DANIELE RESTA
Metamorfosi del grottesco: riletture contemporanee della leggenda di Shutendōji
La storia di Shutendōji (letteralmente “fanciullo beone” o “accolito beone”) è una delle leggende più popolari del Giappone medievale. Lo testimonia il cospicuo repertorio visivo e narrativo che la riprende, un corpus di testi che spazia dagli emaki, che rappresentano i più antichi documenti scritti sulla leggenda, a paraventi (byōbu), ukiyoe e, ancora, testi per il kojōruri, il nō e il kabuki. Assai ricorrente nel repertorio fiabesco dal periodo Meiji in poi, in tempi più recenti la leggenda ha suscitato l’interesse di personalità molto diverse tra di loro, che l’hanno riadattata secondo i canoni delle più svariate forme espressive: dalle consuete rielaborazioni letterarie a quelle cinematografiche, dai manga alle rappresentazioni teatrali, fino a citazioni più o meno dirette nel mondo dei videogame. Di conseguenza, almeno in Giappone, la storia è stata oggetto di studi nelle più svariate discipline, attraendo esperti di letteratura, religione, folclore, arti visive e performative.1 Pur narrando un evento del periodo Heian (794-1185), la leggenda di Shutendōji ha conosciuto forma scritta solo in tempi medievali. Il più antico documento a noi pervenuto, infatti, rimane lo Ōeyama ekotoba, un rotolo illustrato risalente a un periodo compreso tra fine Kamakura (1185-1333) e inizi Nanbokuchō (1336-92), custodito presso il Museo d’Arte Itsuō di Ōsaka. Tuttavia, la grande quantità di testi che riprendono la leggenda, ma soprattutto il numero delle sue varianti, suggeriscono che le sue origini vadano rintracciate in una più antica tradizione orale. D’altronde, l’appartenenza a una tradizione orale precedente è una delle caratteristiche del genere otogizōshi, di cui Shutendōji rappresenta uno degli episodi più significativi e, senza dubbio, meglio noti.2 Il grande repertorio narrativo e visivo concernente la storia di Shutendōji viene sostanzialmente suddiviso dagli studiosi in due parti: le versioni Ōeyama (monte Ōe) e quelle Ibukiyama (monte Ibuki), dal nome della montagna che ospita la 1
Tra i tanti studi in giapponese, si vedano: Satake Akihiro, Shutendōji ibun, Heibonsha, Tokyo 1977; Takahashi Masaaki, Shutendōji no tanjō: mō hitotsu no Nihon bunka, Chūō kōronsha, Tokyo 1992; Komatsu Kazuhiko, Shutendōji no kubi, Serika shobō, Tokyo 1997; Minobe Shigekatsu, Minobe Tomoko, Shutendōji e o yomu: matsurowanu mono no jikū, Miyai shoten, Tokyo 2009. I maggiori contributi in lingue occidentali sono di Noriko T. Reider, raccolti di recente nel volume Japanese Demon Lore: Oni from Ancient Times to the Present, Utah State University Press, Logan 2010. 2 Gli studi sul genere otogizōshi abbondano ormai anche nella produzione scientifica occidentale. Per una discussione in italiano, si veda Roberta Strippoli (a cura di), La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone. Racconti dal medioevo giapponese, Marsilio, Venezia 2001.