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IL TESTIMONE. ALBERTO CUTTICA
Fondatore di Engagedin, società di consulenza in fundraising e sviluppo di progetti per la cultura
Alberto Cuttica è da sei anni consulente per lo sviluppo organizzativo e il fundraising delle organizzazioni nonprofit. Questa professione, declinata per il comparto culturale, è sviluppata in particolare nell’ambito di un progetto regionale piemontese (Hangar Piemonte), dedicato all’accompagnamento specifico e all’empowerment di organizzazioni culturali (ad oggi circa 120). Ha circa quindici anni di esperienza nel fundraising e nei rapporti con le imprese, prima in ambito universitario come dipendente per il Politecnico di Torino, successivamente come attività professionale autonoma. È laureato in Lettere e Filosofia, ha conseguito i Master in Management (Politecnico di Milano) ed executive in fundraising (Insitute of Fundraising Londra).
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Quali sono i principali attori in campo nel suo mercato, in termini di tipologie di imprese?
Nel settore “fundraising, sviluppo del nonprofit” il mercato è costituito per l’80% circa da figure professionali inserite a vario titolo all’interno delle organizzazioni come dipendenti o assimilati. Il segmento consulenziale è un numero molto limitato di soggetti, singoli o in forma associata.
Se consideriamo invece il sottoinsieme “culturale” esistono poche realtà specializzate in modo esclusivo.
Un segmento complementare, emerso in modo evidente negli ultimi anni, è quello delle professionalità specifiche per la comunicazione (strategica e operativa) del settore nonprofit. Si tratta tipicamente di professionisti e agenzie di comunicazione “classiche” che hanno aggiunto alla propria offerta servizi specifici dedicati ad un comparto con esigenze diverse dal mercato profit (posizionamento, campagne di advocacy e raccolta fondi e di comunicazione in generale, ecc.)
In tema di cambiamenti della filiera, ci sono significative differenze tra il mercato italiano e quello estero?
È innegabile che il mercato internazionale sia a livello europeo che extraeuropeo sia più ampio e consolidato, per la maggiore storicità e strutturazione del settore nonprofit (in particolare UK, USA, Olanda, Australia, Canada). Un caso particolare è rappresentato dalla Francia dove si è sviluppato particolarmente il settore del fundraising per la cultura, per la rilevanza che il comparto ha anche in termini di risorse dedicate. In generale, rispetto alla realtà italiana, in ambito internazionale il marketing è ordinariamente considerato anche dalle organizzazioni nonprofit un’area strategica a cui sono dedicate competenze e risorse specifiche.
Quali sono le principali figure professionali all’interno della filiera?
L’Ufficio stampa (spesso esternalizzato), la funzione Social Media Manager, addetto alla raccolta fondi e sponsorship, Project Manager per i singoli progetti o filoni di attività. Sicuramente – soprattutto in ambito culturale – è emersa la figura del referente per l’audience engagement e development, che ha accorpato alcuni aspetti operativi del referente per la comunicazione (soprattutto digitale), dell’addetto al marketing, del Fundraiser.
Gli aspetti di collocazione geografica e bacino di attività hanno avuto e hanno incidenza: il nord ovest del Paese mantiene livelli di dinamismo occupazionale e competitività maggiori rispetto ad altre aree, mentre il centro-sud risulta ancora penalizzato e meno competitivo.
Le caratteristiche e le qualità dei nuovi professionisti. Che genere di qualità e caratteristiche personali risultano premianti nel nuovo scenario professionale (competenze di natura tecnica, di esperienza lavorativa, di natura caratteriale)?
Le competenze tecniche mantengono naturalmente un peso rilevante, ma – nella mia esperienza – rispetto al passato non sono decisive ai fini delle opportunità da cogliere e, ancora di più, nel mantenimento di una posizione professionale competitiva. L’esperienza svolta, come quantità e qualità, e la capacità di metterla a frutto ha maggiore spazio e spesso viene considerata fattore distintivo a parità di competenze specifiche o di base. La capacità di introdurre in un’organizzazione elementi di “visione strategica” – conseguenza prima dell’esperienza, risulta spesso determinante. La conoscenza del contesto stesso, la capacità di anticipare scenari e cogliere opportunità sono fondamentali, unitamente alla capacità di sviluppare network. Tutte le competenze di natura relazionale risultano quindi determinanti.
Gli elementi e le strategie di pianificazione, l’analisi dei dati, e il risk management sono le competenze più emergenti.
Quali sono i plus di un circuito della formazione accademica universitaria rispetto ad altri contesti (CFP, tirocini, learning by doing)?
La possibilità di tirocinio e un servizio di placement strutturato e in grado di costituire una sorta di protezione per chi entra o rientra nel mondo delle professioni è un asset prezioso, in grado di dare un reale valore aggiunto alla formazione e fare quindi la differenza.
Quali sono i canali di recruiting principali nel suo ambito professionale?
Quattro canali sono maggiormente “quotati” in termini di reputazione:
1. il servizio di placement del Master in Fundraising dell’Università di Bologna (ad oggi l’unico percorso universitario specifico) che veicola in modo aperto non solo agli ex allievi, ma anche a tutto il pubblico del Festival del Fundraising, le posizioni disponibili;
2. il portale Job for good, unica piattaforma specializzata nel recruiting e nel personal branding per il settore nonprofit;
3. in modo meno strutturato, ma molto seguito, è attivo anche il gruppo chiuso Facebook “fundraiser d’Italia” che raggruppa migliaia di professionisti attivi nei vari segmenti della filiera e viene spesso usata come canale di diffusione delle posizioni aperte;
4. l’Associazione professionale dei professionisti del fundraising e del nonprofit in generale (ASSIF) veicola le posizioni aperte ai propri iscritti e offre ai reclutatori una panoramica e i profili dei professionisti suddivisa per regioni.
Il sistema formativo e l’evoluzione delle professioni. Quali sono in contesti in cui vengono formate queste figure (università, aziende, corsi di formazione professionali)?
Prevalentemente in ambito accademico (particolarmente segmento post-laurea) e corsi di formazione offerti da enti riconosciuti/accreditati.
In che modo le aziende possono collaborare nella formazione all’interno delle università?
Attraverso la messa a disposizione di esperienze e testimonianze dirette che contribuiscano ad avvicinare un contesto prevalentemente teorico alla realtà operativa esterna all’accademia; offrendo opportunità di esperienze realmente professionalizzanti e di job shadowing.
In che modo le università possono collaborare nella formazione all’interno delle aziende?
Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891793546
In considerazione del bacino di conoscenze e competenze costantemente aggiornate e di elevato livello le università sono in grado di offrire occasioni formative altamente competitive, a patto che dal lato della domanda (aziende) le esigenze siano espresse e condivise in modo aperto e comprensibile.
Quali casi virtuosi di sinergia tra questi due mondi vi vengono in mente? Quali criticità nella relazione tra mondo accademico e mondo delle imprese?
In generale l’appartenenza a contesti tradizionalmente separati e con codici di riconoscimento e comunicazione differenti contribuisce a mantenere una certa separazione nell’approccio e nella proposta di valore.
I casi virtuosi sono generalmente quelli in cui le aziende vengono coinvolte a livello di “programmazione” o di “intervento diretto” attraverso la creazione di organi consultivi e di co-progettazione realmente operativi e frequenti occasioni di scambio reciproco (club delle aziende partner, ecc. chiamate non solo ad interventi di supporto economico, ma ad esprimere pareri nello sviluppo di linee di ricerca o percorsi formativi, ecc.).
I NUOVI LAVORI. SOCIAL MEDIA MANAGER DI EVENTI
L’ampiezza degli ambiti coperti dall’organizzatore di eventi, la stretta relazione con i cambiamenti che intervengono nel contesto sociale, economico, politico e culturale, introduce un ricambio permanente dei profili e delle competenze. Fra le posizioni che sono più recentemente emerse per esempio quella del gestore di hub: la nascita di incubatori, ma anche di cluster creativi, multi funzionali, richiedono coordinatori e figure che facciano scouting location e che sappiano far funzionare i grandi hub con supporto operativo. Altri profili sono quello del general contractor di mostre ed eventi, che si occupa della messa in opera o l’audience developer, molto richiesto dai bandi europei, che idea e gestisce azioni finalizzate a far crescere l’audience. Le professioni nel campo degli eventi culturali si nutrono anche di un altissimo artigianato, specializzato, con diversi livelli di profondità.
– La professione in questo momento più richiesta è tuttavia quella legata all’area della comunicazione e segnatamente alla gestione dei social media. Il Social Media Manager di eventi si occupa di gestione di siti web, video documentazione eventi online, analisi dei dati, gestione di database, digital PR, rapporto con gli influencer, conoscenza degli strumenti di Google e del marketing digitale. I Social Media Manager per gli eventi sono figure capaci di condurre un’efficace comunicazione secondo le modalità e i linguaggi della contemporaneità sfruttando l’azione on e offline, tra cui le pubbliche relazioni che aiutano anche a ottenere risorse materiali ed economiche.
Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. ISBN 9788891793546
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