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GUGLIELMO OBERDAN*

Cittadini livorne.ri l

Voi mi avete lungamente e fedelmente atteso. Alla terza occasione· non sono mancato. Non so se la mia o ratoria vi attrarrà ; sappiate in ogni modo che io vi dirò cose lungamente meditate, perché ho la consuetudine prima di portare i problemi al di podi a me s tesso.

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Sono lieto di esser venuto per questa cerimonia. Ma non att endetevi un discorso biografico di Guglielmo Oberda n. Voi conoscete il martire, la sua vita vi è n ota in tutti i suoi particolari. Quello che io posso fare è di illustrare il simbolo che egli rappresenta e che ha avuto con la vittoria il su o compimento.

A rappresentare al congresso di Berlino l'Italia che vo leva vivere, era andato in quei tempi un idiota qualunque. Guglielmo Oberdan viene a Roma all'indomani di tal congresso e sente tutta l'umiliazione dell'Italia. (Appluuti).

Non v i dirò la mia commozione andando a Trieste italiana a visitare il luogo ave Oberdan lasciò la vita sulla forca , istituzione profondamente austriaca.

È penoso pensare che vi è chi contrasta l'italianità di Trieste mettendoci di fronte un popolo rozzo che non ha quasi sto ria.

O ve ci venisse contestata, al congresso della pace, balzerebbero in Italia non solo i vivi, ma anche i morti.

Io ripenso al Carso, al nostro Carso, che cingeremo di ciPressi e che non rimarrà mai deserto, perché popOlato da tutti i martiri della civiltà italiana. (Applausi vivissimi).

Non dobbiamo permettere - rìprentk l'oratore - nessuna adulte-razione, nessuna sofisticazione della nostra vittoria conseguita con tant? sangue, con tanto strazio.

V'è chi vorrebbe cancellare per calcolì individuali la gloriosa pa- g ioa dell'int erventismo. I o mi vanto insieme coi miei amici di aver preso questa Italia impoltro nita per le chiome e di averle detto: « Cam· mina, perc}:lé se n on cammi nerai, sosterai per 'lunghi secoli f ra la morte e la vergogn a )), ( Applausi vivùsimi).

* Discorso pronunciato a Livorno, al «Politeama», la mattina d el 29 d icembre 1918. (Dalia Gazzetta Livornese, N . 357, '0-3 1 dicembre 1918, XLV).

Chi h a avuto il privilegio e l'orgoglio di aver vissuto la guerra, come l'ho vissuta io, non può parlare della guerra se non in modo relig ioso .

O ggi tro viamo che eravamo p rofondamente nel vero quando facevamo la campagna per l'inte r vento volo ntario in Italia.

N o n si è trovato nella storia l'esempio di un popolo che abbia scelto la propria strada cosi volontariamente come il nostro. Ci siamp rialzati dopo un rovescio grandissimo. Oggi quale panorama ci offrono la storia e questa vecchia e tormentata E uropa l I n ostri fini nazio nali sono stati pie namente raggiunti. È tempo di ·puntare il nostro revolver contro la p olitica dell'impetialìsmo italiano ; ma qua ndo chiediamo Tre nto, Trieste, l 'Alto A dige, Z ara non chiediamo che que1 che ci spetta.

Dovrebbe vedere chi ci nega q uesto diritto Je distruzioni operate dal nemico nel Veneto. Invasioni mai più, e per questo bisogna p ortare il nostro confine alla porta natwale per impedire di tendere alle pingui pianure italiane. Queste tribù sentono il bisogno del nostro cielo e del nostro mare, ma appunto per qu esto noi abbiamo H dovere di sbarrare le porte di casa nostra, e dopo, se sarà il caso, stringeremo patti di fratellanza con l oro.

A Milano ho spiegato c hiaramente che cosa s'intendeva per Società delle Nazio ni, e dissi che non poteva essere H surrogato delta vitto ria.

I o n o n escludo che il mondo di .domani si comporrà di una libera associazione di genti affrate llate. Ma g li uomini che hanno vita limitata, devon o persuadersi che è inutile d i v oler costruire sull'ete rnità, e te nen do pure nel nostro bagaglio d ottrinale l' ideale della Società delle n azioni, dobbiamo garantirci contro i pericoli dell•avvt:nire e di q uesti p op oli slavi · di cui n oi abbiamo infrante le catene. (ApplaH.ri).

Anche se fosse possibile mettersi d ' accordo, non sappiamo che cosa essi v or ranno. Forse essi vorrebbero anche Venezia, perché c'è u na riva deg li Schiavoni (ilarità), o t{ilano perché c'è stato un re sla vo .

A Trieste abbiamo lasciato co ntinu.3re a pubblicare un giornale sloveno. Questa la prov a del nostro pensiero liberale; ora è tempo di gua.rdare la libertà come si presenta.

Su ,o.ooo abitanti italiani di Fiume, 4,.ooo si sono già prOnunziati ; è il caso tipico di un che, secondo i c riteri di W ilson, può decidere d el p roptìo d estino.

Siamo partiti in guerrta. contro il militadsmo prussiano, che oggi è una rovina. Su quello che possa essere la repubblica germanica, bisogna andare molto cauti; non è detto che una repubblica possa essere paci6ca. Il bolscevismo è' un fenomeno puramente slavo ; il clima storico delle nostre _ civiltà occidentali è assolutamente negato alle meDe bolsceviche.

Chi ha provocato il crollo della Germania sono state le armate di Foch, è stato l'esercito italiano che minacciando la Baviera. ha determinato il crollo.

Il socialismo in Germania ha segnato il passo dell'oca dietro al Kaiser. ( Viviuimi applausi).

Richiamo la vostra attenzione sui fini interni della guerra.

Tutti coloro che rappresentano il popolo, più o meno lanciano una parola d'ordine: «rinnovare l ))

Il programma del Partito più numeroso, mi più impotente, ha lanciato questo programma: « Dittatura del proletariato l )). Questa dittatura verrebbe esercitata da pochi che non sono stati mai proletaci. E voi pensate che noi che abbiamo combattuto tutte le tlittature vorremo soggiacere a questa ? Siamo per la libertà contro tutte le dittatUre, a maggior ragione ci porremo contro quella d i colOr o che n on "sono che i parassiti della classe operaia l ( Vivissimi applausi)

È il tempo di vedere queste verità, e di vedere che cosa hanno d i vivo e di vitale cérti dottrinarismi e constateremo che ci troviamo di fro nte a una triplice o quadruplice menzogna uguale a tutte le menzogne l (Vivi applausi).

Hanno diviso il mondo in due compartimenti : da una parte i borg hesi, dall'altra il proletariato. L a realtà non è cosi: il mondo non si può · fare a spicchi, come un'arancia; vi è un. intreccio, una sfumatura di responsabilità che sfugge ad una suddivis ione cosl netta.

Io sono un lavorista, v oglio che il lavoro sia redento da due attributi che -l'hanno perseguitato: la fatica e l a miseria.

Non faccio che una questione di umanità: tutti gli uomini hanno diriuo di vivere liberi, di vivere bene, e per questo dico agli operai: « Diffidate di coloro· che vi sbandierano questi programmi massimi, perché essi non sono che gli sconfitti della storia ».

Io sto compiendo un lavoro improbo: la lettura di diciotto opuscoli contenenti i discorsi di deputati socialisti. È una lettura noiosissima, specialmente quella dei discorsi dell'an. Modigliani. (Ilarità ed

Le verità che erano bandite come assolute e rivelate, sono oggi fallite. Noi che abbiamo macerato la nostra vita nelle trincee, e abbiamo v isto i nostri fratelli morire, vi diciamo: « indietro, sciacalli l Se la guerra fu ·n ostra, nostra deve essere anche la pace». vivùsimi). Noi che volemmo la rjprenderemo la lotta. La vha è tutta una lotta, solamente nei cimiteri è la pace ! Dovremo compiere una vasta opera di rinnovazione. Ma bisog na vedere da dove si parte e come; finché" la pace non è firmata bisogna che l' I talia sia tranquilla, concorde l Che cosa è questo alle casse dello Stato ? Che cosa è lo Stato ? Lo Stato non è né il signor Pera né altri ministrL Lo Stato siamo noi. Quando lo Stato sarà prospero e tranquillo, v i sarà denaro e soddisfazione per tutti. Resta la questione del come. Finché non saranno tornati tutti i nostri fratelli non si può procedere a grandi rinnovazioni. Se allora le classi dirigenti chiudessero le p o rte in faccia ai combattenti, noi non faremmo altro che convogliare queste mas se, far loro eseg uire un dietro front all'interno, e allora vi ga r_antisco che tutto quello che res ta della vecchia. Italia in p oco tempo sarà sparito pe r sempre. Noi abbiamo san guinato, abbiamo sofferto, me ntre alcuni ridevano e s' imboscavano . Per for tuna il popolo italiano non è con loro, è p iù grande, p iù n obile, più giusto.

Ho sentito un contadino in una trin èea che diceva: << Tutto queHo che fo è necessario. Io sono l'artiere di una grande opera l >>

Questo era il pensiero e l'azione del popolo, mentre vi era qui una turba rimast a a fare cose non sempre pulite e degne l '

Noi diremo: « Combattenti che ritornate, l'Italia è vostra, è della nuova aristocrazia delle· trincee l Colato che non sono andaù a combattere non erano che dei vigUacchi e non sono degni di governarla l Noi affideremo l'Italia al popolo italiano che in un anno ha avuto la più grande scon6tta e la più grande vitto ria ».

Chi è dunque che vu oi negare la marcia di ques to popolo ? D ove sono coloro che v ogli ono fermare il passo ai battaglioni che vengono dalle trincee"?

Quando l'Italia sarà li bera e ferverà d i lavoro, allo ra no i avremo adempiuto al nostro voto, allora potremo i nostri . martiri, i nostri morti, andare incontro alle Madri dolorose, dicendo: Tutto ciò norf è stato vano, come dicevano gli sciacalli, come dicevano i preti. C'è un po' più di giustizia nelle masse, c'è un po' più di libenà per il mondo. (Una grande ovazione Jaiuta il fecondo oratore, che ha parlato con sincerità, con fede, con vero amore per la Patria e per il popolo the l'ha falla gra•de !) *

• TerminatO il discorso, si forma un corteo che si dirige verso piazza Cavour per assistere allo scoprimento di una lapide a ricordo dei martiri Oberdan, Battisti e Sauro. « Il corteo sosta dinanz.i alla facciata laterale del palazzo della Banca Commer-ciale, prospiciente la piazza dove è la lapide coperta da un telo bianco

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