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2.6.1. Una prima metamorfosi. Dall’astrazione al realismo

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Bibliograia

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Questa astrazione della battaglia sembra insomma essere un addomesticamento di quella realtà della grande guerra, così lontana dagli stereotipi eroici e cavallereschi di cui era intrisa la borghesia interventista con la sua cultura scolastica. Lo scultore Zuech, ben lontano dall’evitare «ogni possibile contestualizzazione storica» e dal modellare «un corteo slegato da riferimenti temporali»59, rimanda a un immaginario arcaicizzante, intriso di classicità romana e suggestioni medievali, anche quando tratteggia elementi eminentemente contemporanei. A ben guardare i dolori della guerra non ci sono nemmeno laddove l’umano è rappresentato. Nella Campana i volti non tradiscono alcuna emozione, sono neutri e ripetitivi. Le uniche pose che manifestano una certa mestizia sono quelle delle partecipanti al corteo funebre, con i volti parimenti inespressivi ma rivolti verso il basso. Ad essere enfatizzato è invece il pathos del trionfo della nazione in armi, degna conclusione della guerra e precondizione della pace. A confermare questo quadro non si può evitare la citazione di un episodio60 della genesi del fregio: Zuech inizialmente aveva pensato a una rappresentazione della Pace da far seguire al corteo funebre: si trattava di un gruppo di buoi che trascinano un aratro, a simboleggiare un rassicurante ritorno alle tradizionali occupazioni contadine. Ebbene, Rossaro si oppose a questa soluzione suggerendo il trionfo di cavalli e trombe poi effettivamente realizzato. L’esercito vittorioso venne preferito alla rappresentazione di una quotidianità arcaica e contadina.

2.6.1. Una prima metamorfosi. Dall’astrazione al realismo

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La Campana venne fusa tre volte nel corso degli anni, nel 1924, nel 1939 e nel 1964. Furono momenti di possibile ricollocazione simbolica, momenti di discussione, momenti di messa in scena dei rituali. Alcune delle modiiche apportate per far fronte agli ingrandimenti del bronzo, con relativa estensione delle superici, sono particolarmente interessanti. Per la seconda Campana, Zuech realizzò nuove scene da inserire nel fregio. Delle quattordici igure aggiuntive, dieci furono poste in coda al corteo funebre, dopo il cannone. Ad aprire il corteo aggiuntivo si trovano tre invalidi di guerra, poi tre soldati prigionieri e inine il gruppo degli esuli civili: due anziani piangenti con le mani a coprirsi i volti, la madre e il iglioletto accompagnati da un asinello. Sullo sfondo il proilo di un borgo in iamme a rappresentare le distruzioni belliche.

59 BeltraMi, Stefano Zuech cit., p. 100. 60 Stefano Zuech (1877-1968). Il volto il mito il sacro, (catalogo mostra), a cura di E. Mich, C. Moser, R. Pancheri, Rovereto. Palazzo Alberti Poja. 2 luglio-18 settembre 2016, ed. Wasabi, Crocetta del Montello (Tv) 2016, p. 82.

S. Zuech, Bassorilievi per la seconda Campana dei Caduti. Gruppo dei profughi, mutilati e prigionieri, 1939.

La natura di queste aggiunte sembra rispecchiare le tendenze generali in ambito tedesco con il sopraggiungere della seconda guerra mondiale. Mosse ci riferisce della tendenza al disoccultamento della realtà della guerra nella Germania di Hitler.

«Dapprincipio, Joseph Goebbels tentò di trovare un compromesso tra gli orrori della guerra che potevano essere mostrati e quelli che erano troppo terribili perché fosse possibile farne partecipe il pubblico. Nel 1940 emanò direttive affermanti che la durezza, le grandi dimensioni e i sacriici della guerra dovevano essere mostrati, ma che occorreva evitare ogni descrizione esagerata, tale da ottenere il solo risultato di accrescere l’orrore della guerra. Ma Goebbels sosteneva anche che era stato un errore, durante la prima guerra mondiale, occultare alla gente le notizie sgradevoli, e che il fronte interno doveva essere trattato come se facesse parte della prima linea. Il compromesso tentato da Goebbels era piuttosto sbilanciato verso il realismo, che non verso il mascheramento della guerra»61 .

Nel caso della macchina propagandistica tedesca pesavano le condizioni oggettive del nuovo sforzo bellico, con un accentuato coinvolgimento delle popolazioni civili europee dovuto al venir meno della distinzione tra trincea e seconda linea e le conseguenti dificoltà di occultamento di una realtà della guerra che, per di più, non rappresentava una novità assoluta come venticinque anni prima. Anche la distanza temporale nel frattempo intervenuta con i fatti della prima guerra aveva probabilmente concorso alla possibilità di svelare, di rendere manifesti particolari realistici che la narrazione nazionalista aveva nel frattempo reso più “digeribili”.

61 Mosse, Le guerre mondiali cit., p. 224.

Ma, per il simbolo cristiano Campana, sicuramente giocò la predisposizione cristiana all’uso del dispositivo “martirio”, all’uso della sofferenza e del dolore quali elementi fondanti del racconto cristiano del mondo. Se la redenzione dell’umanità passava attraverso il martirio di Cristo, la redenzione nazionale sarebbe dovuta passare attraverso il sacriicio del suo popolo. In questa prospettiva, non solo si poteva rappresentare la sofferenza, ma occorreva rappresentarla, e con un certo pathos. Se Zuech si mantenne sempre fedele «a una ricostruzione garbata della sofferenza, a un pathos calibrato»62, invece la scrittura rossariana fa sfoggio, a tratti, di un pathos della carne e del sangue, di una certa corporeità, “pulp” e macabra. Si tratta di una modalità espressiva che dice per nascondere, che enuncia l’orrore per esorcizzarlo. Perchè occultamento e banalizzazione non sono esclusivamente questione di omissione ma anche di trasigurazione della realtà. L’orrore e la sofferenza possono così diventare accettabili nella parabola della pasqua cristiana. Ecco un estratto dalla introduzione del primo numero di Alba Trentina nel 1917.

«La nostra rivista che durerà quanto l’alba di questa nuova era, raccoglierà con un dolce senso di pietà, tutto ciò che di bello, di toccante, di forte, potrà dare questa grande ora, unica nella storia trentina. Saranno cose di ieri, cose di domani, ma che tutte porteranno le sanguinose stigmate di questa nuova settimana santa, sacri giorni di passione, in cui il Trentino ha il suo cuore tutto a brandelli sanguinolenti dispersi pel mondo»63 .

A distanza di 35 anni Rossaro è ancor più esplicito e prolisso. Ecco una lunga descrizione barocca del libro-testamento del 1952.

«Sogno tremendo quello di “Maria Dolens”…! Una sterminata pianura seminata di tibie, di femori, di costole, di teschi, di scheletri, quando una voce animatrice passa, con un sofio divino, su quell’ecatombe a ravvivare quelle ossa gelide e spolpate. Fu allora che tibie, femori, costole, teschi e scheletri si animarono, si alzarono, si rincorsero, si accoppiarono in strani accostamenti, in mostruosi abbracciamenti, formando pareti, archi, guglie, e terminando in una Cattedrale, formata di tibie, di femori, di costole, di teschi e di scheletri. La Cattedrale si eleva alta, macabra, spettrale, recando in fronte il motto: “Ignoto Militi”. Essa è il tempio eretto al soldato iglio di tutte le madri, iglio di tutte le stirpi, iglio di tutta la terra e risuona di rantoli angosciosi. I teschi guatano dalle occhiaie vuote con sguardi biechi, colle mandibole squarciate, con strani sogghigni e grondano di sangue, e il sangue scivola giù per le pareti, ino in fondo, inondando il sagrato e coprendolo come di un tappeto rosso»64 .

62 BeltraMi, Stefano Zuech cit., p. 63. 63 A. rossaro, Nell’alba, in “Alba Trentina”, I/1 (1917), p. 2. 64 rossaro, La Campana cit., p. 250.

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