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L’estremista di regime29

Carbonelli colloca il filosofo senese «nell’Albo idealistico degli importatori della Kultur teutonica e, precisamente, nella sezione dei prodotti razzistici»117. Nella sua lunga recensione del Razzismo, Carbonelli sintetizza così le ragioni dell’esemplarità negativa del libro:

Il volume si presenta interessante per tre ragioni: 1) perché dimostra come il monismo (sia idealista che materialista) costituisca l’errore logico fondamentale di tutte le aberrazioni e si risolva, in definitiva, in una posizione antagonistica rispetto alla universalità e alla romanità; 2) perché è una riprova del confusionismo e della inconsistenza delle posizioni neoidealistiche, le quali pretenderebbero sussumere in sé la Rivoluzione fascista; 3) perché costituisce un documento di quell’esotismo proprio di certa pseudo-intellettualità nostrana, la quale è sempre indaffarata in quel lavoro di importazione sotto etichetta tricolore di «novità» dei più vecchi errori e delle più distruttive teorie estranee al nostro spirito, al nostro temperamento, alla nostra missione storica118

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Portatore, per usare ancora le parole del «Frontespizio», di «germi patogeni di determinismo, di irrazionalismo, di materialismo, di odinismo luterano, di antiromanesimo, di apologia dell’incesto e del narcisismo», Il razzismo di Cogni, nel giugno 1937, viene posto all’Indice dalla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio: nel decreto di condanna, il vescovo Hudal, rettore del Collegio tedesco di Santa Maria dell’Anima, rileva che il libro «è pieno delle idee di Rosenberg» e rappresenta un «primo tentativo del razzismo germanico di entrare anche nelle file del Fascio»119. Le «cognonerie», come le definisce Mino Maccari riferendosi soprattutto alle scandalose affermazioni del Saggio sull’amore del 1933120, finiscono per incrinare la stessa fiducia di Mussolini, il quale, giudicando ridicole le tesi antropofagiche di Cogni, informa Pini di aver cambiato opinione sul suo riguardo121 .

Alla fine del giugno 1937, Cogni riscrive a Mussolini, proprio nel momento in cui sta per uscire I valori della stirpe italiana, opera in cui – afferma il filosofo – «si realizza compiutamente quello che Voi desideravate da me quando mi chiamaste»122. Esplicita è l’amarezza per l’«opposizione che, specie nella sua forma sorda, ha preso proporzioni molto gravi» ed è per questo motivo che Cogni chiede un incontro con il dittatore. L’udienza non viene tuttavia concessa e il filosofo è costretto a sfogare la sua frustrazione in un rapporto, nel quale rileva «che non è stato finora raggiunto nessun

30Capitolo primo risultato perché da un lato si teme il disfavore del Duce e dall’altro si paventa di urtare nella influenza politica della Chiesa»123 .

Scaricato da Mussolini, Cogni può comunque contare, anche di fronte al fuoco incrociato delle contestazioni, sulla protezione di Interlandi, il quale interviene in sua difesa, pubblicando – rispettivamente sul «Tevere» del 20 marzo 1937 e su «Quadrivio» del 21 marzo – la risposta del filosofo «ai detrattori»124. Il testo è preceduto da una nota del direttore in cui si annuncia un’imminente resa dei conti nei confronti del «meticciato» di cui hanno dato prova quegli «intellettuali senza intelletto», disposti a «vituperare» gli scritti di Cogni sul razzismo. La breve nota anticipa l’attacco interlandiano contro il «meticciato dissidente», pubblicato il 29 marzo 1937 sul «Tevere»125 e il 4 aprile su «Quadrivio»126. La storiografia si è particolarmente soffermata su questo editoriale di Interlandi, individuandovi «il primo esempio di razzismo specificamente antiebraico in Italia»127. In realtà, di un antisemitismo fondato su basi razzistico-biologiche il direttore del «Tevere» aveva già dato prova, come si è visto, fin dal 1934. Ciò che di nuovo emerge dall’offensiva contro il «meticciato dissidente» va piuttosto individuato altrove. Innanzitutto, nella concettualizzazione esplicita della categoria di «ebraizzazione»: poiché ogni opposizione al razzismo è sintomo della presenza di «ebrei», «mezzo ebrei» o «gente al servizio degli ebrei»128, il «sangue» finisce sostanzialmente per culturalizzarsi e, viceversa, la cultura – rappresentata, nel caso specifico, da un’espressione intellettuale come l’antirazzismo – si biologizza. In secondo luogo, un elemento politico originale risiede nell’annuncio di un’azione antisemita basata sul principio del numerus clausus, criterio che «Il Popolo d’Italia» aveva avanzato fin dal 1933129 .

Con il termine «meticciato intellettuale», Interlandi dichiara di voler identificare «il complesso, eterogeneo per la sua stessa origine, di quegli elementi intellettuali o sedicenti tali, che non sentono vincoli se non intellettualistici, cioè essenzialmente formali, con la nazione italiana, che non ammettono né ammetteranno mai, vincoli infrangibili»130. La questione – si precisa nell’editoriale –non è soltanto di cultura, ma essenzialmente di «sangue»: «si tratta di ebrei, di mezzi ebrei o di ebrei camuffati da cristiani […] o di quarti di ebrei; o di italiani sposati a ebree, di ebree che hanno un marito, e quindi un nome, italiano»131. Il «meticciato intellet-

L’estremista di tuale» si è dimostrato «dissidente» in quanto si è opposto alla politica razziale fascista temendo che essa un giorno avrebbe potuto assumere un carattere antiebraico. Una preoccupazione che Interlandi giudica legittima, considerandola frutto di una felice intuizione: il «sangue» dei «meticci» avrebbe in sostanza «fiutato» in anticipo il segreto obiettivo della campagna del «Tevere» e del razzismo mussoliniano, ormai in procinto di estendere la legislazione razziale dall’Africa all’Italia, affrontando il problema del preminente potere degli ebrei nella vita intellettuale dello Stato fascista. L’insurrezione antirazzista dei «meticci» è dunque scaturita, secondo Interlandi, dall’aver intelligentemente presagito che la campagna del «Tevere», lungi dall’essere campata in aria, nascondeva una precisa finalità e che la «politica razzistica» di Mussolini poteva spingersi fino a «obbligare l’Italia a guardarsi allo specchio e a riscontrarsi parecchi nei»132. In particolare, l’ambito che il «meticciato dissidente» intende proteggere e che invece il razzismo mussoliniano si propone di attaccare è rappresentato dallo sproporzionato potere degli ebrei nella società italiana. Citando i dati forniti dal Piccolo dizionario di contemporanei italiani di Angelo De Gubernatis del 1895 e da Gli ebrei alla luce della statistica di Livio Livi del 1920, Interlandi denuncia la preoccupante dimensione quantitativa del «problema ebraico»:

Queste cifre, lo abbiamo detto, sono dell’Italia di ieri; ma ci mancano i dati per poter dire che siano migliorate. In ogni modo, esse stanno a dimostrare che è falso e forse artatamente diffuso il giudizio sulla trascurabilità percentuale degli Ebrei nella popolazione italiana. La percentuale non bisogna stabilirla in cifre assolute, ma relativamente ai vari settori dell’attività nazionale: nel caso nostro, relativamente alle attività dette intellettualistiche133

Questi passaggi sono particolarmente importanti in quanto costituiscono un modello ideologico-politico di antisemitismo nettamente contrapposto a quello espresso dal professore e rettore cattolico di Perugia, Paolo Orano, nel libro Gli ebrei in Italia, edito dalla casa editrice Pinciana e uscito proprio alla fine del marzo

1937. Pressoché unico compito del libello era quello di «assegnare la qualifica di irriducibili nemici dell’Italia fascista totalitaria (da tempo attribuita agli ebrei sionisti) anche agli ebrei “ebraizzanti”, cioè a quegli ebrei che non si caratterizzavano unicamente per l’osservanza della ritualità religiosa ebraica, bensì conservavano un’identità ebraica e una qualche coscienza collettiva e quin-

32Capitolo primo di, tra l’altro, soccorrevano i profughi tedeschi, criticavano la Germania nazista, contestavano l’alleanza tra le due dittature»134. La distanza tra le posizioni di Interlandi e quelle di Orano è chiaramente espressa dalla nota che, il 7 aprile 1937, presenta, sulla terza pagina del «Tevere», un’anticipazione degli Ebrei in Italia: «il volume – si legge in queste righe – merita molta attenzione, anche se le sue conclusioni non siano tali da indicare una soluzione al grave problema, giacché non vi si rileva che una esortazione alla fallitissima esperienza dell’assimilazione»135. La linea di demarcazione appare nettissima: per Orano, il problema è ciò che gli ebrei pensano, per Interlandi, invece, ciò che sono; per il primo, la soluzione possibile è l’assimilazione; per il secondo, invece, la persecuzione fondata sul criterio quantitativo del numerus clausus.Nei mesi successivi, sarà la linea interlandiana a prevalere, registrando ancora una volta la progressiva maturazione del razzismo mussoliniano in senso razziale biologico136. Secondo una fonte diaristica, il dittatore avrebbe infatti affermato di dissentire sia da Orano sia dalla recensione positiva del libello apparsa sul suo «Il popolo d’Italia»137, aggiungendo che la questione doveva essere impostata «sul piano razziale» e non su quello «politico o religioso»138. Una linea che Mussolini ribadirà nell’articolo, non firmato, Davar, pubblicato sullo stesso quotidiano il 19 giugno 1937. Sul problema della purezza biologica si chiude, dunque, non a caso l’editoriale interlandiano del marzo 1937, in una sorta di accalorato monito ai giovani del guf: «Bisogna dunque cominciare con l’essere spietati verso se stessi e castigarsi nelle debolezze dello spirito per raggiungere quella purità di razza e quella incandescenza di sangue, che Mussolini raffigura e che ha alzato nuovamente nella storia il nome d’Italia, anche e soprattutto con dignità biologica»139 .

Gli esiti problematici della campagna razzista, incentrata sulle teorie di Giulio Cogni, segnano, tuttavia, un passaggio significativo nell’azione giornalistica interlandiana. Il 24 luglio 1938, ricostruendo il proprio impegno a favore del razzismo a partire dal 1936, il citato articolo Storia di una polemica chiarifica la lezione contenuta nel fallimento del misticismo biologico à la Cogni:

Questa polemica mostrò varie cose: primo che bisognava disancorare il razzismo da quella filosofia; secondo, che si poteva, al contrario, dimostrare la conciliabilità col pensiero cristiano; terzo, che era necessario esporre i suoi fondamenti scientifici, vista la poca conoscenza che i varii polemisti fino al- lora avevano mostrato. Tutto ciò spinse chi dirige «Il Tevere» e il «Quadrivio» ad impostare ancora più ampiamente la discussione140

Caduto in disgrazia Giulio Cogni, Interlandi, nel corso del 1937, reimposta la campagna di stampa razzista e antisemita in una duplice direzione. In primo luogo, a partire dall’aprile, la mistica paganeggiante di Cogni lascia il posto, tanto su «Quadrivio» che sul «Tevere», al cattolicesimo fascista e razzista di Gino Sottochiesa. Pubblicista e scrittore roveretano, Sottochiesa proveniva da trascorsi letterari poetico-patriottici che mescolavano un cattolicesimo dagli echi manzoniani e una breve militanza nel popolarismo con la cultura dannunziana e irredentista. Fondatore e direttore della collana e poi delle edizioni dei «Quaderni nazionali», vi aveva pubblicato, intorno alla metà degli anni Venti, una serie di attacchi al cattolicesimo democratico accusato di essere una forma ereticale, anticlericale e antipatriottica. Nell’autunno 1924, era poi stato la «punta di lancia» della campagna fascista contro l’«austriaco» De Gasperi141. Tipico personaggio di confine, irredentista, fascista e cattolico sui generis, Sottochiesa diverrà portavoce, sulle riviste interlandiane, di una radicale proposta di sintesi fra razzismo e cattolicesimo, mossa, tuttavia, non da istanze neopagane, come era accaduto con Cogni, ma dal cuore stesso di un discorso cattolico ai limiti dell’ortodossia142 .

Se il paganesimo di Cogni lascia, dunque, il posto al cattolicesimo razzista di Sottochiesa, allo stesso modo, nel 1937, l’idealismo biologizzante del filosofo senese viene progressivamente sostituito dal modello biologico-eugenetico nazionalsocialista, proposto nella rubrica Il razzismo è all’ordine del giorno 143, curata dal giornalista altoatesino Helmut Gasteiner (che opterà per la cittadinanza tedesca)144 e dall’architetto palermitano Giuseppe Pensabene, e pubblicata a puntate su «Quadrivio», dal 17 gennaio al 24 ottobre. Razza, affermano i due pubblicisti, è «l’insieme degli individui colle medesime caratteristiche fisiche e psichiche trasmissibili ereditariamente»145. Su talibasi rigorosamente biologiche, gli articoli di Gasteiner e Pensabene puntano il dito contro l’eugenica «positiva» condotta dal regime fascista fin dalla metà degli anni Venti. Le provvidenze sociali, l’igiene, le case, le buone condizioni economiche sono certamente «fattori di prim’ordine nella vita d’una nazione», ma «non sono tutto», in quanto riguardano

34Capitolo primo soltanto la generazione presente e «non hanno alcuna influenza sulla razza»146. Nemmeno la «profilassi medica» può servire a difendere la razza, come il caso dell’alcolismo – una delle cosiddette «malattie sociali» più combattute dall’eugenica fascista – sembra dimostrare:

Se i discendenti degli alcoolizzati sono quasi sempre degli anormali, ciò non è dovuto all’influenza di un fattore fisico sul plasma, cioè su qualcosa che, essendo permanente ed eterno, sfugge al mondo fisico; ma è, al contrario, la qualità originaria di questo, a predisporre all’alcoolismo un individuo e tutti i suoi discendenti. Nel qual caso nessun rimedio è possibile: niente può influire sul plasma147

Scartate le soluzioni «positive» dell’eugenica, il primo rimedio dinanzi al pericolo della degenerazione biologica è rappresentato ovviamente dalla proibizione degli «incroci sfavorevoli». Citando un elenco di autorità scientifiche che va dagli statunitensi Madison Grant e Stoddard ai tedeschi Grotjahn e Fischer, Gasteiner e Pensabene demonizzano il meticciato e i «bastardi», frutto non solo della contaminazione fra razze diverse, ma dei «peggiori elementi di entrambe». Nella lotta contro le «mescolanze» – affermano i due giornalisti – il razzismo è chiamato soltanto ad assecondare la natura, i cui meccanismi selettivi sarebbero in realtà già programmati per garantire l’estinzione dei «prodotti degli incroci»148 .

E se la difesa della razza si fonda su di un solo fattore – il «giusto accoppiamento» – l’unico mezzo per conseguire un efficace miglioramento biologico risiede nel controllo ferreo del matrimonio. La «selezione delle stirpi» impone un «diretto intervento dello Stato», al fine di raggiungere «un notevole incremento numerico di elementi superiori alla media della popolazione»149. La riproduzione non può essere infatti lasciata alla mercé del «materialismo», dell’«egoismo personale», dell’«attrattiva brutalmente sessuale» o di «ogni adescamento di ricchezza o possibilità di facilitata ascesa sociale». Al contrario, deve essere gestita managerialmente dall’autorità statale, in quanto «unico ed assoluto fattore per la rigenerazione fisica e psichica dei popoli»150 .

Accanto al controllo statale del matrimonio, la «seconda azione» eugenetica proposta da Gasteiner e Pensabene concerne il rischio della «degenerazione interna» della razza, prodotta dalla «terribile e fatale riproduzione di elementi inferiori o persone affette da malattie ereditarie che sono origine della decadenza mo- rale e fisica odierna nonché del grande aumento della delinquenza e criminalità»151. Di fronte alla minaccia dei «tarati», i quali «tendono a moltiplicarsi con rapidità maggiore che gli individui sani»152, lo Stato ha ancora una volta il dovere di intervenire, distinguendo «tra il diritto di vivere e quello di dare nuova vita»153

Nel momento in cui invocano la sterilizzazione dei «tarati», Gasteiner e Pensabene sono ben consapevoli di contrapporsi a una ben diversa tradizione eugenetica nazionale:

La numerosa ed imbelle tribù dei nostri intellettuali griderà sicuramente di orrore: ma non è lecito questo genere di proteste, fondate su motivi così detti «umani», in un’epoca che, mentre da una parte offre ad ogni degenerato la possibilità di propagarsi, imponendo ai discendenti di costui e ai loro contemporanei innumerevoli patimenti, dall’altra ha lasciato fino a ieri che si vendessero intrugli per impedire le nascite, anche da genitori sani. Agli occhi di costoro è dunque un delitto togliere la capacità di generazione agli individui affetti da tare ereditarie, mentre la astensione praticata giornalmente da milioni di persone normali non è parsa mai condannabile154

Lo Stato «deve mettere la razza al centro della vita generale»: soltanto chi è sano può generare figli, mentre chi è «malato o difettoso» deve astenersi, e in questa astensione consiste il sacrificio per la patria, il «supremo onore»155. Alla considerazione razzistica, legata al tema della purezza razziale, si accompagna, negli articoli di Gasteiner e Pensabene, una valutazione costi-benefici che, facendo proprie alcune argomentazioni dell’eugenica socialdemocratica, insiste sul risparmio derivante dallo smantellamento dell’«apparato di manicomii, istituti di correzione, penitenziari, ricoveri»: «con quanta più tranquillità, – scrivono i giornalisti di “Quadrivio”, – si potrebbe guardare al futuro delle nazioni se le ingenti somme che vengono spese a tale oggetto fossero devolute, invece, a sostenere stirpi superiori alla media!»156 .

L’eugenica nazionalsocialista è chiaramente il punto di riferimento della rubrica di «Quadrivio». Lo dimostrano innanzitutto le illustrazioni che accompagnano gli articoli di Gasteiner e Pensabene, tratte dalla propaganda eugenetica nazista157. Ma lo rivela anche il riferimento esplicito alla sterilizzazione forzata: «La più gran parte delle malattie ereditarie sono malattie mentali, dove ogni forma di persuasione e d’incitamento sarebbe un assurdo; quindi in questi casi lo Stato interverrà direttamente perché ogni ulteriore procreazione di esseri inferiori sia interrotta»158. Quando citano «al- cuni Stati» che «coraggiosamente e senza falsi pudori si sono spinti già molto avanti» nella strada dell’eliminazione della «nociva ed indesiderata prole», Gasteiner e Pensabene descrivono di fatto il meccanismo operativo funzionante nella Germania hitleriana, proponendone l’adozione anche per l’Italia fascista:

I buoni risultati ottenuti possono servire di guida. La loro esperienza dimostra che la via migliore sarebbe di istituire speciali Commissioni di Sanità coll’incarico di raccogliere, per ogni individuo sospetto, gli elementi necessarii a stabilire la ereditarietà della sua malattia. Questi dovrebbero essere forniti da tutti i medici, siano essi militari, condotti, o liberi professionisti. Tra gli ammalati presi in tal modo in esame verrebbero facilmente individuati gli affetti da malattie ereditarie: intorno ai quali la Commissione (che dovrebbe essere composta, oltre che da due medici specialisti, anche da un magistrato) giudicherebbe dell’opportunità o meno del provvedimento159 .

L’elenco delle malattie ereditarie oggetto del procedimento di sterilizzazione è inoltre direttamente tratto dalla legge tedesca del 14 luglio 1933: «debolezza mentale innata; schizofrenia; mania depressiva; epilessia ereditaria; ballo di San Vito; cecità ereditaria; sordità ereditaria; grave alcoolismo», a cui si aggiunge la castrazione di «tutti i delinquenti colpevoli di gravi reati sessuali»160 .

A partire da tale impostazione fortemente ereditarista, la rubrica di Gasteiner e Pensabene culmina, quindi, nell’enunciazione di alcune «direttive per una politica razziale», impostate in chiave rigidamente biologica: «radicale separazione di sangue», per quanto riguarda la «questione ebraica»; proibizione di qualunque incrocio tra il «complesso razzistico italiano» e «qualunque sangue non bianco»161; eugenica «negativa», basata sul controllo statale del matrimonio e sulla sterilizzazione dei «tarati» e dei portatori di patologie ereditarie. Nel 1938, soltanto quest’ultima proposta (l’introduzione di misure eugenetiche «negative», come la sterilizzazione e il certificato medico prematrimoniale obbligatorio), per quanto più volte sostenuta da Interlandi e dal «Tevere»162, non troverà un concreto sbocco operativo.

Tra gli ultimi mesi del 1937 e le prime settimane del 1938 viene dato il via a una nuova fase della persecuzione dei diritti, quella delle «necessarie (e di per sé già persecutorie) operazioni preliminari al varo della nuova normativa razzista: identificazione e censimento degli ebrei, varo di prime misure di arianizzazione settoriale, intervento ufficiale dei massimi organi del governo e del partito, elaborazione della definizione giuridica di ebreo e dell’impostazione della normativa persecutoria definitiva»163 .

Anche in questa fase Telesio Interlandi gioca un ruolo di primo piano. Il 17 febbraio, «Il Tevere» è infatti tra i pochissimi giornali autorizzati a commentare l’Informazione diplomatica n. 14164 , prima dichiarazione ufficiale del regime sulla «questione antiebraica», redatta da Mussolini. La nota iniziava con l’affermazione che «l’impressione che il Governo fascista sia in procinto di inaugurare una politica antisemita […] è completamente errata», proseguiva negando l’approssimarsi di «misure politiche, economiche, morali contrarie agli ebrei in quanto tali» e terminava annunciando formalmente: «Il Governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull’attività degli ebrei venuti di recente nel nostro Paese e di far sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e all’importanza numerica della loro comunità». La dichiarazione enunciava inoltre la contrarietà governativa a pressioni «per strappare abiure religiose o assimilazioni artificiose». Nel suo editoriale, Interlandi accoglie l’Informazione diplomatica n. 14 come la legittimazione politica dell’importanza e validità delle campagne giornalistiche che l’hanno preceduta, assumendosi l’onere e il merito di aver posto «davanti all’opinione pubblica i crudi termini d’un problema che la maggior parte degli italiani ignorava e che buona parte dei fascisti trascurava»165. Il direttore del «Tevere» elenca quindi i punti salienti della nota mussoliniana. Due sono, nello specifico, le tematiche su cui si sofferma il commento del giornalista. In primo luogo, il problema della «proporzione tra ebrei e italiani» e dell’«inamissibilità delle sproporzioni»: il rapporto tra maggioranza e minoranza è stato «scandalosamente violato» e, a questo proposito, Interlandi ricorda significativamente il proprio intervento del marzo 1937 e il volume di Livio Livi già citato nella polemica di allora. In secondo luogo, il carattere «straniero» e inassimilabile dell’ebraismo italiano. La proposta mussoliniana di costituire, non in Palestina, uno Stato ebraico vuol dire, nell’ottica di Interlandi, che «l’ebreo è da considerare straniero in attesa di sistemazione nazionale definitiva e soddisfacente, per lui e per chi lo ospita». L’assimilazione o l’abiura non rappresentano ovviamente una soluzione: l’«alibi religioso» è, infatti, strumentalmente ricercato dagli ebrei «per suscitare pietà, solidarietà e scandalo»,

38Capitolo primo mentre l’assimilazione è da respingere nettamente, in quanto «non è voluta dagli ebrei, non è desiderata dal Governo fascista». Al contrario, i provvedimenti previsti contro gli ebrei «venuti di recente nel nostro paese» devono essere di fatto generalizzati, poiché, in Italia, «tutti gli ebrei sono venuti di recente» e, in quanto tali, sono di fatto estranei al corpo nazionale. Il giornalista cita provocatoriamente l’esempio di Giuseppe Toeplitz, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, costretto alle dimissioni su ordine di Mussolini l’8 marzo 1933:

Si pensi al banchiere Toeplitz, fino a prima del Fascismo arbitro della vita economica dell’Italia; i necrologi or ora pubblicati hanno appreso agli italiani ch’egli era cittadino italiano soltanto dal 1895; il suo diritto a dirsi nostro pari e ad agire in conseguenza non aveva cinquanta anni; un po’ troppo «recente» per l’attività che riusciva a svolgere166

Nel gennaio-febbraio 1938, è di nuovo Interlandi a favorire il contatto tra Mussolini e Guido Landra, un antropologo ventiquattrenne che aveva già collaborato con «Il Tevere» nel 1931, scrivendo alcuni reportage dalle città di Vienna, Monaco e Norimberga167. Documenti recenti hanno rivelato come Interlandi si sia fatto portatore, anche in questo caso, dei diretti orientamenti di Mussolini, volti a impostare la campagna razzista in termini strettamente scientifico-biologici168 .

Il 2 febbraio 1938, Mussolini, approvati alcuni «appunti» di Landra «contenenti dei consigli tecnici per il razzismo», incarica l’antropologo – attraverso la mediazione del ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri – di costituire «un comitato scientifico per lo studio e l’organizzazione della campagna razziale»169. Una prima lista di collaboratori viene spedita ad Alfieri due giorni dopo (il 4) e approvata da Mussolini l’11 febbraio. Il 24 giugno, il dittatore riceve personalmente il giovane antropologo, per impartirgli direttive precise sul «problema razziale», ordinandogli anche di creare «uno speciale Ufficio studi» con l’obiettivo di «stabilire entro cinque o sei mesi i punti fondamentali per iniziare la campagna razziale in Italia»170. Nel colloquio con Landra – scrive Bottai nel suo diario, il 16 luglio – Mussolini si sarebbe dichiarato «un nordico», più affine agli inglesi e ai tedeschi che ai francesi:

Avrebbe detto: «Del resto mia figlia à sposato un toscano, mio figlio una lombarda!», per affermare il costante istinto della sua famiglia alle genti più pure, dal punto di vista razza, d’Italia. Gli stessi concetti di «latinità» e di

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«mediterraneità» sarebbero respinti per l’ «arianità». La «romanità», con riserve, si salva171

Lo stesso 24 giugno, Alfieri incarica Landra di «fissare per iscritto i punti essenziali» del pensiero mussoliniano «in materia razziale», riunendo in «una specie di decalogo» le direttive impartitegli172. Il giorno dopo, Landra contatta l’antropologo Lidio Cipriani: «In via ultrariservata, – scrive, – Vi comunico, per incarico di S.E. Dino Alfieri, che è stato fatto il Vostro nome tra il piccolo gruppo di persone che dovranno occuparsi di questioni pertinenti alla Razza. In attesa di una comunicazione ufficiale, che probabilmente avrete verso la fine della prossima settimana, Vi raccomando la più assoluta discrezione»173 .

Il 28 giugno174, Landra presenta a Mussolini il testo del Manifesto, frutto della sintesi fra le idee mussoliniane e la bozza da lui elaborata in aprile175. Interessanti sono le differenze fra i due testi: la nuova versione, scritta dopo l’incontro con Mussolini, non prevede, al contrario della precedente, una posizione di primo piano degli antropologi nella conduzione della campagna razziale; sostituisce il riferimento al carattere «mediterraneo» degli italiani con l’affermazione della loro «arianità»; rafforza l’idea dell’origine biologica del razzismo fascista; insiste sulla necessità di evitare contaminazione fra italiani e ebrei o «altre» popolazioni non europee176. Il comitato estensore – composto in quel momento, oltre che da Landra, da Lidio Cipriani, incaricato di antropologia all’Università di Firenze e direttore del Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze; Leone Franzì, assistente nella clinica pediatrica dell’Università di Milano; Lino Businco, assistente di patologia generale all’Università di Roma e Marcello Ricci, assistente di antropologia presso la medesima università – si riunisce per discutere la bozza il 2, il 3 e il 5 luglio 1938177 . Il confronto tra la seconda versione178 e il testo definitivo rivela modifiche di non poco conto. La premessa del documento cambia: da «direttive» per l’«azione di studio e di propaganda» del ministero della Cultura Popolare diviene «posizione del Fascismo», accentuandone il carattere di ufficialità politica. Rilevante è anche la modifica del punto 8, dal quale viene eliminato qualsiasi riferimento a eventuali gerarchizzazioni interne alla «razza italiana»179 .

40Capitolo primo

Così modificato, quello che diverrà noto come il Manifesto della razza viene pubblicato il 14 luglio 1938, in forma anonima, sulla prima pagina del «Giornale d’Italia» (datato però 15 luglio), con il titolo Il fascismo e i problemi della razza. Il 15 luglio, Cipriani scrive a Landra: «Ho veduto i giornali e trovo che non c’è male, così com’è stato modificato. L’essenziale è il concetto informatore e quello è indubbiamente ottimo; quindi dovremo batterci e batterci fin da [sic] ultimo»180. Bottai, nel suo diario, registra lo stupore del partito: «Ò avuta l’impressione precisa, che il Partito fosse “sorpreso”; anzi, “seccato” d’essere sorpreso»181 .

Nel suo editoriale sul «Tevere», intitolato – citando il punto 7 – Era tempo, Interlandi accoglie il Manifesto come il pronunciamento di una «giovane scuola italiana, scientificamente solida, spregiudicata nei confronti dei vecchi luoghi comuni, sensibile alle necessità politiche», pronta a schierarsi contro le correnti «anacronistiche» ancora presenti nell’università italiana e impegnate a difendere, «in base a teorie scientificamente claudicanti », l’ibridismo e il «dogma laico dell’uguaglianza degli uomini»182. Il «pigro silenzio» della scienza – afferma Interlandi – è finalmente stato interrotto e il concetto di razza è stato affermato in termini biologici, sottraendolo così «agli agguati filosofici o religiosi». Un punto, quest’ultimo, che Interlandi ribadisce anche in relazione alla «questione ebraica»: «Popolazione costituita da elementi razziali non europei, la ebraica è estranea all’Italia, e la sua intrusione nel vivo della pura razza italiana è inammissibile e insopportabile. Ecco impostato biologicamente, oltre che politicamente, il problema ebraico»183. Sulla rilevanza del dato biologico, Interlandi insisterà anche nei giorni successivi, scagliandosi soprattutto contro i giornali cattolici che tentano ancora di contrapporre l’eugenica «latina» di Gini al razzismo biologico184 o prendendo di mira quanti intendono annacquare la «bella chiarezza scientifica del manifesto» nella «nebbiolina retorica» della «stirpe»185

Nel frattempo, in stretta relazione con la pubblicazione del Manifesto, il ministero della Cultura Popolare progetta «una azione di ben studiata propaganda», definita nel dettaglio, il 19 luglio, da un documento – redatto probabilmente sulla base di appunti stesi da Lidio Cipriani186 – che merita di essere citato integralmente, poiché al suo interno si prospettano i contorni dell’attività del futuro Ufficio Razza187, che sorgerà il 16 agosto, e si auspica la pub-

La pubblicazione del manifesto sulla Razza impone a questo Ministero l’inizio immediato di una azione di ben studiata propaganda, che avrà anche lo scopo di facilitare la buona accoglienza e la buona riuscita di quelle eventuali disposizioni legislative che il Governo credesse opportuno di prendere.

Prima ancora della pubblicazione del manifesto era già stato concretato presso questo Ministero il seguente programma immediato:

Promuovere il numero di adesioni all’iniziativa del Ministero della Cultura Popolare nell’ambiente dell’alta cultura italiana, sia con l’invito personale a professori ordinari simpatizzanti, famosi e molto influenti nell’ambiente universitario, sia richiamando con adatta circolare l’attenzione di diverse società scientifiche.

Fondare presso questo Ministero una biblioteca specializzata per i problemi della razza. Simile biblioteca, assolutamente nuova per l’Italia, sarà un’arma potente per la propaganda. Si fa notare che è già pronto l’elenco dei libri da acquistare come primo nucleo della futura biblioteca.

Fondare sempre presso questo Ministero una fototeca di tipi razziali dell’Italia e dell’Africa Italiana. Questa raccolta dovrà comprendere almeno 20000 fotografie per l’Italia e altrettante per l’Africa Italiana. Questo documentario prezioso e originalissimo per la propaganda, sarà ordinato con criterio geografico, per cui ogni remoto angolo della nostra Patria e del nostro Impero, avrà il suo tipo razziale rappresentato. Sono già state studiate le modalità pratiche per iniziare immediatamente questa raccolta.

Iniziare la pubblicazione di una serie di articoli piani e divulgativi. Una parte di questi articoli servirà a illustrare e ampliare i dieci punti, formando così le basi di quella che sarà la nuova dottrina fascista della razza; un’altra parte illustrerà lati particolari o collaterali del problema.

Si fa notare a questo riguardo che è già stata stabilita fra gli studiosi fascisti una divisione del lavoro e che numerosi articoli sono già pronti per la stampa.

Appoggiare la propaganda scritta con una adatta serie di conferenze divulgative, fatte in ambienti diversi. Saranno gli stessi argomenti trattati per scritto ma esposti a viva voce, per facilitare ogni chiarificazione.

Arrivare con il potente ausilio della propaganda cinematografica dove non arriva l’articolo o la conferenza; si potrà agire istruendo e divertendo sulle grandi masse del popolo, che vedranno esaltata la propria razza e impareranno a conoscere le altre razze. Il lato pratico della propaganda cinematografica è attualmente allo studio.

Creare un organo speciale per la propaganda razzista con la fondazione di una rivista a carattere divulgativo, posta sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare. Questa rivista è assolutamente necessaria, perché i periodici scientifici che si pubblicano in Italia hanno un carattere assolutamente accademico e tecnico.

Inviare gli studiosi fascisti a prendere contatto con gli uffici e gli istituti che in diversi stati di Europa si occupano dal punto di vista il più diverso dei problemi della razza. Questi contatti sono assolutamente necessari per evitare di fare in Italia una esperienza già fatta da altri. È già stato stabilito per ogni studioso il viaggio da compiere; mentre per alcuni si tratterà di una rapida presa di contatti per altri potrà essere un soggiorno un po’ più lungo per studiare a fondo la questione188 .

Sempre nei giorni successivi al 14 luglio, matura, forse in seguito alla reazione sfavorevole di alcuni settori degli ambienti vaticani e in particolare del pontefice Pio XI189, la decisione mussoliniana di coinvolgere nella firma e nell’adesione al Manifesto personalità accademicamente più autorevoli, individuate nelle persone di Nicola Pende, direttore dell’Istituto di patologia speciale medica dell’Università di Roma; Sabato Visco, direttore dell’Istituto di fisiologia generale della stessa università e direttore dell’Istituto nazionale di biologia del cnr; Arturo Donaggio, direttore della Clinica neuropsichiatrica dell’Università di Bologna e presidente della Società italiana di psichiatria; Edoardo Zavattari, direttore dell’Istituto di zoologia dell’Università di Roma. Questi nomi vengono comunicati al comitato iniziale in una riunione con Alfieri del 20 luglio. Cinque giorni dopo, nel pomeriggio, i dieci studiosi si incontrano e subito si evidenziano i contrasti tra il «gruppo» legato a Landra («noi quattro», secondo l’espressione usata, il 18 luglio, da Cipriani), da un lato, e, dall’altro, le posizioni teoriche di Nicola Pende e Sabato Visco, i quali – secondo quanto riporterà Alfieri a Mussolini – criticano l’idea di una «razza italiana» pura, contestano l’uso del termine «ariano» e disapprovano l’impostazione «nordica» del documento190. A giudicare dai ricordi personali di Marcello Ricci, i toni devono essere particolarmente accesi:

Ho il preciso ricordo di Pende e Visco in piedi, vocianti; e in particolare Visco che gridava «Non possiamo avallare le coglionerie scritte da giovani che noi stessi abbiamo avuto il torto di laureare uno o due anni fa». A questo punto Alfieri si è alzato e se ne è andato. Poco dopo qualcuno è venuto a chiamare Pende e Visco; una non lunga assenza e sono rientrati, non di buon umore, e la seduta è ripresa; – secondo quanto mi ha poi raccontato Landra il ministro li aveva informati che l’autore delle «coglionerie» era … il Duce! Relata refero 191 .

Nella sua testimonianza, Ricci riferisce anche di un intervento diretto di Interlandi, nel corso di una seduta del comitato allargato, avvenuta tra il 2 e il 25 luglio192:

Non rammento la data della seconda seduta. Nel corso di essa si ebbe un’interruzione per l’arrivo di Telesio Interlandi direttore de «Il Tevere». Egli prese posto in fondo al tavolo, vicino a me, e ci informò che il Duce gli aveva dato l’incarico della direzione di una rivista che si sarebbe chiamata «La Difesa della razza». Per il primo fascicolo desiderava – ma il tono era quello di un ordine superiore – che ci fosse un articolo di ciascuno di noi; libero l’argomento, in ordine alle nostre specializzazioni, purché, naturalmente, in tema di razza193 .

Nonostante le tensioni, l’elenco dei firmatari viene ufficializzato il 25 luglio da un comunicato stampa del pnf194. Subito dopo però iniziano gli incontri per la modifica del testo del Manifesto, testimoniati da Bottai nel suo diario: «O’ chiamato Pende, per sapere come si mettono queste faccende della razza. Si cerca di rimettere in sesto le idee; soprattutto di combinare l’idea “razza” con l’idea “Roma”. In una riunione, Alfieri interrompe Pende, Visco, Savorgnan, che parlano tra di loro in termini di biologia e di antropologia. “Per carità, mi sembra di essere tornato al Ministero delle Corporazioni, quando tiravano fuori parole e parole, che non riuscivo a capire”»195. Queste accese conversazioni portano all’elaborazione di un documento, di cui viene richiesta la pubblicazione in un telegramma di Pende del 1º agosto, indirizzato a Sebastiani, segretario particolare di Mussolini: «Mille cordiali grazie. Pregovi sostenere necessità diramazione stampa nuova dichiarazione commissione razza sottoposta Capo. Grazie. Pende»196. La risposta di Alfieri segna, tuttavia, la momentanea vittoria della linea Landra-Interlandi, appoggiata indubbiamente in questa fase da Mussolini: «Per superiore incarico Vi comunico che non si ritiene opportuna per ora pubblicazione nota dichiarazione»197 .

Al momento dell’uscita del suo primo numero, il 6 agosto, «La Difesa della razza» risulta, dunque, implicitamente percorsa da due linee di frattura. La prima è ovviamente quella con Nicola Pende e Sabato Visco, gli unici scienziati coinvolti nelle vicende del Manifesto di cui non compaia traccia nella rivista. Il 7 agosto, al contrario, Pende pubblica sul «Corriere della Sera» un ampio articolo-intervista, in cui esalta, in vista della «battaglia della razza», i «mezzi preventivi e curativi dell’ortogenesi», auspica il pronto amalgamarsi di «corpi e anime delle varie genti regionali della Nazione» e condanna «le mescolanze del nostro sangue con quel-

44Capitolo primo lo degli indigeni», insistendo però soprattutto sul «pericolo che si elevi numero e qualità degli indigeni con metodi di eccessivo idealismo e di eccessiva sentimentalità»198. L’indignazione di Lidio Cipriani è immediata:

Ho letto con raccapriccio l’articolo di oggi di Pende nel «Corriere della Sera». Almeno per quel che riguarda la politica coloniale è deleterio. Pende crede di risolvere i problemi scientifici dicendo agli oppositori, come disse a te con tracotanza di puro stampo barese, «tacete perché io sono il senatore Pende». In fatto di Etiopia, non basta essere stato in Egitto per risolvere tutto. Altro è l’Egitto, ove l’elemento dominatore è leucoderma; altro è l’Etiopia, ove di leucodermi non ce ne son più. Parlare in quel modo è indizio di crassa ignoranza e presunzione. [...] Mussolini capisce o capirà certamente certe cose: occorre quindi che Pende sia posto a tacere almeno in fatto di politica coloniale di cui mostra di non capire un accidente e affinché non insinui nella mente degli Italiani concetti come quelli sostenuti nel «Corriere della Sera» di oggi: ripeto deleteri 199

Il 22 agosto 1938, Sabato Visco riceve dal ministro della Cultura Popolare Alfieri la diffida a pubblicare articoli su argomenti razziali senza averli prima sottoposti alla sua approvazione:

L’interesse sempre crescente con il quale è seguita dall’opinione pubblica italiana ed estera l’attuale campagna razzista fa sì che sempre maggiore attenzione sia rivolta a gli articoli che trattano tali argomenti.

Per logica conseguenza, particolare importanza viene attribuita giustamente a gli scritti dei componenti il Comitato. Ad evitare che divergenze, sia pure soltanto apparenti, possano essere motivo di critiche non benevoli [sic] da parte di elementi interessati, è opportuno che qualsiasi vostro scritto sull’argomento razza sia sottoposto al mio personale esame prima di essere dato alla stampa200

La seconda linea di frattura, meno drammatica ma egualmente significativa, riguarda la figura di Giulio Cogni. All’indomani della pubblicazione del Manifesto,il 18 luglio 1938, Cogni ha inviato un telegramma ad Alfieri per chiedere udienza: «Via rimpatrio dopo viaggio polare leggo plaudo iniziativa pro razza prego comunicarmi udienza scopo riferire altre iniziative collettive Cogni consolato Danzica»201. Il 31 luglio, «Quadrivio» pubblica una lettera del filosofo senese, in cui all’emozionata esaltazione del Manifesto si accompagna il risentimento per essere stati esclusi dall’iniziativa, dopo aver «per primi e assolutamente soli» riconosciuto «i destini più alti di nostra gente»202. Chiaramente sostenuto da Interlandi, Cogni invia, il giorno dopo, ad Alfieri una copia del suo I valori della stirpe italiana, libro – si afferma nella lettera – che «predicò solo tutti i principi che oggi sono divenuti ufficiali in tema di razza»203. Il filosofo chiede quindi che il suo attivismo razzista trovi finalmente uno sbocco «nel campo della cultura superiore»:

Poiché mi sembra ovvio che nessuna umiltà umana potrebbe a questo punto esimersi dall’esprimere desiderio di ottenere così una situazione morale influente e adeguata e un legittimo riconoscimento dell’opera, riconosciuta in Germania nel campo scientifico, ma così combattuta in Italia e divenuta oggi interamente ortodossa204 .

Dopo aver chiesto giustizia allo stesso Mussolini, con una lettera del 7 agosto205, Cogni consegna un articolo per il primo numero della «Difesa della razza», ma il pezzo non viene pubblicato. Il filosofo si infuria allora con Landra, il 9 agosto:

Mi è molto dispiaciuto che sia stato tolto l’articolo mio dal primo numero. Quando si parlò insieme a Roma, ti dissi che la parte dello stupido non volevo farla. Ora mi avvedo che – dopo tutto quel che c’è dietro di me – finisco proprio per far davanti al mondo quella parte. Tutti mi domandano che cosa ne è avvenuto del mio razzismo. È una cosa che non posso più sopportare. In coda non vado, quando mi spetta di essere più in su. Per mio conto – poiché mi vedo completamente soppiantato e dimenticato, ho levato protesta a chi di ragione: e spero di vederne effetto.

Presto tornerò a Roma – al ritorno di Interlandi – e parleremo ancora di molte cose206

Il 22 agosto, i dissidi sembrano superati: «Vidi Interlandi e vidi il Ministro, – scrive ancora Cogni a Landra, – ma la cosa è assai migliore di quel che sembrava. Sembra che il Capo abbia avuto parole di completo elogio per me, e che l’occultazione debba essere soltanto temporanea. Il colloquio col Ministro mi dette molta soddisfazione»207. In realtà, una nota del gabinetto del ministero della Cultura Popolare riguardante le quattro proposte avanzate per l’occasione da Cogni sul proprio ruolo in campo razzista – cicli di conferenze, una cattedra di «Storia del razzismo», una collezione di opere razziste curata dalla casa editrice Sansoni, la collaborazione a quotidiani – sembra ridimensionare notevolmente l’ottimismo del filosofo: «Si fa comunque presente, – si legge nel documento, – che una qualsiasi partecipazione del Cogni al movimento razzista dovrebbe essere subordinata a un impegno da parte sua di mantenersi nelle direttive tracciate nel Manifesto,

46Capitolo primo senza nessuno sconfinamento verso problemi di carattere mistico o religioso»208 .

Pur avendo ottenuto dall’Ufficio Razza l’incarico «di eseguire fotografie di tipi razziali»209, Cogni non risulta tra i collaboratori della «Difesa della razza» fino al febbraio 1939, quando richiede, in una lettera ad Alfieri, quello che definisce un «chiarimento morale»:

Per un seguito di comportamenti assai dimostrativi – afferma Cogni –la redazione della Difesa della razza ha creduto di mettere un antico e primo pioniere nella situazione di colui che è praticamente escluso. Ciò risponde anche a un indirizzo che, nel suo dilettantismo universalmente notato, è oltre tutto ben lungi dall’essere il mio. Il Duce, come voi sapete, espresse all’amico Interlandi la volontà che io collaborassi. Desidero che Voi sappiate – e Vi sarò gratissimo se troverete il modo affinché Egli sappia – che la mia volontà di collaborazione e la fedeltà alla vecchia amicizia è stata da parte mia senza limiti.

All’amico Interlandi ho scritto, con amichevole risentimento, in questo senso, aggiungendo un parere discorde circa certo contenuto della rivista. Non ho avuto nessuna risposta210 .

Nel settembre 1938, il nome di Cogni è inserito – insieme a quelli di Landra e Cipriani – nel Comitato consultivo della «Biblioteca razziale Italia»o «Biblioteca de “La Difesa della razza”», collana legata al quindicinale, fondata da Interlandi riprendendo proprio l’iniziale progetto di Cogni con la casa editrice Sansoni211. La presenza del filosofo senese nel Comitato consultivo ha però vita breve, probabilmente in seguito al rifiuto opposto dall’Ufficio Razza, diretto da Landra, alla proposta di traduzione, avanzata da Cogni, del Mito del xx secolo di Rosenberg: oltre ad aver «fatto il suo tempo» in Germania – scrive l’Ufficio Razza al ministro Alfieri, il 17 novembre – il Mito rosenberghiano rischierebbe, infatti, di alimentare «una lotta aperta tra il Regime e la Chiesa in Italia», producendo «scandali incresciosi contro il Reich e il Nazionalsocialismo in genere»212 .

A inaugurare la collana della Biblioteca della Razza213 è, in ottobre, un libello di Telesio Interlandi, dal titolo inequivocabile: Contra Judaeos. Il «Corriere della sera», il 1º novembre, ne scrive una recensione osannante, firmata da Guido Piovene: «La virtù principale del libro di Interlandi, è di aver ridotta all’osso la questione ebraica, ed alla semplice constatazione di fatti che bastano copiosamente a vincere la causa, senza che possano essere ribattuti»214 .

Con un copertina disegnata da Orfeo Tamburi – due figure nude di uomo e di donna, con sulle spalle il piccolo figlio, a formare armonicamente un verde albero su cui planano minacciosi due neri pipistrelli, simbolo del vampirismo giudaico – il volume di Interlandi si presenta come una sintesi della campagna antisemita condotta «dal 1934 a ieri», ma raccoglie in realtà diciannove editoriali pubblicati sul «Tevere» tra l’11 gennaio 1937 e il 6 agosto 1938, data di uscita del primo numero della «Difesa della razza». «Voce clamante nel deserto dell’indifferenza», «Il Tevere» – dichiara il suo direttore – ha obbedito a «un preciso disegno del Duce, fondatore prima che dell’Impero, della coscienza imperiale del popolo italiano»215. Riguardando agli anni trascorsi, Interlandi descrive la polemica giornalistica come l’acqua che resiste, ma nello stesso tempo sostiene il nuotatore:

Faccio della polemica giornalistica lo stesso conto che il nuotatore fa dell’elemento in cui si muove: egli se ne getta alle spalle una manciata dopo l’altra, avanzando; e che cos’è l’acqua ch’egli si lascia alle spalle? Tale è la polemica giornalistica che è servita a vincere una determinata battaglia, ed ora è alle nostre spalle, come un’acqua immota. Eppure è quell’elemento che ci ha sostenuti, resistendoci, e ci ha permesso di raggiungere la meta prefissa216 .

Di lì a breve, le acque del razzismo fascista avrebbero ricominciato ad agitarsi.

1 Manca a tutt’oggi una biografia completa del percorso intellettuale e politico di Telesio Interlandi. Sulla sua figura, si rimanda in particolare a: g. mughini, A via della Mercede c’era un razzista, Rizzoli, Milano 1991. Utile, per quanto compilativa, la tesi di dottorato di e. pouech, Telesio Interlandi, un intellectuel fasciste antisémite (1894-1965), Université Michel de Montaigne – Bordeaux III, U. F. R. de Langues et Civilisations Étrangères, 2001. Cfr. inoltre m. canali, «Interlandi, Telesio», in Dizionario Biografico Italiano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2004, pp. 519-21; m. sarfatti, Interlandi, Telesio, in s. luzzatto e v. de grazia (a cura di), Dizionario del fascismo, vol. I: A-K, Einaudi, Torino 2002, pp. 673-74.

2 e. pouech, Telesio Interlandi, un intellectuel fasciste antisémite (1894-1965) cit., p. 97.

3 Autobiografie di scrittori e di artisti del tempo fascista. Telesio Interlandi, in «Il Tevere», 24-25 aprile 1928, p. 3. L’articolo era stato pubblicato in «L’Assalto» di Bologna, diretto da Giorgio Pini.

4 Cfr. a. scarantino, «L’Impero». Un quotidiano «reazionario-futurista» degli anni venti, Bonacci, Roma 1981.

5 t. interlandi, Filofascismo esiziale, in «L’Impero», 16 aprile 1924, p. 1.

6 id., Perché Pirandello è fascista, ivi, 23 settembre 1924, p. 1.

7 Ibid

8 Ibid

9 Un chiarimento di Luigi Pirandello, ivi, 26 settembre 1924, p. 1.

10 a. scarantino, «L’Impero» cit., pp. 53-54.

11 [t. interlandi], 27 dicembre 1924-27 dicembre 1925, in «Il Tevere», 26-27 dicembre 1925, p. 1.

12 m. michaelis, Mussolini’s unofficial mouthpiece: Telesio Interlandi – Il Tevere and the evolution of Mussolini’s anti-Semitism, in «Journal of Modern Italian Studies», III, n. 3, 1998, pp. 217-40.

13 Sui rapporti tra Pirandello e Interlandi, cfr. i. pupo (a cura di), Interviste a Pirandello. «Parole da dire, uomo, agli altri uomini», Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, pp. 5254; p. frassica, A Marta Abba per non morire. Sull’epistolario inedito tra Pirandello e la sua attrice, Mursia, Milano 1991, pp. 75-80.

14 v. cardarelli, Prefazione a t. interlandi, Pane bigio, L’Italiano, Bologna 1927, pp. vi-vii. Il libello raccoglie alcuni editoriali pubblicati da Interlandi sul «Tevere» nel 1925-26.

15 Sull’importante rapporto tra Interlandi e Brancati, cfr. g. mughini, A via della Mercede c’era un razzista cit., pp. 44-54.

16 Questo il ritratto fornito da Spinosa: «Questi mezzo letteraloide e mezzo barricadero, agì con fredda malafede. Quella della razza fu per lui una carta come un’altra. Vi puntò sopra forte, convinto di aver intuito il momento buono sulla ruota della fortuna. Interlandi non credeva minimamente nell’impresa che conduceva con cinismo. Uno dei capisaldi della difesa della razza era, nella sua propaganda, l’educazione militaristica che i giovani del Littorio ricevevano il sabato pomeriggio nelle palestre della gil, ma ciononostante fece esonerare Cesarino, suo figlio, da ogni esercitazione, o disturbo del genere, perché, in privato, le considerava inutili, ridicole e stupide». Cfr. a.spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia, I, Origini, in «Il Ponte», 7, luglio 1952, p. 975, ripreso in r. de felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo cit., p. 259. Per una differente interpretazione dell’aneddoto sui sabati littori, si veda la testimonianza di Cesare Interlandi, riportata in g. mughini, A via della Mercede c’era un razzista cit., pp. 173-74.

17 L’espressione è tratta da m. michaelis, Mussolini’s unofficial mouthpiece cit., p. 236.

18 Cfr. Ibid., p. 237.

19 Cfr. Ibid., p. 221, che fonda le sue affermazioni sulla testimonianza del figlio, Cesare Interlandi.

20 Inter. [t. interlandi], Un Cavour che non tira: o dell’agnosticismo, in «L’Impero», 1112 ottobre 1924, p. 1.

21 [t. interlandi], Vogliono l’operetta, in «Il Tevere», 3 agosto 1923, p. 1.

22 id., L’ineffabile trovata del Marchese di Caporetto, ivi, 28 marzo 1925, p. 1.

23 id., Sotto la maschera dell’«europeo», ivi, 1-2 marzo 1926, p. 1.

24 id., Europeismo e fascismo, ivi, 16-17 aprile 1926, p. 1.

25 id., Il «pedigree» di certa democrazia, ivi, 26-27 febbraio 1926, p. 1.

26 id., Uscite dalla torre d’avorio!, ivi, 2-3 luglio 1926, p. 1.

27 id., Gente che non ha ancora capito, ivi, 27-28 settembre 1926, p. 1; cfr. anche id., Cose di borsa, ivi, 30 settembre - 1º ottobre 1926, p. 1; id., Fenomeni contingenti, ivi, 1314 ottobre 1926, p. 1; id., Al di là dell’aneddoto, ivi, 14-15 ottobre 1926, p. 1; id., Dentro e fuori Borsa (senza autore), ivi, 18-19 ottobre 1926, p. 1.

28 id., Al di là dell’aneddoto cit.

29 id., Ad uso dei ricchi, in «Il Tevere», 21-22 ottobre 1926, p. 1.

30 id., A. B. C., ivi, 19-20 ottobre 1926, p. 1.Cfr. sulla frase di Rathenau: p.-a. taguieff, L’imaginaire du complot mondial. Aspects d’un mythe moderne, Mille et une nuits, Paris 2006, pp. 135-36.

31 [t. interlandi], Rathenau e Sforza, in «Il Tevere», 10-11 giugno 1926, p. 1.

32 Ibid

33 id., A. B. C. cit.

34 id., L’Italia in portafoglio, in «Il Tevere», 20-21 ottobre 1926, p. 1.

35 id., Equivoco, ivi, 22-23 ottobre 1926, p. 1.

36 Inter. [t. interlandi], Massoneria e burocrazia, in «L’Impero», 5 febbraio 1924, p. 1. Cfr. anche id., Che cosa si prepara? Chiediamolo alle Opposizioni e alla Massoneria, ivi, 8 luglio 1924, p. 2.

37 [t. interlandi], Contro i parricidi, in «Il Tevere», 10 gennaio 1925, p. 1.

38 id., Il grande accidente, ivi, 25-26 aprile 1927, p. 1.

39 id., Complicità, ivi, 7-8 novembre 1925, p. 1.

40 id., Spiragli, ivi, 9-10 novembre 1925, p. 1.

41 id., Europeismo e fascismo cit.

42 id., Le «mille-livres» degli ex-unitari, in «Il Tevere», 9-10 dicembre 1925, p. 1.

43 id., Il discorso di Scheidemann e la lettera di Painlevé, ivi, 17-18 dicembre 1926, p. 1.

44 Ivi, 22 maggio 1925, p. 1.

45 [t. interlandi], Sostanza dell’«europeismo», ivi, 14-15 novembre 1932, p. 1.

46 id., Orientamenti tedeschi, ivi, 8-9 aprile 1927, p. 1.

47 r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., pp. 139-40.

48 e. ludwig, Colloqui con Mussolini. Riproduzione delle bozze della prima edizione con le correzioni autografe del duce, Mondadori, Milano 1950.

49 La citazione riprende il verbale dei colloqui tra Mussolini e Giuseppe Renzetti, uomo di fiducia presso i capi nazisti cit. in g. fabre, Mussolini e gli ebrei alla salita al potere di Hitler, in «La Rassegna Mensile di Israel», LXIX, n. 1, gennaio-aprile 2003, p. 190 (Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, a cura di L. Picciotto, tomo I).

50 Cfr. g. fabre, Mussolini e gli ebrei alla salita al potere di Hitler cit., pp. 204-22.

51 Ibid., p. 195.

52 c. pavolini, Germania 1935, XI, Il sogno dell’ «unità germanica», in «Il Tevere», 1314 ottobre 1930, p. 1. Le argomentazioni antisemite di Corrado Pavolini non vengono citate da r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 119.

53 [t. interlandi], Un focolare che fa onore al suo nome, in «Il Tevere», 27-28 agosto 1929, p. 1.

54 Ibid

55 Per l’attribuzione dell’articolo e, in generale, per la ricostruzione del «caso Ghivouli», cfr. v. pinto, Sionismo e «movimento ebraico». La percezione del nazionalismo ebraico nelle carte della Direzione Generale Pubblica Sicurezza conservate nell’Archivio Centrale dello Stato (1927-1939), in «La Rassegna Mensile di Israel», LXVI, n. 3, settembre-dicembre 2000, pp. 39-62, in particolare pp. 46-48.

56 g. fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita, Garzanti, Milano 2005, pp. 356-78.

57 m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, Torino 2007 (nuova ed.), pp. 8284.

58 s. a., Che cos’è l’ «ebraicità integrale»?, in «Il Tevere», 28-29 novembre 1932, p. 1.

59 [t. interlandi], Agitazioni manovrate, ivi, 5-6 aprile 1933, p. 1.

60 Ibid

61 Ibid.

62 [t. interlandi], Il padre dei razzismi, ivi, 11-12 maggio 1933, p. 1.

63 Ibid.

64 Ibid

65 Ibid. Prendendo spunto da una notizia pubblicata in «Israel» a proposito di una conferenza del gruppo sionistico berlinese, «Il Tevere» ospita, nel luglio 1933, una vignetta di Alfredo Mezio, dal titolo satirico Atrocità antisemite in Germania, nella qua- le una coppia di ricchi ebrei elegantemente vestiti per una serata a teatro, scambia le seguenti battute: « – Che cosa ci capiterà stasera, Samuele? – La conferenza del rabbino, cara». Cfr. «Il Tevere», 20-21 luglio 1933, p. 3.

66 Cfr. r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., pp. 140-48.

67 Sionismo e patriottismo, in «Il Tevere», 15-16 febbraio 1934, p. 1.

68 [t. interlandi], Ciarle sionistiche, ivi, 22-23 febbraio 1934, p. 1.

69 Ibid

70 Lo scontro Interlandi-Quilici è stato considerato da De Felice la prova dell’etero-direzione nazista del «Tevere»: cfr. r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 140. Questa interpretazione è ampiamente contestata in m. michaelis, Mussolini’s unofficial mouthpiece cit., pp. 225-26.

71 Sull’episodio, cfr. m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 101-2; i. pavan, Il podestà ebreo. La storia di Renzo Ravenna tra fascismo e leggi razziali, Laterza, RomaBari 2006, pp. 109-19.

72 Cfr., in particolare, m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 98-101.

73 Ibid., p. 98.

74 Ibid., p. 100.

75 [t. interlandi], «Lascianà abbà Biruscialaim» («L’anno prossimo a Gerusalemme») Quest’anno al Tribunale Speciale, in «Il Tevere», 31 marzo - 1º aprile 1934, p. 1.

76 Ibid

77 Ibid

78 Ibid.

79 m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 105.

80 g. fabre, Mussolini razzista cit., p. 330.

81 Sul razzismo coloniale italiano, con particolare riferimento al periodo fascista: cfr. i saggi di Labanca, Triulzi, Chelati Dirar e Gabrielli che compongono la seconda parte di a. burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999, pp. 145-214. Cfr. inoltre g. gabrielli, Prime ricognizioni sui fondamenti teorici della politica fascista contro i meticci, in a. burgio e l. casali (a cura di), Studi sul razzismo italiano, clueb, Bologna 1996, pp. 61-88; id., Un aspetto della politica razzista nell’impero: il problema dei «meticci», in «Passato e Presente», XLI (1997), pp. 77-106; b. sòrgoni, Parole e corpi. Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea (1890-1941), Liguori Editore, Napoli 1998.

82 m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 117-18.

83 m. michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale in Italia, Edizioni di Comunità, Milano 1982,p. 128.

84 [t. interlandi], Negri e bianchi, in «Il Tevere», 15-16 luglio 1930, p. 1. In acs è conservata una sceneggiatura di film, scritta da Interlandi, dal titolo Agar, in cui i neri sono rappresentati come razza viva e montante se paragonata agli italiani moralmente inerti e che non fanno figli: acs, mcp, Gabinetto, II versamento, b. 7, fasc. Telesio Interlandi: Agar – Film di Telesio Interlandi. La trama dello stesso film, presentato tuttavia con un titolo diverso (Il segno di Giona), è raccontata in g. mughini, A Via della Mercede cit., pp. 175-77.

85 [t. interlandi], Una fiammata, in «Il Tevere», 22-23 giugno 1936, p. 1.

86 s. a., Manovre ebreo-massoniche intorno al conflitto italo-etiopico, ivi, 17-18 dicembre 1935, p. 1.

87 [t. interlandi], Europa negroide, ivi, 6-7 settembre 1935, p. 1.

88 Cfr. m. michaelis, Mussolini e la questione ebraica cit., pp. 104-5.

89 [t. interlandi], Nazioni da cannone, in «Il Tevere», 8-9 gennaio 1936, p. 1. Sul ruolo della «massoneria», cfr. id., Nella cornice, ivi, 20 marzo 1936, p. 1.

90 [t. interlandi], Razza e impero, ivi, 11-12 gennaio 1937, p. 1.

92 Sui rapporti fra Gentile e Cogni, cfr. r. faraone, Giovanni Gentile e la «questione ebraica», Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, pp. 87-99.

93 Cfr. le note biografiche contenute nel rapporto della Prefettura di Siena, in acs, spd, co 1922-43, b. 1514, fasc. 516.366. Sul volume di Cogni, cfr. id., Saggio sull’amore come nuovo principio d’immortalità, Bocca, Torino 1933. Subissato dalle critiche, Cogni era stato costretto a scrivere una Difesa del saggio su l’amore, Bocca, Torino 1933. Per la citata recensione di De Ruggiero, cfr. in «La Critica», XXXI, n. 1, 20 gennaio 1933, pp. 40-41.

94 m. michaelis, Un aspetto ignoto del ravvicinamento tra fascismo e nazismo durante la guerra d’Etiopia in un documento inedito tedesco, in a. migliazza e e. decleva, Diplomazia e storia delle relazioni internazionali. Studi in onore di Enrico Serra, Giuffrè, Milano 1991, pp. 404-6.

95 Storia di una polemica, in «Quadrivio», VI, n. 39, 24 luglio 1938, p. 1.

96 Il 2 aprile 1934, Mussolini, posto di fronte a un romanzo il cui titolo, copertina e trama concernevano la relazione amorosa tra un uomo nero e una donna bianca, ordina il sequestro immediato del volume e il giorno seguente – proprio in collegamento con tale vicenda – dispone l’introduzione della censura preventiva. Cfr. g. fabre, L’elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei cit., pp. 22-28; m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 103.

97 g. cogni, Razza e sangue, in «Quadrivio», II, n. 22, 25 marzo 1934, p. 1.

98 id., Destino delle nazioni, ivi, III, n. 40, 4 agosto 1935, p. 1.

99 g. cogni, Razza, in «Il Tevere», 17-18 luglio 1936, p. 3. Identico in «Quadrivio», IV, n. 38, 19 luglio 1936, pp. 1-2.

100 Cfr., in particolare, oltre agli articoli citati: id., La razza italiana, ivi, n. 41, 9 agosto 1936, pp. 1 e 5; id., Mito del xx secolo, ivi, n. 45, 6 settembre 1936, p. 1; id., Alle origini della razza mediterranea, in «Il Tevere», 15-16 ottobre 1936, p. 3; id., Il genio e la razza, ivi, 14-15 novembre 1936, p. 3 e identico in «Quadrivio», V, n. 3, 15 novembre 1936, pp. 1 e 8; id., Il problema del sangue è questo sforzo di salvare per i secoli la base umana di tutte le grandezze: l’uomo, ivi, n. 12, 17 gennaio 1937, p. 3. «Il Tevere» pubblica anche l’articolo di Hans F. K. Günther, pubblicato in I valori della stirpe italiana di Cogni: cfr. h. f. k. günther, «Humanitas», in «Il Tevere», 24-25 aprile 1937, p. 3. L’articolo è tratto dal volume Altsprachliche Bildung im Neuaufbau der deutschen Schule, Teubner, Leipzig 1937.

101 Per la recensione in «Quadrivio», cfr. l. chiarini, Il razzismo in Italia, ivi, V, n. 1, 1º novembre 1936, pp. 1-2.

102 «Quadrivio» fornisce anticipazioni del libro: cfr. g. cogni, La stirpe di Roma, ivi, V, n. 36, 4 luglio 1937, pp. 1 e 7; id., Razza e sangue, ivi, n. 40, 1º agosto 1937, p. 1; id., Razzismo bretone, ivi, n. 45, 5 settembre 1937, pp. 1-2.

103 id., Il razzismo cit., p. 84.

104 id., I valori della stirpe italiana cit., p. 143.

105 id., Il razzismo cit., p. 156.

106 Ibid., p. 158.

107 Ibid

108 id., I valori della stirpe italiana cit., p. 130.

109 Ibid., p. 131.

110 Ibid., p. 133.

111 a. mezio, Conversando con Giulio Cogni, in «Quadrivio», IV, n. 46, 13 settembre 1936, pp. 1 e 6. Identico in «Il Tevere», 14-15 settembre 1936, p. 3.

112 acs, spd, co 1922-43, b. 1514, fasc. 516.366, lettera di G. Cogni a B. Mussolini, 2 settembre 1936.

113 Ibid

114 Ibid

115 b. ricci, Biondi fatali, in «Critica Fascista», XV, n. 1, 1º novembre 1936, p. 16.

116 r. m. [raimondo manzini], Il Sangue e l’Anima, in «L’Avvenire d’Italia», 20 gennaio 1937, p. 1.

117 r. carbonelli, Il dolicocefalo biondo in camicia nera, in «Il Frontespizio», IX, n. 2, febbraio 1937, p. 129. L’articolo sarà ripreso anche in b. matteucci, Il mistero del sangue, in «L’Avvenire d’Italia», 28 febbraio 1937, p. 3.

118 r. carbonelli, Il dolicocefalo biondo in camicia nera cit., p. 130.

119 Cfr. a. duce, La Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), Edizioni Studium, Roma 2006,pp. 66-67.

120 Una Piccola Antologia di queste citazioni è riportata in «Il Frontespizio», IX, n. 2, febbraio 1937, p. 139.

121 g. pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, fpe, Milano 1967, p. 90.

122 acs, spd, co 1922-43, b. 1514, fasc. 516366, allegato alla lettera di G. Cogni a O. Sebastiani.

123 Ibid., rapporto della Segreteria Particolare del Duce sulla relazione di Giulio Cogni.

124 Nella prefazione a I valori della stirpe italiana, Cogni non a caso esprime «particolare riconoscenza a Telesio Interlandi, che, oltre a difendere due volte sui suoi giornali in modo incisivo l’autore di questo volume, ha accolto nel settimanale “Quadrivio” molti scritti che oggi, rifusi, costituiscono in parte il presente volume», cfr. g. cogni, I valori della stirpe italiana cit., p. xi

125 [t. interlandi], Il meticciato dissidente, in «Il Tevere», 29-30 marzo 1937, p. 1.

126 t. i. [telesio interlandi], Parliamo del razzismo, in «Quadrivio», V, n. 23, 4 aprile 1937, pp. 1 e 3.

127 m. michaelis, Mussolini e la questione ebraica cit., p. 126.

128 [t. interlandi], Il meticciato dissidente cit.

129 Cfr. farinata [o. dinale], Discussioni, in «Il Popolo d’Italia», 4 ottobre 1933.

130 [t. interlandi], Il meticciato dissidente cit. Può essere interessante notare come fin dal febbraio 1926 Interlandi appare incline ad adottare la metafora del «meticciato» per denunciare l’opposizione al fascismo: «Ecco che il conflitto italo-tedesco serve anche a dare una spiegazione – la più esauriente – all’odio fisico che noi nutriamo per gli uomini della razza di Nitti. Sono essi italiani? Corre nelle loro vene il nostro stesso sangue? No, non può essere: si tratta di bastardi, di meticci nati da mostruosi incroci». Cfr. [t. interlandi], Germania, Italia e Antitalia, in «Il Tevere», 12-13 febbraio 1926, p. 1.

131 [t. interlandi], Il meticciato dissidente cit.

132 Ibid.

133 Ibid

134 m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 137.

135 Cfr. «Il Tevere», 8 aprile 1937, p. 3.

136 Cfr. ibid., pp. 138-39. Per un confronto tra le posizioni di Orano e quelle di Interlandi, cfr. g. fabre, L’elenco cit., pp. 45-49; m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 138-39.

137 g. pini, Filo diretto con Palazzo Venezia cit., pp. 127 (annotazione del 31 maggio 1937), 116 (7 aprile 1937).

138 Ibid., e pp. 112 (23 marzo 1937), 130 (8 giugno 1937, per la citazione).

139 [t. interlandi], Il meticciato dissidente cit.

140 Storia di una polemica cit., pp. 1-2.

141 Per un profilo di Sottochiesa, cfr. in particolare r. moro, Propagandisti cattolici del razzismo antisemita in Italia (1937-1941), in c. brice e g. miccoli, Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin xixe -xxe siècles), École Française de Rome, Rome 2003, pp. 287-89; f. rasera, Gino Sottochiesa, in «Materiali di lavoro», 1988, n. 1-4, pp. 193-210.

142 Sul ruolo di Sottochiesa, cfr. oltre, cap. iii

143 Il titolo della rubrica viene ripetuto per le prime otto puntate, fino al 7 marzo 1937.

144 La notizia è contenuta in acs, mcp, Gabinetto, b. 121. fasc. «Barduzzi Carlo»: esposto di C. Barduzzi a C. Luciano (s.d. ma agosto 1940). Di Gasteiner, cfr. anche e. [elmut] gasteiner, Il servizio di lavoro femminile, in «Il Tevere», 4-5 dicembre 1937, p. 3; h. [helmut] gasteiner, Gli ebrei e i film internazionali, ivi, 24-25 dicembre 1937, p. 3.

145 h. g. [helmut gasteiner] e g. p. [giuseppe pensabene], Stato nazione e razza, in «Quadrivio», V, n. 13, 24 gennaio 1937, p. 3.

146 id., La difesa della razza, ivi, n. 21, 21 marzo 1937, p. 4.

147 Ibid

148 id., Decadenza e rigenerazione dei popoli, ivi, n. 33, 13 giugno 1937, p. 1.

149 id., La difesa della razza cit., p. 4.

150 Ibid.

151 Ibid

152 id., Decadenza e rigenerazione dei popoli cit., p. 5.

153 id., Come rigenerare la razza, in «Quadrivio», V, n. 34, 20 giugno 1937, p. 1.

154 id., Decadenza e rigenerazione dei popoli cit., p. 5.

155 Ibid

156 id., Come rigenerare la razza cit., p. 1.

157 Si veda ad esempio l’immagine che accompagna l’articolo Decadenza e rigenerazione dei popoli cit.

158 id., Decadenza e rigenerazione dei popoli cit., p. 5.

159 id., Come rigenerare la razza cit., p. 2.

160 Ibid.

161 h. g. e g. p., Il razzismo di fronte al cristianesimo, in «Quadrivio», V, n. 43, 22 agosto 1937, p. 2.

162 Si veda, in particolare, l’attacco mosso da Interlandi contro l’eugenica di Corrado Gini: cfr. [t. interlandi], Zone di dissidentismo, in «Il Tevere», 23-24 aprile 1938, p. 1. E anche gli articoli di Gasteiner del luglio 1938: e. gasteiner, Il razzismo in Italia, I, ivi, 8-9 luglio 1938, pp. 1 e 3; II, ivi, 9-10 luglio 1938, pp. 1 e 3.

163 m. sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 150-51.

164 Ibid., pp. 152-53.

165 [t. interlandi], Gli ebrei in Italia, in «Il Tevere», 17-18 febbraio 1938, p. 1.

166 Ibid

167 Cfr. g. landra, Gazzettino di Vienna, ivi, 22-23 settembre 1931, p. 3; id., Bavaria. La Marienplatz e il Rathaus di Monaco, ivi, 12-13 ottobre 1931, p. 3; id., Bavaria. Il Deutsches Museum di Monaco, ivi, 17-18 ottobre 1931, p. 3; id., Bavaria, ivi, 19-20 ottobre 1931, p. 3; id., Botte nuove e vecchi bevitori, ivi, 9-10 novembre 1931, p. 3; id., I cani di Pietro Ronsard, ivi, 25-26 novembre 1931, p. 3; id., Norimberga e le sue vecchie mura, ivi, 24-25 dicembre 1931, p. 3.

168 a. gillette, The origins of the «Manifesto of racial scientists», in «Journal of Modern Italian Studies», VI (2001), n. 3, p. 308. Come sottolinea Michaelis, nell’ottobre 1938 Landra riferisce a Rudolf Frerks che «dopo la visita di Hitler in Italia egli aveva trovato un alleato in Interlandi […] col risultato che gli era stata commissionata la stesura di un manifesto sui principi razziali del fascismo»: cfr. m. michaelis, Mussolini e la questione ebraica cit., pp. 166, 179-82.

169 acs, spd, co 1922-43, fasc. 183.506, lettera di G. Landra a B. Mussolini, 27 settembre 1940. Questo documento è stato segnalato per la prima volta da m. raspanti, I razzismi del fascismo, in centro studi «f. jesi» (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994, pp. 74-75.

170 Ibid

171 g. bottai, Diario, 1935-1944 cit., p. 125.

172 Ibid.

173 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Cipriani Lidio»: lettera di G. Landra a L. Cipriani, 25 giugno 1938.

174 a. gillette, The origins of the «Manifesto of racial scientists» cit., p. 312.

175 Per questa bozza, cfr. ibid., pp. 309-10.

176 Ibid., p. 310.

177 Ibid., p. 313.

178 Il documento è riprodotto in appendice a m. ricci, Una testimonianza sulle origini del razzismo fascista, a cura di M. Toscano, in «Storia contemporanea», XXVII, n. 5, ottobre 1996, pp. 895-97; per la discussione, cfr. le pp. 892-93.

179 Per il confronto fra le due versioni, cfr. anche m. toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei Sei giorni, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 180-81; m. sarfatti, La preparazione delle leggi antiebraiche del 1938. Aggiornamento critico e documentario, in i. pavan e g. schwarz, Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione postbellica, Giuntina, Firenze 2001, pp. 50-53.

180 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Cipriani Lidio»: lettera di L. Cipriani a G. Landra, 15 luglio 1938.

181 g. bottai, Diario, 1935-1944 cit., p. 125 (16 luglio 1938).

182 [t. interlandi], Era tempo, in «Il Tevere», 15-16 luglio 1938, p. 1.

183 Ibid.

184 id., Cattolici sugli specchi, ivi, 23-24 luglio 1938, p. 1.

185 id., La razza dentro la stirpe e la stirpe astuccio della razza… (coi fagociti e il potere vitale della linfa), ivi, 25-26 luglio 1938, p. 1. Per un esempio degli articoli a cui Interlandi fa riferimento, cfr. lupo cerviero, O razza o stirpe o schiatta?, in «Frontespizio», X, n. 7, luglio 1938, p. 421. Da notare che il ministero della Cultura Popolare ordinerà alla stampa, in un comunicato del 6 agosto 1938, di «non usare più la parola stirpe» (cfr. f. flora, Stampa dell’era fascista. Le note di servizio, Mondadori, Roma 1945).

186 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Lidio Cipriani»: lettera di L. Cipriani a D. Alfieri, 15 luglio 1938, in particolare i primi quattro punti.

187 L’Ufficio Razza del ministero della Cultura Popolare, affidato alla direzione di Guido Landra fino al febbraio 1939, assumerà, dal 5 aprile 1939, la denominazione di Ufficio propaganda e studi sulla razza, successivamente modificata in Ufficio studi e propaganda sulla razza.

188 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. Appunti e relazioni al duce, velina di lettera al capo di governo, non firmata ma attribuibile ad Alfieri, datata 19 luglio 1938; riprodotta pressoché integralmente in m. toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia cit., pp. 183-84.

189 Cfr. in particolare r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., pp. 292-97; g. miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938, in camera dei deputati, La legislazione antiebraica in Italia e in Europa. Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali (Roma, 17-18 ottobre 1988), Camera dei Deputati, Roma 1989, pp. 184-228. Recentemente, e. fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, Torino 2007.

190 Il rapporto inedito di Alfieri è citato in a. gillette, The origins of the «Manifesto of racial scientists» cit., p. 315.

191 m. ricci, Una testimonianza sulle origini del razzismo fascista cit., pp. 892-93.

192 La cronologia indicata dalla testimonianza di Marcello Ricci (incontri del comitato allargato il 2 luglio, tra il 2 e il 25, e infine il 25) contrasta con quella presente nei documenti dell’archivio personale di Landra, consultato da Gillette (incontri il 25 e il 26 luglio).

193 m. ricci, Una testimonianza sulle origini del razzismo fascista cit., p. 893.

194 Il testo del comunicato è riprodotto in appendice a r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 557.

195 g. bottai, Diario 1937-1943, Rizzoli, Milano 1982, p. 128 (29 luglio 1938).

196 acs, mcp, b. 4, fasc. 43, Pende Sen. Nicola: telegramma di N. Pende a O. Sebastiani, 1º agosto 1938.

197 Ibid., lettera di D. Alfieri a N. Pende, 3 agosto 1938.

198 Gli aspetti del concetto razziale nel pensiero di Nicola Pende, in «Corriere della Sera», 7 agosto 1938, p. 1.

199 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Lidio Cipriani»: lettera di L. Cipriani a G. Landra, 6 agosto 1938.

200 acs, mpi, dgiu, Fascicoli professori universitari (1940-1970), III serie, b. 481, fasc. «Visco Sabato»: lettera di D. Alfieri a S. Visco, 22 agosto 1938; documento allegato da Visco alla sua Memoria davanti alla Commissione Centrale per l’epurazione fascista

201 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Giulio Cogni»: telegramma di G. Cogni a D. Alfieri, 18 luglio 1938.

202 Cfr. «Quadrivio», VI, n. 40, 31 luglio 1938, p. 2.

203 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Giulio Cogni»: lettera di G. Cogni a D. Alfieri, 1º agosto 1938.

204 Ibid

205 acs, spd, cr, 480/R, b. 146, fasc. 395: lettera di G. Cogni a B. Mussolini, 7 agosto 1938.

206 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Giulio Cogni»: lettera di G. Cogni a G. Landra, 9 agosto 1938.

207 Ibid., lettera di G. Cogni a G. Landra, 22 agosto 1938.

208 Ibid., appunto non datato per il ministro della Cultura Popolare.

209 Ibid., lettera di G. Landra, 24 ottobre 1938.

210 Ibid., lettera di G. Cogni a D. Alfieri, 13 febbraio 1939.

211 Ibid., lettera di G. Cogni a G. Landra, 22 agosto 1938. Il progetto prevedeva un comitato direttivo composto da Interlandi, Cogni, Landra e Cipriani.

212 Ibid., appunto dell’Ufficio Razza per il ministro della Cultura Popolare, 17 novembre 1938.

213 I titoli annunciati come di prossima pubblicazione sono i seguenti: f. gambini, Il problema della cittadinanza ebraica in Europa; abate chiarini, La teoria del Giudaismo; g. panonzi, L’Ebreo; Il Talmud – Contro i Cristiani; a. rosenberg, Il mito del xx secolo, h. s. chamberlain, I fondamenti del xix secolo; j. a. de gobineau, Saggio sull’ineguaglianza delle razze; g. leopardi, L’Italia e l’Europa (pagine scelte da Massimo Lelj); r. wagner, Gli ebrei nella musica; l. chiarini, Razza e cinematografo, g. pensabene, Razza e architettura; h. f. k. günther, Gli Ebrei. La collana è brevemente presentata in una nota della redazione in «Quadrivio», VII, n. 4, 20 novembre 1938, p. 8.

214 Per la successiva posizione di Piovene: cfr. g. piovene, La coda di paglia, Mondadori, Milano 1962.

215 t. interlandi, Contra Judaeos, Tumminelli, Roma-Milano 1938, pp. 5-6.

216 Ibid., p. 5.

Capitolo secondo

In nome del Manifesto

«La Difesa della razza» esce nelle edicole sabato 6 agosto 1938, anche se la data riportata sulla copertina del primo numero corrisponde al giorno 51. Lo stesso giorno, il ministro dell’Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai, emette quattro circolari riguardanti la diffusione della rivista, tra loro differenti, indirizzate rispettivamente ai rettori e direttori degli Istituti Superiori; ai provveditori e presidenti degli Istituti d’arte; al presidente della Giunta centrale per gli studi storici; ai presidenti delle accademie e delle associazioni culturali2. L’8 agosto, la commissione ministeriale per gli acquisti delle pubblicazioni, «derogando dalle norme ordinarie», vara l’acquisto e la distribuzione di mille copie: 20 per le biblioteche governative, 80 per quelle non governative, 250 per le biblioteche delle scuole medie classiche, 250 per quelle medie e scientifiche, 400 per le biblioteche dei provveditori («una per Provveditore») e per le biblioteche magistrali e scolastiche3. Accanto a Bottai, a supportare la diffusione della rivista di Interlandi intervengono anche le veline di Dino Alfieri, ministro della Cultura Popolare4; i fogli di disposizione di Achille Starace, segretario del Partito Nazionale Fascista5 e i telegrammi ai prefetti di Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all’Interno6 .

Gestita inizialmente dal ministero della Cultura Popolare, «La Difesa della razza» viene stampata con una tiratura imponente che oltrepassa le 140mila copie, al prezzo relativamente basso di una lira a fascicolo7. La redazione, inizialmente indicata in Largo Cavalleggeri, troverà, nel novembre 1938, una collocazione definitiva a Palazzo Wedekind, nella centralissima Piazza Colonna, non distante da Montecitorio, Palazzo Chigi e Piazza Venezia. La sede è un crocevia di simbolismi. Sorge sul cuore della Roma degli Antonini e si affaccia sulla colonna di Marco Aurelio, i cui rilievi celebrano la vittoria sui Germani e sui Sarmati. Le colonne che compongono il porticato, introdotte da Camporese in occasione della completa ricostruzione voluta da papa Gregorio XVI nel 1838, provengono dagli scavi archeologici di Veio. Ma Palazzo Wedekind non evoca soltanto i fasti della romanità: lì infatti ha avuto sede, fino a poco tempo prima, quella Galleria di Roma, inauguratasi il 2 giugno 1937 con la mostra Omaggio a sedici artisti italiani, che ha visto lo scontro fisico tra l’«ebreo» Dario Sabatello, neodirettore della sezione arti figurative della Galleria, e Giuseppe Pensabene, il critico del «Tevere» (e poi della «Difesa della razza»), giunto a inveire contro l’esposizione delle opere dell’«ebreo» Modigliani. Una vicenda che coinvolgerà anche Interlandi e che avrà strascichi fino al luglio 19438 .

La forte tiratura, il basso prezzo di vendita e l’affitto della prestigiosa sede fanno ben presto salire alle stelle i costi, producendo saldi passivi coperti dal ministero della Cultura Popolare: tra il 15 agosto 1938 e il 30 giugno 1939, le spese superano del doppio le entrate, con un disavanzo di 1115687 lire9. E la situazione non migliora tra il luglio 1939 e il giugno 1940, con un saldo passivo di 906403,05 lire. Parallelamente, le entrate pubblicitarie diminuiscono: dalle 233771,10 lire del periodo agosto 1938 - giugno 1939 alle 138759,80 del periodo luglio 1939 - giugno 1940. Tra i maggiori finanziatori, emergono, dai dati disponibili, la Banca Commerciale Italiana, l’Istituto Nazionale Assicurazioni, il Banco di Sicilia, il Credito Italiano, la Finmare. Seguono, a distanza, la Società Breda, le Officine Villar Perosa, la Venchi Unica. Nel secondo semestre 1940, la tiratura si riduce, attestandosi a circa 20000 copie (di cui 5000 per abbonamenti e il resto per la vendita), ma il saldo passivo continua a essere alto, ammontando a 230 779,94 lire. A partire dal 1º dicembre 1940, Mussolini incarica il ministero di ridurre le spese. Con i nuovi accordi, la gestione della rivista viene direttamente assunta dall’Istituto di arti grafiche

Tumminelli (responsabile delle spese di stampa, lancio, vendita, collaborazione, ecc.); il numero delle pagine è ridotto da 48 a 32; il ministero della Cultura Popolare corrisponde un contributo annuo di 350000 lire a copertura delle spese dei locali, mantenuti in Piazza Colonna «a scopo politico-propagandistico».

Per quanto riguarda il comitato di redazione, i suoi membri (Guido Landra, Lidio Cipriani, Lino Businco, Leone Franzì e Mar- cello Ricci)10 testimoniano, come si è visto, lo stretto legame esistente tra la genesi della rivista e le vicende del Manifesto del 14 luglio 193811. I dieci punti del documento si ritrovano nell’apertura del primo numero12, le cui pagine ospitano gli articoli di ben otto firmatari, soli assenti Nicola Pende e Sabato Visco13. Nella seconda pagina del fascicolo è anche riprodotto il comunicato stampa del 25 luglio, con l’unica aggiunta, rispetto all’originale, della data del 26 luglio a indicare il momento dell’incontro fra il «gruppo di studiosi fascisti» e Achille Starace, segretario del partito14 .

Al Manifesto si richiama anche l’editoriale di Interlandi: «Questa rivista, – scrive il direttore, – nasce al momento giusto. La prima fase della polemica razzista è chiusa, la scienza si è pronunciata, il Regime ha proclamato l’urgenza del problema»15. Insito nell’«intima logica del Fascismo»16, il razzismo è, nell’ottica di Interlandi, la necessaria reazione ai problemi posti dal dominio coloniale e dalla «questione ebraica»: da un lato, infatti, occorre garantire una «ferrea sistemazione gerarchica» delle popolazioni comprese fra i confini dell’Impero; dall’altro, è impossibile non rispondere all’offensiva mossa dall’ebraismo e dal suo «feroce e delirante razzismo teologico», «antichissimo ed aggressivo»17. La scienza ritorna, quindi, nel discorso interlandiano, come la prima delle tre sezioni in cui si articolerà la rivista: «Dimostreremo che la scienza è con noi; perché noi siamo con la vita, e la scienza non è che la sistemazione di concetti e di nozioni nascenti dal perenne fluire della vita dell’uomo»18. Alla scienza seguirà la documentazione, tesa a dimostrare «quali sono le forze che si oppongono all’affermazione d’un razzismo italiano, perché si oppongono, da chi sono mosse, che cosa valgono, come possono esser distrutte e come saranno distrutte»19. Infine, la polemica, ovvero la battaglia «contro le menzogne, le insinuazioni, le deformazioni, le falsità, le stupidità che accompagneranno questa affermazione fascista dell’orgoglio razziale». La polemica – dichiara il direttore della «Difesa della razza» – sarà il «sale nel pane della scienza, quindicinalmente spezzato»20 .

Nelle pagine immediatamente successive all’editoriale, il primo numero della rivista presenta un articolo non firmato, ma di estrema rilevanza in quanto attribuibile con certezza a Mussolini21. Il titolo – Razza e percentuale – riprende una ben nota affermazione mussoliniana – «Razza: questo è un sentimento, non una realtà; il 95 per cento è sentimento» – contenuta nei Colloqui con il giornalista Emil Ludwig, pubblicati nel 193222. Il 3 agosto, pochi giorni prima della pubblicazione di Razza e percentuale, Roberto Farinacci – che ha nel cardinale La Puma un suo informatore –ha avvertito Mussolini che il pontefice «ha voluto che la Segreteria di Stato gli portasse a Castel Gandolfo le copie della pagine 7273-74-75 del libro di Ludwig su Mussolini. Non ho sott’occhio questo libro, ma credo sia il caso di prevenire un eventuale attacco»23. Le pagine citate da Farinacci sono proprio quelle che costituiscono l’oggetto del pezzo anonimo pubblicato sulla «Difesa della razza», il quale può essere dunque visto come una risposta preventiva del duce alle resistenze di Pio XI.Di fronte agli «ebrei italiani e non soltanto italiani»24 che si appellano al testo di Ludwig (ebraizzato in Cohen) quasi fosse «una specie di tavola di salvezza», Mussolini intende ora sottolineare, con l’articolo Razza e percentuale, come le sue dichiarazioni del 1932 non portino in realtà «nessun secchio d’acqua al mulino giudaico». Da allora infatti, si legge nel pezzo, la situazione è cambiata: nel 1938, il razzismo e l’antisemitismo sono giustificati sia dalla nascita del «nuovo impero di Roma» sia dalla necessità di combattere un «semitismo» mondiale e un antifascismo «di pura marca ebrea», incarnato in Italia dagli «ebrei antitaliani e antifascisti». Al di là delle «necessità tattiche di governo», il pensiero di Mussolini avrebbe pertanto mantenuto «una coerenza fondamentale». Scritto quasi in contemporanea all’Informazione diplomatica n. 18 e quasi sugli stessi temi25 , Razza e percentuale presenta una duplice importanza: da un lato, costituisce un tassello centrale di una vasta operazione orchestrata da Mussolini in quei giorni per esaltare la precocità e la serietà del razzismo fascista26; dall’altro, rappresenta un’investitura ufficiale, un vero e proprio suggello del duce27 alla rivista razzista di punta del regime.

Un’impostazione teorico-politica fortemente connessa al Manifesto e il diretto e propulsivo sostegno di Mussolini sembrerebbero garantire alla «Difesa della razza» una tranquillizzante solidità. Saranno sufficienti, invece, soltanto pochi mesi per assistere al coinvolgimento del quindicinale nel nugolo delle tensioni e delle contrapposizioni interne alle differenti correnti ideologiche e politico-istituzionali del razzismo fascista28 .

1. L’offensiva nazional-razzista.

Fin dagli inizi di agosto, «La Difesa della razza» deve fare i conti con i tentativi di «spiritualizzare» il razzismo fascista – senza per altro negare l’impianto biologico della legislazione persecutoria29 – provenienti dagli editoriali di Giuseppe Bottai su «Critica Fascista». Persino in due delle quattro circolari dedicate alla diffusione della rivista di Interlandi, il ministro dell’Educazione Nazionale non esita ad affermare, pur con qualche cautela, che «i fondamenti del razzismo italiano, pur partendo da dati biologici, sono di sostanza squisitamente spirituali». Lo stesso Mussolini apprezza lo sforzo interpretativo di Bottai, come si deduce dal suo diario: «Alfieri mi dice, che l’editoriale di C.[ritica] F.[ascista] sul problema della razza gli è piaciuto. La spiegazione puramente deterministica e materialistica della “razza”, si attenua e si equilibra nel concetto storico di civiltà. Trovo Mussolini molto calmo, deciso a non lasciarsi prendere la mano dagli zelatori»30. Un altro episodio, in quei mesi, rivela il delicato conflitto ideologico in corso. Nella Dichiarazione sulla razza, redatta da Mussolini nel settembre 1938 e approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 6 ottobre, nel passaggio dalla stesura manoscritta a quella definitiva, pubblicata ufficialmente, viene eliminato il primo paragrafo, contenente un esplicito riferimento al Manifesto: «Il Gran Consiglio fa sue le dieci proposizioni elaborate dagli Universitari Fascisti, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare ed approvate successivamente dal Segretario del Partito»31. Nel settembre 1938, la costituzione del Consiglio superiore della Demografia e Razza, presieduto da Giacomo Acerbo, vede la totale esclusione dei razzisti biologici che fanno capo alla «Difesa della razza»32. Se ne accorge Lidio Cipriani, che scrive allarmato a Landra:

Ieri alle venti ebbi una telefonata un po’ strana all’albergo Ambasciatori. Era Magnino il quale mi disse che trovandosi presso la direzione generale per la demografia e la razza, non so in che qualità, mi domandava per conto del Ministero dell’Interno se ero coniugato o meno. Capii subito l’antifona, come la capirai anche te. Naturalmente dissi la verità e cioè che disponevo soltanto – per quanto numerose – di mogli adottive. La domanda rivela la necessità di occuparsi attivamente e senza indugio delle nomine in seno al Consiglio Superiore per la demografia e la razza, perché mi sembra chiaro che vi sia chi lo fa a proprio vantaggio e quindi a nostro danno. Ne risulte- rebbe un effetto che potrebbe essere disastroso sull’opinione pubblica in quanto chiunque ne desumerebbe un cambiamento di rotta nella politica razzista già a poche settimane di distanza dal suo primo nascere33 .

Le stesse modalità interlandiane di conduzione della campagna antiebraica divengono ben presto oggetto di critica. Nella citata riunione del Gran Consiglio del 6 ottobre, alcuni membri esprimono, infatti, la loro disapprovazione nei confronti degli articoli pubblicati dal «Tevere» contro gli ebrei. Lo comunica alcuni giorni dopo il ministro Alfieri a Interlandi, il quale reagisce duramente, scrivendo, il 28 ottobre, a Mussolini – su carta intestata della «Difesa della razza» – per precisare che tutti i passaggi della campagna di stampa – in particolare, gli attacchi ai docenti universitari e ai professionisti ebrei («con fatti personali» e «indirizzo di casa») – sono stati preventivamente concordati con il ministero della Cultura Popolare34. Di conseguenza, se errori «di metodo» sono stati compiuti, essi vanno giudicati come «un eccesso di zelo fascista», del tutto giustificabile in «uno scrittore che porta nella sua azione giornalistica non solo vivacità di stile ma fede profonda e intransigente»35. Chiedendo a Mussolini una parola risolutrice, «di disapprovazione o di simpatia», Interlandi rifiuta di passare «per un settario, per un maniaco, per uno squilibrato» e ribadisce di non aver fatto «altro che obbedire a una consegna»36. Al termine della sua lettera, il direttore del «Tevere» lancia un allarme: «Vogliate anche tener presente che mentre si cerca di mortificare il mio spirito battagliero, riprende il sopravvento (come potrei dimostrarVi) un certo intellettualismo accomodante, transigente e smidollato che costituisce l’alleato più prezioso del giudaismo antifascista»37 .

Le parole di Interlandi si riferiscono probabilmente alla crescente influenza della corrente nazional-razzista, politicamente guidata da Giacomo Acerbo38 e scientificamente incarnata da Nicola Pende, l’endocrinologo che Interlandi ha accusato, soltanto alcuni giorni prima, di aver aderito strumentalmente al Manifesto del luglio 1938 per poter immettere nell’organizzazione politica del razzismo il proprio «antirazzismo», ovvero le sue idee sulla «bonifica ortogenetica individuale»39. L’attacco del «Tevere» segue, in quel momento, una precisa direttiva politica: il ministero della Cultura Popolare ha infatti elaborato, il 16 ottobre, un comunica-

62Capitolo secondo to in cui si invita «a non occuparsi più di quello che fa e di quello che scrive il Senatore prof. Pende»40. Il 18 ottobre Pende invoca, in una lettera a Mussolini, «giustizia piena ed esemplare» contro Interlandi, sottolineando non senza ironia come le sue teorie abbiano riscosso «l’approvazione dell’altra sponda del Tevere», cioè della Santa Sede41. Ad Alfieri, Pende scrive tre lettere, chiedendo di essere difeso: «Vogliate voi dire al Duce che dia ordini all’Interlandi di lasciarmi in pace»42. Il 20 ottobre un nuovo ordine viene inviato alla stampa: «In deroga a precedente disposizione i giornali dovranno riportare la relazione che il Senatore prof. Pende farà nella seduta di domani al Policlinico, durante i lavori del Congresso di Medicina Interna»43. L’ostracismo è durato dunque soltanto quattro giorni e il suo esito prelude chiaramente a un mutamento di rotta e a un adeguamento della dottrina razzista ufficiale.

Sul piano istituzionale, la svolta si produce nel febbraio 1939, quando Sabato Visco assume il controllo dell’Ufficio Razza del ministero della Cultura Popolare, al posto di Guido Landra. Il cambio di guardia non tarda a far sentire i suoi effetti sulla situazione generale della «Difesa della razza». Tra il febbraio 1939 e il luglio 1940, Visco segnala, infatti, criticamente al ministero della Cultura Popolare numerosi articoli pubblicati sulla rivista. È il caso, ad esempio, dell’articolo di Landra, Gli studi della razza in Italia prima del razzismo 44, le cui polemiche sulla scarsa recezione del razzismo all’interno degli insegnamenti universitari di antropologia vengono giudicate «esorbitanti ed allarmanti»45. Nel settembre 1939, è la volta di un articolo che irride la figura del sindaco di New York, Fiorello La Guardia46: «Richiamo l’attenzione, – si legge nella nota dell’Ufficio Razza, – sull’articolo “Fatti e misfatti” violentissimo contro Fiorello La Guardia Sindaco di New York e probabilmente prossimo candidato alla Presidenza della Repubblica Nord Americana. Non so se in questo momento convenga, in una pubblicazione che all’estero è considerata ufficiale, far comparire il predetto articolo»47. Pochi mesi dopo, Visco giudica «profondamente sciocco» l’articolo Razza e storia, nel quale si troverebbero «apprezzamenti poco simpatici sulle qualità guerriere del popolo svizzero»48. In un appunto inviato al ministro della Cultura Popolare, il 3 marzo 1940, a essere oggetto di critica sono ben tre scritti apparsi sulla «Difesa della razza»: l’articolo di Evola su

I sessi e la razza viene giudicato privo di «fondamento scientifico», mentre l’articolo La razza portoghese è descritto come «una specie di rebus», che rivela nell’autore «un certo stato di confusione». Ma l’attacco più pungente riguarda nuovamente Guido Landra:

È curioso rilevare molto spesso negli articoli del Dott. Guido Landra una esaltazione degli antropologi tedeschi e una dimenticanza dell’opera degli antropologi italiani. I lavori sui capelli, che poi danno lo spunto a tutto l’articolo, sono stati fatti in Italia con metodi e sotto la guida di Sergio Sergi Professore di antropologia nella Università di Roma, che nell’articolo stesso non viene neppure citato49 .

Ancora nel luglio 1940 è l’eugenica «negativa» della «Difesa della razza» a essere respinta:

Pag. 31 – 2a colonna: l’autore afferma che il problema della eugenica in Italia non sia stato ancora affrontato; se egli intende in senso tedesco, cioè con sterilizzazione ecc., il problema è stato affrontato, discusso e respinto; se è l’eugenica in senso di protezione della madre e i suggerimenti nella scelta del consorte, si può dire che in Italia è stato fatto moltissimo50 .

Nello stesso mese, nuovi appunti del ministero della Cultura Popolare, nei quali si accusa il quindicinale di esaltare eccessivamente la «scienza tedesca» e di dimenticare che i «sangue-misti sono, nella legislazione italiana, considerati ariani»51, suscitano le ire di Interlandi, in servizio, nel frattempo, presso la Milizia Artiglieria Marittima, il quale scrive a Mussolini:

L’esame delle bozze del fascicolo che io credevo fosse fatta da Voi personalmente, è fatto da un anonimo ufficio del Ministero della Cultura Popolare; e da qualche tempo viene esercitato con uno spirito polemico e ostruzionistico che disanima i compilatori. Valga l’esempio che Vi sottopongo: le critiche al fascicolo occupano circa tre facciate dattilografate, che sono accluse a questa lettera, dal tono delle quali è facile intendere che si mira a gettare un sospetto di incompetenza, e, peggio, di tendenziosità, a quanto la rivista vorrebbe pubblicare. Io non desidero, in questo momento, entrare nel merito di dette critiche (non ho sotto mano il fascicolo incriminato); dico soltanto che questo sistema paralizza la vita della rivista e mette il suo direttore, da Voi a suo tempo scelto con una fiducia che sempre lo onora, in condizioni di inferiorità e di minorazione52 .

Oltre ai contenuti, a essere oggetto delle strategie offensive di Visco è la redazione stessa della «Difesa della razza». Nell’aprile 1939 e nel maggio 1940, il ministero della Cultura Popolare, su indicazione di Visco, sospende, infatti, le sovvenzioni mensili desti- nate, rispettivamente, a Lino Businco e a Leone Franzì53. Con l’estate, l’onda travolge Cipriani. A un’inchiesta del ministero dell’Educazione Nazionale, che attesta gli illeciti amministrativi commessi dall’antropologo, rimuovendolo dalla carica di direttore dell’Istituto fiorentino, si aggiunge l’azione di Visco, il quale recupera una recensione della quarta edizione del celebre manuale Baur-Fischer-Lenz (1921)54, in cui lo stesso Cipriani, nel 1936, assimilava positivamente gli «israeliti» ai «mediterranei» e giudicava incompatibile l’antisemitismo con il «pensiero latino».

Noi li giudichiamo quali Mediterranei in mezzo agli altri, con una religione dello stesso ceppo della cristiana e muniti di innegabili doti di astrazione che completano la tempra latina, eminentemente d’azione, onde non si pensa a sopraffazioni, bensì a proficua e sincera solidarietà. Esula quindi dal pensiero latino ogni desiderio di aprire una questione semitica o suscitare quella diffidenza reciproca, caratteristica di altre latitudini55

Visco invia copia di questa recensione a Giuseppe Giustini, direttore generale dell’Ordine Superiore del ministero dell’Educazione Nazionale, con il chiaro intento di influenzare l’esito dell’inchiesta a carico di Cipriani: «Ti aggiungo copia – afferma Visco – di che cosa questo individuo ha scritto sugli ebrei nel 1936, cioè appena due anni avanti la pubblicazione del manifesto razzista italiano. Quando verrà a fare la vittima, potrai fargli rileggere quello che forse ha già dimenticato»56. L’antropologo accusa il colpo, come dimostra una sua lettera a Visco del 23 luglio 1940:

Vi ringrazio per la copia che cortesemente mi trasmettete di una mia recensione comparsa sull’«Archivio per l’Antropologia», 1936, p. 56. Non c’è che dire.

Ho avuto comunicazioni dal rettore dell’Università di Firenze della decisione del Ministro circa il mio posto di aiuto e di incaricato. L’insieme delle cose mi induce a una grande oculatezza per il futuro. Spero che mi manterrete la Vostra stima. L’ispettore comm. Gaetani che ha condotto l’inchiesta potrebbe dirVi, ritengo, che errori per parte mia ce ne furono ma non tali da ledere la mia onorabilità. E tanto e tanto detti a quell’istituto che debbo lasciare!57

Rimosso dai ruoli scientifico-accademici, Cipriani sarà anche sospeso, a partire dal luglio 1941, dal suo incarico presso l’Ufficio Razza. È Visco a riassumere per Celso Luciano, capogabinetto del ministero della Cultura Popolare, lo svolgimento dell’intera vicenda:

1º. In seguito ai risultati di un’inchiesta amministrativa il Cipriani è stato allontanato dalla direzione dell’Istituto di Antropologia della R. Università di Firenze e gli è stato tolto l’incarico dell’insegnamento dell’antropologia presso la predetta Università. Fu soltanto per mio interessamento che il Ministro Bottai non lo deferì all’Autorità Giudiziaria […]

2º. Nel campo razziale il Cipriani o non ha avuto idee precise, o ha oscillato tra le tendenze più diverse, o ne ha avute di pericolose. Rientrano in quest’ultima categoria le affermazioni che gli ebrei siano mediterranei in mezzo agli altri […].

3º. Recentemente, in seguito a comunicazione del Ministero dell’Educazione Nazionale dell’infortunio capitato al Cipriani a Firenze, sono stato interpellato circa l’opportunità o meno che gli fosse conservato l’assegno mensile che percepisce. Dato che nessuna attività ha svolta per questo Ufficio, ho proposto che l’assegnazione gli venisse sospesa dal 1º luglio58 .

Nel frattempo, l’offensiva di Visco ha raggiunto, nell’estateautunno 1940, il suo apice, travolgendo anche Guido Landra, la figura sicuramente più significativa del comitato redazionale della «Difesa della razza».

Il licenziamento di Landra dalla sua carica di addetto presso il ministero della Cultura Popolare è in realtà l’epilogo dei violenti contrasti fra le diverse anime del razzismo fascista, innescati dalla pubblicazione, nel 1940, del saggio di Giacomo Acerbo, I fondamenti della dottrina fascista della razza59 .

Membro del Gran Consiglio del fascismo e presidente dell’Istituto internazionale di Agricoltura, Acerbo è oggetto delle invettive del «Tevere» fin dal settembre 1938. Nella rubrica Ritratto degli ebrei d’Italia, una lettera firmata A. G. denuncia, infatti, l’Istituto internazionale di Agricoltura come una delle «rocche forti del giudaismo», un «covo di antifascismo e di traditori» nel bel mezzo della capitale, dove «gli ebrei detengono il venti per cento dei posti dell’organico»60. Acerbo reagisce immediatamente con una lettera a Dino Alfieri, ministro della Cultura Popolare, in cui, oltre alla precisazione che «nessun funzionario di razza israelitica occupa gradi direttivi o comunque elevati» all’interno dell’Istituto, s’invoca il diretto intervento politico contro l’«interferenza» di Interlandi61. Pochi giorni dopo, Alfieri assicura di aver «già provveduto perché il fatto deplorevole non abbia a ripetersi»62 .

Tra l’ottobre e il dicembre 1938, Acerbo sottopone all’attenzione di Mussolini e del ministero della Cultura Popolare i principî generali di una nuova impostazione «etno-storica» del «pro- blema della razza» in Italia, finalizzata a riorientare le posizioni teoriche espresse dal Manifesto del luglio 1938 in una duplice direzione: in primo luogo, l’accentuazione del dato «storico» e «culturale» rispetto a quello puramente «biologico»; in secondo luogo, il ridimensionamento del concetto di «arianità» a favore invece di quello di «mediterraneità» della «razza italica». Questi due presupposti – entrambi tesi a sottolineare l’autonomia del razzismo fascista rispetto a quello nazionalsocialista – dovrebbero costituire l’intelaiatura fondamentale di una conferenza, che Acerbo – come si legge in una lettera ad Alfieri – ha in mente fin dal dicembre 1938:

La vetustà della formazione della razza italica qualunque siano gli elementi primordiali che hanno contribuito a formarla e qualunque sia stato il loro relativo conferimento, resta sempre la base della questione razziale in Italia. Dimostrare, secondo le ultime conclusioni della scienza, che il ceppo originario della Nazione italiana si è essenzialmente formato nella remotissima età dei metalli (e non solamente mille anni fa, cioè dopo le cosiddette invasioni barbariche medievali, come hanno preteso gli studiosi tedeschi) torna, io credo, a maggiore dignità e prestigio della nostra storia; anche perché conferma che la razza da cui ebbe vita l’impero universale di Roma è essenzialmente la stessa che, dopo fortunose vicende, ha creato l’Umanesimo e il Rinascimento, e ha compiuto poi il Risorgimento nazionale e la Marcia su Roma, senza bisogno di dover ricevere, fra l’età antica e quella moderna, il conferimento di nuove energie e di nuovo sangue dalle genti d’oltralpe, se non in proporzioni irrilevanti sia nel rispetto biologico sia in quello culturale e morale.

È questo il punto essenziale che desidererei svolgere in una conferenza […]63 .

L’impostazione di Acerbo viene approvata da Mussolini il 23 dicembre 1938, con un’unica, rilevante riserva, volta a salvaguardare il concetto di «arianità» dalle critiche più pesanti64. La conferenza si tiene a distanza di poco più di un anno, il 27 gennaio 1940, presso la sede fiorentina dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista. Dei tre titoli proposti da Acerbo – La dottrina fascista della razza, I fattori spirituali e storici della dottrina fascista della razza e Il fattore spirituale e il fondamento storico della dottrina fascista della razza 65 – quello effettivamente adottato, I fondamenti della dottrina fascista della razza,accentua indubbiamente il carattere di ufficialità politica dell’iniziativa. Pubblicizzato sulla prima pagina del «Corriere della Sera» del 28 febbraio 194066, il testo della conferenza viene trasmesso, in marzo, all’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza di Visco, che ne cura «con grande diligenza» (per usare le parole di Acerbo) la stampa67 .

«Quali siano i caratteri distintivi della razza nel senso antropologico, – si legge nelle prime pagine del libro, – e quanti di tali caratteri debbano prendersi a criterii nettamente differenziativi, non è stato ancora concordemente stabilito»68. Quel che è certo, invece, è la necessità che il fascismo superi «i termini naturalistici del problema della razza»69 e approdi piuttosto a una visione «sintetica», capace di mettere in rilievo, nel «processo dell’ereditarietà», i «fattori spirituali della tradizione e del costume»70. Citando gli studi di Canella, di Pende e di Marro, Acerbo sostiene quindi l’idea di una «razza italica», una compagine etnica – «biologica, sociale e spirituale insieme»71 – sostanzialmente stabile da più di tremila anni e da non confondersi con la «razza aria», nozione adottata solo convenzionalmente e provvisoriamente al fine di «impostare in un primo momento la politica della razza in ragione e in funzione del prestigio che la Madre Patria deve assumere di fronte alle popolazioni del nuovo Impero, e di separare dalle attività direttive e formative dell’organismo nazionale la minoranza giudaica»72 .

L’uscita dei Fondamenti di Acerbo rappresenta, nel luglio 1940, un nuovo casus belli, che vede la corrente razzista interlandiana allearsi con il filone esoterico-tradizionalista di Giovanni Preziosi e della «Vita Italiana» al fine di fronteggiare l’avanzata ideologicopolitica del nazional-razzismo di Acerbo e di Visco73. Non è certo un caso, infatti, che la nota di Preziosi, intitolata Per la serietà degli studi razziali italiani(Dedicato al camerata Giacomo Acerbo), venga pubblicata contemporaneamente sia sulla «Vita Italiana» che sulla terza pagina del «Tevere»74. Ad Acerbo, Preziosi rimprovera di aver fatto «rifiorire le manifestazioni delle teorie positivistiche del secolo scorso che facevan capo al vecchio Giuseppe Sergi», venendo così incontro «ai giudei, ai massoni ed ai nemici dell’Asse». Nello specifico, le accuse del giornalista sono puntuali e circostanziate: Acerbo ha infatti citato il «famigerato e antirazzista congresso di eugenica di Parigi», organizzato dallo statistico e demografo Corrado Gini75; ha criticato la validità concettuale della nozione di razza; non ha ricordato il Manifesto del 1938; ha ripetuto i versi di Rutilio Namaziano sulla «Roma universalistica della decadenza»; ha ripreso «la vecchia e superata teoria sergia-

68Capitolo secondo na della stirpe mediterranea», negando l’«origine ariana» degli italiani; ha «ignorato completamente l’esistenza del problema ebraico» e, «invece di attaccare i giudei», si è spinto fino a «ricordare l’odio contro la Germania». Le stesse illustrazioni fuori testo del volume di Acerbo, raffiguranti la «Vittoria di Mario sui Cimbri» e il «Combattimento tra Romani e Barbari» sono, per Preziosi, un chiaro indizio dell’impostazione «antigermanica» del saggio76. All’articolo, Interlandi aggiunge un commento, che ne estende le argomentazioni critiche anche alla rivista «Razza e Civiltà», che Acerbo ha citato in bibliografia prima della «Difesa della razza»77: Abbiamo riprodotto testualmente dalla «Vita Italiana» del camerata Preziosi questa opportunissima ed efficacissima nota, intendendo con ciò farla nostra. È veramente doloroso che il Razzismo italiano vada a finire in mani di persone che non ne ebbero neppure il sospetto fino a quando una dottrina e una trattazione non furono elaborate da altri; fino a quando non parve necessario ed opportuno tentare la grande adulterazione del Razzismo per gabbare il santo e chiudere la festa. Quello che il camerata Preziosi dice dei pensieri dell’ottimo Acerbo, si potrebbe dire di una rivista intitolata alla Razza e alla Civiltà, piena di tronfie affermazioni antirazziste e di puerili genericità da università popolare. L’arroganza e la sufficienza con le quali gli ultimi venuti sputano sentenze in materia di Razzismo sono sconsolanti, specie per coloro che sostennero le prime e le sole battaglie per quella dottrina e ne diffusero con successo i principii e ne difesero la necessaria integrità. Essi vorrebbero chiedere un po’ di vigilanza su tanta attività esibizionistica, e sostanzialmente antirazzista 78 .

Il 16 luglio 1940, un non meglio identificato «studioso» scrive alla redazione del «Tevere» per prendere le difese di Acerbo. L’autore dei Fondamenti della dottrina fascista della razza si sarebbe limitato, secondo l’anonimo, a dimostrare come «non esista tra gli scienziati l’accordo sul concetto di razza». Allo stesso modo non vi sarebbe alcuna relazione «tra le proposizioni del manifesto e una discussione scientifica sul concetto di razza». Quanto ai versi di Rutilio Namaziano, essi si riferirebbero, nelle intenzioni di Acerbo, alla positiva «opera purificatrice delle stirpi italiche compiuta da Roma». Anche «la discussione sugli ariani» – prosegue «lo studioso» – rimane, in realtà, «tuttora aperta», ed è per questo che «la legislazione sia italiana che tedesca non ha abusato della parola “ariano”». Del resto, «basta leggere la Storia di Roma antica di Mommsen (uno storico tedesco!) per apprendere la superiorità dei romani e dei mediterranei sui “barbari” germanici»79 .

Il giorno dopo, sulla terza pagina del quotidiano diretto da Interlandi, Giuseppe Dell’Isola, alias Giuseppe Pensabene, parte proprio dai versi di Namaziano per approfondire la sua critica nei confronti di Acerbo e dello «studioso», suo difensore d’ufficio. La Roma a cui faceva riferimento il poeta gallico del v secolo era, infatti, «la Roma universalistica della decadenza la quale aveva dato, già da due secoli, la cittadinanza a tutti i popoli e le razze dell’Impero, compresi gli ebrei, i levantini, gli orientali e gli africani». In secondo luogo, ritenere che il Manifesto del 1938 non abbia relazioni con una «discussione scientifica sul concetto di razza» è, secondo Pensabene, «una ingenuità»: il «Manifesto razziale, – afferma infatti il giornalista, – fu pubblicato sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare» e a esso hanno aderito «eminenti personalità del mondo scientifico italiano», tra cui vengono elencati i nomi di Pende, Visco, Zavattari, Donaggio e Savorgnan80 .

Per quanto riguarda, poi, il significato della parola «ariano», le «elucubrazioni che si perdono nella notte dei secoli» non hanno alcun valore dal punto di vista legislativo e politico. Tutte le discussioni che intendano sollevare dubbi «sull’opportunità, o no, di usare tale parola» sono, per Pensabene, «perfettamente superate e tendenziose»: «Quando un agente di pubblica sicurezza viene a chiedere notizie sulle origini di una persona, chiede se essa è di razza ariana o meno. In tutti gli atti ufficiali il termine di razza ariana è l’unico che ricorre»81. Parlare, infine, di «barbari» a proposito delle popolazioni germaniche vuol dire adottare un termine che ha «un significato nettamente offensivo»: «Provi il nostro studioso ad enunziare i suoi concetti davanti ai camerati dell’Asse, e vedrà la reazione»82. È vero, come sostengono Acerbo e «lo studioso», che la «razza italiana» esiste, ma essa – precisa, in conclusione, Pensabene – è di «origine ariana», e non è certo imparentata, come vorrebbe invece l’ipotesi sergiana ripresa da Acerbo, con i «berberi dell’Africa» o i «levantini dell’Asia Minore».

Nel numero di agosto 1938, il testo di un articolo scritto da Acerbo e destinato «ad un giornale, o a una rivista, che non fossero, però, né «Il Regime Fascista», né «La Vita Italiana»»83, viene pubblicato proprio sul mensile di Preziosi. A consegnarlo al giornalista è Roberto Farinacci, venutone in possesso «per vera combinazione». Scrive, infatti, Farinacci a Preziosi:

Per vera combinazione lo scritto è venuto a finire nelle mie mani. Non ti occorre sapere come. La mole della pappardella mi vieta di stamparla sul mio giornale. Allora, la affido a te, perché venga pubblicata su «La Vita Italiana», con quel commento che il buon Giacomino si merita.

Non ti scandalizzare del linguaggio polemico dell’articolo. In pieno agosto il caldo ha fatto diventare dinamicissimo anche il nostro camerata. […]

Tu non hai bisogno di suggerimenti perché è dal 1914 che svisceri a fondo il problema ebraico; però nel tuo commento non dimenticare di tener presente che, da quando fu facile, o utile, fare il razzista, sono spuntate, come funghi, quattro o cinque riviste, le quali tutte vanno d’accordo tra loro come cani e gatti.

Che cosa devono apprendere i lettori che si trovano di fronte a dottrine ed orientamenti così contrastanti?84 .

Nell’articolo, Acerbo dichiara di aver voluto dare «un indirizzo non angusto e unilaterale» alla «politica fascista della razza», ribadendo l’antichità e l’omogeneità della «stirpe» italica, certamente estranea al «popolo ebraico» ma ben distinta, come «entità etnicostorica», dalla nazione tedesca. È soprattutto intorno al termine «ariano» che i toni di Acerbo si infiammano: «l’appellativo “ariano”» non denoterebbe, sul piano scientifico, nient’altro che «una parentela linguistica e culturale lontanissima da ogni omogeneità biologica»85. La replica di Preziosi si concentra, in particolare, su quest’ultimo aspetto, gettando sulle tesi di Acerbo l’accusa di «filogiudaismo»: «Il termine “ariano”, – sottolinea polemicamente Preziosi, – è l’unico impiegato nel linguaggio comune di tutti i paesi del mondo per indicare sinteticamente i popoli di origine europea appartenenti alle razze nordica, felica, dinarica, mediterranea, alpina (non orientale come scrive maltraducendo Acerbo) e baltica»86 .

Alla fine di settembre, Acerbo consegna al ministero della Cultura Popolare la bozza di un suo articolo di risposta alle «battute polemiche» della «Vita Italiana» e del «Regime Fascista», chiedendo a Mussolini che venga pubblicato sul «Giornale d’Italia»87 Il testo, intitolato A proposito di studi razziali, si appella alla «serietà scientifica», contrapposta agli «scambietti», le «faceziuole» e le «piccole insolenze» di Preziosi e Farinacci. «Giochetti» e «artifizi» che hanno indotto il ras di Cremona a mentire, pur di pubblicare sulla «Vita Italiana» l’articolo di Acerbo: «Io difatti detti quello scritto all’Ufficio Razza del Ministero della Cultura Popolare rimettendomi al suo criterio per la scelta del periodico ove dovesse apparire. Né il Farinacci lo ebbe per caso, giacché gli fu per- sonalmente consegnato da un Camerata gerarca con l’incarico preciso di farlo pubblicare ne “La Vita Italiana”»88. Quanto poi alla questione della conciliabilità della politica antisemita del fascismo con la teoria «mediterranea» della razza, Acerbo non ha dubbi in proposito: «siffatta politica», infatti, può essere meglio giustificata e convalidata «da una dottrina la quale rivendica alle stirpi italiche un’origine remotissima e una purezza e omogeneità affermatesi lungo i millenni della sua storia»89 .

Per decisione di Mussolini, l’articolo di Acerbo non viene pubblicato, ma questo non basta a sedare le polemiche. Accolto con entusiasmo da una recensione di Messineo, pubblicata dalla «Civiltà Cattolica»90, il saggio di Acerbo attira nuovamente gli strali del «Tevere». Quello di Acerbo – sentenzia causticamente il solito Pensabene, nel novembre 1940 – è «il razzismo che piace ai Gesuiti». Ma se per la Chiesa non vi sono che anime da salvare, indipendentemente dalla loro «qualità», la politica deve, invece, occuparsi necessariamente del miglioramento qualitativo dei «corpi» e delle «anime» di una nazione: «I due compiti sono distinti: si capisce che le opinioni siano diverse»91. Nel fascicolo di ottobre, «La Vita Italiana» di Preziosi è tornata a farsi sentire, con una nota denigratrice nei confronti di Acerbo e di Arturo Sabatini, libero docente di antropologia all’Università di Roma, descritti come razzisti «dell’ultima ora» che si atteggiano a «precursori» per accaparrarsi «cattedre, cariche ed incarichi»92. Acerbo scrive a questo punto una lettera infuocata a Pavolini, ministro della Cultura Popolare:

Il fatto su cui non posso non richiamare la tua attenzione è che con questa ennesima aggressione contro di me, rimane ribadito, mi sembra, il principio che mentre a me è stata preclusa la possibilità di spiegare il mio pensiero con tutta serenità ed obbiettività, ai miei competitori viene lasciata libertà di punzecchiarmi e di denigrarmi a loro beneplacito.

Or io, come ben sai, ho accolto con piena disciplina l’ordine di non protrarre la polemica, ben compreso delle superiori ragioni che lo hanno motivato; ma non posso tacerti che lo stile con cui viene condotta questa specie di campagna contro di me mi ricorda molto da vicino quello di cui fui onorato dal «Becco Giallo» durante la «quartarella».

Lascio a te, ed al tuo sentire di vecchio camerata, il giudizio su questo stato di cose93 .

Il 7 novembre, Pavolini chiama, dunque, Preziosi, e lo invita

«a smettere una volta per sempre ogni accenno polemico» nei riguardi di Acerbo94 .

Il confronto fra Acerbo, da un lato, e, dall’altro, la triade Interlandi-Preziosi-Farinacci, conosce, nel settembre-ottobre 1940, pesanti ripercussioni sull’assetto redazionale della «Difesa della razza». Alla fine di agosto, Carlo Barduzzi, giornalista del «Tevere» e della «Difesa della razza»95, viene licenziato improvvisamente, senza spiegazioni. Negli esposti inviati al gabinetto del ministero della Cultura Popolare, Barduzzi parla di «una manovra del prof. Landra, che ambisce prendere il mio posto» ed esplicita la sua ostilità nei confronti di Massimo Lelj, collaboratore della «Difesa della razza» giudicato «incompetente di questioni razziali»96, ma dichiara anche di aver disapprovato la condotta interlandiana nei confronti del libro di Acerbo, giungendo a proporre il nome di quest’ultimo alla direzione della «Difesa della razza», al posto di Interlandi: Debbo aggiungere che io ho disapprovato l’attacco violento condotto contro l’opuscolo dell’Eccellenza Acerbo, poiché esso ha indubbiamente dei pregi e la questione biologica-antropologica si può vedere sotto differenti punti di vista come lo dimostrano le discussioni sempre vive. Il Camerata Acerbo poi ha delle grandi benemerenze militari e politiche che non si possono dimenticare e come studioso non è al disotto di altri. Anzi a mio parere esso sarebbe indicato come direttore della rivista cui darebbe certamente un indirizzo migliore97 .

Nei giorni successivi, dopo aver denunciato le carenze organizzative della redazione della «Difesa della razza» e l’inefficienza del suo direttore e di collaboratori come Landra e Lelj, Barduzzi torna a chiedere il cambio della guardia, prospettando non solo il nome di Acerbo ma anche quello di Visco: «Ora che è scesa tanto, per rialzarne le sorti credo sia anzitutto necessario che la direzione sia affidata a un’alta personalità del Regime come potrebbero essere l’Eccellenza Acerbo o il Consigliere Visco»98 .

Negli stessi mesi, oltre a mettere in dubbio la solidità della direzione di Interlandi, il «caso» Acerbo coinvolge anche Guido Landra. Accusato da Visco di essere stato il «promotore della polemica contro il libro di Acerbo»99, il 26 settembre 1940 Landra viene licenziato dalla sua carica di addetto dell’Ufficio Razza del ministero della Cultura Popolare. Nello stesso giorno, il giovane antropologo chiede soccorso a Preziosi, contestando l’addebito nei suoi confronti:

È inutile che proprio a Voi io spieghi l’assurdità di tale accusa. Come ben ricordate difatti, foste Voi tre mesi or sono a convocarmi per elevare delle critiche contro il libro di Acerbo, della cui pubblicazione mi credevate colpevole. Al che io Vi risposi che in essa non ero affatto entrato. In seguito «La Vita Italiana» pubblicò i Vostri quesiti, ripresi dal «Tevere» e dal «Regime Fascista» e più recentemente ancora la risposta di Acerbo e la lettera di Farinacci.

Ora, caro Preziosi, si è verificato il fatto che per avere collaborato alla «Vita Italiana» ed essere stato in buone relazioni con Voi, ho perso il mio posto al Ministero100 .

Rivendicando il fatto di «essere stato il compilatore del Manifesto Razziale, il Capo dell’Ufficio Razza» e di «avere ricevuto l’elogio del Duce e del Fuehrer», Landra si lamenta di essere stato ridotto nella condizione di «uno spostato»: «questi due anni di lotta contro i giudei e gli antifascisti – afferma – mi peseranno come una colpa»101. Sugli stessi toni vittimistici è impostata la lettera che Landra indirizza, il 27 settembre, a Mussolini. Ad aggravare la situazione si aggiunge l’esito negativo del concorso di antropologia di Palermo, al quale Landra ha partecipato senza successo:

«Si sono così avverate, – scrive l’antropologo, – fino alle estreme conseguenze le minacce con le quali gli ebrei e gli scienziati antirazzisti avevano salutato fin dall’inizio la mia azione per la politica della razza»102. Il 28 settembre, Preziosi scrive a Mussolini, manifestando tutta la sua ostilità nei confronti di Visco e chiedendo giustizia per Landra:

Duce, il rispetto religioso che ho del Vostro tempo mi ha indotto a tacerVi casi non diversi da quello di cui è parola nella unita lettera del Prof. Guido Landra. Se questo caso Vi sottopongo è perché – prima ancora dell’espletamento del concorso – è stato anche detto che Landra non avrà neppure la cattedra di Antropologia dell’Università di Palermo.

Duce, se qualcuno a fine del 1936 mi avesse detto che il giorno in cui l’Italia avrebbe col problema razziale affrontato anche quello ebraico, il professor Sabato Visco sarebbe stato messo a capo dell’«Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza», avrei qualificato la battuta un «per finire». Non dimenticherò mai con quale accanimento, discorrendo con me, egli negasse la esistenza di un problema ebraico una sera che uscimmo insieme dalla casa dell’oggi Accademico d’Italia Angelo Zanelli (conoscitore sicuro del problema ebraico) del quale, con il Senatore Bastianelli, eravamo stati ospiti. E questo non è tutto. Non vorrei essere, indirettamente, causa di nuovi danni al Professor Landra103

Osvaldo Sebastiani, segretario particolare di Mussolini, un esposto ove elenca tre «possibilità pratiche di soluzione della disgraziata situazione», in cui dichiara di trovarsi per la parte «avuta nella politica razziale italiana»: la nomina a professore ordinario di biologia delle razze umane; l’assunzione a un «posto statale di grado non inferiore al VI»; una borsa di studio di almeno 3360 lire, in attesa del concorso universitario104. Mussolini ha però già preso una decisione, come si deduce da un appunto della Segreteria particolare datato 30 settembre: «Il Duce ne ha parlato con Pavolini. Gli sarà dato altro incarico al Ministero della Cultura Popolare».

Il salvataggio di Landra ad opera di Preziosi è forse l’aspetto più evidente della convergenza, maturata nell’estate 1940, fra il gruppo interlandiano e la corrente esoterico-tradizionalistica del razzismo fascista. Una sintonia che, tra l’agosto e l’ottobre 1940, non viene meno, risultando invece rafforzata dalla comune battaglia per l’inasprimento della legislazione antiebraica in vigore. Non è un caso, infatti, che la terza pagina del «Tevere» pubblichi e condivida esplicitamente due importanti prese di posizione espresse da Preziosi sulla «Vita Italiana», riguardanti, in primo luogo, la necessità di interrompere la politica delle «discriminazioni» e delle «arianizzazioni» degli ebrei105 e, in secondo luogo, l’istituzione di una «Carta della razza», ovvero di un «documento personale di arianità per ogni cittadino», con allegati la «dichiarazione dei principi fascisti della razza» e la «legislazione fascista della razza»106 . Occorre, tuttavia, attendere il 1942 per assistere a una nuova offensiva comune contro la corrente nazional-razzista paragonabile a quella scatenata nel luglio 1940. Nell’aprile di quest’anno, infatti, il Consiglio Superiore per la Demografia e la Razza, guidato da Acerbo, approva una relazione preparata da una commissione composta da sette membri (Giunio Salvi, Arnaldo Fioretti, Biagio Pace, Sergio Sergi, Antonino Pagliaro, Raffaele Corso, Umberto Pierantoni) «circa il problema generale e storico sulla razza italiana». Il testo tenta di disegnare la derivazione e la continuità della «stirpe italica» da una «razza preistorica, creatrice della civiltà neolitica, formata in prevalenza da tipi umani ancora oggi largamente distribuiti nella penisola». Su questa base fisio-psichica, formata da elementi proto-mediterranei, si sarebbero poi sovrapposte, attraverso invasioni successive, le culture arie. Roma anti- ca avrebbe operato il sincretismo fra queste due componenti e da allora tale omogeneità biologica e culturale sarebbe rimasta inalterata nel tempo. La Dichiarazione sul concetto della razza italiana non passa tuttavia all’unanimità, suscitando al contrario il profondo dissenso sia di Alberto Luchini, nuovo direttore dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza, sia di Camillo Pellizzi, direttore dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista. È in particolare Luchini a esplicitare il proprio disaccordo nei confronti dell’«orgoglio autoctono estremamente retrospettivo dei compilatori del documento» e a ribadire la chiarezza e la concretezza del Manifesto del 1938107 .

Pochi mesi dopo, la pubblicazione del saggio di Vincenzo Mazzei, intitolato Razza e Nazione, in cui si tenta di riproporre una nozione di razza intesa come «stirpe», sintesi di elementi storico-spiritualistici e biologico-naturalistici, determina nuove tensioni108 «Il Tevere» dell’11 settembre individua, infatti, in Razza e Nazione l’ennesimo «sfoggio di cultura libresca principalmente agganciata al neo-hegelismo di marca crociana», una «cultura cattolica» fiancheggiata da un «idealismo irreligioso, antinaturale ed antistorico». Nel centro del mirino del quotidiano di Interlandi vi è proprio l’adozione da parte di Mazzei del concetto di «stirpe», dal fascismo «bocciato da un pezzo poiché in esso le correnti idealistiche e gli spiritualisti unilaterali cattolicheggianti o meno riconoscono un termine convenzionale il quale serve ad affermare come la storia e la civiltà produrrebbero «idealisticamente» la razza»109. Ad essere stata completamente trascurata da Mazzei è, secondo il quotidiano di Interlandi, la «biologia profonda delle razze», ovvero l’«estensione degli studii biologici al campo psichico e spirituale»:

Se il Mazzei fosse un po’ meno filo-semita […] ed un po’ meno democratico ed anche meno antigermanico come il «suo» Acerbo – ampiamente citato – allora potrebbe accostarsi agli studii razzisti con l’animo e col cervello sgombri. E gli consiglieremmo di cominciare dallo studio della natura per risalire a quello della biologia delle razze ed alla biologia dell’uomo […]110

L’articolo apparso sul «Tevere», riprodotto sul numero del 20 settembre 1942 della «Difesa della razza», si conclude auspicando che il libro di Mazzei non venga tolto dalla circolazione, poiché «la sua presenza nelle librerie costituisce un documento di antirazzismo larvato ed autorizzerà qualcun altro ad occuparsene come facciamo noi». Un invito raccolto prontamente da Julius Evola,

76Capitolo secondo autore di una dura recensione, apparsa sulle pagine della «Vita Italiana». Anche per il filosofo tradizionalista, il riferimento di Mazzei a una «tradizione nazionale» può essere letto soltanto come una vaga operazione retorica di taglio democratico-storicistico, intesa a neutralizzare la necessaria ricerca, tanto nel passato quanto nel presente dell’Italia, del nucleo razziale nordico-ario che effettivamente incarna la Tradizione. La «razza», nella sua accezione più completa, non può, in sostanza, identificarsi con la «nazione»: «Questo mettere in rilievo i fattori astrattamente tradizionali, spiritualistici e “etnici” del processo “nazionalizzante” senza discriminare e senza chiedersi circa la loro origine – tutto ciò, anche se inconsapevolmente, è sopravvivenza tenace della concezione “democratica” sia dello Stato sia della stessa nazione»111 .

Come nel 1940 contro Acerbo, anche nella polemica del 1942 contro Mazzei il razzismo biologico del gruppo interlandiano sembra, dunque, stringere la mano alla corrente esoterico-tradizionalista di Preziosi. Ma i tempi, in realtà, sono cambiati. E la presenza di un nemico comune non basta più a mantenere salda l’alleanza.

2. La collaborazione di Julius Evola.

Già collaboratore del «Tevere» tra il 1928 e il 1930112, Julius Evola pubblica sulla «Difesa della razza», tra il gennaio 1939 e l’aprile 1942, più di trenta articoli, alcuni dei quali particolarmente rilevanti, tanto sul piano teorico quanto su quello ideologico-politico113. Il primo scritto evoliano a comparire sulla rivista di Interlandi definisce fin dal titolo, I tre gradi del problema della razza, l’«impostazione totalitaria del problema della razza» che il filosofo tradizionalista intende perseguire. Dal momento che «ogni indagine speciale risente […] dei presupposti impliciti o espliciti di una concezione generale»114, anche la teoria della razza dipende, infatti, secondo Evola, dalla «concezione che si ha dell’essere umano in genere»: «Se questa concezione è materialistica, anche la teoria della razza sarà materialistica. Se spiritualistica, sarà spiritualistica»115. Il razzismo «totalitario» prende, dunque, le mosse dalla concezione «tradizionale» dell’essere umano, caratterizzata dalla distinzione paradigmatica fra corpo, anima e spirito116 . Da tale tripartizione deriva non solo l’impossibilità teorica di un razzismo basato esclusivamente sull’«elemento corporeo», ma anche la sua inopportunità politica, a meno di non voler lasciare la «sfera superiore» dello spirito nelle mani degli antirazzisti: «L’esigenza di un inquadramento totalitario del problema della razza non è sottigliezza filosofica, ma costituisce la condizione a che la nostra posizione sia salda e si possa difenderla con le armi della verità, non con degli espedienti di abilità polemica»117 .

Alla distinzione nell’essere umano di corpo, anima e spirito corrispondono «tre gradi del problema della razza»: il razzismo di primo grado – «etnologico e antropologico» – studia il «dato corporeo»; il razzismo di secondo grado analizza, attraverso la metodologia «psicantropologica» elaborata in Germania da Ludwig Ferdinand Clauss, lo «stile dell’agire, del pensare, del sentire», il «modo d’essere», il «comportamento»118; il razzismo di terzo grado, «coronamento supremo dell’edificio razzista»119, estende, infine, la classificazione razziale al mondo dei culti, dei miti, dei simboli, interpretati come espressioni di «grandi idee universali», di «visioni generali, ma pur ben distinte, del mondo»120. Evola distingue poi fra la razza, intesa come «gruppo etnico nazionale», composto etnico misto, punto di intersezione e di equilibrio fra varie razze del corpo, dell’anima e dello spirito; la «razza primaria», ovvero l’elemento semplice, compreso nel composto etnico; e la razza in senso stretto, o «super-razza», individuabile come la «componente che, in seno a una data nazione, corrisponde alla razza più alta e al suo elemento più originario»121 .

La politica della razza, nella formulazione evoliana, discende da tale articolazione teorica. A un razzismo «difensivo», «profilattico», volto a impedire che «unioni con elementi eterogenei», diffondendo «tare fisiche e psichiche», contaminino la «razza-nazione», o che «influssi culturali» esterni ne modifichino i caratteri intellettuali nel senso del «livellamento», dell’«internazionalizzazione», della «standardizzazione», deve infatti affiancarsi, secondo Evola, un razzismo «positivo» o «attivo», a cui spetta, invece, il compito di enucleare, all’interno del «gruppo etnico nazionale», le «razze primarie» che lo compongono e, in particolare, la «super-razza»122. Evidente è la critica al razzismo esclusivamente biologico implicita in tale distinzione, ed Evola non esita, infatti, a esprimerla proprio dalle colonne della «Difesa della razza». L’«errore del razzismo materialista» – scrive infatti il filosofo

78Capitolo secondo nell’ottobre 1941 – consiste nel suo tentativo di realizzare la purezza razziale attraverso una «specie di allevamento, per non dire addirittura di zootecnica»: con «mezzi materiali» si può solo «procedere a una profilassi e a una igiene razziale», impedendo così che «per via di alterazioni e di contaminazioni il livello razziale di un popolo si abbassi ancora». Ma per ottenere, oltre a ciò, che «esso si innalzi e che la razza superiore, o razza in senso proprio, si risvegli», bisogna battere essenzialmente «una via diversa, spirituale e interiore»123. La razza pura – il nucleo ario-romano, nel caso dell’Italia – deve essere, dunque, oggetto di una sorta di «evocazione»: va «ridestata, enucleata, attuata».

Ma in che modo, con quali «metodi di reazione», è possibile effettuare questa «selezione interrazziale»? La risposta non manca nelle pagine evoliane della «Difesa della razza». In un significativo articolo del febbraio 1941, che inaugura sulla rivista la rubrica Filosofia, etica, mistica del razzismo, Evola invoca, innanzitutto, la necessità di superare, in materia di politica della razza, i limiti ideologico-politici fissati nel 1938. Il razzismo esclusivamente biologico non basta più. Ciò che conta ora – afferma il filosofo – è piuttosto il razzismo «totalitario», «una idea effettivamente rivoluzionaria», una «concezione generale della vita» che investa «tutte le manifestazioni culturali»: dalla filosofia alla storia, dall’etica al diritto, dalla «dottrina dello Stato» al «mondo spirituale»124. Così espresso, il «mito» della razza, agendo non solo sul corpo, ma anche sull’anima e sullo spirito, può davvero configurarsi come un’«idea-forza», un «centro di cristallizzazione» in grado di avviare il «processo della selezione razzista e della purificazione e dignificazione della “razza” italiana»125. Il «clima generale di una nazione» può inoltre facilitare, secondo Evola, un’«azione selettiva in grande»126. E quale migliore occasione di una guerra per ridestare «l’intima tensione» della razza? Non a caso diversi contributi evoliani sulla «Difesa della razza», tra l’ottobre 1939 e il gennaio 1940, delineano un’interpretazione esoterico-tradizionalista del conflitto in corso, a metà strada fra l’eroismo jüngeriano e la Bhagavad-g¥tÇ. «Prova del fuoco» per qualsiasi razza, la guerra diviene così, per la «superrazza» ariana, il momento giusto per ridestarsi e vivere, nell’«esperienza eroica», la piena sintesi ascetica fra elemento biologico ed elemento spirituale127 .

Infine, in questo «processo di precipitazione catalitica» alimentato dal «mito» esoterico-tradizionalistico della razza e dal rischio supremo della guerra, un ruolo fondamentale è svolto dai «Capi», ovvero da quella élite nella quale la «razza pura», intesa come armonioso equilibrio di corpo, anima e spirito, ha trovato finalmente realizzazione. Poiché nei «Capi» la razza è «realtà», mentre nel Volk essa è «possibilità», la stessa presenza di questa élite, di questo «ideale incarnato», non può non innescare «una lenta ma sicura differenziazione, per via della quale dalla matrice o sostanza elementare e confusa delle nazioni storiche prende forma, affiora e sempre più univocamente si afferma la “razza”, un tipo “puro”, nuovo e, a un tempo, antico, originario»128. La «selezione interrazziale» conduce, dunque, all’individuazione di un’«élite razziale» e quest’ultima determina, a sua volta, la progressiva formazione di una «gerarchia interrazziale», ovvero la riorganizzazione del corpo nazionale in una sorta di nuovo sistema di casta su base razziale, all’interno del quale ogni livello corrisponde a un «grado di realizzazione intermedia della razza»129: dal basso verso l’alto, si succederebbero i lavoratori (massima realizzazione della razza del corpo), i guerrieri (massima realizzazione della razza del corpo e dell’anima) e i «Capi» (perfetta coerenza fra corpo, anima e spirito). E quando parla di «selezione di un’élite razziale», Evola ha in mente un chiaro modello politico: quel sistema himmleriano delle SS, delle Napolas e dei Castelli dell’Ordine, che egli a più riprese indica alle autorità fasciste come punto di riferimento per trasformare finalmente il pnf in un effettivo «Ordine fascista dell’Impero italiano».

Se il razzismo «totalitario» di Evola fin dall’inizio non risparmia, dunque, critiche nei confronti del razzismo «materialista», è però soltanto a partire dall’estate-autunno del 1941 che la posizione evoliana comincia a suscitare non poche apprensioni presso l’entourage interlandiano che dirige «La Difesa della razza». Supportate dalla nomina di Alberto Luchini a direttore dell’Ufficio Studi e Propaganda sulla Razza, nel maggio 1941, e alimentate dagli entusiasmi mussoliniani per Sintesi di dottrina della razza 130, le teorie avanzate da Evola sembrano, infatti, trovare finalmente un’adeguata concretizzazione in due progetti specifici. Il primo, ideato nel luglio 1941, concerne l’elaborazione di un’indagine sulle componenti razziali del popolo italiano, sulla base della tripartizione corpo-anima-spirito. Dopo aver interessato gli enti locali

«per la designazione di quelle famiglie e di quei ceppi che in ogni luogo valgono come i più antichi», una commissione, secondo il progetto evoliano, dovrebbe operare «una scelta di tipi», da studiare «dal punto di vista di un razzismo completo, cioè della razza sia del corpo (biologica), sia dell’anima (carattere, vario stile della reattività interna), sia dello spirito (vocazioni spirituali, attitudini religiose, ecc.)». Selezionati i soggetti non soltanto dal popolo e dal ceto medio, ma anche dal «patriziato» e dalla «migliore intellettualità», laddove «la razza come realtà genetica e diffusa raggiunge spesso una più perfetta e visibile espressione», l’indagine dovrebbe procedere attraverso la realizzazione di fotografie («non stereotipe ma espressive»), rilievi antropometrici e l’elaborazione genealogica di una «tabella degli avi», con indicazione di «temperamento, vocazioni, professioni, curricula vitae, ecc.». Obiettivo finale del progetto è la compilazione di un «atlante di tavole della razza italiana», finalizzato ad «accertare la presenza, nella nostra gente, di un tipo superiore, di esemplari ancora integri della razza ario-romana, nobilissimo fra tutti gli altri rami della famiglia aria, quello nordico-germanico compreso»131. Per quanto riguarda la composizione della commissione chiamata a effettuare le rilevazioni e a disegnare il nuovo Atlante razziale dell’Italia, Luchini delinea inizialmente i nomi di Lidio Cipriani per le misurazioni antropometriche, di Ludwig Ferdinand Clauss132 e di Alberto Manzi, direttore della Scuola di psicologia sperimentale dell’Università di Firenze, per le analisi di «psicologia della razza», oltre che dello stesso Evola per le ricerche sulle «razze dello spirito»133 .

Quanto al secondo progetto, esso si sviluppa quasi in parallelo, a partire dai colloqui intercorsi fra Evola e Mussolini nell’estate 1941. Fra il 25 e il 29 agosto 1941, Sintesi di dottrina della razza viene, infatti, letto da Mussolini, il quale convoca Evola a Palazzo Venezia alcuni giorni più tardi, alla presenza di Pavolini, per esprimergli la propria approvazione134. Nel corso dei colloqui dell’autunno fra Evola e Mussolini, prende corpo un’iniziativa di consolidamento dei rapporti italo-tedeschi in materia di razzismo, che dovrebbe cristallizzarsi intorno al progetto di una nuova rivista bilingue, intitolata «Sangue e Spirito». Gli stessi uffici dell’Auswärtiges Amt seguono con attenzione gli sviluppi della vicenda, individuando in Preziosi ed Evola i principali fautori della politica di «revisione» dei presupposti teorici e pratici del razzismo fascista:

Da diversi mesi si sta facendo strada negli scritti italiani sulla questione della razza un dibattito che si pone come obiettivo quello di determinare una revisione dei fondamenti teorici e della prassi della politica razziale italiana. Interprete nel campo intellettuale è il Barone Julius Evola e per quanto concerne gli aspetti pratico-politici Giovanni Preziosi. […] Si prega di inviare un rapporto sul modo e sulla misura in cui questi sforzi possono essere utilizzati per indurre l’Italia a una politica più attiva nei confronti dell’ebraismo135

Nei colloqui bilaterali svoltisi a Berlino nel febbraio 1942, Evola presenta il piano del nuovo periodico, ottenendo l’approvazione della commissione tedesca composta da Walther Gross (capo dell’Ufficio politico della razza della nsdap), Alfred Bäumler (filosofo, dell’ufficio di Rosenberg), Franz Rademacher (SS-Obersturmbannführer, del ministero degli Esteri), Hans Hüttig (Ufficio politico della razza) e Johannes Vollmer (ministero degli Interni, Ufficio informazioni). Dopo aver ricordato la piena adesione di Mussolini al progetto, Evola indica gli ambienti e i personaggi che partecipano all’iniziativa in Italia: fra questi Fernando Mezzasoma e Carlo Ravasio, vice segretari del pnf e, fra le istituzioni, la Scuola di Mistica Fascista di Milano, possibile sede organizzativa degli incontri italo-tedeschi. Nell’ambito del progetto «Sangue e Spirito», Evola elabora, inoltre, uno schema comprendente «i punti principali della dottrina fascista della razza», da considerarsi come «le norme generali» per i collaboratori italiani della rivista. La stesura del testo è evoliana, ma ha ricevuto il «consenso» di un gruppo più esteso, che comprende, oltre ovviamente a Giovanni Preziosi, anche buona parte dei collaboratori della «Vita Italiana»: Aniceto del Massa, Massimo Scaligero, Guido De Giorgio, Carlo Costamagna, Luigi Fontanelli, Roberto Pavese, Stefano Maria Cutelli, Pasquale Pennisi, Riccardo Molinari, Gislero Flesch, Aldo Modica, Giovanni Savelli, Riccardo Carbonelli, Guido Cavallucci. Lo schema è stato sottoposto da Evola «personalmente» a Mussolini, il quale «ha dato il suo assenso»136. Esso non costituisce un nuovo «Manifesto», anche se questa era, secondo Evola, l’originaria interpretazione voluta da Alberto Luchini. Articolato in ventidue punti, il progetto evoliano sintetizza i concetti fondamentali del suo razzismo «totalitario»: la distinzione tra razza del corpo, dell’anima e dello spirito; l’individuazione di una gerarchia razziale che ha, al suo vertice, nel caso dell’Italia fasci-

82Capitolo secondo sta, l’elemento «ario-romano»; la nozione di ebraismo come «modo d’essere» e, di conseguenza, il richiamo all’«assoluta necessità del risanamento degli elementi interiormente ebraizzati»137; la progettazione di una politica razziale, che, attraverso l’impiego di misure tanto biologiche quanto etico-spirituali, faccia emergere un’élite razziale, favorendo «la separazione di una nuova razza dell’uomo fascista all’interno del popolo italiano»138; l’obiettivo di una Nuova Europa i cui «centri di cristallizzazione» siano rappresentati dall’Italia, esponente dell’elemento «ario-romano», e dalla Germania, espressione, invece, di quello «nordico-ario»139 .

Quando ormai il progetto «Sangue e Spirito» sembra andare in porto, dall’ambasciata tedesca a Roma giunge l’ordine di sospendere tutto. Il 15 maggio 1942, l’addetto Von Rademacher riferisce, infatti, al ministero degli Esteri tedesco di un recente incontro fra Mussolini, Evola, padre Tacchi Venturi e Telesio Interlandi, in cui avrebbero avuto la meglio gli ultimi due, curiosamente alleati nel tentativo di respingere il razzismo «totalitario» evoliano, interpretato come una grave minaccia nei confronti sia dell’egemonia in campo spirituale esercitata dalla Chiesa cattolica, sia del razzismo biologico sostenuto dalla corrente interlandiana140. Nel luglio 1942 anche l’iniziativa dell’«Atlante della razza italiana» si arena: Ludwig Ferdinand Clauss non può infatti raggiungere l’Italia, poiché sottoposto ad «un procedimento di natura politica avendo egli una assistente non ariana con la quale intrattiene rapporti di intimità»141 .

All’interno di questo retroscena politico vanno probabilmente ricondotte la fine della collaborazione evoliana alla «Difesa della razza», nell’aprile 1942, e l’intensa polemica avviata dal quindicinale interlandiano, in quegli stessi mesi, nei confronti del razzismo «spiritualista».

3. Tra razzismo «scientista» e «fumi spiritualistici»

A turbare le acque dell’ideologia razzista del fascismo giunge, fra il dicembre 1941 e l’aprile 1942, un intenso dibattito ospitato da «Roma Fascista», settimanale del guf della capitale. È proprio Julius Evola a rivolgersi alla «nuova generazione fascista e rivoluzionaria», affinché essa aiuti il «razzismo italiano» ad uscire «da quella “sacca”, nella quale esso, sotto più di un riguardo, sembra andato a finire»142. Il razzismo – afferma Evola – non è una «disciplina teorica», ma «una visione generale della vita» e, in quanto tale, non può essere lasciato nelle mani degli scienziati, degli «intellettuali» e dei «borghesi». Gli antropologi, i biologi e, in generale, gli «specialisti accademici», non possono infatti sentire le «idee nuove», poiché la loro mentalità «si è ormai cristallizzata per tutta una annosa “routine” di studi»; gli «intellettuali», con la loro visione «astratta, dilettantesca, estetizzante, ovvero tortuosamente dialettica e individualistica» si pongono in «netta antitesi rispetto ad ogni sentimento di razza»; da ultimo, «l’elemento borghese» costituisce propriamente l’«anti-razza», il ricettacolo di «veri e propri ebrei onorari», i quali «pur non essendo proprio ebrei nel sangue, lo sono decisamente nel modo d’essere e nel carattere»143 .

Nell’approccio evoliano, la razza non è un’ideologia, ma «una realtà profonda connessa a un retaggio prezioso e misterioso delle origini e intimamente legata ad ogni qualità di carattere». Risultati vari «in fatto di genetica, di mendelismo, di antropologia politica, di demografia» possono, dunque, sottolineare il suo significato, ma «ai fini attivi e creativi del razzismo fascista», le conquiste della scienza sono relative «qualora manchi il sentimento diretto della razza e dei valori di razza»: «E un tale sentimento, –scrive Evola, – può più averlo un uomo sano e leale delle campagne o qualche esponente ancora intatto della vera aristocrazia, che non un banditore delle teorie razziste, il quale nella sua vita si dimostrasse fiacco, borghese, privo di carattere, privo di virilismo, incapace di lealtà»144. Compito del razzismo fascista deve essere, pertanto, quello di praticare il mendelismo sub specie interioritatis, risvegliando nella «gioventù fascista» i caratteri razziali «recessivi», a lungo soffocati:

Nelle estensioni del mendelismo, il razzismo mette in risalto un punto:

L’INDISTRUGGIBILITÀDITUTTOCIÒCHEÈORIGINARIO. Le qualità che hanno davvero carattere «razziale» possono esser ora «dominanti», ora recessive, cioè soffocate e piegate da altre. Esse però non vanno perdute. Permangono come eredità latente. La primula cinese che, per via di un ambiente diverso, produce fiori rossi, anziché bianchi, lungo tutta una serie di generazioni, se ad un dato punto viene rimessa nelle giuste condizioni, manifesta di nuovo, rigorosamente, fiori bianchi, come se nessun tempo fosse passato e nulla fosse accaduto.

Questa legge bisognerebbe viverla «sub specie interioritatis». Abituare la gioventù fascista a vivere su un piano – ove le reazioni della spontaneità interna e i sintomi di un carattere vanno a valer assai di più di ogni nozione astratta, di ogni teoria, di ogni inclinazione al soggettismo e alla divagazione – sarebbe il primo compito. Il secondo compito consisterebbe poi nel selezionare, nel saggiare, nel mettere alla prova le forze interiori, affinché ciò che è misto si dissoci e le qualità di un retaggio ben preciso si enucleino e si confermino di fronte a ogni altra145

In altri due successivi articoli, Evola completa il proprio ragionamento, insistendo particolarmente sulla centralità, per il razzismo, del cosiddetto «ideale classico», ovvero della perfetta armonia tra «razza fisica» e «razza interiore»146, e offrendo una carrellata di «miti politici» ai quali ispirare la politica razziale, a partire dal principio dello Stato-Ordine, inteso come «unità ascetico-guerriera», come élite che incarna la «razza superiore» all’interno del complesso popolo-nazione147

Nello svolgimento del dibattito, la posizione esoterico-tradizionalistica di Evola appare condivisa soltanto da Massimo Scaligero148, pronto a pronunciarsi a favore di una «razza dello spirito», da intendersi come «avvento di una “razza sopramentale”»149, in grado di ristabilire, sulla base dell’antica sapienza della «tradizione indo-aria», una graduale comunione con le «energie» cosmiche, di «capovolgere il rapporto psiche-corpo», di evocare «un’intima virtù che sia capace di extra-sustanziarsi nel sangue, attraverso modi di vita ascetici ed eroici, aristocratici, intransigenti»150. Pur riconoscendo a Evola e al gruppo della «Vita Italiana» il merito di aver contribuito a far superare al razzismo fascista i limiti puramente biologici del Manifesto del 1938, «quanto mai contingente, e neppure brillante in più d’un suo paragrafo», Carbonelli lo accusa di avviare nuovamente il razzismo lungo una deriva filosofica, introducendo «i cavalli di Troia di teorie bell’e fatte, di sistemi filosofici e di errori estranei e contrari alle posizioni fondamentali del Fascismo»151. Ciò che occorre, secondo Carbonelli, è invece una nuova sintesi fra razzismo fascista, cattolicesimo e romanità152 . Anche Salvato Cappelli si pronuncia contro un razzismo inteso come «dottrina per iniziati», invocando, da un lato, l’abbandono del «puro scientificismo dei ricercatori puri» e, dall’altro, la saldatura dell’ideologia razzista all’interno di un’«ipostasi metafisica»153 , quella del razzismo «storico e di conseguenza morale»154. Contrariamente a Evola, secondo Cappelli non esiste un dato razziale originario: non è la razza che fa la storia, ma la storia che fa la razza.

E la «missione» della razza italiana deve identificarsi nei «principii tradizionali della nostra civiltà romana e cattolica»: «Se alcune frettolose teorie razziste nostrane – conclude Cappelli, riferendosi a Evola – risultassero negazione di questo millenario patrimonio storico, noi saremmo automaticamente allontanati dalla nostra stessa realtà motrice»155 .

Duplice è la critica a Evola mossa da Alberto Presenzini Mattoli: in primo luogo, inteso evolianamente come «ideale classico», il razzismo rischia, da un lato, l’«empirismo», poiché lo spirito risulta condizionato dalla materia, e, dall’altro lato, l’«ellenismo», inconciliabile con la cattolicità e la romanità fasciste156; in secondo luogo, la teoria dello Stato-Ordine nega il ruolo del «popolo» così come formulato dalla dottrina fascista:

Non è azzardato così affermare che lo Stato-Ordine, ascetico-guerriero, e lo Stato-élite non è esattamente lo Stato fascista realizzato dalla Rivoluzione che, spezzate le catene del popolo imprigionato dalla democrazia nell’istituto della rappresentanza e della delega, effettuava, nella gerarchia sindacale corporativa, la sua immissione attiva nello Stato […]157

Se Presenzini Mattoli si esprime a favore di un razzismo universalistico, «dello spirito integrale», di chiara ascendenza gentiliana, legato alla tradizione spirituale di Mazzini e Gioberti, per un razzismo romano e cattolico si dichiara anche Goffredo Pistoni, il quale mutua dalla teoria cristiana della caduta l’interpretazione della «purezza razziale» come «sinonimo della “purezza” edenica precedente il peccato»158. Secondo Pistoni, tale concezione, riportando «al mito per cui l’uomo è un semidio caduto», culmina in un razzismo che «non solo non nega una ortodossa visione religiosa, ma anzi la riafferma portandola a nuova luce di coscienza», riaffermando una dottrina della razza basata sull’«idea immortale di Roma […] che è poi sempre quella riaffermata dal cattolicesimo»159. Anche il giurista cattolico Pasquale Pennisi interviene nel dibattito, convergendo sulle posizioni evoliane nell’individuazione della centralità dell’elemento razziale «ario-mediterraneo»160 e nell’affermazione della necessità di superare i confini della «razza del corpo»161, ma discostandosene nella definizione dei rapporti fra cattolicesimo e romanità: per Pennisi, infatti, la «romanità della Chiesa» significa che «il modo di essere morale e psicologico proprio del Cattolicismo» è «in gran parte lo stesso modo di essere proprio della Romanità elevato al soprannaturale», nonché un «elemento dinamico» sul terreno dei «problemi della Civiltà e dell’Impero» in termini di «universalità» gerarchica di razze162. La risposta evoliana alle critiche, pubblicata su «Roma Fascista» nel numero del 5 marzo 1942163, trasforma la discussione in rissa164: evidentemente l’opposizione al razzismo biologico del Manifesto del 1938 non è sufficiente ad armonizzare l’orientamento esoterico-tradizionalista di Evola con la posizione «romano-cattolica» dei giovani universitari di Roma.

A peggiorare la situazione si aggiunge poi l’apertura di un nuovo fronte: il 5 marzo 1942, infatti, «La Difesa della razza» ripubblica, nella copertina interna, il Manifesto del 1938, il quale – si precisa in didascalia – «costituisce in materia l’unico orientamento di carattere ufficiale». Mussolini – recita, inoltre, un occhiello – avrebbe ricevuto Interlandi a Palazzo Venezia, prendendo atto «con soddisfazione» dell’andamento della rivista e approvandone l’indirizzo. Negli stessi giorni, Interlandi scrive, per il fascicolo successivo del 20 marzo, un articolo durissimo nei confronti del razzismo «spirituale», intitolato significativamente Richiamo alle origini e all’onestà. Dopo aver ricordato il punto 7 del Manifesto del 1938, nel quale si dichiarava l’«indirizzo ariano-nordico» del razzismo fascista, il direttore della «Difesa della razza» si scaglia innanzitutto contro l’orientamento Acerbo-Pende-Visco, indicato allusivamente come il razzismo dei «poveri conferenzieri»:

Quei poveri conferenzieri che identificano Razzismo con salute e figli maschi, e pensano che basti la lotta contro la tubercolosi o il raddrizzamento scientifico delle gambe storte per pagare il debito alla razza, questi poveri sciocchi non s’accorgono di tradire il paese e la razza. Oppure se ne accorgono e lo vogliono tradire165

Le stoccate successive sono rivolte invece al filone «spiritualistico», tanto cattolico quanto evoliano, esplicitamente tacciato di «antirazzismo» e di filoebraismo:

Definizione, difesa e affermazione [della razza] non possono esser neppure tentate se si trascurano i dati biologici, i soli che possano conferire dignità e serietà alle ricerche e che siano di natura sperimentale. Tutto il resto è vana chiacchiera. […] Noi ci teniamo alla terraferma della razza del corpo, vale a dire della razza senz’altra specificazione; un terreno ormai ben lavorato, fecondo, che ha dato i suoi frutti. Gli antirazzisti ci accusano di far della zoologia, essi temono d’esser classificati e studiati come animali. Essi vorrebbero essere puro spirito, e sfuggirebbero in questo modo ad ogni esame, misurazione o controllo. Se sono ebrei, o meticci o comunque stranieri alla nostra razza, essi subito si appelleranno alla «razza dello spirito», e vi diranno che la razza del corpo non conta nei confronti di quella dello «spirito». Il quale spirito, come tutti sanno, soffia ove vuole166 .

Citando Maeterlinck e gli studi biologici sugli insetti, e in particolare, sulle formiche, Interlandi rivendica un razzismo non solo «zoologico», ma addirittura «bestiale»:

Il nostro Razzismo, oggi specialmente che c’è la guerra, è puramente zoologico, animale, e se volete, bestiale… Il Razzismo degli animali che si annusano, si riconoscono, fanno blocco, formano unità, si affermano come razza!

Al diavolo lo spirituale, e l’uguaglianza nei misteri del puro spirito! […] Noi facciamo corpo coi nostri, e scopriamo subito chi non è dei nostri. Ecco il disfattismo, ecco la sfiducia, ecco il dubbio, ecco il tradimento. Dove stanno? Nell’animale italiano no; stanno nell’animale estraneo, che è ospite occasionale del paese italiano. È l’ebreo, è il mezzo ebreo, è il discendente di accoppiamenti occasionali fra italiani e stranieri, è il nazionalizzato di fresco, è il meticcio167

La conclusione dell’articolo invoca il «primato delle ragioni e dei dati biologici» contro il «filosofico fumo» del razzismo «dello spirito», dietro il quale si celano gli «ebrei», i «meticci» e le «creature di oscura provenienza razziale»: «La Difesa della razza» – minaccia Interlandi nelle ultime righe – sarà «ancor più severa contro le deviazioni d’una propaganda che si dice razziale, ma che, in definitiva, è il cavallo di Troia dell’antirazzismo, al servizio dell’ebraismo e dei suoi complici»168 .

La censura dell’articolo da parte del ministero della Cultura Popolare induce Interlandi a scrivere, il 9 marzo 1942, una lettera di rimostranze a Mussolini, nella quale i bersagli polemici si esplicitano, assumendo i contorni, da un lato, dei «fogli del guf» e, dall’altro, delle teorie evoliane, presentate come «elucubrazioni “magico-spiritualistiche” dei superstiti rappresentanti dell’occultistica nazionale». Pur riconoscendo di aver esagerato nella forma e dichiarandosi disposto ad attenuare i toni, il direttore della «Difesa della razza» ribadisce a Mussolini il suo totale dissenso nei confronti della «deviazione spiritualistica» e ricorda per l’ennesima volta l’impostazione biologica non solo del Manifesto, ma anche dell’intera legislazione antisemita successiva:

Vi prego di considerare, Duce, che la tendenza spiritualistica del Razzismo finirà fatalmente col fare il giuoco degli Ebrei e dei cattolici antifascisti e antirazzisti; degli Ebrei soprattutto, i quali appunto affermano, per dichiararsi Italiani, che il dato biologico non conta di fronte allo spirito. Se così dovesse essere, io non vedo perché – ad esempio – un prof. Del Vecchio, pregevole cantore in versi delle glorie d’Italia, combattente decorato, spiritualmente devoto alla Patria nostra, di famiglia dimorante in Italia da almeno duemila anni, ma EBREO, non vedo perché in base al solo criterio della razza del corpo sia stato estromesso dall’insegnamento universitario169 .

Interpretando la censura dell’articolo come una «squalifica» nei confronti della rivista, Interlandi termina la sua lettera con la richiesta di un’udienza, al fine di ricevere «direttive precise» sulla propria «opera di razzista»170 .

Il fascicolo della «Difesa della razza» del 20 marzo 1942 ripresenterà, nel frontespizio, i «10 punti del razzismo fascista», seguiti non dal pezzo di Interlandi, ma da un lungo articolo di Guido Landra, intitolato Fondamenti biologici del razzismo 171, le cui battute conclusive ricordano la chiusura dell’articolo interlandiano censurato: «Sarà nostro compito ricondurre l’impostazione del problema della razza a quelle premesse che erano contenute nel Manifesto del Razzismo Italiano, apparso il 14 luglio 1938, e che resta tuttora l’unico documento ufficiale di carattere dottrinario»172 .

Nel momento in cui s’interrompe il dibattito inaugurato nel dicembre 1941, la redazione di «Roma Fascista» si trova, pertanto, in una situazione estremamente delicata: da un lato, in opposizione alle tesi evoliane, essa ribadisce la necessità di collegare il razzismo ad «una visione generale della vita che, per noi Italiani, deriva dalla nostra civiltà romano-cattolica»173; dall’altro lato, si riconosce a Evola e agli «scrittori della rivista La Vita Italiana» il merito di aver mosso le prime critiche al Manifesto del 1938.

La polemica nei confronti della «Difesa della razza» è trasparente:

Siamo, con questa premessa, già fuori del razzismo puramente biologico che, secondo alcuni, sarebbe per noi italiani l’optimum delle concezioni razziali e che costituì l’assunzione saliente del Manifesto del 15 luglio 1938, di cui in questi giorni si è rivendicato il valore di orientamento da parte di una nota rivista tecnica. Noi facciamo osservare che, se è vero che il Manifesto del 1938 costituisce ancor oggi l’unico orientamento di carattere ufficiale, nulla vieta però che, a maturazione avvenuta degli studi e delle opinioni in materia, si possa giungere ad un suo perfezionamento: e peggio per chi, in questo caso, si fosse cristallizzato su posizioni che, giustificate in un primo tem- po da ragioni più o meno valide, si dimostrassero palesemente superate. […] Gli avalli ufficiali, concessi in un primo tempo, non potrebbero in un secondo tempo non competere, più meritoriamente, a chi riuscisse a conseguire un reale progresso, di fronte alla sterile immobilità altrui174 .

Mentre il dibattito su «Roma Fascista» va progressivamente spegnendosi175, il fulcro delle polemiche si sposta sulle colonne di Diorama mensile, terza pagina del foglio farinacciano «Il Regime Fascista», diretta da Julius Evola176. Gli strali sono indirizzati, questa volta, tanto contro gli «spiritualisti» del guf romano quanto contro gli «scientisti» della «Difesa della razza». Ad aprire le danze è lo stesso Evola, puntando il dito contro le «maschere spiritualistiche dell’antirazzismo», ovvero contro quegli orientamenti che continuano a confondere il razzismo con il sentimento nazionalistico, «democratico e collettivistico», con «l’unità e l’insofferenza del gregge», con un’idea di nazione «abbastanza vasta da accogliere in sé ogni specie di elementi, meticci ed ebrei compresi»177 .

L’offensiva si approfondisce nel numero successivo di Diorama mensile, pubblicato il 19 aprile 1942. Il Manifesto del 1938 –afferma, infatti, il collaboratore di Evola, Carlo Rossi di Lauriano – ha affrontato il problema della razza soltanto sul piano biologico, lasciando così ampi spazi di manovra agli «antirazzisti silenziosi o mascherati», i quali, forti del settimo punto del documento, hanno potuto «conservarsi pregiudizi di ogni genere e continuarsi le vecchie routines intellettualistiche, confessionali e storicistiche»178. L’opera Sintesi di dottrina della razza di Julius Evola, con la sua «teoria delle razze interne», è giunta, dunque, a portare «lo scompiglio» in questo «campo trincerato dell’antirazzismo»: con essa il razzismo ha manifestato, infatti, «una volontà totalitaria, una volontà di valere anche come visione del mondo e come forza formatrice dell’anima e dello spirito»179. Il contrattacco nei confronti della prospettiva di un’estensione del razzismo al piano spirituale ha assunto – secondo Rossi di Lauriano – due forme distinte. Da un lato, il dibattito su «Roma Fascista» ha evidenziato «una schiera di nuovi razzisti, ed anzi di razzisti virulenti ed intransigenti, gelosissimi patrioti, “romani” e “apostolici”», i quali, con la parola «razza», intendono «o la nazione collettivisticamente concepita, o la “storia” o la tradizione in senso astratto, o la romanità identificata unilateralmente alla Chiesa Cattolica»180. Dall’altro lato, invece, «La Difesa della razza» ha reagito

90Capitolo secondo alle sollecitazioni evoliane con un «ripiegamento», ovvero «trincerandosi» dietro quel Manifesto del 1938, che «ognuno, – ironizza Rossi di Lauriano, – pensava passato agli archivi»:

I «punti» di quel manifesto, infatti, intanto potevano aver valore, in quanto costituivano una materia prima da elaborare, sviluppare, approfondire. Dopo cinque anni si sarebbe dunque allo stesso punto? In più, la grave affermazione del punto 3, secondo il quale il concetto di razza sarebbe solo biologico, e quella del punto 7, che vorrebbe escludere dal problema razzista il problema spirituale, cosa che quasi equivarrebbe a evirare il razzismo e a privarlo di ogni potere di animazione interna e di formazione politicospirituale delle coscienze e del carattere181

Quella provocata dal quindicinale interlandiano è stata, dunque, una «battuta d’arresto», sicuramente imposta dalle «confusioni» e dallo «sbandamento» della polemica di «Roma Fascista». Essa ha, tuttavia, rivelato un’«incompetenza» di carattere generale: alle provocazioni di «semplici pubblicisti cattolici di formazione mentale puramente intellettualistica e universitaria» si è, infatti, contrapposta una reazione «scientista», rimasta ferma alle «idee della antropologia materialista ed ebraizzata ottocentesca»182 .

Il Diorama mensile con l’articolo di Rossi di Lauriano s’incrocia con l’editoriale interlandiano, intitolato Discorso alle «nuove linfe», pubblicato sulla «Difesa della razza» del 20 aprile 1942. L’obiettivo polemico di Interlandi è l’articolo redazionale col quale «Roma Fascista» ha etichettato «La Difesa della razza» come mera «rivista tecnica», ormai attestata su posizioni teoriche del tutto superate. In realtà, le affermazioni del guf – afferma Interlandi – non corrispondono a verità, non soltanto perché il razzismo «spiritualista» dimostra di non possedere un’effettiva consapevolezza del «problema razziale», ma perché le autorità fasciste hanno confermato di recente l’investitura ufficiale attribuita al quindicinale fin dal 1938. L’indirizzo del Manifesto del 1938, in sostanza, sarebbe stato approvato e confermato da Mussolini in persona:

Ripetiamolo ancora una volta: è buono ciò che giova al paese. E chi può giudicare se giova tuttora al paese la dottrina razziale formulata nei 10 punti del Manifesto? Noi, o voi o quegli altri? Vogliamo concedere alla rumorosa presunzione dei nostri detrattori che la politica razziale è materia opinabile; se non ieri, oggi; né più né meno del moto della terra prima di Galileo. Oggi, intendiamo alla vigilia della nuova, forse inattesa, certo meditata, pre- cisazione ufficiale. Gente dal fiuto finissimo avverte odor di cadavere, crede che il cadavere ci sia e, in conseguenza, una eredità: avanti! E se l’indirizzo del Manifesto fosse superato E se la terra non girasse? Tutto può essere; non c’è offesa per alcuno. Ma il giorno dopo, ahimè, si apprende che l’indirizzo della rivista «tecnica» è approvato; e lo approva il solo che abbia in materia il diritto di farlo, la responsabilità di farlo, il fine di farlo183

La permanente validità delle posizioni teorico-politiche del luglio 1938 è, dunque, un «fatto», che invalida una volta per tutte «le ricerche, i referendum di sapor democratico, i dubbi, le crisi, gli sbandamenti confessionali e le storture magiche»184. È normale – scrive ancora Interlandi – che la politica della razza susciti «aspirazioni», «appetiti» e «velleità», e «La Difesa della razza» non pretende di detenere «brevetti di esclusività»: a patto però «che tutti si lavorasse per l’Italia; e nessuno per il re di Prussia, o per altri monarchi “spirituali”»185 .

E a conferma delle parole del suo direttore, il numero del 20 aprile 1942 della «Difesa della razza» è interamente dedicato al Manifesto del 1938: a ogni articolo corrisponde, infatti, l’illustrazione di un punto del documento. Le correlazioni sono riassunte all’interno di uno schema redazionale:

1º punto (Le razze umane esistono): articolo di Guido Landra a pag. 7-8

2º punto (Grandi e piccole razze): articolo di Aldo Modica a pag. 19-20-21

3º punto (Il concetto di razza è biologico): articolo di Lidio Cipriani a pag. 12-13

4º punto (La popolazione dell’Italia è ariana): articolo di Lino Businco a pag. 9-10

5º punto (Continuità della razza italiana): articolo di Massimo Scaligero a pag. 16-17

6º punto (Razza ed ereditarietà): articolo di Silvestro Baglioni a pag. 5-6

7º punto (Caratteri del razzismo fascista): articolo di Felice Graziani a pag. 14-15

8º punto (Distinzione tra Mediterranei e Africani): articolo di J. Evola a pag. 10-11

9º punto (Gli ebrei non sono italiani): articolo di Giuseppe Pensabene a pag. 17-18-19

10º punto (Bisogna evitare ogni meticciato): articolo di R. D’Anna Botta a pag. 21-22186 .

Pochi giorni dopo la pubblicazione di questo numero della «Difesa della razza», Interlandi scrive, sul «Tevere», una durissima risposta alle critiche mosse da Carlo Rossi di Lauriano sulla terza pagina del «Regime Fascista». Alle «nuove linfe» del guf – incal-

za il direttore del quotidiano romano – hanno fatto seguito le «nuovissime»:

Nuove linfe? Sì; c’era gente che, equivocando sulla natura dei propri umori, aveva in programma d’iniettare nel Razzismo dato per morto certa linfa «spiritualistica» d’oscura origine confessionale. Ma, né questa era linfa, né il Razzismo era morto; l’operazione non fu possibile. Tutto finì con la constatazione che i portatori di nuove linfe altro non erano che linfatiche creature bisognose d’una buona cura del sangue … e della razza. Ma ecco, sul quotidiano più su citato, apparire le nuovissime linfe187 .

L’avanzata che Rossi di Lauriano auspica per il razzismo esoterico-tradizionalista è stata, in realtà, definitivamente sconfitta, secondo Interlandi, dalla riconferma dell’adesione mussoliniana ai principî del razzismo biologico:

A queste linfe nuovissime, che vorrebbero insinuare un credito nel fallimento della manovra precedente, ripeteremo che il Manifesto del ’38 è stato testé giudicato vivo e vitale e idoneo ai servizi di prima linea dall’unica autorità che in materia ha diritto di legiferare e di pronunziare il «tirar diritto». Sicché, per avanzare, se di ciò si ha vaghezza, non c’è che da accodarsi a chi avanza da sempre, tirando dritto, scansando le deviazioni di destra e di sinistra, gli sbandamenti confessionali e le storture magiche, tenendo fisso lo sguardo a una consegna ben ricevuta e ben compresa. La quale consegna, in poche parole, è questa: fare le cose utili al paese, le cose inutili e dannose combatterle188

Il razzismo «spiritualista» va dunque combattuto come una qualsiasi altra forma di «antirazzismo»: «Sono inutili e dannose, –afferma Interlandi, – queste goffe manipolazioni d’un razzismo che non osa dire il proprio nome; che prende a prestito titoli e qualifiche che non gli competono; che si tradisce, in poche battute, per quello che è: antirazzismo. Come tale sarà combattuto»189 .

Il fondo pubblicato da Interlandi sulla prima pagina del «Tevere» corrisponde all’editoriale della «Difesa della razza», che inaugura, il 5 maggio 1942, un numero interamente costruito a difesa delle impostazioni teoriche espresse dal razzismo biologico e dal Manifesto del 1938. I titoli degli articoli, accompagnati da occhielli che iniziano tutti con la parola «contro», evidenziano l’impostazione polemica del fascicolo:

G. Landra, Storia vera del razzismo italiano (contro gli smemorati per abitudine o per professione)

G. Cogni, Gravità del problema ebraico in Italia (contro i pietisti)

G. Almirante, …Ché la diritta via era smarrita… (contro le «pecorelle» dello pseudo-razzismo antibiologico)

F. Scardaoni, L’Internazionale smascherata (contro gli internazionalisti e i meticci intellettuali)

A. Tosti, La pura razza italiana (contro i superstiti cultori di un regionalismo trapassato)

R. Bartolozzi, Secolare continuità (contro gli apostoli d’uno storicismo miope e settario)

F. Graziani, Nobiltà ariana degli italiani (contro gli svalutatori dell’arianesimo)

A. Modica, Inoppugnabilità delle suddivisioni razziali (contro la pseudoscienza dei razzisti a metà)

L. Businco, I mediterranei nella razza italiana (contro certa scienza negrizzata)

G. Savelli, Realtà biologica della razza (contro gli sprezzatori della biologia)

In tale contesto, i più pesanti attacchi nei confronti del razzismo esoterico-tradizionalista sono contenuti negli articoli di Landra e di Almirante. Per il primo, infatti, l’asse ideologico-politico della «Difesa della razza» è definito dalla sua opposizione alle cosiddette «deviazioni di destra e di sinistra». Con «deviazione di destra» – «scientifica e burocratica» – Landra intende la critica al razzismo biologico interlandiano condotta dal nazional-razzismo (essenzialmente Pende, Visco, Acerbo), prima nel 1938 e, di nuovo, nel 1940:

L’atteggiamento razzista dei vecchi antropologi, l’ortogenesi, le teorie pseudo-razziali gabellate come «fondamenti», i risultati pratici della politica della razza, così insufficienti sotto tutti i punti di vista, non sono altro che le facce di questo vasto poliedro che è la deviazione di destra.

I punti maggiormente combattuti da queste deviazioni sono i seguenti: a) l’affermazione dell’arianità degli Italiani; b) l’indirizzo ariano-nordico; c) l’affermazione dell’unità razziale degli Italiani stessi. Questo almeno a parole. Ma in realtà tali punti dottrinali non sono altro che la scusa per attaccare il nostro antigiudaismo e la nostra aspirazione ad una bene intesa igiene razziale190

La «deviazione di sinistra» è, invece, quella «spiritualista», manifestata soprattutto da «Roma Fascista»:

Gli spiritualisti si guardano […] bene dal dirci che cosa vogliono realizzare praticamente. In teoria, invece, dopo avere vagato di qua e di là, finiscono col rigettare il vero razzismo biologico per finire in una forma molto nebulosa che essi chiamano invece razzismo spiritualista.

Come ben si comprende non si tratta d’altro che di un tentativo di gabellatura di alcuni noti principii universalistici clericali per principii razzisti191 .

La «deviazione di destra» ha sabotato la realizzazione del programma minimo del Manifesto, mentre quella di «sinistra» ha pre- teso di superarlo «su base spiritualista», ma entrambe hanno conseguito «un unico risultato pratico»: fare «il giuoco degli ebrei e degli antirazzisti»192. Spunti altrettanto ferocemente polemici si ritrovano nel successivo articolo di Almirante, il quale, dopo aver irriso gli orientamenti filocattolici, tradizionalisti e universalisti del razzismo «spiritualista», si scaglia specificatamente contro gli evoliani:

Eccoci tra quelli che chiameremo gli spiritualisti assoluti. Costoro fanno le viste di non disdegnare del tutto le dottrine biologiche; ma, dopo averle fuggevolmente adocchiate, le gettano in disparte e si danno agli studi sull’anima e sullo spirito. Sono i buongustai del razzismo: i piatti comuni li disgustano. Vogliono manicaretti di secondo e di terzo grado193

Non è più tempo – continua Almirante – per i «manicaretti» di Evola. Il razzismo deve essere «cibo per tutti» e quindi deve fondarsi principalmente sul «sangue»:

Il razzismo nostro deve esser quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare, confrontare col sangue degli altri… il razzismo nostro deve esser quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto lo spirito alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore194

La conclusione di Almirante è identica a quella di Landra: bisogna attenersi scrupolosamente alla biologia se non si vuole lasciare spazio al meticciato e all’ebraismo.

Il numero del 5 maggio 1942 sancisce, ovviamente, la fine della collaborazione evoliana sulle pagine della «Difesa della razza». La risposta agli attacchi di Interlandi non si fa, tuttavia, attendere, e viene ospitata sempre dal Diorama mensile del «Regime Fascista». La penna è ancora una volta quella di Rossi di Lauriano, il quale, tentando di trovare un punto di mediazione nella comune critica alle posizioni di «Roma Fascista», precisa l’interpretazione del Manifesto del 1938 fornita dagli esponenti del razzismo esoterico-tradizionalista, che fa capo al quotidiano farinacciano e alla rivista di Preziosi, «La Vita Italiana»:

Quel manifesto avrebbe dovuto avere, normalmente, il valore di un germe fecondatore e di una materia prima. Ebbene – me lo dica il mio oppositore – che sviluppo si è avuto di quel genere in cinque anni? Già coloro che avevano sottoscritto il manifesto sono andati chi a destra, chi a sinistra; so- lo Landra è rimasto imperterrito al suo posto, ma non con una dottrina sua, bensì a volgarizzare vedute e studi vari di altri, in buona misura, di stranieri. Roma Fascista, nei riguardi della rivista che ebbe in consegna quel manifesto, ha insinuato che essa vive in mezzo ad una indifferenza generale. Non è la mia opinione195

Il «rilasciamento del pubblico», per quanto concerne «La Difesa della razza», probabilmente va attribuito al fatto che «ognuno si attendeva sviluppi sistematici, prese di posizione originali, uno stile di unitarietà e di coerenza, che da molte circostanze è stato impedito»196. Nonostante la «migliore volontà» dei «dirigenti del periodico – continua Rossi di Lauriano – il «tirar dritto» interlandiano non è mai stato più che un desiderio, un auspicio: nella realtà, «il foglio è rimasto invece aperto a una collaborazione dagli indirizzi più diversi, se non perfino contraddittori»197. La conclusione dell’articolo di Rossi di Lauriano tenta, tuttavia, una qualche riconciliazione con la «Difesa della razza»: le teorie evoliane non sono – come vorrebbe Interlandi – delle «storture magiche», ma rappresentano, per contro, il luogo nel quale biologia e spiritualità, corpo e anima, possono trovare una sintesi e dare efficacia politica al razzismo e all’antisemitismo fascisti. Invece di contrapporsi in maniera sterile, occorrerebbe, dunque, valutare la possibilità e l’opportunità di «integrare il razzismo, in prevalenza biologicamente e scientisticamente intonato, del manifesto originario, con una teoria della razza come realtà anche interna, e spirituale», raggiungendo per questa via una «veduta più completa, imposta dalla materia stessa da padroneggiare»198 .

Al fianco di Rossi di Lauriano e del Diorama mensile, Evola risponde personalmente a Interlandi e alla «Difesa della razza», nel giugno 1942, sulle colonne della «Vita Italiana» di Preziosi. Il problema – precisa il filosofo tradizionalista – non consiste nell’innestare «nuove linfe» nel razzismo fascista, né tanto meno nell’imporre delle «storture magiche». La teoria del razzismo «totalitario», alla base del progetto «Sangue e Spirito», non voleva essere l’abbozzo di un nuovo «Manifesto», ma costituiva una semplice «base dottrinale» di collaborazione fra Italia e Germania:

Noi abbiamo […] formulato delle direttive essenzialmente dottrinali, da servire come base per un serio lavoro di collaborazione italo-germanica: e a chi di ragione, esplicitamente e ufficialmente, è stato dichiarato esser questa l’unica nostra intenzione. Relativamente al nostro scopo, le direttive formu- late – non «democraticamente», ma discriminando le vedute di chi poteva eventualmente con noi collaborare – sono state superiormente riconosciute senz’altro idonee. Quanto ai camerati tedeschi, può forse esser utile far sapere che a Berlino, all’aprirsi delle conversazioni su tali direttive, alle quali partecipavano i rappresentanti dei principali uffici, il capo dell’Ufficio politico della razza del Reich ha voluto congratularsi per il passo notevole che con ciò, a suo giudizio, il razzismo italiano, pur conservando la sua fisionomia propria, aveva realizzato199 .

«Noi seguiamo la nostra via, – afferma Evola, – abbiamo dei principi, abbiamo un campo definito di lavoro e, finché ciò starà nel nostro potere, non contribuiremo a che divergenze ulteriori sorgano nelle file, purtroppo finora serrate fino a un certo punto, del razzismo fascista»200 .

Tra il maggio e il giugno 1942, la polemica innescata da «Roma Fascista» si conclude, dunque, con il definitivo divorzio fra «La Difesa della razza» e gli orientamenti evoliani. Tuttavia nei mesi successivi, e in particolare nel luglio-agosto 1942, il quindicinale interlandiano prosegue nella sua battaglia anti-spiritualista, affidandosi soprattutto ai solitari interventi di Guido Landra. La strategia adottata dall’antropologo è facilmente intuibile: accentuare il ruolo della biologia quale elemento fondante della scientificità teorica e dell’efficacia politica del razzismo fascista. Non è un caso, ad esempio, che «La Difesa della razza» ospiti con notevole visibilità – rispettivamente nell’aprile e nel giugno 1942 – gli interventi di due scienziati, il fisiologo Silvestro Baglioni e l’antropologo Giovanni Marro: il primo ribadisce la rilevanza dell’ereditarietà biologica, tanto negli «aspetti somatici» quanto nel «campo delle qualità psichiche e morali»201; il secondo attacca di petto l’antropologia di Giuseppe Sergi, e in particolare la sua ipotesi di un’origine africana della razza mediterranea, stigmatizzata come una forma di «razzismo spurio», influenzato dall’«internazionalismo di marca ebraica»202. Il numero del 5 luglio 1942 prosegue in questa campagna, tentando di dimostrare, al di là delle evidenti incoerenze, una linea di assoluta continuità fra il Manifesto del 1938 e l’antecedente tradizione antropologica italiana otto-novecentesca. Basta leggere l’editoriale che apre il fascicolo per capire come il bersaglio sia rappresentato, ancora una volta, dai «fumi spiritualistici»:

Lo scopo di questo fascicolo è quello di documentare – contro gli oppositori faciloni – che il Manifesto del razzismo fascista, cui massimamente si ispira questa rivista nella sua opera volgarizzatrice, è partito da premesse tutt’altro che antiscientifiche; ma, anzi, conformi ai dati e alle tendenze della più recente scienza italiana. D’altra parte, però, bisogna che sia ben chiaro che con questo fascicolo non si vuol concedere alla scienza italiana «in blocco» un attestato di benemerenza razzista, poiché, chi più chi meno, tutti gli scienziati citati nelle pagine che seguono hanno subito l’influsso di vecchi preconcetti o sono stati timidi assertori delle nuove teorie antropologiche e biologiche; cosicché in essi, oltre al buono che abbiamo citato noi, si può trovare il men buono e addirittura il cattivo. In sostanza, la scienza razzista italiana – la vera scienza, coerente, solida e matura – è tuttora in fieri. Ai giovani il grande compito di accelerarne l’avvento… se i fumi spiritualistici consentiranno loro di dedicarsi anche in questo campo ad opere concrete e veramente salutari per la Patria203 .

La successiva introduzione di Landra s’impegna a ribadire, punto per punto, il carattere scientifico dei dieci articoli del Manifesto. Chi critica quel documento – è la consueta conclusione dell’antropologo – non può che fare il gioco degli «ebrei» e degli «antirazzisti»204. Gli stessi argomenti sono ripetuti da Landra nel numero del 20 luglio 1942, all’interno di un articolo che celebra l’anniversario dei quattro anni del Manifesto. La ragione è dalla parte nostra – dichiara in queste righe l’antropologo – e le «deviazioni» o le «polemiche» non indeboliscono, ma rafforzano il fronte del razzismo biologico:

Abbiamo ampiamente ricordato le due deviazioni, di destra e di sinistra, che hanno minacciato e minacciano il nostro razzismo. Queste deviazioni però, come pure le polemiche, che sempre si rinnovano sul razzismo stesso, non devono affatto impressionarci. Esse sono il chiaro segno della vitalità delle idee che sostiene da quattro anni questa rivista, idee che poggiano sulla salda realtà di fatti concreti, di fatti che non sono soggetti alle alterne vicende della politica, perché le verità naturali sono al disopra della politica stessa. È così che le accuse di tecnicismo, di materialismo, di scientismo, ecc., che volta a volta ci sono state fatte, ci lasciano perfettamente indifferenti. La storia recente ha difatti dimostrato che la ragione è dalla parte nostra e che per il popolo italiano il razzismo è una necessità essenziale205

Ancora nell’agosto 1942, Landra torna a discutere delle «deviazioni di destra e di sinistra», rivelando esplicitamente il carattere strumentale dei citati interventi di Baglioni e di Marro apparsi nei mesi precedenti: se infatti il primo ha indicato la «necessità di un indirizzo biologico» per il razzismo fascista, il secondo ha rappresentato una «netta presa di posizione nei riguardi della vecchia antropologia»206. Due «voci autorevoli» dell’accademia si sono,

98Capitolo secondo dunque, unite nella denuncia dell’«antirazzismo larvato», incarnato dalle «deviazioni di destra e di sinistra»207. Ribadita la necessità di fondare il «problema della razza» su «un indirizzo biologico ben chiaro», Landra riconduce le deviazioni a un «principio unico»: l’incapacità di introdurre i moderni metodi della «scienza dell’eredità» nel corpo ormai indebolito della «vecchia scienza antropologica». Se, infatti, la «deviazione di destra» è rimasta ancorata a un’antropologia di vecchio stampo, ormai superata, quella «di sinistra» ha preteso, invece, di «saltare a piè pari qualsiasi dato scientifico e lanciarsi tra le nuvole del razzismo spiritualista». Tanto la corrente nazional-razzista quanto quella esoterico-tradizionalista non sarebbero, dunque, altro, secondo Landra, che un «conservatorismo variamente camuffato»208, teso a difendere, con mezzi diversi, una tradizione antropologica ormai superata dagli sviluppi della genetica. Il fotomontaggio di uno scienziato che studia le differenze razziali in laboratorio contribuisce a chiarire ulteriormente la polemica di Landra. La didascalia è esplicita: «Anche le razze umane, in tutto il complesso dei loro caratteri, possono essere studiate sperimentalmente, fuori dagli ipocriti pregiudizi di un falso spiritualismo: occorre dare al razzismo una solida base scientifica»209 .

Nel settembre 1942, dalle pagine della «Vita Italiana», Julius Evola ribalta singolarmente le argomentazioni sviluppate da Landra: a essere ancora «succube degli idoli del positivismo ottocentesco»210 è proprio quel razzismo biologico che intende riesumare un mito «scientista» ormai datato, superato dagli stessi sviluppi della «ricerca tecnica scientifica», come dimostrerebbero i recenti contributi teorici di Driesch e di Dacqué211. La «superstizione della scienza» nutrita dal razzismo biologico non è, secondo Evola, che un «feticcio appartenente all’armamentario dell’epoca democratico-illuministica e del progressismo più o meno massonico e razionalista del secolo scorso»212. Gli «alibi scientisti» possono, dunque, far colpo soltanto sul «popolino» o sui «provinciali del nostro mondo borghese e intellettuale»213, ma sul piano della concreta politica razziale sono in realtà assolutamente fallimentari: come definire, infatti, la «razza italiana», estremamente variegata dal punto di visto etnologico, se non come una «razza dell’anima»? E come individuare l’«unità di Israele», se non nel suo «spirito», nel suo «modo d’essere e d’agire»?214. La razza – afferma

Evola – deve essere sentita innanzitutto come una «realtà interiore incoercibile» e in questa prospettiva «figurini da museo antropologico, indici cranici e leggi razziali» possono servire a ben poco. Il miglioramento razziale non può essere costruito in laboratorio – «come si coltivano i funghi artificiali quando scarseggiano quelli genuini» – ma deve essere frutto di un risveglio essenzialmente spirituale215. Biologia, genetica, antropologia, leggi mendeliane sono indubbiamente «tutte cose utili», ma da impiegare «subordinatamente», con «beneficio d’inventario», come «strumenti accessori e come fonti di conoscenze» inquadrati all’interno di una «concezione integrale», prima di tutto «etica e spirituale», della razza216. La conclusione dell’articolo evoliano contempla, prevedibilmente, una difesa a tutto campo delle tesi esoterico-tradizionalistiche, da non confondersi con la «divagazione filosofica», la «teosofia» o l’«evasione mistico-devozionale»:

I razzisti che difendono l’esclusivismo del punto di vista scientista e che come gloriosi antenati possono coerentemente vantare solo il gorilla e il pitecantropo, dovrebbero persuadersi che noi in Italia non ci troviamo in regime sovietico o ai tempi del giacobinismo illuminista, a che l’epiteto «spiritualistico» aggiunto a «razzismo» possa significare disdoro e discredito. Noi naturalmente precisiamo, dicendo che spirito, per noi, non significa né divagazione filosofica, né «teosofia», né evasione mistico-devozionale, ma semplicemente quel che in tempi migliori le persone ben nate sempre intesero proprio per razza: cioè dirittura, unità interna, carattere, dignità, virilismo, sensibilità immediata e diretta per tutti i valori che stanno alla base di ogni grandezza umana e che, sovrastandolo, dominano il piano di ogni realtà contingente e materiale217

Contro i melanconici assertori di un nebuloso spiritualismo è il sottotitolo che accompagna l’articolo di risposta, pubblicato da Landra sulla «Difesa della Razza» del 5 novembre 1942. Accusare di «bolscevismo e di giacobinismo» i «poveri razzisti della prima ora», i quali «hanno come sola colpa quella di avere iniziato la campagna razziale in Italia e di essere restati fedeli all’indirizzo ortodosso e ufficiale», è «cosa veramente puerile»218. E «perfettamente fuori luogo» è anche «il discutere se la scienza debba essere scritta con l’esse maiuscola o con quella minuscola»219. A seguire i «fulmini degli spiritualisti», bisognerebbe includere nella famiglia degli ebrei, dei giacobini o dei comunisti anche Lucrezio, Leonardo o Galileo. Oppure lanciare l’accusa di bolscevismo e di giacobinismo anche sul razzismo nazionalsocialista, i cui principa-

100Capitolo secondo li esponenti – e Landra cita Fischer, Von Verschuer, Lenz, Kranz e i loro rispettivi istituti di ricerca – seguono tutti «l’indirizzo biologico»220. Non che negli studi di Evola manchino del tutto «punti interessanti» o «intuizioni degne di essere prese in considerazione». Tuttavia, quando si parla di «razze del corpo, dell’anima e dello spirito, indipendenti le une dalle altre»221, un biologo – scrive Landra – non può non restare perplesso. Negli uomini, infatti, corpo e anima sono «un tutto inscindibile» ed è con questi uomini che «il politico» deve fare i conti, agendo come il «buon allevatore», selezionando «le qualità razziali del popolo su cui opera» e impedendo che «con il meticciato le qualità fisiche o psichiche della razza che vuole difendere vadano imbastardendosi»222. Poiché la razza non è un’«astrazione», come vorrebbero le «nuvole degli spiritualisti», ma una «realtà biologica concreta», il «razzismo positivo» deve tradursi, nell’ottica di Landra, in un progetto eugenetico di ampio respiro, che consiste nello «stimolare al massimo gli elementi meglio dotati dal punto di vista razziale», nel «porre in condizioni favorevoli di sviluppo la grande massa degli elementi medi» e, infine, nel «fare diminuire con misure energiche, come la sterilizzazione e la castrazione, fino a farla sparire del tutto, la massa grigia degli elementi tarati e asociali»223 .

Ad accentuare il carattere provocatorio dello scritto di Landra contribuiscono le immagini di contorno. Una prima fotografia raffigura Joseph Wellington Hunkin, prima nei panni di vescovo anglicano e poi come soldato. La didascalia ironizza sulla distinzione evoliana fra razza del corpo e razza dell’anima:

La razza dell’anima e quella del corpo? No; ma un pazzoide vescovo anglicano, Mons. Hunkin, il quale vuole combattere l’Asse anche col fucile. Agli spiritualisti nostrani l’incarico di risolvere la sciarada: è il vescovo Hunkin più ridicolo come soldato – cioè dal punto di vista della razza esterna – o più mentecatto come sacerdote – cioè dal punto di vista della razza interna?

Un secondo fotomontaggio mostra un parrucchiere alle prese con un gorilla. Anche in questo caso la didascalia orienta l’interpretazione dell’immagine in senso anti-spiritualistico:

Potrà cambiare razza? No; le cure del parrucchiere lo lasceranno scimmione come prima. Così un ebreo non potrà mai diventare ariano, malgrado tutti i virtuosismi anagrafici, anche se la sua «razza interna» verrà ripulita e pettinata per bene da qualche espertissimo spiritualista.

E come se non bastassero le illustrazioni e le parole di Landra, nello stesso numero della «Difesa della razza», la rubrica Questionario ospita una lettera di Alessandro Pasquali, diretta non soltanto contro Roberto Pavese, ma anche contro Evola, il cui articolo Equivoci del razzismo scientifico viene stigmatizzato come «il più notevole documento e monumento dell’odierna campagna scatenata in Italia contro il Razzismo»224 .

La replica di Evola, l’ultima, viene pubblicata, come sempre, sulla «Vita Italiana» di Preziosi, nel dicembre 1942. L’articolo Equivoci del «razzismo scientifico» – scrive il filosofo tradizionalista – non era indirizzato contro Landra e «La Difesa della razza», rivista la cui linea, del resto, non si era mai identificata soltanto con «un punto di vista semplicemente biologistico e materialistico»225. Evola si riferisce ovviamente alla propria stessa collaborazione al quindicinale:

Il Landra, anzitutto, interpreta il nostro scritto «L’equivoco del ‘razzismo scientifico’» come se in esso avessimo voluto prendercela specificatamente con lui e col gruppo di quella rivista. Ciò non è stato nelle nostre intenzioni. […] Per conto nostro, contro La Difesa della Razza e contro coloro che si qualificano «i poveri razzisti della prima ora» non abbiamo nessuna ragione di prendercela. È noto che noi stessi siamo stati collaboratori di questa rivista, fin dai primi numeri, così come è noto che essa a suo tempo riconobbe l’opportunità e la possibilità di sviluppare la tesi razzista di là da un punto di vista semplicemente biologistico e materialistico. In un dato periodo, quella rivista aveva perfino istituito una rubrica dal titolo «Mistica ed etica del razzismo»226

Evidentemente – continua il filosofo – i giornalisti della «Difesa della razza» si sono messi «a sparare all’impazzata, senza distinguere amici da nemici». Landra, in particolare, ha chiaramente confuso, secondo Evola, il concetto di scienza con quello di «scientismo»: se la prima, infatti, non ha nulla a che fare «col comunismo, l’ebraismo e la sovversione», la «religione della scienza» è stata, al contrario, «una delle superstizioni diffuse a ragion veduta proprio dalla sovversione intellettuale moderna nel perseguire i fini adombrati dai famosi Protocolli dei Savi Anziani di Sion, a partire, almeno, dal periodo dell’illuminismo»227. Per quanto riguarda poi il «problema biologico della razza», «La Vita Italiana»

– periodico che incarna, nel discorso evoliano, il punto di vista esoterico-tradizionalista – non ha mai sottovaluto la rilevanza della biologia, tanto nelle sue critiche alle «tesi storicistiche e idealistiche» di Acerbo e di Mazzei, quanto nella sua campagna contro le «arianizzazioni». Piuttosto ha sempre considerato l’«elemento biologico» come un fattore necessario, ma non sufficiente:

Per noi, così come un ascaro di razza africana, se ha dei meriti, potrà godere di speciali riconoscimenti civili e politici, ma mai e poi mai, su tale base, grazie ad un decreto reale diverrà un uomo bianco, e bianca la sua discendenza, del pari le benemerenze che in via eccezionale può avere un ebreo possono dar luogo ad una discriminazione di lui quale individuo, ma non certo ad una arianizzazione. E viceversa: un uomo ario moralmente indegno e basso resterà pur sempre biologicamente un bianco e non si trasformerà per questo, lui e la discendenza, in un indigeno australiano228 .

La razza ha, dunque, «la sua base e la sua manifestazione elementare» nel corpo, ma trova espressione, a livello superiore, nell’anima e nello spirito. La stessa Germania nazionalsocialista, che Landra vorrebbe popolata soltanto dai «medici e biologi» al servizio di Walther Gross, ha contribuito a integrare «la ricerca razziale antropologica e biologica» con «la teoria dei temperamenti e delle costituzioni, con la tipologia, con la cosiddetta Gestaltlehre, con la psicantropologia, con la “psicologia in profondità”»229 e, più in generale, con una «visione del mondo», che costituisce «la controparte veramente attiva e creativa del razzismo di carattere puramente biologico»230 .

Priva di qualsiasi riferimento al problema della «razza interna» ed esclusivamente impostata su soluzioni di carattere eugenetico, la politica della razza delineata da Landra è giudicata da Evola come uno «scherzo», l’ennesimo «esperimento dell’homunculus», nient’altro che «scientismo di bassa lega»: per il filosofo tradizionalista, infatti, «voler ridurre le qualità spirituali ed etiche a fatti biologici da far oggetto di procedimenti da gabinetto e da allevamento, è davvero la riduzione all’assurdo di ogni razzismo politico fascista»231. In conclusione, Evola dichiara l’assoluta impossibilità di «una collaborazione» o di «una intesa» con «La Difesa della razza»:

Noi […] siamo di un’altra razza e per un’altra razza: per quella, che non ha avuto bisogno della nascita degli istituti moderni di antropologia e di biologia per essere sentita, vissuta e difesa; per quella, per via della quale nei tempi passati, di contro ad ogni promiscuità di plebe e di meticciato fin nelle origini «razza» e «aristocrazia» furono sinonimi e si presentò davvero l’ideale di una completezza spirituale: come una superiorità dell’animo che nella nobiltà biologica del corpo trova la sua adeguata, naturale manifestazione232 .

Nella denuncia delle reciproche «deviazioni» e nella proclamazione di una radicale alterità di posizioni, sembra dunque concludersi, alla fine del 1942, il confronto fra la corrente biologica e quella esoterico-tradizionalista del razzismo fascista.

Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe presupporre, l’elemento spiritualistico non scompare del tutto dalle pagine della «Difesa della razza». Collaboratori come Massimo Scaligero e Aldo Modica, firme importanti del Diorama Filosofico evoliano, continuano, infatti, a pubblicare i loro articoli sul quindicinale di Interlandi.

Nell’agosto 1942, Scaligero, già autore di vari articoli in linea con la prospettiva tradizionalistica evoliana, interpreta, ad esempio, la «selezione razziale» come il tentativo di sintetizzare la «purificazione del protoplasma ereditario» con un’«azione morale formatrice», finalizzata ad acquisire la «coscienza del proprio sangue»: L’autentica spiritualità dell’uomo consiste non nel confinare il proprio «io» in un piano idealistico-astratto, discorsivo-spiritualistico, lasciando il proprio mondo fisico in uno stato di automatica animalità, ma nel recare il senso dell’«io» nel proprio piano vitale e fisico, senza tuttavia annullarsi in esso, ma bensì proiettandovi la piena coscienza, così che vita psichica e vita somatica vivano secondo una unità superiore233

E il «buon sangue della razza» è dato, nell’ottica di Scaligero, dal «coincidere delle energie etniche con quelle della Tradizione»234. Ancora più estremi, nella subordinazione dello spirito alla materia, gli scritti del medico palermitano Aldo Modica. Anche lo spirito – afferma, infatti, quest’ultimo, nel marzo 1942 – non sfugge alla «legge biologica universale che comprende l’avvicendamento delle forme e la morte da cui nasce nuova vita»235. La «forma psichica» corrisponde sempre, per Modica, alla «forma fisica»236

I casi di Scaligero e di Modica sono, per molti aspetti, paradigmatici dell’ultimo tentativo egemonico espresso dalla «Difesa della razza» in materia di ideologia razzista: la brusca fine della collaborazione evoliana non impedisce, infatti, al «misticismo biologico» di farsi strada nelle pagine del quindicinale di Interlandi. A patto, però, che lo spirito sia sempre subordinato alle leggi della biologia. E non viceversa.

1 L’«Agenzia Stefani» che annuncia il lancio della «Difesa della razza» è la n. 7 del 21 luglio 1938. Un’altra «Stefani» (la n. 14 del 2 agosto 1938) indica il 6 agosto come giorno dell’uscita e aggiunge il nome di Interlandi come direttore. Infine, il 6 la «Stefani» lancia un altro annuncio sull’uscita della rivista avvenuta quel giorno stesso e ne aggiunge una breve descrizione. Si è consultata l’«Agenzia Stefani Generale» presso la Biblioteca dell’acs.

2 Per le circolari sulla «Difesa della razza», tutte con protocollo diverso, acs, spd (19221943), cr, cat. 480/R, b. 145, fasc. 387.

3 Per il verbale della commissione, acs, mpi, dgab (1926-48), b. 142, fasc. Commissione per gli acquisti delle pubblicazioni. Verbali delle adunanze.

4 acs, spd (1922-43), co, b. 1959, fasc. 532.283, Roma. Rivista «La Difesa della Razza».

5 Foglio di disposizioni n. 1128 del 5 agosto 1938 ai Segretari federali del pnf, in partito nazionale fascista, 29 ottobre 1937-XVI E. F. – 28 ottobre 1938-XVI E. F.,t. II cit., p. 635.

6 A.S.Mi, Pref., Gab., 2º versamento, b. 34, fasc. 046. La Difesa della Razza. Rivista. Diffusione: telegramma ai prefetti n. 47252 del 26 settembre 1938.

7 Le tirature dei primi quattro numeri sono certificate con atto notarile in «La Difesa della razza», I, n. 5, 5 ottobre 1938, p. 7: 140000 copie per i primi due numeri; 130000 per il terzo; 150000 per il quarto.

8 Sfidato a duello nel 1938 da Sabatello, Interlandi rifiuterà di combattere, lui «ufficiale ariano», con un «sottotenente di complemento ebreo». Nel luglio 1943 Interlandi denuncerà che la vertenza era stata istruita presso il Distretto militare di Roma dal «colonnello ebreo Ascoli». Cfr. acs, mcp, Gabinetto, 2º versamento, b. 7, fasc. Telesio Interlandi: lettera di T. Interlandi a F. Mezzasoma, 7 luglio 1943. Sull’intera vicenda, cfr. g. mughini, A Via della Mercede c’era un razzista cit., pp. 167-71. Sulla figura del gallerista Dario Sabatello, cfr. s. salvagnini, Il sistema delle arti in Italia 19191943, Minerva Edizioni, Bologna 2000, pp. 312-14.

9 acs, mcp, Gabinetto, Sovvenzioni, b. 244, fasc. Difesa della Razza.

10 A questo gruppo si aggiungerà Giorgio Almirante, già redattore capo del «Tevere», indicato come segretario di redazione a partire dal 20 settembre 1938. Dal 20 gennaio 1941, il Comitato di redazione risulterà composto soltanto da Landra, Cipriani e Almirante.

11 Per una prima ricostruzione delle vicende del Manifesto, sulle quali in questa sede sarebbe impossibile tornare: cfr. m. ricci, Una testimonianza sulle origini del razzismo fascista cit., pp. 891-894; m. sarfatti, La preparazione delle leggi antiebraiche del 1938. Aggiornamento critico e documentario, in i. pavan e g. schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintregrazione bellica cit.; a. gillette, The origins of the «Manifesto of racial scientists» cit., pp. 305-23. g. israel e p. nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, il Mulino, Bologna, pp. 210-30. Mentre questo volume è pronto per la stampa, utet Libreria annuncia l’uscita del saggio di t. dell’era, Il Manifesto della razza

12 I dieci punti del Manifesto degli scienziati razzisti sono riportati sotto il titolo Razzismo italiano, in «La Difesa della razza», I, n. 1, 5 agosto 1938, p. 1.

13 l. cipriani, Razzismo, ivi, pp. 12-13; g. landra, La razza e le differenze razziali, ivi, pp. 14-15; f. savorgnan, I problemi della razza e l’opportunità di un’inchiesta antropometrica sulla popolazione italiana, ivi, p. 18; m. ricci, Eredità biologiche e razzismo, ivi, p. 19; e. zavattari, Ambiente naturale e caratteri biopsichici della razza italiana, ivi, pp. 20-21; a. donaggio, Caratteri della romanità, ivi, pp. 22-23; l. franzì, Può esistere un razzismo in medicina?, ivi, pp. 24-25. Gli ambienti del guf sono rappresentati, nel primo numero, dalla collaborazione di Quinto Flavio (pseudonimo di Fulvio Quirite), del guf di Trieste, redattore del periodico del guf di Cremona «Eccoci!» e già collaboratore del «Tevere».

14 Il Partito e il razzismo italiano, ivi, p. 2.

15 t. i. [telesio interlandi], Presentazione, ivi, p. 3.

16 Nell’editoriale pubblicato sul «Tevere» del 1º agosto, Interlandi aveva affermato: «Fascismo e difesa e potenziamento e primato della razza sono aspetti d’una stessa impresa». Cfr. [t. interlandi], La razza e il popolo, ivi, 1-2 agosto 1938, p. 1.

17 t. i. [telesio interlandi], Presentazione cit., p. 3.

18 Ibid

19 Ibid

20 Ibid

21 s. a. [ma b. mussolini], Razza e percentuale, in «La Difesa della razza», I, n. 1, 5 agosto 1938, p. 5. Per l’identificazione e l’analisi dell’articolo, cfr. g. fabre, Uno sconosciuto articolo razzista di Mussolini (con una nota sui suoi autografi), in «Quaderni di Storia», n. 65, gennaio-giugno 2007, pp. 129-75. L’articolo viene pubblicizzato in «Il Tevere», 8-9 agosto 1938, p. 1, accompagnato da un editoriale di Interlandi, dal titolo I senzapatria, che attacca duramente «Ludwig-Cohen».

22 e. ludwig, Colloqui con Mussolini cit., pp. 71-72. Nel passaggio in discussione, Mussolini definiva il razzismo «una stupidaggine». Quanto all’antisemitismo, affermava: «L’antisemitismo non esiste in Italia. Gli ebrei si sono sempre comportati bene come cittadini, e come soldati si sono battuti coraggiosamente». Nonostante i toni distensivi, le frasi sugli ebrei contenevano in realtà delle vere e proprie menzogne. Nel periodo dell’intervista a Ludwig, ma già in precedenza, Mussolini aveva tolto e fatto togliere tra i candidati all’Accademia d’Italia alcune personalità ebree e in particolare l’archeologo Alessandro Della Seta. Ma a Ludwig l’aveva spudoratamente negato, venendo tra l’altro addirittura colto in fallo – ma non in pubblico – da un testimone oculare come Ugo Ojetti: cfr. su questo a. capristo, L’esclusione degli ebrei dall’Accademia d’Italia, in «La Rassegna Mensile di Israel», LXVII, n. 3, settembre-dicembre 2001, pp. 1-27.Bottai, il 10 agosto 1938, scrive sul suo diario: «La gente ricorda le pagine dei Colloqui di Ludwig. Ricorda, che questi, scelto per delle confidenze storiche, è un ebreo. Che ebrea è la prima biografia di Mussolini. Che molti sono i senatori ebrei da lui nominati», cfr. g. bottai, Diario, 1935-1944 cit., p. 129.

23 Il documento è riportato in r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 560.

24 Sugli ipotetici riferimenti di Mussolini, cfr. g. fabre, Uno sconosciuto articolo razzista di Mussolini cit., pp. 139-40.

25 Ibid., p. 144.

26 Si veda, a titolo di esempio, la prima pagina del «Tevere» del 6 agosto 1938, intitolata Il razzismo italiano nel pensiero di Mussolini rimonta al 1917

27 g. fabre, Uno sconosciuto articolo razzista di Mussolini cit., p. 149.

28 Per la distinzione ideologica, politica e istituzionale fra razzismo biologico, razzismo nazionalista e razzismo esoterico-tradizionalista, cfr. m. raspanti, I razzismi del fascismo, in centro studi «f. jesi», La menzogna della razza cit., pp. 73-89.

29 Cfr. m. sarfatti, Il razzismo fascista nella sua concretezza: la definizione di «ebreo» e la collocazione di questi nella costruenda gerarchia razziale, in a. burgio (a cura di), Nel nome della razza cit., pp. 321-32.

30 g. bottai, Diario, 1935-1944 cit., p. 129 (5 agosto 1938).

31 Sulle possibili cause di questa modifica, che non varia l’impianto biologico della legislazione persecutoria, cfr. m. raspanti, I razzismi del fascismo cit., p. 78; r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 299. I testi della Dichiarazione sulla razza sono riportati in appendice a r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., pp. 567-75.

32 La composizione del Consiglio superiore della demografia e razza è riportata in appendice a r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 581.

33 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Lidio Cipriani»: lettera di L. Cipriani a G. Landra, 12 ottobre 1938.

34 acs, mcp, Gabinetto, II versamento, b. 7, fasc. Telesio Interlandi, lettera di T. Interlandi a B. Mussolini, 28 ottobre 1938.

38 Su Acerbo, cfr. supra in questo capitolo.

39 [t. interlandi], Canovaccio per commedia, in «Il Tevere», 17-18 ottobre 1938, p. 1.

40 acs, mcp, Gabinetto, b. 54, fasc. 43 «Pende Sen. Nicola»: disposizione del 16 ottobre 1938.

41 acs, spd (1922-43), co, b. 1005, fasc. 509.058, lettera di N. Pende a B. Mussolini, 18 ottobre 1938.

42 acs, mcp, b. 54, fasc. 43 «Pende Sen. Nicola»: lettera di N. Pende a D. Alfieri, s.d. ma 18 ottobre 1938.

43 Ibid., disposizione del 20 ottobre 1938. Sulla vicenda, cfr. m. raspanti, I razzismi del fascismo cit., p. 79.

44 g. landra, Gli studi della razza in Italia prima del razzismo, in «La Difesa della razza», II, n. 8, 20 febbraio 1939, pp. 20-23.

45 acs, mpi, dgiu, Fascicoli professori universitari (1940-70), III serie, b. 481, fasc. «Visco Sabato», appunto per il ministro della Cultura Popolare, 23 febbraio 1939.

46 t. salvotti, Fatti e misfatti di un giudeo, in «La Difesa della razza», II, n. 21, 5 settembre 1939, pp. 22-24. Nato nel novembre 1900 a Vienna da Mario ed Elisabetta von Thyr, dal 1909 al 1918 Salvotti studia al collegio gesuita di Kalksburg. Nel 1918 entra nel primo reggimento Kaiserjäger di Innsbruck. Dopo aver vissuto a Rovereto e a Trento, nel 1923 si iscrive al fascio di Firenze, dove lavora come impiegato di una ditta di pianoforti. Fra il 1925 e il 1940 è guida-interprete dell’agenzia di viaggi Cook. Negli anni Trenta è collaboratore del sim – Difesa per la Germania e membro del Weltdienst. Partecipa alla seconda guerra mondiale sul fronte libico, addetto alle intercettazioni radio. Dal 1949 al 1974 sarà dirigente della Fiera di Verona. Ulteriori dettagli sulla figura di Troilo Salvotti sono conservate nel fondo personale depositato presso l’Archivio comunale di Trento.

47 acs, mpi, dgiu, Fascicoli professori universitari (1940-70), III serie, b. 481, fasc. «Visco Sabato», appunto per il ministro della Cultura Popolare, 2 settembre 1939.

48 Ibid., 17 gennaio 1940. L’articolo in questione è p. nullo, Razza e storia, in «La Difesa della razza», III, n. 4, 20 dicembre 1939, pp. 18-19.

49 Ivi, 3 marzo 1940. La nota si riferisce all’articolo di g. landra, Gli etiopi sono una razza?, ivi, n. 9, 5 marzo 1940, pp. 34-36.

50 Ivi, 3 luglio 1940.

51 acs, spd (1922-43), co, b. 1959, fasc. 532.283, note anonime del ministero della Cultura Popolare allegate alla lettera di T. Interlandi a B. Mussolini, 28 luglio 1940. Oggetto delle critiche è l’articolo di g. landra, La propaganda razziale nel III Reich, in «La Difesa della razza», III, n. 16, 20 giugno 1940, pp. 31-36.

52 acs, spd (1922-43), co, b. 1959, fasc. 532.283, lettera di T. Interlandi a B. Mussolini, 28 luglio 1940.

53 acs, mcp, Gabinetto, Sovvenzioni, b. 199, fasc. «Ufficio Razza», s.fasc. «Lino Businco» e s.fasc. «Leone Franzì».

54 e. baur, e. fischer e f. lenz, Grundriss der menschlichen Erblichkeitslehre und Rassenhygiene, J. F. Lehmanns, Munich 1921.

55 L. Cipriani, rec. di e. baur, e. fischer e f. lenz, Menschliche Erblehre und Rassenhygiene (I vol., e. baur, e. fischer e f. lenz, Menschliche Erblehre, 4a ed., J. F. Lehmanns, Monaco 1936; II vol., f. lenz, Menschliche Auslese und Rassenhygiene (Eugenik), 4a ed., J. F. Lehmanns, München 1934),in «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», LXVI (1936), fasc. 1-4, pp. 56-57.

56 acs, mcp, Gabinetto, b. 151, fasc. «Collaboratori Ufficio Razza», s.fasc. «Lidio Cipriani»: lettera di S. Visco a G. Giustini, 19 luglio 1940.

57 Ibid., lettera di L. Cipriani a S. Visco, 23 luglio 1940.

58 Ibid., lettera di S. Visco a C. Luciano, 14 maggio 1941.

59 Cfr. a. gillette, Racial Theories in Fascist Italy, Routledge, London - New York 2002, pp. 120-24.

60 Ritratto degli ebrei d’Italia. Le rocche forti del giudaismo nel settore dell’agricoltura, in «Il Tevere», 24-25 settembre 1938, p. 3.

61 acs, mcp, Gabinetto, b. 45, fasc. «Acerbo Giacomo»: lettera di G. Acerbo a D. Alfieri, 30 settembre 1938.

62 Ibid., lettera di D. Alfieri a G. Acerbo, 3 ottobre 1938.

63 Ibid., lettera di G. Acerbo a D. Alfieri, 20 dicembre 1938.

64 Ibid., nota di G. Acerbo al ministero della Cultura Popolare, s.d.

65 Ibid., nota di G. Acerbo al ministero della Cultura Popolare, s.d.

66 c. cecchelli, Problemi della razza, in «Corriere della Sera», 28 febbraio 1940, p. 1.

67 acs, mcp, Gabinetto, b. 45, fasc. «Acerbo Giacomo»: lettera di G. Acerbo ad A. Pavolini, 11 marzo 1940.

68 g. acerbo, I fondamenti della dottrina fascista della razza, Azienda tipografica editrice nazionale, Roma 1940, p. 19.

69 Ibid., p. 27.

70 Ibid., p. 24.

71 Ibid., p. 32.

72 Ibid., pp. 55-56.

73 Cfr. a. gillette, Racial Theories in Fascist Italy cit., pp. 130-37.

74 g. preziosi, Per la serietà degli studi razziali italiani (Dedicato al camerata Giacomo Acerbo), in «La Vita Italiana», XXVIII, vol. 56, fasc. 328, luglio 1940, pp. 73-75, e in «Il Tevere», 16-17 luglio 1940, p. 3.

75 Sulle critiche di Preziosi a Corrado Gini, cfr. f. cassata, Il fascismo razionale. Corrado Gini fra scienza e politica, Carocci, Roma 2006, p. 98.

76 g. preziosi, Per la serietà degli studi razziali italiani (Dedicato al camerata Giacomo Acerbo) cit., p. 75.

77 g. acerbo, I fondamenti della dottrina fascista della razza cit., p. 81.

78 Commento di Interlandi (anche se non firmato) a g. preziosi, Per la serietà degli studi razziali italiani (Dedicato al camerata Giacomo Acerbo) cit., p. 3.

79 Uno studioso, A proposito di studi razziali, in «Il Tevere», 19-20 luglio 1940, p. 5.

80 g. d. i. [giuseppe dell’isola, pseud. di Giuseppe Pensabene], A proposito di studi razziali, ivi, p. 3.

81 Ibid.

82 Ibid

83 Lettera di R. Farinacci a G. Preziosi, riportata in Per la serietà degli studi italiani sulla razza cit., p. 135.

84 Ibid

85 Per la serietà degli studi italiani sulla razza. Giacomo Acerbo, ivi, p. 140.

86 Ibid., pp. 144-45.

87 acs, mcp, Gabinetto, b. 45, fasc. «Acerbo Giacomo»: appunto per Mussolini del ministro della Cultura Popolare, 24 settembre 1940.

88 Ibid., bozza dell’articolo di g. acerbo, A proposito di studi razziali

89 Ibid.

90 a. messineo, I fondamenti della dottrina fascista della razza, in «La Civiltà Cattolica», 91, vol. IV, n. 2169, 2 novembre 1940, pp. 216-19.

91 g. pensabene, Il razzismo che piace ai Gesuiti, in «Il Tevere», 25-26 novembre 1940, p. 3.

92 s. a. (ma g. preziosi), Fatti e commenti. I razzisti di «oggi», in «La Vita Italiana», XXVIII, vol. 56, fasc. 331, 15 ottobre 1940, p. 441.

108Capitolo secondo

93 acs, mcp, Gabinetto, b. 45, fasc. «Acerbo Giacomo»: lettera di G. Acerbo ad A. Pavolini, 22 ottobre 1940.

94 Ibid., lettera di A. Pavolini a G. Acerbo, 7 novembre 1940.

95 Il curriculum vitae di Barduzzi è conservato in acs, mcp, Gabinetto, b. 121, fasc. «Barduzzi Carlo». Nato a Vailate (Cremona) nel 1888, si laurea in ingegneria al Politecnico di Milano il 12 settembre 1914. Partecipa alla prima Guerra mondiale ed è congedato col grado di capitano d’artiglieria. Iscritto al pnf dal 12 dicembre 1922, Barduzzi diviene deputato nel 1924 e console generale della mvsn nel 1927. Nel 1925 e 1926 è propagandista per i fasci italiani all’estero in Francia e Spagna. Nel febbraio 1927 è nominato console generale di I classe con destinazione Marsiglia; nel 1929 è trasferito a Tunisi, nel 1931 a Colonia, nel 1933 a Odessa. Dal maggio 1937 al luglio 1938 è capo della sezione letteratura al Centro di Studi Anticomunisti. Su Barduzzi, si rimanda alle numerose pagine a lui dedicate in g. fabre, L’elenco cit.

96 acs, mcp, Gabinetto, b. 121, fasc. «Barduzzi Carlo»: esposto di C. Barduzzi al Prefetto Luciano, 30 agosto 1940.

97 Ibid., esposto di C. Barduzzi al Prefetto Luciano, 31 agosto 1940.

98 Ibid., esposto di C. Barduzzi al Prefetto Luciano, s.d. ma settembre 1940.

99 acs, spd (1922-43), co, b. 476, fasc. 183.506: lettera di G. Landra a G. Preziosi, 26 settembre 1940.

100 Ibid

101 Ibid

102 acs, spd (1922-43), co, b. 476, fasc. 183.506: lettera di G. Landra a O. Sebastiani, 4 ottobre 1940.

103 Ivi, lettera di G. Preziosi a B. Mussolini, 28 settembre 1940.

104 Ivi, lettera di G. Landra a O. Sebastiani, 4 ottobre 1940.

105 g. preziosi, In attesa della soluzione europea della questione ebraica, in «Il Tevere», 1718 agosto 1940, p. 3, già apparsa precedentemente in «La Vita Italiana», XXVIII, vol. 56, fasc. 329, 15 agosto 1940, p. 196.

106 id., Occorre una Carta italiana della razza, in «Il Tevere», 19-20 ottobre 1940, p. 3, già pubblicata in «Il Regime Fascista», 17 ottobre 1940 e successivamente, con il titolo Per una «Carta della razza», in «La Vita Italiana», XVIII, vol. 56, fasc. 332, 15 novembre 1940, pp. 556-57. Cfr. inoltre j. evola, La situazione del razzismo in Italia, ivi, XXIX, vol. 57, fasc. 335, 15 febbraio 1941, ora in id., I testi de “La Vita Italiana”, Edizioni di Ar, Padova 2005, vol. II, pp. 256-57.

107 Cfr. r. de felice, Storia degli ebrei italiani cit., p. 392, il testo è riportato alle pp. 600601. Cfr. anche a. gillette, Racial Theories in Fascist Italy cit., pp. 147-50; centro studi «f. jesi», La menzogna della razza cit., p. 243.

108 Cfr. a. gillette, Racial Theories in Fascist Italy cit., pp. 151-53.

109 s. a., Antirazzismo accademico, in «Il Tevere», 11-12 settembre 1942, p. 1.

110 Ibid.

111 j. evola, In alto mare, in «La Vita Italiana», XXX, vol. 60, fasc. 356, 15 novembre 1942, oggi in id., I testi de “La Vita Italiana” cit., p. 449.

112 Cfr. j. evola, Americanismo e bolscevismo, in «Il Tevere», 18-19 agosto 1928, p. 3; id., Spirito mediterraneo e femminismo, ivi, 1-2 ottobre 1928, p. 3; id., Difesa delle caste, I, ivi, 26-27 ottobre 1928, p. 3; id., Difesa delle caste, II, ivi, 27-28 ottobre 1928, p. 3; id., Per una unità della cultura fascista, ivi, 5-6 dicembre 1928, p. 3; id., Imperialismo e stile «realistico», ivi, 22-23 gennaio 1929, p. 3; id., La tradizione nordico-atlantica, ivi, 13-14 aprile 1929, p. 3; id., Surrealismo e sub-realismo, ivi, 8-9 maggio 1929, p. 3; id., Un’arte delle altezze, ivi, 25-26 maggio 1929, p. 3; id., Il ritorno alle origini, ivi, 3-4 luglio 1929, p. 3; id., Difesa dell’individualismo, ivi, 25-26 luglio 1929, p. 3; id., Vienna, ivi, 13-14 dicembre 1929, p. 3; id., Difesa dell’aristocrazia, ivi, 10-11 gennaio 1930, p. 4; id., Falso e vero «paneuropeismo», ivi, 7-8 febbraio 1930, p. 3; id., Un blocco italogermanico, ivi, 14-15 febbraio 1930, p. 3; id., Italia e Germania, ivi, 13-14 marzo 1930, p. 3. Il paganesimo evoliano era stato introdotto, nella terza pagina del «Tevere», da due articoli di Luchini: cfr. a. luchini, Il pagano J. Evola o l’imperialismo come anticristianesimo. I, ivi, 19-20 luglio 1928, p. 3; II, ivi, 20-21 luglio 1928, p. 3.

113 I trentaquattro articoli pubblicati da Julius Evola sulla «Difesa della razza», dal 5 gennaio 1939 al 20 aprile 1942, sono stati ripubblicati in due antologie: j. evola, I testi de «La Difesa della Razza», a cura di P. Di Vona, Ar, Padova 2001; j. evola, La Nobiltà della Stirpe (1932-1938), La Difesa della Razza (1939-1942), a cura di G. F. Lami, Fondazione Julius Evola, Roma 2002, pp. 141-333.

114 j. evola, I tre gradi del problema della razza, in «La Difesa della razza», II, n. 5, 5 gennaio 1939, p. 12.

115 Ibid.

116 Ibid.

117 Ibid

118 Ibid., p. 13.

119 Ibid

120 Ibid

121 id., Le selezioni razziali, in «La Difesa della razza», IV, n. 12, 20 aprile 1941, p. 28.

122 Ibid., pp. 28-29.

123 id., La razza e i Capi, ivi, n. 24, 20 ottobre 1941, pp. 7-8.

124 id., Andare avanti sul fronte razzista, ivi, n. 8, 20 febbraio 1941, pp. 19-20.

125 id., Razza: realtà del mito, ivi, II, n. 6, 20 gennaio 1939, p. 19.

126 id., Le selezioni razziali cit., p. 29.

127 id., La razza e la guerra, in «La Difesa della razza», III, n. 2, 20 novembre 1939, p. 22.

128 id., La razza e i Capi cit., p. 8.

129 Ibid.

130 j. evola, Sintesi di dottrina della razza, U. Hoepli, Milano 1941 (Edizioni di Ar, Padova 1994; trad. tedesca con modifiche Grundrisse der faschistischen Rassenlehre, Runge Verlag, Berlin 1942).

131 acs, mcp, Gabinetto, b. 140, fasc. «Ludwig Ferdinand Clauss»: progetto evoliano citato all’interno della lettera inviata da Luchini al ministero della Cultura Popolare, 25 luglio 1941 (corsivo nel testo).

132 Sulla figura di L. F. Clauss, cfr. in particolare p. weingart, Doppel-Leben. LudwigFerdinand Clauss: zwischen Rassenforschung und Widerstand, Campus, Frankfurt am Main - New York 1995. «La Difesa della razza» pubblicherà un articolo di Clauss, accompagnato da un profilo biografico: l. f. clauss, L’anima della razza, in «La Difesa della razza», III, n. 1, 5 novembre 1939, pp. 24-28.

133 acs, mcp, Gabinetto, b. 140, fasc. «Ludwig Ferdinand Clauss»: progetto evoliano citato all’interno della lettera inviata da Luchini al ministero della Cultura Popolare, 25 luglio 1941.

134 Cfr. f. cassata, A destra del fascismo cit., pp. 268-69.

135 n. cospito e h. w. neulen (a cura di), Julius Evola nei documenti segreti del Terzo Reich, Europa, Roma 1986, p. 77.

136 Ibid., p. 92.

137 Ibid., p. 96.

138 Ibid., p. 99.

139 Ibid., p. 100.

140 Ibid., p. 116.

141 acs, mcp, Gabinetto, b. 140, fasc. Ludwig Ferdinand Clauss, telespresso dell’Ambasciata italiana a Berlino al Gabinetto del ministero della Cultura Popolare, 2 luglio 1942.

142 j. evola, Razzismo e gioventù, in «Roma Fascista», XVIII, n. 6, 11 dicembre 1941, p. 1.

146 id., La razza, l’ideale classico e gli «spostati spirituali», ivi, XIX, n. 9, 1º gennaio 1942, pp. 1-2.

147 id., La razza e i «miti politici». Il concetto dello Stato-Ordine, ivi, n. 12, 22 gennaio 1942, p. 3.

148 Sulla figura di Massimo Scaligero (pseudonimo di Antonio Massimo Sgabelloni), cfr. centro studi «f. jesi», La menzogna della razza cit., p. 252.

149 m. scaligero, Coscienza di essere razza, in «Roma Fascista», XIX, n. 12, 22 gennaio 1942, p. 3.

150 id., L’azione dello spirito nella razza, ivi, n. 17, 26 febbraio 1942, p. 6.

151 r. carbonelli, Presupposti e pregiudiziali del razzismo fascista, ivi, XVIII, n. 8, 25 dicembre 1941, p. 1.

152 id., Premesse morali e storiche al razzismo fascista, ivi, XIX, n. 14, 5 febbraio 1942, pp. 1-2.

153 s. cappelli, Natura e limiti di un razzismo fascista, ivi, XVIII, n. 7, 18 dicembre, XX (1941), pp. 1-2.

154 id., Del razzismo storico. La «legge delle vocazioni», ivi, XIX, n. 11, 15 gennaio 1942, p. 1.

155 Ibid

156 a. presenzini mattoli, Con Roma oltre ogni limite naturalistico e razionale, ivi, n. 12, 22 gennaio 1942, p. 3.

157 id., Il Popolo, La Razza, Lo Stato, ivi, XIX, n. 15, 12 febbraio 1942, p. 3.

158 g. pistoni, Dottrina della Razza e dottrina del Fascismo, ivi, n. 17, 26 febbraio 1942, p. 6. L’articolo è ripreso dal «Fascio», organo della Federazione fascista di Milano.

159 Ibid

160 p. pennisi, La nostra mediterraneità, in «Roma Fascista», XIX, n. 10, 8 gennaio 1942, pp. 1-2.

161 id., Della razza interna o della romanità, ivi, n. 16, 19 febbraio 1942, p. 1.

162 id., Razzismo, fascismo, cattolicismo, ivi, n. 19, 12 marzo 1942, p. 6.

163 j. evola, Precisazioni sul razzismo, ivi, n. 18, 5 marzo 1942, p. 6.

164 Cfr. a. presenzini mattoli, Razza e Impero, ivi, n. 18, 5 marzo 1942, p. 6; r. carbonelli, Per chiarire un equivoco in tema di razzismo, ivi, n. 20, 19 marzo 1942, p. 6; s. cappelli, La vera verità di una razza è la sua storia, ivi, p. 6.

165 t. i. [telesio interlandi], Richiamo alle origini e all’onestà, in acs, spd, co 1922-43, b. 1959, fasc. 532.283.

166 Ibid

167 Ibid

168 Ibid

169 acs, spd, co 1922-43, b. 1959, fasc. 532283, lettera di T. Interlandi a B. Mussolini, 9 marzo 1942.

170 Ibid.

171 Il titolo è corredato dalla trascrizione dei punti 3 («Il concetto di razza è concetto puramente biologico») e 6 («Esiste ormai una pura “razza italiana”») del Manifesto del 1938.

172 g. landra, Fondamenti biologici del razzismo, in «La Difesa della razza», V, n. 10, 20 marzo 1942, p. 7.

173 Conclusioni sul razzismo – Punti fermi, in «Roma Fascista», XIX, n. 22, 2 aprile 1942, p. 5.

174 Conclusioni sul razzismo – Premessa, ivi.

175 Cfr. j. evola, Appendice polemica, ivi, p. 6; r. carbonelli, Ancora su di un equivoco, ivi, XIX, n. 23, 9 aprile 1942, p. 6.

176 Cfr. «Diorama Filosofico», problemi dello spirito nell’etica fascista, 46 numeri dal 2 febbraio 1934 al 27 giugno 1937; poi «Diorama mensile», problemi dello spirito e della razza nell’etica fascista, 43 numeri dal 18 dicembre 1938 al 18 luglio 1943 («Diorama quindicinale», nei 18 numeri usciti fra il 15 febbraio 1939 e il 26 aprile 1940). Per un approfondimento, cfr. m. tarchi, Diorama. Problemi dello spirito nell’etica fascista. Antologia della pagina speciale di «Regime Fascista» diretta da Julius Evola, Europa, Roma 1974; m. bernardi guardi, Diorama Filosofico: una «proposta» tradizionale, in «Civiltà», II, nn. 8-9, settembre-dicembre 1974, pp. 79-87; III, nn. 12-13, maggio-agosto 1975, pp. 31-37; r. del ponte, Gli orizzonti europei del tradizionalismo nel «Diorama filosofico» (1934-1943), in m. bernardi guardi e m. rossi, Delle rovine e oltre. Saggio su Julius Evola, Pellicani, Roma 1995, pp. 167-97; f. cassata, Tradizionalismo e razzismo: «Diorama Filosofico»,terza pagina del «Regime Fascista» (1934-1943), in «Razzismo & Modernità», II (2002), n. 2, pp. 32-63.

177 j. evola, Maschere «spiritualistiche» dell’antirazzismo, in «Il Regime Fascista», 22 marzo 1942, p. 3.

178 c. rossi di lauriano, Oscillazioni sul fronte razzista, ivi, 19 aprile 1942, p. 3.

179 Ibid

180 Ibid

181 Ibid

182 Ibid

183 t. i. [interlandi], Discorso alle «nuove linfe», in «La Difesa della razza», V, n. 12, 20 aprile 1942, p. 4.

184 Ibid

185 Ibid

186 Lo schema, non privo di refusi nell’indicazione delle pagine, è riportato a pag. 5 del fascicolo del 20 aprile 1942. Gli articoli a cui si fa riferimento sono i seguenti: g. landra, Le razze umane esistono, in «La Difesa della razza», V, n. 12, 20 aprile 1942, pp. 7-8; a. modica, Razze e sottorazze, ivi, pp. 19-21; l. cipriani, Il concetto di razza è puramente biologico, ivi, pp. 12-13; l. businco, Arianità dell’Italia, ivi, pp. 9-10; m. scaligero, Continuità storica della razza italiana, ivi, pp. 15-16; s. baglioni, I fattori biologici delle unità razziali, ivi, pp. 5-6; f. graziani, Caratteri del razzismo fascista, ivi, pp. 14-15; j. evola, Razzismo nordico-ario, ivi, pp. 10-11; g. pensabene, Gli ebrei in Italia, ivi, pp. 17-19; r. d’anna botta, Meticciato, ivi, pp. 21-22.

187 [t. interlandi], Dietro il fronte razzista, in «Il Tevere», 23-24 aprile 1942, p. 1.

188 Ibid

189 Ibid

190 g. landra, Storia vera del razzismo italiano, in «La Difesa della razza», V, n. 13, 5 maggio 1942, pp. 5-6.

191 Ibid., p. 6.

192 Ibid.

193 g. almirante, …Ché la diritta via era smarrita…, ivi, n. 13, 5 maggio 1942, p. 11.

194 Ibid.

195 c. rossi di lauriano, Si può parlar con calma sul razzismo italiano?, in «Il Regime Fascista», 17 maggio 1942, p. 3.

196 Ibid.

197 Ibid

198 Ibid

199 j. evola, Spunti di polemica razziale, in «La Vita Italiana», XXX, vol. 59, fasc. 351, 15 giugno 1942, p. 557.

200 Ibid

201 s. baglioni, I fattori biologici delle unità razziali, in «La Difesa della razza», V, n. 12, 20 aprile 1942, pp. 5-6.

112Capitolo secondo

202 g. marro, Razzismo vero razzismo spurio, ivi, n. 15, 5 giugno 1942, pp. 3-6.

203 Cfr. ivi, n. 17, 5 luglio 1942, p. 3.

204 g. landra, Il razzismo e la scienza italiana, ivi, p. 9.

205 id., Quattro anni di razzismo, ivi, n. 18, 20 luglio 1942, p. 12.

206 g. landra, Il problema della razza e la scienza sperimentale, ivi, n. 19, 5 agosto 1942, p. 4.

207 Ibid.

208 Ibid.

209 Ibid

210 j. evola, L’equivoco del «razzismo scientifico», in «La Vita Italiana», XXX, vol. 60, fasc. 354, 15 settembre 1942,p. 238.

211 Ibid., p. 234.

212 Ibid., p. 232.

213 Ibid., p. 236.

214 Ibid., p. 235.

215 Ibid

216 Ibid., p. 237.

217 Ibid., p. 238.

218 g. landra, Razzismo biologico e scientismo, in «La Difesa della razza», VI, n. 1, 5 novembre 1942, p. 9.

219 Ibid.

220 Ibid., p. 10.

221 Ibid

222 Ibid

223 Ibid., p. 11.

224 Questionario – I «trasecolanti» rispondono, ivi, p. 20.

225 j. evola, Scienza, razza e scientismo, in «La Vita Italiana», XXX, vol. 60, fasc. 357, 15 dicembre 1942, p. 557.

226 Ibid

227 Ibid., p. 558.

228 Ibid., p. 559.

229 Ibid., p. 560.

230 Ibid., p. 561.

231 Ibid., pp. 562-63.

232 Ibid., p. 563.

233 m. scaligero, Coscienza del sangue, in «La Difesa della razza», V, n. 20, 20 agosto 1942, p. 6.

234 id., Continuità storica della razza italiana, ivi, n. 12, 20 aprile 1942, p. 15.

235 a. modica, Razza Civiltà Storia, ivi, n. 10, 20 marzo 1942, p. 21.

236 id., Razze e sottorazze, ivi, n. 12, 20 aprile 1942, p. 20. Cfr. anche id., Il Tripartito sul piano razziale, in «Il Tevere», 28-29 settembre 1942, pp. 1 e 3; id., Origine e sviluppo del razzismo fascista, ivi, 28-29 ottobre 1942, p. 2; id., Razzismo biologico e razzismo confessionale, ivi, 19-20 gennaio 1943, p. 3.

Basterebbe che ogni italiano, in una di quelle domande rivolte alla propria coscienza che neppure il fascismo può impedirgli di porsi, si chiedesse di che razza è, da dove viene il colore dei suoi occhi o della sua pelle, perché l’«antica purezza del sangue» proclamata dal Ministero della Cultura Popolare prenda un aspetto assurdo.

F. Venturi, La razza italiana o l’italiano allo specchio, in «Giustizia e Libertà», 29 aprile 1938, articolo a firma Gianfranchi.

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