimise il 19 dic. 1878. Presidente del Consiglio per la seconda volta e ministro degli Esteri dal 14 luglio 1879 al 29 maggio 1881, dovette far fronte a una situazione difficile (urto con l'Austria per la questione irredentista e con la Francia per quella tunisina).
89 Mancini, Pasquale Stanislao. - Giurista e uomo di stato (Castel Baronia, Ariano, 1817 – Roma 1888). Membro del parlamento di Napoli (1848), dopo la repressione borbonica si rifugiò a Torino, dove ebbe la prima cattedra di diritto internazionale. Deputato (dal 1860) della sinistra, più volte ministro, fu artefice dell'adesione italiana alla Triplice Alleanza (1882).
90 G.P. Calchi Novati, Fra Mediterraneo e Mar Rosso. Momenti di politica italiana in Africa attraverso il colonialismo, Istituto italo-africano, Roma, 1992, Pag. 3.
Una terza costante storica è la dispersione degli obiettivi, cioè l’incapacità della politica estera italiana di orientarsi su obiettivi precisi e coerenti dove concentrare le risorse umane e materiali del paese. Invece, come abbiamo visto nel capitolo precedente in riferimento alle colonie penali, ci si è spesso dispersi in molteplici quanto velleitarie o impossibili aspirazioni geopolitiche, lontane sia dalle potenzialità del paese e sia dalla logica della concentrazione degli sforzi.91 Una quarta costante, che però trova nel periodo in oggetto la sua eccezione, è quella di subordinare la politica estera alla politica interna. Infatti nel periodo unitario quasi mai un governo è caduto per problemi di politica estera salvo proprio il governo Cairoli in seguito alla questione tunisina del 1881 ed altre rarissime eccezioni. L’ultima costante storica è quella legata al metodo di conduzione della politica estera, che non si è modificato durante i tre periodi dello stato unitario quello liberal-monarchico, quello fascista e quello repubblicano. Questo metodo si ispira a due criteri permanenti, la reattività e l’opportunismo politico. Per reattività si intende compiere azioni che sono sempre o quasi una conseguenza delle iniziative di altri; l’opportunismo politico è una caratteristica che può riguardare sia le grandi che le piccole potenze, ma esiste una differenza sostanziale tra l’opportunismo finalizzato ad un disegno politico di grande respiro, atto al rafforzamento dell’area di influenza e quello di consolidare posizioni rubacchiando ovunque sia possibile, approfittando della distrazione di alleati ed avversari.92
Proprio seguendo la costante dell’opportunismo il governo italiano riprese ad interessarsi ad Assab nella seconda metà degli anni ’70 dell’800 quando, in seguito alle sconfitte militari egiziane di Guda-Guddi e di Gura contro l’imperatore etiope Yohannes IV, il paese nordafricano era rimasto indebolito politicamente e si erano create delle condizioni favorevoli per un intervento italiano. Infatti il 7 di settembre 1878 un gruppo di grossi industriali milanesi (tra i quali citiamo Carlo Erba93, Francesco Gondrand94, Giovan Battista Pirelli95) esposero sul quotidiano economico meneghino “Il Sole” e sui periodici
91 C.M. Santoro, La politica estera di una media potenza. L’Italia dall’Unità ad oggi., Il Mulino, Bologna, 1991, Pag.72-77. 92 Ibidem, Pag. 84-85. 93 Erba, Carlo. - Farmacista (Vigevano 1811 – Milano 1888), esercitò a Pavia e a Milano. Visse negli anni nei quali l'erboristeria, sulla quale l'arte farmaceutica si era fino allora fondata, veniva rapidamente soppiantata dalla chimica. Sull'esempio di quanto si faceva in Germania e Francia, si diede alla preparazione di diversi prodotti fra i quali il calomelano, alcuni sali di ferro, sali di bismuto, di chinino, acido valerianico, la magnesia calcinata, la santonina, l'estratto di tamarindo, ecc. Nel 1835 costruì un piccolo laboratorio, che per lo sviluppo ricevuto divenne ben presto insufficiente e fu sostituito da uno più grande nel 1865. E. ebbe anche interessi culturali e sociali: finanziò la spedizione di P. Matteucci in Abissinia, aiutò le ricerche di C. Lombroso sulla pellagra, fondò l'Istituzione elettrotecnica C. Erba. 94 Gondrand, Francesco. – Imprenditore (Pont-de-Beauvoisin, Savoia, 1840 – Milano 1926). Nel 1866 partì per Milano dove fondò, insieme con i suoi fratelli, la ditta di trasporti Fratelli Gondrand; questa nuova attività imprenditoriale ebbe una rapida espansione, integrandosi con le attività dell'impresa Girard e, già nei primi quindici anni di vita, la Gondrand istituiva sedici dipendenze in cinque differenti paesi: sei in Italia, sei in Francia, due in Belgio, una in Inghilterra e una in Svizzera, alle quali si aggiungevano le nuove sedi della Fratelli Girard, presente in altre otto località europee. L'espansione proseguì nel quinquennio seguente con l'apertura di nuove succursali in Europa e anche in America, cosicché venne a definirsi una complessa rete di servizi a livello continentale con teste di ponte Oltreoceano. 95 Pirelli, Giovan Battista. – (Varenna, 1848 – Milano, 1932). Nel 1866, insieme a molti compagni di studi e al suo professore Giuseppe Colombo – futuro creatore della società Edison –, si arruolò nel 3° reggimento dei volontari garibaldini e partecipò alla terza guerra di indipendenza, combattendo nella battaglia di Monte Suello (Brescia) del 3 luglio 1866, e, in seguito, alla sfortunata impresa di Mentana (in provincia di Roma) il 3 novembre 1867. optando per quella di ingegneria industriale, dove Il 10 settembre 1870 Pirelli conseguì il diploma di ingegnere industriale ottenendo i migliori voti della sua sezione. A Milano costituì, nel gennaio 1872, la prima impresa italiana per la manifattura di oggetti in caucciù, la società in accomandita semplice G.B. Pirelli & C., della quale venne nominato gerente e al cui capitale parteciparono personalità importanti della vita economica milanese. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, Pirelli affiancò all’attività imprenditoriale l’impegno nella vita politica milanese. Nel 1877 accettò di entrare nel Consiglio comunale, rimanendovi fino al 1889 e occupandosi in particolare dei problemi del quartiere dove risiedeva e aveva sede la sua fabbrica. Nello stesso periodo, dal 1879 al 1886, e poi nel biennio 1889-90, fu anche consigliere della Camera di commercio.
“L’Esploratore” e “ Il Giornale delle Colonie” il loro pensiero riguardo all’importanza che avrebbe avuto la formazione di una società di commercio ad Assab; inoltre gli stessi imprenditori prepararono una spedizione che potesse confermare il valore economico di zone come lo Scioa ed il Galla, cercando di ottenere il massimo sostegno. Il 3 ottobre 1878 si era già fondato un comitato ed organizzata una spedizione guidata da Pellegrino Matteucci.96 La spedizione partì nel novembre 1878 e visitò le regioni del Tigray, dell’Amhara e del Goggiam (l’imperatore Yohannes non acconsentì alla visita allo Scioa ed al Kaffa) e la relazione di Matteucci fu di questo tenore: l’esportazione di merci italiane sarebbe stata difficile in queste zone ma l’importazione di materiali utili all’industria nazionale sarebbe stata fattibile. Riteneva che il futuro di Assab sarebbe stato roseo con un flusso commerciale da tutte le zone interne del territorio e non solo dallo Scioa. Entro la fine del 1879 la Società per l’esplorazione commerciale in Africa ritenne conveniente l’insediamento nella baia eritrea e Cairoli decise quindi di procedere con la colonizzazione di Assab.97
Nel 1879 il capitano di fregata Carlo de Amezaga98 venne incaricato di tornare nella baia di Assab e di stendere un rapporto sulla sua importanza, cosa che l’ufficiale fece consigliando di procedere con l’occupazione. Dopo che il capo del governo italiano Benedetto Cairoli ebbe chiesto a Menabrea, in quel periodo ambasciatore italiano a Londra, quale sarebbe stata la reazione delle autorità inglesi ad un occupazione ufficiale italiana di quel territorio ed averne ricevuto parere negativo, il governo scelse di avvalersi ancora dei servizi della compagnia Rubattino. De Amezaga arrivò ad Assab il 25 dicembre 1879 in compagnia di G. Sapeto e di O. Beccari oltre ad altri dipendenti della società Rubattino e dopo avere inviato una comunicazione alle altre potenze europee per evitare attriti99, il giorno 30 dicembre 1879 venne siglata una nuova convenzione per la cessione delle isole Darmackiè e di altre due isole della baia, tra il sultano di Ratteita e G. Sapeto come rappresentante legale
96 Matteucci, Pellegrino. - Esploratore italiano (Ravenna 1850 – Londra 1881). Negli anni 1877-78 accompagnò R. Gessi nel Sudan risalendo il Nilo Azzurro e tentando di penetrare nel paese dei Galla (Sudan e Gallas, 1879). Nel 1879 guidò una spedizione, cui parteciparono G. Bianchi, G. Vigoni e altri, organizzata dalla Società di esplorazione commerciale e diretta allo Scioa, ma, costretto a mutare programma per le condizioni politiche del paese, si portò a Debra Tabor presso la corte del negus Giovanni e di là nel Goggiam (In Abissinia, 1880). Intraprese l'anno seguente, con A. M. Massari, un altro ardito viaggio attraverso l'Africa, dalle coste del Mar Rosso a Kharṭūm e alle foci del Niger toccando il Kordofan, il Dār Fūr, l'Uadai, il Bornu, Kano e discendendo quindi il corso del Niger stesso (1881). Rientrato a Londra, trovò poco dopo la morte per le febbri contratte durante il difficile viaggio.
97 Y. Mesghenna, Italian Colonialism: A Case of Study of Eritrea 1869-1934, University of Lund, Lund, 1988, Pag.76-77.
98 De Amezaga, Carlo. – Militare (Genova 1835 – Castelletto d’Orba, Alessandria 1899). Arruolatosi volontario come marinaio di quarta classe nel 1848, entrò in servizio effettivo nella marina sarda il 10 febbraio 1849. Ebbe il comando del trasporto "Europa" e degli avvisi "Messaggero" (per una crociera nel Levante), "Rapido" (con l'incarico di recarsi nel Mar Rosso e nel golfo di Aden, fra il marzo ed il luglio del 1879, per accompagnare a Zeila Sebastiano Martini, il Giulietti e l'Antonelli, e valutate le possibilità di installare in quelle zone una stazione marittimo-commerciale), ed "Esploratore": quest'ultima spedizione, diretta nuovamente nel Mar Rosso ed alla quale presero parte pure Odoardo Beccari, il marchese Giacomo Doria e Giuseppe Sapeto, aveva lo scopo di riaffermare e definire il possesso di Assab. In mancanza di autorità consolari, fu lo stesso D. a controfirmare, il 15 maggio 1880, gli atti stipulati dal Sapeto per rinnovare il contratto del 1869. Al ritorno il D. scrisse una relazione, pubblicata sul Bollettino della Società geografica italiana, nella quale, oltre a ricostruire le vicende della spedizione, con particolare riguardo ai contatti ed alle trattative politiche, fece una dettagliata rassegna delle ricerche e dei rilevamenti compiuti, concludendo con una serie di riflessioni, apprezzamenti, giudizi e proposte relativi allo sfruttamento della baia di Assab da un punto di vista commerciale, dai quali emerge in maniera chiara l'atteggiamento decisamente filocolonialista del D., desumibile anche dagli articoli che sullo stesso argomento pubblicò nel corso di quegli anni sul Fanfulla e sulla Nazione.
99 V. Documento 4.
della società.100
Tra il 15 marzo101 ed il 15 maggio102 1880 vennero stipulati altri due contratti ed il 5 novembre, con un’altra cessione da parte del Sultano Abdallah Sciahimi103, il territorio acquistato da Sapeto venne ad assumere uno sviluppo costiero di circa 60 chilometri ed una superficie di 700 km2, possedimento decisamente più grande di quello acquistato nel 1870.104
Nuovamente l’Egitto, spalleggiato dalla Gran Bretagna, non tardò ad inviare note di protesta al consolato italiano ed a seguito di una fitta corrispondenza tra Roma e Londra, Cairoli decise di far pervenire a de Amezaga istruzioni atte ad evitare qualsiasi azione che potesse implicare un esercizio di sovranità:
“Avverto inoltre in seguito scambio confidenziali comunicazioni con Inghilterra essere assolutamente indispensabile Ella si astenga scrupolosamente da tutto ciò che possa avere apparenza esercizio di sovranità bastanti atti anteriori a tutela del nostro diritto ed essendo ora importantissimo evitare nel fatto quanto possa suscitare premature pericolose complicazioni. E’ perciò strettamente necessario che quanto facciamo in questo momento non oltrepassi i limiti dello stabilimento apparentemente inaugurato dalla Compagnia Rubattino.”105
La comunicazione venne ricevuta da de Amezaga il 1 marzo 1880; peccato che il 16 di febbraio, in seguito ad un furto di bestiame compiuto da alcuni indigeni, de Amezaga avesse affisso un’ordinanza che può essere ritenuta, a tutti gli effetti, il primo atto ufficiale del colonialismo italiano, anche se fu subito abrogata all’arrivo della comunicazione governativa.106
Nel 1880 vennero create le prime infrastrutture di Assab, venne tessuta una rete di relazioni diplomatiche con le varie regioni confinanti e venne aperta la via Assab-Aussa-Scioa risolvendo i problemi della sua sicurezza.107
100 V. Documento 5.
101 V. Documento 6.
102 V. Documento 7.
103 V. Documento 8.
104 T. Scovazzi, Assab, Massaua, Uccialli, Adua. Gli strumenti giuridici del primo colonialismo italiano, Giappicchelli, Torino, 1996, Pag. 15-16.
105 Ibidem, Pag. 29-30.
106 V. Documento 9.
107 Y. Mesghenna, Italian Colonialism: A Case of Study of Eritrea 1869-1934, University of Lund, Lund, 1988, Pag.86.
Dobbiamo ricordare che fino a questo momento, più precisamente fino al 1882, Assab rimarrà un possedimento teoricamente privato (Rubattino), e quindi andremo ora ad analizzare i motivi che spinsero il governo italiano ad uscire da quel limbo che l’aveva fino ad allora contraddistinto ed intervenire direttamente nelle questioni coloniali.
Esaminando gli eventi in modo strettamente cronologico, dobbiamo rilevare che la prima spinta che la diplomazia italiana ricevette verso una riconsiderazione dei territori del corno d’Africa venne data dal cosiddetto “schiaffo di Tunisi”108 del 1881, avvenimento molto sentito in patria e che portò alla caduta del governo Cairoli. La Tunisia era considerata dalla politica italiana il naturale sbocco per la risoluzione dei problemi demografici che assillavano il paese e grazie alla forte presenza italiana sul posto109 il ministero degli esteri italiano era convinto di riuscire a far passare, prima o dopo, un effettivo protettorato italiano sul paese nordafricano. Il colpo di mano francese del 12 maggio 1881 prese completamente alla sprovvista il governo italiano ed in seguito alle feroci polemiche ed alle proteste che si svilupparono, il presidente del Consiglio Cairoli diede le dimissioni, caso rarissimo, come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, per questioni di politica estera.
A questo punto dobbiamo osservare che da questo momento in poi entrerà in campo nel dibattito della politica coloniale e non solo, un nuovo fattore il quale, fino ad allora, non si era certo potuto considerare chiave nelle mosse politiche italiane e cioè quello degli organi di stampa. Nell’ultimo ventennio dell’800, nonostante l’analfabetismo nel paese raggiungesse ancora livelli alquanto elevati110 ma comunque in calo, l’importanza sociale dei giornali cominciò a crescere permettendo a fasce marginali della popolazione, fino a quel momento per nulla coinvolte nella politica italiana, di poter esprimere il proprio parere su questioni di stretta attualità. All’alba del 1881 la questione coloniale e quella della ricerca di territori d’oltremare era rimasta confinata a ristretti circoli di intellettuali (come la Società Geografica Italiana) e la stampa non aveva minimamente enfatizzato tutta la questione della baia di Assab. Anzi la maggior parte dei giornali, tranne quelli mazziniani assolutamente avversi al colonialismo, ritenevano che, dato che il governo aveva stabilito ad Assab una stazione commerciale senza utilizzare frode o violenza, si dovesse pensare di trarne quei benefici che ci si era prefissi senza discutere se fosse un bene od un male.111
108 Con il trattato del Bardo, firmato il 12 maggio 1881 a Casr-Said, detto così dal nome del castello dove fu stretto tra il Bey di Tunisi e il generale Bréat, la Francia riconosceva il potere del Bey e gli prometteva il suo appoggio, dietro compenso di controllo e di rappresentanza diplomatica che la Francia si assumeva della Tunisia all'estero; a questo fine un console francese era intermediario tra il suo governo e le autorità tunisine. Praticamente, la Francia istituiva un protettorato, con il consenso della Gran Bretagna, che assomigliava molto ad una colonia, lasciando l’Italia a bocca asciutta ed obbligata a rivolgersi verso altri lidi.
109 Gli italiani emigrati presenti in Tunisia nel 1881 erano circa 11.000, la comunità straniera di gran lunga più folta nel paese nordafricano.
110 La percentuale nazionale di analfabetismo era del 67,2% nel 1881, ridotta al 56% nel 1901. Le cifre non sono omogenee per tutto il paese ma, come purtroppo usuale, la percentuale nel meridione italiano era decisamente più alta rispetto al nord.
111 G. Pescosolido, Alle origini del colonialismo italiano: la stampa italiana e la politica coloniale dell’Italia dal rifiuto di intervento in Egitto alla vigilia dell’occupazione di Massaua (1882-1884), Fonti e problemi della politica coloniale italiana, Atti del convegno Taormina-Messina,23-29 ottobre 1989, Vol. II, Ministero per i beni cult. e amb., Roma, 1996, Pag. 567-69.
37 La rivolta di Arabi Pascia112 in Egitto, ed il rifiuto italiano di intervenire militarmente al fianco della Gran Bretagna fu un altro di quegli episodi che in qualche modo spinsero il governo presieduto da Agostino Depretis113 a schiacciare il piede sull’acceleratore nell’impegno italiano in Africa Orientale. Infatti, dopo che la stampa nazionale aveva inizialmente sostenuto la politica governativa di non intervento ed aver deprecato l’Inghilterra per l’eccessiva ingerenza nelle questioni interne egiziane114, le pubblicazioni legate ai circoli filo colonialisti cominciarono ad accusare Mancini di immobilismo e di non aver saputo difendere gli interessi italiani nell’area. In realtà, la politica estera tricolore in quegli anni fu abbastanza coerente giacché, oltre alla necessità di mantenere le distanze dalla Francia, nazione oltretutto direttamente concorrente al nascente ideale espansionistico italiano, dovette anche sottostare alle obbligazioni derivanti dalla firma del trattato con Austria e Germania115 , la cosiddetta Triplice Alleanza.116
Ad ogni buon conto, con la convenzione del 10 marzo 1882117 la proprietà della baia di Assab veniva ceduta dalla società Rubattino allo Stato italiano e fu così possibile dare al territorio un più idoneo assetto giuridico che passava dall’essere un «Possedimento italiano di proprietà della società Rubattino» a «colonia italiana». Naturalmente non fu estraneo alla definizione di tale diritto di sovranità il riconoscimento del governo britannico, al quale in cambio l’Italia s’impegnò a non farne né una base navale né un sito di commercio d’armi;
112 G.P. Calchi Novati, Fra Mediterraneo e Mar Rosso. Momenti di politica italiana in Africa attraverso il colonialismo, Istituto italo-africano, Roma, 1992, pag. 23-43. Nel febbraio del 1881 alcuni colonnelli dell’esercito egiziano con a capo Arabi Bey (in seguito definito Pascià) si ribellarono una prima volta al viceré Tewfik chiedendo di licenziare tutti i circassi dell’armata. In realtà la protesta aveva lo scopo di ottenere una costituzione e di limitare il sistema di controllo che Francia e Gran Bretagna esercitavano sulla sovranità egiziana. Non avendo ottenuto nessun risultato, il 9 settembre 1881 si verificò una nuova rivolta con la richiesta di un nuovo governo, una costituzione e l’incremento delle forze armate da 11000 a 18000 effettivi. Dopo alterne vicende sia politiche che militari, la decisione di Londra di bombardare Alessandria con la flotta presente nel Mediterraneo (11 luglio 1882) e l’intervento della Turchia a sostegno della posizione britannica, portarono Arabi alla sconfitta e trasformarono l’Egitto, di fatto se non di nome, in un protettorato inglese che molto assomigliava ad una colonia.
113 Deprètis, Agostino. - Uomo politico (Mezzana Corti, Pavia, 1813 – Stradella 1887). Mazziniano in gioventù, fu ministro, capo della Sinistra parlamentare, capo del Governo. Al suo nome è legata la prima fase della politica trasformistica che nell'annullamento delle distinzioni di destra e sinistra assicurò al D. la maggioranza parlamentare. Col suo governo s'iniziò anche l'espansione coloniale in Africa.
114 Ibidem. Mancini era un fermo sostenitore del principio di nazionalità ed inoltre in Italia si pensava che il sostegno al governo egiziano avrebbe garantito non solo i reali interessi della comunità italiana presente in Egitto (circa 14000 persone, seconda per numero solo a quella greca), ma che sarebbe stato utile anche per le prossime mosse in Africa Orientale.
115 Triplice Alleanza. - Patto difensivo segreto siglato tra Germania, Austria e Italia (20 maggio 1882), promosso dal cancelliere tedesco O. von Bismarck per isolare la Francia. Prevedeva l’aiuto reciproco tra Italia e Germania in caso di aggressione francese o se uno dei tre contraenti fosse stato attaccato da due potenze e neutralità nel caso che uno dei firmatari fosse indotto a dichiarare guerra. L’Italia, preoccupata per il proprio isolamento politico e per le possibili complicazioni della questione romana che coinvolgeva la Francia, entrò nel sistema degli imperi centrali nonostante le ostilità irredentistiche nei confronti dell’Austria. Il trattato, della durata di 5 anni, era integrato dalla dichiarazione, richiesta dall’Italia, che l’alleanza non potesse essere rivolta contro la Gran Bretagna.
116 G.P. Calchi Novati, Fra Mediterraneo e Mar Rosso. Momenti di politica italiana in Africa attraverso il colonialismo, Istituto italo-africano, Roma, 1992, Pag. 23-25.
117 V. Documento 10.
peraltro secondo Mancini il territorio di Assab non rappresentava che interessi meramente economici.
La prima preoccupazione, una volta acquisito il territorio, fu quella di presentare un progetto di legge alla Camera che definisse la particolare condizione giuridica della colonia; venne quindi definito un territorio “non geograficamente italiano ma politicamente italiano”, “non parte integrante del Regno d’Italia, ma parte del territorio italiano costituito da condizioni legislative, giudiziarie e amministrative affatto speciali, e convenienti al reggimento di una colonia”. Il progetto confermava inoltre al ministero degli Esteri la competenza della politica coloniale stabilendo inoltre un principio di diritto positivo che avrebbe trovato riscontro in tutte le successive leggi coloniali: dal punto di vista amministrativo, legislativo, giudiziario ed economico sarebbe stato l’esecutivo, cioè il governo a provvedere con decreti reali e ministeriali a scapito della legislazione parlamentare. Inoltre il disegno di legge definiva anche la condizione giuridica degli abitanti della colonia riconoscendo due soggetti di diritti con diversi stati giuridici e capacità politica: i cittadini italiani conservavano le leggi del Regno ed i codici italiani mentre gli indigeni avrebbero usufruito di un diritto consuetudinario, opportunamente modificato se in contrasto con quello nazionale.118 Ecco come Mancini commentò alla camera il disegno di legge:
“che nulla è più pericoloso quanto l’adoperare nei Codici o negli atti legislativi certe parole che non hanno uniformità di significato; tali sono le parole sudditanza e cittadinanza […] Non è però in mente del Governo, e credo che non sarà nel concetto della Camera, di voler fare degli indigeni abitanti di Assab altra cosa che dei veri cittadini italiani, anziché una classe di paria, inferiore e soggetta. Ma non per questo ne segue necessariamente che essi debbono avere immediatamente l’esercizio di tutti i diritti politici. Questa conseguenza a ragione si nega. Una legge può conferire a questi nuovi cittadini, per le speciali condizioni di società e di civiltà in cui si trovano, una determinata misura di diritti politici per qualche tempo: senza di ciò, e se dovessero ritenersi stranieri, o carenti di diritti, diverrebbe inutile la legge che vi sta innanzi”.119
La legge per la colonia di Assab del 5 luglio 1882 n. 857120 venne approvata alla Camera con 147 voti favorevoli e 74 contrari ed al Senato con 39 favorevoli e 32 contrari: era ufficialmente nata la prima colonia italiana in Africa.
Nonostante tutto ciò, le maggiori mire italiane in materia coloniale restavano legate al Mediterraneo e più precisamente alla costa libica, da sempre vista come “quarta sponda” dai
118 I. Rosoni, La Colonia Eritrea – La prima amministrazione coloniale italiana (1880-1912), eum, Macerata, 2006, Pag. 114-117.
119 Ibidem, Pag. 117. 120 V. Documento 11.
vari governi succedutisi, e considerata la soluzione migliore per risolvere una volta per tutte i perenni problemi di sovrappopolamento del mezzogiorno italiano. Quando nel 1883 la Francia compì alcune mosse verso il Marocco, la diplomazia italiana ebbe la speranza di poter effettuare un’azione su Tripoli, dato che, pensava, l’Inghilterra non avrebbe mai permesso che l’equilibrio mediterraneo potesse venire alterato in maniera così rilevante in favore di Parigi. Il rapido dissolvimento dell’azione francese obbligò l’Italia a bloccare i preparativi per una spedizione in nord africa, lasciando ancora una volta la sensazione amara di un’occasione mancata e costringendo il paese a guardare nuovamente al Corno d’Africa come valvola di sfogo per le ambizioni tricolori.121
Inoltre, il governo italiano si rendeva perfettamente conto che il tornare sulla questione tunisina a livello europeo non avrebbe fatto altro che creare nuove complicazioni diplomatiche, ma sentiva anche il polso della nazione che non avrebbe accettato passivamente qualsiasi ulteriore alterazione a suo danno dello status quo mediterraneo. Lo stesso cancelliere tedesco Bismarck122, che pure aveva incoraggiato la Francia nelle sue azioni nord africane, riteneva che l’Italia avesse a Tripoli degli interessi che i francesi non avrebbero dovuto toccare. Così si rivolgeva, il 13 maggio 1883, all’ambasciatore francese a Londra Waddington123: "Pour Tunis je regarde la question comme résolue; au fond les italiens en ont pris leur parti ; toute l’Europe reconnaît aujourd’hui que celui qui est maître de l’Algérie devait nécessairement étendre sa domination sur la Tunisie. Mais vous n’avez aucun intérêt à
121 N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002, Pag. 52.
122 Bismarck-Schönhausen, Ottone principe di. - Statista (Schönhausen 1815 - Friedrichsruh 1898). Fin dal 1847, segnalandosi alla "dieta unita" di Berlino per la vigorosa politica antiliberale, si distinse come capo della destra junkerista, il cui programma di rivendicazione dei privilegi nobiliari e delle corporazioni egli sostenne impetuosamente nella Camera di revisione del 1849. Ambasciatore a Pietroburgo (1859), riuscì a neutralizzare il tentativo austriaco di trascinare la Russia nella guerra contro il regno di Sardegna e l'impero francese. Presidente del consiglio dei ministri nel 1862, di fronte all'opposizione della Camera alla legge sulle spese militari, B. - con un gesto incostituzionale - accoglieva e applicava la legge, già approvata dalla Camera dei signori, nonostante l'opposizione del parlamento. Iniziava allora la sua azione intesa a porre la Prussia alla testa del moto per l'unità tedesca. Poneva quindi le premesse della guerra del 1866 contro l'Austria (incontro di Biarritz del 30 sett. 1865 con Napoleone III, che garantì la propria neutralità), dichiarata di fatto con l'alleanza italo-prussiana dell'8 aprile di quell'anno. La vittoriosa battaglia di Sadowa (3 luglio 1866), seguita nel mese successivo dalla pace di Praga, assicurò alla Prussia il predominio in Germania e segnò la fine della Confederazione tedesca con la eliminazione dell'impero asburgico da una sfera d'azione politica tradizionale e plurisecolare. B. riuscì a rendere inevitabile (dispaccio di Ems, 13 luglio 1870) la guerra contro la Francia (guerra che realizzò l'unità spirituale e politica della Germania sotto la guida della Prussia) e, vinta la diffidenza degli stati meridionali, ottenne il conferimento a Guglielmo I della corona del nuovo impero germanico proclamato a Versailles nel gennaio 1871. Nel giugno 1871 il sovrano creava B. principe. La stipulazione della Triplice Alleanza, nel 1882, fra Germania, Italia e Austria-Ungheria, completava questo sistema, che lasciava la Francia isolata in Europa. Ma la crisi bulgara del 1886, l'urto presto conseguitone fra Russia e Austria, minacciarono alla base tutto il sistema. B. rimediò, sia contraendo con la Russia il trattato di "controassicurazione" (1887), sia dando maggior valore alla Triplice Alleanza e, con ciò, rafforzando in essa la posizione dell'Italia (primo rinnovo della Triplice, 1887). In campo internazionale, dunque, grazie al B., la Germania riuscì in quegli anni ad affermare il proprio predominio politico e diplomatico in Europa (il B. si tenne sempre estraneo al settore della politica coloniale, se si eccettua l'intervento africano in funzione anti inglese del 1884) con una politica costantemente rivolta al mantenimento della pace.
123 Waddington, William-Henry. - Uomo politico francese (Saint-Rémy-sur-Avre, Eure-et-Loire, 1826 – Parigi 1894) di origine inglese; studiò a Cambridge; naturalizzato francese, s'interessò di epigrafia e numismatica e compì viaggi in Asia Minore. Fu tra i fondatori della Scuola pratica delle Hautes-Études (1868). Deputato repubblicano dal 1870, fu ministro dell'Istruzione nel gabinetto Thiers del 18-24 maggio 1875. Senatore dell'Aisne (1876), ministro dell'Istruzione nel gabinetto Dufaure e ancora nel gabinetto Jules-Simon, fu poi ministro degli Esteri col nuovo gabinetto Dufaure (1877-79). Dopo la caduta di Mac-Mahon (1879) formò un ministero, tenendo per sé gli Esteri (4 febbr. - 8 dic. 1879). Dal 1883 al 1893 fu ambasciatore a Londra. Socio straniero dei Lincei (1883).
aller plus loin".
124
D’altronde, che l’imperialismo fosse diventato un sistema vero e proprio venne dimostrato pochi mesi dopo con la seconda Conferenza di Berlino (15 novembre 1884 – 26 febbraio 1885); dopo essere stati preceduti da alcune delegazioni scientifiche, i rappresentanti diplomatici europei si riunirono nella capitale tedesca per definire le aree di influenza ed i protettorati nei vari territori extra europei. Era ormai terminata quella fase di passaggio fra l’età degli imperi informali e la corsa alla spartizione del mondo, nel nostro caso particolare allo scramble for Africa125, nella quale si era gettata anche la Germania a partire dall’anno precedente. Anche in quest’occasione l’Italia rischiò di essere lasciata fuori dalla conferenza, ma, grazie all’intervento di Londra, poté partecipare e quindi usufruire di alcune importanti aperture britanniche per l’eventuale insediamento a Beilul126 ed a Massaua.127
Le mosse italiane nel Corno d’Africa, che in questo periodo seguono spesso le indicazioni britanniche, sono facilmente esplicabili attraverso l’indole del Ministro degli esteri Mancini, il quale riflette gli ideali dei primi viaggiatori (Piaggia); autore il 22 gennaio 1851 della celebre teoria del Principio delle nazionalità128 (passerà il resto della sua vita a cercare di evidenziare come il suo principio fosse compatibile con la sua politica coloniale), Mancini riteneva che la colonizzazione dovesse essere intesa come opera di progresso, con il massimo rispetto per le differenze religiose, i costumi e le tradizioni famigliari dei popoli non ancora aperti alla civiltà. Pensava anche, come Negri, che tra la colonizzazione territoriale e quella commerciale sarebbe sicuramente stata preferibile la seconda, ed era assolutamente contrario ad un uso della forza. Riteneva inoltre che, dal punto di vista commerciale, il governo dovesse semplicemente preparare il terreno e creare i mezzi necessari all’avviamento delle attività private e non intervenire direttamente nelle questioni economiche. Dichiarava infatti alla Camera il 27 gennaio 1885: “Il Governo non si fa speculatore, non può divenire commerciante e industriale”. E’ quindi nei limiti di queste premesse che Mancini si propone di agire in Africa nonostante le aspirazioni coloniali in Italia siano ancora, sul finire del 1884, vaghe, confuse e contraddittorie.129
Dopo aver preparato diplomaticamente l’azione con l’appoggio della Gran Bretagna (accordi informali prevedevano che quando il corpo italiano si fosse presentato a Massaua la guarnigione egiziana non si sarebbe opposta ed il vice-governatore egiziano, pur protestando
124 C. Zaghi, P. S. Mancini, l’Africa e il problema del Mediterraneo (1884-1885), Casini, Roma, 1955, Pag. 16. 125 Letteralmente “Corsa all’Africa”.
126 Accordo stipulato il 16 novembre 1884, occupazione effettuata il 25 gennaio 1885.
127 N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002, Pag. 52-53.
128 T. Scovazzi, Assab, Massaua, Uccialli, Adua. Gli strumenti giuridici del primo colonialismo italiano, Giappicchelli, Torino, 1996, Pag. 77-83. Il “principio delle nazionalità” era stato espresso all’indomani dei rovesci del 1849 ed aveva un duplice obiettivo: il primo di ridare impulso all’idea di unità del paese ed il secondo di dare alla medesima idea un fondamento logico e giuridico. Sosteneva che la nazione fosse figlia della natura e che fosse costituita da alcune proprietà e fatti costanti: le principali erano la regione, la razza, i costumi, la lingua, la storia, le leggi e le religioni. Secondo Mancini nella genesi dei diritti internazionali è la nazione che rappresenta l’unità elementare e non lo stato; alla nazione spetta il diritto di diventare uno stato, dandosi un governo proprio. Il principio di nazionalità costituì il presupposto politico e giuridico su cui si fondò il risorgimento italiano.
formalmente contro l’occupazione, avrebbe accolto amichevolmente le truppe italiane), il 17 gennaio 1885 partì da Napoli un corpo di spedizione che comprendeva anche quattro compagnie di bersaglieri, una di artiglieria ed i servizi, comandato dal colonnello Tancredi Saletta130, che arrivò nel porto di Massaua il 5 febbraio 1885. In seguito alle proteste della Turchia, dalla quale almeno formalmente l’Egitto ancora dipendeva, la guarnigione egiziana presente a Massaua non evacuò la città ed assistemmo da quella data fino al 2 dicembre 1885 al cosiddetto Condominio provvisorio italo-egiziano, durante il quale entrambe le bandiere dei due paesi furono issate insieme ed i due stati coesistettero nella gestione dei pubblici poteri. Prima di proseguire cronologicamente con il nostro studio, ci sembra fondamentale soffermarci un momento su un argomento che acquisterà nel tempo sempre più importanza nella storia del colonialismo italiano sia in positivo che in negativo. Abbiamo precedentemente accennato alla rilevanza che, dalla seconda metà dell’800, comincia ad avere la stampa anche in Italia, sia dal punto di vista puramente informativo che da quello politicopropagandistico. Fino agli avvenimenti egiziani, la rivolta di Arabi Pascià, i giornali nazionali si erano affidati a corrispondenti d’occasione come esploratori o diplomatici coloniali, personaggi dai quali non ci si poteva aspettare che notizie parziali, infondate o comunque interessate. Le testate più importanti sentirono quindi la necessità di sostituire queste tradizionali fonti d’informazione con dei propri diretti rappresentanti. Emerse così per la prima volta la figura dell’inviato speciale, nata da pochi anni, che verrà spedito direttamente sul posto per raccontare, al netto di interessi particolari, le vicende africane.131 Questi primi cronisti non avevano ancora connotati precisi e non era infrequente che le posizioni ideologiche e politiche dell’inviato non collimassero con quelle del giornale che lo aveva assunto: ad esempio il giornale democratico “Secolo” inviò nel 1881 ad Assab Alberto Pogliani, viaggiatore ed uno dei pochi milanesi a credere nell’avventura coloniale. Naturalmente questi primi “professionisti” venivano presentati al pubblico in modo estremamente enfatico, esaltandone il coraggio ed il senso del dovere nel rimanere in zone di pericolo; la figura dell’inviato speciale comincia quindi a configurarsi nella forma di giornalista-eroe, il quale sfida ogni insidia in nome della verità. Abbiamo ricordato in precedenza che non sempre le ideologie della testata che aveva inviato il cronista veniva confermata dai suoi articoli: Achille Bizzoni132, inviato dal giornale “Secolo” ad Alessandria per difendere gli egiziani oppressi e perorare la causa anticolonialista ed antibritannica, dopo essere stato testimone delle rovine e dei massacri compiuti dai rivoltosi, si lanciò in un’accorata difesa degli inglesi mettendo in evidenza l’imbarazzante dissidenza tra la linea politica della testata e quella dell’inviato.133
130 Saletta, Tancredi. - Generale (Torino 1843 – Roma 1909). Dopo aver partecipato all'assedio di Gaeta (1860-61) e alla campagna del 1866, comandò il corpo di spedizione che occupò Massaua (1885). Tornato in patria (1888), nel 1896 fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito e nel 1900 senatore.
131 M. Pellegrino, I primi inviati speciali italiani in Africa (1881-1890), Nuova rivista storica, Vol. LXXIV (1990), Soc. Ed. Dante Alighieri, Roma, Pag. 579.
132 Bizzoni, Achille. - Giornalista e scrittore italiano (Pavia 1841 – Milano 1903). Direttore di giornali di orientamento democratico e anticlericale, come il Gazzettino rosa edito a Milano dal 1867 al 1873, fu sostenitore di ideali di stampo repubblicano e internazionalista. È autore di romanzi di argomento storico e psicologico, nei quali spesso narra esperienze autobiografiche (Impressioni di un volontario all'esercito deiVosgi, 1874).
Tutto questo mette in evidenza un sistema di informazione, soprattutto per quanto riguarda la politica internazionale, non ancora collaudato. Negli anni successivi, infatti, verranno effettuate alcune correzioni, come quella di smettere di pubblicare articoli del giornalista ancora in viaggio (che già descriveva realtà a lui ancora sconosciute), ma solo quelli provenienti dai luoghi di destino.
Quando nel gennaio 1885 il contingente italiano diretto a Massaua lascia Genova, il “Secolo” è il primo quotidiano italiano a mandare in Africa un inviato, Giacomo GobbiBelcredi134, che segue la spedizione anche per la “Tribuna” di Roma. Si imbarca a Napoli su un battello inglese per il Cairo e dopo due giorni è a Suez ed all’arrivo dell’ammiraglia italiana tenta invano di imbarcarsi; nonostante tutti i suoi tentativi il comandante della nave non vuole prendere a bordo giornalisti, mandando Belcredi su tutte le furie. Commenta che, a confronto con le civili autorità inglesi, quelle italiane hanno una “medievale” diffidenza per la stampa, che lo trattano come una spia e, se non lo fucilano, cercano di mettergli i più possibili bastoni tra le ruote. Dopo essere stato costretto ad imbarcarsi su un altro battello britannico, dopo aver toccato alcune colonie inglesi, arriva finalmente ad Assab ed a Massaua. La cronaca dei primi giorni in città è deprimente, ed immediatamente le sue prime corrispondenze rivelano come la spedizione sia stata organizzata con leggerezza e superficialità.135 Difenderà sempre con forza la causa anticoloniale ed il coraggio con cui sfiderà le autorità militari faranno di lui un personaggio estremamente inviso al Comando, stimato dai colleghi ed amato dai lettori.136
Giulio del Valle è, al contrario, un convinto filo-colonialista, socio fondatore della Società Africana di Napoli, africanista e viaggiatore, l’alter ego di Belcredi per quanto riguarda l’ideologia che lo spinge a sostenere l’impresa africana dell’Italia. Scriverà per il quotidiano fiorentino “L’Elettrico”, “Il Popolo Romano”, “La Nazione” ed il giornale napoletano “Piccolo”. Paradossalmente, Del Valle sarà il primo redattore italiano espulso dall’Africa, seguito poco dopo dallo stesso Belcredi. Tornato più volte in Africa, sarà più tardi l’unico giornalista, tra i pochissimi presenti in Eritrea, ad essere coinvolto nella battaglia di Adua: si unirà volontario alla brigata bersaglieri “Arimondi” e morirà sul campo. Le espulsioni degli inviati erano essenzialmente di due tipi: quelle che colpivano i redattori africanisti per ciò che facevano e quelli anticolonialisti per ciò che dicevano, poiché in entrambi i casi mettevano in serio imbarazzo le autorità militari.137
134 Gobbi-Belcredi, Giacomo. – Giornalista (Genova 1860 – 1919), laureato in legge, Belcredi-Gobbi (il cognome viene a volte invertito, o si limita al solo Gobbi) acquisì notevole fama grazie ai suoi articoli “dal fronte”, in modo particolare nel primo periodo coloniale italiano. Diresse il giornale La Patria degli italiani a Buenos Aires e fu caporedattore della Stampa a Roma. Nel 1900 fondò la rivista L’Italia coloniale, dopo lo sbarco dei Bersaglieri dalla nave Gottardo; la testata pubblicò per quattro anni. Il suo primo viaggio in Africa risaliva tuttavia al 1881, quando aveva raggiunto la remota Assab per presenziare allo sbarco dei primi soldati italiani. Abile giornalista, Belcredi-Gobbi seguì lo sbarco ed il consolidamento della colonia di Massaua sin dal febbraio 1885 per conto della Tribuna e del Secolo.
135 V. Documento 12.
136 M. Pellegrino, I primi inviati speciali italiani in Africa (1881-1890), Nuova rivista storica, Vol. LXXIV (1990), Soc. Ed. Dante Alighieri, Roma, Pag. 583-85.
137 Ibidem, Pag. 585-86.
E’ bene sottolineare che non solo gli inviati criticavano la situazione presente a Massaua, ma anche tra gli stessi militari l’ottimismo non era propriamente all’ordine del giorno. L’ex capitano Manfredo Camperio138, viaggiatore e socio fondatore della Società di esplorazione commerciale in Africa, già nel 1887 sosteneva che il problema di Assab, Massaua e di tutta la costa del Mar Rosso era quello di trovarsi in un mare chiuso con gli sbocchi in mano ad altre potenze (Inghilterra) e che nel caso di un conflitto avrebbero dovuto essere abbandonate per forza.139 Criticava anche le polemiche in patria tra anti e filo colonialisti oltre che l’operato del governo:
“Noi comprendiamo benissimo coloro che vanno ripetendo «stiamo a casa nostra, siam troppo poveri e deboli per procurarci il lusso delle colonie», è questione di meschinità di idee e non la disputiamo. Ma non comprendiamo chi vuole le colonie e non vuol prepararcisi in seri studi, con numerose e ben condotte esplorazioni, sacrificando oggi dieci, per non essere costretti a sacrificare cento domani a causa di errori commessi per ignoranza. E’ triste dirlo, ma la serie di errori commessi fin dalla nascita del nuovo Ministero è da attribuirsi unicamente alla nessuna conoscenza del paese ove siamo andati ad impiantarci: ed è quanto dobbiamo evitare per il futuro.”140
Tornando al nostro racconto, contemporaneamente alla questione di Massaua sembrò aprirsi per l’Italia un’ulteriore possibilità di espansione all’ovest: il 19 gennaio 1885 giunse a Roma l’offerta britannica di collaborare con il governo inglese alla riconquista del Sudan ed alla liberazione del generale Gordon141, assediato nella capitale Khartoum, mediante l’invio di un corpo di spedizione di circa 6000 uomini da aggregare alla spedizione inglese. La proposta venne avanzata, in modo confidenziale dall’ambasciatore britannico a Roma, sir John Lumley-Savile142, suscitando un’attesa straordinaria sia all’interno del governo che, quando diventò di dominio pubblico, nell’opinione generale del paese.
138 Camperio, Manfredo. - Viaggiatore, scrittore, uomo politico (Milano 1826 - Napoli 1899); per aver partecipato ai moti del 1848, esulò a Londra. Prese parte alle campagne del 1859 e del 1866 e fu per breve tempo deputato nel 1874. Dopo aver visitato l'Australia, la Malesia, le Indie, fondò nel 1877 il periodico geografico L'Esploratore, che l'anno seguente divenne l'organo della Società di esplorazione commerciale in Africa, da lui costituita. Tra i primi a studiare la Libia, visitò nel 1880 la Tripolitania e nel 1881 la Cirenaica. Nella metà degli anni ’80 si trovò a visitare Massaua ed Assab.
139 M. Camperio, Da Assab a Dogali – Guerre Abissine, Dumolard, Milano, 1887, Pag. 56-57.
140 Ibidem, Pag. 61.
141 Gordon, Charles George, detto Gordon Pascià. - Generale britannico (Woolwich 1833 - Kharṭūm 1885). Combattente in Crimea, poi (1860-64) nella Cina orientale, contribuì in modo decisivo alla repressione del movimento insurrezionale dei T'aip'ing. Nel 1874 entrò al servizio del chedivè d'Egitto, come governatore delle province equatoriali, distinguendosi per illuminata energia. Fu poi incaricato di sottomettere il Sudan, dove si era scatenata la rivolta del Mahdī (1884). Assediato in Kharṭūm, resistette dieci mesi: fu decapitato dai ribelli pochi giorni prima dell'arrivo dei soccorsi britannici.
142 Ambasciatore britannico in Italia dal 1883 al 1888.
I porti di Beilul e Massaua parvero briciole rispetto alle possibilità che si sarebbero aperte nel grande paese africano e quando il 26 gennaio giunse la notizia della caduta di Khartoum, il governo decise che se fosse pervenuta una formale richiesta di aiuto per la riconquista del Sudan da parte delle autorità britanniche, l’Italia avrebbe accettato senza esitare. La richiesta inglese però non arrivò mai e di nuovo il governo italiano si ritrovò ad organizzare la situazione nel territorio di Assab e Massaua. Con lo sbarco nella città Eritrea e con la mancata campagna a fianco dell’Inghilterra in Sudan si concluse la prima fase del programma coloniale di Mancini, basato essenzialmente sulla solidarietà britannica.143
La seconda fase della politica coloniale di Ministro degli esteri, che risentì dell’influenza di Antonio Cecchi144, cercò di essere più intraprendente: pur continuando a presupporre un’identità di interessi con la Gran Bretagna, sfruttò il suo latente conflitto con la Francia per arrivare alla realizzazione degli obiettivi africani dell’Italia. Cambiò anche il carattere dell’impresa: da politica militare, come era la prima, a commerciale economica attraverso un’opera di penetrazione e influenza che non ferisse le suscettibilità delle varie potenze, senza violenze e soprattutto senza il pericolo di trascinare il paese in imprese lontane, costose, lunghe e dall’esito incerto, oltre a evitare nel modo più assoluto il conflitto con il Negus. Mancini fin dal primo momento tenne a rassicurare l’imperatore sul carattere pacifico dello sbarco italiano a Massaua e gli garantì il rispetto delle clausole del trattato di Hewett145. Questa era l’idea del Ministro, alla cui base vi era una pacifica convivenza con le popolazioni indigene, ma tutto ciò andava a scontrarsi con l’idea di dominio del re dello Scioa, Menelik146, il quale stava programmando il suo piano per sostituire l’imperatore Yohannes al vertice dello stato etiopico. Nel 1885 la spinta di Menelik verso il sud del paese era appena agli inizi ma procedeva sistematica ed inesorabile, grazie alle armi ed ai mezzi forniti dagli europei, e per garantirsi ulteriori armi e munizioni da parte dell’Italia, oltre al suo appoggio politico, tollerò anche le modeste velleità espansionistiche del governo romano.
143 C. Zaghi, P. S. Mancini, l’Africa e il problema del Mediterraneo (1884-1885), Casini, Roma, 1955, Pag. 92-96.
144 Cecchi, Antonio. - Esploratore italiano dell'Africa orientale (Pesaro 1849 - Lafolè 1896); si unì alla spedizione di O. Antinori (1877) e proseguì insieme a G. Chiarini da Let Marefià verso S: imprigionato a Cialla dalla regina di Ghera (1879), non fu liberato che dopo molti mesi. Scrisse una relazione di grande interesse (Da Zeila alle frontiere del Caffa, 1886-87). Ebbe quindi incarichi politici tra cui quello di regio commissario per la Somalia Italiana (1896). Fu ucciso dagli indigeni mentre tentava di penetrare da Mogadiscio nell'interno.
145 V. Documento n. 13.
146 Menelìk II. - Imperatore di Etiopia (Ancober 1844 – Addis - Abeba1913). Figlio di Hāyla Malakot negus dello Scioa, fu catturato dall'imperatore d'Etiopia Teodoro II durante la sua campagna di conquista dello Scioa, e tenuto prigioniero per oltre 10 anni nella fortezza di Magdala. Tornato nello Scioa (1865), se ne proclamò negus; alla morte di Teodoro II (1868) dovette rinunciare alle aspirazioni imperiali e sottomettersi a Giovanni IV. Ma con una duplice azione, militare e politica, ampliando i possessi aviti dello Scioa e venendo in trattative con l'Italia, andò preparando la sua ascesa al trono imperiale che si compì nel 1889, alla morte di Giovanni IV. Il trattato di Uccialli, che egli subito stipulò con l'Italia, parve implicare da parte di M. l'accettazione del protettorato italiano; invece la controversa interpretazione dell'art. 17 condusse a uno stato di guerra fra Italiani e Abissini, che dal 1894 si protrasse fino al 1896, allorché si concluse con la battaglia di Adua, alla quale Menelik prese parte personalmente. Sbarazzatosi di ogni tutela italiana, Menelik proseguì l'ampliamento del suo Impero, sottomettendo il territorio del Caffa e dei Galla Borana (1897-98). Dopo di che, definiti i confini d'Etiopia e forte del riconoscimento degli stati europei, intraprese un'opera di modernizzazione del suo paese (ferrovia di Gibuti; creazione della carica di ministro del governo; istituzione di una scuola di tipo europeo; ecc.). Nel 1909 proclamò erede al trono il nipote ligg Iyäsu; sopravvisse ancora quattro anni, senza più poter prendere parte, per ragioni di salute, agli affari di stato. Fu indubbiamente il consolidatore della indipendenza etiopica di fronte all'Europa. La qualifica di "secondo" aggiunta al suo nome si spiega con il fatto che il primo Menelik, per la tradizione etiopica, è il leggendario figlio di re Salomone e della regina di Saba, al quale tutti i regnanti di Etiopia si riallacciano, come appartenenti a un unico lignaggio.
45 Firmò trattati commerciali e di amicizia con Pietro Antonelli147 e fu larghissimo di promesse. Ciò che Mancini non riescì a comprendere fu che la politica aggressiva etiopica nei confronti anche di quei territori, di fatto res nullius148 ma considerati dal Negus come un naturale prolungamento dell’Abissinia, avrebbe portato inesorabilmente ad un conflitto con l’Italia anche per il solo fatto di essere presente a Massaua.149
Secondo un piano prestabilito, dalla metà del 1885 l’Italia incominciò una progressiva espansione di fatto, occupando alcune località nell’entroterra di Massaua e questo portò alla pronta protesta di Alula150, Ras di Asmara, già il 25 agosto 1885, avvertiva che l’Italia non avrebbe potuto occupare un territorio che apparteneva all’imperatore di Abissinia. Nel gennaio 1887 la tensione giunse al culmine quando un messaggio di Alula pervenne al generale Genè151con la richiesta di evacuare le località di Uaà e di Saati, a circa 20 chilometri da Massaua. A seguito della risposta negativa, il 25 gennaio 1887 gli armati di ras Alula, in parte dotati di fucili, attaccavano il forte di Saati da cui dopo due ore di combattimento erano respinti con forti perdite, grazie anche al fuoco di due pezzi d'artiglieria. Lo scontro, sebbene
147 Antonelli, Pietro, conte. - Viaggiatore e diplomatico (Roma 1853 - 1901), nipote di Giacomo. Recatosi (1879) come privato in Etiopia, nello Scioa, ospite della stazione di Lèt Marefilà, presso il marchese Antinori, soggiornò colà a lungo, adoperandosi attivamente per stabilire rapporti di amicizia fra l'allora re dello Scioa (e poi re d'Etiopia), Menelik, e l'Italia, che riuscirono a essere da lui concretati ufficialmente in un primo trattato di amicizia e commercio stipulato con quel re in Ankobèr nel 1883. Questa politica, che mirava a legare Menelik e il suo paese permanentemente all'Italia, naufragò con il malinteso sorto circa l'articolo 17 del trattato di Uccialli, negoziato e stipulato dallo stesso Antonelli nel 1889. Deputato dal 1890, fu sotto F. Crispi sottosegretario agli Esteri (1894), poi ministro a Buenos Aires (1895) e a Rio de Janeiro (1897). Morì durante il ritorno in patria.
148 Res nullius - locuz. lat. (propr. «cosa di nessuno»). – Espressione lat. del diritto romano, usata tuttora nel linguaggio giur. per indicare cosa che non faccia parte di un patrimonio, su cui cioè nessuno abbia un diritto di proprietà: la res nullius può essere acquistata per occupazione.
149 C. Zaghi, P. S. Mancini, l’Africa e il problema del Mediterraneo (1884-1885), Casini, Roma, 1955, Pag. 109-118.
150 Alula. - Ras tigrino (m. 1897), originario del Tambien, ebbe il governo dello Hamasien; vincitore dei Dervisci a Kufit (1885), avversò (1887) l'espansione italiana (assalto al forte di Saati e distruzione del battaglione De Cristoforis a Dogali, arresto della spedizione Salimbeni). Contrario al convegno del Mareb, vi aderì (1891) ma dal dicembre 1892 si ribellò a Mangascià e fu privato dei beni feudali; più tardi si avvicinò a Menelik col quale combatté ad Adua contro gli Italiani (1896).
151 Genè, Carlo. – Generale (Torino 1836 – Stresa 1890) Promosso maggior generale il 17 nov. 1883, fu nominato direttore dell'Istituto geografico militare di Firenze, incarico che non dovette essere estraneo alla sua successiva nomina a comandante superiore delle truppe italiane in Africa (decreto 6 ott. 1885). La carica, di nuova istituzione, era stata creata per riunire sotto un solo comando le forze di terra e di mare dislocate nel Mar Rosso e, per questioni di natura politica, doveva dipendere dal ministero degli Esteri. Nel 1886 qualche incidente di frontiera induceva il G. a rafforzare la guarnigione di Saati e a occupare le località di Zula e di Uaà, in contrasto con le disposizioni che gli erano state impartite di "mantenere i punti occupati, ma non occuparne altri". A metà gennaio 1887, nonostante le minacce e malgrado l'avvicinarsi in forze di ras Alula, il G. si limitò a rinforzare i presidi minacciati, inviando per la prima volta a Saati anche alcuni reparti nazionali (due compagnie di fanteria e una sezione d'artiglieria da montagna agli ordini del maggiore G. Boretti) in aggiunta ai sei buluk di irregolari indigeni. Dopo la disfatta di Dogali, fatti sgombrare i presidi di Saati, Zula e Uaà, il G. si dispose a organizzare, anche con l'appoggio della Marina, la resistenza, ma il nemico non si fece avanti. Vennero invece intavolate trattative con ras Alula per la liberazione dei componenti della missione Salimbeni, che il ras voleva cedere in cambio degli 800-1000 fucili da lui acquistati in Europa e poi bloccati dal G. a Massaua e dell'estradizione di alcuni suoi sudditi rifugiatisi in territorio sottoposto all'Italia. Dopo qualche tergiversazione, a metà marzo il G. faceva consegnare ad Alula i fucili e i rifugiati - ma non il loro capo - ottenendo che con l'eccezione del Savoiroux, liberato sei mesi più tardi, tutti i componenti della missione gli fossero riconsegnati. Rimpatriato, prima di assumere il nuovo comando il G. fu sottoposto al giudizio di una commissione di quattro generali per l'accertamento di eventuali responsabilità nella consegna dei fucili. La mancanza commessa - questo fu il successivo giudizio della commissione - non era stata di natura e grado tali da rendere il G. immeritevole, neanche momentaneamente, del comando della brigata. Che i comandi avessero ancora fiducia in lui lo dimostrava l'ulteriore evolversi della sua carriera: dopo pochi mesi infatti gli era affidato, in Eritrea, il comando della I brigata (1° e 2° reggimento cacciatori, una batteria da montagna e quattro buluk indigeni) assegnata alla spedizione guidata dal generale A. Asinari di San Marzano, comando che gli avrebbe fatto ottenere una medaglia di bronzo e la promozione, dal 24 sett. 1888, a tenente generale. Con questo grado, una volta rimpatriato, il G. era posto al comando della 24ª divisione militare di Messina, comando che avrebbe esercitato per poco più di un anno prima di rassegnare le dimissioni dal servizio.
vittorioso, aveva però messo in difficoltà la guarnigione, che aveva quasi esaurito le munizioni e che scarseggiava anche di viveri. Dietro richiesta telegrafica munizioni, viveri e rinforzi vennero inviati il giorno successivo, per ordine del generale Genè, sotto il comando del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis152. I rinforzi, partiti in ritardo e costituiti da soldati appena giunti dall'Italia, avanzarono senza troppe precauzioni e, una volta incontrato nella piana di Dogali il nemico, lo affrontarono confidando anche nel volume di fuoco di due mitragliere che avevano al seguito, ma che cessarono, invece, ben presto di funzionare. Schiacciati dal numero, i soldati italiani, oltre cinquecento uomini, caddero quasi tutti sul campo, salvo 84 feriti.
La sconfitta di Dogali ebbe una vastissima eco in patria; per la prima volta gli italiani si resero conto che le imprese coloniali comportavano anche gravi rischi e nella memoria collettiva entrò un desiderio di rivincita, alimentato da un senso del prestigio nazionale spesso portato all’esasperazione, che fece dimenticare alla maggior parte del popolo italiano che era stata l’Italia ad inviare le sue truppe ad occupare territori di altre nazioni. Tutto questo fece si che la Camera respingesse un ordine del giorno presentato dal deputato Andrea costa:
“La Camera, convinta che la politica coloniale del Governo, incostituzionale nei suoi primordi, è divenuta oggidì disastrosa e per le vite che ha costato e per l’erario;
che non si saprebbe concepire per quali ragioni si debba perseverare in un’impresa i cui obiettivi sino ad ora sono ignoti, e che non fruttò che danni e dolori; e ciò in momenti in cui l’Italia ha bisogno di convergere tutte le sue forze al suo sviluppo economico e morale ed al miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici di città e di campagna;
che il prestigio militare e l’onore della bandiera sono i soliti pretesti con cui tutti i governi cercano di far passare le loro imprese avventurose;
deplorando i poveri e forti figli d’Italia, caduti lontano dalla famiglia e dalla patria per una causa che non è la loro, come non è quella della vera civiltà;
invita il Governo a richiamare nel più breve tempo e nel miglior modo possibile le truppe italiane colà rimaste.”153
Dogali può essere vista come l’anticamera di Adua ma di questo argomento parleremo più approfonditamente nel prossimo capitolo.
152 De Cristoforis, Tommaso. - Ufficiale (Casale Monferrato 1841 - Dogali 1887). Partecipò alla campagna del 1860 e a quella del 1866, durante la quale fu capitano aggregato allo stato maggiore; nella prima campagna d'Africa cadde a Dogali, combattendo gli Abissini di Ras Alula. Ebbe la medaglia d'oro alla memoria.
153 T. Scovazzi, Assab, Massaua, Uccialli, Adua. Gli strumenti giuridici del primo colonialismo italiano, Giappicchelli, Torino, 1996, Pag. 99-103.