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2. I PLAYER

Oltre all’arrivo di nuove piattaforme, committenti di film e serie televisive (abbiamo parlato finora di serie tv, ma Netflix per esempio ha prodotto anche il film su Stefano Cucchi, Sulla mia pelle e il cinepanettone Natale a 5 stelle, con Massimo Ghini e Ricky Memphis ecc.) stiamo assistendo, come già accennato, alla crescita e alla internazionalizzazione delle società di produzione italiane, e in parte anche dei broadcaster. Sul fronte dei committenti, la Rai gode di ottima salute, ha consolidato il successo delle sue serie tv e ha iniziato a produrre anche per RaiDue e RaiTre, quindi con formati a volte più brevi e a costi per unità di tempo più bassi, consentendo ad autori giovani di sperimentare e sperimentarsi. Mediaset non sembra invece ancora uscita dalla crisi che da qualche anno ha portato a una riduzione del volume di produzione (un circolo vizioso fra ascolti bassi, bassi investimenti per unità di prodotto, numero decrescente di ore prodotte, circolo vizioso da cui sembra non si intraveda per ora una via d’uscita, nonostante qualche esperienza positiva, come la serie con Gianni Morandi L’isola di Pietro). Sky sta lentamente aumentando i suoi volumi di produzione, ma sarà sottomessa nel prossimo futuro a qualche aggiustamento dovuto all’acquisizione da parte di Comcast e allo scorporo dal gruppo 20th Century Fox.

Per le società di produzione nate come italiane, l’internazionalizzazione significa anche l’entrata di una società importante come Cattleya nel grande gruppo britannico ITV, la integrazione di un gruppo internazionale come Leone Film Group con una società ampiamente attiva nella produzione cinematografica italiana come Lotus Film (Immaturi, Una fa- miglia perfetta, Perfetti sconosciuti), l’acquisto di Colorado Film da parte di un altro gruppo italiano con forte proiezione internazionale, la Rainbow che è presente sul mercato mondiale soprattutto con le Winx…

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Accanto a queste, ci sono le società che hanno realizzato le serie internazionali di cui parlavamo sopra: Lux vide, Palomar, Wildside, ecc. che si stanno via via strutturando per poter proseguire nella realizzazione di serie che abbiano una spendibilità sul mercato mondiale.

Inoltre assistiamo alla crescita di società che vengono da settori minori come le serie per ragazzi: è il caso della milanese 3zero2, che dopo aver realizzato per molti anni le serie di Disney Channel Italia è cresciuta di ruolo e ha realizzato sia serie in lingua inglese, sempre per Disney, sia anche due film per il cinema, ed entrambi di un certo rilievo: Come diventare grandi nonostante i genitori e il film con Fabio Rovazzi Il vegetale, uno dei migliori incassi della stagione italiana 2017-2018, entrambi cofinanziati e distribuiti da Disney Italia.

Negli ultimi tempi si parla meno (giustamente a nostro parere) di webseries, che era diventato secondo noi una sorta di specchietto per le allodole: il miraggio dell’accessibilità del canale, e l’illusione di poter realizzare prodotti di qualità a basso costo (illusione, appunto…) aveva fatto sì che molti autori e molte piccole produzioni si fossero gettate su questo formato… Ma le webseries di successo degli ultimi cinque anni si contano (se si contano…) sulle dita di una mano. Non c’è ancora un chiaro modello di business per il rientro dei costi e nell’audiovisivo, appunto, fare bene un prodotto significa necessariamente spendere non poco… Insomma, sembra che l’illusione del canale accessibile e del prodotto facile da realizzare e di successo si sia ultimamente e giustamente abbastanza raffreddata.

Fra i nuovi soggetti che si sono affacciati recentemente alla produzione o si vogliono affacciare ci sono i canali DeAgostini, che hanno prodotto serie per ragazzi a basso costo, ma anche gruppi importanti come Discovery e Cbs Viacom, che da tempo stanno valutando l’entrata nel mondo della fiction, anche se non ci risulta che abbiano ancora compiuto il passo definitivo in questa direzione.

L’ultimo settore che si sta muovendo è quello dei detentori di intellectual properties rilevanti: qui il nome forte è quello di Bonelli, che ha annunciato nel 2018 il lancio di una serie di iniziative di produzione audiovisiva (il modello non dichiarato probabilmente è il percorso dell’americana Marvel, che ha saputo valorizzare al massimo i personaggi e le storie di cui era detentrice nei fumetti, da SpiderMan agli Avengers, passando per IronMan e diversi altri). L’esperienza comunque dice che non sempre a questi annunci e allo svilluppo di idee fanno seguito effettivamente dei progetti realizzati… (la fantomatica serie su Diabolik docet) ma è già molto interessante che ci si stia muovendo in modo deciso in questa direzione. Nel complesso si può osservare che il mondo della produzione cinematografica e televisiva, fortemente centrato su Roma, nell’ultimo decennio ha – molto lentamente ma anche senza passi indietro – spostato e sta ancora spostando il baricentro un po’ più verso Milano, proprio grazie all’entrata o al maggior peso acquisito da alcune delle società di cui abbiamo parlato, che hanno la sede nella capitale lombarda.

3. LE PROFESSIONI

In ambito professionale, da una parte è sempre più chiaro che con il cambiamento vertiginoso di formati, modalità di produzione, modalità di visione, piattaforme, ecc., è essenziale avere basi molto molto solide in quello che, con una parola oggi di moda, viene chiamato storytelling.

Lungi dall’essere un dono che viene solo dall’ispirazione, questa capacità (tanto di scrivere storie, quanto – non dimentichiamolo: è un settore della professione altrettanto importante – di valutarle, di accompagnare e dare feedback agli scrittori, e di portare le storie fino alla produzione) ha delle amplissime componenti che possono essere insegnate e quindi anche in buona misura imparate. È un’area su cui in Italia all’Università Cattolica siamo stati fra i primi, insieme ai corsi promossi a Roma da Raifiction, a investire dal punto di vista formativo. Certo, il talento per uno scrittore è sempre necessario, ma anche per Mozart o Beethoven – a cui certamente il talento non mancava – è stato importante studiare la musica con dei maestri, perfezionarsi pazientemente, imparare a usare la tecnica per esprimere la loro visione, il loro carattere e il loro talento unico e irripetibile.

Il cambio vertiginoso delle tecnologie e dei formati sta quindi riaffermando la centralità di alcune componenti di base delle capacità dei professionisti (e quindi della loro formazione): la capacità di comprendere gli elementi rilevanti di una storia, le sue potenzialità di coinvolgimento dello spettatore, il tipo di pubblico a cui potrebbe rivolgersi, declinato nella diversità dei mezzi e dei canali distributivi a disposizione.

Sta inoltre succedendo sempre di più che quelli che un tempo erano rigidi confini vengono abbattuti: non esistono quasi più confini, per esempio, fra cinema e televisione. Ma anche molti autori di letteratura scrivono pensando alla TV o partecipano agli adattamenti audiovisivi dei loro romanzi. C’è uno scambio molto maggiore di comunicazione e di conoscenza, dietro le quinte, fra produttori cinematografici e televisivi ed editor di narrativa, agenti letterari, responsabili di collane e di case editrici. Molti sceneggiatori televisivi si cimentano con la forma narrativa del romanzo, chi scrive per i fumetti spesso lavora anche per serie animate.

Non è molto noto, ma un numero rilevante di professionisti formati sullo storytelling (prevalentemente sceneggiatori televisivi) lavora anche come ghost writer per libri firmati da personaggi dello sport, della televisione o comunque dello star system. In alcuni casi la loro firma compare come co-autori (la autobiografia di Francesco Totti è per es. co-firmata dal giornalista e romanziere Paolo Condò), in altri casi, come per il best seller mondiale Open, il ghost writer J.R. Mohringer, vincitore di un Premio Pulitzer per il giornalismo, aveva preferito non comparire.

Inoltre, diversamente da quello che si pensa, e come bene afferma la testimone Luisa Cotta Ramosino in queste stesse pagine, è sempre meno vero (non lo era mai stato, ma la cosa diventa sempre più obsoleta) che la figura dell’autore sia quella di una persona che lavora dal chiuso della sua stanzetta e invia il prezioso manoscritto dopo settimane, se non mesi, di struggimenti solitari. In tutto il settore dell’audiovisivo e più in generale dell’industria culturale legata allo storytelling, il lavoro degli autori diventa sempre più ibrido.

In primis sempre di più si lavora in team: non solo nella ormai mitizzata writers room, ma in molte modalità diverse che comunque richiedono integrazione e collaborazione. Occorre inoltre pensare a questioni produttive (realizzabilità, pubblico potenziale, budget realistici) sin dalla prima progettazione; spesso si viene coinvolti nelle scelte successive, che riguardano sviluppo, relazioni con i finanziatori/broadcaster, ecc. È sempre meno raro (avviene il contrario solo per produzioni molto grandi o in industrie molto grandi come quella americana) essere coinvolti anche nelle fasi di produzione, postproduzione e lancio del prodotto. Insomma, un ruolo che a partire da una competenza sul raccontare storie diventa anche in qualche modo una competenza da – appunto – produttore creativo e sempre meno da autore puro. E un ruolo in cui una formazione e una competenza internazionale, come dicevamo sopra, sono sempre più apprezzate.

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