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3.1. Accuse al vescovo

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Bibliografia

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diffondersi di idee pacifiste, neutraliste, e, dopo Caporetto, disfattiste»13 .

Va inoltre sottolineato – e ciò vale per tutti i casi analizzati in seguito – che «si deve collocare [in un contesto più ampio] l’offensiva nei confronti del clero durante la guerra […], che nasconde non raramente motivazioni puramente denigratorie, dettate da odi e vendette politiche»14. La «questione romana» alimentava, infatti, ancora non poche tensioni nei rapporti tra chiesa e stato, e le rivendicazioni temporalistiche dell’una e dell’altro si estendevano anche a livello di libertà e indipendenza delle diocesi, influendo sull’azione pastorale dei vescovi e del clero stesso.

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Ciò accadde anche nella diocesi di Treviso, dove il tentativo di accusare i sacerdoti di disfattismo e di collusione con il nemico

interessò non solo i vari parroci di cui si scriverà in seguito, ma anche lo stesso vescovo, mons. Andrea Giacinto Longhin.

3.1. Accuse al vescovo

Di origine padovana, Giacinto Bonaventura Longhin (assumerà il nome di Andrea quando entrerà nel convento dei Cappuccini di Venezia) venne consacrato vescovo di Treviso il 17 aprile 1904, facendo poi il suo ingresso in città il successivo 6 agosto15 .

Durante gli anni della guerra, anche dopo Caporetto, egli non lasciò mai la diocesi, anzi, «la percorre con la sua automobile o con vetture messe a disposizione dall’autorità militare, per portare la parola di conforto, di fiducia e d’incoraggiamento»16. Riuscì anche a mantenere delle buone relazioni sia con le autorità militari17 che con quelle civili,

13 Marco Roncalli, 1915-1918, Sacerdoti al confino, «L’Avvenire»,14 agosto 2014. 14 Antonio Scottà (a cura di), I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 19151918, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, vol. I, p. LI. 15 Per la biografia di mons. Longhin si vedano Giovanni Brotto, Il vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, 1969; Arturo da Carmignano di Brenta, Andrea Giacinto Longhin il vescovo del Piave e del Montello attraverso la sua corrispondenza epistolare 1915-1918, Rovigo, Istituto padano di arti grafiche, 1967. 16 Antonio Scottà (a cura di), op. cit., vol. II, p. 225. 17 Treviso, dal 1914, divenne sede del comando supremo dell’esercito italiano.

facendo spesso da mediatore tra queste, la popolazione e il clero locale. Al termine del conflitto, furono attribuite a mons. Longhin varie decorazioni, tra le quali la croce al merito di guerra e l’ufficialato.

Sempre prodigo di elogi nei confronti del suoi sacerdoti, egli «esprime la sua ammirazione per il comportamento dei preti nelle ore più buie e tragiche della guerra, ed insiste spesso sul fatto che solo essi si sono trovati in quei frangenti a lavorare, con spirito di carità cristiana, in forma talora eroica, e testimoniando concretamente il loro grande amore per la patria, che prioritariamente si fonda sull’amore del prossimo»18 .

Ciononostante, come si vedrà a breve, le accuse e le denunce di austriacantismo, di disfattismo e di pacifismo colpirono anche i parroci delle parrocchie trevigiane, assumendo quasi la forma di una persecuzione, soprattutto in alcune zone19. In questi casi, mons. Longhin non si tirò mai indietro dal difendere strenuamente i suoi sacerdoti, denunciando le manovre anticlericali che miravano, a suo dire, solamente a screditare il clero producendo per di più danni anche al morale dei parrocchiani.

Accuse simili a quelle mosse contro i sacerdoti furono avanzate nei confronti dello stesso vescovo. Di ciò si ha notizia sia dalla

corrispondenza scritta da quest’ultimo, che da una lettera, con la quale l’anonimo mittente voleva avvisare mons. Longhin che erano state mosse nei suoi confronti alcune gravi insinuazioni.

La vicenda in questione ebbe inizio il 9 novembre 1917, quando il parroco di San Lazzaro – uno dei quartieri di Treviso – presentò al vescovo un suo parrocchiano, conoscitore della lingua tedesca, perché gli fungesse da interprete in caso di bisogno (i giorni sono quelli immediatamente successivi alla disfatta di Caporetto e all’invasione

18 Antonio Scottà (a cura di), op. cit., vol. II, p. 233. 19 Nello specifico, i Carabinieri di Roncade, come si potrà osservare in seguito, risultano essere stati particolarmente zelanti nell’accogliere voci, maldicenze e sospetti riferiti ai sacerdoti delle parrocchie limitrofe.

austro-ungarica di parte del Veneto, N.d.A.). Tuttavia, qualche giorno dopo questa persona venne internata, probabilmente perché sospettata di essere in contatto col nemico, data la conoscenza del tedesco.

Il mese seguente venne recapitata in curia una lettera confidenziale per mons. Longhin, anonima, che riportava:

Per mie segrete intelligenze, ho saputo che si mira a V. E. coll’accusa che durante la ritirata, lei avrebbe già provveduto a fornirsi di un interprete austriaco per poter in questo modo ricevere con pompa ed omaggio il nemico. Si fa dunque credito su questo fatto asserendo che tutta la sua diocesi è fattrice del nemico. Sia cauto e provveda al riguardo onde smascherare gli accusatori di questa calunnia che potrebbe comportare conseguenze tristi e gravi20 .

Il mittente si raccomandava anche che la suddetta lettera venisse

distrutta, cosa che, evidentemente, non è accaduta.

Immediatamente mons. Longhin comunicò al Generale Sardagna, comandante del presidio militare trevigiano, che si stavano diffondendo «certe voci tendenziose a [mio] riguardo»21, le quali, attraverso la notizia dell’internamento di questo individuo, volevano gettare l’ombra del sospetto di collaborazione col nemico sul vescovo stesso. Il tutto comunque terminò nei migliore dei modi, dato che di quelle false accuse non se ne fece nulla e lo stesso Generale si premurò di rassicurarlo in tal senso22 .

Il 17 dicembre 1917 scrisse al vescovo di Vicenza, sfogandosi con lui riguardo all’accaduto:

Sa, Eccellenza, che cosa mi successe in questi ultimi giorni? Sono stato registrato nientemeno che nel libro nero del tribunale di guerra. Il delitto?

20 Lettera anonima, Archivio Storico Diocesano di Treviso (ASDTv), Opera di Ricostruzione delle Chiese del Lungo Piave, b. 2, f. 1. 21 Ibidem. 22 «Da tutte le informazioni raccolte io credo che Vostra Eccellenza può vivere perfettamente tranquillo circa l’argomento sul quale s’intrattenne con me e poi mi scrisse in data 7 mese corrente. Neanche mi risulta che abbiano fondamento da voce di incerto partito preso contro l’opera del clero. Naturalmente siamo in tempi difficili e non c’ da sperare perciò passino presto», cfr. Mons. Luigi Zangrando, Diario di guerra, p. 260.

enorme addirittura. Nei giorni del fuggi fuggi, rimasto solo colla prospettiva di avere in casa i tedeschi, un mio parroco mi presentò ingenuamente un suo ottimo parrocchiano, conoscitore del tedesco, perché eventualmente potesse farmi da interprete. Disgrazia volle che il poveraccio fosse internato, e subito si cercò di rannodare insieme questo internamento col presunto ufficio di interprete vescovile… Ce n’era d’avanzo per mandarmi poco meno che alla fucilazione23 .

Egli rimase comunque scosso dalla vicenda; ad aumentare la sua indignazione contribuirono poi le segnalazioni, che iniziavano ad arrivare da tutta la diocesi, di denunce, arresti e processi contro i suoi parroci. Infatti, si scagliò più volte – assumendo talora toni apocalittici – contro la persecuzione che stava colpendo la chiesa, il clero e il papa, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, attribuendone la responsabilità alla massoneria, che d’altronde individua anche come la causa della guerra stessa.

In quest’ora tragica si trovano dei perversi […] i quali facendo eco alla massoneria, di cui sono più o meno scientemente i portavoce, oltraggiano con livore satanico il regnante sommo pontefice, arrivando perfino a chiamarlo responsabile dei disastri che incombono sopra l’umanità. […] Perfino gli atti eminentemente religiosi, coi quali in varie circostanze invitò sacerdoti e fedeli ad unirsi in un solo pensiero di supplica per piegare a compassione di noi la divina misericordia, furono dagli organi della massoneria sinistramente interpretati. È l’ora delle tenebre!24

Di seguito si analizzeranno, nello specifico, questi casi di sacerdoti trevigiani accusati per lo più di pacifismo e disfattismo – e di cui si ha notizia anche nelle lettere inviate dal vescovo al papa25 –, alcuni dei quali vennero arrestati, imprigionati e poi rilasciati, a seguito di un processo, mentre altri vennero internati.

23 Antonio Scottà (a cura di), op. cit., vol. II, p. 235. 24 Ivi, p. 236. 25 Cfr. la trascrizione della documentazione epistolare tra i vescovi veneti e il papa in Antonio Scottà (a cura di), I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, vol. I-III.

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