STEFANO ROMAGNOLI
Identità nazionali e logiche di potere nella narrativa di Kuroshima Denji
Contadino e antimilitarista. Sono questi i tratti distintivi sistematicamente attribuiti alla figura di Kuroshima Denji (1898-1943) seguendo una ideale divisione in due filoni della sua produzione letteraria: da un lato i racconti incentrati sulla vita rurale, con cui lo scrittore si affacciò sul mondo letterario a partire dal 1925 guadagnandosi una stabile reputazione come autore di nōminbungaku (letteratura contadina). Dall’altro i racconti cosiddetti “siberiani”, rielaborazione della propria esperienza di militare in Siberia. Questa divisione (di cui si è avvalsa anche una parte della critica occidentale)1 non è assolutamente erronea, anche se suggerisce una distribuzione diacronica dei due filoni che, nei fatti, non si ebbe mai, dal momento che Kuroshima continuò a scrivere letteratura “contadina” fino ai primi anni Trenta. Tuttavia essa non tiene conto di una serie di racconti che risalgono agli ultimi anni di attività dello scrittore (dal 1929 al 1932), una produzione consistente e sottesa da una visione politica e letteraria qualitativamente differente rispetto a quanto l’aveva preceduta. In questo contributo mi propongo di analizzare le due serie di racconti con particolare attenzione alle modalità di descrizione dell’Altro, e di evidenziare il sostrato ideologico che è alla loro base, provando così che la serie più recente costituisce un ciclo a se stante che possiamo considerare come evoluzione di quella siberiana. I racconti “siberiani” (shiberia mono) sono un gruppo di undici racconti, scritti tra il 1925 e l’inizio del 1929, e basati sull’esperienza diretta dello scrittore sul continente.2 Nel 1919 Kuroshima fu infatti costretto a svolgere il servizio di leva che all’epoca durava tre anni, interrompendo così gli studi universitari da poco intrapresi, e nella primavera del 1921 fu inviato come infermiere militare presso 1
Keene, ad esempio, asserisce che: “Kuroshima’s stories fall into two main groups, those describing people in farm communities, and those related to his experiences in Siberia”. In Donald Keene, Dawn to the West, Japanese Literature of the Modern Era, FICTION, Columbia University Press, New York 1998, p. 605. 2 Kakurishitsu (La stanza di isolamento, ottobre 1925), Kurimoto no fushō (Il ferimento di Kurimoto, settembre 1926), Ryārya to Marūsha (Lyalya e Marusha, dicembre 1926), Yuki no Shiberia (Siberia innevata, marzo 1927), Sori (La slitta, settembre 1927), Uzumakeru karasu no mure (Uno stormo vorticante di corvi, ottobre 1927), Ana (La fossa, maggio 1928), Paruchizan Uorukofu (Il partigiano Volkof, settembre 1928), Sakin (Polvere d’oro, novembre 1928), Hyōga (Il ghiacciaio, gennaio 1929) e Horyo no ashi (Le gambe del prigioniero, gennaio 1929).