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I GIORNALISTI DI DOMANI DIALOGANO CON MONS. MARIO DELPINI
Perché andare controcorrente e chiudersi in una scuola di giornalismo a studiare? Ha senso puntare ancora sulla competenza quando chi attrae e monopolizza il discorso pubblico spesso non ne ha? E che peso ha la deontologia professionale, l’onestà intellettuale? I giornalisti hanno ancora ascolto?
Possono ancora intervenire sulla società? E come possono promuovere una cultura del confronto, del dialogo e della pace? Come confrontarsi con il successo dei social media?
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Come creare delle opportunità per la nuova generazione di giovani giornalisti?
fessionalizzazione è importante per recuperare la crisi di valori e la perdita di fiducia nella nostra categoria?
L’Arcivescovo di Milano, Monsignor Mario Delpini, ha dialogato con sei aspiranti giornalisti e con i referenti delle scuole di giornalismo di Milano all’Istituto dei Ciechi in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Questo incontro è stato l’occasione per riflettere sulle attuali sfide del giornalismo e sul futuro di questa professione.
La competenza e l’onestà intellettuale sono una risposta alla perdita di credibilità della nostra professione? La pro-
La necessità della competenza in un contesto in cui sembra avere più mercato la banalità è un proposito serio. Occorre capire come definire l’informazione, perché se la comunicazione si riduce ad essere un prodotto da vendere, il produttore deve preoccuparsi di ciò che piace alla gente. Al contrario, se l’informazione è intesa come un bene comune, una reazione alla parcellizzazione, all’atomizzazione, al farsi guerra con parole di disprezzo, deve essere fatta da persone capaci di usare l’informazione, il rapporto con le fonti delle notizie e comunicarle in modo da favorire il convivere delle persone, da predisporre a una società pacifica. La competenza non include esclusivamente un aspetto tecnico legato all’utilizzo delle tecnologie, ma anche il sapere perché si devono usare, per quale scopo. Un mestiere come servizio al bene comune deve essere fatto con l’idea di un bene comune. La competenza è necessaria: ammiro e apprezzo che ci siano delle scuole dove ci si chiude per diventare competenti. Tuttavia, occorre integrare il significato di ciò di cui siete competenti, ovvero la comunicazione come bene comune. Credo che l’onestà e la ricerca della verità e della capacità di comunicarla siano due aspetti imprescindibili della competenza.
Papa Francesco invita a promuovere un giornalismo come servizio alle persone, impegnato nella ricerca delle cause dei conflitti per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento tramite processi virtuosi, nella ricerca di soluzioni alternative all’escalation della violenza verbale. Come possiamo promuovere le pratiche del giornalismo di pace?
Serve un giornalismo che favorisca l’intesa invece che la contrapposizione, che ci fa apprezzare l’informazione come un bene comune, come quel modo di avere a cuore il convivere pacifico che trova nella comunicazione un elemento necessario. Le informazioni tendenziose, ideologicamente orientate a identificare un nemico sono deboli, non sono un aiuto a comprendere la realtà nella sua verità più profonda. Non possiamo immaginare che l’informazione coltivata con quei criteri sia da sola capace di cambiare il clima o di favorire dei percorsi. Ritengo che valga la pena avere il senso del limite della propria possibilità di azione: il giornalismo è un contributo che è tanto più significativo quanto più riesce a farsi capire, a passare dall’essere informazione all’essere provocazione, nel senso che l’informazione costringe il lettore a prendere posizione di fronte alle ingiustizie che si stanno attuando e alle possibilità di rimedio. Ritengo importante avere l’umiltà della non violenza: dal gesto simbolico può nascere anche un cambiamento epocale. Dobbiamo avere la modestia di considerare che i nostri mezzi e le nostre possibilità di incidere sono limita- te. Tuttavia, abbiamo la possibilità di realizzare quel gesto minimo che diventa un messaggio, una provocazione. La non violenza ci impone di agire in questo agorà confusionario e complicato come gente capace di non gridare quando tutti gridano, di non aggredire quando tutti aggrediscono, eppure di essere lì. Dobbiamo scendere in campo sapendo che questa esposizione a favore del bene comune non è gratuita.
Il confronto con il mondo dei social media sarà la grande sfida del nostro tempo. Come sarà possibile trovare un giornalismo a misura di social, dove le notizie sono diffuse da utenti che condividono post da fonti più o meno confermate, autorevoli o false?
Il Sinodo della Chiesa Cattolica sui Giovani ha offerto una panoramica sui giovani di tutto il mondo, sulle loro profonde diversità sociali e culturali. Cosa hanno in comune tutti i giovani nel mondo? Il fattore comune è stato individuato nell’abitare i social. Questo rende l’idea di come le informazioni raggiungano tutti i posti della terra. Ho fiducia che il bene fa bene e il bene convince, immaginando che oggi molti sono più attratti dal rispondere alla violenza con la violenza, all’aggressività e all’insulto con l’insulto. Possiamo abitare la carta stampata, la radio, la televisione, i social, proponendo la competenza, l’amore per la pace, il desiderio di edificare il bene comune. Ripongo una fiducia radicale sul fatto che le persone che fanno il bene contribuiranno a rendere buone anche quelle piazze dove vive la confusione che normalmente constatiamo. C’è inoltre un problema educativo sulle fasce più giovani, questo è un tema più serio. L’educazione si fa con l’adulto in relazione con il giovane, che
Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891793546 gli consegna la sua testimonianza, esperienza, disciplina, autorità materna e paterna. Ho fiducia nella possibilità che voi giovani in grado di fare abitare questo mondo sappiate renderlo buono.
Il ruolo del giornalista è scovare la verità, raccontare sia l’aspetto positivo che negativo della società. Credo sia questo il nostro obiettivo e compito principale. In cosa può migliorare la professione del giornalista?
Frequento il giornalismo contemporaneo in modo selettivo, scelgo quello che mi aiuta a capire l’aspetto negativo, positivo, le ragioni di alcune problematiche, le soluzioni pensate. Quest’idea di una visione realistica del reale, che non è mai tutta negativa o tutta positiva: approfondendo, ogni storia umana è sorprendente e affascinante. La distinzione tra positivo e negativo è difficile perché abbiamo simpatia per l’umano e tutto quello che ci aiuta a capirlo è bello, buono e provocatorio. Le esperienze che sono state alluse visitando alcuni luoghi della città, raccontando le storie, avvicinando le persone, andando sul campo, non fermandosi alla ricezione di notizie selezionate ai fini di smerciare certi sentimenti. Questo mi sembra il punto su cui migliorare: l’idea di spendersi nella relazione. La sfida non implica soltanto la seria competenza nel produrre una notizia, un’inchiesta, una lettura della situazione che rispetti la complessità, ma include anche il desiderio di stabilire un rapporto con il destinatario dell’informazione. La capacità di incidere, contribuire ad avere una visione del reale che non sia selettiva, ideologica, che non sia ispirata da inquietudine e paura immotivata. Mi sembra che questo valga anche per la Chiesa, perché la Chiesa ha un messaggio bellissimo da comunicare, decisivo per la visione buona del mondo, della speranza. Se non riesce a raggiungere la gente, tiene questo messaggio per sé?
L’autorevolezza del mestiere è stata intaccata dalla circolazione di fake news che forniscono una versione distorta del mondo. Questo mina il rapporto di fiducia con i lettori, che percepiscono le notizie come soggettive e non attendibili. Come possiamo convincere il pubblico a seguirci verso una corretta informazione?
La relazione interpersonale è l’unico tramite per trasmettere la testimonianza del valore in cui si crede Aiutare le persone a leggere la realtà con un senso critico, con la capacità di apprezzare il buono, il serio, ciò che è argomentato e distinguerlo da ciò che è falso, superficiale, banale, pregiudicato è una sfida. Volevo lanciare una sfida a questo tema della relazione, dell’offrire qualità e favorire che i destinatari la apprezzino. Non si potrebbe inventare un giornalismo Made in Italy, che abbia questo marchio di prestigio? Mi ricordo di quando sono stato a Buenos Aires, mi hanno raccontato della prima scuola di giornalismo di tutto il Sud America, fondata dei membri dell’Opera Cardinal Ferrari di Milano. L’Opera Cardinal Ferrari, un’opera di bene che coinvolge consacrati e laici, ha fondato la prima scuola di giornalismo in Argentina. Da lì mi è venuta questa idea. I giornalisti italiani, le brillanti scuole di giornalismo, gli studenti appassionati non potrebbero creare una scuola italiana di giornalismo? Perché il marchio italiano implica il fare cose belle, un rapporto di appartenenza alla vita. A sentire la passione e l’intelligenza che trasmettete, si può pensare a un Made in Italy anche per il giornalismo. Non so come Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, si risolve specificatamente questo tema del rapporto con il lettore, dell’abilitazione del lettore ad apprezzare la qualità, però gli artigiani italiani hanno saputo farsi apprezzare in tutto il mondo per la cura con cui hanno realizzato prodotti di eccellenza. Lancio con determinazione una campagna per un giornalismo Made in Italy.
A volte ci chiediamo se ci sia realmente bisogno della figura del giornalista al giorno d’oggi, in cui chiunque può fare informazione. Secondo me, per questo motivo c’è bisogno di figure capaci di dare delle risposte, accorciare le distanze ancora presenti. In che modo è possibile creare delle opportunità per i giovani?
L’alta qualità di preparazione e l’impegno profuso nel raggiungere risultati accademici e professionali di eccellenza di cui il mercato può fare a meno è un dramma dei giovani d’oggi: avere una professionalità che la scuola riconosce, che i giovani stessi sono in grado di apprezzare e accorgersi che il mondo non ne sente il bisogno. I giovani non trovano nella società quell’attesa di mettere a frutto queste doti, qualità, preparazione. La tentazione di andare altrove, in altri paesi non è una tentazione ma una constatazione. Finita la guerra mondiale, l’Italia era disperata, al mio paese (nel Varesotto) c’era miseria e alcuni sono emigrati negli Stati Uniti, in Argentina, in Svizzera. Altri sono rimasti e hanno cominciato a lavorare e sviluppare un’attività produttiva che ha trasfigurato quella terra. Questo Made in Italy è stato realizzato da persone che hanno avuto un’intuizione e hanno investito molto impegno. La politica italiana e le istituzioni devono preoccuparsi di dare lavoro ai giovani, di mettere a frutto le professionalità. Allo stesso tempo, bisogna che i giovani inizino a darsi da fare personalmente, creando nuovi prodotti di qualità da lanciare sul mercato. Questa arte dell’intraprendenza intelligente, onesta, sobria che crede nelle sue risorse e cerca di metterle a frutto fa parte dello spirito italiano, soprattutto milanese. Siete giovani, bravi, intelligenti, preparati bene: cercate voi di cambiare questo mondo.
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