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2.1 Una precisazione interessante: le comunità israelitiche e il loro impatto
2.1 Una precisazione interessante: le comunità israelitiche e il loro impatto
Prima di addentrarci più proficuamente all’interno dell’analisi empirica della cremazione, ci sembra utile riportare alcune dinamiche proprie delle comunità ebraiche
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sparse in Europa che contribuiscono ad avvalorare alcune nostre traiettorie di analisi:
ciò perché, insediandoli nella nostra mappa come variabile spia, notiamo dove
avvengono mutazioni sociali e assetti positivi al fenomeno della nostra ricerca
(apertura commerciale, ambienti liberali, laicizzazione). Una precisazione da fare sul
piano semantico è che per ebrei non indichiamo esattamente una cultura religiosa (che
anzi appare desacralizzata), ma in senso più ampio un gruppo sociale con una sua
gamma valoriale che, come si vedrà diventa un amalgama ad un certo tipo di società in
cui sono inseriti (ad esempio di apertura all’analisi del rischio o ad un certo tipo di mestieri), è insomma un’unità di capitale sociale variegato e con esiti non standardizzati in quanto, l’interazione territoriale permette o meno la diffusione del loro raggio d’azione. Non è quindi l’ebreo in quanto tale, ma la recidività di un territorio con la sua gamma di variabili a rendere possibile alcuni significati. Gli ebrei,
qui presi come variabile esterna, ci aiutano a comprendere meglio le varie casistiche
territoriali, frammentate, il tutto ai fini di un’analisi ecologica tra comunità di accoglienza con il suo welfare e le sue dinamiche e variabile esterna.
In particolare gli ebrei ottocenteschi, avranno in Europa Occidentale dinamiche
interessanti a seguito della fine del feudalesimo e quindi della fine dei ghetti. Ciò li
rende una minoranza aperta alle culture maggioritarie, spesso caratterizzati da un’
inclinazione al commercio e all’innovazione che li rende divulgatori di nuove pratiche, appunto come quella della cremazione: sono una sorta di globalizzatori, dotati di
mobilità territoriale e fortune altalenanti, saranno un motore propulsore per agevolare
circolazioni di idee su scala internazionale.
La loro presenza diventa più individualistica, la religione diventa un fatto privato e
l’essere ebreo moderno è percepito come un tratto della personalità. Gli andamenti delle varie comunità restano talvolta ciclici e altalenanti, mai rettilinei, ma
l’interessante saggio di storia economica di Jacques Attali, Gli Ebrei, Il Mondo, Il
Denaro (2003) ci rivela scenari utili per il nostro percorso, che tenteremo di ricostruire
in un’ottica pre-1939, quando lo spettro dell’Olocausto investirà nella visione della
cremazione il suo triste presagio e rovesciando molte sue ideologie e intenti (anche se
gli autori della nostra letteratura di riferimento cercheranno di evitare di sopperire a
questo cataclisma che appare come un’interferenza nell’immaginario della cremazione così come venne concepita per ideologia politica e tecnologie ai suoi albori).
Teniamo dunque a mente qualche appunto, anche se alcuni riferimenti risalgono a
tempi differenti alla nostra ricerca, diventano un tratto strutturale di alcune nostre realtà
prese in esame:
L’Italia o meglio, gli stati italiani preunitari, hanno diviso le comunità ebraiche
in due forme politiche, esistono le città feudali che accolgono gli ebrei come
prestatori e artigiani e li chiudono di notte nei ghetti; le altre, le città mercantili,
li ricevono in quanto agenti del grande commercio e li lasciano vivere in tutta
libertà (Attali, 2003:258) Ciò avrà però ricadute sulla linea di partenza delle
diverse realtà con l’abolizione degli obblighi feudali (1789) creando così una
partenza differenziata.
La Toscana, è in particolare l’unica regione italiana dove il Papato non esercita
una presenza eccessiva, su tutte spicca la città di Livorno: dichiarata porto franco
nel 1548 (i Medici ne vogliono fare la rivale di Ancona), rimane ospitale per gli
ebrei. Possono esercitarvi tutti i mestieri, e perfino occupare impieghi pubblici.
Privilegio supremo: la città garantisce loro l’immunità di fronte all’Inquisizione per le trasgressioni passate; in altre parole, i conversos livornesi conservano il
diritto di ridiventare ebrei senza essere considerati “relapsi”. Da ogni parte, ci si
viene quindi a stabilire in questa rara città d’Europa senza ghetto: mentre nel 1600 vi risiede un centinaio di ebrei, sono tremila nel 1689 e cinquemila alla fine
del secolo. Si considerano ben presto un’élite ebraica, così come faranno più tardi gli ebrei tedeschi. Nel 1600, un medico, Moise Cordovero, è anche un
importante banchiere. Alcuni creano imprese di tessitura della seta, di soffieria
del vetro, di artigianato del corallo. Commerciano con Algeri, Tunisi, l’India e il Brasile – da dove importano, nel 1632, il primo caffè in Italia. I loro stampatori
pubblicano tutti i libri di preghiere usati in Africa del nord sono considerevoli.
Dopo Amsterdam, Livorno diventa il secondo grande centro dell’attività commerciale, della stampa e della vita intellettuale ebraica.
E’ importante notare come, la spinta degli ebrei come ceto innovatore abbia già in tempi remoti spinte laicizzanti e contrapposizioni interne, è il caso, quello dei sefarditi
(ebrei della Spagna) di apparire più emancipati rispetto agli ebrei del rabbinato romano
(uno dei più antichi dopo Gerusalemme e più vicino a una certa ortodossia): nel 1492,
papa Alessandro VI accoglie nei suoi Stati alcuni esuli di Spagna e del Portogallo,
soprattutto banchieri che potevano pagare molto cara la loro licenza. (…) Gli ebrei venuti dalla Spagna vi giungono con i loro riti; si sentono così profondamente differenti
dai loro correligionari insediati lì talvolta da più di quindici secoli, che non si
mescolano a loro; alcune vecchie comunità, per difendersi, allontanano i nuovi arrivati.
In capo a vent’anni, tuttavia, l’integrazione si realizza: nel 1524, gli ebrei di Roma, stabilitisi da tempi antichissimi, accettano infine di dividere la direzione delle comunità
con i recenti rifugiati dalla Spagna, dalla Francia e dalla Germania.
Presso gli Asburgo – che, dopo l’elezione all’Impero di Carlo V nel 1519, regnano sull’Austria, la Germania, le Fiandre, la Spagna e una parte dell’Italia –gli ebrei sono appena tollerati. Vi sono ammessi solo come prestatori su
garanzia, tranne in Boemia e in Moravia dove hanno anche accesso
nell’artigianato. I principi li utilizzano pure per riscuotere le imposte rendendoli
prestatori involontari e forzati, e ancora odiati per i servizi resi. (Attali,
2003:263)
Nel 1641 a Praga, Ferdinando III concede agli ebrei il diritto di commerciare
come ringraziamento per aver partecipato alla difesa della città contro gli svedesi
(Attali: 2003,267)
A Praga la comunità è molto più numerosa e libera che altrove in Europa
Centrale. Vi si contano artigiani, mercanti, medici, yeshivot. È anche la prima
città situata a nord delle Alpi in cui sono stampati, a partire dal 1526, dei libri in
ebraico. Questo sviluppo generale della stampa in Europa implica un’altra conseguenza inattesa: leggendo direttamente i Vangeli, alcuni cristiani rimettono
in discussione la pertinenza della lettura che ne fa la Chiesa; fa la sua comparsa
un’altra etica cristiana, che implica un rapporto del tutto diverso col denaro, più
vicino al punto di vista ebraico. (Attali, 2003:263)
Altona, porto franco sull’Elba (che nell’Ottocento sarà inglobata in Amburgo) è sotto sovranità danese, molto più tollerante che non le città circostanti. Alcuni
ebrei, askenaziti e portoghesi, vi sono insediati da secoli. La città di Hansa,
capitale della comunità della regione, è la sede del tribunale rabbinico delle
località circostanti. (…) Verso il 1615, Jacob Warburg proprietario di una
piccola azienda familiare di prestito su garanzia ed ex capo della piccola
comunità ebraica del vescovado di Paderborn, fa qui sistemare nella sua dimora
di Altona una sinagoga.(Attali: 2003,333)
Ad Amburgo, città tedesca che è contigua ad Altona, la situazione è ben
differente: il Senato della città tollera soltanto 25 sefarditi, come contropartita
della considerevole imposta di 1.000 marchi – e con il divieto, inoltre, di
praticare la loro religione, perfino in privato. Fra loro, un mercante di spezie, un
importatore di prodotti dal Brasile, un agente di cambio un importatore di
zucchero. La situazione sembra poi allentarsi nell’Impero. Alcuni mercanti ebrei cominciano ad accumulare un po’ di risparmio, a investire, confidando nell’avvenire. Eppure due città così diverse finiranno per unirsi e fondersi:
Altona diventa tedesca e viene inglobata in Amburgo. Nel 1865, uno dei
Warburg, Samuel, viene eletto deputato dello Shleswig – Holstein al Parlamento
danese, da cui dipende la città di Altona. Quando nel 1866, la città diventa
tedesca, Samuel Warburg diviene il primo ebreo deputato al Parlamento di uno
stato tedesco (Attali: 2003, 333)
Guglielmo III d’Orange-Nassau, stadhoulder d’Olanda dal 1672, diventa re d’Inghilterra. Il potere delle due superpotenze marittime si fonde. Al momento
si contano ancora non più di seicento ebrei in Inghilterra. I più sono mercanti;
alcuni esercitano il monopolio del commercio del corallo; altri sono banchieri
come Joseph Salvador e Samson Gideon, diventato consigliere del cancelliere
dello Scacchiere. Nel 1690, dodici ebrei, venuti pure loro da Amsterdam, sono
ammessi alla borsa di Londra e vi portano l’esperienza olandese; trattano ben presto un quarto del totale dei prestiti governativi dell’epoca. Artigiani o banchieri, alcuni ebrei askenaziti pure provenienti da Amsterdam, costruiscono
la loro prima sinagoga. Un po’ dopo, Giorgio II propone al parlamento di concedere la nazionalità britannica a tutti gli ebrei residenti nel paese da almeno
tre anni. Le ragioni che avanza chiariscono bene il ruolo che giocano: “In gran parte sono ebrei stranieri; è importante incitarli a spendere i loro redditi nel regno
[…]. Se gli ebrei hanno gli stessi diritti civili degli altri sudditi, si legheranno al paese. Infine, i loro legami con i principali banchieri d’Europa saranno un grande vantaggio in caso di guerra, poiché faciliteranno i prestiti del governo.”. Ritrova così il fondamento stesso dell’altruismo ebraico: niente è positivo per loro se
non lo è per i loro ospiti. Il pragmatismo inglese, nutrito dagli argomenti avanzati
mezzo secolo prima da Manasseh beh Israel, trionfa quindi su tre secoli di
ostracismo: gli inglesi hanno bisogno degli ebrei di cui conoscono il ruolo avuto
nei Paesi Bassi. (Attali, 2003:276).
Nel 1783, il trattato di Versailles ritira all’Olanda il commercio dell’Oceano
Indiano; la Compagnia olandese delle Indie orientali non distribuisce più
dividendi e numerosi azionisti si ritrovano poveri. Molti ebrei di Amsterdam (ve
ne sono ancora 20mila, ossia il 10% della popolazione) partono quindi per
l’Inghilterra, dove svilupperanno il commercio dei valori. (Attali, 2003: 309). Da qui, l’ebraismo inglese sarà interamente rivolto alla sistemazione delle
finanze pubbliche. (Attali, 2003: 311)
Su questi due punti si affermano importanti dinamiche che vedranno l’Inghilterra come uno dei paesi più flessibili alla pratica cremazionista per savoir faire liberale ma anche
di una rigorosa regolamentazione su base privatistica.
Insomma, uno dopo l’altro, i sistemi postfeudali e gli imperi dispotici crollano che
crollano portano alla disfatta delle caste e le gilde si dissolvono. Le Chiese vedono
diminuire la loro influenza. Le comunità perdono la loro giustificazione difensiva. Per
molti, il senso stesso dell’ebraismo – struttura di sopravvivenza, quadro protettore e
referente consolatore – tende a cancellarsi. Ognuno vuole affermarsi come cittadino
libero, indipendente, laico: vivere e lavorare in mezzo agli altri, nella nuova economia
di massa, e non più nell’artigianato confinato nei ghetti. (Attali, 2016: 324)
Alcune dinamiche cittadine che incontreremo, hanno radici profonde, alcune
città apripista della cremazione saranno profondamente legate al loro dna
commerciale e finanziario, attraverso i secoli che mette le città su diversi punti
di partenza rispetto al fenomeno, che, appare meno scontato delle normali griglie
strutturaliste che immagineremo.
Per gli ebrei, anche dove non sono largamente accettati esistono scorciatoie, a
Vienna – dove la cremazione è diffusa - il cui sindaco Karl Lueger è apertamente
antisemita, la popolazione ebraica raggiunge i 150mila individui nel 1900. In
questa società ostile, l’unico modo per essere accettati è divenire celebri. A Vienna e a Praga, la vita diventa tollerabile per gli intellettuali ebrei. Vi vivono
Kafka, Freud, Webern, Schloenberg, Mahler, Klimt e molti altri. Il teatro, in
particolare, è quasi interamente ebraico. Interpretare, mettere in scena, darsi allo
spettacolo, quello che gli ebrei fanno da molto tempo tra loro nei ghetti, è ora
aperto a tutti. (Attali, 2003:385).
Allo stesso modo però esiste un’ Europa in cui tra e ebrei e territori non si riesce a dare uno spill over di innovazione e integrazione, è il caso dell’Europa dell’est. Se nel 1804, un nuovo zar di Russia, Alessandro I – sul trono dal 1800, e che ha
al momento sul suo suolo quasi la metà di tutto il popolo ebraico, recuperata con
una parte della Polonia, della Lituania e dell’Ucraina -, parla di integrarli,
spingendoli, attraverso l’agricoltura e l’artigianato, a uscire dai ghetti. Ma questo desiderio resterà praticamente lettera morta: i russi rifiutano di conceder loro
delle terre e di accettarli nelle gilde, così come gli ebrei rifiutano di abbandonare