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2.2. Le iniziative parallele: Museo della Guerra e Campana dei Caduti

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Bibliograia

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rombi del cannone si dileguavano nell’immensità dell’orizzonte; vicino, lo squillo di una campanella si sperdeva nelle misteriose ragioni del cuore»1.

Molto più asciutte le righe riferite a quella giornata nell’Albo.

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«5 maggio 1921: Splendido tramonto presso l’Arco della Pace a Milano. Nell’aria tiepida e luminosa c’è l’oscillio d’una lontana campanella. Non si potrebbe pensare ad una campanella della pace sul castello di Rovereto? Ritornato a casa ripenso. O una campanella d’argento per la pace, o una grande campana pei caduti. La Campana dei Caduti sarà la più grande del Trentino»2 .

Probabilmente più signiicativo di quanto non sembri, il discrimine tra la campanellina per la pace e la grande campana ai caduti. Piuttosto prevedibilmente la scelta cadde sul grande monumento, in una tensione magniloquente verso la celebrazione degli eroi caduti3 .

2.2. Le iniziative parallele: Museo della Guerra e Campana dei Caduti

Fanno da sfondo a quel momento le vicende del neonato Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, che trovò sede nel castello veneziano della città. L’iniziativa era stata lanciata inizialmente dal collezionista d’armi Giovanni Malfer e dall’impiegato comunale Giuseppe Chini4 che spedirono una lettera a oltre 300 personalità ed enti culturali tra il maggio e il luglio 1920.

«Per cura di alcuni volontari cittadini e per ricordare degnamente l’immane guerra che segnò per noi l’alba della tanto auspicata redenzione si vorrebbe creare un Museo locale di guerra nel quale venissero raccolti e disposti in bell’ordine tutti gli svariati oggetti bellici usati da ambo le parti combattenti, come armi, ed ogni altra suppellettile dell’arredamento militare»5 .

1 rossaro, La Campana cit., p. 3. 2 rossaro Albo storico, 5 maggio 1921. 3 «Non morti, e tanto meno uccisi o ammazzati, ma un più incorporeo “Caduti”; esclusione di tratti raccapriccianti, cioè della isica veridicità della morte violenta, spesso in realtà orrida e sigurante» M. isneghi, La Grande Guerra, in I luoghi della memoria cit., p. 303. 4 Chini aveva già lanciato nel 1906, dalle pagine del quotidiano liberale roveretano “il Messagero”(21-22-23 agosto), l’idea di un museo civico patrio che raccogliesse materiali, cimeli, armi e documenti allo scopo di illustrare la storia della gente di Rovereto. 5 Circolare inviata a 300 personalità ed Enti culturali del luglio 1920, in Archivio Museo Storico Italiano della

Guerra di Rovereto (AMSGR), Busta n.2, Statuti (dall’anno 1920 all’anno 1959).

Malfer coinvolse poi l’avvocato Antonio Piscel (volontario trentino, compagno di Cesare Battisti e socialista) che sarebbe stato il primo presidente del Museo. Anche don Antonio Rossaro si unì immediatamente (il 16 luglio) all’iniziativa il cui primo comunicato richiamava esplicitamente la “sua” alba e nel successivo appello del 20 agosto il sacerdote faceva già sentire la sua mano prospettando «un nuovo Istituto che sarà uno dei più ammirati e sacri monumenti quando da tutta Italia muoverà nella nostra vallata il pio pellegrinaggio dei parenti dei caduti, e da tutto il mondo afluiranno gli studiosi di questa cruenta zona della più storica guerra»6 .

Ma i termini si palesano ancor più precisamente nel discorso tenuto alla riunione del 23 agosto, presso il comune di Rovereto, alla presenza di importanti personalità cittadine.

«Saluto con grande compiacimento quanti intervennero a questa adunanza, che ha per scopo di dare alla nostra Rovereto un monumento, che tramandi ai più lontani nepoti un tangibile documento del suo iero amor di patria e di quell’atroce martirio, onde uscì coronata dalla guerra mondiale». E ancora «sorga un Museo di Guerra che raccolga le reliquie della grande tragedia, di cui noi fummo spettatori e attori ad un tempo.[…]Questo Museo di Guerra che dovrebbe essere riconosciuto dallo Stato. E dallo Stato sovvenzionato»7 .

A parte la richiesta esplicita del riconoscimento e dell’appoggio dello Stato (che peraltro non fu mai, inanziariamente, signiicativo), si delineò così un Museo/Reliquiario la cui visita potesse risolversi in un pellegrinaggio. L’attribuzione di sacralità alla nuova istituzione scongiurava il rischio di una eccessiva accezione tecnica e positivistica che avrebbe potuto essere d’impaccio nella costruzione del messaggio nazionale e patriottico. I visitatori avrebbero dovuto essere i parenti delle vittime/eroi e le generazioni del futuro. Ad alternarsi dunque valore consolatorio e valore educativo. La componente che la fece da padrone nella visita del Museo, successivamente fattosi binomio con la Campana, installata su uno dei torrioni, fu quella degli ex combattenti, almeno ino agli anni ’70, con il lento estinguersi di quella generazione che era stata testimone e protagonista diretta degli avvenimenti bellici. Il terreno di coltura in cui si sviluppano le due istituzioni è dunque lo stesso e, a proposito della “universalità” del messaggio della Campana, non troviamo inizialmente traccia. I “caduti” di cui si parla sono i “nostri” (da intendersi, credibilmente, come i caduti dell’esercito italiano e in particolare i volontari trentini), come si può leggere in questo verbale dell’assemblea del Museo risalente al 20 maggio 1921.

6 Circolare inviata dai fondatori nell’agosto 1920, nella quale si chiedeva a certe persone illustri di far parte del

Comitato Esecutivo, in AFCCR, Busta n.2, Statuti (dall’anno 1920 al 1959). 7 g. Chini, Il Castello di Rovereto (ristampa anastatica dell’edizione del 1928), Longo Editore, Rovereto 1999, pp.76-77.

«Il Presidente espone l’iniziativa di don Rossaro di ottenere dalle madri e vedove dei Caduti una grande campana, da collocarsi in Castello perché tutte le sere suoni l’Avemaria per i nostri Caduti. All’uopo, data l’insuficiente resistenza dell’attuale torre, se ne dovrebbe costruire un’altra, nello stile del Castello, e capace di sostenere la pesante Campana»8 .

Il primo riferimento alla Campana in “Alba Trentina”, risalente al numero dell’aprile-maggio 1922, consiste in un appello nazionale per la raccolta dei fondi necessari ed evoca già un riferimento a un’umanità che sembra trascendere i conini nazionali nonostante il riferimento alla “nostra terra”. Inoltre troviamo un’importante considerazione riguardo alla necessità di un monumento “vivo”, un monumento capace di coinvolgere menti e cuori con la sua “parola”.

«Troppo presto ci dimenticammo dei profondi sacriici sofferti dall’umanità durante la guerra; troppo presto scordammo tante vittime e tanti eroi fatalmente caduti sotto la rafica di solfo e di piombo che imperversò per quattro anni; troppo presto dimenticammo di quanti tormentosi strazi, di quante orride agonie, di quante tragiche morti furono teatro le montagne che coronano la nostra terra. E appunto per questo pensammo a un monumento che non fosse la solita fredda allegoria in bronzo o in marmo, di cui oggi c’è soverchio abuso, ma un monumento che, voce viva, risuonasse e scuotesse i cuori nella solenne rievocazione di tanti eroi scomparsi e di tante vittime trapassate senza conforto di baci e di pianto, ed ecco la Campana dei Caduti, che tutte le sere, dopo il suono dell’ultima avemmaria della valle, mandi loro il mesto saluto»9 .

Le esplicite avvisaglie di “internazionalità” e di “concordia tra i popoli” arrivano invece su “Alba Trentina” dell’agosto-ottobre 1922.

«L’iniziativa è varata sotto ottimi auspici. Il Ministero della Guerra diede larga copia di bronzo. Altro bronzo daranno la Francia e la Ceco-Slovacchia, che sulle nostre montagne lasciarono tante gloriose vite». La Campana dei Caduti «sarà eco di pace al rombo di guerra, e che nella salutazione dei Caduti, canterà attraverso i secoli, sulla loro gloriosa ecatombe, l’inno della concordia dei popoli»10 .

Lo stesso Museo della Guerra aveva allestito una sala dedicata ai volontari cecoslovacchi che avevano combattuto con l’Intesa in Trentino, con i cimeli inviati da quel paese, già

8 AMSGR, Verbali delle sedute del Consiglio di Direzione, seduta del 20 maggio 1921. 9 A. rossaro, Una nuova iniziativa, La Campana dei Caduti,, in “Alba Trentina”, VI/4-5 (1922), pp. 149-150. 10 rossaro, La nostra iniziativa cit., pp. 202-203.

nel settembre 192111. La comune sottomissione all’invasore austriaco doveva condurre a un forte motivo di solidarietà tra le varie componenti “nazionali” dell’Impero appena dissolto. Con la riconduzione dei popoli sotto le proprie “naturali” insegne patriottiche si sarebbero dovuti aprire scenari di pace e di concordia. La capacità della Campana di suonare “oltre i conini” fu legata non solo alla comune esperienza sui campi di battaglia italiani con soldati di diverse nazionalità o alle alleanze militari ma anche alla necessità di ricordare i trentini morti lontano da casa, ad esempio sul fronte russo. I trentini che avevano combattuto per l’Austria furono, in molti casi, vittime di ostracismo della memoria da parte italiana. Nonostante ciò, le parole che don Rossaro riservò a quei soldati in molti articoli di “Alba Trentina”, dimostrano, se non ferma volontà di celebrazione, perlomeno una forte vicinanza e pietà per la loro sorte. Signiicativa fu poi l’adesione, di cui si è già parlato, della nuova Austria all’iniziativa con l’invio di un cannoncino che insieme a quelli di Cecoslovacchia e Francia (nonché quelli donati dallo Stato italiano), andranno a costituire parte del materiale della prima Campana, in una celebre e riuscitissima inversione simbolica: il mezzo di morte che si fa simbolo di pace. La pronta adesione delle nazioni sconitte (anche la Germania aderirà successivamente) testimonia il clima di collaborazione reciproca che venne a crearsi tra le varie rappresentanze europee sul tema della memoria. Da tempo sono ormai dimostrate le forti analogie nelle varie strategia del ricordo delle varie nazioni europee dopo la Grande Guerra: il lavoro di George Lachmann Mosse, Le Guerre Mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, ormai divenuto un classico, mette in luce proprio queste analogie (insieme ovviamente alle differenze) mentre ci racconta quello che chiama “il Mito della Esperienza della Guerra”. Questa strategia dunque, nonostante le dovute differenze, era assolutamente transnazionale. Il culto degli eroi e dei martiri per la Patria, opportunamente “democratizzato“ nella igura del Milite Ignoto, rispondeva alle esigenze di tutti i paesi europei coinvolti nella guerra. Stabilizzazione e paciicazione sociale erano prerequisiti fondamentali per il ritorno a una normalità sentita come necessaria dalle élite tramortite non tanto dalla guerra quanto dall’incertezza del primo dopoguerra, dalle tensioni sociali del biennio rosso, dalla minaccia bolscevica e socialista. Quella che nelle intenzioni delle classi dirigenti avrebbe dovuto essere una guerra fulminea si era rivelata un’interminabile e sanguinosa lotta di posizione che portò al limite le capacità di sopportazione delle popolazioni mobilitate.

11 Cfr. Lettera dell’addetto militare Vittorio Miller al Direttore Girolamo Cappello del 2 settembre 1921, in AMSGR,

Busta n.19, Sale internazionali (Sala Cecoslovacca 1921).

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