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Capitolo I – L’indipendenza degli Stati del Baltico pag
al primo conflitto mondiale Estonia, Lettonia e Lituania potranno quindi ripercorrere la loro storia recente avendo a disposizione tutte le voci che in quel momento furono protagoniste degli avvenimenti legati al loro riscatto nazionale ed evitare in tutti i modi quello che uno studioso lituano ha descritto come il punto più basso della decadenza politica delle nazioni baltiche: “nella storiografia sovietica, il rinascente stato Lituano dell'inizio del XX secolo viene presentato come un passivo osservatore della politica internazionale, continuamente oggetto dell'aggressione da parte degli stati imperialistici.”19 L’idea del baltico come territorio di conquista di altre popolazioni giunto sino ai giorni nostri rappresenta ancor oggi quel limite negativo che solo un’analisi documentale degli avvenimenti può eliminare in maniera definitiva.
Ringraziamenti
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Il lavoro di ricerca presso gli archivi e le biblioteche di Roma e di Ginevra è stato possibile grazie anche alla collaborazione di archivisti e bibliotecari a cui va il ringraziamento per il supporto indispensabile che ci è stato fornito. Grazie innanzitutto Alessandro Gionfrida dell’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito per la disponibilità a fornirci tutte le indicazioni archivistiche per la ricostruzione degli avvenimenti baltici e polacchi del periodo. Un ringraziamento particolare va agli archivisti e ai bibliotecari del Palazzo delle Nazioni a Ginevra, Jacqueline Chappuis, Pablo Bosh, Cristina Giordano, Salvatore Leggio, Sebastian Vernay. Un altro non meno importante ringraziamento va a Giovanna Motta, Roberto Sinigaglia e Sergio Bertolissi per le loro indicazioni bibliografiche sulla storia del Baltico in età moderna. Errori ed omissioni sono dovuti naturalmente a nostra responsabilità.
19 Rolandas Makrickas, cit., pag. 15.
Capitolo I – L’indipendenza degli Stati del Baltico
La vicenda della costruzione dell’indipendenza degli stati sul Baltico rappresenta un interessante esempio della sistemazione dell’equilibrio europeo dopo la fine della prima guerra mondiale. La nascita di questi stati è infatti il tentativo da parte delle forze dell’Intesa di creare un’area favorevole all’alleanza delle democrazie tra la Germania sconfitta dalla guerra e la espansione della nascente Unione Sovietica. Possiamo dire che la necessità di questa operazione politico-militare nasce da questa motivazione anche se gli elementi che la costruiscono nel corso del biennio 1919-1920 sono differenti da paese a paese e il ruolo delle potenze alleate per raggiungere questo obiettivo non fu sempre del tutto coerente. Vale la pena preliminarmente ripercorre le questioni che hanno portato all’indipendenza della Lituania, della Lettonia e dell’Estonia per ricostruire un quadro generale ai problemi legati alla nascita di questo nuovo spazio politico. Naturalmente per approfondire meglio queste vicende occorre far riferimento anche all’indipendenza della Polonia e della Finlandia: tutto il mar baltico è quindi interessato ad un rivolgimento politico-sociale di grandi dimensioni e le singole realtà statali che si vengono a formare non possono prescindere da tutte le altre. La complessità sta quindi nel cercare di identificare i tratti peculiari di ogni singolo paese cercando di inserirlo in questo quadro dove le popolazioni dei vari territori, con diversi gradi di consapevolezza, raggiungono i rispettivi obiettivi politici via via che si formano concrete opportunità di sfuggire alla morsa germano-russa. La ricerca di una indipendenza per i tre stati è quindi un dato acquisito progressivamente e non definito a priori: nel caso della Lettonia e dell’Estonia non vi erano infatti tradizioni storiche di una loro autonomia statale. Dopo la colonizzazione ad opera dei baroni tedeschi e la costruzione di una società feudale a vantaggio di questi ultimi intervenne l’occupazione russa con Pietro il Grande che stabilì un compromesso con la pace di Nystad nel 1721 tra questa classe al potere e la volontà dello zar di ottenere uno sbocco sicuro al mare. Il compromesso portò quindi al mantenimento dei privilegi feudali per i baroni tedeschi in cambio di una stabilità sociale che permettesse all’amministrazione russa di governare senza troppe difficoltà. Il caso lituano è invece differente. La Lituania aveva già storicamente una sua identità di stato sovrano ed era riuscito a stabilire una unione con la Polonia creando una entità statale che si estendeva dal Baltico all’Ucraina sino al Mar Nero. Il Trattato di Lublino del 1569 aveva reso ufficiale una precedente politica matrimoniale con la monarchia polacca ed attratto il Granducato di Lituania all’interno della sua vicenda storica. Le vicende della spartizione della Polonia nel XVIII secolo porterà poi queste terre a divenire province dell’Impero russo; tuttavia questa tradizione statale rimane una base storico-giuridica che darà la possibilità ai lituani di rivendicare questo territorio come indipendente anche se la questione dei confini del nuovo stato autonomo sarà oggetto di continue controversie proprio con i polacchi. A queste premesse va quindi collegato il nuovo elemento rappresentato dall’intervento militare della Germania sul fronte orientale durante il conflitto mondiale. Tra il 1914 e il 1917 l’esercito tedesco conquistò buona parte della Polonia e della Lituania sviluppando nel periodo della sua occupazione una serie di soluzioni politiche che ebbero non poco peso per l’indipendenza successiva dei due paesi.20 Dovremo però attendere sino al 1917 con la vittoria bolscevica della
20 La diversa estensione temporale della conquista tedesca fornisce già la diversa impostazione della politica di occupazione per la Lituania, la Polonia e le altre due province baltiche. La conquista delle regioni ad est da parte dei tedeschi subì una battuta di arresto nel 1914 dopo la vittoria russa a Gumbinnen che portò alla nomina di capo di stato maggiore tedesco del fronte orientale di Von Hindenburg e all’ascesa del suo comandante in capo Ludendorff. La nuova impostazione strategica dei tedeschi si rivelò vincente e con la battaglia di Tannenberg nello stesso anno riportò i tedeschi ad avanzare sul fronte orientale e conquistare, dopo la vittoriosa battaglia dei laghi Masuri, i territori russi sino a Riga nel1916. Questa serie di successi militari portarono al mito della invincibilità delle truppe tedesche ad oriente 15
rivoluzione di novembre e la firma della pace separata di Brest Litowsk nel 1918 con la Germania perché si abbia la concreta opportunità per i paesi baltici di ottenere concrete possibilità di ottenere un loro riconoscimento come nazione. Questa seconda fase, originata dalla diplomazia tedesco-sovietica, porterà la Germania a occupare militarmente l’Estonia e la Lettonia con l’obiettivo di estendere il proprio disegno colonizzatore in queste regioni seguendo quindi la tradizione dei cavalieri teutonici mentre per l’Unione Sovietica la firma della pace separata assume un carattere puramente tattico. I bolscevichi, non senza difficoltà, considerano la fine della guerra con la Germania una scelta obbligata dalla necessità di rafforzare il potere interno dei Soviet ma la riconquista di questi territori da riguadagnare alla rivoluzione comunista sarà l’obiettivo finale di quel ritorno al mar baltico che anima la politica estera sovietica negli anni tra il ‘19 e il ‘20.21 La richiesta di armistizio da parte della Germania alle potenze alleate nel novembre del 1918 crea quindi una situazione di enorme incertezza per questi territori occupati militarmente dai tedeschi. Sul questo fronte le truppe non solo sono perfettamente in grado di controllare la situazione sul terreno ma già dal 1916 i tedeschi hanno iniziato a disegnare politicamente un loro ruolo centrale nel dominio delle province strappate all’impero russo e stabilizzato poi con il Trattato di Pace. La situazione sarà resa ancora più difficile dalla scelta dell’Intesa dopo l’armistizio di mantenere efficiente questa forza militare per impedire l’espansione della rivoluzione comunista e, nello stesso tempo, cercare di costruire con l’aiuto militare tedesco l’indipendenza di questi territori utilizzando quindi la pressione diplomatica e la forza del blocco economico contro la Germania per piegarla ai propri fini. L’esempio di questa strategia alleata aveva trovato successo nel caso della Finlandia: il governo antibolscevico del generale Mannerheim era riuscito, infatti, con l’aiuto delle truppe tedesche22 e supportato dalle missioni navali alleate a respingere il tentativo di invasione sovietica. A questo modello gli Alleati si ispirano per replicare il tentativo di contenimento dei bolscevichi non impegnando troppo le proprie truppe. Questo tentativo darà, per l’Estonia e la Lettonia, risultati molto diversi dal caso finlandese e proprio in virtù di quel conflitto profondo che esisteva tra la minoranza di origine tedesca dominatrice assoluta di quei territori e le popolazioni estoni e lettoni. La richiesta di armistizio provoca invece, in Lituania, un processo politico molto diverso in cui la classe politica lituana ha dato, sin dal 1917, pieno appoggio all’occupazione. I tedeschi vengono infatti visti come i soli in grado di poter sostenere una Lituania autonoma politicamente dalla Polonia riconosciuta come stato indipendente dalla Germania sin dal 1916. Questa diversa impostazione strategica decisa dai lituani li porterà ad una serie di errori politici e diplomatici sino all’isolamento internazionale negli anni successivi.
oltre che a trasformare lo stato maggiore militare tedesco che operava in quelle regioni in una vera e propria leggenda popolare che si diffonderà in tutto il paese. Sulle battaglie del fronte orientale cfr. Norman Stone, The Eastern Front 1914-1917, Londra 1975, pagg 44-69. Sul mito di Von Hindenburg cfr. Vejas Gabriel Liulevicius, War Land on the Eastern front, Cambridge Ms, 2000, pagg. 20-21. Le vittorie ad est portarono i comandanti tedeschi, sopratutto Ludendorff, a pensare alla costituzione di un nuovo stato Tedesco originato dalla conquista da aggiungere al secondo Reich, questa utopia militare fu centrata anche dall’idea tutta simbolica di Tannenberg come luogo di vittoria dei Cavalieri Teutonici nel 1410 contro i Lituani e delle armate imperiali tedesche nel 1914 contro i russi. 21 L’intero dibattito sulla pace separata coi tedeschi è contenuto in Carr, cit., pag. 801-853. Nel descrivere il conflitto interno che animò il dibattito del Comitato Centrale lo storico inglese segnala la difficoltà politica di accettazione della pace separata con la Germania e soprattutto la messa in crisi della politica estera sovietica dichiarata sin dall’aprile del 1917. Brest Litowsk mise in crisi l’idea dei bolscevichi di considerare gli stati non comunisti come tutti nemici della rivoluzione: “il fatto che la sopravvivenza della rivoluzione in Russia dipendesse dalla sua rapida estensione nell’Europa centrale ed occidentale era cosa indiscussa; e i bolscevichi erano fermamente convinti dell’imminenza della Rivoluzione in Europa: il loro principale compito era quindi di affrettarla e promuoverla. (…) l’accettazione di Brest Litovsk sembrò un attacco ad entrambi questi articoli di fede. (…) Fu in questa situazione che Lenin cominciò a delineare una politica di coesistenza pacifica tra la Russia sovietica e le potenze capitalistiche.” pag. 846. 22 L’esercito tedesco comandato dal Generale Rüdiger von der Goltz fu decisivo, insieme alle truppe svedesi e alleate, per la liberazione della Finlandia dai bolscevichi nel 1918. L’intera vicenda è narrata da Von der Goltz, Meine Sendung im Finland und im Baltikum, Leipzig 1920.
La diversità di queste vicende legate all’indipendenza costituisce, nell’insieme, anche la fragilità di queste nuove formazioni nazionali che giungono all’indipendenza e al riconoscimento di questo status giuridico attraverso conflitti e soprattutto nemici molto diversi tra loro. Questo porterà al tramonto tra il 1919 e il 1923 a quella ipotesi di una federazione di stati del baltico, ipotizzata in un primo momento, forte abbastanza per poter contrastare manu militari la propria autonomia politica rispetto alla Russia e alla Germania. Per tracciare questo quadro nei dettagli è necessario però partire dalla rivoluzione del 1905 in Russia che rappresenta uno spartiacque cronologico ma anche politico nel quale si manifesta la prima crisi dell’impero russo e la creazione parallela di quelle forze politiche che creerà nei tre paesi baltici il primo nucleo di forze nazionali per la conquista dell’indipendenza. Il 1905 con la crisi militare dovuta alla sconfitta zarista nella guerra russo-giapponese e la crisi politica successiva che portò alla concessione di riforme sociali e alla nascita di una prima forma di parlamentarismo segna l’inizio delle opportunità per le popolazioni non russe dell’impero di creare il proprio destino.
La nascita dell’indipendenza lituana
Il 1905 porta al nuovo parlamento imperiale, la Duma, appena concessa dallo zar, alcuni rappresentanti del popolo lituano. Le modalità di elezione della prima Duma quando più impellente era la necessità di fornire uno sbocco adeguato alla crisi dei vari settori della società russa fu di concedere a tutte le popolazioni dell’Impero la possibilità di votare propri rappresentanti. Nel caso della Lituania questo ingresso alla Duma comportò l’emersione di quelle formazioni politiche che diverranno protagoniste delle successive vicende politiche legate alla sua indipendenza. Il sistema elettorale della Duma prevedeva una serie di votazioni per ogni provincia amministrativa che portava alla designazione di grandi elettori i quali avrebbero poi votato i rappresentanti al parlamento. L’elezione dei rappresentanti prevedeva inoltre la formazione di collegi elettorali differenziati tra città e campagne e distingueva i vari rappresentanti per ogni classe sociale che aveva diritto di voto. Questo complesso meccanismo era previsto dal governo imperiale per favorire le classi nobiliari e dei ceti legati dell’amministrazione russa in quanto minori di numero ma con il maggiore interesse a conservare l’impianto statale della autocrazia zarista. La legge elettorale per le votazioni successive della Duma, sciolta dallo zar per ben due volte, portò infatti ad un progressivo svuotamento della sua rappresentatività concentrando sempre di più i suoi eletti verso queste classi in un tentativo di mantenere formalmente un impianto democratico ma permettere di tenere strettamente il controllo del parlamento da parte di Nicola II. Nel novembre del 1905, grazie anche alle richieste di riforma che provenivano dalla società russa e che avevano scatenato la violenta repressione dell’esercito23, fu costituita una Dieta lituana verso la quale: “convennero duemila delegati da tutti i comuni e da tutti gli strati sociali del Paese che elessero J. Basanavičius come presidente e votarono un proclama per la creazione di una Lituania autonoma nei suoi confini etnografici.”24
23 cfr. Chamberlin, Storia della Rivoluzione Russa, Torino 1942, vol. I, pag. 65 e seguenti: “Il Lenin chiamò la rivoluzione del 1905 la ‘prova generale’ di quella del 1917. Infatti, benché fosse abortita, essa rivelò e rappresentò in modo straordinario le forze che ebbero poi successo nel1917: gli ammutinamenti nell’esercito, le agitazioni operaie, la fame di terra dei contadini, il malcontento delle minoranze nazionali.” Pag. 91 24 Pietro U. Dini, cit., pag. 72. Sin dall’inizio la Dieta lituana si caratterizzò per un legame forte con la Russia e un sentimento antipolacco dei suoi componenti come ha sottolineato uno storico italiano: “Basanavičius (…) pur rinnegando la politica di russificazione imposta al suo popolo dal governo zarista, (…) si fece promotore di un sentimento antipolacco molto diffuso, aprendo un dibattito non solo a livello internazionale, ma anche interno alla Lituania, dove le cose erano rese più difficili dal divieto (…) di pubblicare libri e giornali in lingua lituana” Claudio Carpini, Storia della Lituania, identità europea e cristiana di un popolo, Firenze 2007, pag. 114. L’intera vicenda lituana relativa all’indipendenza è segnata da questo elemento: si preferì, nel 1905, considerare la Russia il male minore rispetto ad una possibile riunificazione con la Polonia e tale ragione non è dovuta solo a motivazioni politiche contingenti ma nasce da quel sentimento di ostilità profonda nei confronti dei polacchi protagonisti di una oppressione 17
Organizzata dalle forze autonomiste la Dieta rivendicava l’indipendenza per i confini etnici della provincia rispetto alla precedente suddivisione che spaccava in due unità amministrative questa regione e la creazione di un parlamento a Vilnius, capitale storica della Lituania. In questa fase non vi è però da parte di nessuna delle forze autonomistiche nazionali la volontà di creare uno stato indipendente. Le formazioni più vicine al liberalismo classico e ai ceti borghesi e nobiliari cercavano infatti una autonomia ma sempre all’interno del quadro istituzionale dell’impero.25 Le formazioni socialiste e socialdemocratiche puntavano invece alla creazione di un sistema più libero per tutta la Russia e quindi intendevano garantire una autonomia a queste regioni nell’ambito più generale di una riforma dello stato zarista. I rappresentanti eletti alla prima Duma rispecchiano quindi le componenti di quelle forze politiche contrapposte: una parte dell’elettorato votò infatti con la nobiltà polacca che era da secoli insediata in quelle province e controllava in modo preponderante il voto dei centri urbani; dall’altro vi erano le forze politiche nazionaliste che avevano il loro bacino elettorale nei votanti di etnìa lituana concentrati soprattutto nelle campagne. Queste ultime riuscirono però a creare un blocco elettorale con la popolazione ebraica presente nelle città e a garantirsi una presenza importante nel nuovo parlamento russo. In città come Kowno e Suvalki, dove la popolazione di religione ebraica era prevalente, questo blocco funzionò a tal punto che la coalizione riuscì, grazie all’accordo elettorale, a portare sette rappresentanti tra lituani ed ebrei alla prima e alla seconda Duma.26 Per la prima volta all’interno dell’impero le condizioni di vita di queste nazionalità cominciano a costruire un percorso politico e istituzionale che ebbe come primo risultato concreto la fine di quella politica di russificazione violenta che aveva portato danni enormi alla popolazione lituana nel corso dell’ultimo secolo ma già all’indomani della formazione della Dieta e alla formulazione di una maggiore libertà politica questo tipo di richieste provocarono una nuova reazione del governo di San Pietroburgo che: “intervenne duramente già in dicembre, commettendo massacri e deportando circa 8.000 lituani in Siberia; altri presero la via dell’esilio”27 Se l’esperimento politico della Duma fu quindi un fallimento in questi anni prese vita un processo che portò, grazie anche alla fine dei divieti emanati di censura della stampa e delle libertà religiose, alla fioritura di una stagione di studi e di dibattiti molto intensi per creare quello spazio di autonomia culturale già presente da tempo nella regione di Memel e che divenne la base per la costruzione culturale di una rivendicazione dell’indipendenza politica lituana. Si creava pubblicamente: “l’opposizione lituana intorno al primo giornale nazionale fondato da F.Kurschat “Keleivis” (il Viandante, 1879). In seguito, in seno all’opposizione si lasciano individuare: una tendenza patriottico religiosa, di orientamento liberale, che ruotava intorno alla redazione della rivista “Aušrà” (Aurora, 1883, 1886); una tendenza positivista-realista con un orientamento di sinistra che faceva riferimento alla rivista “Varpas” (la Campana, 1889-1905).”28 Il percorso avviato con gli eventi del 1905 raccolse quindi un eredità culturale-letteraria già molto forte e diffusa e la trasformò rapidamente in una vera e propria base politico-rivendicativa. E’ però durante il primo anno del conflitto mondiale che la Lituania ha una concreta opportunità di rivendicare, contro la Russia, la sua indipendenza. Nel 1915 sono infatti i tedeschi che, dopo la
culturale e storica delle popolazioni lituane idea fondamentale dal punto di vista interno per permettere alle forze politiche lituane di accrescere il loro consenso. 25 “I principi di indipendenza nazionale nati in Europa occidentale vengono trasportati più tardi in Europa centrale ed orientale. Qui vengono in parte distorti poiché le nazioni aspirano solo ad una vita culturale e amministrativa indipendente e sostengono solo l’una o l’altra autonomia in questo senso ma non attraverso entità statali separate.” Eidintas, cit. pag. 19 26 cfr. S. Page, cit. pag. 9 27 Pietro U. Dini, cit., pag.72 28 ibidem, cit., pag. 70. La formazione di queste riviste permisero anche la creazione di correnti politiche più o meno rivendicanti il principio etnico lituano come base della futura nazione anche all’interno di riviste legate ad orientamenti di sinistra. Una delle principali collaboratrici di “Varpas” fu, ad esempio, una scrittrice: ”Julija Žimantienė, (1845-1921) figlia di contadini e autodidatta, che rappresentò il mondo rurale con tale realismo da raggiungere spesso valore documentaristico.” Pietro U. Dini, cit. pag. 71
disfatta dell’esercito zarista e la sua ritirata, occupano lo spazio polacco e lituano raggiungendo Vilnius il 19 settembre. I tedeschi dopo i grandi successi militari cominciano allora a pensare di creare politicamente delle nazioni-satellite legate all’Impero tedesco. Il cancelliere BethmannHolweg manifestò allora pubblicamente l’intenzione del governo tedesco di staccare la Polonia e la Lituania dall’Impero russo e di concedere loro l’indipendenza.29 In realtà questo percorso politico delineato dai tedeschi era accompagnato parallelamente da una occupazione militare di questi territori da parte dell’esercito che non si faceva scrupoli a sostenere come il vero obiettivo dell’OberKommando fosse quello di creare delle colonie saldamente in mano alle truppe imperiali. Quali fossero infatti le reali condizioni della Lituania sotto l’occupazione tedesca possono essere ricavate da una interessante serie di documenti che la Nunziatura dello Stato Vaticano a Monaco ha conservato e che rappresentano un osservatorio indipendente molto interessante per la ricostruzione di queste vicende negli anni che vanno dal 1915 al 1917. Guidata da Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, la nunziatura era responsabile per gli affari lituani in quanto tale territorio era posto sotto il controllo della monarchia bavarese. In stretto contatto con la nunziatura di Varsavia, sotto la responsabilità di Achille Ratti, il futuro Pio XI, quell’ufficio diplomatico divenne un centro molto importante di raccolta di informazioni che coinvolgeva non solo la questione religiosa, divisa tra clero polacco e lituano, ma anche l’insieme dei passi compiuti dai lituani per ottenere presso i tedeschi una loro autonomia politica. Benedetto XV a Roma fu quindi costantemente informato della situazione interna ai due paesi sotto occupazione tedesca e si fece promotore di raccolte internazionali di fondi per aiutare queste due regioni cattoliche. In una relazione di Monsignor Casimiro Skirmut tradotta dal tedesco a Locarno nel 1916 e inviata a Pacelli viene evidenziata la sofferenza delle popolazioni sottoposte all’occupazione: “gli amici degli imperi centrali ebbero da vedere un disinganno doloroso: mentre essi avevano ogni ragione di aspettare, che la Lituania sotto l’Amministrazione tedesca – dopo la persecuzione Russa di più di cento anni -, respirerà di nuovo, e vedrà un’epoca più felice della sua triste storia, - il primo anno di questa amministrazione, trascorso nel settembre, ha dimostrato chiaramente, che essa non solo sta in contraddizione colle esigenze di una vera cultura, ma conduce anche direttamente il paese infelice verso una rovina religiosa, politica ed economica.”30 Le condizioni di occupazione dei tedeschi sono infatti quelle di una spoliazione progressiva delle risorse di quei paesi con, in più, una vera e propria persecuzione di tipo religioso accompagnata da numerosi tentativi di assimilazione alla cultura tedesca. Bersaglio principale di questa operazione è la religione cattolica e le sue organizzazioni ecclesiastiche e laiche strumento fondamentale nel passato per difendere l’identità polacca e lituana dal protestantesimo tedesco e dall’ortodossia russa. Per questo motivo la testimonianza dei prelati cattolici e lituani risulta preziosa per capire quanto la occupazione tedesca in Lituania venga considerata da subito come un ulteriore tentativo, dopo quello russo durato più di due secoli, di germanizzare le zone del baltico considerate da sempre, come nel caso della Lettonia e dell’Estonia, terra di conquista:”le chiese cattoliche in questo paese cattolico furono in diversi modi profanate. Esse furono adoperate per “scopi militari”, od anche in funzioni religiose protestanti, ed anzi-ebree! [sic] Così i nuovi padroni dell’infelice paese hanno direttamente schernito le severe leggi canoniche ed i sentimenti religiosi del popolo. – Di più, Chiese furono anche derubate: quando, per esempio a Rozanka, il parroco volle confondere un ufficiale, acchiappato nell’atto di rubare in Chiesa,
29 Eidintas, cit. pag. 21 30 Relazione di Mons. Casimiro Skirmut in La rinascita dello Stato lituano nei documenti dell’archivio della Nunziatura Apostolica di Monaco di Baviera (1915-1919) a cura di Roland Makrickas, cit., pag. 229. La sottolineatura è nel testo. La documentazione presente nella Nunziatura ci fornisce un punto di vista indipendente proprio negli anni cruciali dell’indipendenza lituana e l’insieme delle notizie e delle considerazioni qui testimoniate furono poi oggetto di fieri contrasti nella storiografia polacca e lituana negli anni successivi. Di fronte quindi a posizioni che si preoccupano delle reciproche responsabilità, il lavoro di sistemazione documentale di questo archivio può considerarsi un vero e proprio elemento di novità nel panorama internazionale degli studi sull’indipendenza dei paesi baltici.
l’ufficiale minacciò il sacerdote colla rivoltella, e disse nello stesso tempo: “che cosa ancora dirai?”31 Se la condizione della popolazione e del clero sono quelle descritte, le forze politiche lituane videro invece nell’apertura politica del cancelliere tedesco alla prospettiva concreta di una indipendenza della Lituania la strada per raggiungere quel risultato. L’occasione dell’indipendenza polacca fece muovere immediatamente il movimento indipendentista lituano verso quella soluzione per la creazione di condizioni di riconoscimento come territorio separato dalla Polonia che era il risultato finale voluto dai nazionalisti lituani. Le carte della nunziatura non ci danno infatti solo il quadro dell’occupazione tedesca ma descrivono anche il conflitto tra il clero di origine polacca e quello di origine lituana su questo progetto di indipendenza. Mentre i parroci lituani spingono, insieme con i nazionalisti, verso un accordo con la Germania per avere uno status politico di indipendenza, il clero polacco ritiene che non vi sia alcuna speranza per la Lituania di ottenere una piena indipendenza se non legandosi strettamente a Varsavia.32 Il dibattito si sposta quindi dai temi della libertà religiosa verso questioni più concretamente politiche in cui il ruolo di Roma diviene, in qualche modo, arbitra di questa contesa. Viene infatti chiesto dal clero lituano al Vaticano di riconoscere, insieme con lo Stato Tedesco, l’indipendenza del paese e, cosa più importante, la sua separazione dalla Polonia. Tale richiesta confligge in modo stridente con la opposta richiesta, ispirata da Varsavia, di nomina, per questi territori, di un vescovo polacco e di lingua polacca per garantire a quella componente che occupa il territorio lituano una continuità di legami con la madre patria. Come scrive monsignor Skirmunt a Pacelli nel novembre del 1917: “una soluzione, che non presenterebbe i gravi inconvenienti sopra accennati, e garantirebbe gli interessi del Cattolicesimo come anche quelli della pace stabile, sarebbe un’unione della Lituania e della Russia Bianca colla Polonia sulla base di uguaglianza di diritti (federalismo). Tale soluzione è desiderata da tutte le associazioni polacche, ma viene ostacolata dai famosi “nazionalisti” intransigenti”.33 Il conflitto che pare tutto confessionale in realtà ci mostra in modo chiaro le due correnti di pensiero che animano in questo momento il dibattito politico: da una parte vi è il gruppo nazionalista che, cercando un accordo con la Germania imperiale spinge affinché la Chiesa cattolica di Roma dia l’avallo al progetto di indipendenza nazionale; dall’altra vi è la componente polacca che cerca in tutti i modi di dissuadere il Pontefice a creare un pericoloso precedente che metterebbe in crisi l’unità dei cattolici polacco-lituani e, di conseguenza, la possibilità di futura creazione di uno stato unitario.34 L’analisi politica della situazione condotta dalla diplomazia vaticana è dell’opinione che l’unificazione polacco-lituana porterebbe invece grande vantaggio ai tedeschi: “vi è però da notare,
31 Relazione di Mons. Skirmut, in Makrickas, cit., pag. 230. In una memoria inviata dal nunzio apostolico, mons. Valfrè di Bonzo, da Vienna il 7 febbraio 1917 alla Nunziatura di Monaco vi è la sintetica descrizione dei comportamenti dei tedeschi in queste regioni che vale la pena lasciare nel latino curiale per mantenerne la sua forza drammatica: “Iam plus quam duos annos Gubernium Germanicum incolas regionis onere variarum requisitiones aggravavit, quae requisitiones fere omnes res, ut metalla, segetes, foenum herbas, vestes, animalia, eorumque pelles&attingunt atque saepissime sine ulla indemnisatione, vel saltem quam minima, resumuntur, insuper quisque incola varii generis vectigalia, ut a persona sua, apra edio, animalibus, proventibus solvere debet, etsi cuiusquesque expensae decies fere maiiores facte sunt, proventus vero minimi.” in Makrickas, cit. pag. 237 32 Sulla posizione dell’indipendenza polacca concessa dai tedeschi e sull’opposizione a quel disegno politico si veda Alessandro Gionfrida, cit. pag. 28-29 33 Makrickas, cit., pag. 375 34 E’ interessante segnalare un documento scritto il 31 luglio 1917 a papa Benedetto XV dal Consiglio Supremo Lituano che aveva sede a Losanna in cui si chiede al pontefice di intervenire poiché: “tutti i cattolici lituani sperano che, malgrado le dure prove che sta attraversando la nostra patria sorga un avvenire migliore delle rovine accumulate in questi anni. Il popolo lituano ha dovuto gemere sotto le catene per molto tempo; oggi spera sia venuto il momento di liberarsi secondo quei principi di libertà e di uguaglianza predicati dal Cristo che si sono imposti a tutti i potenti della terra.” E dopo questo appello i lituani ricordano però che: “ciò che ci affligge di più è che l’arcivescovato di Vilnius ha come amministratore un sacerdote che si dichiara polacco e si rivela il peggiore nemico della lingua lituana in tutte le chiese della diocesi e nella vita sociale” in Makrickas, cit., pag. 322-23
che gli Imperi Centrali, se essi si decidessero a formare nel modo sopra accennato una “grande Polonia” sulla base del federalismo, agirebbero nel modo desiderato dall’”Intesa” e taglierebbero così alla medesima le armi dalle mani; di più – essi si renderebbero la Polonia grata, ed acquisirebbero senza dubbio dalla Polonia molti vantaggi politici, economici e sociali. Inoltre essi avrebbero il grandissimo merito di aver respinto verso l’Asia la barbarie della Russia rivoluzionaria, che è oggi oggetto di avversione (sic!) generale.”35 L’analisi del prelato polacco contiene tutti gli elementi politici della partita che si sta giocando in questo momento nella regione dal punto di vista del Vaticano: una federazione polacco-lituanabielorussa – egli afferma – favorirebbe gli interessi di qualunque alleanza possa riconoscerla, sia quella degli Imperi centrali che quella dell’Intesa, proprio per il suo carattere di scudo antibolscevico che rappresenta il punto comune ai due contendenti in campo. La soluzione di indipendenza richiesta dai lituani porterebbe invece a vantaggi immediati ma senza fornire quella massa critica necessaria per cercare di fermare l’espansione comunista. L’obiettivo tedesco è invece molto diverso. Si tratta per l’Impero di creare due stati separati per impedire la formazione di una egemonia polacca troppo forte nella regione e quindi Berlino vede in questa componente nazionalista lituana un ottimo interlocutore per creare, secondo il principio del divide et impera, la propria egemonia ad est. L’argomento della difesa contro il comunismo sarà per i tedeschi sempre secondario rispetto all’obiettivo principale rappresentato dal crearsi una serie di satelliti nella regione. Tra il 1915 e il 1917 la Germania ha infatti tutto il tempo di costruire attraverso i canali politici, diplomatici e militari un suo disegno su questi territori e la creazione di regni indipendenti associati alla corona di Prussia e tale soluzione è vista dai tedeschi come quella più vicina ai propri interessi ed è proprio sulla base di questo obiettivo che i nazionalisti lituani giocano la carta della loro indipendenza politica. Sulla forma politica da dare a questi stati vi è però all’interno delle élite di potere imperiali una serie di contrasti. La classe militare prussiana e l’OberKommando non ha infatti alcuna intenzione di concedere una indipendenza giuridicamente stabile e chiederà una unione personale con il regno di Sassonia e con lo stesso Kaiser. Al contrario, i deputati cattolici del Zentrum legati al re di Baviera vedono invece per la Lituania un destino diverso con la possibilità di creare un regno autonomo affidandolo ad un sovrano tedesco da cercare nella casa di Baviera seguendo l’esempio della Finlandia divenuto regno con a capo Federico Carlo d'Assia-Kassel cognato del Kaiser. In maniera parallela lo stesso processo sta avvenendo in Polonia, dove gli elementi più nazionalistici spingono ad un riconoscimento dello stato polacco in unione coll’Imperatore mentre la componente più di sinistra, tra cui Pilsudski, si oppone fortemente a questo processo sostenendo che la Germania in realtà altro non fosse che un occupante e il governo proposto fosse solo un fantoccio in mano ai tedeschi: questa formazione politica chiese quindi a gran voce di non incamminarsi verso quel riconoscimento nazionale voluto a spese della Polonia e attuato secondo i disegni e le mire tedesche. La differenza tra i comportamenti di Lituania e Polonia in questa fase saranno quindi l’origine delle vicende successive: mentre i polacchi e parte della loro classe politica compie una precisa scelta di campo a favore di una indipendenza “reale” rispetto all’occupazione tedesca e, dopo il crollo tedesco, il governo polacco potrà argomentare con buone ragioni la sua opposizione a quella soluzione in sede di Conferenza della Pace; i nazionalisti lituani verranno sempre visti, grazie alla completa accettazione delle condizioni tedesche per la concessione della propria indipendenza, come uno stato non affidabile. In questa fase in Lituania si moltiplicano infatti gli sforzi di tutto il gruppo politico nazionalista di andare nella direzione voluta e dichiarata dal governo tedesco sin dal 1916 e l’intero corpo politico lituano, sia quello filo polacco che quello contrario alla soluzione unitaria si rivolge sempre al governo tedesco quale interlocutore degno di quel riconoscimento. Il 25 maggio 1917 viene inviato al cancelliere tedesco un memoriale da parte del partito polacco in Lituania in cui: ”sebbene la definitiva soluzione della questione lituana non può aversi, come bene
35 Makrickas, cit., pag. 375
intendiamo, che alla conclusione della pace, noi siamo tuttavia consapevoli della importanza che ha l’esame del problema del futuro della nostra patria, nel presente stato delle cose, la parte dei Governi delle Potenze centrali.” - si chiede quindi al governo tedesco di ricordare come - “le parti dei governi di Kowno, Vilna e Grondo accennate e che al principio dell’occupazione tedesca vennero assegnate alle amministrazioni di Vilna e Grondo, costituiscono un territorio polaccolituano-ruteno bianco in cui la popolazione polacca è in maggioranza. Specialmente la capitale del paese Vilna ha una fisionomia spiccatamente polacca, fisionomia che è assai evidente pure nelle località circonvicine.” - il documento conclude quindi con la richiesta al governo tedesco - “quale parte inseparabile del grande popolo polacco noi tendiamo e tenderemo sempre alla riunione politica con la Polonia, lo Stato con cui il nostro Paese ha condiviso i destini in tempi di prosperità e di gloria come in tempi di lotta e di oppressione”36 La risposta da parte degli autonomisti lituani non si fa attendere e il 10 luglio dello stesso anno viene inviato un memoriale sempre al cancelliere tedesco dove: “i Lituani non stendono avidi la mano né sul territorio compatto polacco, né sul territorio dei Ruteni bianchi, ma chiedono d’altra parte con energia irremovibile, la libertà, nell’ambito dei loro confini etnografici, di svilupparsi senza impedimenti di sorta.” Le motivazioni di questo memoriale sono quindi strettamente etniche e l’argomento centrale è proprio l’appartenenza alla razza lituana anche al di là della presenza di molti individui lituani che parlano ormai correntemente lingue differenti: “ma si può affermare che, per il fatto di parlar polacco o russo, essi siano diventati Polacchi o Russi (Ruteni bianchi)? Nemen per Sogno! Questi elementi chiamano se stessi, secondo le circostanze con vari nomi: Cattolici, Indigeni, Polacchi, Lituani o Russi. La parola “Bielorus” (Ruteni bianchi) è così poco nota oggi come lo era nel vecchio Granducato della Lituania. Ciò non pertanto questo elemento lituano che ha mutato al massimo la lingua viene apposto troppo spesso ai Lituani come una speciale stirpe slava.” Naturalmente la richiesta di questo gruppo è diametralmente opposta a quella del partito polacco: dopo aver accusato la nobiltà polacca di aver colonizzato il paese e di aver favorito anche la russificazione dell’ultimo secolo dichiarano: “se, come i rappresentanti del popolo lituano desiderano e sperano, l’avvenire della Lituania sarà edificato sulla base della giustizia e dell’indipendenza nazionale, i problemi della forma statale e delle cosiddette garanzie nazionali alla conclusione della pace saranno risolte senza nessuna difficoltà.”37 I termini del dibattito che animeranno nel dopoguerra la disputa tra Polonia e Lituania sono già, nel 1917, completamente dispiegati e con un interlocutore, il governo tedesco, identificato come legittimo ad ascoltare e dibattere le ragioni delle forze in campo. Il partito polacco ha l’appoggio di una parte della chiesa lituana, delle classi urbane e della popolazione che vedono nell’unione con la Polonia il ritorno a quell’equilibrio storico dei due paesi anche se rivisto su forme organizzative nuove derivanti da un progetto federale con il futuro regno di Polonia. Il partito lituano invece promuove la nascita di uno stato indipendente basato su motivazioni strettamente etniche e legate a risolvere il secolare dominio economico, culturale e sociale della componente polacca cercando di costruire uno Stato che sia strutturato su una base di appartenenza totale della etnìa lituana la quale ha risorse, all’estero e in Russia, per compensare quella condizione di subalternità che in questo momento sembra prevalere nei confronti delle altre componenti della regione: quella polacca e quella ebraica soprattutto. In questo momento il vero arbitro della partita è quindi il governo tedesco il quale partendo da queste divisioni interne può negoziare una indipendenza con clausole particolarmente onerose per il nuovo paese soprattutto in funzione dei propri obiettivi strettamente legati a mantenere il controllo militare e delle risorse economiche. Viene infatti predisposto un memorandum di riconoscimento dello stato lituano in cui si precisa in modo puntuale il legame di alleanza stretto in termini economici e militari con la Germania ed anche lo Stato Maggiore tedesco vede in questa
36 Makrickas, cit., pag. 267-69 37 Makrickas, cit., pag. 308-318. Il memorandum è firmato, tra gli altri, da Anton Smetona il futuro presidente della repubblica lituana.
sottoscrizione di alleanza una soluzione accettabile che salvaguarda i diritti irrinunciabili di considerare la Lituania come parte delle conquiste germaniche. Le vicende del 1917 sono quindi essenziali per comprendere le successive fasi dell’indipendenza lituana e, curiosamente, molta storiografia sull’argomento, pare tacere questo punto essenziale e cioè il completo e totale appoggio al governo tedesco in cambio della propria indipendenza. Da parte lituana si è infatti sempre negato che il primo riconoscimento dell’indipendenza del paese fu compiuto con atto formale dal governo tedesco sulla base della firma di un accordo tra Germania e Lituania che sancisce la prima dichiarazione di indipendenza dello stato lituano l’11 dicembre del 1917. Questa dichiarazione aveva al punto due della Dichiarazione l’impegno da parte del governo lituano ad una alleanza militare con la Germania.38 E’ certamente vero che nella seconda dichiarazione di indipendenza del febbraio 1918, quella ufficialmente rivendicata a Parigi, la Taryba, il Consiglio della Lituania, elimina la formale alleanza con la Germania e proclama l’indipendenza del paese con i confini del nuovo Stato e con Vilnius capitale ma in un documento inviato alla cancelleria tedesca del 28 febbraio 1918 quindi anche dopo la dichiarazione ufficiale di indipendenza, sempre sostenuta dai politici lituani come unica e sola, si ribadiva che tale dichiarazione non aveva l’intenzione di mettere in crisi i rapporti e gli accordi militari del precedente documento: “Der Beschluss der Taryba von 11. Dezember 1917, als Gründlage für die Künftigen Beziehungen Litauens zu Deutschland, ist durch keinen anderen Beschluss beseitigt und bleibt bestehen”39 Quindi anche la posizione della Lituania che negherà valore ufficiale alla dichiarazione dell’11 dicembre è smentita dalle rassicurazioni che, subito dopo quella del 16 febbraio, il governo lituano si affretta a fare nei confronti del governo tedesco. Rimane il fatto che l’intero ciclo delle dichiarazioni di indipendenza da parte della Taryba lituana fu compiuta con l’accordo e sotto l’occupazione tedesca ed è comprensibile l’ansia di ottenere una dichiarazione simile in concomitanza con quella polacca, meno comprensibile è il ribadire politicamente anche dopo la dichiarazione del 16 febbraio il rispetto di un patto così oneroso. Che le relazioni con i tedeschi furono molto più approfondite che una semplice dichiarazione di indipendenza lo prova anche il tentativo condotto dal capo del Zentrum cattolico tedesco Erzberg di favorire la creazione di un regno di Lituania con la nomina di un re tedesco nella figura del duca di Urach. I documenti della nunziatura testimoniano anche la pressione che il futuro re di Lituania fece
38 In Makrickas, cit. pag. 397. Questa dichiarazione di indipendenza peserà come un macigno dopo la fine del conflitto nelle considerazioni alleate sul destino della Lituania. L’unico che ne ricorda i termini è William Page, cit., pag. 46, che considera come questa prima dichiarazione sia letteralmente scomparsa dalla storiografia lituana sull’argomento. Stessa sorte pare accadere a studi italiani recenti che non considerano il portato politico sul piano internazionale della posizione filo germanica della Lituania. Si legge infatti in questi studi che: “un primo tentativo di avvicinamento venne condotto nel novembre del 1917 a Berna: fu stabilita la formazione di uno stato indipendente, legato alla Germania da un sistema monetario e di trasporti comune, anche se venne permessa la formazione di un piccolo esercito lituano. Il documento stabiliva anche l’intenzione della Lituania di rompere le relazioni diplomatiche con la Russia, chiedendo contemporaneamente la protezione della Germania. Berlino non reagì al documento e questo creò inquietudine tra i lituani, provocando anche una perdita di popolarità della Taryba. Fu quindi decisa un’accelerazione negli eventi: Smetona venne sostituito da Basanavičius come presidente della Taryba e il 16 febbraio del 1918 venne firmata la dichiarazione di indipendenza”. E’ invece chiaro che tra l’accordo del novembre 1917 e la dichiarazione del 16 febbraio 1918 vi fu la firma, da parte di Smetona, nel dicembre ’17, della Dichiarazione di indipendenza contenente tutti i termini dell’accordo di novembre; ed è quella Dichiarazione firmata da Smetona a segnare il destino politico della Lituania nel 1919. Senza questo passaggio non si comprende infatti come sia possibile cogliere l’atteggiamento ostile dell’Intesa nei confronti della Lituania. Continuando a ignorare la dichiarazione del dicembre del 1917 si rinnova l’idea della Lituania vittima delle decisioni delle grandi potenze non considerandola invece un soggetto politico capace di prendere decisioni e di assumersene le responsabilità. Anche da parte di storici non lituani e quindi non coinvolti da questa tradizionale deformazione dei fatti, tornare a rinnovare l’equivoco significa tornare a rinnovare la confusione sulla ricostruzione dell’indipendenza lituana. Il testo riprodotto è in Claudio Carpini, cit. pag. 133. Di diverso avviso è Makrickas che, nella sua introduzione ai documenti della Nunziatura, sottolinea invece i motivi politici di quella scelta: “la liberazione dalla Russia, alla fine del 1917, in pratica, non significò altro che la subordinazione alla Germania, che però prometteva il riconoscimento dello Stato lituano. In questa situazione, i politici lituani speravano di più stipulare la pace con la Germania con le migliori condizioni e le minor perdite possibili per il Paese” Makrickas, cit. pag. 107 39 Makrickas, cit., pag. 539
presso il Vaticano per favorire un suo riconoscimento preliminare come monarca della nuova nazione e la richiesta di inviare un nunzio apostolico a Vilnius. L’ultimo atto compiuto dalla Taryba in questi anni fu infatti quello di inviare l’appena nominato re di Lituania da Pacelli a chiedere il riconoscimento del nuovo stato presso la Santa Sede. Il 29 ottobre del 1918 Pacelli scrive un telegramma a Gasparri, Segretario di Stato vaticano, informandolo che: “Duca Urach, eletto già re di Lituania, venuto comunicarmi Taryba lituana persiste presa decisione (…) Duca prega Santo Padre voglia influire per mezzo Vescovi clero, onde raggiungere base suddetta, e inoltre faccia conoscere Stati Intesa che sua elezione non fu imposta dalla Germania, anzi Imperatore e Governo Berlino tennero atteggiamento negativo e quasi ostile.”40 Naturalmente tra le divisioni interne ai gruppi di potere tedeschi la posizione di un re tedesco al posto di una unione personale del Granducato di Lituania con il Kaiser favoriva un opinione pubblica tedesca e cattolica piuttosto che la casta militare ma considerare, da parte del duca di Urach, questa posizione come antitedesca è sicuramente molto difficile. Si aggiunga poi che siamo nell’ottobre del 1918 alla vigilia del crollo tedesco e quindi il riconoscimento vaticano e l’appoggio a tale riconoscimento avrebbe favorito, se positivo, l’esistenza di una dinastia tedesca che sarebbe comunque coinvolta dalla sconfitta degli Imperi centrali. La posizione della Santa Sede fu quindi di estrema prudenza lasciando cadere ogni possibile riconoscimento della Lituania accanto alla sola Germania adducendo come motivazione che nessuna potenza dell’Intesa aveva ancora compiuto questo gesto.41 Sostanzialmente il Vaticano che aveva il compito difficile di riconoscere uno stato fortemente voluto dai tedeschi e dai nazionalisti lituani rifiuta tale appoggio condividendo implicitamente l’idea di una federazione con la Polonia, molto più gradita all’Intesa.42 La Taryba lituana tentò quindi, tra il dicembre 1917 e l’ottobre del 1918, in tutti i modi di guadagnare una indipendenza piegandosi alle direttive tedesche e addirittura, nel tentativo di salvare il nuovo stato dal crollo germanico, di far nominare un sovrano tedesco chiedendo il riconoscimento a Benedetto XV. Non si può certo considerare questa serie di avvenimenti messi in luce dalle carte della Nunziatura che la Lituania si presenti come paese “occupato” dalle truppe tedesche nel 1919 alla Conferenza della Pace almeno nelle tesi presentate dai suoi rappresentanti politici. Vi è invece, e non del tutto a torto, la netta sensazione da parte alleata che la Lituania sino a quel momento abbia condotto una politica non solo filotedesca ma che abbia concentrato prevalentemente l’attenzione più sulla sua distinzione con la Polonia che al contesto internazionale in cui tale indipendenza stava prendendo corpo. Questo elemento porterà gli Alleati a vedere nella Polonia e nel suo astro politico nascente, Pilsudski, il vero attore della possibilità concreta di costruire allora quello spazio politico e militare tra Germania e Russia al centro degli obiettivi alleati. Alla Conferenza di Parigi non fu in effetti, né sotto forma di stato indipendente né sotto forma di Comitato di rivendicazione ammesso nessun diplomatico lituano alla discussione sul futuro della regione e questa esclusione trova forse spiegazione proprio negli atteggiamenti e negli atti ufficiali che la Taryba lituana tenne in questi due anni cruciali prima della fine del conflitto. I termini politici del conflitto tra filo-lituani e filo-polacchi così come la posizione antipolacca di un partito nazionalista lituano che aveva voluto la Germania al suo fianco per divenire nazione indipendente si ritrovano infatti nel materiale di discussione della Conferenza della Pace. A Parigi non si discute nemmeno di una Lituania indipendente ma solo come e in qual maniera l’unione di Polonia e Lituania possa essere realizzata. Per la ricostituzione del territorio russo si ribadisce in primo luogo che la Conferenza vuole riunificare i territori dell’ex-impero zarista sotto un'unica nazione escludendo però da questa
40 Makrickas cit., pag. 740 41 Makrickas, cit., pag. 584 42 Anche nelle vicende ecclesiastiche della nomina di un arcivescovo lituano di fronte alle posizioni conflittuali delle due componenti nazionali, il Vaticano sceglierà un prelato indipendente e libero da quella che stava diventando ormai scopertamente una lotta politica e non una investitura religiosa.
unificazione i territori non russi: la Transcaucasia, l’Ucraina, la Finlandia, l’Armenia ed eventualmente la Lituania.43 Soffermandosi poi sul caso della Lituania la discussione si orienta su due ipotesi: “Se verrà unita alla Polonia, come sembra possibile, seguirà le vicende dell’indipendenza polacca; se non avviene questa unificazione il suo status sarà assimilato a quello della Lettonia e dell’Estonia e non a quello della Finlandia o della Polonia”44 L’intento degli alleati è quindi quello di riportare la Lituania ad una dimensione di ex provincia amministrativa dell’Impero senza una sua autonomia statale come la Lettonia e l’Estonia in questo momento, eliminando quindi la sua posizione di indipendenza dallo status politico di riconoscimento come nazione compiuto per la Finlandia o per la Polonia. La Conferenza arriverà quindi alla risoluzione 246 in cui si afferma esplicitamente che, stabilito il confine dello stato polacco, se la Lituania verrà unita alla Polonia vi sarà un confine comune ai due stati (vedi figura 1) se ciò non sarà possibile si dovrà stabilire per le provincie di Grodno e di Minsk un referendum di appartenenza e, comunque, dovrà essere assegnato uno sbocco sicuro sul Baltico allo stato polacco.45
Figura 1 – Carta della sistemazione polacco-lituana alla Conferenza di Parigi del 191946
Nelle ipotesi della Conferenza vi è quindi un obiettivo principale: separare la Germania dalla Russia identificando nella regione denominata “linguaggio misto” l’oggetto possibile di un referendum linguistico con la zona ad occidente dell’Ucraina come possibile espansione della Polonia.
43 David Hunter Miller, My Diary at the Conference of Paris , cit. vol. IV pag. 219 44 ibidem pag. 220 45 ibidem pag. 224 46 ibidem pag. 226
Osservando però in particolare la zona di Grodno, la Conferenza nella sua risoluzione, inserisce Vilnius come zona oggetto di negoziato e quindi non assegnata alla Lituania bensì inserita in quella area da negoziare. Per completare l’analisi della sistemazione si nota infine che una parte della Prussia Orientale nei disegni della Conferenza rimane isolata, a sinistra, dal corridoio di Danzica posto poi sotto controllo alleato con un alto commissario inglese e a destra, dal territorio libero di Memel (in questo momento non assegnato alla Lituania) che sarà posto sempre sotto controllo alleato e con un alto commissario francese. Anche una sistemazione nazionale vede quindi la Lituania etnica ridotta ad un’area di solo 132.000 kmq. Il disegno di accerchiamento e isolamento delle regioni tedesche e dell’espansione sovietica è quindi assegnato da subito alla Polonia ma, cosa ancor più interessante, è che lo stesso isolamento territoriale viene elaborato anche per la Lituania che si trova anch’essa isolata anche rispetto ai confini tedeschi. Appare chiaro che la posizione del riconoscimento a nazione indipendente della Lituania si trova a questa data in una situazione molto difficile. L’Intesa non le riconosce alcuna autonomia statale e, nella ipotesi di una sua indipendenza, la dimensiona in modo da attenersi rigorosamente alla parte di popolazione prevalentemente lituana e soprattutto non comprende, in ambedue le ipotesi, la città di Vilnius rivendicata dai lituani come capitale storica dello Stato. In questa situazione di grande incertezza la Taryba lituana si ritrova allora a dover affrontare, nell’ordine, una situazione politica interna di grande complessità dovuta alla spaccatura tra filo polacchi e autonomisti lituani con conseguenti problemi di consenso politico al suo governo; una aperta ostilità della Conferenza della Pace e degli Alleati che, lungi dal sottoscrivere un progetto di indipendenza nazionale, la limitano nei confini privandola della sua capitale storica; la nuova posizione internazionale della Polonia a cui viene assegnato, soprattutto dai francesi, il compito di costruire un’entità politica che si interponga tra Germania e Russia sovietica e, non ultimo per importanza, la presenza delle truppe tedesche lasciate dagli alleati in questa regione a salvaguardia militare di possibili espansioni sovietiche. In questa situazione quasi disperata la posizione del governo lituano comincia allora ad orientarsi verso l’Unione Sovietica e quando, nel settembre del 1919, i bolscevichi cominciano a proporre una serie di accordi per il riconoscimento della Lituania, Lettonia ed Estonia trovano il governo lituano pronto ad accogliere questa offerta tanto più che i sovietici, con le dichiarazioni di Joffe ministro plenipotenziario per i trattati con i paesi baltici, riconoscono la Lituania non in base ad una continuità storica con il Granducato ma sulla base del principio di autodeterminazione. Nell’articolo1 del trattato di pace sottoscritto tra Lituania e Unione Sovietica, quest’ultima riconosce, in base a quel principio, i confini etnici della Lituania e rinuncia ad ogni tipo di pretesa su quel territorio e i sovietici accettano, ed è qui l’elemento nuovo dell’accordo, una estensione del territorio lituano sino a comprendere la capitale Vilnius. Questo accordo viene visto quindi, al di là delle divisioni ideologiche: “una grande tentazione per i lituani di accettare l’offerta dei bolscevichi di riguadagnare Vilnius”47 Questa fase della politica estera lituana è quindi tra le più confuse e contraddittorie. Tra il settembre del 1919 e l’ottobre del 1920, in occasione della guerra russo-polacca, il governo lituano non riuscirà in nessun modo a convincere gli Alleati della sua lealtà nei loro confronti, anzi, proprio in questi mesi si consumerà, a nostro avviso, ogni residua speranza di poter raggiungere quegli obiettivi proposti dai programmi politici largamente propagandati al suo interno. Crediamo inoltre che l’insieme degli avvenimenti di questi mesi quasi autorizzerà la Polonia con il tacito assenso degli Alleati ad operare quelle azioni di forza che porteranno alla occupazione polacca di Vilnius. Il governo lituano farà di questa occupazione la bandiera di una ingiustizia subita da parte delle potenze alleate e si preoccuperà di diffondere in tutta Europa scritti, memoriali e studi tesi a mostrarla. Di fatto ciò che alla Lituania manca non sono i pezzi di carta dei trattati ma la volontà politica delle potenze militari alleate di concedere a questo paese la capacità di sostenere un ruolo
47 Eidintas, cit., pag. 68
strategico pari all’obiettivo richiesto: creare una opposizione contro l’espansione bolscevica impedendo contemporaneamente ai tedeschi di riprendere il controllo della zona del baltico. La guerra russo-polacca e il suo andamento militare con una fase di espansione polacca in aprile maggio del 1920 con l’occupazione dell’Ucraina vede una seconda fase di riconquista sovietica dei territori sino alla espansione dell’armata rossa alle porte di Varsavia tra il luglio e l’agosto dello stesso anno da cui parte la controffensiva polacca per giungere alla conclusione tra il settembre e l’ottobre con la firma dell’armistizio.48 In questo alternarsi dei fronti la posizione della Lituania che accetta il tentativo sovietico di sottoscrizione di un Trattato di pace, risolutamente rifiutato dai polacchi, si trova esattamente nel mezzo di un conflitto cruciale in cui i bolscevichi vogliono tentare l’ultima carta di espansione della rivoluzione oltre i confini russi. Nella prima fase del conflitto i polacchi riescono ad invadere il territorio ucraino a sud della Lituania ma il contrattacco sovietico porta l’Armata rossa ad invadere il corridoio a sud del paese occupando, nel mese di luglio, Vilnius: “la comparsa delle truppe sovietiche e la presa di Vilna, già oggetto del fiero contrasto tra Polonia e Lituania, provocò l’intervento del piccolo esercito lituano in favore dei Rossi, cosa che accrebbe la depressione dei polacchi in ritirata.”49 Durante l’avanzata sovietica verso la Polonia si ebbe allora l’intervento alleato per evitare un disastro militare e politico con la conquista da parte bolscevica di Varsavia. I russi non avevano infatti alcuna intenzione di fermare la propria avanzata e nell’agosto del 1920 consideravano la conquista di quel territorio come il più importante risultato della espansione del nuovo regime comunista in Europa centrale. Furono intavolate discussioni e trattative tra gli Alleati, la Polonia e la Lituania in questa fase molto difficile del conflitto ed in una conferenza a Spa nel luglio del 1920 si propose un armistizio in cui la Polonia si sarebbe ritirata dietro la linea di confine tracciata dagli alleati della linea Curzon dal nome del ministro inglese, i bolscevichi si sarebbero invece stabilizzati a 15 km ad est di tale linea riprendendo sotto il loro controllo le regioni ucraine e la Lituania avrebbe avuto la città di Vilnius con la promessa di risolvere ogni conflitto con la mediazione del governo inglese. Al rifiuto polacco di cedere Vilnius la risposta inglese fu perentoria: di fronte ad una situazione militarmente complessa si i polacchi non avessero accettato le condizioni di armistizio proposte, il governo inglese avrebbe lasciato la questione di Vilnius nelle mani di una trattativa separata tra lituani e russi. Fu chiaro che senza l’appoggio alleato la Polonia non aveva alcuna possibilità politica di rimanere indipendente e il governo di Varsavia accettò le condizioni imposte da Loyd George. I mediatori francesi e inglesi che a Vilnius dovevano quindi favorire l’entrata dei Lituani in città secondo le condizioni dell’armistizio, trovarono invece l’esercito polacco assolutamente non disposto a questa soluzione: il 13 luglio ritardarono a tal punto l’uscita dalla città che fu occupata, il giorno seguente, dai bolscevichi che non manifestarono alcuna intenzione di cedere la città ai lituani come stabilito dal Trattato di Pace lituano-sovietico. La mossa polacca mette quindi in scacco il governo lituano che non può, per gli accordi sottoscritti, attaccare le truppe russe. Le stesse truppe però, il 26 di agosto, ritirandosi dalla Polonia non si preoccuperanno minimamente degli accordi firmati usando quindi il territorio lituano come corridoio per il passaggio dell’esercito. Questa leggerezza permetterà però ai polacchi di diffondere la notizia presso gli Alleati che esista in realtà un accordo segreto tra sovietici e lituani teso a favorire l’esodo delle truppe per sfuggire all’avanzata polacca. La posizione lituana diviene a questo punto insostenibile politicamente presso l’Intesa poiché l’atteggiamento filo-sovietico tenuto sino a questo momento rende molto difficile credere che tale idea sia del tutto peregrina. Anche se i diplomatici inglesi e francesi in questo momento non credono all’esistenza di tale accordo, il passaggio dei prigionieri di guerra russi nel territorio lituano permette di fornire il pretesto ai polacchi di chiedere formalmente il passaggio delle truppe polacche in quel territorio per
48 L’intera vicenda in Chamberlin, cit., vol.II, pagg. 407-432 49 Chamberlin, cit., vol II, pag. 415
inseguire le truppe sovietiche in ritirata. Al rifiuto lituano per violazione della sua neutralità territoriale vi è comunque l’invasione dell’esercito polacco che porta i sovietici a denunciare il Trattato di pace con la Lituania come nullo per aver permesso ai polacchi di aver attraversato i propri confini contro l’Unione Sovietica. Questa situazione assolutamente paradossale è quindi occasione di un successivo conflitto diplomatico tra polacchi e lituani in cui ambedue i contendenti faranno riferimento agli organismi internazionali per far valere le loro ragioni di rivendicazione della regione di Vilnius attualmente occupata dalle truppe di Varsavia. La Polonia si rivolgerà alla Lega delle Nazioni denunciando la Lituania di aver favorito i sovietici permettendo loro di occupare Vilnius e di aver fatto passare le truppe nell’avanzata verso Varsavia; la Lituania invece si rivolgerà al governo inglese che si era fatto garante del negoziato di Spa denunciando i polacchi di aver violato l’accordo per cui la zona attorno a Vilnius e la regione di Grodno doveva essere loro assegnata. E’ certamente vero che la Polonia gioca la sua partita in maniera spregiudicata costruendo l’immagine di una Lituania inaffidabile sia in virtù di quell’accordo coi sovietici sia facendo occupare la capitale dall’armata rossa ed impedendo quindi il rispetto dell’accordo di Spa; è anche vero però che gli stessi lituani peccano di ingenuità in primo luogo pensando che si potesse rimanere neutrali in un conflitto tra polacchi e russi con il proprio territorio al centro della contesa e in secondo luogo rendendo trasparente il proprio rapporto con i sovietici di fronte alle potenze europee. La posizione lituana diviene infatti agli occhi degli alleati quasi incomprensibile, tanto più che gli stessi comunicano alla missione britannica che i bolscevichi stanno preparando un’offensiva contro la Polonia e che in questa offensiva, grazie agli accordi sottoscritti, la Lituania potrà rientrare in possesso della sua capitale. Le intenzioni lituane sono ingenue o forse, come è stato sostenuto, sono il risultato di un tentativo di operare una pressione indiretta sui governi dell’Intesa al fine di ottenere un supporto da Londra visto che la Polonia è fortemente sostenuta dal governo francese. In questo gioco diplomatico-militare è comunque un dato di fatto che il trattato del luglio tra Lituania e Unione Sovietica era stilato in funzione antipolacca e che i comportamenti della Lituania nel corso del conflitto furono improntati a sfavorire l’azione della Polonia in un delicatissimo momento della sua storia e quindi a compromettere l’equilibrio internazionale creato dall’Intesa. Questi episodi portarono a confermare la pessima impressione di Francesi e Inglesi sul comportamento del governo di Kowno: creò un forte disappunto inglese per queste manovre con i sovietici e spinse i francesi a pensare che vi fosse un accordo tra lituani e russi ai danni della Polonia. Durante la guerra del 1920 tra Polonia e Unione Sovietica combattuta sul suo territorio la Lituania si dichiarò neutrale ma nessuno tra gli alleati poté credere ad una vera neutralità lituana vista la posizione assunta sulla questione di Vilnius. L’atteggiamento ambiguo nei confronti dei sovietici portò quindi: “i Russi ad occupare Vilnius il 14 luglio e a consentire il trasporto delle truppe russe verso il fronte polacco. Questo portò a vanificare la parte del trattato che prevedeva la neutralità lituana nel conflitto come prezzo per poter ottenere Vilnius. I leaders lituani non avevano capito le conseguenze negative di quella concessione e questo punto fu elemento di grande peso per gli avvenimenti successivi” 50 La posizione polacca ufficiale di accettazione dell’accordo di Suwalki, sotto la mediazione della Lega delle Nazioni nell’ottobre del 1920 in cui il territorio di Vilnius usciva dall’orbita polacca ma
50 Eidintas, cit. pag. 70, Il comportamento diplomatico lituano di avvicinamento all’Unione Sovietica non poteva certo prevedere in questa guerra la grande capacità di reazione dell’esercito polacco nel settembre 1920 e certamente la vicenda dell’occupazione russa di Vilnius fu provocata ad arte dai polacchi per creare imbarazzo nei rapporti russolituani. Rimane però la perplessità, tutta politica, di come il governo lituano alla fine del conflitto non abbia compreso che in questo momento la Polonia e gli Alleati non ritenessero alla luce degli ultimi avvenimenti di considerare ancora valido l’accordo sottoscritto a Spa. Inoltre poco si comprende come non sia risultato chiaro ai lituani l’atteggiamento polacco nei confronti di quegli accordi dopo che non solo aveva battuto l’esercito sovietico con le proprie forze ma che quella vittoria era stata realizzata con il parere contrario degli Inglesi: che il governo lituano si aspettasse quindi il rispetto di quell’accordo con l’abbandono polacco di Vilnius rimane certo incomprensibile.
senza la creazione di una difesa del suo territorio occupato invece, nella parte meridionale, proprio dalle truppe di Varsavia faceva pensare più ad una soluzione provvisoria in attesa della firma del Trattato di pace tra Polonia e Russia. Questo Trattato portò infatti ad una sistemazione territoriale in cui: “la Russia fu esclusa dal contatto immediato con la Lituania, e, attraverso questa, con la Germania (una cooperazione russo-tedesca era, in quel momento, l’incubo degli uomini di stato polacchi e francesi) mediante l’assegnazione alla Polonia di un lungo e stretto corridoio in cui rimaneva esclusa la disputata città di Vilna e mercé la quale la Polonia acquistava una frontiera comune con la Lettonia”51 Se, dopo lo svolgersi di questi avvenimenti, cruciali perché disegnano sul terreno e con sforzi militari enormi la serie dei confini nella regione, torniamo ad osservare la carta discussa a Parigi nel 1919 possiamo vedere che la situazione al termine del conflitto russo-polacco porterà esattamente a quella estensione territoriale della Polonia data, allora, per incerta dagli Alleati. La resistenza di Varsavia e l’invasione di Ucraina e Lituania per respingere le truppe sovietiche porteranno a far guadagnare alla Polonia, sul piano militare, quel territorio che permetteva di non avere più collegamenti tra Russia e Germania e soprattutto isolava la Lituania tra la Polonia a sud-ovest e la Lettonia ad est così come era negli obiettivi dell’Intesa. Rimaneva solo la città di Vilnius ottenuta dal governo di Kowno con un accordo del quale però nessuno dei protagonisti della vicenda aveva un reale interesse politico e strategico a rispettare. Gli stessi Alleati vedevano anzi nel rispetto di quell’accordo un oggettivo vantaggio al possibile collegamento tra russi e tedeschi riaffidando quello spazio ad uno stato come quello lituano che si era rivelato durante le vicende del conflitto disponibile a cedere ai russi. Il risultato ottenuto dal governo lituano può quindi definirsi fallimentare perché in un solo colpo riuscì non solo a inimicarsi l’unico interlocutore a lui favorevole, l’Inghilterra, operando in maniera autonoma un colloquio diplomatico con l’Unione Sovietica ma permise a quest’ultima di avere un supporto territoriale per il tentativo di invasione della Polonia. Il risultato finale fu quindi che: “il 12 ottobre 1920 delegati sovietici e polacchi firmarono un armistizio sulla linea tenuta dagli opposti eserciti. Tale linea fu confermata dal Trattato di pace firmato cinque mesi dopo, il 18 marzo 1921, a Riga e costituì la base delle relazioni tra la Russia Sovietica e la Polonia per quasi due decenni. Oltre a cedere alla Polonia un largo tratto di territorio prevalentemente bielorusso, la nuova frontiera lasciava un largo cuneo di territorio polacco tra la Lituania e la RSFSR, isolando in tal modo la Lituania e bloccando un potenziale canale di penetrazione sovietica verso occidente”52 Questo isolamento territoriale è quindi la conseguenza di un isolamento politico che la Lituania si è costruito sin dal 1917, come abbiamo visto. La posizione intransigente contro la Polonia e l’atteggiamento avuto nei confronti della Germania furono le premesse per la diffidenza verso la sua lealtà da parte delle potenze alleate durante la Conferenza di Parigi e le trattative diplomatiche con l’Unione Sovietica e la fine della guerra russo-polacca nel 1921 vedono la Lituania posta in una situazione internazionale molto complessa e difficile da poter gestire sia a livello interno che internazionale. La situazione interna vede infatti una crescita dell’estremismo nazionalista il quale chiede a gran voce la rivendicazione della capitale Vilnius agli Alleati come prezzo del suo non intervento nel conflitto; dal punto di vista internazionale invece il tentativo di riconoscimento di quel punto cercato con un avvicinamento ai sovietici fu considerato come la conferma di una sostanziale incapacità del governo lituano di poter sostenere una politica leale con le potenze occidentali. A questo punto il tentativo di putsch da parte di Pilsudski di occupare militarmente anche Vilnius e di chiudere questa annosa questione con le armi diviene una soluzione politicamente praticabile53 .
51 Chamberlin, cit. vol. II, pag. 430 52 Carr, cit., pag.1000 53 Che Pilsudski conoscesse le intenzioni del generale Zeligowski e quindi approvasse l’occupazione di Vilnius risulta da un documento pubblicato da Gionfrida, da un colloquio del generale Romei con Pilsudski: “Egualmente quando il generale Zeligowski ha occupato Vilna, i lituani non hanno avuto un solo uomo nè morto né ferito. Ed a ciò, oltre agli 29
Il 9 ottobre, quindi dopo i primi incontri con l’Intesa per l’accordo di Suwalki e i primi approcci diplomatici con i sovietici per l’armistizio, il generale Zeligowski a capo di truppe volontarie polacche occupa Vilnius e proclama lo stato della Lituania Centrale provocando soprattutto una espulsione della comunità ebraica che si rifugerà in gran parte a Kowno. La reazione internazionale non si fece attendere e la Polonia fu accusata di fronte alla Società delle Nazioni di violazione degli accordi e lo stesso Pilsudski dovette accusare formalmente e pubblicamente il generale Zeligowski di violazione della disciplina militare e di aver abusato dei suoi poteri agendo di sua iniziativa. Naturalmente questa posizione di aperta violazione dei Trattati da parte della Polonia rappresentò per le potenze Alleate una diminuzione del prestigio della Lega delle Nazioni. Ma anche la decisione di sottoporre a plebiscito il destino di Vilnius provocò la reazione negativa dei due stati: “né la Polonia né la Lituania erano favorevoli ad un plebiscito anche se formalmente ambedue lo approvarono. Il punto essenziale della contesa era che le condizioni del plebiscito sarebbero state condotte con in corso un occupazione militare di una delle due parti in lotta.”54 Un ultimo tentativo militare intrapreso dall’esercito lituano per riconquistare Vilnius fu comunque fermato dal rappresentante militare alleato, il francese Chardigny, sino al plebiscito che porterà, grazie all’astensione dei lituani presenti nella capitale per protesta, ad assegnare definitivamente la città alla Polonia.55 Dopo aver descritto le ultime vicende della indipendenza lituana che verrà riconosciuta nella sua forma attuale come nazione solo alla fine del 1922 dagli Alleati dopo la sistemazione della questione di Vilnius è necessario soffermarsi per un momento ad alcune considerazioni di ordine più generale soprattutto confrontando l’esperienza lituana con le ipotesi alternative che in quegli anni furono compiute, come abbiamo visto, dal Vaticano favorevole ad una unione federale con la Polonia sino alla posizione francese che contribuì da subito alla formazione di uno stato polacco egemone nella regione. La medesima posizione fu espressa anche dal Generale Marietti in un suo documento successivo alla missione del 191956. In realtà le scelte dei governi lituani in tutto questo periodo si orientano sempre verso quei paesi, come la Germania e la Russia, che si dichiarano per la separazione con la Polonia. Questa pregiudiziale che guida tutta l’azione lituana per l’indipendenza porterà quindi ad una serie di errori politici e diplomatici derivati in parte dall’idea pregiudiziale che l’Intesa fosse favorevole alla grande Polonia senza ulteriori condizioni. E’ invece vero che vi sono almeno tre momenti in cui la Lituania può decidere alcune alternative per cercare di migliorare la sua posizione. La prima è sicuramente quella di formulare una diversa unificazione con la Polonia spingendosi sino alla formazione di una federazione tra i due stati. Una unione federale avrebbe potuto permettere anche una diversa considerazione del problema di Vilnius e avrebbe sicuramente favorito quella unione politico militare degli stati baltici utile agli obiettivi delle democrazie occidentali. Una seconda situazione fu quella legata alla posizione di “neutralità” nei confronti dell’Unione Sovietica che trascinò la Lituania all’interno di un conflitto in cui non era possibile ritenere quella posizione come non orientata ad un atteggiamento filosovietico. E’ vero quindi che in alcuni momenti cruciali in cui il governo si trovò a decidere liberamente alcune opzioni, come ad esempio, tra la prima e la seconda fase della guerra polacco-russa, la Lituania poteva assumere atteggiamenti meno ostili nei confronti di Varsavia anche per il modo con cui i sovietici decisero di violare apertamente il Trattato di pace e di considerare il territorio lituano come un ponte strategico per l’avanzata verso la capitale polacca. Dopo l’occupazione polacca di Vilnius e negli anni successivi alla pace di Riga, la Lituania divenne protagonista di una vera e propria campagna legalistica in favore del’occupazione polacca della loro
ordini tassativi da me dati, ha servito un sentimento innato tanto nell’animo dei Polacchi che in quello dei Lituani, un sentimento di istintiva repulsione a combattersi tra di loro.”cit. pag. 252. Questo rafforza l’idea che la presa di Vilnius prima di essere un atto militare era già politicamente matura nell’agosto del 1920. La sottolineatura è nostra. 54 Eidintas, cit. pag. 77 55 Le conseguenze di questo plebiscito provocheranno da parte lituana l’occupazione di Memel. Cfr. Capitolo IV 56 Cfr. Capitolo III e Appendice
capitale, l’Europa fu inondata di libelli, opuscoli, testi di giuristi, politici, con cui il governo lituano difese la propria posizione di piccola nazione indifesa contro il disegno della grande Polonia e dal machiavellismo dimostrato sia dalla Germania che dall’Unione Sovietica nei suoi confronti.57 Questo atteggiamento fu certo una della cause che portò ad un inasprimento delle posizioni nazionaliste e condusse anche alla ricerca di soluzioni militari sino all’invasione di Memel. L’insieme di questi atteggiamenti però continuarono a comportare una fragilità politica sempre più evidente che minarono il ruolo della Lituania che rappresentava il paese baltico più importante e quello da cui si costruiranno l’insieme degli equilibri possibili nella regione. Anche in questo caso, la serie di decisioni sbagliate che derivano da quella pregiudiziale antipolacca saranno forieri di drammatiche conseguenze. Recentemente e con una riflessione più ragionata gli stessi storici lituani hanno cominciato a rivedere questa idea della “nazione ferita” e a riflettere sulla serie degli errori compiuti soprattutto dai governi nazionalisti e dal presidente Smetona. La domanda che oggi ci si pone è come mai nonostante nei mesi intorno al 1919 si fossero create le condizioni per una unione politica tra gli stati baltici e quindi con la concreta possibilità di formare un sistema di difesa comune che comprendesse anche Polonia e Finlandia naufragò sino a provocare un progressivo indebolimento di tutte queste nazioni per poi ripiombare di nuovo negli anni tra le due guerre nell’orbita tedescosovietica. La risposta a questa domanda è certo dovuta alle differenti condizioni e vicende con cui questi stati ottennero l’indipendenza ma soprattutto al fatto che: “il ruolo della Polonia in quelle regioni non era necessariamente facile. Nello spazio geopolitico tra Germania e Russia la Polonia era la sola potenza in grado di assicurare lo status quo di cui l’indipendenza degli stati baltici era parte integrante. In questo senso la posizione forte della Polonia avrebbe favorito gli interessi degli stati baltici. Ma allo stesso tempo come stato egemone la Polonia avrebbe obbedito al suo ruolo di grande potenza. Di conseguenza avrebbe raggiunto un accordo con la Finlandia per la spartizione delle influenze con l’Estonia sotto il controllo finnico e la Lettonia e la Lituania sotto quello polacco.”58 Questa ipotesi politica alternativa, non nuova perché già formulata dai francesi e in qualche modo disegnata anche durante la Conferenza della Pace, si scontrò sempre con la posizione Lituana e: “il conflitto Lituania-Polonia rese questo disegno impossibile”.59Rimane però la giustezza di questa ipotesi, considerata ormai oggi, dagli stessi lituani, come non peregrina, che spiega come il progressivo isolamento politico lituano portò, a lungo andare, ad un indebolimento di tutte le realtà statali appena costituite. Marietti nelle sue Considerazioni indicò chiaramente invece come l’unione di questi stati fosse la sola possibilità di giungere ad una loro stabilità60 ed è interessante notare come oggi tale ipotesi risulti un fecondo terreno di riflessione per comprendere la vicenda lituana.
57 Quasi tutte le pubblicazioni soprattutto di lingua francese e italiana si adoperarono per denunciare la situazione di Vilnius come una aperta violazione del diritto internazionale. Lo spoglio di questa documentazione ci riporta sempre al medesimo punto: questa violazione è basata sempre su argomenti giuridici e non all’analisi di una reale e concreta situazione storica in cui furono le decisioni politiche nella loro successione a determinarla. Il tono di queste pubblicazioni tendeva quindi a mostrare, più che la presenza di un problema lituano, la crisi del sistema di Versailles. L’interesse lituano viene difeso infatti con descrizione di avvenimenti molto lontani dalla realtà dei fatti. Solo per esemplificare questo tono citeremo due esempi, uno di lingua italiana e uno di lingua francese. Nel 1922 appare, anonimo, un opuscolo sulla questione di Vilnius dove si legge: “Durante tutta la guerra russo-polacca la Lituania mantenne rigidamente la neutralità che essa aveva dichiarata. Allorché l’esercito polacco subiva una serie di insuccessi e la più piccola pressione alle sue spalle da parte dei Lituani avrebbe potuto causare una seria catastrofe, il Governo lituano e il suo esercito si attennero rigidamente alla loro neutralità”, Il problema di Vilna, Genova 1922, pag. 19. Che questo fatto sia smentito ormai dalla ricostruzione degli stessi storici lituani è dato acquisito ma in quel momento risultava utile negare questa ricostruzione a vantaggio dell’immagine colpevole delle grandi potenze nei confronti di un paese privato della sua storica capitale. Il secondo testo, più distante nel tempo, siamo nel 1937, addirittura afferma che: “a seguito della prima guerra mondiale la Lituania ha dovuto sopportare nuovi sacrifici e violenze causati dalla Germania e dalla Russia” Petras Vileišis, La Lithuanie et le problème de la sécuritè internationale, Paris, 1937, pag. 6. 58 Eidintas, cit. pag., 101 59 ibidem 60 Si veda a questo proposito le analisi di Marietti nel Capitolo III
Le vicende dell’indipendenza lettone sino alla guerra di liberazione del 1919
Per poter inquadrare in modo corretto le vicende dell’indipendenza lettone ed estone bisogna tener presenti almeno due elementi che giocarono un ruolo determinante per gli eventi tra il 1917 e il 1919. Il primo è certamente l’atteggiamento antigermanico delle popolazioni lettoni che guidò il governo del partito nazionalista di Ulmanis dovuto ad una tradizione secolare di dominio feudale da parte dei baroni baltici di origine tedesca; il secondo è la capacità di penetrazione del movimento socialista bolscevico nel paese che, in qualche modo, è legato a quella condizione socio-economica generata dai processi di colonizzazione dei secoli precedenti. Tra tutti i paesi del Baltico in Lettonia la componente socialista e la vicinanza alle parole d’ordine rivoluzionarie che provenivano da Pietrogrado e da Mosca trova questo paese particolarmente ricettivo e pronto a creare il primo nucleo, insieme a paesi come l’Ungheria e la Baviera, di quella estensione della rivoluzione verso altri paesi proclamata dall’internazionalismo sovietico. La presenza di questi due fattori porterà quindi ad uno scontro interno alla Lettonia in cui il partito di centro e antibolscevico, in netta minoranza, troverà il suo consenso soprattutto nei ceti urbani e dediti ai traffici internazionali mentre il partito socialdemocratico vede nei ceti operai e portuali, nell’esercito e nei contadini una base fortissima di penetrazione e di risposta positiva alla sua propaganda. In Lettonia questa suddivisione sociale non coincide però sempre con la divisione etnica. Nelle campagne l’etnia lettone favorevole ai socialisti è sicuramente prevalente mentre nelle città portuali anche le minoranze di origine tedesca o ebraica partecipano attivamente alla costruzione delle avanguardie politiche rivoluzionarie. L’origine della penetrazione del socialismo data sin dal 1905. La presenza del Partito socialdemocratico dei lavoratori, il futuro partito bolscevico, organizza la sua prima opera di penetrazione in quel periodo subendo repressioni molto violente da parte dell’esercito e della polizia zarista in tutte le città della Lettonia. In un opuscolo pubblicato nel 1907 in Inghilterra sulla nascita del movimento rivoluzionario lettone viene già segnalata la presenza di 52 agitatori e agenti rivoluzionari con la maggiore concentrazione a Riga.61 Il processo di centralizzazione amministrativa del regime zarista insieme al ferreo dominio feudale dei baroni tedeschi ha costruito una miscela esplosiva di enorme portata. Già durante l’abolizione della servitù della gleba voluta dallo zar Alessandro II il sistema produttivo contadino è stato contemporaneamente privato della proprietà terriera anche se tra il 1840 e il 1860 vi fu una riforma operata dai baroni baltici che portò invece alla progressiva acquisizione di territori da parte dei contadini sino a raggiungere nel 1917 il 63,5% dell’estensione dei terreni agricoli.62 Questo progressivo emergere della proprietà contadina diede luogo ad una crescita dell’autogoverno delle singole località in cui la presenza di amministratori di etnia lettone comincia a prendere piede e ad estendersi. Dopo la rivoluzione del marzo 1917 il governo provvisorio russo non può quindi ignorare la presenza di questi gruppi di autogoverno locale che pensano alla costituzione di una Assemblea rappresentativa che possa far valere le ragioni delle popolazioni e il suo desiderio di autonomia. Particolare è quindi la costruzione di questi consigli che hanno nei loro componenti una prevalenza di origine contadina a cui si uniranno i soldati che riescono ad ottenere il diritto di voto come autonoma rappresentanza. Ed è da questa base che il partito socialdemocratico dei lavoratori comincia a costruire basi solide per una sua estensione. Questa importante presenza quindi del movimento rivoluzionario negli anni tra il 1905 e il 1917 conobbe un ulteriore incremento di aderenti dovuto anche alle particolari condizioni di centro commerciale e industriale dovuto ai traffici portuali. Lo stesso Lenin giunse a considerare la Lettonia come uno dei pochi territori sicuri per evitare possibili persecuzioni zariste. Nella fase più delicata della rivoluzione nel momento in cui si decise il colpo di mano di novembre il capo dei bolscevichi trovò qui e in Finlandia un rifugio sicuro per evitare persecuzioni ed attentati.
61 Ernest O.F. Ames, The Revolution in the baltic provinces of Russia, London 1917, pag. 21 62 Von Rauch, cit. pag. 6
In pieno clima rivoluzionario dovuto al riconoscimento delle nazionalità non-russe da parte del governo provvisorio di Pietrogrado il 30 luglio del 1917 viene convocato un Consiglio a Riga per discutere la base legale di questa autonomia. La Lettonia non aveva mai avuto, sino a questo momento, una tradizione storica di autonomia nazionale, in effetti si era sempre discusso delle varie province amministrative che costituivano un territorio reso omogeneo solo dalla presenza di popolazioni di lingua lettone che però avevano subito nel corso dei secoli sviluppi politici molto diversi. Mentre la Curlandia era da sempre considerata un territorio molto vicino alla Prussia orientale per i suoi legami politici e commerciali costruiti dall’Ordine Teutonico prima e dai baroni baltici poi, la Livonia era da sempre una regione molto più legata all’Impero Russo ed aveva subito profondamente l’influenza di quel paese. Il Consiglio di Riga tenta quindi di rappresentare tutte queste componenti e soprattutto di dare voce anche agli operai, ai soldati, ai rifugiati all’estero63 oltre che alla componente contadina che però è solo una delle parti della popolazione e non è la parte preponderante, come nel caso lituano. Viene quindi stabilito all’unanimità in quella riunione che il popolo lettone ha diritto all’autodeterminazione fornendo su base etnica anche l’estensione territoriale della nuova Lettonia che comprende le regioni della Livonia meridionale, della Curlandia e della Latgallia. Accanto alla dichiarazione di autonomia e grazie all’abolizione dei divieti zaristi si comincia a dare vita anche ad una autonomia amministrativa, scolastica e religiosa nell’ottica di una unione federale con la Russia opponendosi ad ogni interferenza esterna senza un preventivo assenso della popolazione. Quasi immediatamente a questa richiesta, appoggiata dalle componenti nazionaliste, comincia a delinearsi anche la posizione egemone del partito socialdemocratico il quale, al di là della identificazione della popolazione e del territorio lettone, vuole decidere che tipo di autonomia possa essere attuata e con quali regole soprattutto nei rapporti con il governo provvisorio russo. I socialisti chiedono una proclamazione di indipendenza in vista di un patto federativo con la Russia mentre la componente antibolscevica vuole una indipendenza completa e lontana da quelle posizioni che dominano in questo momento larga parte dei rappresentanti locali in Lettonia. Questa richiesta di unione federale con Pietrogrado deriva soprattutto dalla consapevolezza da parte dei socialisti rivoluzionari di controllare in larga parte i rappresentanti di quei consigli amministrativi. Ci si rende infatti conto da parte del partito nazionalista che mentre alcune rivendicazioni inviate al governo provvisorio contengono in modo chiaro l’evoluzione verso uno stato indipendente e nazionale, il passaggio relativo ad una unione federale con la Russia mina la possibilità di decisioni autonome rispetto alla politica decisa nella capitale imperiale. La serie degli eventi legati alla rivoluzione di novembre in Russia si incaricherà di dirimere questo conflitto tra autonomia integrale e unione federativa. Mentre infatti la presenza di consigli rivoluzionari in territorio lettone porterà a rivolgersi al nuovo governo sovietico come punto di riferimento per una rivoluzione proletaria, in Estonia questo cambiamento provocherà l’effetto opposto cementando ancora di più la resistenza antibolscevica dei consigli locali in cui la presenza rivoluzionaria è largamente minoritaria. Il 20 dicembre del 1917 viene creata la repubblica dei Soviet di Lettonia che si trova quindi spaccata in due: nella regione della Curlandia vi è una forte presenza del partito nazionalista lettone mentre nella Livonia settentrionale la presenza sovietica e il regime rivoluzionario ha ormai preso piede in maniera stabile. In questo momento vi è quindi un governo provvisorio che non ha alcun potere: stretto tra la presenza tedesca in Curlandia e la posizione egemone dei bolscevichi lettoni nelle altre regioni. Esso si dichiara governo legale ma, di fatto, non esercita alcun potere se non una rappresentanza come Consiglio Lettone in Scandinavia da dove comincia a tessere la tela di un suo riconoscimento internazionale da parte delle nazioni dell’Intesa. Il 18 di novembre del 1918 vi è quindi una proclamazione di indipendenza da parte del presidente Goldmanis raccolta immediatamente dagli Alleati che riconoscono de facto l’indipendenza lettone
63 Cfr. S.Page, cit. pag. 65.
ma tale indipendenza è del tutto nominale e verrà travolta dall’invasione tedesca di tutte le regioni lettoni un mese più tardi. E’ importante però soffermarsi un attimo a considerare questi eventi che portano alla dichiarazione di novembre come utili per chiarire le differenze e le peculiarità della situazione politica lettone rispetto agli altri paesi del Baltico. A differenza dell’Estonia, la pregiudiziale antigermanica dovuta alla particolare situazione economica largamente dominata dai baroni baltici è trasversale a tutte le componenti sociali. Questa pregiudiziale che si riflette sulla estensione della proprietà agraria tedesca rispetto al resto della popolazione richiama lo sviluppo e la presenza del movimento socialista in forme vicine al movimento bolscevico che ha proclamato da subito la necessità di una riforma radicale della condizione contadina. I due proclami dei bolscevichi russi sulla terra e sulla pace sono quindi degli strumenti molto forti di penetrazione del movimento rivoluzionario nella popolazione lettone che vede invece nel governo del consiglio nazionale una specie di rappresentazione locale di quelle componenti politiche già dissolte dalla rivoluzione di novembre in Russia. La strategia bolscevica condotta nelle trattative con i tedeschi per la pace separata considera quindi la Lettonia come il paese che presenta le condizioni migliori per darsi ordinamenti rivoluzionari pur proclamandone ufficialmente l’autodeterminazione. Si può dire che l’Unione Sovietica rinunciando ai territori sul Baltico in favore della Germania conserva intatta la speranza di riottenerne rapidamente il controllo grazie alla forza dei soviet lettoni che sono in questo momento egemoni su larga parte del territorio. Osservando la carta di queste regioni nel gennaio del 1918 il controllo politico del governo nazionalista si concentra infatti soprattutto nella zona di Libau sulla costa baltica mentre il resto del paese è largamente dominato dai soviet. L’occupazione tedesca che si accinge ad occupare queste regioni è quindi largamente osteggiata dal punto di vista popolare ma anche dalle classi nazionaliste e liberali del paese mentre trova ampio riscontro e protezione da parte dei baroni baltici che controllano gran parte dell’apparato produttivo del paese. Questi ultimi sono quindi pronti a difendere i propri privilegi feudali con grande determinazione fino ad ignorare completamente non solo la componente contadina lettone ma anche quegli stessi ceti borghesi che si sono dati in questo momento la rappresentanza politica appoggiata dall’Intesa. Si formano così tre blocchi sociali tra di loro in radicale opposizione. Il primo è rappresentato dal governo provvisorio della Lituania indipendente, minoritario ma vicino agli Alleati e che quindi rappresenta l’interlocutore più vicino ai futuri vincitori del conflitto per creare uno spazio politico vicino alle loro posizioni in questa zona; un secondo blocco è rappresentato dai baroni baltici filotedeschi e favorevoli all’occupazione da parte della Germania con la richiesta di riportare il paese ad un ordinamento feudale a loro favorevole; la terza componente, quella filo bolscevica, è invece largamente maggioritaria tra la popolazione lettone e sostenuta dagli attivisti bolscevichi di origine lettone presenti a Pietrogrado e alle comunità lettoni che si sono rifugiate in territorio russo le quali hanno largo peso nella organizzazione del partito comunista russo. La pace di Brest Litowsk che porta all’occupazione di queste regioni da parte dei tedeschi a partire dal marzo del 1918 fa emergere questa contrapposizione in modo violento. Lo scatenarsi di tutte le tensioni interne dovute alla pace separata trova in queste regioni il centro dinamico di tutte le sue contraddizioni. Curlandia, Livonia e Latgallia nella loro diversità reciproca dovuta a peculiari componenti sociali, culturali e politiche sono consegnate alla Germania durante la fase più acuta della discussione sul trattato di pace germano-sovietico che manifesta una crisi interna al partito bolscevico in cui vi è una minoranza dei componenti il Comitato Centrale del partito che vuole continuare la guerra con i tedeschi. La firma voluta fortemente da Lenin per non minacciare ulteriormente lo stabilizzarsi del movimento rivoluzionario64 porterà infatti alla perdita di territori
64 Su questa discussione si veda Carr, cit. pag. 835-36 : la posizione “estremistica” di Lenin di firmare comunque vadano le cose sul fronte militare, la pace con i tedeschi deriva in gran parte dagli eventi lettoni. L’occupazione tedesca non fa che confermare la sua tesi della minaccia mortale che una mancata pace con il Reich comporta per la fragile 34
come quello lettone legato profondamente all’evoluzione della rivoluzione bolscevica. D’altro canto l’occupazione tedesca che estende il proprio dominio a partire dalla Curlandia quindi da un territorio a loro più favorevole dal punto di vista politico per la presenza dei baroni baltici, trova in Livonia e in Latgallia una profonda resistenza anche negli strati nazionalistici e antibolscevichi lettoni che vedono ricacciate indietro le loro pretese di autonomia proprio dalla rinnovata importanza che la nobiltà di origine tedesca assume dietro la protezione delle armate del Reich. Vi è inoltre, a rendere ancora più esasperata la situazione, l’idea della Germania di trasformare queste regioni, tradizionalmente legate all’espansione germanica verso est, il nucleo forte di uno stato coloniale che possa in qualche modo resistere al crollo ormai imminente dell’esercito tedesco e alla crisi interna che si scatenerà dopo la sconfitta sul fronte occidentale.65 Il vero problema che diventerà sempre più preoccupante sino ad esplodere nel 1919 è la reale forza in campo di queste componenti. I baroni baltici filotedeschi hanno a protezione l’esercito tedesco che nell’est non ha perso una battaglia e che per le trattative di pace condotte sino a questo momento vede l’Unione Sovietica ritirarsi almeno ufficialmente dalla possibilità di reagire alla sua occupazione; per altro verso la componente filo bolscevica del partito rivoluzionario lettone è in grado non solo di resistere ai tedeschi ma di incrementare la propria forza proprio in virtù del tentativo reazionario di reintrodurre il regime feudale e quindi relegare di nuovo i lettoni al rango di colonia tedesca. Il governo nazionale lettone invece, protetto dalla marina inglese e dall’Intesa, ha dalla sua parte il riconoscimento internazionale alleato e quindi può ricorrere alle minacce di rinnovo del blocco economico che risulterà fatale per la sopravvivenza dell’intera Germania ma non ha, in questo momento, una reale base di consenso popolare né tantomeno una forza militare sul terreno. Le decisioni prese tra il febbraio e il novembre 1918 dai tedeschi sono quindi essenziali per comprendere gli avvenimenti successivi e l’esplodere di queste contraddizioni. Saranno infatti le scelte politiche del governo imperiale a determinare l’estremizzazione del conflitto, la crescita di consenso locale verso i bolscevichi lettoni e internazionali verso le componenti nazionaliste sino a creare le condizioni della guerra di liberazione del 1919. Nel marzo del 1918, con la conquista della Curlandia, i tedeschi rinnovano infatti le basi legali della loro occupazione rispolverando il trattato di Nystad del 1721 tra Federico il Grande e i baroni baltici. Ignorando completamente i rapporti nuovi e le trasformazioni sociali intervenuti nel frattempo l’idea centrale che guida lo stato maggiore di Ludendorff è di rinnovare le prerogative dell’antico consiglio locale formato dalle componenti tedesche, il Landesrat, ma: “questa razionalizzazione ignora completamente il periodo di due secoli e i cambiamenti sociali delle popolazioni lettoni ed estoni da servi della gleba a uomini liberi e amanti della libertà”66 Il Landesrat della Curlandia appena nominato chiederà come suo primo atto la trasformazione in un regno autonomo della regione e la richiesta di unione personale con il Kaiser. Questa impostazione che non tiene in alcun conto il valore popolare viene semplicemente estesa dai tedeschi al resto delle regioni conquistate. L’Estonia e la Lettonia si trovano così a dover subire di nuovo l’imposizione di regole feudali assolutamente anacronistiche. Sono chiuse le scuole di lingua lettone
repubblica dei soviet. In questo momento, siamo nel marzo del 1918, le forze antibolsceviche raggiungono il punto più vicino ai centri nevralgici della rivoluzione, soprattutto Pietrogrado, e questo spinge i bolscevichi ad accettare non solo la pace separata ma anche le conquiste sino a questo momento effettuate dall’esercito tedesco in marcia verso la Russia. Posizione pericolosa e precaria che infatti scatenerà quasi immediatamente la determinazione dei sovietici a riconquistare la maggior parte del territorio precedentemente abbandonato appoggiandosi in Lettonia a tutte le organizzazioni territoriali a loro favorevoli. 65 Che la Lettonia sia il centro motore di queste contraddizioni la rende contemporaneamente il territorio più esposto ai cambiamenti di fronte e alle violenze di un conflitto che qui toccherà l’apice di tutte le vicende baltiche. Mentre la Lituania e l’Estonia subiscono in effetti le medesime conseguenze derivanti dalle varie occupazioni e dai cambiamenti di fronte il quadro che però viene a delinearsi dei rapporti di forza trova da subito una sua stabilizzazione. In Lettonia questo quadro non è assolutamente pacifico poiché tutte le componenti in lotta si trovano in un sostanziale equilibrio tranne forse proprio la posizione del governo provvisorio che ha l’appoggio internazionale degli Alleati. 66 S.Page, cit. pag. 98
ed estone e il linguaggio amministrativo e dei tribunali diviene solo il tedesco facendo ripiombare la Lettonia e l’Estonia indietro di tre secoli. Dopo l’accettazione dell’Unione personale della Curlandia operata dal governo fantoccio, il Kaiser si annette in questo modo tutte le regioni conquistate formando così il Baltikum regione unitaria e sottoposta alle leggi imperiali della Germania. Viene formato un Concilio Unito delle Province del Baltico nel quale: “ci si augura che lo status di monarchia costituzionale con una costituzione e una amministrazione unitaria formata dalla Livonia, dall’Estonia, dalle Isole e da Riga sia annessa all’Impero Germanico attraverso una unione personale con il Re di Prussia” 67 Chiaramente questo diktat imperiale viene esteso senza tener conto della voce di tutti i consigli amministrativi locali formati per la maggior parte da popolazioni lettoni ed estoni che però si rifiutano in ogni modo di avallare le decisioni prese resistendo in ogni modo alle pressioni tedesche. Nelle vicende torbide legate a quella dichiarazione di unificazione con la Germania viene richiesto ai rappresentanti estoni e lettoni addirittura una votazione forzata a nome di tutta la popolazione presente nelle province per giungere rapidamente ad una validazione legale di questo nuovo status politico. Le discussioni vengono tenute sempre in lingua tedesca non fornendo alcuna traduzione nelle lingue native di questi rappresentanti e addirittura negando una formulazione scritta delle decisioni basando quindi l’intero corso che approverà questa nuova forma statale con argomentazioni orali in una lingua straniera.68 Questa farsa viene naturalmente rifiutata dai delegati estoni e lettoni ed in realtà essa mostra chiaramente la debolezza della componente tedesca di poter dare una minima base popolare al disegno di monarchia filotedesca mentre ricompatta in modo formidabile la resistenza e l’opposizione delle popolazioni verso decisioni estreme. A differenza del governo lituano la resistenza alle decisioni tedesche sarà compatta per tutte queste regioni. Risulta quindi del tutto naturale che questa opposizione al nuovo regime di occupazione trovi l’Unione Sovietica ben disposta ad aumentare la pressione per guadagnare di nuovo questi territori alla causa della rivoluzione. Il passo ufficiale che sancisce questa solidarietà alle nuove popolazioni oppresse del baltico è il rifiuto da parte del rappresentante ufficiale del governo sovietico per il baltico Joffe di ricevere una delegazione della nuova amministrazione filo tedesca.69 Questo atteggiamento di opposizione scatena anche una serie di violente reazioni da parte dei tedeschi contro gli esponenti del mondo politico lettone ed estone: sono arrestati Päts e Stredemann esponenti politici estoni e addirittura viene assassinato il deputato del Consiglio Nazionale estone Jüri Vilms, vengono quindi soppressi giornali e riviste nelle due lingue, proibite le riunioni politiche e imprigionati tutti gli esponenti delle rappresentanze nazionali e locali. L’ottuso atteggiamento tedesco spinge allora il partito nazionalista e socialista ad unirsi in un blocco democratico che però, in Lettonia, non ha più del 30% dei consensi interni e soprattutto fornisce grande spazio alla propaganda bolscevica che con il 70% dei consensi popolari comincia a appoggiare l’invasione sovietica di questi territori. In questa posizione di grande difficoltà per gli esponenti del Blocco democratico emerge però, nei mesi immediatamente precedenti l’armistizio, l’opportunità di trovare all’interno della vita politica tedesca degli interlocutori in grado di favorire un passaggio all’indipendenza nazionale che: “si opponga onestamente all’Intesa ma anche alla vecchia Germania e creda sia possibile lavorare con la nuova Germania della Repubblica.”70 Questa nuova posizione politica viene immediatamente condivisa dai socialisti lettoni antibolscevichi che vedono negli esponenti socialdemocratici tedeschi del nuovo governo repubblicano la possibilità di intavolare trattative che comportino, oltre che l’indipendenza nazionale, l’eliminazione sia della estrema destra militarista tedesca sia la minaccia bolscevica.
67 ibidem pag 100 68 ibidem pag. 105 69 ibidem 70 ibidem pag. 107
Negli ultimi mesi del 1918 e in pieno crollo tedesco viene presa una risoluzione da parte dei socialisti lettoni di stabilire, oltre che l’indipendenza nazionale per la Lettonia, una sua dichiarazione di neutralità in caso di scontro con le armate sovietiche. Questa risoluzione ha il vantaggio tutto politico di permettere un apertura di dialogo con il nuovo governo tedesco sostenendo così in modo concreto l’indipendenza lettone contro le mire bolsceviche avendo una protezione che non sia semplicemente la simpatia diplomatica delle potenze alleate. William Page nel descrivere questa via d’uscita del gruppo democratico lettone per evitare la propria morte politica schiacciato tra il militarismo tedesco e il bolscevismo si chiede quali siano veramente le forze che questo gruppo politico può porre in essere e soprattutto se vi sia una qualche speranza di creare una vera alternativa di potere ai due contendenti prima di soccombere definitivamente. La risposta va data osservando la crisi politica che in questo momento attraversa la Germania. E’ vero infatti che l’opposizione popolare estone e lettone ai progetti tedeschi di unificazione con il Kaiser ha provocato profondi conflitti anche all’interno dell’amministrazione tedesca ma è il volgere ormai quasi certo verso la sconfitta che muta sostanzialmente l’atteggiamento tedesco nei confronti dei territori occupati ad est. L’ultimo cancelliere dell’Impero, il principe Massimiliano di Baviera indirizza al Reichstag nell’ottobre del 1918 una sua comunicazione in cui si dice in profondo disaccordo con la politica e il comportamento tenuto dai militari tedeschi nei territori occupati del Baltico. Tale posizione – afferma il cancelliere – risulta contraria non solo alla politica imperiale ma anche ai principi di autodeterminazione enunciati da Wilson. Vi sono in questa dichiarazione anche motivazioni più importanti rispetto al quadro generato dalla dichiarazione americana. Nei 14 punti si fa infatti esplicito riferimento al ritorno della Polonia al rango di nazione e questo punto richiama implicitamente la volontà da parte dell’Intesa di procedere ad una sistemazione generale delle zone del Baltico in cui il principio di autodeterminazione dei popoli avrà quindi un ruolo centrale. Il cancelliere tedesco sa quindi che la politica di occupazione tenuta sinora è assolutamente insostenibile e il pericolo rappresentato da una completa evacuazione dei tedeschi da quelle regioni più che probabile. Viene quindi sostenuta una nuova politica nelle regioni baltiche che vede il principio di autodeterminazione come centrale dichiarando che la Germania sarà disposta ad ascoltare le voci delle popolazioni che avranno libera volontà di esprimersi alla fine del conflitto. Questa posizione coincide anche con quella ufficiale del partito socialdemocratico tedesco che vede in questo cambiamento la possibilità di esercitare non il dominio ma una influenza della nuova repubblica se solo essa sarà in grado di ottenere un consenso da quelle popolazioni.71 Il nuovo corso tedesco porta quindi ad immediate e nuove conseguenze. Nello stesso mese di ottobre infatti il governatore militare tedesco Von Gossler trasforma l’amministrazione militare tedesca delle regioni baltiche in amministrazione civile e inizia un processo di trasferimento delle competenze verso i consigli locali, i Landesräten, aprendo contemporaneamente un dialogo con il Blocco Democratico lettone che vede in questo mutato atteggiamento la possibilità di fornirsi finalmente di una base solida per permettere il passaggio ad una vera indipendenza nazionale. Si tratta dunque di una inaspettata opportunità in cui il partito antibolscevico gioca l’unica carta in proprio possesso per assicurarsi la forza militare necessaria in grado di reggere l’urto delle armate sovietiche. Dopo la firma dell’Armistizio il nuovo consiglio amministrativo di Riga, il più importante del paese, decide quindi di eleggere un governo provvisorio formato da lettoni e questo governo, presieduto da Ulmanis, propone il disegno di una nuova costituzione. Con il crollo dell’esercito tedesco questo governo provvisorio deciderà, coerentemente con quella politica di apertura al governo repubblicano tedesco, di costituire una propria milizia chiamata Baltische Landeswehr formata soprattutto da soldati tedeschi e da una minoranza lettone e bielorussa con a capo un generale tedesco. La Repubblica di Weimar si incarica in questo momento di fornire assistenza politica e militare al nuovo governo nazionale lettone e la scelta del Blocco Democratico formato da
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nazionalisti e socialisti antibolscevichi diviene in qualche modo obbligata: appoggiarsi ai nuovi esponenti politici tedeschi che hanno intenzione di prendere saldamente le redini della Germania in piena crisi militare. Che cosa i socialdemocratici tedeschi intendano però per appoggio politico alla Lettonia una volta giunti al potere dopo l’armistizio non è ben chiaro nemmeno al governo lettone. Il partito socialdemocratico nelle sue analisi politiche compiute pubblicamente nel corso del conflitto non ha infatti mai nascosto il suo colonialismo sull’est dell’Europa e si è trovato spesso d’accordo con le posizioni più vicine agli ambienti tradizionalisti di Berlino. In una pubblicazione del 1917, un socialista svizzero, riassume in un volume intitolato Germania annessionista 72 tutte le posizioni politiche e culturali che propagandano all’interno del paese l’idea della necessaria espansione del popolo tedesco verso oriente. Pubblicando in modo ordinato questi interventi riassume anche, in un capitolo, la posizione dei socialisti tedeschi che manifestano la medesima volontà del resto del paese: “Praticamente non vi è alcuna differenza tra i socialdemocratici, il dottor Paul Lensch e gli obiettivi dell’Imperatore tedesco” afferma Grumbach. Passando semplicemente in rassegna le dichiarazioni ufficiali del partito si scopre in maniera trasparente che gli esponenti della sinistra non bolscevica tedesca: “hanno seguito un doppio obiettivo nel corso della guerra: il primo è quello di proclamare i principi della democrazia e del socialismo ma in realtà la maggioranza dei politici socialdemocratici ha supportato sempre le posizioni ufficiali del governo imperiale nella sua condotta aggressiva e di annessione”73 Questa posizione espansionistica permessa sul fronte orientale dalle condizioni della pace separata viene letta quindi dai socialdemocratici come la possibilità per i tedeschi di acquisire territori in grado di sopportare una migrazione delle popolazioni tedesche verso una soluzione dei loro problemi economici e sociali. Le vaghe affermazioni del Trattato di Brest Litowsk che avevano lasciato l’esercito tedesco nelle zone baltiche con compiti di polizia rappresenta quindi una concreta possibilità di utilizzare il controllo militare di quel territorio per dare nuovi obiettivi anche alla politica repubblicana. La formazione di una regione baltica che si interponga tra la Germania e il bolscevismo con la possibilità politica derivante dal nuovo corso di controllare e piegare i signori della guerra sconfitti e fornire contemporaneamente un possibile sbocco alle popolazioni tedesche che verranno spinte verso est dal crollo del fronte occidentale e dalla crisi economica diventa una evoluzione della strategia socialdemocratica perfettamente coerente con l’idea dell’espansionismo proclamata durante la guerra. E’ un espansionismo popolare, democratico nella sua formazione e che prevede allo stesso tempo la presenza tedesca ma anche la fine di quell’idea di rapina delle risorse che stava alla base della formazione dello stato militare pensato da Ludendorff. La persona che si incarica di costruire questo nuovo obiettivo è il nuovo inviato nel baltico per conto del partito socialdemocratico tedesco August Winnig. Winnig è uno dei più importanti leader sindacali socialdemocratici e si incarica di acquisire quel necessario consenso presso gli esponenti lettoni ed estoni e di rappresentare quel cambiamento politico auspicato dal nuovo governo. Il politico e sindacalista socialdemocratico, che diventerà governatore della Prussia Orientale alla fine del 1919, in questo momento tiene i contatti tra il governo lettone e quello tedesco anche in aperta ostilità con lo stato maggiore prussiano e con l’ambasciatore tedesco. Nelle sue memorie egli rivendica alla Germania il ruolo di colonizzatore degli stati baltici74 e negozia con il blocco democratico lettone le nuove condizioni di una collaborazione.
72 S. Grumbach, Das Annexionistische Deutschland, Losanna 1917. Di questo libro fu, nello stesso anno, fatta una traduzione in inglese dal titolo Germany’s annexationist Aims, stampato a Londra. Da questa versione inglese prendiamo le citazioni del volume. 73 Cit. pag. 55 74 Cfr. S. Page, cit. pag. 111, Le memorie di Winnig sul baltico sono state ripubblicate con il titolo Heimkehr, Hamburg 1935. Sul ruolo di Winnig in questo momento si veda anche Charles Sullivan, German Freecorps in the Baltic, 19181919, “Journal of Baltic Studies”, vol. 7, n. 2, 1976, pag. 125: “Winnig agì da catalizzatore per un ulteriore sviluppo dei Freikorps nel Baltico, in pochi giorni i suoi agenti a Berlino reclutarono truppe per una futura campagna nel Baltico con la promessa di terre da colonizzare, promessa che non aveva nessuna base giuridica nello stesso accordo.” Sullivan 38
Il disegno del governo repubblicano, di cui Winnig si trova ad essere rappresentante in quel mondo così ostile al nuovo corso politico, è quello di estendere il numero dei componenti la Landeswehr baltica, comandata dai tedeschi e convincere il governo lettone e il Blocco Democratico a sostenere l’aiuto tedesco per avere una forza militare contro il bolscevismo che in Lettonia è particolarmente minaccioso ma il suo fine ultimo, dichiarato apertamente nei suoi scritti ufficiali, è quello di creare un’atmosfera di fiducia nei confronti dei tedeschi e dare un nuovo senso alla collaborazione con i lettoni per la conquista della loro indipendenza. L’operazione di Winnig è estremamente interessante perché l’impostazione che fornisce all’accordo col governo lettone dopo il crollo dell’esercito tedesco è di evitare qualunque riferimento all’idea di considerare queste regioni come “annesse” al Reich. Nominato infatti plenipotenziario del Reich per le province baltiche commenta questo titolo dicendo: “Il Reich per tutto il resto del mondo è il Reich tedesco. Io sono orgoglioso invece di questa designazione e ho rifiutato tutti i tentativi di introdurre la parole Tedesco in questo titolo”75 E’ quindi l’Intesa l’interlocutore su cui Winnig stabilisce una strategia di azione per garantire questa continuità anche in forza di una interpretazione non restrittiva del titolo XII dell’Armistizio che obbliga le truppe tedesche al ritiro dalle regioni baltiche ma afferma che tale ritiro dipenderà anche dalle condizioni militari che si verificheranno in quei territori76 . Che questa protezione militare sia quindi utile e riconosciuta a livello internazionale è indubbio ma certo non sufficiente per poter convincere il secondo interlocutore di Winnig, il governo lettone, a tenere in vita un esercito che sino al giorno prima rappresentava lo strumento principale dell’oppressione feudale del Oberkommando. L’ostilità della casta militare tedesca in realtà favorisce l’azione di Winnig. Egli può dimostrare agli esponenti lettoni di come la colonizzazione delle regioni baltiche operata sin qui è in pieno contrasto con la nuova politica che egli intende attuare e soprattutto egli non perde occasione di ricordare che l’appoggio del nuovo governo tedesco è assolutamente necessario ad un governo riconosciuto a livello internazionale ma debole e che non è in grado di sostenere lo scontro con i bolscevichi se non appoggiandosi alle truppe tedesche. Vi è, crediamo, anche un altro aspetto da sottolineare in questa azione che ha un peso soprattutto all’interno della politica interna tedesca. I socialdemocratici sono infatti convinti che la crescita di questo processo di emigrazione verso est possa riuscire efficace anche per la lotta contro i bolscevichi all’interno della Germania. Il tono della proposta di un’accordo di colonizzazione presentato al Consiglio nazionale lettone non è quindi quella di Von der Goltz che vede il contadino tedesco occupare il territorio baltico in virtù di una tradizione di dominio e seguendo la medioevale avanzata dell’Ordine Teutonico; Winnig ha in mente invece un colono che può aiutare i Lettoni e gli Estoni a spodestare e rendere fertile le proprietà dei vecchi baroni tedeschi e accrescere il numero degli abitanti di quelle regioni, in gran parte spopolate, da bonificare e da far crescere economicamente77. La riforma agraria proclamata dal governo lettone ha bisogno di braccia e
confrontando i giornali tedeschi soprattutto il Deutsche Zeitung documenta quanto la campagna di reclutamento dei corpi baltici a Berlino fosse largamente presente nella stampa repubblicana dell’epoca. Questa documentazione smentisce soprattutto il dato che identifica i Freikorps tedeschi composti solo di élite militari contrarie al governo della repubblica e pronte a tutto pur di far rinascere il sogno imperiale come tanta agiografia di parte tedesca fece pensare. 75 S.Page, cit. pag. 113 76 Cfr. Capitolo III. Sul Titolo XII dell’Armistizio la discussione tra gli Alleati fu abbastanza dura come mostrano le raccolte diplomatiche della Conferenza della Pace in Miller, cit. vol. IV. Curiosamente il compito di attendere per questi territori a compiti di difesa militare coincide quasi alla lettera con l’articolo del Trattato di Brest Litowsk sull’assegnamento ai tedeschi da parte russa di una loro presenza militare con compiti di polizia per alcune province (Livonia ed Estonia). Nell’aver rifiutato completamente le condizioni della pace separata con i sovietici, gli Alleati continuano però a ritenere essenziale il ruolo delle truppe tedesche anche con il nuovo Armistizio firmato a novembre. 77 Sull’immaginario tedesco delle regioni del baltico è da ricordare l’immagine del baltico che viene trasmessa in territorio tedesco e soprattutto la lettura delle impressioni dei soldati che per la prima volta raggiungono questi territori e restituiscono l’immagine, cara ai tedeschi, di un luogo primitivo e magico in cui le divinità pagane dei boschi e la 39
Winnig è convinto, in fondo, che il combattere per le province baltiche possa avere come risultato finale la riconoscenza dell’intervento del popolo tedesco contro la nuova barbarie bolscevica a far nascere una nuova nazione dalle ceneri della vecchia provincia dominata dai baroni tedeschi. In fondo egli ha dei Freikorps e della Landeswehr una concezione romantica e legata a quella tradizione dei corpi militari che aiutarono, nel XIX secolo, le nazioni occidentali a trovare la propria indipendenza. Questa tradizione presente in Germania in tutta la seconda metà di quel secolo aveva infatti contribuito non poco a far nascere l’identità nazionale tedesca e la creazione di volontari che parteciparono alla formazione delle nazioni libere contro i vari Imperi per una nuova Europa dei popoli con la possibilità anche di ottenere il diritto di cittadinanza nelle nazioni liberate e di assicurarsi un futuro economico prospero in quelle terre. Certo se la concezione di Von der Goltz della colonizzazione tedesca incarna gli aspetti feudali e medioevali dell’ideologia baltica, la visione di Winnig è del tutto romantica e idealizzata ma in questo momento il nuovo governo del Blocco democratico che vede Ulmanis nominato Presidente della Lettonia nonché ministro della difesa non ha molto da scegliere. Il Consiglio Nazionale che lo sostiene infatti pur avendo al suo interno dieci membri del partito socialista menscevico e un consigliere socialista rivoluzionario è ancora una minoranza nel paese dove il movimento bolscevico ogni giorno guadagna consensi ed ha dietro di sé le armate sovietiche. Nella sua manovra di accerchiamento del governo lettone, Winnig cerca allora di spostare in senso filotedesco l’esecutivo tentando di far entrare al suo interno un ministro indicato dalla Germania. Il segnale di novità di questa richiesta è che questo inserimento di elementi tedeschi nel governo lettone non viene più stabilito in base ad una questione di censo o di casta ma semplicemente sulla base della presenza di una minoranza della popolazione di origine tedesca. Lo scontro con gli esponenti politici lettoni, soprattutto con il socialista Valters che ha il dicastero dell’Interno, è però molto duro su questo punto e la presenza di rappresentanti tedeschi viene quindi esclusa.78 Il tentativo però mostra il nuovo corso della politica tedesca il quale preferisce lasciare fuori i baroni baltici dal governo piuttosto che creare contrasti e conflitti con l’esecutivo lettone. Infatti il progetto democratico di colonizzazione si basa certo sull’ingresso di cittadini tedeschi in territorio straniero ma garantisce anche al governo nazionale la possibilità di contribuire a creare una base popolare alla sua stabilizzazione impostando la riforma agraria con lettoni e tedeschi protagonisti in egual misura della fine del feudalesimo baltico separando con i fatti l’idea della nuova Germania dalla vecchia.
desolazione di quelle pianure che si aprono verso la pianura russa ne fanno un territorio spopolato, misterioso e terribile. Cfr. Liulevicius, cit., pag. 21 78 W. Page descrive il comportamento di Winnig in questo scontro tra i baroni baltici e il nuovo governo lettone come ambiguo. Il tentativo di Winnig è quello di appoggiare inizialmente la possibilità di avere una rappresentanza dei baroni all’interno del nuovo governo per poi ripiegare sulla soluzione della rappresentatività numerica. Crediamo che questa interpretazione sia in conflitto proprio con tutto il comportamento dell’esponente socialdemocratico sin qui. La presenza dei baroni baltici nel governo lettone avrebbe cambiato completamente la sua reputazione di uomo nuovo nei confronti dei lettoni e soprattutto avrebbe messo in crisi il disegno colonizzatore democratico da lui apertamente proclamato. Winnig sa che con la fine dell’esercito tedesco, sconfitto dalla guerra, gli stessi baroni vedranno sfumare completamente il loro disegno egemone ed è quindi curioso che un esponente del governo repubblicano cerchi di favorire una minoranza certamente tedesca ma sicuramente ostile al nuovo ordine politico. Le considerazioni di Page sono alle pagine 115-117. Sull’atteggiamento dei baroni baltici alla fine della guerra è utile vedere anche le considerazioni fatte da un esponente estone del partito socialista menscevico che proclama come prioritaria per difendersi dall’espansione bolscevica una immediata riforma agraria da raggiungersi con tutte le forze in grado di contrastare quella espansione. Lo stesso Marietti nelle sue Considerazioni condivide pienamente quest’analisi e considera anche la possibilità di mantenere in funzione di elite tecnica la minoranza tedesca per garantire il successo della riforma in questi paesi. In tutte queste posizioni i tedeschi sono quindi visti come protagonisti attivi del processo di riforma e questo risultato non può non derivare da una fiducia nelle nuove classi politiche le quali combattono anch’esse una battaglia per sconfiggere la vecchia Germania imperialista. Anche l’unico autore che parla di un ruolo positivo e riformatore dei baroni baltici anche nelle fasi precedenti il conflitto condivide in fondo l’idea di riacquisire la collaborazione di questi “riformatori” nel nuovo corso del baltico verso l’indipendenza. Cfr. Von Rauch, cit., pag. 6.
Winnig per questo motivo non cerca l’appoggio delle truppe tedesche regolari di stanza nel Baltico ma cerca di convincere il generale Von Kathen comandante militare delle forze baltiche a sposare l’idea di costruire delle truppe volontarie che possano proteggere i beni tedeschi nella regione e formare il nucleo del futuro esercito nazionale lettone. Il romantico disegno di Winnig comincia a prendere forma proprio in questa proposta che viene fortemente rifiutata da Von Kathen contrario a perdere il controllo militare della regione. Winnig si rivolge quindi alle truppe stesse attraverso il Consiglio Militare Tedesco di Riga che nel frattempo si era formato dopo l’armistizio e ottiene da questi soldati la possibilità di costruire il primo nucleo di quella che sarà la futura Divisione di Ferro: “Questo è il momento in cui è nata la Divisione di Ferro. Questo corpo militare è concretamente possibile attraverso l’aiuto del comando militare tedesco ma questo non significa che debba avere una cattiva reputazione nel Reich.”79 Insieme alla Landeswehr baltica, la Divisione di Ferro è quindi il primo risultato, almeno nelle intenzioni di Winnig, di fornire aiuto militare alla Lettonia ma soprattutto di rinnovare l’immagine della Germania come strumento per la causa dell’indipendenza. Gli avvenimenti del 1919 si affretteranno a smentire questa intenzione e la vicende delle truppe tedesche nel baltico prenderà strade del tutto opposte soprattutto grazie all’intervento dei baroni baltici, esclusi dal governo nazionale, che porterà alla nomina al comando militare esponenti della vecchia classe prussiana. Resta comunque il dato molto importante che in questo momento le due Germanie, quella repubblicana e quella imperiale, si affrontano in questi territori fornendo per lo stesso obiettivo due differenti metodi politici e va dato atto alla classe politica tedesca di aver cercato di impostare una alternativa politica credibile alla vecchia idea dell’esercito tedesco come semplice truppa di occupazione asservita al potere tedesco. Senza questa alternativa politica non potremmo infatti del tutto spiegarci sia l’atteggiamento positivo del governo lettone a questa iniziativa il quale aveva dichiarato in precedenza, per bocca di Valters, che avrebbe preferito far entrare i bolscevichi nel governo piuttosto che i baroni tedeschi sia l’atteggiamento di apertura di credito dato alle truppe tedesche dagli Alleati. Ambedue gli interlocutori vedono nel disegno dei volontari delle truppe franche per l’indipendenza lettone non il vecchio esercito tedesco da eliminare quasi subito dal territorio ma la creazione di truppe di cooperazione in cui tedeschi, lettoni e bielorussi possono combattere insieme e, nello stesso tempo, assicurare anche una sopravvivenza politica al governo repubblicano che da Berlino tenta di vincere la battaglia più difficile: la guerra intestina contro gli spartachisti e le forze nazionaliste che rifiutano l’Armistizio.80 Nella composizione delle forze favorevoli al governo lettone si inserisce in questo momento anche l’intervento della marina inglese. Il colonnello comandante britannico delle forze navali e il Tenente Colonnello tedesco del comando militare tedesco a Riga stabiliscono, in un incontro tenuto il 23 dicembre 1918, un accordo in virtù del XII articolo dell’Armistizio in cui i tedeschi informano che 700 soldati della Landeswehr non possono sostenere l’urto dei 16.000 soldati dell’Armata Rossa e che quindi non sono nemmeno in grado di poter riprendere il territorio occupato in questo momento dai sovietici. Alla richiesta di un ritiro completo delle truppe tedesche da parte inglese, i tedeschi replicano che si sarebbero verificati episodi di ammutinamento ma soprattutto mostrano come le
79 cit. in S.Page, pag. 119 80 Che la formazione di truppe multinazionali favorevoli all’Intesa e a difesa dell’indipendenza dei nuovi stati non fosse un elemento nuovo nell’organizzazione militare e territoriale in Europa dopo il conflitto è testimoniata, per esempio, dalla formazione delle legioni cecoslovacche. I governi francese ed italiano favorirono la formazione di queste truppe multinazionali aventi l’obiettivo di ausilio agli eserciti alleati ed esse successivamente divennero il primo nucleo delle forze armate del nuovo stato cecoslovacco uscito dalla Conferenza della Pace. L’intento degli Alleati è quindi quello di creare queste unità militari “franche” attraverso aiuti materiali e logistici raggiungendo così l’obiettivo di trovare formazioni militari che non impegnino truppe nazionali per la soluzione di questioni territoriali. Cfr. John F.N. Bradley, The Czechoslovak Legion in Russia, 1914-1920, Boulder, 1991. Sull’impresa delle legioni cecoslovacche in Siberia si veda Chamberlin, cit. vol. II pagg. 1-31. Una documentazione interessante sulla legione cecoslovacca in Siberia è su http://drfaltin.org/archive.htm ricco di documenti originali e di riproduzioni fotografiche.
truppe tedesche presenti siano l’unico strumento in mano al governo lettone per avere qualche speranza di sopravvivenza. Winnig ha quindi buon gioco a proporre in alternativa alla posizione ufficiale tedesca espressa dal comando militare il mantenimento delle truppe volontarie e alla diffidenza inglese verso questa soluzione viene proposto un accordo con il governo lettone in cui viene offerto l’ausilio della Divisione di Ferro e un aumento del numero di soldati della formazione mista germano-lettone appartenente alla Landeswehr baltica. Questo accordo, sollecitato anche dall’ammutinamento in quel momento di due unità dell’esercito lettone passate ai bolscevichi, rende ormai impossibile prescindere dalle truppe tedesche che però vengono accettate solo se sottoposte ai termini dell’accordo proposto da Winnig. Sarà quindi la Landeswehr a dare ausilio al contingente inglese ed insieme combatteranno infatti contro i contingenti lettoni passati al bolscevismo sedando così l’ammutinamento e mostrando nei fatti agli inglesi che solo: “il contingente militare volontario tedesco rimane l’ultima speranza di sopravvivenza per il governo Ulmanis sul suolo lettone”.81 Nel dicembre del 1918 Winnig viene nominato ambasciatore tedesco presso le repubbliche di Estonia e Lettonia e, in questa veste, riesce a sottoscrivere un accordo con Ulmanis in cui i volontari tedeschi sono considerati cittadini lettoni se hanno combattuto per almeno quattro settimane a difesa dello stato lettone e, all’art. 2, viene affermato che i cittadini lettoni di origine tedesca (Reichsdeutschen) potranno partecipare come ufficiali e istruttori all’interno della Landeswehr82 . In virtù di quest’accordo si diede allora il via all’apertura dei centri di reclutamento per i volontari del Baltico in Germania. Le prime sconfitte dell’esercito lettone nel gennaio del 1919 a Riga, Vilnius e Khahrkov e la proclamazione a Riga della repubblica dei Soviet aprono così la seconda e conclusiva fase del conflitto che vedrà un mutamento sostanziale delle intenzioni tedesche con la guida dell’esercito volontario tedesco affidata a Rüdiger Von der Goltz e quindi alla rivincita dei baroni baltici contro l’idea di una difesa armata democratica cercata da Winnig. Con gli stessi accordi, ma con significati del tutto diversi attribuiti ai medesimi, i tedeschi utilizzeranno le tessiture diplomatiche della repubblica per trasformare la difesa dell’indipendenza lettone in un nuovo disegno di conquista coloniale con il tentativo riuscito di creare un governo fantoccio in Lettonia e ridare vita ai sogni di conquista orientali della Germania imperiale.83 Nel suo articolo sui Freikorps tedeschi Sullivan chiarisce molto bene che i freikorps tedeschi siano nati essenzialmente contro il governo socialdemocratico accusato di aver ceduto ai Diktat alleati e aver venduto la Germania a pezzi per distruggere uomini e risorse della nazione.84 E’ vero anche però che il governo socialdemocratico utilizzò queste truppe volontarie per sedare le rivolte spartachiste in Germania e favorì la loro fuoriuscita verso il baltico con l’intenzione di eliminare pericolose formazioni che minavano l’ordine interno. Eppure nella tradizione storiografica sui Freikorps tedeschi del baltico rimane sempre e solo richiamata la prima di queste ragioni: i tedeschi che si ribellano a qualunque ordine costituito e formano gruppi senza legge e senza regole che non siano la loro, fa parte infatti dell’agiografia diffusa con dovizia di particolari negli anni ’30 dal nazismo.85 La tesi di una diversa storiografia accusa invece di “doppiezza” il governo repubblicano tedesco nei confronti dei disegni annessionistici della Germania in cui i Freikorps sono visti solo
81 S.Page, cit. pag. 122 82 ibidem pag. 123 83 cfr. Capitolo III 84 Sullivan, cit. pag. 124 85 L’esponente più illustre di questa agiografia rimane Ernst Von Salomon che ne diffuse la filosofia ribellistica e violenta non contro la repubblica ma, in maniera più metafisica, contro l’ordine, qualunque ordine che non fosse quello della superiorità del soggetto che in quel momento agisce e crea, quindi, la legge sino ad uccidere Walther Rathenau, forse l’unico esponente politico repubblicano in grado di fornire concrete possibilità alla Germania di uscire dalla crisi. Di Von Salomon cfr. I Proscritti, Milano 1998 ma anche Io resto Prussiano, Milano 1954 e Un destino tedesco, Roma 1960.
uno strumento del vecchio potere imperiale di imporre i sogni di dominio da parte di una Germania sconfitta. Curiosamente le due tesi coincidono avendo però come ambedue come premessa la contraddittoria affermazione che la repubblica di Weimar fornendo supporto a queste formazioni militari provocò il suo suicidio politico. Crediamo che la questione sia invece più complessa ed è solo interpretando nel senso sopra visto la funzione delle truppe volontarie può giustificare l’interesse del governo socialdemocratico tedesco ad un loro incremento non solo di difesa verso i comunisti tedeschi ma anche, positivamente, come nuovo mezzo per una colonizzazione del baltico di cui Winnig è l’esponente teorico più importante. Saranno infatti gli avvenimenti politici del marzo 1919 in Germania a mettere in crisi questo disegno e, dopo il primo momento di panico causato dall’Armistizio, solo allora si verificherà quel cambiamento di atteggiamento delle truppe tedesche che spingerà i baroni baltici a riprendere il controllo della situazione nominando un uomo come Von der Goltz al comando dell’armata volontaria. E’ quindi molto difficile giudicare i comportamenti diplomatici antecedenti con le ragioni di ciò che accadde dopo. Che il tentativo di Winnig sia stato invece quello di creare qualcosa di nuovo sia dal punto di vista politico che militare in quelle regioni presentando il volto di una Germania attenta, per la prima volta, alle nazionalità baltiche nei mesi tra il novembre 1918 e il marzo del 1919 è un elemento che va tenuto in attenta considerazione per spiegare le ragioni profonde per cui lettoni e Alleati accettarono la proposta di usare truppe tedesche in quella particolare circostanza. A testimonianza di questo fattore va innanzitutto citata l’enorme diffusione che i centri di reclutamento per i volontari del baltico ebbero in tutto il territorio tedesco. Questi centri non furono infatti osteggiati dal governo repubblicano e sicuramente la tesi sostenuta da varie parti di utilizzare i corpi franchi contro gli spartachisti non spinge a pensare di favorire la nascita di centri di reclutamento di forze che risulteranno poi ostili al governo. La seconda testimonianza per una riflessione su questo punto è data anche dall’atteggiamento del governo lettone e dagli inglesi che in quel momento rappresentavano le potenze alleate. Se il disegno di Winnig fosse stato semplicemente una copertura del vecchio sistema militare tedesco questo sarebbe stato rilevato in maniera quasi immediata. Sia il governo lettone che gli inglesi sono in allarme proprio per la presenza delle truppe germaniche regolari e la ripetuta richiesta inglese di ritirarle fatta nel dicembre del 1918 porta a concludere che nessun tentativo di far passare le truppe tedesche semplicemente come volontarie avrebbe avuto qualche possibilità di successo. Anche l’idea che il governo lettone sia in qualche modo “costretto” ad utilizzare i tedeschi lascia perplessi poiché l’intervento della marina alleata era stata impegnata con successo per la liberazione dell’Estonia e, a quella data, era possibile elaborare soluzioni differenti di fronte al sospetto che le truppe tedesche perseguissero obiettivi contrari a quelli dell’indipendenza. Crediamo quindi che l’idea di Winnig, romantica sin che si vuole, ma originale è quella di credere lui stesso e quindi convincere anche i diffidenti lettoni e gli ancor più diffidenti inglesi di poter davvero trasformare la forza militare tedesca in uno strumento utile all’indipendenza lettone. Che questo disegno sia poi riuscito o meno poco importa rispetto al rinvenire in modo puntuale quali siano le forze e quali motivazioni e ragioni li muovano nel momento in cui l’esercito tedesco intraprende la campagna di riconquista dei territori occupati dai bolscevichi e soprattutto ci permette di comprendere la progressiva delusione degli Alleati nel veder tornare la Germania agli antichi furori bellici e divenire truppa di conquista dopo aver pensato seriamente che potesse trasformarsi in uno strumento per una diversa politica internazionale. Gli Alleati hanno invece mal compreso questa posizione del governo repubblicano tedesco e, forse, lasciando correre gli avvenimenti senza interessarsene troppo, come fecero invece in Estonia, commisero l’errore di non appoggiare quelle deboli forze tedesche le quali erano più vicine politicamente ai loro obiettivi qualificando tutti sommariamente come tedeschi e guerrafondai. Un ultima considerazione va invece fatta per i Freikorps nella loro composizione e nei loro comportamenti nel corso del conflitto. Una sincera passione anticomunista pervade senza dubbio tutta la loro vicenda: l’insieme di queste truppe, la loro formazione culturale e la loro impostazione 43
ideologica difende la tradizione nazionale tedesca; tuttavia i 50.000 uomini che formeranno l’insieme delle truppe tedesche nel baltico non possono essere considerate solamente il frutto di una elitaria volontà di potenza propagandata dagli aedi letterari della loro vicenda. Più verosimile è che la composizione così come il reclutamento di molti di essi sia il frutto anche di quell’idea coloniale sostenuta dai socialdemocratici: la possibilità cioè di guadagnare nei nuovi stati indipendenti del baltico terra da coltivare e una possibile soluzione al disagio economico terribile che in quegli anni la Germania va attraversando. Alcuni di essi avranno anche pensato di essere i colonizzatori immaginati dai sogni prussiani di Von der Goltz, molti invece seguiranno quell’avventura convinti, andando verso i centri di reclutamento e vestendo la divisa di volontari, più semplicemente di aiutare con le armi una nazione a sorgere per poi vivere tranquillamente come coloni protagonisti di quella indipendenza.86
86 Nella lettura “eroica” dei Freikorps e nell’insieme delle pubblicazioni, anche contemporanee, che hanno fatto di queste formazioni una specie di mito negativo, tradizione che, nella sua illusoria immaginazione, si continua ancor oggi, colpisce proprio il rifiuto di questo atteggiamento più naturale e anche diretto di partecipare militarmente alla possibilità di ottenere un pezzo di terra per sé e la propria famiglia. La furia iconoclasta contro l’atteggiamento “borghese” della vita negli scritti, ad esempio, di Von Salomon, tradisce forse il timore che quelle truppe volontarie nella loro maggioranza quell’atteggiamento non solo condividevano ma esso rappresentava probabilmente l’obiettivo finale della loro azione. Naturalmente la storiografia inglese, americana, francese, e, paradossalmente, anche una certa storiografia tedesca dell’età eroica condivide invece questa idea elitaria e anarcoide dei corpi franchi del baltico. Si spera che una maggiore riflessione sui documenti possa invece riportare nelle giuste proporzioni il fenomeno e considerare soprattutto che un conto è organizzare un attentato terroristico o un putsch, altro conto è ottenere il consenso e la necessaria motivazione di un esercito destinato a combattere vere battaglie in una campagna militare ispirandosi ai sogni nostalgici di qualche ufficiale prussiano.
Le vicende dell’indipendenza Estone
Analizzare da ultimo le vicende legate all’indipendenza dell’Estonia risulta compito più lineare se si considera soprattutto che tra la dichiarazione di armistizio del novembre ’18 e il raggiungimento di questo risultato nel febbraio del 1919 passano soltanto pochi mesi nei quali viene combattuto l’unico tentativo violento da parte dei sovietici di tornare in possesso delle terre estoni invase dai tedeschi dopo la pace separata. Se dal punto di vista cronologico l’indipendenza estone è quindi la prima ad essere acquisita, tuttavia dal punto di vista delle implicazioni militari e politiche la sua vicenda si intreccia saldamente con la seconda parte della guerra di liberazione lettone e a quella analisi rimanderemo per le questioni successive.87 Vi è però un elemento da sottolineare invece qui ed è la differente vicenda dell’indipendenza estone da quella degli altri paesi del baltico. A differenza della Lettonia che verrà affidata alle cure delle truppe volontarie tedesche l’Estonia viene invece immediatamente strappata ai bolscevichi anche grazie all’intervento, oltre a quello della marina britannica, delle truppe volontarie finlandesi, danesi e svedesi. L’immediata liberazione è favorita certamente dalla comune radice linguistica che lega gli estoni ai finlandesi, indipendenti già dal novembre del 1917, e soprattutto grazie alla sua conformazione geografica. L’Estonia è infatti un insieme di isole grandi e piccole davanti alla Finlandia e distribuite in modo puntiforme su tutto il lato nord del baltico e la sua estensione continentale molto più ridotta di quella lettone o lituana presenterà il vantaggio di una manovra militare più efficace da parte delle truppe navali alleate contro i sovietici. Questo motivo è però solo un vantaggio tattico, il vero atout che permette agli estoni di trovare un così vasto consenso internazionale per la sua liberazione è legato soprattutto alle decisioni che sul piano politico vengono prese tra il marzo del 1917 e l’occupazione tedesca. La rivoluzione del 1905 aveva consegnato anche l’Estonia alle riforme nelle condizioni sociali e politiche già evidenziate per la Lettonia. La Duma imperiale aveva visto sin dalla sua prima elezione cinque delegati estoni a difendere i destini di questa popolazione non russa ai confini settentrionali e le condizioni economiche e sociali sottoposte al rigido controllo della feudalità tedesca e dell’amministrazione russa avevano contrastato con dure repressioni il tentativo di riformare, con i governi locali dominati dalle popolazioni estoni, la condizione generale di quella regione. A differenza della Lettonia però non vi è stato durante il periodo di dominazione russa alcuna divisione amministrativa e soprattutto l’Estonia rappresenta il punto più a nord della penetrazione baltica più vicina alla capitale Pietrogrado e quindi meno esposta alle durezze dei baroni baltici. In compenso la crescita dell’industria soprattutto della produzione della carta e la vicinanza strutturale con la Finlandia avevano favorito la nascita di imprese industriali e artigiane considerate strategiche dall’amministrazione imperiale russa. Una ulteriore differenza con la Lettonia è poi determinata dalla penetrazione delle idee socialiste all’interno della popolazione. Il bolscevismo trova in queste regioni una classe contadina e urbana meno pronta a recepire messaggi di tipo estremistico. In Estonia infatti il movimento socialdemocratico menscevico ha una tradizione molto forte e non vi sono, come per le popolazioni lettoni esiliate all’interno della Russia, focolai di penetrazione della dottrina bolscevica. Si può affermare che il perno su cui ruota l’intera vicenda politica è interamente spostato verso il golfo e il mare a contatto con nazioni quali la Svezia, la Danimarca e soprattutto la Finlandia le quali attraggono gli Estoni verso un netto rifiuto del bolscevismo come dottrina politica. Le percentuali infatti tra nazionalisti e socialisti che possiamo assimilare al blocco democratico lettone e i bolscevichi sono invertite. Qui sono questi ultimi ad essere una minoranza attorno al 24 % anche perché il partito socialista estone e quello nazionalista liberale hanno creato, tra il 1905 e il 1917, una penetrazione molto forte nella popolazione e soprattutto hanno trovato in Mihkel Martna e
87 Cfr. Capitolo II
Eduard Vilde per i socialisti e Konstantin Päts e Jann Teemant e Otto Strandmann per i nazionalisti dei leader che riescono ad accordarsi sulle questioni principali legate alla riforma agraria che costituiscono la base su cui costruire l’indipendenza nazionale. Non è quindi una anomalia che nell’aprile del 1917 alla domanda di Kerenski formulata in un teatro di Tallin all’affermazione della libertà accordata alle popolazioni non russe di decidere del proprio destino, gli estoni risposero: “noi vogliamo venire con te”. La Russia soprattutto quella uscita dalla rivoluzione di marzo incarnava in modo sintetico i termini dell’autonomia e dell’indipendenza estone in quel momento. La caduta dei Romanov aveva infatti mostrato alle classi estoni che forse la Russia poteva rappresentare una interessante alternativa alla dominazione tedesca a condizione che non si formasse di nuovo una federazione con l’impero russo che sottoponesse al centralismo politico del governo di Mosca le decisioni e le libertà prese a livello locale. Questo programma più vicino alle posizioni del Partito Socialdemocratico Rivoluzionario furono infatti respinte con vigore dalla maggior parte della popolazione. E’ interessante notare come la funzione del partito socialista permise sin dall’inizio anche ai nazionalisti estoni di avvicinarsi in maniera razionale al problema delle riforme agrarie. Vi fu quindi una integrazione, vissuta senza alcun timore, delle classi politiche estoni nazionaliste e socialiste della necessità di procedere ad una progressiva eliminazione della proprietà feudale che certo non era dell’importanza e del peso di quella lettone. Il riconoscimento dell’indipendenza da parte dei russi della Polonia e della Finlandia nello stesso anno portarono progressivamente gli Estoni a cogliere la possibilità di creare anche per loro una possibilità di riconoscimento di un ordinamento autonomo che ottennero nello stesso mese di aprile in cui vi fu la dichiarazione ufficiale da parte russa di un riconoscimento dell’autogoverno lettone e la possibilità di allargare questa autonomia a quelle regioni della Livonia in cui vi fosse una maggioranza di popolazione di lingua estone. Questo atteggiamento di appoggio al governo provvisorio portò al riconoscimento del Sindaco di Tallin Jaan Poska di poter assumere il governatorato dell’Estonia nominando al contempo Jüri Jaakson vicecommissario amministrativo per il nord e Konstantin Päts per il sud del paese. Vi fu da parte di questi politici quasi immediatamente una pressione continua presso il governo provvisorio russo per poter ottenere la possibilità di formare un esercito estone che si rivelò per le dimensioni del paese, molto numeroso circa 100.000 soldati e 2.000 ufficiali. I leaders nazionalisti intuirono subito che la formazione di un esercito nazionale era la strada più semplice per sostenere la propria autonomia in presenza di uno scenario che tra l’aprile e il novembre del 17 andò sempre di più deteriorandosi sino al colpo di stato bolscevico. Questo intervallo di tempo diede poi al governatorato estone la possibilità di costruire e formare dei reggimenti effettivi e di indire nel luglio del 1917 elezioni per il Consiglio Nazionale che a causa della guerra fu indetto con un sistema di elezione indiretta già sperimentato in occasione delle elezioni alla Duma. Le elezioni portarono quindi all’organo collegiale di autogoverno per un terzo rappresentanti di quel ceto di borghesia, piccola borghesia e piccoli proprietari contadini rappresentato dal partito nazionalista di Päts e per un altro terzo fu eletta la rappresentanza del movimento socialista menscevico. L’alleanza tra queste formazioni permise di mostrare come la parte bolscevica rappresentata nei soviet estoni fosse in realtà una palese minoranza e soprattutto rappresentata da quella popolazione russa presente nel paese ed impiegata nell’industria navale e del legname molto importante per l’economia della regione. Mentre la popolazione estone aveva quindi la possibilità concreta di disegnare immediatamente i suoi organi politici e le sue alleanze tra le forze antibolsceviche supportando questi organi dalla formazione di un esercito regolare e quindi mostrare ai russi un possibile esito della politica del governo provvisorio uscito dalla rivoluzione di marzo, i russi procedevano in questa regione ad un inasprimento delle condizioni di vita della popolazione cercando di riportare l’Estonia ad una russificazione che alcuni definirono peggiore di quella del periodo dello zar.88 Questo portò a richiedere in aprile da parte del Consiglio Nazionale una maggiore autonomia della
88 S. Page, cit., pag. 73.
regione portando ad una vera e propria espropriazione delle terre appartenenti alla corona russa ed inglobandole all’interno del nuovo territorio autonomo.89 La reazione di Pietrogrado fu allora quella di cercare di reprimere in qualunque maniera lo sviluppo di questa autonomia richiedendo la chiusura delle scuole in lingua estone aperte nel frattempo e nei tentativi di imbrigliare questa azione ponendo a capo delle infrastrutture amministrative del paese, nelle poste e nelle ferrovie funzionari russi. La rivoluzione di novembre non fece quindi che accentuare questa politica di resistenza dei russi all’espansione dell’autonomia politica, amministrativa e militare del paese.90 Nel dicembre del 1917 viene infatti votata una risoluzione dal soviet di Tallin di coinvolgere anche l’Estonia nel processo di statalizzazione dell’economia con la decisione di nazionalizzazione delle banche e l’avvio di procedure di esproprio per l’abolizione della proprietà privata. Viene anche vietata, dopo la sua opposizione, anche la riunione dell’Assemblea costituente estone e naturalmente l’intero blocco democratico nazionalista e socialista menscevico venne accusato, in quella occasione, di collaborare con le forze nemiche della rivoluzione bolscevica. Mentre nel febbraio del 1918 le truppe tedesche occupano il territorio i bolscevichi estoni mostrano tutta la loro debolezza politica. Nella fase dell’avanzata tedesca i nazionalisti trovano infatti l’opportunità per arrestare molti esponenti di quel partito e di far proclamare dal parlamento locale di Tallin (Maapäev) l’indipendenza dell’Estonia dalla Russia il 24 febbraio del 1918. Nel mese di marzo la firma del Trattato di Pace con la Russia con la cessione della sovranità dell’Estonia alla Germania mette fine al tentativo di espansione rivoluzionaria comunista che non ha però mai ottenuto in questa regione un consenso adeguato a condizionare le scelte del governo e degli organismi rappresentativi creati dopo la rivoluzione di marzo. L’occupazione tedesca di queste regioni sino al novembre del 1918 presenta le stesse caratteristiche politiche e la stessa resistenza già considerata per la Lettonia e di cui alcuni avvenimenti possono essere letti parallelamente mentre la resistenza da parte di questi organismi locali alle soluzioni di annessione all’Impero Tedesco, le vicende legate all’armistizio e alla fine di quel disegno presentano invece una differenziazione molto evidente anche nelle strategie tedesche. In Lettonia l’azione del governo repubblicano di Berlino ha tutto il tempo per mostrare la difficile situazione militare del governo nazionalista e la pressione derivante dalla presenza imponente dei bolscevichi lettoni favorisce l’accordo con i tedeschi. Nel caso dell’Estonia invece il movimento bolscevico che non ha mai preso piede si trova anche di fronte alla decisione dei tedeschi di rinunciare ad esercitare una pressione militare e diplomatica per concentrarsi sul porto di Riga e sulla Lettonia che rappresenta il punto più favorevole per la penetrazione verso il territorio russo. Questa rinuncia della Germania scatena quindi il tentativo immediato delle forze bolsceviche di rientrare in Estonia pur conoscendo la difficile situazione di appoggio interno nel paese a loro riservata ma certo l’occupazione di quel territorio avrebbe rappresentato un guadagno netto dell’Unione Sovietica al primo sbocco sul baltico dopo la pace di Brest Litowsk. Il governo provvisorio estone deve però fare i conti in questo momento anche con gli effetti dell’occupazione tedesca che ha dissolto l’esercito estone, distrutto i collegamenti all’interno del paese e nella fase di ritiro ha razziato gran parte delle sue risorse. Anche di fronte a questa debolezza strutturale i bolscevichi credono di poter realizzare facilmente i propri obiettivi e il soviet estone ricostruito quasi immediatamente all’invasione chiede quindi l’aiuto delle truppe sovietiche e convince i sovietici ad invadere, con il pretesto di un sostegno alle locali forze rivoluzionarie, con le sue truppe tutto il territorio tra il novembre e il dicembre del 1918. Le vicende della guerra di indipendenza estone vedono anche in questo caso episodi di mobilitazione volontaria dei cittadini di un piccolo paese che osano battersi contro il gigante sovietico. Ma è proprio in virtù delle condizioni politiche e alla preparazione militare del paese che i russi si trovano di fronte all’accanita resistenza estone. L’esercito, comandato dal generale
89 Si veda su questo Mihkel Martna, L’Estonia, Gli estoni e la questione estone, Roma 1919, pag.98 e segg. 90 S.Page, cit. pag. 75