36 minute read

1.4. In seminario a Rovigo

Next Article
Bibliograia

Bibliograia

gamento con i Savoia, e in particolare con la regina vedova di Umberto, la mater dolens, potremo dire, anticipando un signiicato che troverà esempio in tanti eclatanti episodi relativi alla campana e che si manterrà costante ino alla caduta della monarchia.

1.4. In seminario a Rovigo

Advertisement

Al di là di quanto sopra riferito, la biograia giovanile di Rossaro è comunque ancora piuttosto opaca. Non abbiamo informazioni dirette al riguardo. Chiocchetti tace e così lo stesso sacerdote. Ci dicono però qualcosa di importante le poesie e alcuni articoli giornalistici che entrano a far parte della sua bibliograia a partire dal 1907, dopo che Antonio Rossaro si è trasferito nel seminario di Rovigo per gli studi di teologia40, forse sulle orme di Luigi Fogolari, un altro «grande trentino» esule dalla sua terra41. Sono gli anni che vedono salire al soglio di San Pietro il trevigiano Giuseppe Melchiore Sarto con il nome di Pio X. Un papa apparentemente conservatore, vista la sua avversione al modernismo, ma che con l’enciclica Il Fermo Proposito, nel giugno del 1905 allentava le restrizioni del non expedit di papa Pio IX e contribuiva a dare forza a un movimento che favoriva l’ingresso dei cattolici nell’agone politico, movimento al quale Rossaro certamente non rimane estraneo, in considerazione che l’azione del papa Sarto trova larga adesione nel Veneto42, e che nello stesso seminario di Rovigo insegnava ilosoia e teologia don Giacomo Schirollo43. Potrebbe essere questa una svolta importante per le posizioni di Rossaro,

40 In realtà le sue prime produzioni poetiche sono datate Torino (1900), dove compone fra l’altro Ora d’esame; poi Bassano ed episodicamente Modena (1901-1907), inine, dal 1908, soprattutto Rovigo. Cfr. Canzoniere cit. 41 Parlando di Antonio Rossaro e della sua dinamica presenza a Rovigo negli anni della guerra, Adriano Mazzetti riporta che «nella città padana era ancor viva la memoria di un grande trentino, lui pure sacerdote, don Luigi

Fogolari, insegnante nello stesso seminario vescovile di Rovigo, nominato nel 1869 direttore della Biblioteca dei

Concordi, la maggiore istituzione culturale della città, dotata di una ricca biblioteca e di una preziosa quadreria.

Presso questo istituto presterà la sua opera don Rossaro negli anni 1918-1920, alternando gli impegni pastorali alle cure dalla grande libreria. A. Mazzetti, Don Antonio Rossaro e l’Accademia dei Concordi di Rovigo. Una presenza dinamica nell’Istituto culturale e nel Polesine, in “Atti dell’Accademia degli Agiati di Rovereto”, a. 247 (1997) ser. VII, vol. VII. A., p. 116. 42 Cfr. A. rondina, L’ultimo interdetto. Nel contesto religioso e civile del Polesine tra ‘800 e ‘900, ed Apogeo, Milano 2007, p. 19 ss. 43 «Nell’aprile 1904 si tenne a Rovigo il primo Convegno regionale democratico cristiano del Veneto; vi parteciparono anche alcuni seguaci di don Murri, ma la presenza autorevole di Sichirollo poté impedire che si veriicassero disordini. Tuttavia all’interno dell’Opera dei Congressi i conlitti fra “intransigenti” e “democratici cristiani” giunsero al punto che in luglio Pio X decise di far cessare l’Opera e sostituirla con le Unioni che venivano sottoposte, nelle diocesi, al diretto controllo dei vescovi. L’azione equilibratrice di Sichirollo si manifestò ancora nell’ottobre 1905, quando a Rovigo si tenne il terzo Convegno delle associazioni giovanili della diocesi che si concluse con l’invio a Pio X di un ordine del giorno in cui si sottolineava l’errore di non accogliere le indicazioni che venivano dal papa; ordine del giorno a cui il ponteice rispose elogiando lo spirito delle associazioni giovanili della diocesi di Adria». http://www.acadriarovigo. it/sito/documenti/intervento_traniello.pdf. (gennaio 2016) Per la igura di don Giacomo Sichirollo (1839-1911), ammiratore di Rosmini, fondatore dell’azione cattolica di Adria e insegnante presso il seminario di Rovigo, si rimanda al volume Chiesa e società nel Polesine di ine Ottocento, a cura di G. Romanato, ed. Minelliana, Rovigo 1991.

Il Collegio dell’Angelo Custode di Rovigo in due cartoline d’epoca.

Collegio dell’Angelo Custode di Rovigo, monumento a Ernesto Vallini (AFCCR).

anche se le tracce in realtà sono esigue. Una gita a Riese, titola un articolo del seminarista pubblicato sul giornale “Il Trentino” nel settembre 1908, a un anno di distanza dall’enciclica Pascendi Dominici gregis, che non mancherà di innescare un dibattito forte nella diocesi veneta, nella quale il futuro papa aveva operato con frutto e ricoperto la carica di patriarca di Venezia44. Si tratta del racconto di una giornata trascorsa da «quindici giovinotti» in visita appunto a Riese. Il paese del papa «che ci voleva dopo Pio IX e Leone XIII ed a cui la storia consacrerà un’importante pagina», scrive il seminarista Rossaro. Per il resto siamo davanti a una cronaca apparentemente comune, salvo l’incontro con la nipote del ponteice, la quale in una semplice veste e con i piedi scalzi serve loro il pranzo alla “Trattoria alle due spade”. Segue un breve colloquio con la madre della ragazza e una visita alla casa natale di papa Sarto. Una dimora umile, povera, osservando la quale Rossaro giunge a concludere «che la chiesa di Dio non bada alla grandezza dei natali, ma allo splendore della virtù»45. Una sorta di elogio della povertà quindi, ma forse ancora un signiicativo riferimento al papa «che ci voleva», per indicare un uomo fermo non solo nel difendere le posizioni di Rovigo nella diatriba con Adria46, ma anche perché disposto a superare le chiusure politiche di Pio IX e di Leone XIII, per riportare la chiesa al centro del dibattito politico in chiave antisocialista e antianarchica47. Chissà se in questa chiave si può leggere anche il polimero barbaro che Rossaro nel 1910 dedica a monsignor Ernesto Vallini per il venticinquesimo del Collegio “Angelo Custode” di Rovigo48. C’è infatti anche qui il richiamo a «un ordine nuovo», a «un’era novella, nella difesa della sua storia e della sua cultura», per uscire dall’esilio e trionfare sulle «vandale torme», sulle «barbare genti», per accogliere in «un amplesso ininito» il «fratello del Sole». C’è ancora il saluto a Roma e al papa, come l’attenzione verso la miseria e l’invito a guardare verso le «maremme», dove «un popolo affanna»49 .

44 Cfr. ad esempio G. roManato, Pio X La vita di papa Sarto, ed Rusconi, Milano 1992. Su Pio X e il movimento cattolico ancora Id, Giuseppe Sarto e il Movimento cattolico, in AA. VV., Le radici venete di San Pio X. Saggi e ricerche a cura di Silvio Tramontin, ed Morcelliana, Brescia 1987; id, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, ed Lindau, Milano 2014. 45 Cfr. A. rossaro, Una gita a Riese, in “Il Trentino”, 26 settembre 1908. 46 Per questa diatriba e per il relativo contesto si veda ancora rondina, L’ultimo interdetto cit. 47 Sarà in effetti anche attraverso queste aperture che Vincenzo Gentiloni, nominato dallo stesso Pio X presidente dell’Unione Elettorale cattolica Italiana (UECI), pochi anni dopo potrà distinguersi dalle tesi murriane e concludere con Giolitti il cosiddetto Patto Gentiloni, con il quale venivano a saldarsi il ilone risorgimentale più istituzionale e quello cattolico maggioritario, anche sulla base di un orientamento monarchico e tradizionalista che sappiamo vicino al pensiero dello stesso Rossaro. 48 Il vescovo Antonio Polin fondò nel 1886 la “Piccola Casa Angelo Custode”, un collegio destinato ad accogliere giovani della Diocesi con la speranza di poterli avviare alla vita ecclesiastica. Già qualche anno prima (1880) il vicario generale, Ernesto Vallini, aveva organizzato assieme ad altri il “Ricreatorio Cittadino per i Giovani”, iniziativa che successivamente sarebbe conluita nel collegio vescovile stesso. Sui rapporti fra il papa Pio X e monsignor Vallini, soprattutto in merito alla rideinizione della diocesi di Rovigo, si veda A. rondina, L’ultimo interdetto cit., pp.47-49. 49 Il Vaticano. Polimero barbaro del chierico Antonio Rossaro, ed. Malfatti, Mori 1910.

La bibliograia pubblicata da Chiocchetti registra con un toponimo errato l’articolo relativo alla gita nel paese del papa50; la pagina è così passata sotto silenzio. C’è dunque la possibilità che uno spulcio più accurato possa offrire ulteriori contributi per comprendere le posizioni del cattolicesimo di Rossaro nel periodo che precede la guerra, anche in considerazione che gli studi teologici da lui compiuti nel seminario rodigino in questi mesi cruciali non possono averlo lasciato passivo in merito al dibattito del tempo, che immaginiamo particolarmente vivace ad Adria, la diocesi che ino al 1909 era stata legata a Venezia, la sede patriarcale dalla quale era uscito lo stesso nuovo papa. Potrebbero fra l’altro chiarirci meglio le sue eventuali posizioni in riferimento all’opera di Murri, sostenuta per un certo tempo dal giornale “L’Avvenire d’Italia”. Aiutarci a capire se l’enciclica Pascendi di Pio X, e la conseguente svolta conservatrice del giornale dopo il 191051, abbiano avuto un peso nella collaborazione di Rossaro al foglio bolognese fra la primavera del 1915 e l’estate del 191652, allorché l’Ora presente, «la rossa meteora capace di rompere il buio invernale», come sarà deinita in un articolo del 191853, verrà colta come l’ora storica per riportare il Trentino all’Italia. Ciò che per ora possiamo dire di Rossaro studente a Rovigo non è peraltro molto. Nel suo Canzoniere poetico accosta composizioni spensierate a ricordi nostalgici54, poesie goliardiche, come i sonetti «improvvisati, uno al giorno, a rime

50 L’articolo viene infatti citato con il titolo Una gita a Riva. 51 Il primo numero de “L’Avvenire” esce a Bologna il 1º novembre 1896 con la direzione di Acquaderni. Nel 1898 la direzione passò al marchese Filippo Crispolti. Nel 1902 venne promosso alla direzione Rocca d’Adria (pseudonimo di Cesare Algranati), che impresse una svolta al giornale. Nelle sue parole, “L’Avvenire” fu “sclericalizzato”, trasformandosi da giornale “uficiale” in giornale “di penetrazione” (o “di tendenza” come si direbbe oggi). Rocca d’Adria cambiò la testata in “L’Avvenire d’Italia” e assunse in redazione i principali giornalisti appartenenti al movimento murriano (i “democratici cristiani”). In risposta, tre colleghi della vecchia redazione intransigente si dimisero. Protetto dall’arcivescovo petroniano, cardinale Svampa, il quotidiano diede ampio spazio ai temi del rinnovamento organizzativo, sociale e culturale del mondo cattolico. Inoltre Rocca d’Adria intese promuovere l’ingresso dei cattolici nella politica attiva, sostenendo la formazione di un partito cattolico nazionale. L’azione di propaganda ilo-murriana del quotidiano bolognese ebbe un tale impatto presso la stampa nazionale che il termine “democratico cristiano” divenne familiare al grande pubblico. Esso connotava tutta l’area che si opponeva agli ambienti “clericali”. Esperto in materia teologica e dottrinale del quotidiano bolognese era il sacerdote biellese Alessandro Cantono. Nella polemica, pressoché quotidiana, con gli altri fogli cattolici, i giornali avversari furono la “Riscossa”, la “Unità Cattolica”, il CMomento” e talvolta anche “L’Osservatore Romano”. Altri lo segnalarono alla Segreteria di Stato della Santa Sede afinché prendesse provvedimenti. Nel 1905 si costituì nei locali de “L’Avvenire d’Italia” il partito di don Romolo Murri, la Lega Democratica Nazionale, il primo partito d’ispirazione cattolica in Italia. Proprio in quell’anno Papa Pio X iniziò a emanare direttive sempre più drastiche sui laici cattolici, tese a mantenere tutto il movimento cattolico sotto l’egida dell’Unione Popolare (una branca dell’Azione cattolica). Rocca d’Adria continuò la propria battaglia democratica ino al 1910. In quell’anno morì il cardinale Svampa, alto protettore del giornale. Nello stesso anno Rocca d’Adria perse la direzione. Finita la sua epoca, il quotidiano bolognese ebbe una decisa virata in senso anti-murriano. Nonostante la nuova linea moderata, rimase comunque il quotidiano cattolico più letto nella regione. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_ d%27Italia, consultato il 3 gennaio 2016. 52 Per i quattordici articoli pubblicati da Rossaro sul giornale “L’Avvenire d’Italia”, nonostante alcuni errori nelle datazioni, cfr. ChioCChetti, Don Rossaro cit., pp. 28-29. 53 A. rossaro, L’ora presente e Camillo Pasti, in “Alba Trentina”, II/1 (1918). 54 «Ave ‘Casetta’ biancheggiante al sole, // Al puro sol che da di giovinezza, / In te germoglia il ior di gentilezza,

e a tema, in una amena brigata collegiale, durante la cena, e precisamente, tra la minestra e la pietanza»55, a rime di più acceso impegno politico, come lo scherzo Benedetti i tedeschi, che nel 1910 per poco non gli costerà l’espulsione dal seminario56

L’irredentismo di Rossaro non è comunque frutto di un passaggio repentino, anche perché sappiamo che il suo cuore batte da sempre in favore dell’Italia. Le poesie che cogliamo a partire dal 1897 nel suo inedito «canzoniere del cuore», si instradano con accenti ancora pascoliani57, ma ben presto diventano più squillanti, pregne di accenti patriottici. Ai bozzetti giovanili, Lago di Cei, Casetta alpina, Il ponte di San Colombano, Al lago di Loppio, Alla mia mamma, presto fanno seguito Rose di sangue (1905), oppure Il Messaggero (1906), ovvero i versi dedicati al nuovo giornale, dove l’autore preigura esplicitamente la «libertà del Giovane Trentino» e annoda il binomio «Trento e Trieste»58. Su questo tono è anche la composizione patriottica indirizzata A Ottone Brentari, che l’autore dichiara di aver scritto nel 1907, «in occasione d’una conferenza irredentista... sul tema Trentino nostro»59, e così altre pagine del manoscritto che si arricchisce con l’avvicinarsi della guerra. Sono appena alcuni cenni. Il canzoniere poetico che Rossaro dedica in età matura a Renato [Cobelli?]60 , meriterebbe ben di più, anche perché, come egli dichiara, si tratta di «un caro recesso» nel quale possiamo leggere «gran parte» del suo passato.

«Ho voluto raccogliere i miei versi e le mie poesie, in questo volume, esclusivamente per me, o meglio per mio intimo compiacimento», scrive infatti nella bella dedica. «Molti di questi versi, avrei voluto, e dovuto, riiutarli in pieno; altri passarli al “labor limae” e modiicarli radicalmente, ma poi ho inito per adunarli tutti e intatti, in queste pagine, come uscirono dal mio cuore, in certe disposizioni e in certe circostanze del mio animo. Non sono tutte creature del mio cuore? e se al-

/ Che il latin sangue infonde alla tua prole. / Come un fragor di piccolette viole / Io trovo in te. della mia fanciullezza / Tante memorie piene di dolcezza / Tanti innocenti palpiti del cuore / [...]. Cfr. Al Collegio dell’Angelo

Custode. Rovigo, detto “la Casetta” (1910), in Canzoniere cit., p. 314 ss. Nello stesso Canzoniere si veda anche Inno al Collegio dell’Angelo Custode, «musicato dal Dr. Prof. D. Raffaello Malaspina. Pubblicato sul numero unico del XXV del Collegio, 1910». 55 Si tratta di una decina di sonetti (Virginia, Desdemona, Fedra, Ermengarda, La Gioconda, Giulietta e Romeo,

Francesca da Rimini, La Cairoli, La Tosca, Mimi de la Boeme, Esame ecc.) composti a Bassano fra il luglio e l’agosto 1903. Cfr. Canzoniere cit., Bassano luglio, agosto 1903, pp. 298 ss. 56 Così annota l’autore «Per poco questo scherzo non mi costò l’espulsione dal Seminario, stabilita dal vescovo,

Mons. Boggiani, già professore all’università di Graz e poi Cardinale, il quale però molto mi amava. Mi salvò il pio e santo prof. Sichinallo, celebre latinista». Cfr. Poesie di Antonio Rossaro cit., p. 365. Lo scherzo è datato

Rovigo - Seminario vescovile, 18 aprile 1910. 57 Fa eccezione in verità una composizione del 1898 (Addio mia scuola) dove Rossaro cita il «sacro tricolor». Canzoniere cit., p. 124. 58 Cfr. Al Messaggero, nuovo giornale di Rovereto, in Canzoniere cit., pp. 92-94. 59 Canzoniere cit., pp. 402-405. 60 L’ultima poesia, Sulla tomba di Arsenio Lacorte, porta la data 1951, mentre Rossaro muore l’anno successivo.

cuni sono usciti, per dirla, con fede mussoliniana, “gobbi”, che colpa hanno essi? Se feci qualche lieve modiicazione questa la riservai a certe poesie stampate, che nel ricopiarle migliorai in qualche parole e in qualche verso. Così essi formano per me un caro recesso, in cui è raccolta gran parte del mio passato, con tutti i suoi sogni e con tutte le sue tempeste, e in queste pagine mi rivedrò rilesso in tutte le fasi della mia vita multiforme, direi quasi multanime, perché godetti la natura e l’umanità, attraverso gioie e dolori, nelle loro varie espressioni»61 .

Alcuni articoli sempre segnalati nella bibliograia del Chiocchetti fra il 1907 e la ine del 1913 sembrano meno incisivi, anche perché destinati a “Il Trentino”. I Pastelli Autunnali o le impressioni di Maggio, pubblicati dal giornale cattolico di Trento si conigurano perlopiù alla stregua di schizzi impressionistici, altri risultano contributi di taglio religioso, come la Resurrectio composta in occasione della Pasqua del 1908, il Natale nella letteratura, ancora del 1908, o La poesia della Bibbia dell’anno successivo. Anche qui qualche scritto è però politicamente più esposto: l’articolo del febbraio 1909 intitolato L’Avemmaria di Giosuè Carducci62, ad esempio, dove l’autore non nasconde l’ammirazione per il personaggio da poco scomparso, prevedendo che l’avvenire avrebbe proiettato «nuova luce sull’idea e sui sentimenti cristiani» del poeta toscano. Si sofferma in particolare sul signiicato della preghiera comparsa sul giornale “Italia” a vantaggio del restauro della storica chiesetta di Polenta, ma non è dificile notare l’intenzione di abilitare il poeta laico agli occhi della gerarchia cattolica. Sempre “Il Trentino”, nel novembre 1912, pubblica un altro contributo interessante, allorché da più di un anno Antonio Rossaro è stato consacrato sacerdote e inviato «in esilio» a Ceneselli come cappellano, «in seguito ad una serata irridentata e irredentista»63. (Lo troviamo poi in qualità di «addetto al Collegio dell’Angelo Custode di Rovigo», e più tardi insegnante presso il Liceo-ginnasio della stessa città)64. L’articolo del 1912 tocca questa volta temi di-

61 Canzoniere cit., pp. 8-11. 62 A. rossaro, L’Avemmaria di Giosuè Carducci, in “Il Trentino”, 27 febbraio 1909. 63 Questo quanto scrive Rossaro in calce al Notturno XI: «composto nell’esilio, a Ceneselli, nella Pasqua del 1915».

Un altra poesia A Ceneselli viene invece accompagnata da questa nota: «Il 24 aprile 1912, vigilia dell’inaugurazione del Campanile di Venezia, la banda di Ceneselli, ov’ero cappellano, tenne un applauditissimo concerto in

Piazza San Marco, al quale ero pur presente io. Al suo trionfale ritorno, vi fu omaggiata questa ode. Il nome latino di Ceneselli è Cenesia». Cfr. Canzoniere cit., pp. 460-461 e 497. Adriano Mazzetti segnala don Rossaro presso la parrocchia di Ceneselli, nell’Alto Polesine, a circa 50 chilometri da Rovigo proprio nel 1915. Cfr. Mazzetti, Don Antonio Rossaro e l’Accademia dei Concordi di Rovigo cit., p. 116. 64 Così in dettaglio la scheda conservata presso la Diocesi di Rovigo, bs. 24.«Rossaro Antonio di Giuseppe e di Marini

Giovanna, nato a Rovereto il 8 giugno 1888 [la data esatta è invece 1883]. Ordinato a Rovigo, Seminario, il 1 aprile 1911. Morto a Rovereto il 4 aprile 1952. Ufici esercitati in Diocesi: Vicario Coop. Ceneselli, 26 aprile 1911; Addetto

Collegio Vesc, “Angelo Custode”, ott. 1913; Insegnante Ginnasio-Liceo Rovigo, 1916; Direttore “Il Popolo”, Adria.

Curò la “Concordiana”; Assistette i feriti negli ospedali militari di Rovigo, Cantonazzo e Buso; Passato a Milano, Istituto Bognetti, 1921; Passato a Rovereto, Diocesi di Trento, Biblioteca Civica, 1922; Fondatore “Opera Campana dei Caduti” (Vedi “La Settimana, 2. 27 1973)». Devo questa segnalazione alla cortesia di Gabriele Antonioli.

dattici e critica le antologie “passatiste”, «dall’abito tutto tarmato», invitando a considerare i nuovi sussidi e ad apprezzare un certo giornalismo. Dopo aver citato i nomi dei più valenti esponenti del tempo, riserva parole di elogio a Luigi Barzini, deinito «il vero scrittore del nostro secolo, il secolo del vapore, del telegrafo, dell’automobile. Dalla sua parola tutta a scatti netti, rapidi, nervosi come tanti colpi di telefono balza l’urlo di guerra, l’angoscia della sventura, l’inno della grandezza, il peana di vittoria». Lo scritto si dilunga con altre note che risentono evidentemente del linguaggio futurista e sembrano marcare un cambiamento di rotta rispetto ai contenuti del citato articolo su San Pio X di quattro anni prima, tanto da portarci a ribadire necessaria una ricerca più approfondita in merito a questo poliedrico personaggio, capace di iutare i tempi e di dare lezioni anche attraverso la pedagogia. «L’Italia è ancora lontanissima dal punto in cui è l’Inghilterra, dove ogni editore ha un suo riporto “per il piccolo mondo dei fanciulli”; e il Cuore del De Amicis, che pur ha già tanto palpitato all’unisono con quello di varie generazioni infantili, oggi incomincia a rallentare le sue pulsazioni», egli scrive in maniera ancora ambigua a conclusione del suo articolo65 .

Come ha documentato Antonello Nave66, a Rovigo il giovane prete si cimenta in iniziative culturali e sociali, che con l’avvicinarsi della guerra non faranno che accentuare il taglio irredentista del suo operato. Compare nel suo diario poetico, con la data 1909, la composizione Ad Adria: una serie di quartine dedicata a un fatto sacrilego che vede vittima il vescovo Pio Boggiani, «barbaramente assalito a furor di popolo» a Rovigo per aver voluto «adempiere un certo atto commessogli da Pio X», ovvero quello di annunciare la parziale autonomia della diocesi di Rovigo67. Cogliamo ancora in queste pagine «il palpito divino e patriottico» di Pasqua trentina, così l’ode A Carducci ed altro68. Sono inoltre del 1910 i quattro sonetti e un inno per il Collegio dell’Angelo Custode; risale allo stesso anno l’ode in onore dei Martiri di Beliore, che per opportunità politica uscirà dieci anni più tardi su “Alba Trentina”69. Data 1914 un contributo di ricerca su Cristina Roccati70, la celebrata intellettuale rodigina del Settecento, membro dell’Accademia dei Concordi e terza fra le donne italiane a conseguire la laurea; una igura che non poteva che rispecchiare l’ambiente illuminista roveretano dello stesso secolo, che Rossaro non

65 A. rossaro, Scuola, antologie e giornalismo, in “Il Trentino”, 2 novembre 1912. 66 A. nave, Irredentisti in Polesine, Antonio Rossaro, Giorgio Wenter Marini e l’Alba Trentina, in Studi Trentini di

Scienze Storiche”, LXXXIII/4 (2004). 67 Cfr. Canzoniere cit., pp. 414-417. Il 7 luglio 1909 con il decreto Ea semper fuit della Sacra Congregazione Concistoriale, la curia vescovile fu traslata da Adria a Rovigo. A seguito di questo trasferimento il popolo di Adria aggredì il vescovo Tommaso Pio Boggiani e contro la città di Adria fu scagliato un interdetto di quindici giorni.

Cfr. La città di Adria, colpita dall’Interdetto, è privata dei Sacramenti e del suono delle campane, in “La Stampa”, 3 ottobre 1909. Per una trattazione più approfondita cfr. rondina, L’ultimo interdetto cit., pp. 50 ss. 68 Alcune di queste poesie saranno poi pubblicate in “Alba Trentina” o in altre riviste. Tra queste Pasqua trentina. 69 A. rossaro, Rovereto e i martiri di Beliore, in “Alba Trentina”, V/1 (1921). 70 A. rossaro, Cristina Roccati e il suo tempo, Rovigo 1914.

dimenticherà di celebrare nell’Accademia roveretana degli Agiati71. Da registrare ancora il Parzival, un breve e libero adattamento del lavoro wagneriano presentato per il carnevale del 1914 nel teatro del collegio rodigino, il cui libretto, con la copertina del cugino artista Giorgio Wenter72, sarà messo in vendita a favore della Croce Rossa. Sempre di Wenter sono le scene del Tannhäuser , la seconda opera ispirata a Wagner, che Rossaro mette in scena nel 1915 con la musica di Raffaele Malaspina73 . Proprio in merito al Tannhäuser abbiamo un’interessante testimonianza che ci permette di andare alla fonte della composizione e di ricostruire le chiare posizioni di Rossaro e il clima che aleggiava nel Collegio dell’Angelo Custode durante il carnevale del 1915, ovvero nei giorni in cui l’Italia si trovava ancora per poco a vagare fra Scilla e Cariddi, fra la scelta della neutralità o dell’intervento in guerra.

«Erano quelli, giorni densi di opache incertezze, di segrete e fosche forze prorompenti, di rossi entusiasmi quarantotteschi: giorni che oggi ci sembrano lontani, perché affatto staccati da questi, mediante la livida lacuna di questi tre anni di guerra, vissuti troppo intensamente, troppo passionalmente», rammenta lo stesso Rossaro. «Ed ecco che mirando a quel familiare trattenimento accademico, oggi lo vediamo in altra luce, e ci appare un punto, un momento, un episodio che raccoglie in sintesi la fragorosa vita di quei giorni, in cui due forze titaniche, il neutralismo e l’interventismo, scesero a duello fra loro. Si disse che il collegio è un piccolo mondo, e difatti in seno all’anima collettiva di un collegio germinano tutte le passioni buone e cattive, spumeggiano tutti i vizi e tutte le virtù, turbinano tutte le diverse correnti, in piccolo sì, ma non meno impetuose, che s’agitano fuori nel grande mondo. E nel Collegio dell’Angelo Custode, molinavano le due forti correnti del giorno: il neutralismo e l’interventismo. La preponderante delle due era senza dubbio questa ultima, sia per quello spirito di novità che brulica nel cervello e nel cuore dei giovani, in generale cupidi rerum novarum, sia perché esso si imperniava su due trentini che erano allora in quel Collegio, e precisamente il direttore di questa rivista e l’ing. Giorgio Wenter, il primo dei quali coi suoi versi e articoli, il secondo con le

71 A. rossaro, L’Accademia degli Agiati di Rovereto, in “Alba Trentina”, II/1 (1918); id, Inaugurazione della Accademia degli Agiati, in “Alba Trentina”, IV/1 (1920); id, L’Accademia degli Agiati all’Alba Trentina, in “Alba

Trentina”, IV/1 (1920). 72 Giorgio Wenter, cugino di don Rossaro, per confermare la sua italianità, dopo la guerra prenderà anche il cognome della madre, ovvero Marini. Da qui Giorgio Wenter Marini. 73 Come riporta Nave, nel corso della serata «fu presentata per la prima volta e messa in vendita anche la serie di dodici cartoline patriottiche intitolate Il Trentino durante la guerra, ideate ed incise su matrice in legno dallo stesso Giorgio

Wenter in uno stile stringato e cupamente espressionista, che traduceva in immagine altrettanti distici appositamente composti da don Antonio Rossaro. Stampata a Rovigo in duemila esemplari dalla Tipograia sociale Editrice, la serie fu posta in vendita anche in altre occasioni di propaganda irredentista a sostegno dei profughi trentini del Polesine e per speciiche iniziative di propaganda bellica». A. nave, Irredentisti in Polesine cit., p. 509.

sue vignette, facevano una sorda ma non sterile propaganda irredentista. Ogni anno in quel Collegio si teneva una grandiosa “accademia letteraria” in cui i giovani sfoggiavano tutto il patrimonio del loro sapere, dandole una tinta di attualità. L’anno precedente, precisamente nel 1914, furoreggiava nei teatri d’Italia il Parsifal; ebbene nell’elegante teatro del Collegio, si rappresentò, con sfarzo senza risparmi, un bozzetto drammatico di Antonio Rossaro, tolto dalla tavolozza di Wagner, e intitolato Parzival. In questo carnevale del 1915 invece si pensava di dare all’accademia una impronta del momento storico che si viveva, così ardua e non senza pericolo. Un’accademia puramente letteraria in quei giorni sarebbe apparsa un iore esotico; viceversa, dificile era concepire un’accademia patriottica senza che uscisse dalla neutralità e battesse in qualche banco di sabbia. La questione quindi era basata sul dilemma o “accademia letteraria” o “accademia patriottica”. A unanimità si scelse la seconda. Rimaneva da decidere l’impronta da dare all’accademia: se una semplice affermazione di nazionalità, o se uno spirito di irredentismo, o se un voto all’interventismo. Uno degli studenti più animosi e più autorevoli - il povero Enio Erani che oggi piangiamo caduto sul campo - prorompe in uno scatto focoso col noto verso dell’opera verdiana e grida: non echeggi che un sol grido guerra e morte allo stranier! I versi corrono di bocca in bocca, per risollevarsi nel solenne coro di Verdi che, cantato con ardente foga da cento voci, elettrizza d’un tratto l’ambiente già caldo di discussioni. Invano la campanella del Collegio chiamava all’ordine quella clamorosa balda gioventù. Quella sera si andò a letto come a Dio piacque, ma sotto le agitate coltri era un continuo cantare il motivo di Verdi».

L’accademia quindi viene issata per il giorno 11 febbraio con un programma che fra l’altro prevede gli Inni delle nazioni belligeranti, cantati nella lingua originale come saluto d’apertura, La nube nera di Zovi, La battaglia di Legnano di Verdi (orchestra), dove trabocca il marziale ritmato di “Viva l’Italia”; poi Guerra nella guerra di Cessi, Pasqua trentina, con i versi di Mazzuccato, nonché, in conclusione, il «Tannhäuser, dell’abate A. Rossaro, bozzetto drammatico in due quadri, chiuso dal coro dei pellegrini, tratto dal III atto dell’opera omonima di Wagner», l’autore che il sacerdote probabilmente ammira non solo per la musica e la ilosoia, ma anche per lo spirito rivoluzionario manifestato dal tedesco negli anni di metà Ottocento. Nel coro dei pellegrini Rossaro vede forse la sua Heimat, «i suoi dolci canti», la speranza di poter tornare in patria, magari la metafora della redenzione, che Tannhäuser riesce ad ottenere attraverso il sacriicio di Elisabeth, nonché l’allegoria del pastorale del ponteice privo di foglie, che a fronte del sacriicio riiorisce.

Le prove cominciarono, don Rossaro «ne era il direttore generale e curava in particolare la parte letteraria», al professor Malaspina era riservata la parte musicale e a Giorgio Wenter «lo spirito dell’arte alemanna» nelle scene e nei costumi del Tannhäuser. In ogni luogo iorivano i ritornelli patriottici, riferisce la pagina. «Dovunque era un albeggiar di rosee speranze, dovunque un odor di polvere bellica». Lo stesso Rossaro, aveva pubblicato, proprio in quei giorni, e girava su foglietti volanti, una iammante poesia in cui c’erano strofe come questa:

Afilate coltelli, o giovani gagliardi, E voi tessete, o vergini, i serici stendardi, Suore sacrate al suolo, preparate le bende, Come l’elmo d’un dio, su Trento il sol risplende74 .

Intanto dalle diverse legazioni straniere a Roma, alle quali erano stati chiesti i relativi inni nazionali, giungevano le risposte, «che rivelavano fra le righe il fremito del momento». Rossaro elenca gli inni e le lettere accompagnatorie del Belgio, della Serbia, della Germania, della Russia, della Turchia, della Bulgaria, dell’Inghilterra. Poi l’accademia va in scena, l’11 febbraio del 1915 appunto, a pochi giorni dalla lettera in cui Giolitti riferendosi all’Italia aveva affermato che «potrebbe essere e non apparirebbe improbabile che nelle attuali condizioni dell’Europa, parecchio possa ottenersi senza una guerra». Il racconto di Rossaro va però in tutt’altra direzione, come le decisioni del ministro Sonnino.

«Ogni numero del programma letterario suona uno squillo di guerra, Il Saluto era un anticipato messaggio alle terre irredente e le parole con le quali iniva: “sulle balze del Trentino - pianteremo il Tricolore - o Trieste del mio core ti verremo a liberar...” vennero accolte a volo da un gruppo di studenti annidati nelle logge e cantate da tutti gli astanti. [...] Del programma musicale la parte che toccò il diapason dell’entusiasmo fu quella degli inni delle nazioni belligeranti che vennero cantati successivamente. Ad ogni inno cadevano dall’alto, in un gaio turbinio multicolore, a decine a centinaia a migliaia bandieruole delle nazioni relative all’inno che si stava eseguendo, mentre il numeroso coro dei cantori, disposti a ventaglio sull’ampio palcoscenico, veniva investito da robusti proiettori che gettavano fasci di luce, secondo i colori delle bandieruole che cadevano dall’alto...» È così con la

74 Sono i versi che troviamo con piccole discordanze nella poesia Vigilia di guerra, composta da Rossaro allo scoppio del conlitto. «Rovigo. Verso il tramonto giunse la notizia dell’eccidio di Sarajevo», scrive l’autore in una nota in calce alla composizione. «In piazza Vittorio Emanuele fu fatto segno di una dimostrazione irredentista.

“Oggi o mai”, mi gridò un tale, alludendo all’ora di redenzione. Entrato in collegio fui accolto dal lugubre “inno di Oberdan” e tosto, nella mia cameretta, composi questi versi. La poesia fu stampata nella primavera del ‘15 dal “Corriere del Polesine”». Cfr. Canzoniere cit., pp. 410-413.

Marsigliese, con «inno eroico del Belgio», con quello «solenne» dell’Inghilterra, con quello «triste» della Russia. «Ad un tratto i colori della bandiera russa, che investono il proscenio, si mutano nelle fosche tinte del giallo nero. Tutti ascoltano, come assopiti da un lento canto di sirene. È il melanconico, eppur solenne inno imperiale dell’Austria.

Gott erhalte, Gott beschütze / Unsern Kaiser, unser Land! Mächtig durch des Glaubens Stü / Schirmen wider jeden Feind! Innig bleibt mit Habsburgs Throne / Österreichs Geschick vereint!75

L’eco degli applausi coi quali il pubblico salutò l’inno russo, si risveglia in fragore di ischi, d’urli, di proteste, tra le quali continua quasi più grave, maestoso, liturgico, come accompagnasse una lugubre processione di innocenti martiri moventi alla forca, uno silare di tragiche bare asburgiche, che scesero alla tomba dei Cappuccini a vendicare orrendi delitti. Nessuno però può sottrarsi a quella tragica carezza della crudele parca danubiana, che tutti inisce per ammaliare e conquidere».

Rossaro si avvia poi a concludere scrivendo che una simile accoglienza venne riservata anche all’inno tedesco, mentre l’ambiente si galvanizza ancora al suono di quello italiano, che tutti cantavano dalla platea, dal palco e dalle logge. «È il trionfo novo d’Italia: e da un ampio vessillo tricolore sboccia un fanciullo vestito di giallo e d’azzurro, gli augurali colori di Trento»76 .

Una pagina densa, che si è voluto riportare in maniera prolissa in ragione dei suoi signiicati. Quelli del sacerdote che trama con una «sorda ma non sterile propaganda»; quelli del microcosmo rappresentato dal Collegio in cui egli opera, il luogo dove si rispecchiano le posizioni del mondo esterno, soprattutto quelle degli studenti, probabilmente anche loro attratti da L’Ora presente, il giornale interventista nato per iniziativa di alcuni universitari del Politecnico di Torino, dove trovano fra l’altro spazio i contributi accesi del veronese Camillo Pasti, di Paolo Marconi, Toni Vanzo, di Renzo Gallo; dei trentini Italo Lunelli e Giuseppe Piffer, dei roveretani Giulio Angeli, Mario Ceola e dello stesso Damiano Chiesa77. Come si vede l’entusiasmo è sopra le righe: la guerra è invocata come un evento

75 Questa la traduzione della prima strofa. «Serbi Dio l’Austriaco Regno, Guardi il nostro Imperator / Nella fede gli è sostegno, / Regga noi con saggio amor! / Difendiamo il serto avito, / Che Gli adorna il regio crin; / Sempre d’Austria il soglio unito, / Sia d’Asburgo col destin!». 76 Cfr. tiMo del leno [A. Rossaro], Un episodio dell’ora prima di guerra, in “Alba Trentina”, II/2 (1918), pp. 54-62. 77 A. rossaro, La redazione de L’Ora presente e Camillo Pasti, ed. Valbonesi, Forlì 1918. “L’Ora presente” nacque per iniziativa di un gruppo di studenti interventisti del Politecnico di Torino che, dopo la dichiarazione uficiale di neutralità dell’Italia, pubblicata il 3 agosto 1914, decise di realizzare un giornale contro la neutralità italiana. Il primo numero uscì il 16 ottobre. Ideatore del giornale era Camillo Pasti. Il comitato centrale racco-

desiderato anche da parte dei seminaristi e dei loro maestri sacerdoti, in una sorta di coesa celebrazione popolare e spirituale. Antonio Rossaro riporta la vicenda dopo tre anni di una guerra che nell’estate del 1917 il papa Benedetto XV aveva deinito «un’inutile strage», ma non si mostra ravveduto nelle sue posizioni. C’è da pensare che accentui se mai la sua prosa, forse addirittura reinventando alcuni aspetti dell’accaduto. Lo scopo evidentemente è quello di giustiicare il conlitto, di far vedere come l’entrata in guerra dell’Italia fosse voluta, reclamata anzi, da uno spaccato sociale eterogeneo che vorrebbe mostrarci come maggioranza, sicuramente come elemento «novatore» della nazione». Egli si rivolge prima di tutto ai giovani, invitandoli retoricamente ad afilare i coltelli; non dimentica però le vergini e le religiose, in una comunione di classe e di intenti che cerca forse di contrapporre ai malcontenti che serpeggiano per il prolungarsi delle ostilità. Rossaro ampliica dunque la sua voce, irma articoli su articoli, con il suo nome e con vari pseudonimi: Timo de Leno, Robur, l’arcadico Acesimo Miceneo, Leno Cenesia, Lagarino, Parvus e probabilmente altre sigle note e sconosciute. Con il suo nome nel 1916 pubblica anche due importanti volumi Trentino nostro78 , nonché Il Trentino ai fanciulli d’Italia79, entrambi concepiti per diffondere a diversi livelli

glieva i redattori Mario Giorgini, Sergio Ancona, Andrea Marsini, Odoacre Massena, Fausto Del Re e Damiano

Chiesa. Il giornale costituì anche una redazione a Roma e il 28 novembre a Roma uscì un’edizione speciale. “L’Ora presente” veniva distribuita gratuitamente dagli studenti. La pubblicazione proseguì ino al 9 maggio 1915. Su questo argomento cfr. anche S. B. galli, L’interventismo studentesco e l’Ora presente, in Volontari italiani nella grande guerra, a cura di F. Rasera e C. Zadra, ed. Osiride, Rovereto 2008, pp. 147-166. 78 A. rossaro, Trentino nostro, ed. Buffetti, Parma-Firenze 1916. Il volume viene segnalato nel primo numero di “Alba Trentina” (1917) nella rubrica Ciò che si deve leggere. Nei numeri successivi igurerà nella réclame posta solitamente in terza di copertina. Trentino nostro parte dalla descrizione della regione che racchiude «nei suoi brevi conini» molteplici bellezze. Ma il tutto è infarcito di nazionalismo. Ogni contrada è bella non solo perché è bella, ma perché italiana, latina, perché palpitante della vita meridionale. Per le strade si vedono quindi «operai e studenti fregiati di spille della Lega Nazionale, o di Garibaldi, o di Dante», i quali «passano cantarellando inni patriottici», mentre «dalle inestre, riboccanti di gerani e garofani in iore, la fanciulla guarda il cielo d’Italia che le si apre innanzi, e segue un vasto luminoso sogno». È poi «l’anima italiana» a rammentare che «nel Trentino – purtroppo poco conosciuto – su 386.437 abitanti dati al censimento del 1910, appena 13.477 sono tedeschi», ribadendo quindi l’etnia latina della popolazione. L’esposizione di Rossaro continua dicendo poi che l’Austria vorrebbe sfruttare le risorse energetiche, che l’emigrazione dipende dalla politica «dell’impero del Danubio», che l’autonomia può considerarsi «la iaccola sotto il moggio» che non ha saputo risplendere. L’università italiana è stata negata, il pangermanismo è invadente, la censura ha colpito il giornalismo ecc. A rifulgere è però la concordia dei partiti: cattolici, liberali e socialisti si stringono la mano davanti all’interesse supremo: l’italianità. L’irredentismo diventa quindi un atto necessario, proclamato da tutti, nei teatri e nelle strade, nell’attesa de «l’ora grande». 79 A. rossaro, Il Trentino ai fanciulli d’Italia, diviso in quattro parti e con appendice su Alto Adige, Tip. Sociale

Editrice, Rovigo 1917. Il volume viene segnalato per la prima volta nel terzo numero della prima annata (1917) di “Alba Trentina”. Il Trentino ai fanciulli d’Italia riprende in maniera più semplice quanto sostanzialmente detto in Trentino nostro. L’impostazione è la stessa: il paesaggio, la storia e la cultura italiane, i ridenti paesi italiani, le feste italiane, i cuori italiani, i torti dell’Austria, anche per quanto riguarda la crisi dell’agricoltura alla base dell’emigrazione. Dunque la giustezza dell’irredentismo e di una guerra che trova radici nel Risorgimento, un risorgimento popolare ricostruito a partire dal 1848, dalla Legione trentina, ilo conduttore di una storia di uomini che porta alla «guerra santa», alla bandiera tricolore con la scritta «religione e giustizia». Per questo hanno com-

le caratteristiche geograiche, storiche e culturali della sua regione, non trascurando di mettere in mostra il sacriicio dei trentini prima e dopo la guerra80. «È un nutrito volume nel quale le più importanti questioni che si riallacciano alla bella regione italica, ormai prossima come non mai alla redenzione, sono lucidamente spiegate e discusse», riporta a proposito di Trentino nostro la réclame pubblicata per alcuni mesi su “Alba Trentina”; mentre in merito all’opera indirizzata ai fanciulli dice trattarsi di un «elegante volumetto, con copertina dell’ingegner Giorgio Wenter, e con riuscitissime illustrazioni»81 . Ma non è inita. Dopo aver declinato nel 1915 un primo invito, Antonio Rossaro negli anni 1918-1920 presterà la sua opera come direttore presso la biblioteca dell’Accademia dei Concordi82, subentrando a don Luigi Fogolari, che aveva fra l’altro insegnato presso il seminario vescovile di Rovigo, lo stesso dove qualche anno più tardi studierà lo stesso Rossaro83. E proprio grazie a questi studi, a questi meriti Rossaro nel 1920 viene nominato cavaliere, mentre, come egli scriverà diversi anni dopo, a causa del suo «aperto atteggiamento d’italiano» non riuscì a fare carriera nel mondo ecclesiastico84 .

Altro si potrebbe dire in merito alla produzione di Rossaro in relazione agli anni della guerra. Oltre quanto citato, e al materiale ancora da registrare, resterebbero da esaminare

battuto i «moschettieri trentini», Ergisto Bezzi, Filippo Manci, e Filippo Tranquillini, con le rosse camicie dei Mille. Con loro tanti altri, ino ai martiri dei primi anni di guerra: Damiano Chiesa, Cesare Battisti, Fabio Filzi; hanno inoltre sofferto i soldati trentini costretti dall’Austria a combattere in Galizia e le popolazioni evacuate dai loro paesi nel triste esodo del 1915. Trova poi spazio la questione dell’Alto Adige, «che è terra italiana, e l’Italia non solo può, ma deve volerla». 80 Quinto Antonelli parla di un racconto in cui la guerra dei trentini appare in termini di «sacriicio salviico», di «martirio» voluto e accettato, di «sangue fecondo», di un immaginario «in cui giganteggiano questi montanari buoni e gentili, che partecipano “con tutta l’anima” ai lutti e alle gioie d’Italia». Cfr. Q. antonelli, Piccoli eroi. Bambini, ragazzi e guerra nei libri per l’infanzia, in “Annali del Museo storico italiano della guerra”, 4 (1995), pp. 74-75. 81 Si veda alle note precedenti. «Questo libro, denso di un’irruenta fede irredentistica, gli procurò da parte dell’Austria una condanna che i giornali svizzeri si affrettarono a pubblicare». Così scrive “Il Gazzettino”, 9 aprile 1934. 82 «Nell’estate 1818 fu assunto dal Consiglio Direttivo come aiuto il bravo sacerdote e fervente patriota trentino Antonio Rossaro, che riprese il riordinamento lasciato a mezzo dal povero Bonain e dispose le pubblicazioni patriottiche di Rovigo e provincia...». Nel fornire le sue credenziali Rossaro cita alcune pubblicazioni e si dice fondatore di “Alba Trentina” e socio, in dal 1813, dell’Accademia roveretana degli Agiati, e dal 1914 di quella dell’Arcadia di Roma. In “Memorie” n. 88. 1818 (IIc), n. 89, 1919, (IIa) prot. 84. Cit. in Mazzetti, Don Antonio Rossaro e l’Accademia dei Concordi di Rovigo cit. pp. 123-126. 83 Cfr. Mazzetti, Don Antonio Rossaro e l’Accademia dei Concordi di Rovigo cit. p. 116. Su Luigi Fogolari (18351871), fratello della madre di Cesare Battisti, si veda anche tiMo del leno, La famiglia di Teresa De Fogolari.

Madre di Cesare Battisti, in “Alba Trentina”, II/7-8 (1918), pp. 218-225. Antonio Rossaro detterà la dedica per la lapide che il 18 dicembre 1918 sarà collocata nell’Istituto. Cfr. tiMo del leno, Una lapide a don Luigi Fogolari, in “Alba Trentina”, IV/1 (1920), pp. 36-37. 84 «[...] Quando nel 1920 fui creato cavaliere, un vecchio sacerdote, pio e buono quanto mai, parlando col Vescovo di Rovigo, avanzò il dubbio ch’io fossi massone. Me lo disse, ridendo, lo stesso Vescovo. Però, dato questo mio aperto atteggiamento d’italiano, non feci mai carriera nel mondo ecclesiastico. Ma io, pur amando e rispettando tutti, tirai dritto...». Albo storico cit., 28 dicembre 1939.

gli articoli nei giornali polesani85, nonché più in dettaglio quelli pubblicati ne “L’Avvenire d’Italia”, con il quale inizia a collaborare quando l’intervento dell’Italia è praticamente deciso. L’italianità nel Trentino è il titolo di uno dei primi, ma la serie continua con altri contributi militanti: I fucilati di Trento, La censura austriaca in Trentino, Il pangermanesimo e il Trentino, Il militarismo nel Trentino, Irredentismo Trentino e così via, in una collaborazione che arriverà ino al 191786, allorché Antonio Rossaro dà vita a un proprio mensile: “Alba Trentina”. Si tratta nel complesso di articoli che seguono un ragionamento espresso in altri scritti e nei citati due libri pubblicati in questi anni87. Il Trentino non può dirsi che italiano, per territorio e paesaggio, per storia ed etnia, per lingua e tradizioni, proclama in sintesi l’autore. L’Austria non ha voluto comprendere queste caratteristiche, prima negando le richieste autonomistiche, poi operando per sostenere i movimenti pangermanisti, togliendo il diritto dei trentini e degli istriani di avere una propria università, fortiicando il territorio e introducendo una «disciplina militare e poliziesca accompagnate da una censura semplicemente stupida»88. L’irredentismo trovava quindi la sua giustiicazione storica e culturale, e come tale andava sostenuto, anche per cercare di riparare gli errori passati, dell’Austria e degli stessi governi italiani.

«L’irredentismo trentino, nel senso stretto della parola, sboccia a guisa d’un solitario e insanguinato iore il giorno in cui si compì l’unità d’Italia.(…) Da allora cominciò disperatamente quella lotta, diremo così, interna, o meglio di conservazione individuale, contro l’azione assorbente che già incominciava a svilupparsi in seno al germanesimo, lotta del resto che non doveva esplicare troppo apertamente, per non aggrovigliare la matassa della politica estera dell’Italia, la quale aveva bisogno d’una grande pace»89 .

Il riferimento è chiaramente al Congresso di Berlino e alla Triplice, un’alleanza innaturale per il sacerdote trentino, che accusa le nazioni coinvolte di opportunismo. Per questo si è alzata la «folata d’irredentismo» che sofiò da Ancona a Trieste, da Trento a Firenze; per questo è nata la Lega Nazionale, hanno preso vita il movimento degli Studenti trentini, i convegni ciclistici e sportivi in genere, «le feste degli alpini battezzanti nel nome d’Italia qualche vergine cima, o qualche nuovo rifugio»; così le innocenti feste degli alberi, «che

85 Adriano Mazzetti cita ad esempio “La Settimana Cattolica”, organo della diocesi di Adria e “Il Corriere del

Polesine”, quotidiano di riferimento della vita civile locale. Mazzetti, Don Antonio Rossaro e l’Accademia dei

Concordi cit., p. 118. 86 Per un elenco più dettagliato cfr. ChioCChetti, Don Rossaro cit. pp. 28-29. 87 Cfr. G. sala, Don Rossaro e la sua attività giornalistica negli anni 1915-16, “Atti del Congresso Nazionale di

Storia del Giornalismo”, Trieste 1972, pp. 295-303. 88 A. rossaro, La censura austriaca nel Trentino, in “L’Avvenire d’Italia”, 14 ottobre 1915. 89 A. rossaro, Irredentismo trentino, in “L’Avvenire d’Italia”, 14 giugno 1915.

“Alba Trentina”, Anno III, n. 1, 1919.

This article is from: