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Capitolo III – Il generale Marietti e le sue “Osservazioni sul Baltico”, pag

ostacolato da tutte queste autorità militari e tecniche, le quali si valgono della loro particolare competenza per opporsi o creare ritardi, che egli è stato lieto di apprendere le lagnanze nostre contro le autorità militari della Prussia orientale, che ci hanno mentito costantemente ed hanno tenuto lui all’oscuro della verità vera.”179 A metà gennaio dopo aver espletato quest’ultimo compito, finalmente la missione rientra a Parigi da Berlino dove: “il soggiorno (…) non è così gradevole da desiderarne un prolungamento.”180 La missione internazionale ha raggiunto così tutti o compiti assegnati ed ha soprattutto testato, per la prima volta, i rapporti con il nuovo governo tedesco e, nonostante le considerazioni finali negative di Marietti che trovano riscontro anche nelle testimonianze francesi della vicenda non può non emergere un atteggiamento di collaborazione ambigua del governo tedesco ad onorare gli accordi di pace. Risulta però chiaramente dalla documentazione una volontà del governo di Weimnar di concludere questa vicenda testimoniata anche dal fatto che non può essere stata solo la pressione militare lettone a costringere il ritiro dei tedeschi, come afferma Du Parquet, nè tantomeno questo obiettivo poteva essere raggiunto solo dall’azione concreta di una missione che non aveva mezzi per garantire quel risultato. Come dato generale possiamo quindi considerare il governo Bauer e molte delle componenti delle forze armate tedesche favorevoli a quel ritiro anche perché sicure di evitare ritorsioni al Paese attraverso le sanzioni da parte dell’Intesa che avrebbero sicuramente sollevato l’opinione pubblica tedesca contro di loro; tuttavia è vero che buona parte della classe militare e del governo locale della Prussia orientale fu un ostacolo concreto alla fine dell’avventura baltica di Von der Goltz e che la missione si trovò, in molti passaggi chiave, a dover prendere decisioni azzardate come nel caso della richiesta di armistizio alla Lettonia per impedire il fallimento della ritirata. Da missione tecnica, ma con moltissimi aspetti politici come abbiamo visto, in questo particolare episodio si possono leggere in maniera trasparente non solo la difficoltà di uscire da un ambiguo rapporto con i tedeschi da parte dell’Intesa nell’ utilizzare le sue forze militari per obiettivi politici diversi ma anche la fragilità di un governo come quello repubblicano di mantenere un equilibrio molto precario tra tutte le componenti della società tedesca in quel momento. Marietti ha contribuito con le sue memorie a puntualizzare questa atmosfera lasciandoci una cronaca sintetica e chiara del “tempo confuso” di quei mesi. E questo ci ha permesso di tracciare un quadro più complesso di una semplice ritirata di truppe evidenziando temi e problemi che saranno nei mesi successivi altrettanti punti difficili da affrontare in quelle regioni. Come scrive al generale Cavallero, non senza una punta di immodestia, che questo gli fu facile: “in quanto mi trovai tra la passione francese (si tenga presente che, per la prima volta, un generale francese in territorio prussiano si trovava nella posizione di dare ordini ad autorità militari tedesche), l’interesse inglese (che è fortemente impegnato laggiù) e la dommatica rigidità americana. Ebbi spesso buon gioco; parecchie volte il generale francese venne da me per consiglio, ed ho la convinzione di aver fatto bene la mia parte”.181 Che la sua parte l’abbia condotta con evidente successo lo testimonia anche il fatto che nel 1921 troviamo Marietti come componente italiano della Commissione della Società delle Nazioni per la riduzione degli armamenti182 e che prenderà successivamente il posto del generale Cavallero nella Commissione militare Alleata da dove osserverà da esperto, negli anni tra il ‘23 e il ‘24, la crisi dell’invasione lituana di Memel.

179 RDIP, 12 gennaio, pag. 3 180 RDIP, 8 gennaio, pag. 1 181 Relazione a Cavallero, pag. 15 non mancano certo, in questa relazione conclusiva, le rimostranze dell’essere stato “paracadutato” in questa non semplice missione: “più soddisfatto sarei, se maggiormente avessi potuto fare, se – cioè – non mi fossi trovato del tutto isolato. Di fronte a missioni complete in personale ed in mezzi, composta di uomini maturi e preparati, io mi sono trovato assolutamente solo, cioè con due tenenti, uno dei quali, con parecchie buone doti, ma ricco d’inesperienza, non rappresentava che un segretario; l’altro, quando aveva provveduto alle quattro necessità materiali della missione, aveva dato quanto poteva”. 182 Archivio Storico della Società delle Nazioni, Commissione militare tecnica per gli Armamenti, vol, 18/01

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Capitolo III – Il generale Marietti e le sue Osservazioni sul Baltico

Quasi a ridosso della fine del primo conflitto mondiale è possibile, osservando le vicende politiche e sociali del confine orientale europeo, comprendere quali problemi e questioni sollevò il principio di autodeterminazione dei popoli. Proclamato da Wilson come il punto centrale della sistemazione della Conferenza della Pace ha trovato però in queste regioni una serie di nodi che furono solo sommariamente discussi dai vincitori nella capitale francese e ancor più sommariamente risolti.183 Come ha sostenuto una storica inglese a proposito delle regioni a nord-est della Germania: “nel 1919 una mappa dell'estremità orientale del Baltico sarebbe stata costellata da molteplici punti di domanda. Solo la Finlandia, a nord, era riuscita a crearsi una sorta di precaria indipendenza dalla Russia dopo una feroce guerra civile tra bianchi e rossi. La conferenza di pace la riconobbe nella primavera del 1919. Più a sud, estoni, lettoni e lituani avevano cercato di rendersi indipendenti dalla Russia, ma si erano trovati di fronte il problema dell'occupazione tedesca, nonché quello delle minoranze tedesche o russe presenti al loro interno. Non esistevano confini certi né governi costituiti, e ciò che non era stato distrutto dai russi nella loro ritirata era stato requisito dai tedeschi. Russi bianchi, bolscevichi rossi, anarchici verdi, baroni baltici, corsari tedeschi, eserciti nazionali allo stato embrionale, semplici banditi si erano riversati su quelle terre per poi rifluire con il ritmo alterno delle maree.”184 Marietti, dopo aver condotto a termine la missione e relazionato a Cavallero il suo andamento e la sua conclusione acclude all’ultimo rapporto del 20 gennaio un documento intitolato Appunti ed impressioni su gli stati del Baltico rimasto sinora inedito185. L'interesse per questo documento era già stato rilevato da Antonello Biagini che ne aveva riportato dei brani e lo aveva commentato in un saggio intitolato Alle origini dell’indipendenza baltica nell’età contemporanea. 186 Nel sottolineare la qualità di osservatore di Marietti, Biagini ha messo in luce un testimone di quegli avvenimenti estremamente accurato nel riportare cifre e dati della situazione economica e politica delle regioni in cui opera, molto attento alla suddivisione delle componenti etniche delle regioni baltiche, dotato anche di una certa comprensione del ruolo dell’Italia, del tutto marginale in quelle zone, e proprio per questo motivo in grado di comprendere e descrivere invece l’insieme delle manovre che altre nazioni come l’Inghilterra e la Francia stavano sviluppando seguendo i loro particolari interessi. Il rappresentante italiano di quella missione non era del tutto nuovo ad analizzare problemi e situazioni militari inserendole in un contesto politico e sforzandosi di trovare le ragioni anche più vaste di una singola operazione bellica. Militare di carriera, nato il 20 ottobre 1871 a Torino e allievo, già nel 1879, della Regia Accademia di Artiglieria e Genio di Torino diviene tenente nel 1894 e assegnato, nel 1898, ad incarichi fuori dai confini nazionali sull’isola di Creta e nel mar Egeo come truppa del Corpo interalleato. In questo periodo subisce anche una messa agli arresti per “abuso di autorità” e mandato al carcere militare di Alessandria. Le accuse contro di lui vengono dichiarate insussistenti dal Tribunale Militare e quindi può rientrare in servizio sino a divenire Comandante di una batteria di artiglieria nel 1907 e, con il grado di Maggiore di Fanteria, viene nominato Comandante del gruppo di artiglieria da campagna di stanza a Novara nel 1915. In questi anni precedenti il conflitto, nel 1909, pubblica, da capitano di artiglieria presso lo Stato Maggiore,

183 Il termine “compromesso” ricorre spesso nei documenti e nei commenti alle soluzioni trovate. cfr. Marietti a proposito del problema dell’Alta Slesia: “come si sia potuto credere che, in una zona (...) intimamente frammischiata di Tedeschi e Polacchi, il plebiscito per Comune avrebbe condotto ad una soluzione accettabile (...) la si spiega soltanto e parzialmente pensando che la soluzione prescelta fu uno dei soliti compromessi (...) tra la volontà della Francia di fiaccare la Germania e di rafforzare la Polonia e la volontà opposta dell’Inghilterra; Wilson vi fece intervenire la sua ricetta, buona per tutti i mali, dell’autodecisione.”Giovanni Marietti, Il Trattato di Versailles e la sua esecuzione, in “Nuova Antologia” 16 settembre 1929, ripubblicato in estratto da Bestetti e Tumminelli, Roma 1929, pag. 10 184 Margaret Mc Millan, cit., pag. 288 185 Il testo viene integralmente riprodotto nell’Appendice 186 cfr. Bibliografia

un volume intitolato Politica ed armi al Marocco, in cui espone la vicenda militare della occupazione francese e spagnola della regione nordafricana negli anni tra il 1906 e il 1908 ma premette a questa descrizione una serie di considerazioni più generali sul Marocco di ordine geografico-territoriale analizzando anche problemi di tipo diplomatico. Come scrive nella introduzione a questo volume: “nel preparare i materiali per tale studio, mi accorsi che gli avvenimenti militari erano assai più strettamente legati di quanto non supponessi dapprima agli avvenimenti politici, che contemporaneamente si venivano svolgendo; avvenimenti che appassionarono grandemente l'opinione pubblica e che in qualche momento parve mettessero in pericolo la pace d'Europa. E vidi pure che su questi avvenimenti nulla esisteva ancora, che valesse a darne una idea sufficientemente chiara. (...) E pensando che in simili lotte tutti hanno la possibilità ed anche il dovere di combattere (..) mi pare che della questione marocchina non si debba troppo disinteressare l'Italia la quale pochi anni addietro ebbe già in quel paese posizione quasi preponderante”187 Per lui, militare di carriera e tecnico in una specialità che in questi anni vede una costante evoluzione vi è costante l’interesse per il quadro internazionale delle forze in campo e delle conseguenze che queste forze possono determinare per chiarire meglio i problemi militari. Nella descrizione delle varie posizioni assunte dagli Stati per la crisi marocchina ritiene infatti che: “come potenza del mediterraneo l'Italia non può disinteressarsi di ciò che avviene alle porte di questo mare e per effetto delle alleanze e delle amicizie essa entra in prima linea nelle discussioni e nelle controversie”188 Attento a non uscire dal singolo problema strategico il suo fine non è mai quello di definire dettagli e particolari che possano servire allo specialista, ma di quell’atteggiamento conserva sempre il tenore. Rappresentare freddamente i fatti, sine ira ac studio, al di là della propaganda politica e degli interessi di parte tende a far credere di essere semplicemente uno specialista. In realtà i suoi scritti non partono mai dal singolo problema esaminato ma si spingono preliminarmente a dare un quadro il più possibile esatto del contesto in cui l’avvenimento si colloca. Marietti è un tecnico quindi ma non un cronista. Sa esattamente posizionare gli elementi politici e militari in equilibrio soprattutto quando si deve scrivere delle difficoltà strategiche ed operative incontrate dall’esercito italiano. Questa attitudine non passa inosservata se nel 1918 alla fine della prima guerra mondiale diviene direttore della Scuola Ufficiali mobilitati e il 3 febbraio del 1919 entra a far parte del Corpo di occupazione interalleato di Fiume. In uno scritto posteriore alla guerra, nel 1934, egli documenta come testimone della prima fase del conflitto mondiale della profonda trasformazione che l'artiglieria ha contribuito a generare nelle strategie militari sino ad allora elaborate. L'uso massivo dell’artiglieria pesante e leggera ha infatti messo in profonda difficoltà le truppe combattenti sui fronti italiani del nord-est: “le artiglierie nemiche continuavano invece a rimanere introvabili e quando con eroismo e slancio mirabili le nostre fanterie muovevano all'assalto delle posizioni nemiche sconvolte e quasi raggiunte si scatenava dinanzi ad esse il tiro di sbarramento immediato e preciso. E quando l'ondata riusciva ad attraversare la zona battuta era il tiro di repressione altrettanto preciso ed implacabile che s'abbatteva su di esse. In tal modo il risultato di tanti sforzi era scarso o addirittura nullo.”189 Come dirà in due scritti tecnici, del ’14 e del ’16, le artiglierie sono la vera novità del conflitto: “si considerò come una rivelazione inaspettata l'assoluta e decisiva importanza dell'artiglieria campale:

187 Giovanni Marietti, Politica ed Armi al Marocco, Torino 1909, pagg 3-4. Sulla vicenda marocchina egli tornerà l’anno successivo con un breve scritto intitolato, La Guerra spagnola nel Marocco, Roma, 1910, in cui gli avvenimenti militari della conquista spagnola di alcuni territori della regione sono collegati ai disordini popolari che si ebbero in Spagna alla notizia dell’intervento militare. 188ibidem, pag. 44 189 Giovanni Marietti, Fra Terra e Mare. Il contributo della Marina all’Esercito dal giugno all’ottobre del 1915, Roma 1934, pag. 32

in realtà non si confermò altra cosa che l'assoluto bisogno della cooperazione tra le varie armi.”190 E questa collaborazione è di nuovo ribadita nella operazione intrapresa dallo stesso Marietti tra esercito e marina nel fornire artiglieria quando nessuno nello Stato Maggiore aveva previsto quanto il volume di fuoco di questa nuova arma fosse strategico nella fase iniziale del conflitto dove tutti pensavano invece ad una guerra rapida e di movimento. E’ interessante in questo caso la descrizione che egli fa dei due stati maggiori, esercito e marina, coinvolti in questa nuova ed originale operazione. L’esperienza creativa di una collaborazione tra stati maggiori, esercito e marina, fornisce a Marietti una visione più ampia del singolo specialista che organizza il proprio comando senza fornire delle soluzioni operative che possano in qualche modo allontanare le truppe dal pericolo. Nel caso descritto è l’intuizione di eliminare i cannoni dalle navi leggere e di trasportarli in montagna per creare le prime unità di sbarramento contro gli austriaci a fornire l’occasione di descrivere lo stato di inimicizia e di mancanza di comunicazione tra marina ed esercito ed invece la grande necessità nella guerra moderna di trovare collaborazioni utili a risolvere problemi contingenti. L’esperienza del fronte del nord-est permise quindi a Marietti di riflettere prima degli altri, siamo nel 1915, di come caratteristiche, modalità di approcci e ricerca di soluzioni siano in questo conflitto profondamente differenti da quelli passati e questo tipo di elasticità nei giudizi e nelle considerazioni sulle strategie dei comandanti troveranno luogo in questa serie di scritti che, solo in apparenza, forniscono il materiale di riflessione allo Stato Maggiore. Conoscitore della lingua francese e tedesca, autore di libri di istruzione tecnica ma anche osservatore smaliziato dei difetti e dei limiti della organizzazione politica e militare nei vari conflitti, non è quindi un “osservatore” qualunque l'inviato italiano nel Baltico alla fine del 1919. Il generale di artiglieria ha dietro di sé non solo una esperienza militare ma una conoscenza puntuale delle situazioni critiche e delle maniere più efficaci per affrontarle. La missione in Germania segna però un suo salto di qualità. Da tecnico e stratega militare si trova a dover affrontare problemi politici e diplomatici che la vicenda del baltico rapidamente gli pone sotto gli occhi e la riflessione, a caldo, che ne fa con le sue Osservazioni ci mostra la sua capacità di restituire la complessità della situazione non solo in termini operativi ma anche sociali e culturali. Possiamo perciò dire che questo documento non rappresenta un elemento isolato ed estemporaneo della sua attività ma si iscrive tra i saggi di osservazione e di considerazioni personali allo stesso titolo della produzione pubblicata precedentemente e riprende tutti gli interessi considerati: l’attenzione alla disamina dei fatti, il collegamento con gli avvenimenti politici e l’interesse al quadro delle alleanze possibili. Mentre le osservazioni sulla crisi marocchina sono però legate al ruolo esterno all'Italia e quelle relative al conflitto sono soprattutto determinate dai nuovi problemi strategici che lo vedono subito orientato a nuove soluzioni tattiche, il documento sui paesi baltici è lo sguardo di un protagonista in prima persona di una operazione completamente nuova come una missione bilaterale internazionale191 e in questa veste egli si interroga anche sul nuovo ruolo che l'Italia da potenza vincitrice deve avere per la formazione di una politica internazionale nata dai trattati di pace anche in regioni non particolarmente vicine agli stretti interessi nazionali: “io penso che forse un militare è meglio d'ogni altro in condizioni di giudicare e di apprezzare in campi estranei alla propria missione perchè egli in quei campi non ha preconcetti e soprattutto non ha interessi materiali da far valere o da sviluppare”.192 In questo ruolo di osservatore diplomatico-militare verrà nominato nel 1920 Capo Ufficio Militare presso la Sezione Italiana alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi al posto del gen. Cavallero e divenuto nel 1923 Generale di Brigata assumerà incarichi a Parigi nella Commissione interalleata sugli armamenti della Società delle Nazioni da dove seguirà la vicenda dell’occupazione lituana di Memel. Il 16 febbraio 1927 viene messo in Aspettativa sino al dicembre dello stesso anno quando, a

190 ibidem 191 Sulle caratteristiche originali della missione per il ritiro delle truppe tedesche, cfr. Capitolo II 192 Giovanni Marietti, Appunti ed impressioni su gli Stati del Baltico, ASSME, E8, busta 99, fasc. 3, pag. 2, d’ora in poi citato come Appunti.

soli 56 anni, viene messo in congedo. La sua uscita dalla scena diplomatico-militare dura sino al 1940 anno della morte avvenuta a Torino. Questo periodo vedrà la pubblicazione del suo libro più importante, una biografia del Maresciallo d’Italia Armando Diaz nel 1933 e uno scritto del 1936 sul ruolo italiano durante il primo conflitto mondiale. Osservatore della situazione militare e della garanzia degli obiettivi finali della missione interalleata sul baltico, Marietti si rende quindi conto del suo nuovo ruolo di vero e proprio documentarista della situazione politica e sociale e proprio per questo rivendica a se stesso il compito di una nuova figura che, sino a questo momento, non aveva preso piede nel variegato mondo che si agita a latere dell’attuazione del Trattato di Versailles, quella cioè del tecnico esperto che riesce a fotografare il quadro politico e sociale non prescindendo dalle proprie convinzioni personali: “se dal campo particolare ci si solleva al campo generale della situazione europea si scorge tutta l'importanza di questi nuovi e malfermi stati che dal baltico al mar nero si interpongono oggi tra l'Europa centrale e il caos russo. Per parte mia ho la convinzione assoluta che questi stati rappresentino la chiave di volta dell'odierna costruzione europea”193 Gli stati baltici sono, per lui, il nodo in cui si scontrano almeno tre grandi fattori che sono politici prima che militari: il primo è rappresentato dall'importanza e dal ruolo che, a dispetto di potenze come la Francia o l'Inghilterra, assume la Germania in queste regioni. Marietti osserva che dal fronte orientale si vede una Germania non sconfitta come pare agli Alleati sul fronte occidentale; anzi, in queste regioni, la Germania mantiene il controllo culturale, politico e anche militare di quelle zone e la Prussia orientale rappresenta un centro di potere e di consenso ancora molto forte. Un secondo fattore di questo nodo è rappresentato dagli interessi particolari delle potenze europee alleate. Marietti scorge nel baltico, sin dal 1919, lo sfaldarsi progressivo dell'alleanza sugli interessi nazionali. Dileguatosi l'intervento americano dopo la Conferenza della pace, il conflitto tra i francesi favorevoli alla formazione di una grande Polonia e gli inglesi attenti soprattutto all'egemonia sui traffici marittimi della regione viene lucidamente descritta: “le missioni francesi lavorano accanitamente per contrastare l'opera di quelle inglesi lo si sente più che non lo si veda poiché i rapporti reciproci esteriori sono più che cordiali.”194 Il terzo nodo è infine la decisione di formare in queste regioni di quei territori “liberi” che per il generale vengono utilizzati più per non risolvere i problemi che per sviluppare una nuova politica. La vicenda del territorio di Memel ai confini tra Polonia e Lituania sarà infatti il risultato di un compromesso che lascerà intatti i problemi sociali e politici della regione. 195 Marietti tornerà su tutte queste analisi in uno scritto del 1929, Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, dove soffermandosi sulla questione di Memel, descrive la situazione del territorio occupato dai Lituani e traccia un giudizio politico molto preciso sulla vicenda: “la sovranità del territorio di Memel è attribuita alla Lituania ma con regime di autonomia e con l’obbligo di garantire alla Polonia la libertà di transito marittimo, fluviale e terrestre. Lo statuto elaborato a Parigi venne accettato e messo in vigore. Così finì, mentre con maggiore sollecitudine e con minore preoccupazione di urtare la Polonia si sarebbe potuta evitare, l’avventura di Memel, la quale però rivelò essere questa città uno dei tanti punti nevralgici esistenti nell’Europa nord-orientale”196 L’intero scritto su Versailles riassume in poche pagine un quadro generale che comprende e sintetizza allargandosi alla politica europea tutti gli elementi che abbiamo descritto: analisi politicomilitari, individuazione dei nodi diplomatici e considerazioni sulle strategie delle potenze in gioco. Lo scritto sulla pace di Versailles concentra la sua attenzione sulla situazione in Alta Slesia ma nel considerare questa ennesima vicenda di compromessi e di difficoltà a poter sostenere operativamente quella risoluzione egli richiama in modo puntuale i problemi che già aveva elaborato negli anni precedenti: “Il problema dell’Alta Slesia venne male impostato nel 1919 e, non

193 ibidem 194 Appunti, pag. 59 195 Cfr. Capitolo IV 196 Giovanni Marietti, Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, cit., pag. 9

essendosi voluto rivederne i dati di base, male risolto nel 1921. Gli ottimisti o, per meglio dire, i beneficiari e gli amici di questi dicono che occorre dar tempo al tempo e lasciar cicatrizzare le ferite. Ma siccome nell’età nostra è il fattore economico che comanda il problema politico e non viceversa, si può esser certi che la questione dell’Alta Slesia sia definitivamente chiusa?”197 Riguardo alla situazione economico-politica dei paesi baltici il prodromo di questo scritto è da ritrovare nell’obiettivo che Marietti si è dato oltre quello di seguire operativamente il ritiro delle truppe tedesche. Nella relazione a Cavallero del 20 gennaio ricorda che uno dei suoi obiettivi era: “nel percorrere regioni, a me finora del tutto sconosciute e non troppo note a molti miei connazionali, raccogliere la maggior possibile quantità di dati. In particolare due questioni mi interessavano: quella agraria, che in Lettonia e in Lituania assume una fisionomia particolare (…) [e] quella del bolscevismo, che in Lettonia ha avuto applicazione pratica nei primi mesi del 1919 ed è tuttora latente.”198 Poiché l’interlocutore è il Comando Alleato a Parigi possiamo ipotizzare che questo documento sia la implicita risposta alla documentazione che il rappresentante italiano nella Commissione Militare a Parigi gli ha fornito solo pochi giorni prima della missione. E’ come se Marietti avesse in animo di confermare o smentire le considerazioni svolte in quella documentazione e argomentasse con un proprio lavoro alcuni punti chiave che erano rimasti in ombra nella documentazione degli Alleati a Parigi. Il fatto che la questione agraria e la questione del bolscevismo assumano per lui grande importanza va visto soprattutto in rapporto alle notizie raccolte e proposte al Consiglio Supremo della Conferenza e quindi rappresenta un approfondimento di cui tener conto nelle future decisioni di queste regioni. Nella documentazione che il Comando Alleato fornisce a Marietti, oltre che una serie di opuscoli a stampa, vi è una lunga relazione scritta da Cavallero in merito alla situazione dei paesi baltici. La relazione è senza data ma, dalla serie degli allegati contenuti e dei documenti riprodotti in questi allegati, è possibile fissare un termine ad quem nell'ottobre del 1919 immediatamente a ridosso della partenza di Marietti per Berlino. Come termine a quo possiamo invece ritenere che l’intera vicenda del baltico risulta evidente agli Alleati almeno a partire dal novembre 1918 anche se il problema del ritiro delle truppe tedesche diviene cogente solo nell’estate del 1919. L'attenzione a questa relazione va posta soprattutto per chiarirel'insieme delle informazioni a disposizione degli Alleati e quanto essi fossero coscienti dei problemi all’origine delle tensioni in questa regione. Possiamo dire che per Marietti, del tutto nuovo a questa esperienza essi formano il contesto di partenza entro cui la Missione interalleata dovrà operare. Possiamo quindi avere da questa documentazione due importanti punti di vista: il primo è quello militare sulle forze in campo e sull'atteggiamento di Parigi rispetto a queste forze, il secondo è invece la serie delle soluzioni possibili prospettate ai decisori politici che di lì a poco dovranno affrontare il problema dei rapporti tra Polonia e Lituania e soprattutto la creazione della Lettonia indipendente. Cavallero, che è l’estensore di questa relazione, fornisce a Marietti la situazione politica dei paesi dichiaratisi antibolscevichi: della Finlandia, del Principato dei Paesi Baltici formato dall'Estonia, dalla Livonia e dalla Curlandia, del Principato di Lituania, del Regno di Polonia e della repubblica Ucraina. Accanto a queste realtà statali vi sono inoltre una serie di realtà territoriali e politiche nate dal disfacimento dell'impero zarista e che per Cavallero rappresentano in maniera quasi parallela il quadro politico di cui tener presente la situazione per contenere il regime dei soviet. In questa descrizione vengono citati il Governo della Russia Settentrionale, la Repubblica della Russia Bianca, della Tauride, dei Cosacchi del Don, dei Cosacchi del Kuban, del Caucaso, della Georgia, dell'Azerbadjan, del Kazan, di Samara, dei Tartari e Bashkiri e del Turkestan. Vi è poi, più distante, la descrizione della situazione siberiana con la separazione ormai dalla Russia e la formazione di governi di Omsk, di Tomsk degli Urali, della Siberia autonoma, di Vladivostok.199

197 ibidem, pag. 13 198 RDIP 20 gennaio, pag. 15 199 Consiglio Sup. di Guerra, Notizie Militari-politiche sulla Russia e Siberia, luglio 1919, ASSME, Busta 98, pag. 3

E’ interessante sottolineare come tale documentazione riprenda e riconsideri i punti di forza e di debolezza della repubblica dei soviet e quindi consideri come centrale questo problema per il futuro equilibrio europeo. La preoccupazione principale degli Alleati è che ormai la situazione russa va progressivamente stabilizzandosi verso la vittoria bolscevica. La progressiva e sempre più organizzata espansione dell'armata rossa comandata da Trotski sta riuscendo a dominare e distruggere le formazioni politiche “bianche” anche per la difficoltà di un coordinamento tra queste e la diffidenza delle popolazioni coinvolte le quali vedono come alternativa al comunismo una semplice riproposizione del vecchio impero zarista senza un interesse alla soluzione dei problemi legati alla condizione contadina e alla sistemazione della questione della proprietà. La relazione di Cavallero descrive quindi i cambiamenti intervenuti tra il maggio e l'ottobre del 1919 nel baltico. Sull'Estonia si afferma, a proposito degli avvenimenti del giugno 1919, che: “giova tenere presente che l'Estonia, preoccupata degli avvenimenti svolgentesi in Curlandia per parte delle forze tedesche o germano russe, che in questi ultimi tempi hanno attaccato i Lettoni, ha dovuto distrarre alcune sue forze dal fronte orientale per accorrere in aiuto dei lettoni: tale preoccupazione è tanto più giustificata in quanto che, come è noto, gli estoni dovettero già nel giugno scorso prendere le armi contro le truppe di Von Der Goltz e contro la Landerwher baltica che per motivi ancora non bene conosciuti avevano attaccato improvvisamente alle spalle le forze estoni-lettoni, interrompendo la ferrovia Riga-Pskow”200 L’impostazione della relazione è quindi quella di conteggiare quante siano le forze che contrastino l’Armata rossa nel baltico. I motivi non conosciuti dell’attacco delle truppe estoni e lettoni da parte dei tedeschi segnalano che, sino a questo momento, le ragioni politiche del disegno tedesco in queste regioni viene ritenuto secondario o marginale rispetto al presupposto che sia i tedeschi che le truppe estoni e lettoni combattano per lo stesso fine e cioè respingere le armate russe il più lontano possibile dai confini. Solo a partire dall’ottobre le truppe tedesche divengono un reale e concreto pericolo per lo svolgimento delle azioni alleate: “in Lettonia e in Lituania si trovavano le truppe del VI corpo tedesco, agli ordini del generale Von Der Goltz. Questi svolse colà una intensa azione politica a favore della Germania, ostacolando la costituzione delle forze locali, cercando in ogni modo di indebolire i governi aventi tendenze intesofile e soprattutto organizzando, sotto il nome di Landerwher baltica, una milizia di carattere prettamente tedesco. In tale opera il Generale Von der Goltz fu sempre validamente appoggiato dall'elemento tedesco, numeroso specie in Curlandia, e dai baroni baltici, che colà spadroneggiano e che sono pressoché tutti di origine tedesca o almeno legati al governo di Berlino.”201 La fonte italiana appare, nella ricostruzione di questi avvenimenti, del tutto precisa. I non precisati motivi degli attacchi lettoni ed estoni alle truppe tedesco-russe segnalano l'iniziale laissez faire operato dagli Alleati nei confronti delle popolazioni baltiche per la ricerca di un equilibrio politico che le porti all’indipendenza anche alleandosi o trattando con le truppe volontarie tedesche presenti sul territorio. L’obiettivo è infatti quello di contenere la revanche bolscevica e non di decidere in modo chiaro su quali forze contare per garantire l’indipendenza degli stati baltici. Dopo le comunicazioni della missione comandata dal colonnello Cough che riferisce invece l'evolversi della situazione verso la decisione da parte tedesca di formare un proprio stato coloniale sul baltico, gli Alleati comprendono tra il marzo e il maggio 1919, del ruolo centrale che le truppe tedesche stanno assumendo in questo quadrante per favorire l’egemonia tedesca e il ritorno al potere dei baroni feudali. Solo a questo punto avviene il cambio repentino di strategia alleata con l’appoggio alle truppe nazionali e le dichiarazioni della Conferenza di Parigi contro il Governo tedesco di mancato ritiro delle sue truppe sul Baltico con la pressione a cui viene sottoposta la Germania attraverso la

200 Relazione Cavallero, cit., pag. 5 Uno degli elementi più importanti per definire il quadro generale entro cui si muove la missione è l’analisi dei documenti prodotti in questo periodo dalla Commissione militare a Parigi che prepara i dossier da sottoporre alle decisioni della Conferenza della Pace su questo fronte. Questa commissione militare era formata dai Generali Belin e Lanxate per la Francia, Sekville e Hope per l'Inghilterra Bliss e Knapp per gli Stati Uniti e dal generale Cavallero per l'Italia. 201 Relazione cit., pag. 10

minaccia di un rinnovo del blocco navale che costringerà il Governo Waachendor a numerosi appelli alle truppe tedesche di stanza sul Baltico a ritirarsi per evitare la minaccia della fame per le popolazioni residenti in Germania. Nessun accenno viene fatto né alla trattativa tedesco-lettone che ha portato alla formazione della Landeswehr baltica, né viene spiegato nella relazione la complessità dei rapporti che sono, sino a quel momento, intervenuti tra le forze alleate e il governo tedesco. Da questa esposizione appare quindi che, mentre gli Alleati stanno elaborando le loro informazioni con l'intento di favorire tutte le forze antibolsceviche, truppe nazionali lettoni, estoni, lituane, truppe volontarie tedesche, truppe russe controrivoluzionarie, gli inglesi con la missione del colonnello Cough dislocata sul fronte riescano a sapere prima degli altri i diversi obiettivi delle forze in campo le quali sotto la bandiera dell’antibolscevismo stanno operando in realtà per ottenere vantaggi anche contro le direttive dell’Intesa. Si comprende pertanto l'urgenza da parte di Lloyd George di procedere speditamente all'applicazione integrale della clausola XII dell'Armistizio eliminando le truppe tedesche dal teatro di guerra anche agendo contro la prudenza di chi, non avendo chiara conoscenza delle forze in gioco, ritiene ancora i tedeschi in grado di essere utili a formare quello sbarramento contro le mire bolsceviche come era avvenuto con l’avanzata verso Riga nel marzo del 1919. Non è un caso che, nella primavera del 1919, l'Ammiragliato britannico aveva scritto al Foreign Office che: “l'opera degli ufficiali di marina britannici nel Baltico risulterebbe molto facilitata se essi venissero informati della politica che sono chiamati a sostenere”202. Prima degli altri gli inglesi capiscono che continuare ad appoggiare le truppe tedesche e le truppe bianche significa mettere in serio pericolo la formazione degli stati indipendenti così come delineati dagli accordi di Parigi ma soprattutto risulta difficile comprendere come si possano politicamente sostenere la possibilità di contenere il bolscevismo con forze militari che apertamente contrastano quel disegno. Nel chiarire questa ambiguità di fondo della Relazione possiamo osservare tre elementi che vengono giudicati problematici dall’estensore. Il primo è rappresentato dalla volontà dell’esercito Estone di sancire l'indipendenza nazionale del territorio con un governo favorevole all'Intesa ma richiedendo una alleanza contro le forze bolsceviche e soprattutto contro le forze tedesche presenti sul territorio. Contemporaneamente però si segnala che il governo estone non ha alcuna intenzione di sottostare agli ordini delle truppe russe controrivoluzionarie perché queste continuano a proclamare il successivo assorbimento ad un futuro impero russo: “è probabile che il governo estone, comprendendo la necessità di uno sforzo unico contro i bolscevichi, si accontenterà di una semplice dichiarazione di Koltchak che prometta di rispettare l'indipendenza dell'Estonia, se essa verrà riconosciuta dall'Intesa”203 Il secondo elemento riguarda, come abbiamo visto, la Lettonia in cui la situazione si è rivelata un vero fallimento politico-militare per gli obiettivi dell'Intesa. I bolscevichi hanno infatti occupato la capitale Riga approfittando del ripiegamento delle truppe tedesche instaurando una repubblica dei soviet ma questo ha comportato la formazione di un governo lettone provvisorio a Libau che ha la necessità delle truppe tedesche per poter pensare ad una liberazione dalle truppe russe. Il terzo riguarda i rapporti con i tedeschi in Lituania. Tutto il territorio lituano è stato interamente occupato dai tedeschi sin dal novembre del 1918 e quindi non ha subito come l'Estonia e la Lettonia il ritorno delle truppe bolsceviche ma, allo stesso tempo, non ha potuto realizzare in questo periodo un governo che possa nettamente dichiarasi a favore degli Alleati. La Lituania è quindi stretta tra una presenza militare tedesca e un governo provvisorio: “di tendenze nettamente germanofile, ma esistente più di nome che di fatto”204 che però dichiara aperta ostilità ai polacchi. Questa ostilità è quindi abilmente sfruttata dai bolscevichi russi con la promessa fatta ai Lituani della formazione di una Repubblica dei Soviet della Lituania e della Bielorussia con capitale Vilnius.

202 in MacMillan, cit., pag. 289 203 Relazione Cavallero, cit., pag. 11 204 ibidem, cit. pag. 12

Nelle descrizioni politiche riportate si vede chiaramente che il leitmotiv che percorre la relazione di Cavallero è rappresentato dalla ricognizione delle forze in grado di contrastare l'elemento bolscevico. Se è vero quindi che il ritiro delle truppe tedesche dalle zone baltiche era ben presente agli Alleati sin dall'armistizio del novembre 1918 sino alla primavera del 1919 esso appare subordinato alla soluzione di ottenere l’indipendenza degli stati baltici solo al fine di contenere l’espansione bolscevica nelle stesse regioni. Le osservazioni di Marietti che riguardano la strategia alleata di opposizione al “caos russo”, come egli lo definisce, è la risposta a quella impostazione fornita dai documenti che ha letto prima di arrivare nei paesi baltici e ne rappresenta l’implicita risposta. Egli giunge in quelle regioni avendo chiaro che l’interesse alleato è di cercare una soluzione al problema dell’espansione comunista e che l’indipendenza dei paesi baltici è subordinata a tale fine ma tale problema non può essere, per lui, disgiunto dalle considerazioni sugli aspetti sociali, economici e culturali che i nuovi stati indipendenti del baltico devono affrontare. A differenza dei decisori politici di Parigi lo scritto di Marietti si concentra quindi sulla situazione reale e sulla possibilità che l’indipendenza senza la soluzione delle questioni entro cui i nuovi governi dovranno operare è solo un fragile diaframma all’espansione comunista e anche l’obiettivo della “difesa dal bolscevismo” diventa una parola astratta. Marietti disgiunge quindi le questioni operative e militari da questi problemi e accanto ai rapporti dettagliati sull’operato della missione sente l’esigenza di integrare le considerazioni politiche di Cavallero con qualcosa di più approfondito che fornisca uno strumento utile ai decisori nella stabilizzazione di quei governi nazionali che sta con grande determinazione sostenendo. La tesi di fondo degli Appunti che è poi la ragione per cui egli approva in modo totale l’operato del Generale Niessel, è che nessuno di questi stati, da solo, è in grado di potersi contrapporre alle due potenze che hanno dominato questa parte d’Europa: la Germania e la Russia. Oggi l’Intesa è riuscita ad incunearsi in questo dominio favorendo la nascita di queste realtà nazionali ma le antiche potenze si potranno risollevare in futuro e quindi rimettere in gioco in qualunque momento questa presenza. Marietti propone quindi come disegno politico futuro, una volta eliminata la presenza tedesca, di creare una federazione di questi stati e gli Alleati dovrebbero favorire in ogni modo questa formazione spingendo tutti questi governi alla creazione di una reciproca autodifesa negoziando l’appoggio dell’Intesa solo se si otterrà questo obiettivo. Egli giunge persino a prospettare una possibile federazione all’interno di una Russia non bolscevica: “se la Russia si riordinerà in uno stato federativo od in una federazione di stati, sorgerà il problema se convenga comprendervi gli stati baltici per sottrarli alla cupidigia germanica. Oggi come oggi, questi sono problemi prematuri, mentre è impellente il problema di dare agli stati baltici la vitalità necessaria per resistere alla pressione bolscevica, non soltanto nell'interesse loro, ma nell’interesse dell'Europa.” 205 Appare chiaro che per Marietti l’unica possibilità di vita politica autonoma per questi stati è la loro costituzione in federazione che nella fase di creazione degli stati indipendenti aveva conosciuto una stagione di consenso poiché i rapporti tra Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia sono solidali ed hanno come obiettivo il distacco dai due Imperi. E’ stato firmato un patto tra di loro di mutua difesa e anche nelle vicende relative al ritiro delle truppe tedesche questa concertazione di interessi è risultata essere uno dei motivi politici ha permesso quel successo. Può essere, quella di Marietti, una ipotesi assai improbabile di legame ad una Russia che ha sconfitto i bolscevichi ma può anche configurarsi una federazione di stati baltici, allargata a Polonia e Finlandia, che, con l’aiuto dell’Intesa, può creare una unità territoriale vasta e solida che si interponga alle mire espansionistiche di una Germania e di una Russia che prima o poi usciranno dal loro stato di crisi militare e politica. Occorre, da parte dell’Intesa avere un quadro realistico delle forze in campo e soprattutto considerare che: “rigenerata la Germania, ricostituita la Russia, non potranno gli Stati baltici sussistere come stati cuscinetto: o saranno assorbiti, o verranno schiacciati a malgrado del loro

205 Appunti, cit. pag. 3

sentimento nazionale. E' doloroso dover dir questo dopo di avere ammirato questo sentimento nazionale, dopo di avere auspicato loro la migliore delle fortune nel nome del principio di nazionalità, che fu la base della rigenerazione d'Italia. Ma anche questo è fatale, anche se incontrerà resistenze ostinate, quali sono da prevedere in popoli che finalmente hanno gustato la libertà e l'indipendenza”206 A questo disegno si oppongono invece gli interessi contrastanti delle potenze Alleate e già le prime crepe sono all’orizzonte. La questione di Vilnius peserà infatti in modo determinante su questa strategia e l’assoluta intransigenza francese nel favorire uno stato polacco egemone e non una federazione di stati liberi sarà lo scoglio su cui si infrangerà questo progetto. Se questo è il primo elemento originale che Marietti pone all’attenzione degli Alleati e che per lui rappresenta la soluzione che concilia sia l’aspetto politico dell’indipendenza che la formazione di uno strumento politico forte destinato a contenere le forze del bolscevismo l’altro elemento che egli considera fondamentale e che, se non risolto, fornisce uno potente strumento alla propagazione di quelle idee è la soluzione della questione agraria nei paesi baltici: “ciò che invece si tratta di spazzar via è il sistema feudale; ciò che si tratta di creare è la cooperazione tra il lavoro e il capitale là, dove si ha ancora la fortuna di avere una numerosa nobiltà che, pur con tutti i gravi difetti che abbiamo visto, ama la terra e vive di essa e per essa costantemente tutto l’anno”207 Il bolscevismo, per Marietti, non si batte quindi solo con la strategia militare né con il favorire solamente alcune soluzioni politiche rispetto ad altre; si tratta invece di concentrarsi sul problema storico di questi paesi che è rappresentato dalla enorme distanza esistente tra la minoranza della popolazione che ha titolo politico per creare uno stato e la sua storia fatta di oppressioni e di prevaricazione da parte di minoranze colonizzatrici le quali per molti secoli hanno schiacciato ogni possibile sviluppo economico, culturale e sociale. Le proposte di Marietti vanno ovviamente confrontate con quelle analisi, non molte in verità, che sono state condotte sin qui sulla condizione economica e sociale dei paesi baltici. Scorrendo i titoli con cui il generale si documenta per compiere le sue osservazioni si trovano testi italiani, francesi e tedeschi sulla storia, le tradizioni e i costumi di queste terre. Si tratta ovviamente di testi anteriori al conflitto ma che servono ad inquadrare, almeno in maniera strutturata, le aggiunte e le nuove osservazioni determinate dai fatti relativi a questo infuocato periodo. In primo luogo Marietti comincia a distinguere questi paesi proprio per il loro tessuto sociale. Discutendo della proprietà agraria vi sono due storie parallele da considerare: quella dell’Estonia e della Lettonia dominata dai baroni baltici di origine tedesca e quella della Lituania iscritta invece nel rapporto con il regno di Polonia che ha rappresentato un fattore di oppressione come per gli altri due ma con modalità del tutto differenti. Osservando la produzione agricola Marietti nota che la produzione di bestiame, soprattutto cavalli, l’uso razionale del patrimonio forestale e l’aumento della produttività per i suolo agricoli possono essere gli elementi di fondo per una crescita economica dopo i disastri prodotti dalla guerra. Il vero nodo è che: “una delle ragioni del basso rendimento delle terre va ricercata nello scarso interesse del contadino a produrre, derivante dal gioco di tariffe praticato dal governo russo. Le tariffe ferroviarie per i grani provenienti dall’interno della Russia, erano così basse che il grano russo veniva in Lituania a costare meno del grano locale; (…) quindi il contadino lituano non aveva interesse che a produrre solo quanto gli occorreva” 208 E’ necessario quindi ricostruire prima che un tessuto produttivo un vero patto sociale che permetta a questi paesi di riattivare una capacità produttiva interna e, per farlo, è necessario mettere mano alla proprietà della terra. In Estonia e in Lettonia vi sono infatti anacronistiche divisioni della proprietà terriera che hanno provocato veri e propri drammi sociali nel corso dei secoli: “Le terre padronali, che per l’Estonia e

206 Appunti, cit. pag. 63 207 Appunti, cit. pag. 52 208 Appunti, cit. pag. 40

la Livonia rappresentano 3.200.000 ettari, sono ripartite tra soli 895 proprietari, di modo che ogni proprietario ha in media 3.600 ettari esenti da imposte, senza calcolare il terreno dei contadini”209 Marietti accoglie qui alcune notizie da un volume, pubblicato in italiano di Mihkel Martna sull’Estonia.210 Il volume nella sua parte centrale è la fonte dei dati e delle cifre esposte da Marietti per questo paese in cui è sostenuto che: “per ora non può ancora trattarsi in Estonia di realizzare gl’ideali socialisti, si tratta invece di spazzar via tutti gli avanzi del feudalismo e di aprire la via ad una libera e naturale esplicazione delle forze economiche e sociali. In primo luogo si tratta di dare al popolo la possibilità di esistenza nel proprio paese. (…) Bisogna togliere i vincoli storici che hanno impedito lo sviluppo del popolo Estone.”211 Naturalmente questi vincoli sono rappresentati dai baroni baltici di origine tedesca che, in collusione con i funzionari russi, hanno costituito una struttura fortissima di dominio e di sfruttamento delle popolazioni. Il liberale decreto imperiale russo sull’abolizione della servitù della gleba, ricorda Marietti, in queste regioni si è sviluppato senza che sia stata messa in discussione né la proprietà agricola né i sistemi produttivi. Questo ha trasformato i contadini da servi della gleba a schiavi salariati dei feudatari senza che nessun reale progresso delle loro condizioni si sia verificato. L’obiettivo del ceto nobiliare baltico è stato quindi sempre quello di tenere lontano il popolo estone e lettone dalla scuola, dall’attività professionale, dalla vita amministrativa dei comuni e rappresenta il vero vincolo su cui esercitare una riforma incisiva del sistema produttivo nazionale. La nobiltà baltica ha addirittura servito lo zar fedelmente ricavandone privilegi e monopoli in tutti i settori della vita economica e, dopo l’invasione tedesca, ha riportato in vita addirittura privilegi feudali aboliti con la rivoluzione del 1905. Con la realizzazione dell’indipendenza nazionale questa minoranza è spaventata: “la nobiltà tedesca dell’Estonia capì che il suo gioco era perduto. Malgrado questo cercava di prolungare l’occupazione tedesca nel paese anziché rimettere spontaneamente il potere nella mani dei rappresentanti locali”212 Identica è la condizione della Lettonia, ricordata da Marietti nelle sue Annotazioni e che collima con le analisi di Martna sull’Estonia: “delle terre padronali solo 6.000 ettari sono proprietà diretta di contadini; il resto 1.107.000 ettari è proprietà di 499 latifondisti, con una media di 2.200 ettari ciascuno.”213 Il pericolo bolscevico si annida quindi tra queste cifre e il modo con cui le élite di quei paesi hanno considerato la massa dei contadini asserviti ed esclusi dalla partecipazione politica. In Lettonia: “la democrazia, che assunse il potere, aveva però veduto anche l’esperienza dei Bolscevichi, breve, ma istruttiva. Questi confiscavano, è vero i latifondi e dichiaravano la nobiltà fuori legge; ma la miseria, la rovina ed il disordine erano la conseguenza dei loro sistemi. E ne trassero il convincimento che i loro popoli non siano ancora maturi per la realizzazione degli ideali socialisti, che su questa via è necessario li precedano popoli che hanno raggiunto un più alto grado di evoluzione”214 La questione agraria è quindi dominata nei due paesi baltici da un pericolo enorme: per un verso la disastrosa feudalità porta la classe contadina verso il bolscevismo per altro verso i governi democratici partono dal presupposto che i contadini non siano in grado di poter realizzare immediatamente uno stato democratico e quindi non possano partecipare ad una distribuzione delle terre che permetta un regime cooperativo in grado di migliorare il proprio tenore di vita. Lo stato di abbrutimento in cui questi sono stati gettati per secoli non permette nemmeno di formare una propria classe di governo e il generale italiano individua in questo presupposto il problema. Anche i cosiddetti patrioti estoni o lettoni – afferma - ragionano in maniera nazionalistica ed

209 ibidem, pag. 46 210 Mihkel Martna, L’Estonia, Gli estoni e la questione estone, Roma, 1919. Martna (1860-1934) di formazione socialista menscevica fu impegnato dopo la rivoluzione del 1905 a favorire in tutti i modi l’indipendenza estone e per questo fu costretto all’esilio sino al 1918. Fu membro della delegazione estera presso la Conferenza della Pace, del governo provvisorio, dell'Assemblea costituente e dei primi cinque parlamenti indipendenti estoni. 211 ibidem, cit. pag. 97 212 ibidem cit. pag. 192 213 Marietti, Appunti, cit. pag. 48-49 214 ibidem, pag. 51

astratta. Invece di favorire, data la mutata situazione politica, la ricostruzione, insieme alle élite baltiche, di un nuovo e diverso rapporto sociale si abbandonano ad un razzismo al contrario cercando solo di estirpare l’elemento “tedesco” senza sapere bene cosa mettere insieme dopo ed anzi nutrendo una profonda sfiducia in quelle classi sociali che stanno determinando il loro consenso. Egli invece ricorda che i baroni baltici: “non possono essere soppressi”215 e l’insieme sociale creato anche da queste minoranze tedesche, bello o brutto che sia, è un elemento essenziale per lo sviluppo del nuovo paese: “i fanatici del luogo vorrebbero l’espulsione in massa della nobiltà e la confisca delle loro terre. Ma questo non risolverebbe la questione. Condurrebbe ad un frazionamento eccessivo e caotico della proprietà, che determinerebbe l’impoverimento delle terre ed, a breve scadenza, il fiorire della speculazione e dell’usura. Di più andrebbero perduti tesori non disprezzabili: l’esperienza, il metodo, la riserva di capitali, che sono fondamenti del reddito delle terre.”216 Marietti quindi non propone di scagliarsi contro la nobiltà baltica ma di piegarla alle necessità del nuovo paese. Non una conventio ad excludendum sulla base di un nazionalismo etnico del tutto inutile ma la ricerca di un equilibrio nuovo sulla base di una costituzione che garantisca uno sviluppo attraverso le riforme. Marietti individua quindi il veleno del nazionalismo nel cuore stesso dei protagonisti della rinascita nazionale del baltico. Sino a che si ragionerà in termini di esclusione in base ad elementi come l’appartenenza etnica si otterrà solo il risultato di impoverire progressivamente le risorse e le capacità sino a dover poi sottostare ad un ricatto straniero. La russificazione o la germanizzazione forzata che appartiene come eredità storica a questi paesi non deve trasformarsi nella populistica soluzione di una semplice eliminazione di queste componenti della società baltica bensì è nella ricerca di nuovi rapporti economici e sociali la ricetta per non cadere in eccessi estremistici in cui il generale italiano mette il nazionalismo. Gli anni successivi nella vicenda di questi paesi sarà invece orientata proprio nella direzione di un polulismo nazionalista che farà dell’indipendenza un motivo di isolamento e di esclusione e che trasformerà in breve tempo queste nazioni in deboli prede di fronte all’accordo russo-tedesco del 1939. Apparentemente differente sembra essere la situazione politica in Lituania dove la piccola proprietà è molto diffusa e raggiunge quasi il 50% del territorio coltivato con situazioni molto variegate tra regione e regione. Non siamo di fronte quindi al latifondo come struttura di ordinamento sociale ed economico e qui il vero problema è il frazionamento sempre più accentuato della quantità di terra a disposizione di ogni singola famiglia e dove il 53% delle fattorie non supera i 10 ettari. Questo fenomeno ha provocato nel passato l’emigrazione di una buona parte della popolazione lituana soprattutto verso gli Stati Uniti. E’ comunque vero però – ricorda Marietti - che questa diffusione della piccola proprietà fa della Litania un paese più stabile dal punto di vista politico: “la Lituania prima della guerra era paese di feconda produzione agricola ed esportava molti prodotti, specie lino, grano, legna, bestiame, ma essa ha molto sofferto della guerra tanto nella piccola che nella grande proprietà rurale ed il primo compito del Governo per una reale ricostituzione del paese deve partire innanzitutto dal miglioramento delle condizioni agricole di esso.”217 Uno dei problemi che il governo lituano affrontò quasi immediatamente fu di accentuare attraverso la riforma agraria la piccola proprietà contadina proprio per assicurarsi quella base di consenso necessario alla sua continuità ma anche al fine per colpire quei proprietari terrieri polacchi poco fedeli alla nuova dirigenza: “durante la guerra per l’indipendenza il governo promise terra all’esercito dei volontari, proclamò quindi che i contadini senza terra e i piccoli proprietari che avessero servito come volontari nell’esercito dopo la smobilitazione avrebbero avuto la priorità sul possesso delle terre dello Stato.”218 Fu costruito allora un sistema di finanziamento per il rimborso tramite il fisco o verso i grandi proprietari per l’assegnazione delle terre fino al raggiungimento, nel 1930, di una assoluta

215 ibidem, pag. 6 216 ibidem, pag. 52 217 RDIP 29 dicembre, cit. pag. 16 218 Eidintas, cit, pag. 45

predominanza della media e piccola proprietà contadina in cui il 30% delle terre era costituito da appezzamenti di 10-20 ettari e dove la maggioranza delle tenute non superava comunque i 50 ettari. Questa riforma, realizzata dal partito Cristiano Democratico, fu però aspramente criticata dai nazionalisti del Tautininkai e da Smetona perché rendeva il sistema agricolo troppo fragile ed esposto alle speculazioni straniere, in realtà questa riforma assicurò alla Lituania un fondamento solido al suo regime politico. Aver costruito quindi senza movimenti violenti un sistema di rimborsi a lungo termine sia per i proprietari terrieri polacchi sia per i contadini nei confronti delle terre pubbliche fu la prima risposta del governo lituano al problema economico ed è quello che Marietti invoca anche per le situazioni, ben più squilibrate, degli altri due stati baltici. Se il problema della proprietà contadina è quindi una prima risposta alla costruzione di uno stato indipendente e che si opponga all’estremismo comunista, il secondo problema strutturale di questi paesi è invece rappresentato dalla loro composizione etnica. Il sistema dell’autodeterminazione proclamato da Wilson ha creato infatti un corollario estremamente pericoloso: la presenza di gruppi etnicamente omogenei determina i confini di uno stato. Questo processo, semplice e facile per i confini occidentali, è una vera e propria iattura per i confini orientali dove il mosaico etnico è estremamente complesso. Marietti fa cenno, nel suo scritto su Versailles, al caso dell’Alta Slesia ma casi simili sono presenti nella formazione della Cecoslovacchia o nel caso della Transilvania. Questa principio diviene addirittura pericoloso e delicato utilizzarlo nei paesi baltici poiché la stagione di dominazione russa e tedesca e i tentativi di colonizzazione operati non hanno permesso la nascita di una classe media che, al di là dell’élite intellettuale, possa fornire uno strumento operativo al funzionamento della macchina statale. Gli stessi membri del governo lettone, ad esempio, da Ulmanis agli altri ministri, hanno tutti una formazione ottenuta all’estero e alla domanda di come si potesse risolvere il problema delle amministrazioni locali in un paese governato dai soli lituani senza l’ausilio della popolazione polacca, il presidente del governo lituano rispondeva che ci sarebbe stato un rientro dei lituani dagli Stati Uniti o dall’Europa garantendo in questo modo una classe istruita per far funzionare il nuovo stato. La soluzione illustrata non rappresenta alcun vantaggio e soprattutto la preferenza di una classe dirigente lituana completamente estranea al paese piuttosto che l’accordo con la popolazione polacca o ebrea che conosce e vive le questioni territoriali. Il principio etnico già a partire da queste dichiarazioni comincia a produrre i suoi effetti deleteri che diverranno palesi quando i lituani cercheranno di governare con risultati fallimentari una regione come quella di Memel dove la presenza nell’amministrazione è occupata largamente dalla popolazione tedesca.219 Quindi il principio di appartenenza etnica crea curiose situazioni di rivendicazione in cui la “guerra dei numeri” sul piano internazionale trova immediata applicazione. Le percentuali di popolazione divengono vere e proprie bandiere per garantirsi in sede internazionale motivazioni giuridiche per la risoluzione di problemi dovuti alla presenza di minoranze all’interno di questi stati sino a divenire l’unico argomento rivendicativo sul piano della legittimità. Il caso della Lettonia è esemplare in questo senso: in un documento presentato alla Conferenza della Pace a favore della sua indipendenza l’argomento principale del governo indipendente è il principio dell’appartenenza etnica: “dal punto di vista nazionale, la Lettonia è un paese molto omogeneo, popolato da una razza ariana purissima e parlante il lettone che, con il lituano rappresenta oggi la grande famiglia delle lingue indoeuropee: la famiglia baltica.”220 Il meccanismo di suddivisione per appartenenza etnica produce all’interno degli stati baltici un vero e proprio conflitto tra le varie componenti che, dovuto anche a motivi economici e culturali, si trasforma a livello ufficiale in una dimenticanza e a volte in una ostilità verso le minoranze presenti in questi paesi. La guida politica dei nuovi stati indipendenti preoccupata di ottenere una sempre maggiore omogeneità etnica crea veri e propri paradossi culturali e sociali. Osservando i tre paesi infatti abbiamo nelle tre etnìe, differenti religioni: i lituani sono cattolici, i

219 cfr. Capitolo IV 220 Memoire sur la Latvia presentè par la Delegation lettone a la conference de la paix, pag. 5

lettoni per la maggioranza protestanti e gli estoni ortodossi. Frutto delle successive cristianizzazioni forzate ognuno di loro ha preso strade differenti a seconda della loro storia ma al loro interno, per vicinanza e per naturali rapporti di migrazione, vi sono minoranze religiose delle tre differenti confessioni in ogni paese senza contare il grande numero di popolazione di religione ebraica presente soprattutto in Lituania. Questo provoca delle discrasie all’interno dell’equazione etniareligione-lingua che sono semplicemente ignorate dai governi e quindi sottovalutate nel mettere mano alle riforme. Lo slogan fatto proprio da tutte le forze politiche al governo di giungere ad una Lituania solo per i lituani o ad una Lettonia solo per i lettoni, secondo questo dettato, produrrà una fragili in molti casi à politica straordinaria e un problema serio di gestione interna del paese. In un recento studio condotto analizzando la composizione etnica della Lettonia ha sottolineato come questo tipo di politica ha prodotto una forte diminuzione delle èlite techiche. Partendo dal censimento generale, compilato dai russi nel 1897, che rappresenta l’unica base di confronto stabile si ha, nelle province lettoni della Curlandia, Livonia e Latgallia una percentuale di lettoni del 68,3 %, di russi pari al 12,2%, , di tedeschi al 7,1% e di ebrei al 6,4%. Nella successiva statistica del 1920 la percentuale dei lettoni aumenta al 72,8% e quella dei tedeschi diminuisce al 3,6%. Gli effetti dovuti alla guerra ma soprattutto alla riforma agraria porta così ad una progressiva diminuzione dei tedeschi che preferirono emigrare sino a raggiungere nel 1931 il 3%.221 La politica di eliminazione delle feudalità baltiche ha trascinato con se negli anni tra le due guerre anche l’insieme della classe media tedesca che non aveva alcun rapporto con quella nobiltà ma che garantiva al paese una alta competenza tecnica e commerciale che aveva permesso alla Lettonia di divenire, tra le provincie dell’Impero russo, un paese ad alto tenore economico. Trascinare, in nome del principio di indipendenza, questa minoranza fuori dai confini nazionali ha significato una progressiva discesa del reddito medio con un impoverimento generale di tutta la popolazione. Il rischio di politiche astrattamente indipendentiste come questa che non è affatto considerato dai politici che hanno come obiettivo l’indipendenza è quel fenomeno al quale faceva riferimento Marietti nelle sue considerazioni sulla classe feudale baltica. La fuoriuscita dei capitali e dei tecnici anche se di stirpe tedesca una volta esclusi dal progetto di indipendenza nazionale e considerati elemento estraneo del nuovo quadro politico ha prodotto i suoi effetti deleteri. Che queste minoranze non appartengano alla classe dei feudatari oppressori Marietti lo nota quando si accorge, ad esempio, in Estonia “ma il discorso vale anche per la Lettonia” che non tutti i tedeschi sono proprietari terrieri: “1/6 è costituito da banchieri e commercianti della città: i rimanenti 4/6 formano la grande e la piccola borghesia tedesca. La prima vive a fianco della nobiltà e dei grandi commercianti. La seconda è un ceto meschino e ignorante, ciecamente seguace delle classi dominanti, dalle quali però vive completamente separata”222 ed in cui avviene che: “operai tedeschi, o che parlino il tedesco, ve ne sono pochissimi, così che non si può parlare in Estonia di una classe operaia tedesca”223 Queste componenti sociali sono quindi facilmente acquisibili alla causa del nuovo stato indipendente ed estremamente utili per la formazione di una classe media. Tutto questo strato sociale viene invece liquidato semplicemente come appartenente all’etnìa tedesca di cui il governo estone dichiara di non sapere cosa farsene e favorendo in tutti i modi la loro emigrazione.224 Questo problema in Lettonia presenta poi un altro elemento interessante e cioè la composizione etnica tra città e campagna in cui la componente urbana è per quasi il 50% tedesca, ebrea e russa, mentre nelle campagne si ha la quasi totalità degli abitanti di etnìa lettone. Anche questo dato conferma, per Marietti, il problema di questi governi che non possono prescindere dalle minoranze presenti in questi paesi e che lo sforzo non è tanto quello di ignorarle quanto di portarle a

221 Edgars Dunsdorfs, Bevölkerungs- und wirtschaftsprobleme bei der staatsgründung lettlands, in Von der Baltischen provinzen zu den baltischen staaten, Marburg, 1971. vol. I, pag. 317. 222 ibidem, pag 26 223 ibidem, pag. 27 224 Questa progressiva eliminazione di minoranze importanti per lo sviluppo economico è già stato studiato, ad esempio, per la minoranza tedesca in Transilvania.

partecipare alla costruzione del nuovo stato:”le tre nazionalità, vivono affatto separate e da ciò soffrono tutte le istituzioni cittadine, poiché ciascuna nazionalità pensa a sé”225 Il caso della Lituania, infine, ha aspetti eclatanti. Su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti solo 2 milioni sono lituani mentre il resto della popolazione sono cittadini russi, tedeschi, ebrei e polacchi. La stessa città di Vilnius, capitale storica della Lituania, è composta in maggioranza da ebrei, polacchi e russi mentre solo nelle campagne si registrano maggioranze di popolazione lituana. Una popolazione urbana e quindi pronta a recepire i cambiamenti e dotata dei quadri intellettuali è composta da etnìe differenti in cui il principio della appartenenza etnica proclamato dai nazionalisti del Tautininkainon può quindi che scoraggiare ad unirsi al nuovo stato. Il caso degli ebrei è sicuramente quello più rilevante. Essi sono presenti in tutti questi territori anche se in Lituania formano davvero una popolazione estremamente rilevante: sono infatti il 13% e in alcuni distretti sono addirittura il 55% del totale della popolazione. Il processo di formazione delle comunità ebraiche nei paesi baltici è oggetto di diversi studi molto recenti. Abituati come siamo ad immaginare le comunità ebraiche nei paesi occidentali come parte integrante delle professioni e delle èlite finanziarie o commerciali difficilmente riusciamo ad immaginare vaste comunità di religione ebraica che nel corso dei secoli, spinte dalla pressione russa e tedesca, hanno creato la loro residenza in queste regioni. Marietti fa notare che: “il loro numero determina, ciò che non accade nei paesi occidentali, l’esistenza di un numeroso proletariato miserabile. Si occupano di tutto, dalla vendita dei prodotti del suolo (…) al commercio di ragazze ebree e non ebree, dai vecchi pantaloni ai libri di preghiere (…) Ciò che è essenzialmente caratteristico si è che gli Ebrei costituiscono una nazionalità a sé, che si manifesta non soltanto nel campo religioso, negli usi e nella foggia del vestire; ma ancora nel campo politico. Essi eleggono i propri rappresentanti nelle cariche amministrative, si associano ad altre nazionalità per riuscire in determinate elezioni ed hanno mandato propri deputati alla Duma”226 Possiamo assimilare la condizione degli ebrei baltici a quelli russi a proposito dei quali uno storico ebreo poteva scrivere: “immaginate una popolazione di milioni di persone di seconda categoria, i poveri ebrei, i quali fanno parte del sottoproletariato, persone senza alcuna radice nella struttura sociale senza una occupazione, senza una regolare capacità di procurarsi da vivere.(…) è significativo che la parola ‘pogrom’ sia una parola di origine russa e che ora sia entrata nel linguaggio corrente.”227 La condizione di minoranza trova in quella appartenente all’ebraismo la sua componente parte più significativa e più emblematica. Nei paesi baltici essi sono la minoranza isolata nei centri urbani così come i lettoni, gli estoni e i lituani sono la popolazione prevalente nelle campagne e il loro grande numero li porta ad essere composti da molti strati sociali in cui sono presenti tutti i livelli di ricchezza e di cultura. La città di Vilnius ha una comunità formatasi alla fine del XIV secolo e nonostante le numerose persecuzioni avenute in età moderna, dagli svedesi, dai polacchi e anche durante la campagna di Napoleone nel 1812, riuscirono a creare una rete di relazioni in molti distretti urbani sino a fare di Vilnius la loro capitale sino a dare i natali al più importante studioso di religione ebraica e rabbino come il Gaon 228 che di questa città divenne

225 Appunti, cit. pag. 32 226 Appunti, cit. pag. 37, Marietti cita come sua fonte documentaria un autore, Bischof, ovviamente antisemita, ma non si è riusciti a trovare questa fonte. 227 Isaac Deutscher, The Russian revolution and the Jewish Problem, in The non-jewish jew and other essay, New York, 1968, pag. 61-62 228 Eliyahu ben Shlomo Zalman detto il Gaon, operò nel XVIII secolo a Vilnius e quando l’ebraismo Chassidico divenne influente nella sua città natale, il Vilna Gaon, unendo i rabbini ed i capi delle comunità polacche, conosciute col nome di Mitnagdim, prese provvedimenti per tenere sotto controllo l’influenza Chassidica. Nel 1777, a Vilna, fu lanciata una delle prime scomuniche contro lo Chassidismo. Essendo convinto che lo studio della Torah è "la vera vita dell’Ebraismo", e che il suo studio deve essere fatto in maniera scientifica e non solo nel semplice metodo scolastico, il Gaon incoraggiò il suo studente prediletto, Rabbi Chaim Volozhin, a fondare una yeshiva (un collegio) nel quale doveva essere insegnata la letteratura rabbinica. Il collegio venne inaugurato a Volozhin nel 1803, qualche anno dopo la morte del Gaon, e rivoluzionò lo studio della Torah, con conseguente impatto sull’Ebraismo ortodosso.

l’autorità riconosciuta dell’ebraismo lituano e di tutto il mondo ebraico europeo arrivando a far considerare questa città come la Gerusalemme del baltico. All’interno di questa popolazione di cultura ebraica, data la sua stratificazione sociale, si formano una serie di partiti politici e di associazioni che si collegarono anche ai movimenti culturali e politici non ebrei partecipando attivamente alla vita politica e ai desideri di indipendenza dei lituani. Alcune forme di nazionalismo ebraico e di sionismo si svilupparono a livello teorico proprio in questa città e la classe professionale ebraica fu un supporto decisivo alla lotta per l’indipendenza. Durante l’occupazione tedesca nel ’19 e la prima guerra mondiale subirono numerose persecuzioni ed arresti ma riuscirono ad aprire il loro intervento con contributi originali alle nuove correnti nazionali anche attraverso le loro istituzioni culturali come l’Istituto scientifico ebraico, le scuole i musei e le biblioteche.229 Anche durante il governo dei cristiano democratici in Lituania fu dato larghissimo spazio a queste comunità ebraiche con la formazione di proprie strutture amministrative e giudiziarie e con la creazione di vari movimenti a favore di una comunità ebraica indipendente all’interno dello stato lituano. La ricerca di questo consenso ebbe però un’arresto con l’avvento dei nazionalisti al potere e ancor di più, con il colpo di stato autoritario del 1926.230 Di questa questione nelle dispute politiche e nei conflitti per la appartenenza della città tra Polonia e Lituania non v’è alcuna traccia. In una città in cui la metà della popolazione è rappresentata dalla popolazione ebraica in cui le istituzioni, le scuole, le accademie sono parte integrante della vita cittadina, questa comunità viene ignorata di fronte agli argomenti lituani dell’appartenenza storica della capitale o alle ragioni etniche e di presenza di popolazione polacca avanzata dal governo di varsavia. Ma la cosa ancora più grave è che di questo problema pare non interessarsi nemmeno la comunità internazionale che discute in volumi, documenti, pamphlets della importanza della questione di Vilnius per la pace europea e della soluzione della disputa lituano-polacca e di questa importante componente sociale non fa menzione alcuna. Considerati come esterni e isolati, facenti parte di un'altra nazione non vengono iscritti in alcun dibattito ufficiale e Marietti, adeguandosi a questa impostazione, nota come: “negli stati baltici non si può dire che oggi esista una questione ebraica allo stato acuto (…) certo è però che tale questione sorgerebbe qui pure formidabile il giorno in cui per lo sviluppo delle istituzioni si dovesse venire alla parificazione dei diritti, oppure si pensasse ad una espulsione in massa di gente povera, non vogliosa od incapace di assimilarsi alla civiltà altrui”231 Questi meccanismi mentali che discendono egualmente da quella logica esclusivista di cui la divisione etnica è il portato finale costituisce il problema centrale per le nuove nazioni a cui nessuno tra gli Alleati però fornisce strumenti e approcci diversi: “le missioni americane, camuffate militarmente, si occupano evidentemente di affari. Lo stesso fanno le missioni inglesi, ma le finalità sono del tutto diverse. (…) i maligni dicono che l’Inghilterra mira a crearsi una colonia del Baltico, porta d’accesso e di sbocco verso la Russia. Ho udito affermare che, in cambio di un prestito in denaro, l’Inghilterra ha ottenuto il monopolio della produzione di lino e delle foreste in Lituania, i due maggiori prodotti di esportazione. (…) la Francia vorrebbe opporre un programma di unione alla futura Russia232; programma politico dunque (…) di attuazione futura, opposto ad un programma economico di attuazione immediata.”233

229 Julius Brutzkas, Le passè de Vilna, in Le Ghetto di Vilna, Ginevra 1946 230 Cfr. Masha Greenbaum, The Jews of Lithuania: a History of a Remarkable Community 1316-1945, Tel Aviv 1995 e anche Celia S.Heller, On the Edge of Destruction, Jews of Poland between the two world war, New York 1977 231 Appunti, pagg.37-38 232 Nel 1919-20 Marietti pensava ancora ad una “liberazione” della Russia dalle forze bolsceviche e l’intero documento è impostato in questo senso come abbiamo visto anche e sopratutto in polemica alle nuove tendenze politiche alleate. Marietti noterà infatti solo nel 1920 che l’atteggiamento degli Alleati è mutato: “rientrato a Parigi proprio nei giorni delle nuove decisioni, ho appreso che l’Intesa aveva stabilito di non più soccorrere di armi gli eserciti antibolscevichi e di passare ad una politica di trattative col governo di Mosca. Questa decisione, che non mi permetto di discutere, a che è precisamente opposta alle mie convinzioni, è l’argomento decisivo, se i precedenti non fossero stati sufficienti, per farmi tacere. Però mantengo le mie convinzioni” Appunti, cit. Pag. 60. Probabilmente è questo dissidio con la nuova politica degli Alleati che porta Marietti a non pubblicare questo documento incentrato come è nella difesa strenua delle 91

Marietti, implicitamente, giudica l’attività delle potenze alleate in queste regioni sullo stesso piano delle mire colonizzatrici di Germania e Russia e quindi manifesta numerosi dubbi che i problemi interni ai singoli paesi e i nodi economici, etnici e culturali da affrontare per la stabilità e il futuro politico di queste nazioni possano essere risolti partendo da questi presupposti. Il vero pericolo che avverte con grande lucidità è che: “rigenerata la Germania, ricostituita la Russia, non potranno gli Stati baltici sussistere come stati cuscinetto: o saranno assorbiti, o verranno schiacciati a malgrado del loro sentimento nazionale. E’ doloroso dover dir questo dopo di aver ammirato questo sentimento nazionale, dopo di avere auspicato loro la migliore delle fortune nel nome del principio di nazionalità, che fu la base della rigenerazione d’Italia. Ma anche questo è fatale, anche se incontrerà resistenze ostinate, quali sono da prevedere in popoli che finalmente hanno gustato la libertà e l’indipendenza.”234 Le conclusioni di Marietti sono quindi improntate ad un certo pessimismo visto il quadro generale della situazione descritta anche se, polemicamente, non trae alcuna conclusione dalla sua analisi: “dovrei ora fare apprezzamenti e trarre deduzioni, che vorrebbero poi anche essere previsioni pel futuro. (….) trattandosi di paesi per me ignoti sino a tre mesi addietro, oggi ancora in stato di gestazione con parecchie sages femmes che attendono l’evento, chiusi tra due colossi in convulsione oggi, ma non certo in un domani più o meno remoto.”235 Eppure dall’insieme delle considerazioni che svolge in questo documento tutti i temi trattati costituiscono ancor oggi i problemi politici e storici che si studiano affrontando il tema della indipendenza del Baltico e le deduzioni di Marietti illuminano la loro vicenda successiva. Sarà lui a scrivere infatti che non si potrà non assistere ad un rifluire della popolazione tedesca e quindi ad un acutizzarsi delle mire espansionistiche verso la Germania seguite anche da quelle della Russia. La Germania sarà: “tentata dapprima dalle imprese industriali, perché la via dell’oriente è la sola aperta all’attività ed all’eccesso della popolazione tedesca”236 Si riapre quindi il pericolo dell’accordo germano-russo per la spartizione del baltico, pericolo che le considerazioni fornite da Marietti in questi Appunti presagiscono anche a partire dai comportamenti dell’Intesa nei confronti di queste regioni. Le questioni sociali, i problemi economici e anche i nodi etnici sono semplicemente ignorati dagli Alleati così come lo saranno negli anni successivi dalla comunità internazionale sino alla fine dell’indipendenza di questi stati nel 1939. Rimane, naturalmente, quello di Marietti un contributo alla considerazione di questo nodo geopolitico, come si direbbe oggi, che gli scritti italiani in questo periodo, ma anche in quelli successivi tenderanno ad ignorare interessati più al gioco delle potenze internazionali di cui il baltico è solo una pedina nella scacchiera che alla puntuale analisi storica ed economica che Marietti ha voluto però lasciare nei cassetti degli archivi militari. Appare curioso ma anche molto interessante che l’impostazione metodologica di Marietti contenuta nei suoi scritti a stampa sia stata invece compresa da quei giovani socialisti che negli anni immediatamente dopo la prima guerra mondiale si interrogano e studiano la situazione italiana e internazionale. Non è sfuggito infatti ad un lettore attento di questioni politiche come Angelo Tasca, le considerazioni e le notizie riportate da Marietti nel commentare le conseguenze del Trattato di Versailles individuando nella formazione di quel documento il momento iniziale della sua storia della nascita del fascismo italiano. Nel suo nascita ed avvento del fascismo, Tasca introduce nel

nuove nazionalità come forze vitali contro i rivoluzionari di Mosca. Siamo naturalmente nel campo delle ipotesi e il nuovo scenario che si presenterà nel 1921 sul piano internazionale con l’appoggio deciso dell’Intesa al passaggio di Vilnius alla Polonia, la stipula dei Trattati di Pace tra questi paesi e l’Unione Sovietica e, infine, l’ascesa dei partiti nazionalisti specie in Lituania e in Lettonia, fecero forse giudicare i contenuti di questa memoria come obsoleti e non più in grado di dare comprensione al mutato quadro politico. Gli Appunti sul Baltico non verranno citati in nessuno degli scritti posteriori di Marietti anche se sono un prezioso memoriale “a caldo” di quelle regioni. 233 ibidem, cit. pag. 58-59 234 ibidem, cit. pag. 63 235 ibidem, cit. pag. 60 236 ibidemi, cit. pag. 62

capitolo relativo a Fiume la cronistoria militare della conquista della città avvenuta il 12 di settembre del 1919. Le fonti di Tasca sono il generale Pittaluga che ne scrive la cronaca sulla “Rivista d'Italia” nel 1923 e le considerazioni che il generale Marietti ne fa su “La Stampa” del 1 settembre 1929.237 Questo utilizzo delle fonti che fu notevolmente accresciuta nella seconda edizione italiana, la prima vide la luce in Francia nel 1939, si basava su un archivio personale in cui Tasca aveva raccolto l'insieme della documentazione relativa agli avvenimenti di cui narra le vicende e certamente non gli era sfuggita la connessione tra le considerazioni di pura cronaca militare e l'insieme delle conseguenze politiche dell'impresa fiumana tipica come abbiamo visto delle osservazioni informate di Marietti238 . Questa attività che in veste di rappresentante militare italiano a Parigi, Marietti può seguire quindi da un osservatorio molto informato della situazione internazionale lo porta a rilevare, nel 1929, la peculiarità del ruolo italiano nel conflitto mondiale. In un opuscolo, pubblicato nel 1936 dal titolo La parte dell’Italia nella Grande Guerra239, non solo egli fa una disamina puntuale dell’impegno italiano nello sforzo bellico ma traccia un quadro sia degli avvenimenti che portarono al conflitto sia delle conseguenze politiche del Trattato di pace in maniera critica e disincantata. Le osservazioni, ad esempio, sulla divisione di idee tra classe politica europea e gli stati maggiori alla vigilia dell’intervento è indicativa del tono di tutto lo scritto: “E’ curioso ed interessante notare qui come dagli Alleati si pensasse d’impiegare le forze italiane nel quadro generale della lotta e come la visione fosse giusta nella mente degli uomini politici ed errata in quella dei capi militari. Poincaré, Viviani, Lloyd George pensavano che, provata con l’esperienza l’impossibilità di sfondare la sistemazione difensiva germanica, convenisse agire sulla nuova fronte meridionale (la nostra) non ancora organizzata dal nemico o, meglio ancora, attaccare l’Austria-Ungheria con uno sforzo contemporaneo dell’Italia, della Serbia, della Russia e fors’anco della Romania ancora indecisa e magari della Bulgaria pure indecisa. Vi si opponevano, invece, i generali, invocando il principio della strategia di non disperdere le forze e la convinzione che la vittoria potesse conseguirsi soltanto su quella, ch’essi chiamavano fronte principale.”240 Sui temi del primo conflitto mondiale e del cambiamento strutturale ed organizzativo dell’esercito Marietti ne farà la summa nella sua biografia su Armando Diaz del 1933 in cui tutti questi elementi e le intuizioni strategiche del nuovo Capo di Stato Maggiore si fondono in una analisi politica di grande delicatezza. Egli ci da un saggio di questa sintesi proprio nel capitolo sulla vicenda di Caporetto: “governo d’unione nazionale di nome, ma non di fatto, nessuno avendo in fondo rinunciato alle proprie convinzioni pur facendo sforzi per riuscire utile. Quindi un governo debole, costretto a tener conto delle esigenze dei partiti. Il parlamento ancora per buona parte neutralista nell’intimo. I partiti non inoperosi presso le masse, sforzandosi alcuni di elevarne e sostenerne il morale, ostentando altri indifferenza agendo altri sornionamente, predicando altri addirittura l’odio di classe.”241 La relazione tra politica e situazione militare torna in un nesso strettissimo a cui egli non rinuncia nemmeno nella descrizione delle vicende biografiche del vincitore di Vittorio Veneto. Della qualità originale di questo approccio si accorse, nel 1930, un intellettuale e politico italiano di idee e impostazioni completamente opposte alla sua. Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere, in una nota scriveva a commento dell’articolo di Marietti sulla Nuova Antologia in merito al Trattato di Versailles242: “E’ un riassunto diligente dei principali avvenimenti legati all’esecuzione del

237 Angelo Tasca, Nascita ed avvento del fascismo, Bari 1965, vol. I, pag 84. 238 “La prima edizione italiana, col titolo Nascita ed avvento del Fascismo fu pubblicata in Italia nel 1950. Rispetto alla prima edizione francese, essa era corredata da un ricchissimo apparato di note che, proprio per la sua mole, non era stata inserita in quella edizione alla quale l’editore aveva preferito dare il carattere (…) di un tagliente profilo delle origini del fascismo.” Renzo de Felice, Prefazione, a Tasca cit., pag. X. Sulle analisi politiche di Tasca, primo vero storico ed interprete del fascismo, si vedano le considerazioni di Renzo de Felice in Le interpretazioni del fascismo, Bari 1969, in particolare le pagg. 159-161. 239 Giovanni Marietti, La parte dell’Italia nella grande Guerra, fatti e cifre inconfutabili, Torino, 1936 240 ibidem, cit., pag. 15 241 Giovanni Marietti, Armando Diaz, Milano 1933, pag. 41 242 Si tratta de Il trattato di Versailles e la sua esecuzione, cit.

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