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FORTIFICAZIONE B ASTIONATA URBANA
Martino nel 1396. Questa volta per rintracciare un significativo episodio ossidionale contro il Kastrum Calaris si devono attendere 77 anni: ed ancora una volta le possenti mura urbiche non capitolano di fronte alle truppe Arboresi, comandate da L eonardo Alagon. Analogo esito, tre anni dopo, frustrò gli sforzi di s uo figlio Artaldo , che vide i suoi risoluti impeti infrangersi contro la micidiale murazione. In conclusione l'intera dinastia aragonese si avvicendò al riparo delle inviolabili opere della capitale, esaurendosi infine nel 15 l 6, anno in cu i la Sardegna facente parte dei beni della Corona d'Aragona si ritrovò nell'Impero spagnolo restandovi per quasi due secoli e mezzo 0 4 l
Come in d iverse altre città anche la riqualificazione difensiva di Cagliari prende l'avvio da una visita di Carlo V. Per l'esattezza nel giugno del 1535, quando nel quadro dell'operazione di conquista di Tunisi, l'intera flotta s pagnola e dei suoi alleati si raduna nel golfo di Cagliari. Il giorno l l l'imperatore sbarca e visita la città. Ri serva una particolare attenzione alle sue fortificazioni, che valuta per quello che so no: anacronistiche e necessitanti di riqualificazione radicale. Del resto l'idoneità del sito quale piazza marittima, con quell'eccezionale brulichio di navi comodamente a ll a fonda, si perorava da sé Fu la logica scel ta del momento e sarà la nu ova veste di Cagliari per i secoli a veni re. Il successo della spedizione nordafricana ed il conseguente trionfalismo provocarono , però , il rinvio indeterminato dell'aggiornamento della cerchia.
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P er la verità qualche premessa g i à vi era stata ag li inizi del '500, proprio p resso l a torre di S. P ancrazio, mirante alla creazione di un moderno baluardo, per neutralizzare in qualche modo la om1a i fin troppo palese v uln erab ilità del setto re. li v ice ré Dusa i n e fu l'artefice 0 5 1 : l'allora imperatore Ferdinando il Cattolico vag li atone il progettò lo reputò dilettantesco e vell eitario, intimando di avvale rsi per l 'avvenire delle prestazioni di tecnici qualificati , evitando lo sperpero di denaro pubblico.
T rascorsero così quindici anni ed il sopraggiun t o vicerè Fe rn andez de H eredia ritenne ormai impro - crastinabile la riqualificazione delle fo1tificazioni di Cagliari. Del resto le conseguenze della spedizione nordafricana del 1541 , risoltasi in un tragico disastro sotto le mura di Algeri, sembravano incentivare l ' iniziativa. Stando alla tradizione corrente, il de Heredia inviò al iiguardo una relazione, illustrata al sovrano dal governatore di Cagliaii, don Gerolamo de Aragal. L' imperatore, vuoi per tener fede ad una vecchia promessa, vuoi per lo stimolo del precipitare degli eventi, oltre all'impegno formale, diede finalmente seguito al programma, nominando quale ingegnere preposto alla redazion e de l progetto specifico, nonché alla conseguente direzione dei l avori il cremonese Rocco Capellino.
Da quel momento i tempi di attuazione se mbrano assumere un andame n to accelerato, tant'è che l' ingegnere tornato i n Sardegna nel l 552, può già nel '53 dichiarare compiuto il bastione della Leona , intervallo che conferma pienamente la solerzia con cui furono affrontati i lavori. Nel 1568, l'opera del Capellino sarebbe stata praticamente ultimata, avendo richiesto appena quindici anni, t e mpo non eccessivo per quel tipo d'intervento.
In realtà, s i deve ritenere che i lavori piuttosto che a comp im ento fossero soltanto imbastiti, sostanzialmente operativi però secondo la pras s i dell 'e poca. Il Capellino, parallelamente al l 'ava nzamento delle opere, redasse una ser ie di appunti ed annotazioni planimetriche graz i e ai quali è possibile ricostruire le fasi ciel s uo intervento a Cagliari. P articolarmente utile è un rilievo della piazza che appai·e frazionata in tre sezioni: il balu ardo di S. Pancrazio, il Castello di Cagliari ed il borgo della Marina.
Propr io il baluardo di S. Pancrazio fu l'oggetto iniziale della ristrutturazione del cremonese, a seguito della sua disastrosa conformazione . Alle deficitarie s truttur e furon o perciò aggregate alcune bastionature, dotate di fossato antistante . In tal modo s i veniva a proteggere specialme nt e il lato occide nt ale, nel quale s i ap ri va l ' unica porta del settore, attraversata da una stradina che conduceva a ll a chiesa di S. P a n crazio. App aiono ben ev id enz iate, a ll 'i ncrocio dei due bastioni a nord, le cannoniere. All ' interno del baluardo la compartimentazione originale permase, con il fossato ed il ponte levatoio. Entrambi gli ostacoli progressivi veniva no a trovarsi sotto il tiro della t01Te di S. Pancrazio, che risultando per i nuovi avancorpi alquanro arretrata, recuperava una significativa validità. Attraverso essa si accedeva al Castello propriamente detto. L ' intervento fu ultimato nel 1563.
124 Cagliari. progetto di Rocco Capellino.
In merito al Castello, il Capellino, analogamente a quanto attuato con il baluardo, non fortifica quasi il lato verso Villanova, di per sé abbondantemente protetto dagli strapiombi e dalle rocce d'impianto, ma vi. conserva la vecchia rnurazione, spiccata sul ciglio tattico. A partire dalla T one del Leone che rispetta, vi erige un secondo bastione, ovv iam ente del Leone, a g ua rdi a della omonima porta.
Fu questo il primo ad essere ultimato nel 1553. Una deviazione di 90° rappresentava da quel punto l'origine del nuovo perimetro difensivo prospiciente il borgo della Marina. Detta sezione appare serrata fra due bastioni pentagonali, parzialmente conformati, come il rilievo autografo attesta , con troniere traditrici spazzanti la cortina interposta e le facce degli stessi.
Vi è da osservare al riguardo che nel suddetto grafico i bastioni in questione sono p ri vi di spalle rientrate per il miglior defilamento delle troniere, privi cioè tanto di musoni che di orecchioni. Tuttavia, sulla lin ea marcata di perimetro s i osserva una seconda traccia sottile nella quale, invece, vi è chiaramente proposto l'arrotondamento da aggiungersi ai bastioni medesimi, del tipo perciò ad orecchione. Nei progetti del Fratin ° 61 il dettaglio risulta ormai acquisito, a lmeno per quei primi due bastioni, mentre permangono ancora oggi senza il caratteristico arrotondamento, probabilmente non ritenuto indi- spensabile in relazione ad una loro presunta minore vu ln erabilità.
In ossequio alla tradizione militare i citati bastioni si chiamavano rispettivamente l ' uno del lo Sperone e l'altro di S. Antonio del Salice, minuziosamente citati nella legenda del progetto del cremonese. P arimenti sullo stesso doc um e n to è facile cogliere, in posizione a lqu anto più interna della cortina bastionata, la prees istente murazione turrita, in cui si apriva la Porta del L eone, difesa da ll a sovrastante torre omonima.
Appena scapoJa to il secondo bas tione , quello di S. Antonio, il tracciato compiva una seconda virata di al - tri 90° c irca, fiancheggiando Stampace (che l'ingegnere riporta nella sua dicitura pisana arcaica di Sta in Pace). Infatti a partire dalla Porta dell'Elefante aprentesi immediatamente a rido sso dell ' orecchione del bas tione e guardata dalla reintegrata omonima torre , la cortina proseguiva con andamento quasi rettilineo, fino al successivo bastione detto de ,nosen Osai che diven-à in seguito di S. Giov ann i (qu indi di S. Croce). Qui un'ultima deviazione ortogonale la ricollegava con il baluardo di S. Pancra zio. La configurazione planimetrica complessiva risultante era. per larga approssimazione, quella di un grosso trapezio isoscele ai cui vertici s i ammorzavano i tre bastioni ed il propugnacolo di S. Pancra z io.
Ma ancora un'altra area distinta venne fortificata dal Capellino: quella del borgo della Marina. P er le s ue bastionature però si deve ipotizzare una edificazione radicale e non riqualificativa. Ciò s i g iu st ificava per essere quella la zona a più alto rischio in caso d'assedio, come d'incursione , in quanto assolutamente priva delle asprezze orogenetiche che preservavano g li altri due settori. Obbligatorio quindi un più vasto ricorso all'arte.
Sempre secondo il so lito percorso orario gli elementi nodali dife ns ivi del borgo , dal suo innes to con il bastione del Leone, possono così identificarsi: un primo bastione pentagonale, s ul lato orientale detto baluardo de S. la go, completato nel 1562, anch 'es so dotato di cannoniere traditrici. A questo seg uiva, in posizione verticist ica , quello ricordato dal progettista come baluardo de porto fangoso alla cui gola lato sud s i innestava il lungo molo, terminante a sua volta nel baluardo de la reina.
La costa re stava racchiusa così da due archi murari, separat i al centro da una porta chiamata logicamente di Mare preceduta da un pontile appellato , per ovvi motivi e note r e mini scenze storiche , dell ' I mperatore. Quindi un altro bastione verticistico , quello di S. Agustina, inglobante il baluardo vet io de S. Agustina. Il grafico del Cape llin o ci tramanda inoltre una v is to sa pali zzata che recingeva il porto interdicendolo. Il suo impianto quasi a semicerchio la raccordava ai bastioni di Porto Fangoso e di S. Agu s tino. Un unico s tretto varco, ostruibil e perciò la notte tramite una catena , prassi universale per tutti i porti rinascimentali, ass icurava l ' accesso ai natanti.
Ancora un ' altra tratta di cortina rettilinea fino all 'ultimo bastione, il baluardo de S. Francesco , dopo il qua l e ed immediatamente prima di quello ad es s o adiacente nonché sovrastante di S. Anton io si apriva u na terza porla, auraversata da una strada proveniente , per quanto è possibile argu ire, da Decimo, fiancheggiando la chiesa di S. Francesco.
È, a questo punto , ben evidente come la compaitirnentazione delle fo11ificazio1ù cagliaritane ne s ia in sostanza la principale peculiarità. Tramite suo le tre distinte sezi~m i avrebbero potuto in caso di emergenza esplet~U"e una res istenza a u tonoma e progressiva, che in pratica neutralizzava qualsiasi investimento a ll a piazza.
L e p iazze mari ttime rin as cim e ntali
Nella descrizione delle località fortificate co s tiere si è util izzata spesso la dizione cli piazzaforte marittima. I n realtà , però , tale definizione si è adottata per conformità con le fonti , non e ss endo affatto corretta né ora né a ll ora. Le cittadine fin qui descritte. infatti, a giusta ragione avrebbero dovuto etichettarsi piuttos to porti fortificati dal momento che le loro dife se , come accennato, proteggevano gli abitanti e le loro imbarcazioni , da pesca o mercantili , ma non certo abitualmente le unità da guerra. Né meno che mai queste co s tituivano una loro pertinenza stabile . come i velivoli imbarcati s u di una portaerei.
Fu s olo quella, infatti , la precipua nota di stintiva di u na piazzaforte mar ittima propriamente detta. lo g ica- mente comprensiva di tutte le articolazioni e le attrezzature specifiche. In definitiva la concomjtanza di una temibile squadra navale, con un sicuro porto, dotato di vasti arsenali , di molteplici cantieri e di numerose maestranze specializzate, il tutto protetto da una poderosa fortificazione presidiata da una consistente compagine militare. La presenza fissa, quindi, de l le unità da guen-a trasformava il semplice ancoraggio, più o meno fortificato, in quel particolare grande complesso militare, certamente ben difeso, ma realizzato per finalità offensive a medio e lungo raggio, sviluppatasi nella sua moderna accezio ne proprio agli albori del rinascimento m> , definito anche, e forse con maggiore proprietà , base navale.
In età rinascimentale la piazzaforte marittima proprio per essere finalizzata ad ospit~ffe una più o meno nutrita squadra navale, oltre alle suddette pertinenze doveva necessariamente disporre di altre rilevanti strutture, indispensabili alla funzione . Tali furono i grandi stabili per la detenzione degli schiavi rematori, tristemente celeb1i da una sponda all'altra del Mediterraneo come bagni (78 1, i padiglioni appartati per la quarantena dei prigionieri catturati negli scont1i e delle cimme stesse dopo azioni in area musulmana, meglio noti a loro volta come la zz aretti, data la presenza endemica della peste nell'universo ottomano (79>, nonché i depositi di viveri a lunga conservazione csoi, per l'approvvigionamento delle unità ed, infine, di armi e munjzioni. Altrettanto basilare, proprio per l'afflusso di tante e svariate necessità, un capace porto mercanti le con comode ed estese banchine.
Ovvio, qu i ndi, che la dimensione architettonica per la espletazione di così diversificate e comp lesse funzioni dovesse atti ngere sistemat icamente scala urbana . Senza contare che l'intensificarsi dell'attività marittimo - militare finiva per innescare, a r idosso de ll a piazza, un vivace mercato, a sua volta motore trainante di una economia commerciale agente da richiamo per ulteriori abitanti.
La piazzaforte marittima rinascimentale era perciò l'insieme di quanto sinteticamente esposto, racchiusa da una poderosa cerchia difensiva snodantesi in particolare lungo il fronte a terra , ma articolata anche s ul mare per proteggere in primo luogo il naviglio rrulitare e gli impianti. Le unità militari infatti, a differenza dei normali mercantili che si attraccavano alle banchfoe portuali, venivano ormeggiate abitualmente all'interno di un bacino più piccolo. Completamente ser ra to da mura, era separato dal maggiore tramite un ' inviolabile compartimentazione di sicurezza. Rigidamente interdetto ai civili, lo scalo delle galere si chiamò da quei giorni 'darsena' <81 > .
Lì si concentrava l'intera capacità offensiva della piazza, proiezione sul mare della potenzialità offensiva dello stato di appaitenenza, emblematizzata quasi dalla fortezza che immancabilmente si ergeva lungo il suo perimetro bastionato. È forse in questo esasperato dualismo, apparentemente antitetico, che si può cogliere la principale specificità di una piazza marittima rispetto ad una tenestre e la sua assoluta modernità. A differenza della seconda , infatti, la reazione bellica della prima non si esamiva nella resistenza ad oltranza o nell'interdizione lirrutrofa ma si protendeva, grazie alle sue navi, a centinaia di chilometri di distanza, non di rado a migliaia, riuscendo così a condizionare ampi settori marittirru con la sua semplice esistenza <s 2i Anche in ciò per molti aspetti potrebbe paragonarsi ad una attuale portaerei, senza dubbio ricovero e protezione per i suoi aerei che però, dal canto loro , sono in grado di colpire lontanissimo, dominando perciò interi scacchieri marittimi.
Fondato, pertanto, reputare che una so l a di siffatte fortificazioni, qua lora opportunamente dotata di un ità da inte rcettazione e d'attacco, riuscisse perfettamente a co ntrollare una front iera marittima di a l meno alcune centinaia di miglia rappresentando perciò un credibile deterrente persino agli sfuggenti corsari barbareschi, specie se integrata da una catena d.i torri costiere sia pur scadenti. L a brevità della tratta marittima da pattugliare, inframmezzata da po,ticcioli e scali abbastanza protetti, consentiva i noi tre di derogare ali ' altrimenti insormontabile l imite stagionale d ' impiego delle gaie- re. Al pari di tutti i battelli a propulsione remica anche quei sottili scafi non erano in grado di tenere il mare appena perturbato , ed al minimo accenno di mutazione dovevano immediatamente rientrare. li coesistere di tante ciurme , di tanti soldati, di tanti marinai e di tanti operai, senza contare la massa della popolazione , obbligava ogni piazzaforte marittima a disporre in abbondanza di acqua sicuramente potabile, il che non sempre trovava una naturale soddisfazione. L'esigenza immutata si n dall'antichità classica, di cui un ' emb lematica testimonianza è fornita dall ' immensa cisterna, conosciuta come piscina mirabilis e ancora integralmente conservata presso Pozzuoli, utilizzata dalla flotta romana di stanza a Miseno m> , richiedeva la costruzione di grandi acquedotti e vaste conserve sotterra nee. Ed anche queste possono riguardarsi come una precipua connotazione di una piazza marittima propriamente detta. Ma forse la connotazione senza dubbio più esc lu siva deve individuarsi in un detestabile commercio che avveniva all ' interno delle stesse , e che per secoli imperversò da un parte e dall'altra del Mediterraneo, indipendentemente dalla religione imperante: quello degli schiavi.
Poiché la guerra navale anticorsara si estrinsecava in una continua sequela di intercettazioni , di abbordaggi e di catture capitava abbastanza spesso che le unità della guardia rientrassero alla base trainando al rimorchio numerose prede. Tra queste , oltre ai battelli nemici sconfitti ed ai mercantili crist iani fortu nosamente liberati, interi equipaggi turco-barbareschi e, non di rado, folti gruppi di musulmani razziati in azioni di rappresaglia o di contro-corsa sulle loro coste. Per questi ultimi , a l pari dei corsari non reputati idonei al remo, l a prassi contemplava abitua lm ente la immediata vendita ali' incanto, non diversamente dai restanti beni materiali catturati. La procedura spiega chiaramente perché nelle piazze marittime non solo si sviluppò un florido commercio di prodotti internazionali ma, anche e soprattutto, di sc hi avi , persino all'interno di uno stato ad ispirazione evangelica. Non a caso quando, intorno alla metà del XV I seco l o, le cattu- re divennero inusitatamente abbondanti, fu promulgato da parte del pontefice Paolo III un ba ndo (iµ, che autorizzava , chiunque lo desidera ss e, a pos s edere schiavi e schiave di origine musulmana , sen z a alcuna riprovazione di ordine morale o giuridico. In pieno rinascimento l'abiezione della guerra di corsa rigenerò l ' abiezione della schiavitù persino all'interno dello Stato Pontificio!
La piazza di Civitavecchia
Nell'ottobre del 148 I , quando Otranto era stata appena riconquistata dalle forze cristiane, il pontefice Sisto IV, dopo aver visitato la rocca di Ostia, intraprendeva un viaggio ispettivo a Civitavecchia, per sincerarsi di persona sul!' effettivo stato dei luoghi , ovviamente paventando imminenti ed ulteriori iniziative turche.
Certamente con l'immagine ben impres sa nella mente de ll a moderni s sima fortezza ed edotto circa la sua avanzata concezione, l'impres s ione che ricevette dalle cadenti fortificazioni medievali cli Civitavecchia dovette riuscire avvilente Inut ile, persino, ipotizzarne un ennesimo intervento riqualificativo , non prospettandosi sensato alcun potenziamento integrativo per strutture ormai inesorabilmente giubilate sotto il profilo architettonico e fat i scenti sotto quello statico 185 l . Nessuna illusione di recupero: indispensabile , invece, quale prima fase per l'adeguamento difensivo dell'intera Civitavecchia, procedere alla sua immediata sost ituzione con una moderna e poderosa fortezza , inserendola poi in una altrettanto moderna ed artico lata cerchia. La decisione di demolire preliminarmente la vecch ia rocca scaturiva dalla volontà di erigervi nello s tesso sito, e quindi secondo l'identica logica d'impianto, la nuova , quasi che nella tecnologia militare nulla fosse mutato tra le due costruzioni.
In dettaglio la cittadina, di cui la rocca occupava l ' estremità settentrionale del fronte a mare , appariva serrata nelle antiche mura di remotissima costruzione