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L'Italia e le guerre balcaniche

Malissori (Hoti, Grudi, Kastrati, Skreli, Chiala), vengono accettate dal governo ottomano, ma non tutti i ribelli prendono la via del ritorno. Gli ortodossi di razza serba, i musulmani emigrati, molti cristiani, nel timore di successive persecuzioni, restano in Montenegro in attesa della conclusione delle trattative.

L'Impero ottomano infatti, pure favorevole all'amnistia generale, vuole escl udere da questa alcuni capi albanesi per deportarli in Asia minore. Così Isa Boletini, uno dei massimi esponenti, rimane in Montenegro e continua a dirigere l'attività delle bande che provocano continui scontri con le truppe regolari. Re Nicola, nel marzo 1911, indirizza un memorandum alle potenze affinché con opportune pressioni sulla Porta rendano possibile l'estensione dell'amnistia nei confronti di tutti gli albanesi. La Russia si dichiara favorevole per togliere al Montenegro il protettorato di fatto sugli albanesi, protettorato che, senza dubbio, costituisce l'obiettivo principale di re N icola , il quale - per accreditarsi come unico protettore degli albanesi - assume anche impegni di carattere finanziario oggettivamente superiori alle forze del suo piccolo Stato.

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Re Nicola "ha la ferma convinzione che un tranquillo, graduale e ordinato progresso civile ed economico del Montenegro è impossibile, tanto quanto la prosperità delle sue finanze; e ciò per lo squilibrio permanente, insanabile tra i bisogni e le risorse del paese". Il Montenegro infa tti non ha né industrie, né commerci, ~é popolaztone e territorio sufficiente alla vita di uno Stato moderno. E un paese di soldati, "alle armi deve la sua esistenza alle armi il suo ingrandimento territoriale, alle armi il conto in cui - malgrado la sua piccolezza - è tenuto. Solo alle armi può domandare un avvenire. Tale è il sentimento del sovrano, tale il sentimento collettivo del popolo".

Il sovrano ritiene dunque che le potenze europee, di fronte a un suo eventuale, improvviso e audace colpo di mano, possano reagire solo con note diplomatiche di condanna e l'inevitabile riconoscimento del fatto compiuto per evitare crisi politiche più gravi.

Sono voci e opinioni che circolano negli ambienti politici e diplomatici, non suffragate da prove certe, mentre - e questo è invece un elemento di certezza- "prima di decidersi a scontentare la Russia e peggio ancora a perderne il potente ausilio materiale e morale da così lungo tempo goduto, il Montenegro rifletterà bene ai casi suoi".

In conclusione, scrive Merrone, i problemi che travagliano la vicina penisola balcanica sono immensi e di estrema gravità: è la conflittualità fra i vari popoli a non permettere la formazione di una solida alleanza e, dunque paradossalmente contribuisce a mantenere quello status quo funzionale ai disegni delle potenze europee che in quello scacchiere svol -

Antonello Biagini

gono la loro politica basata sull'indebolimento dell'Impero ottomano, ma non sulla sua fine (6).

Commentando il lungo e "pregevole" rapporto del collega, il colonnello Vittorio Elia, già addetto militare a Costantinopoli, sottolinea in un Promemoria come il fenomeno di cui si discute non sia nuovo nella penisola balcanica e ricorda per esperienza diretta il 1905 (marzo-aprile), con la Turchia seriamente impegnata nello Yemen, le ribellioni e le repressioni del 1906 e del 1908 in Macedonia, quando "dai regni di Serbia, di Bulgaria, di Grecia, partivano serie proteste" destinate a riman ere espressioni verbali . I paesi balcanici, in altri termini, non riescono a cog liere i pur numerosi momenti di debolezza dell'Impero ottomano, come per esempio quello dell'estate 1908, quando si accende la ribellione delle tmppe di stanza in Macedonia e in Tracia che dà il via al movimento costituzionale dei Giovani Turchi; questi ufficiali, che hanno subito l'influenza delle idee liberali e costituzionali europee, debbono gestire una delle crisi più gravi per l'integrità dell'Impero: l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria-U ngheria e la proc lamazione della Bulgaria in Stato indipend ente.

"Questa modificazione dello status quo dei Balcani a danno dell'Impero ottomano fu, come è noto, più formale che reale, poiché l'alta sovranità della Sublime Porta su quei paesi era altrettanto nominale quanto lo è oggi quella su Creta: ma colpì il prestigio del nuovo regime di fronte alle popolazioni dell'Impero così gravemente che parve per un momento unica via d'uscita per i turchi quella di una guerra, pur essendo questa una così rischiosa impresa".

D'altra parte, mentre la Bulgaria - grazie anche ai recenti successi - sembra disposta ad attaccare la Turchia, la Serbia, a causa dell'annessione della Bosnia e dei provvedimenti militari adottati dall'esercito asburgico, mostra un atteggiamento di attesa che allontana, almeno per il momento, il pericolo di una guerra nei Balcani: "altre gravi questioni, la cui soluzione si imporrà a scadenza più o meno lunga, nelle quali è direttamente interessata la Turchia e che sono estranee agli affari balcanici si vanno maturando. Alludo in prima linea a quella che si chiama la «questione del Kuwait», che riflette cioè gli interessi inglesi nel Golfo Persico e che( . . .) dovrà essere risoluta d'accordo con il Regno Uni to prima che l'ultimo tronco della ferrovia di Baghdad si affacci allo sbocco di Bassora". La lotta dunque è tra la Gran Bretagna e la Tur-

L'Italia e le guerre balcaniche chia, ma in realtà nasconde lo scontro fra gli interessi britannici e qu e lli tedeschi. Altre gravi questioni sul tappeto sono, in quel momento, la controversa frontiera fra Turchia e Persia, il conflitto di interessi in Egitto, il problema dell'irrigazione in Mesopotamia, la frontiera fra l'Egitto e la Tripolitania, e - infine - il riaccendersi del panslavismo da un lato e del nazionalismo islamico dall'altro.

L'intreccio delle numerose questioni indicate avrebbe creato i presupposti per una guerra che gli Stati balcanici potevano utilizzare per soddisfare le rivendicazioni nazionali (7).

Sulla questione macedone ritorna ancora Merrone, nel gennaio 1912 , e ricorda innanzi tutto che il comitato segreto dell'associazione internazionale rivoluzionaria dei Frères Rouges ha indirizzato al governo dei Giovani Turchi un appello - pubblicato poi sui giornali di Costantinopoli, Sofia, Belgrado, Atene - per la distribuzione delle terre agli agricoltori; tra gli scopi dell'associazione, in primo luogo, la lotta contro la "reazione in tutti i paesi balcanici" e l' appoggio alla "fraternità e indipenden za dei popoli balcanici, assicurate da una confederazione balcanica".

Commentando questo appello, Merrone sottolinea l'attivismo delle numerose associazioni operanti in Macedonia, alcune delle quali sono di nuova costituzione - come quella appena segnalata - altre di più antica tradizione, che dopo un periodo di inattività "tornano ora ad agire con veemenza". Negli anni 1902-1903, un centinaio di ufficiali bulgari - aderenti ad una associazione macedone molto estesa e potente (i l Comitato Supremo) - hanno soggiornato in Macedonia per or ganizzare la propaganda e le bande armate; nel 1908, e fino al 1911, l'associazione langue per la mancanza di aiuti da parte del governo di Sofia e sopravvive solo per l'impegno dei bulgari -macedoni.

Il governo bulgaro dunque non sostiene in quegli anni le bande bulgaro-macedoni e solo negli ultimi tempi Ivan Gesov, presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri, ha attenuato la politica di pace verso la Turchia essendo l'opinione pubblica bulgara irritata per le questioni ferroviarie, per il trattato di commercio, per la delimitazione della linea di confine e per i continui incidenti di frontiera, momenti tutti in cui la Turchia non ha dimostrato la stessa volontà di pace della Bulgaria.

In quel momento dunque le bande in Macedonia sono costituite da soli bulgari macedoni anche se la Bulgaria può contare in Macedonia su

(7) Elia, Promemoria, Roma 20 marzo 1911, r. 10.

Antonello Biagini

un largo seguito. Di queste cose si deve tenere conto in quanto sono "questioni che danno visione più chiara dell'approssimarsi dei conflitti armati e - quel che è più - fanno calcolare con maggiore approssimazione i vantaggi e le difficoltà che, nello sviluppo delle prime operazioni campali, potranno avere gli eserciti regolari in lotta".

Il disinteresse parziale di Sofia per la Macedonia in quel momento nasceva, a giudizio dell'ufficiale italiano, dal fatto che la Bulgaria, raggiunta l'indipendenza, è passata "per i due stadi della sua nuova storia: la resurrezione e il fortunato ingresso sulla via del benessere". Nella fase della "resurrezione" si desidera che tutti i bulgari siano uniti in un unico Stato e quindi si invoca in ogni occasione la guerra contro la Turchia. Il raggiunto benessere attenua questo atteggiamento così che "ciò che era facile ottenere appena o poco dopo la re surrezione (riunire anche i macedoni alla Bulgaria, e la Russia lo aveva fatto a Santo Stefano) non è più conveniente forse farlo con una guerra ad iniziativa della Bulgaria". Gli stessi stambulovisti, all'opposizione, hanno assunto un atteggiamento moderato nel giudicare la politica estera del governo e questo spiega l'atteggiamento della Bulgaria che nel 1903, nel 1908 e nell'ottobre 1911 non ha mosso guerra alla Turchia. Da qui l'affermazione che "nella prossima primavera - se pure il conflitto italo-turco dovesse durare - nessuno degli Stati balcanici aggredirà la Turchia". Non la Serbia "oltre modo paurosa di ogni complicazione", non la Grecia, né il Montenegro che mantiene viva la ribellione dei Malissori ma nulla può da solo ora che Serbia e Bulgaria rifiutano qualsiasi alleanza o intesa. La Bulgaria, "la più forte voce dei Balcani" tende a stabilizzare la propria posizione finanziaria e quindi "solo per complicazioni indipendenti da essi e per complicazioni che compromettessero il suo avvenire, ordinerebbe una mobilitazione e si lancerebbe in una guerra". Solo l'Austria, "con una politica aggressiva nei Balcani'.', può far nascere complicazioni e può gettare nella guerra questi paesi "ma anche di tale possibilità per parte della nostra alleata - quest'anno almeno -pare che non si debba temere".

Si può dunque concludere che "a meno d ' imprevisti (e qui gli imprevisti possono sorgere da un momento all'altro) anche nella prossima primavera si avrà, può darsi, un'altra fiammata dell'Albania (questa vol ta accompagnata, forse, da fiammate in alcune regioni della Macedonia) ma complicazioni internazionali, no" (8).

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