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Capitolo V – Conclusioni, pag

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Introduzione, pag

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situazione di aperta ostilità tra il governo lituano e quello polacco tale concessione era del tutto nulla.304 La crescente ostilità interna della popolazione naturalmente sfociò nella formazione di veri e propri movimenti politici chiaramente filotedeschi che operarono pressioni e proteste nei confronti del governo lituano sino a teorizzare una vera e propria battaglia politico-culturale contro il governo di Kowno che arrivò anche alla rottura completa con le potenze Alleate revocando, con un atto di forza, il presidente del Direttorio responsabile secondo il Trattato di Parigi dell’esecutivo della regione. Questo contrasto interno e internazionale portò alla richiesta di nuove elezioni a Memel che videro una imponente partecipazione: il 95% degli iscritti si recò a votare e queste elezioni si conclusero con la vittoria completa dei partiti filotedeschi che provocò ancora di più le pressioni della Germania a livello internazionale con la richiesta ufficiale di portare il caso davanti alla Società delle Nazioni per palese violazione del principio di autodeterminazione. Il rifiuto della Lituania di un arbitrato internazionale e la richiesta di adire alla Corte internazionale dell’Aia per giudicare queste violazioni al Trattato di Parigi fu, naturalmente, favorita dalla Germania che potè dimostrare quanto ormai il comportamento del governo lituano fosse isolato internazionalmente e occupato ad operare contro gli abitanti della regione i quali avevano manifestato in tutti i modi la loro ostilità alla occupazione. Il giudizio della Corte diede però curiosamente ragione al governo lituano ritenendo legittimo, secondo i trattati, di poter revocare il presidente del Direttorio anche se la Lituania fu accusata di non poter, dal punto di vista legale, giungere allo scioglimento della Dieta indicendo nuove elezioni. Questo giudizio che fu accolto positivamente in Lituania scatenò invece l’ostilità delle popolazioni di Memel. Il “Lietuvos Aidas”, giornale diffuso in lingua lituana a Memel scrisse all’indomani della sentenza della corte: “malgrado la precisione e l’autorità della sentenza della Corte internazionale rimane da credere ormai che i due elementi lituano e tedesco restano irrimediabilmente opposti, l’era dei dibattiti e delle polemiche non sono chiuse e il Reich si tiene pronto per appoggiare le rivendicazione dei suoi antichi abitanti”305

304 Archivio Storico della Società delle Nazioni, scatole 593/594. La raccolta di tutti i documenti inviati anche al Segretario Generale della Società delle Nazioni testimoniano l’enorme conflitto soprattutto sul problema dell’assoluto controllo di tutte le attività commerciali, educative e politiche rivendicate dai lituani e negate dalle potenze alleate. L’intera vicenda è descritta anche in Chandavoine, pagg. 123-155. 305 In Chandavoine, pag. 155. Il territorio tornò in mano tedesca nel 1939 e la propaganda hitleriana fece del ritorno della città all’impero tedesco una vera e propria manifestazione di rinascita del nazionalismo germanico. Vi fu addirittura una cerimonia ufficiale presieduta da Hindenburg che viene considerata quale esempio di quella progressiva nazionalizzazione delle masse operata dai governi tedeschi sin dalla seconda metà del XIX secolo. [inserire citazione da George L. Mosse]. Osservando inoltre alcuni filmati di propaganda nazista sul ritorno di Memel alla Germania non è difficile immaginare quanto autentico consenso ebbe quella iniziativa e quanto, per questo ritorno, non vi fu, a differenza dei Sudati, nessuna protesta a livello internazionale tranne quella, naturalmente, della Lituania. Si veda la documentazione del rientro delle truppe tedesche a Memel nel filmato pubblicato in: http://www.youtube.com/watch?v=PFsfP_5AcQ4.

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Capitolo V - Conclusioni

Possiamo qui brevemente richiamare ciò che emerge dall’analisi della documentazione delle fonti italiane sulle vicende baltiche e quindi tentare una prima sintesi tra la ricostruzione di quelle vicende e il contributo che invece fornisce lo spoglio dei documenti del generale italiano. Possiamo per comodità distinguere due fasi del lavoro di Marietti. Una prima fase che lo accredita presso la Commissione Militare Alleata con la partecipazione alla Missione Internazionale comandata dal generale Niessel e una seconda fase in cui, nominato rappresentante italiano presso quella Commissione, segue gli avvenimenti tra il 1923 e 1924 in Lituania. Come intermezzo tra i due momenti possiamo anche situare le sue osservazioni baltiche scritte a caldo dopo la fine della missione nel gennaio del 1920 ma che saranno di supporto al suo lavoro a Parigi anche nel periodo successivo. Di fronte alla memorialistica francese e tedesca degli avvenimenti legati alla guerra di indipendenza lettone l’atteggiamento di Marietti è quello di una riflessione sui grandi temi e le forze politiche e militari internazionali con cui l’insieme di questi paesi si confronta e quindi il suo lavoro di osservatore e di testimone è piuttosto lontana da una memorialistica intesa come cronaca puntuale dei fatti.306 Sviluppando quella capacità di astrazione dal problema contingente gli scritti di Marietti si proiettano sempre in una prospettiva politica più ampia. Abbiamo già visto come questo habitus intellettuale non sia nato in quei concitati mesi di conflitto ma proviene da una formazione che il militare italiano possiede da tempo. Le sue analisi sulla crisi marocchina e sul nuovo ruolo che le organizzazioni militari sono chiamate ad avere in un quadro strategico completamente mutato ci indicano che quella capacità di analisi deve concentrarsi su considerazioni molto più complesse della cronaca del singolo episodio e prospettare un futuro all’indipendenza politica delle ex provincie zariste e sul ruolo che avranno nell’Europa tra le due guerre. In primo luogo Marietti individua in modo puntuale che i paesi baltici sono un “sistema”. Non è possibile quindi pensare alle singole vicende nazionali pur così diverse nello sviluppo della loro storia passata e recente senza richiamarne l’area geopolitica a cui fanno riferimento. In questo suo concetto di sistema egli vede uno spazio politico unitario formato non solo da Lituania, Lettonia ed Estonia ma anche da Polonia e Finlandia.307 L’insieme di questi paesi è in grado, a suo avviso, di essere in grado di creare una alternativa territoriale e militare che si opponga in primo luogo al caos russo. Di conseguenza la ricerca delle potenze dell’Intesa di operare una divisione di questi paesi in sfere di influenza che già si sviluppa nelle prime discussioni sul destino di queste regioni a Parigi nel 1919 appare per lui del tutto astratta. L’interesse per la grande Polonia da parte francese e quindi il disegno di una nazione federale che comprenda la Lituania che però non crei necessarie relazioni di cooperazione con le altre nazioni baltiche è futile quasi quanto il disegno inglese di considerare di proprio interesse solo i porti baltici di Riga o di Tallin come strumenti di sviluppo del proprio mercato senza interessarsi dell’equilibrio dell’intera regione. Questi paesi sono per Marietti “vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro” come ebbe a scrivere nelle sue Osservazioni e il crescere territorialmente da parte di alcuni o divenire porti franchi su cui l’evoluzione del mercato e dei traffici sia controllato solo nei punti di scambio non li trasforma certo in vasi di ferro. Germania e Russia che in un momento diremo unico della storia di questo territorio sono obbligati per ragioni diverse ad offrire la possibilità di una indipendenza, non saranno in futuro così disponibili a rinunciare a quello che storicamente ritengono un loro preciso dominio.

306 Per la memorialistica francese si veda Du Parquet, cit. e Niessel, cit,; per quella tedesca Von Salomon, cit. e Von der Goltz, cit. Per una descrizione letteraria ma molto documentata si veda Arnold Zweig, La questione del sergente Grisha, Milano 1930. 307 Le medesime considerazioni sono oggi accettate pacificamente sicuramente molto meno nel periodo in cui Marietti le scriveva.

Tra il 1939 e il 1944 i paesi baltici subiranno ancora una doppia invasione, tedesca e sovietica, in cui tutte le condizioni di fragilità politica e militare frutto della loro divisione nazionale emergeranno con forza rinnovata e le cui tracce si rinvengono già tra il 1919 e il 1920. Uno storico ha scritto che le regioni baltiche sono in questo momento un paradigma della futura seconda guerra mondiale.308 Le ragioni di questa affermazione sono per lui rinvenibili certamente nell’idea di una Europa frazionata che di fronte ad un accordo tra Russia sovietica e Germania nazista si trova schiacciata senza speranza di opporre resistenza ai disegni di conquista e di spartizione delle grandi potenze. Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia torneranno quindi ad essere oggetto di un accordo di spartizione così come lo furono nel corso del XVIII secolo. Vi sono però anche altre ragioni per dare sostanza a quella immagine: la seconda guerra mondiale replica infatti la prima anche nelle modalità di approccio di queste conquiste nel baltico da parte di tedeschi e russi. Vi è lo stesso atteggiamento “coloniale” da parte dei tedeschi così come negli anni tra il 1915 e il 1917 e, da parte sovietica, il ritorno per le nuove nazioni baltiche ad un regime di provincia dell’Impero negando a Lituania, Lettonia ed Estonia lo status di autonomia inglobandole come nuove repubbliche dell’Unione Sovietica. Lo stesso trattamento non fu riservato invece a Polonia e Finlandia che in questi anni invece raggiungono l’indipendenza nazionale ma che invece permangono nella loro natura di stati sovrani anche dopo la seconda guerra mondiale. La questione delle cause di questo diverso destino possono essere individuate naturalmente nella importanza strategica maggiore per la Russia e anche per la Germania di avere uno sbocco esteso sul baltico e anche dalla dimensione territoriale e di popolazione molto ridotta e quindi meno significativa dal punto di vista del peso politico. Certamente questi elementi giocano come fattori decisivi per la scelta fatta sia dalla Germania che dalla Russia di riportare queste terre a organizzazioni politiche e amministrative che risalgono al XIX secolo piuttosto che confrontarsi con le nuove realtà statali nate alla fine della prima guerra mondiale. In questo quadro la questione più interessante è allora quella relativa al perché questi stati nel corso degli anni tra le due guerre non riescano a raggiungere quel peso per impedire quella spartizione. Quali sono i motivi per cui, perdendosi in derive autoritarie dominate da particolarismi interni e da divisioni e isolamenti internazionali, Lituania, Lettonia ed Estonia favoriranno l’emergere di un antico disegno di conquista che non ha alcuna preoccupazione di eliminare le tracce della loro costituzione in nazioni avvenuta nel 1919. Uno di questi motivi è nel mancato accordo interno con l’insieme di tutti i paesi dell’area baltica. Intendiamo per accordo una mutua cooperazione politica che in alcuni casi, si pensi all’indipendenza finlandese, riuscì a produrre risultati insperati nella direzione della permanenza degli stati nazionali. Eppure nella prima concitata fase della nascita di queste entità statali, la fase che possiamo chiamare delle dichiarazioni di indipendenza, un disegno di accordo e di cooperazione tra questi stati vi fu e fu anche stabilito di creare un tavolo di confronto tra questi paesi e gli altri vicini più interessati alla conservazione e alla normalizzazione di questa situazione: Polonia e Finlandia. Questo progetto fu inoltre favorito dall’Intesa, ad esempio in occasione dell’indipendenza estone, e vide in una mutua cooperazione la strada maestra per creare un contrasto alla presenza germano-russa. Da questa prima fase ci si allontanò però progressivamente nel momento in cui si dovette disegnare sul terreno quello che era stato un semplice progetto cartaceo e in questa realizzazione si riuscì a frantumare quel progetto di unità politica che portò alla successiva spartizione di quei territori. Uno dei progetti più originali dal punto di vista dello scacchiere europeo per la formazione di nuovi stati usciti dalla prima guerra mondiale divenne, in poco tempo, un sistema instabile condannato quindi alla scomparsa e addirittura all’oblio di questa fase di indipendenza nazionale sino al 1991. Molti studi su queste vicende hanno imputato questo destino o alla perdita di importanza strategica per le potenze alleate di queste regioni oppure come un tentativo astratto ben presto riportato alle dure leggi della realtà dalle conquiste tedesche e russe. Vi sono anche però alcuni interpreti di

308 S.Page, cit. pag. VIII

queste vicende che hanno sottolineato, come fece Marietti nel 1920, che uno dei punti chiave di quella debolezza è imputabile anche alla perdita di quella visione d’insieme della politica baltica a quella idea del simul stabunt simul cadent che quella opportunità di indipendenza portava nel suo iniziale codice genetico. Per comprendere la perdita di questa impostazione strategica non si può non fare riferimento in primo luogo all’atteggiamento dell’Intesa e a quello che è stato definito il “paradosso baltico”309 . Questo mare è stato infatti il luogo in cui si è cercato da parte delle nazioni alleate di sottrarre questi territori all’influenza di Germania e Russia non decidendo mai in modo chiaro tra il fornire appoggio agli eserciti e ai governi nazionali dei tre paesi e il sostegno alle forze militari tedesche e russe e questo per avere a disposizione il maggior numero di eserciti da gettare nella resistenza contro l’espansione dell’Unione Sovietica. Il mantenimento di questa ambiguità politica tra componenti con interessi e disegni politici opposti ha provocato quella frammentazione delle energie necessarie al raggiungimento dei loro obiettivi. Il paradosso sta quindi nel non scegliere in questi anni terribili e violenti tra due strategie chiare: favorire la nascita di spazi nazionali con la formazione di stati indipendenti e tra loro solidali oppure cercare di controllare per favorire il proprio obiettivo le forze militari tedesche, considerandole emanazione della Germania repubblicana, o quelle russe dei generali bianchi della controrivoluzione non comprendendo che il vero fine di queste realtà era rispettivamente quello di ricreare di nuovo uno “spazio tedesco” oppure di ricostruire uno stato russo multinazionale che si richiamasse al vecchio impero zarista. Questo paradosso non dichiarato ufficialmente dall’Intesa che propagandò sempre l’indipendenza nazionale del baltico come obiettivo politico trova invece riscontro nei concreti comportamenti visti nel caso, ad esempio, della guerra di liberazione lettone ma anche nelle vicende della formazione dell’armata volontaria tedesca o nella speranza di utilizzare gli eserciti bianchi come massa di manovra utile per fermare i bolscevichi. Le due impostazioni non furono però vissute in quel momento come distanti ed opposte: gli Alleati considerarono invece le due opzioni come sempre aperte in cui sembra quasi indifferente che lo scenario finale da raggiungere comporti o tre stati nazionali indipendenti o un territorio in cui l’influenza degli Alleati può esercitarsi zona per zona affidandosi ad eserciti russi o tedeschi utilizzati come strumenti per assicurarsene il controllo. Questa ambiguità non sfuggì però alle classi politiche di quelle nazioni che videro in questo comportamento il pericolo di perdere in ogni momento la propria autonomia e spinse gli stessi governi verso politiche di autoaffermazione diffidando dell’appoggio dell’Intesa. Il non scegliere e attendere la serie degli eventi e quindi adeguarsi di volta in volta a favorire i governi nazionali o i disegni militari antisovietici dei russi bianchi e dei tedeschi baltici viene stigmatizzata da Marietti come il vulnus della politica delle potenze alleate sul baltico. Proprio all’inizio della missione il generale italiano può infatti leggere nei documenti che lo devono aiutare a comprendere il quadro che troverà sul terreno che la Missione deve rimanere: “in attesa delle istruzioni politiche che saranno inviate in un secondo tempo dopo la discussione e l'approvazione di queste ultime da parte del Consiglio Supremo”310 Questa difficoltà riemerge anche nella prima riunione dei rappresentanti militari il 5 novembre 1919 al Quai d'Orsay ed egli osserva immediatamente come: “dato il delinearsi di un contrasto tra gli interessi francesi da un lato e quelli americano ed inglese dall'altra, il voto dei delegati italiano e giapponese acquista grande importanza ed è quindi utile sapere la linea di condotta generale da seguire.” Questi punti sono la testimonianza di quella ambiguità strategica che generò successivamente il paradosso: Marietti può annotare nel suo diario la risposta dell’ambasciatore De Martino,

309 S,Page, cit. pag.173 310 Relazione Cavallero, cit. allegato 17

emblematica di questa situazione: “ [De Martino] risponde di non prendere partito deciso, ma di navigare fra due acque (cosa non facile quando si tratterà di rispondere con un sì o un no)”311 L’attenzione alla chiarezza dei compiti della Missione attraversata da numerosi contrasti soprattutto tra Francia da un lato e Inghilterra e Stati Uniti dall’altro crediamo sia l’elemento più importante che ci proviene dall’osservazione diretta dei problemi fatta dal rappresentante italiano. Militari e politici tedeschi, governi nazionali baltici, comandanti francesi e rappresentanti militari inglesi cercano di cavalcare tutte le opportunità possibili al fine di raggiungere il proprio fine particolare e i propri vantaggi specifici nessuno riesce però a cogliere che il presupposto necessario a questo darsi da fare è chiarire da subito se l’obiettivo finale sia favorire l’indipendenza nazionale baltica o tenere in vita eserciti e forze per fermare l’avanzata dell’Unione Sovietica. Da questa scelta primaria sarebbe quindi dipesa l’idea di evitare una frammentazione delle azioni militare e politiche che portò all’indipendenza dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania e di costruire una visione d’insieme che tenesse conto del problema di creare il necessario accordo per la difesa comune di quello spazio. La riflessione storica potrà quindi oggi utilizzare queste analisi del generale italiano nel guardare alla direzione di quell’obiettivo che fu una delle alternative sul tappeto nel momento dell’azione e non solo una semplice considerazione teorica a posteriori. Naturalmente non vi è solo la posizione internazionale a giocare a sfavore di questo disegno ma anche il comportamento dei singoli stati baltici ha contribuito non poco a mettere in soffitta un processo politico coordinato. Il caso della Lituania è quindi emblematico sia nelle fasi preliminari della sua dichiarazione di indipendenza sia nei successivi sviluppi politici interni e internazionali e si lega in modo puntuale a queste considerazioni. Le conclusioni di Marietti scritte alla fine della crisi di Memel nel 1924 in cui alla riproposta del sostegno francese alla Polonia afferma che nessuno dei contendenti può avere la speranza di sopravvivere sostenendo singole questioni particolari conferma anche la scelta proposta da parte italiana di scegliere finalmente nella contesa e di assumere da parte delle potenze alleate una posizione più chiara. Attraverso questa prospettiva possiamo osservare meglio anche la pregiudiziale antipolacca della Lituania come un elemento dirimente per lo svolgersi di queste vicende. La sfiducia del generale italiano verso il comportamento nazionalista e miope del governo lituano è certamente il frutto di una risposta sbagliata ai rapporti con la Polonia ma tale scelta è, per lui, in parte da imputare anche al timore dei lituani di ritrovarsi di nuovo sotto il dominio politico di una nazione chiaramente favorita da una delle potenze dell’Intesa. Anche in questo caso le posizioni italiane assumono una diversa connotazione da quelle degli Alleati e richiamano ancora una volta la determinazione e la scelta netta di campo chiesta a gran voce dal rappresentante italiano. La recente storiografia lituana anche in questo caso ha mostrato come la posizione francese e le azioni condotte dal contingente militare a Memel abbiano in qualche modo condizionato i comportamenti del governo lituano che, d’altro canto, non è mai riuscito dalla fine del conflitto sino all’occupazione di Memel a trovare una linea politica che lo facesse uscire dal disastro diplomatico della guerra russo-polacca. Assegnare alla politica francese o agli errori del governo lituano la responsabilità di un comportamento pericoloso o illegittimo non ci deve però far dimenticare che il conflitto polaccolituano è la principale causa del disegno generale di un accordo tra gli stati baltici. In ogni tentativo di riunificazione e di accordo che fu tentato tra Polonia, Lettonia ed Estonia, visto sempre favorevolmente anche dalla Finlandia, naufragò per la resistenza Lituana a creare vincoli stabili tra queste nazioni senza prima aver risolto il problema di Vilnius. Le analisi di Marietti trovano in questa situazione certo un osservatore di parte, la sua sfiducia per il governo lituano è totale, ma contemporaneamente a ciò vi è anche la ribellione di chi vede nella politica filopolacca francese una ostinazione e una incapacità di cogliere sino in fondo che la Lituania è comunque una realtà politica autonoma e trattarla, come fanno i francesi, come semplice appendice federale della Polonia non può che aumentare il risentimento sino a spingere il governo

311 Diario della Missione, cit., pag. 3

di Kowno in un angolo da cui non riuscirà più ad uscire. La considerazione di Marietti sul buon senso che se ne sta nascosto per paura del senso comune è l’amara conclusione di chi vede declinare il sogno di uno spazio politico stabile del Baltico ad opera di particolarismi e di chiusure mentali. La situazione internazionale e quindi l’accordo delle grandi potenze per la soluzione di particolari problemi del fronte baltico viene così compiuta dall’Intesa in un quadro politico che ha già di fatto concluso il suo iter di alleanza e si avvia verso la frantumazione successiva. Sin dal 1919 si manifestano infatti quelle tensioni tra Inghilterra, Francia e Stati Uniti che porteranno ad una sottovalutazione reale dei problemi politici nell’area. Questo contrasto giungerà quindi sino ad affidarsi ad alternative politiche e militari viste semplicemente in funzione di opposizione all’espansione sovietica generando quelle tensioni che riporteranno in primo piano il ruolo della Germania. Questo giudizio si innesta quindi in maniera più vasta sugli aspetti della sistemazione elaborata a Versailles soprattutto alla luce dei successivi avvenimenti che impegneranno popoli e formazioni politiche in Europa orientale in una sfibrante opera di alleanze con i paesi che vorranno a tutti i costi partire da una revisione dei vari trattati che avevano, di fatto, cambiato la carta europea: “la dissoluzione dei grandi Imperi plurinazionali, la fine del militarismo prussiano e dell’espansionismo ad esso collegato, avrebbero dovuto aprire una nuova epoca caratterizzata dalla presenza di quelle nazionalità che finalmente diventano soggetti di diritto internazionale con un proprio Stato sovrano, libero e indipendente. Se questo è lo sfondo generale, la tensione ideologica interna alle varie società produce effetti contrastanti e contraddittori, aprendo un periodo di crisi e di instabilità lungo un ventennio. Paradossalmente è proprio a Versailles che si verifica il naufragio di tutti i presupposti ideologici prevalendo, alla fine, la vecchia logica delle grandi potenze ben decise a rimanere tali e lo spirito di crociata - già manifestatosi durante il conflitto - che tende a “punire”, materialmente e moralmente, gli sconfitti ben oltre la naturale logica del rapporto vincitore-vinto.” 312 Il rapporto con il mondo tedesco nella vicenda dell’indipendenza baltica è quindi un altro punto di grande interesse nella documentazione del generale italiano. Per molti anni si è discusso e, in alcuni casi, anche negato il ruolo centrale che ebbe la repubblica di Weimar con le sue debolezze interne e con i suoi conflitti nel determinare le vicende di questa regione. La storiografia di stampo nazionalista lituana, lettone ed estone ha sempre sottolineato che la permanenza delle truppe tedesche fu un semplice strumento di colonizzazione e di dominio e che l’errore commesso sia dai governi nazionali che dalle potenze internazionali fu il permettere a queste truppe di poter agire indisturbate sino al momento in cui si comprese la loro pericolosa attività e i loro disegni politici conservatori contro le nazioni appena formate. Il ruolo della Germania invece è più complesso e più sfumato e sicuramente non è semplicemente rappresentato dalla presenza di un nazionalismo di stampo feudale. Il debole governo di Weimar si trovò a fare i conti invece con una serie di formazioni militari e politiche in opposizione al suo governo che non solo non avevano subito i rovesci del fronte occidentale ma erano state in grado, nei fatti, e in completa assenza di interventi alleati di femare l’espansione bolscevica verso occidente come nel caso della guerra di indipendenza finlandese. Il governo repubblicano tedesco ebbe invece una sua strategia per poter mantenere una egemonia sul baltico e tale strategia comportò una ripresa delle decisioni politiche prese dall’Impero tra il 1915 e il 1917 fornendo ad esse nuovi contenuti e nuove impostazioni. Marietti sottolinea nelle sue Osservazioni come non tutti i baroni baltici tedeschi siano in realtà l’espressione di una feudalità di rapina e spinge alla ricerca di un dialogo tra le popolazioni e questa elite sulla base di nuove condizioni economiche e sociali dovute al mutato quadro politico. Contro l’idea di una cacciata dei tedeschi tout court di cui si faranno scudo molti politici e militari europei la ricerca di un accordo su nuove basi può a suo giudizio ritrovare uno spazio solido anche in funzione antisovietica. Questo disegno, per molti versi, è simile a quello colonialista impostato inizialmente dal governo socialdemocratico tedesco e al tentativo non riuscito di ricondurre la Germania ad esercitare quella

312 Antonello Biagini, Storia dell’Ungheria contemporanea, Milano 2006, pag. 88

funzione storica di egemonia sulla regione senza per questo divenire strumento di semplice repressione. La tradizione culturale e storica che lega alla Germania queste popolazioni può divenire un filo rosso per tessere nuovi rapporti. Il fallimento di questa iniziativa e il passaggio del controllo delle truppe baltiche ad elementi ultraconservatori ed estremisti si connette quindi anche in questo caso nella incapacità in quel momento da parte dell’Intesa di creare opportune distinzioni tra le classi politiche tedesche e assegnare ad esse il ruolo del nemico. Marietti sin dal dicembre del 1919 segnala invece a Parigi che le truppe tedesche sconfitte e in ritirata, moralmente frustrate dalla fine dell’avventura baltica ma ancora in forze e capaci di una rivincita sono un pericolo per la stessa repubblica. Le segnalazioni da lui compiute della pericolosità di questi nuclei militari giungono sino ad una segnalazione di un probabile colpo di stato contro Berlino. Uno degli aspetti più interessanti della documentazione della Missione è che tutti i rappresentanti dell’Intesa, e il generale italiano per primo, si rendono conto della forza di questo corpo militare che torna in Prussia Orientale convinto che la Repubblica li abbia traditi dopo aver favorito la loro partecipazione alla guerra di indipendenza baltica. La risposta ufficiale a questo segnale che dovrebbe portare ad una riflessione più attenta delle truppe tedesche che hanno partecipato a questa campagna militare è il disinteresse. La notizia di un possibile colpo di stato viene infatti archiviata come impossibile in quel momento sia per ragioni politiche interne sia per evitare ritorsioni da parte degli Alleati. Eppure non è un caso che nei primi mesi del 1920 una parte di quelle truppe tenterà effettivamente un putsch con a capo l’esponente prussiano Wolfgang Kapp che fu favorito dagli elementi ultranazionalisti tra le cui file vi sono avanguardie del contingente baltico. Non è un caso nemmeno che una componente ancor più piccola di quell’avanguardia sarà protagonista dell’omicidio due anni più tardi del ministro degli esteri repubblicano Walther Rathenau l’esponente politico che forse più degli altri aveva la possibilità di avviare nuovi rapporti tra tedeschi e alleati. Il ruolo che queste truppe ebbero quindi nella successiva vicenda politica interna tedesca possono farci comprendere come le analisi di Marietti furono anche il frutto di quella osservazione puntuale del clima tedesco in Prussia Orientale in quegli anni decisivi. Oggi infatti alcuni studi sul ruolo del baltico nella cultura tedesca del periodo hanno ormai sottolineato il ruolo di queste regioni per la cultura tedesca e la funzione di attrazione non solo militare che queste regioni hanno rappresentato. Le considerazioni fatte da Marietti servono quindi a documentare questo quadro e a costruire una nuova riflessione sul rapporto tra la Germania e le regioni baltiche e più in generale l’atteggiamento critico che lo stesso Marietti fece nelle sue considerazioni posteriori sul Trattato di Versailles.313 All’interno delle riflessioni su Versailles il contributo che la storia di queste regioni e le osservazioni e la documentazione italiana sulla vicenda dell’indipendenza del baltico può quindi integrare la discussione sul rispetto del principio di nazionalità e della sua applicazione da parte delle nazioni vincitrici del primo conflitto mondiale considerando che il paradosso baltico non appartiene solo alle storie di questo estremo territorio del nord Europa. Il paradosso si iscrive infatti in quella difficoltà di applicazione dei principi sanciti dal Covenant del Tattato di Versailles di diretta ispirazione wilsoniana per i paesi dell’Europa Orientale e al ruolo che ebbe nei primi anni della storia europea dopo il primo conflitto mondiale. Possiamo quindi sostenere che il giudizio generale fornito da uno storico delle regioni balcaniche può facilmente essere esteso, come considerazione su quelle vicende, anche alle altre regioni dell’Europa: “con i trattati parigini, i pacificatori riuscirono a raggiungere soltanto in modo molto imperfetto l’obiettivo che si erano prefissati, cioè di spianare ai piccoli stati di nuova creazione dell’Europa centro e sud orientale la strada verso un’indipendenza duratura mediante un ordinamento generale stabile, costituito dal sistema di Versailles”.314

313 Si veda il Capitolo III. 314 Edgar Hosch, Storia dei paesi balcanici, Torino 2005, pag. 195

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