7 minute read
1.10. La ine della guerra
1.10. La ine della guerra
Le pagine dell’Albo arrivano rapidamente all’epilogo. «C’è nell’aria come un rantolo d’agonia! Tutto precipita, oppure siamo inconsci della gravità dell’ora» leggiamo il 22 aprile 1945. «Voci discordi parlano di armistizio. Tutto fa pensare che il crollo è vicino. Questione di ore. Penso di far suonare la Campana al momento del crollo», riporta Rossaro il primo maggio. Ma poi subentrano «dificoltà tecniche»: ci sono in giro ancora tedeschi, una sera viene ordinato il coprifuoco, si vorrebbe che la Campana suonasse escludendo i caduti fascisti. «No» afferma perentorio il sacerdote, dovrebbe suonare per tutti. E intanto passano i giorni e il suono della pace ritarda. Arrivano gli americani. Rossaro corre al bastione del castello per appendere il tricolore, ma quando al mattino del 4 maggio gli viene chiesto di salutare l’evento con il suono della Campana risponde ancora in modo negativo218. In breve suona soltanto il giorno 20 maggio, a forza di braccia volonterose, per ricordare tutti i caduti, precisa Rossaro.
Advertisement
Poi è l’ora della ricostruzione, anche gattopardesca secondo quanto scrive Rossaro, il quale denuncia i trasformismi e le viltà, mentre per lui si apre un capitolo amaro. Con l’autunno del 1945 il padre della campana viene accusato di aver collaborato con il fascismo e quindi la Commissione d’epurazione istruisce il processo che si concluderà comunque con l’assoluzione. È ancora l’Albo storico a riassumere la vicenda, permettendoci di conoscere altri aspetti della biograia del sacerdote. «Ho assunto la carica di cappellano della Milizia volontaria di sicurezza nazionale per la Legione Cesare Battisti nel 1927 su invito del console Larcher, del centurione Scanagatta e dello stesso vescovo Endricci», egli scrive in una memoria difensiva. Ed accettai «solo in vista della Campana dei Caduti che tanto mi stava a cuore, sia per le sue alte inalità, sia per mantenere le sue relazioni internazionali, e che, altrimenti, sarebbe stata probabilmente osteggiata, o peggio, assorbita dalle istituzioni fasciste. La mia attività però di Cappellano di Legione fu limitata esclusivamente agli ordini che per volta mi giungevano dal Comando, e solo nell’ambito spirituale, come la celebrazione della Messa da campo o la preparazione dei militi alla Pasqua, mentre nei fervorini che tenevo in tali circostanze, mi attenevo esclusivamente al Vangelo o a qualche passo scritturale, coronandoli sempre col voto d’una “Italia una, grande, indipendente”, e ciò fu sempre in cima alle mie aspirazioni». La rimozione dal suo incarico, nel 1940, era poi avvenuta non per reali necessità organizzative, ma per «scarso rendimento». La stessa Campana «casualmente nacque e si sviluppò in epoca fascista», dichiara ancora il sacerdote, ribadendo che aveva accettato
218 «In bella maniera, con ragioni plausibili, rispondo negativamente. Difatti era una cosa troppo precipitata e forse sarebbe stata compromessa la serietà della Campana dei Caduti». Albo storico, 4 aprile 1945.
di essere Cappellano di Legione «solo per salvaguardare la sua indipendenza e l’integrità del suo statuto, né mai sfruttai il fascismo in suo favore, anzi la volli tenere sempre fuori dal fascismo, e non senza dificoltà e pericolo personale, vi riusciì» [...] Ciò premesso, egli conclude dopo altre argomentazioni, «la Sciarpa Littoria non mi fu conferita per meriti fascisti, ma per l’automatica maturazione del decennio, quale Cappellano di Legione. [...] Con ciò io non nego il mio passato. Io ho seguito il Duce, perché con lui c’era il Re, e dove c’era il Re, per me allora c’era la Patria; fui attratto soprattutto dallo splendore d’una nuova Italia, “una, grande, indipendente” quale sempre auspicai, ma tengo a dichiarare fermamente e inequivocabilmente, che sopra il Duce e sopra lo stesso re, io ho sempre inteso servire la mia cara adorata Italia. Se ho errato, ho terribilmente espiato il mio errore, compiuto in buona fede, con l’amarissima delusione, che con me ha colpito tanti schietti idealisti patrioti! Rovereto, lì 11 ottobre 1945»219 .
Le annotazioni continuano senza particolari sussulti. Si arriva così al 2 giugno del 1946. Rossaro, fedele al suo credo sabaudo, spiega:
«Giornata campale, elezioni politiche e referendum pro monarchia o repubblica. La repubblica è il miglior modo di governo; ma - almeno per ora - non lo ritengo adatto all’Italia, per varie ragioni. Quindi voto per la monarchia, convinto di fare un buon servizio alla mia cara Patria. Non faccio questioni di sentimentalismi storici, né di personalismi, ma di sistema di governo, perché sopra e fuori di personalità e casati, v’è la maestà della Patria!»220
Antonio Rossaro comunque continua a lavorare, praticamente ino alla vigilia della sua scomparsa, il 4 gennaio 1952. Le pagine dell’Albo, che chiudono con una nota del 14
219 Cfr. in Albo storico cit., dattiloscritto allegato a pp. 235-237. Valentino Chiocchetti, riferendosi all’episodio citato, così riporta il commento di don Rossaro: «Taccia, taccia, sono proprio avvilito. Quello Straffellini mi ha preso in giro: mi ha perino domandato se mi piacevano le “lasagne”, alludendo ai miei gradi di Cappellano della Milizia.
Ma se egli, che dice di amare gli operai, sapesse a quanti operai ho potuto essere di aiuto per via di quelle “lasagne”, non mi avrebbe trattato così!». ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p.7. 220 Albo storico, 2 giugno 1945. «Tramonto della Monarchia, con voti 10.709.423, contro 12.718.019!», scrive due giorni più tardi. La Campana dei Caduti non poteva rimanere insensibile avanti a questo avvenimento storico. Ieri si poteva discutere; oggi occorre obbedire! Maria Dolens si avvolse silenziosamente nel suo mesto velo, abbandonandosi ai dolci ricordi di ieri e silano davanti ad essa: la Dolce Regina Margherita, che fu tra le prime ad appoggiare l’idea della Campana dei Caduti e che ne volle essere la madrina, e che il 24 maggio 1925 la tenne a battesimo; il principe Umberto, che il 27 aprile 1924, pose la prima pietra sul bastione Malipiero, per il supporto della Campana dei Caduti; il Re, che il 4 ottobre 1925 la inaugurò, mentre la Regina Elena la accolse sotto il suo alto patronato; e la piccola principessa Maria Pia, che funse da madrina nella riconsacrazione della Campana dei Caduti. Quattro generazioni di Casa Savoia! E davanti ad essa, altri soavi ricordi: l’inaugurazione del busto della Regina Margherita, il primo monumento erettole in Italia (19.X.11935), e i gentili riti del Calendimaggio, che si svolsero del 1936 ino al 1943 compreso. Rovereto fu città eminentemente sabauda... e non può disconoscere il suo passato.
novembre 1951 e altri documenti221, testimoniano ancora il suo grande impegno per la Campana. Valentino Chiocchetti ribadisce inoltre la sua opera attiva come direttore della Biblioteca nonché come motore di altre iniziative. Sappiamo che in dal 1925 aveva assunto la direzione dell’almanacco “Il Campanom”, di cui abbiamo parlato, e nel quale Rossaro annualmente scrive quantomeno un articolo legato alla storia della città; è inoltre noto che interviene con altri scritti sul Bollettino parrocchiale o sui giornali; che ogni tanto manda alle stampe qualche pubblicazione d’occasione222. Dedica poi buona parte dei suoi ultimi anni di vita alla compilazione del Dizionario degli uomini illustri del trentino223, un grosso lavoro che rimane ancora incompleto e inedito fra i documenti della Biblioteca civica di Rovereto224 .
221 L’ultima poesia del suo Canzoniere porta la data 22 febbraio 1951. 222 Per gli articoli de “Il Campanom” e per gli altri lavori si veda la bibliograia riportata in ChioCChetti, Don Antonio
Rossaro cit. 223 Così Chiocchetti. «Il Dizionario non è inito. Gli mancano gli ultimi ritocchi bibliograici e critici. Don Antonio stava dandogli l’ultima mano quando morì. Contiene perciò ancora imperfezioni e inesattezze. Sono 12 teche di complessivi cinquemila fogli dattiloscritti, di formato 26x18, e contengono le notizie fondamentali di tutti gli uomini illustri (e qualche volta anche di quelli appena noti) della storia trentina. Sono seguite da altre teche, la
XIII e la XIV, che contengono: la prima Dantisti e dantoili trentini, e cioè la fortuna di Dante nel Trentino, e la seconda Il giornalismo nel Trentino». ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., pp. 10-11. 224 «Non molto prima che morisse si parlava con lui dell’importanza della vita, e gli dicevo che poteva essere contento, perché nella sua esistenza aveva realizzato qualcosa di serio. Mi rispose: «Si, talvolta sono ambizioso della
Campana e del Dizionario, ma contento sono contento di quel poco di bene che ho potuto fare alla povera gente di Rovereto. Sento che la mia vita fu distratta dalle troppe attività e ho negato alla mia anima quel contatto col mondo degli umili, che poi è il mondo dei buoni, che arricchisce la vita più del falso mondo dei grandi, in mezzo al quale per lungo tempo sarei stato ambizioso di vivere». ChioCChetti, Don Antonio Rossaro cit., p. 8.
Antonio Rossaro davanti alla Campana dei Caduti in una foto autografata degli anni Venti (AFCCR).