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e le guerre balcaniche
Africa e nei Balcani comporta una difficile situazione per l'Italia sul piano della politica estera: da una parte, le guerre balcaniche, viste come lotta di liberazione dal dominio ottomano, inducono garibaldini, soldati e ufficiali italiani a sostenere gli insorti, partecipando ai conflitti in Grecia, in Albania, in Montenegro e in Macedonia; dall'altra il governo di Roma deve impedire l'ondata di aiuti agli albanesi sia perché lì i moti rivoluzionari tendono a sovvertire un governo legittimo, sia per non irritare l'Austria che pone sempre il veto all'inserimento italiano in quell'area.
A riguardo dei problemi di frontiera dei territori irredenti, l'Italia si trova più vicina alla Francia e all'Inghilterra; nella guerra di Libia, dove prevalgono interessi mediterranei e coloniali (con delle riserve poco amichevoli da parte dei suoi alleati) è costretta ad assumere atteggiamenti filo-tedeschi.
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Tali contraddizioni presenti nel paese sono destinate a persistere e anzi ad aggravarsi a causa della recessione economica degli anni che precedono la guerra mondiale.
Nei rapporti internazionali, l'Italia continua a ribadire il carattere difensivo della Triplice, nel caso di una situazione statica nei Balcani - e il proprio diritto a compensi territoriali, nell'ipotesi di modifiche agli equilibri esistenti mentre sottolinea anche che il trattato di alleanza finisce di essere vincolante se, in un eventuale conflitto, gli Imperi centrali avessero attaccato l'Inghilterra: conservare l'amicizia britannica, infatti, le è necessario per cautelarsi nei confronti dell'Austria-Ungheria.
L'ipotesi di una guerra si profila sempre più concretamente: Sarajevo ne è il pretesto, ma le motivazioni sono ben più complesse e appartengono in sostanza all'antagonismo fra il mondo germanico e quello slavo per il dominio nei Balcani.
e pacifici, imponevano a ciascuna delle potenze contraenti il mantenimento di rapporti cordiali con le grandi potenze e l'eliminazione di ogni eventuale motivo d'attrito.
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La Prima Guerra Balcanica
Sullo sfondo dei complessi rapporti politico-diplomatici in Europa negli anni immediatamente precedenti il conflitto mondiale dall'interno dell'area balcanica meccanismi a catena - attivati dalla disgregazione progressiva dell'Impero ottomano - sovvertono equilibri di lun ga durata, destinati a mutare in modo irreversibile. Il periodo che va dal Congresso di Berlino al trattato di Bucarest (10 agosto 191 3) è fortemente segnato dalle aspira zioni e dalle lotte per l'indipendenza nazionale dei molti paesi così, a lungo soggetti al dominio turco; al contempo, è caratterizzato dall'intensa attività diplomatico-commerciale delle potenze europee, attente da un lato a non farsi coinvolgere nei conflitti locali, interessate dall'altro alla penetrazione economica e finanziaria.
Anche la classe dirigente italiana, come si è visto, non si sottrae alla tentazione di fare progetti sui Balcani: raggiunta - sia pure non sen za problemi e difficoltà - una certa coesione su l piano interno in politica e in economia, è ormai disp o sta a guardare con maggiore attenzione all'Europa danubiano-balcanica e all'Asia Minore. L' aumento della produzione, il miglioramento del livello medi o di vita, l'incremento nel settore del risparmio, costituiscono elemen ti di una raggiunta stabilità interna e proiettano l'Italia verso un indirizzo espansionistico alla stessa stregua delle grandi potenze.
Tra queste, l'Inghilterra era stato il paese del primato coloniale, con la conquista di quasi tredicimila chilometri di territorio nell'ultimo trentennio dell'Ottocento (seguita dalla Francia con novemila chilometri). E non a caso, dal momento che, in sostanza, il fenomeno dell'espansione territoriale si presenta stretta mente leg ato allo sviluppo capitalistico e i paesi più avanzati sul piano produttivo hanno, in quegli anni, la neces-
Antonello Biagini
sità di reperire materie prime per le proprie industrie, mercati di assorbimento per le proprie merci, nuove aree di investimento per i propri capitali.
Il possesso di colonie avrebbe dovuto rispondere anche a un'altra esigenza, avrebbe dovuto cioè consentire l'emigrazione di larghe fasce di popolazione dai paesi con forte incremento demografico .
Le maggiori potenze industriali avviano così la gara espansionistica dalla quale, a torto o a ragione , l'Italia non vuole rima nere esclus a; l'occupazione della Libia, la vittoria sulla Turchia, la penetrazi o ne bancaria in Bulgaria e in Grecia sono tappe significative che i nd ica no il nuovo ruolo che l'Italia vuole assumere a livello internazion ale.
In tale contesto trova una sua logica motivazione l 'intere sse italiano a ogni avvenimento che attivi trasforma zioni negli equilib1i politici esistenti, autorizzando comprensibili ambizioni e ipotes i di occupazione di nuovi spazi.
L'Italia, a diffe renza dell'Inghilterra, della Francia, della Germania e degli Stati Uniti - per i quali si combinano insieme i due fenomeni , quello dello sviluppo capitalistico e quello della diminuzione dei prezzi (la cosiddetta grande depressione tra 1883 e 1886)- presenta problemi peculiari della propria economia nazionale.
La crisi agraria degli anni Ottanta, che pure si collega alla depressione economica europea, si manife sta più tardi che negli altri paesi a causa dei legami più deboli col mercato mondiale; ma, comunque , la diminuzione dei noli marittimi permette l' importazione dei cereali di oltre oceano e dunque il crollo dei prezzi dei propri prodotti agricoli. Si cerca di reagire con la trasformazione delle colture - sviluppando soprattutto la viticultura - ma le difficoltà sono enormi: mancanza di capitali, caratteristiche dei terreni e del clima , persistenza dei vecchi rapporti agrari.
Nell'agricoltura non si riesce a trovare correttivi e gli investimenti si spostano verso il settore industriale, con una accelera zione evidente che fa registrare un saggio di sviluppo straordinariamente rapido (18811887) nella produzione - siderurgia e cotonificio sono i settori trainanti - nell'attività bancaria, in quella finanziaria (1).
(1) Nell 'età giolittiana diventa più incisiva la volontà italiana di penetrare nei Balcani, sotto la spinta e l'esigenza dell'industria italiana - in particolare quella meccanica - che aveva raggiunLo una potenzialità produttiva s uperiore alle necessità del mercato in terno. Cfr. L . Dc Rosa, Dall'Unità alla prima guerra mondiale (18617979) Momenti e problemi dello sviluppo economico italiano, Napoli 1970; I. Bonomi, la politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto (1870 -1918) , Torino 1972,