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LE OTTO ORE DI LAVORO
Una Lettera Di Prezzolini
Caro Mussolioi, ti scrivo da Ietto, ammalato. In questi giorni ho pensato spesso a te e alla tua leg ittima gioia. H ai aiutato tanti a credere e operare, Puoi guardare indietro con orgog lio. Questo volevo dirti prima di tutto. Ho letto il tuo articolo sulle otto ore e ti sottometto le seguenti obieUoni. Chi h a fatto la guerra sono borghesi e contad ini. L'operaio non si t rovava in linea. I borghesi le ' otto ore le hanno, I contadini non possono averle per ragioni t ecniche
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Dunque la tua riforma non andrebbe a vantaggio dei trinceris ti Cè di più.
Metter le otto ore nelle industrie significa far. aumentare del 20 per cento i prezzi dei manufatti da parte degli industriali. Tale aumento sarebbe pagato dalla grande maggioranza· degli italiani, cioè dai contadini e dai borghesi. Insonuna la tua proposta sarebbe dannosa per chi ha fatto la guerra. Pensaci tieni conto di queste osseiVazioni.
Tuo aff.mo
G. PREZZOLINI
Rispondo subito alle obiezioni dell'amico Prezzolini, lasciando a qualcun altro orgsnizzatore·operaio di intervenire a fondo nella questione. Proponendo una diminuzione di ore nella giornata di lavoro, ho precisamente pensato a quelli che hanno fatto la guerra e a quelli che to rneranno. dalla guerra. Ho pensato ai mutilati, agli invalidi, ai minorati, a tutti quelli che non posseggono più - per varie ragioni - l'effiden?.a fisica di una volta e per i quali una giornata dì lavoro di dieci o dodici ore sarebbe una vera tortura. Non è vero che la guerra l'abbiano fatta soltanto i b orghesi e i contadini. MOltissimi borghesi e semiborghesi si sono egregiamente imboscati, mentre autentici operai hanno fatto regolarmente la guerra. Né confondiamo i contadini coi proprietari della terra. Moltissimi contadini - mezzadri, possidenti, piccoli proprietari -hanno fatto la guerra col binoccolo, o perché si sono improvvisati tomitori o hanno ottenuto l'esonerO come conduttori di aziende agricole.
Le masse innumeri dei fanti sono state reclutate nel proletariato
1.gricolo della valle Padana e dell'Italia meridionale, dove i tre quatti dei contadini son o braccianti o spesati che vanno a giornata e pei quali la· riduzione della giornata di lavoro rappresenta il primo passo verso q uella vita, un po' meno bestiale, ch e lo st esso Prezzolini ha preço nizzato su queste colonne. N on credo che esistano ragioni t ecniche tali da impedire la giornata di n ove e otto ore nei lavori agricoli. Amere i, in ogni modo, conoscerle.
Qu anto ai lavoratori industriali ce ne sono moltissimi che non hanno fatto la guerra, per la semplice ragione che non erano in .o bbligo di farla e c'è anche una discreta quantità di trinccristi passati alle officine per invalidità o dopo un lungo periodo di trincea. Le asserzioni dell'amico Prezzolini sono non rispondenti a realtà. Nel mio ad esempio, c'erano molti operai (muratori, manovali, minatori, anche meccanici). -
L a r iduzione della giornata di lavoro sarà non dannosa, ma mensamente utile a quanti hanno fatto la guerra. Dopo quattro anni di trincea- e chi c'è stato sa cosa significa- non si possono porre gli orari di una volta. L'affermazione che l'introduzione delle n ove e otto ore aumenterà del zo p er cento i prezzi dei manufatti, mi appare arbitraria. Chi ha pratica di officine sa che dopo le otto ore, il lavo ro è quasi in perdita.
D a Il Popolo d'Italia, N. 318, 16 novembre 1918, V.