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NOI REPROBI... .

E come nella valle di Giosafat, il dl del giudizio finale, v'è qualcuno, oggi, in Italia, che, senza possedere gli attributi mirabili del Padre Eterno, divide i mortali in due distinte categorie: da una parte i virtuosi pei quali è riservata la delizia dei cieli democratici e l'altra i reprobi che andranno difilato all'inferno. I virtuosi sono i rinunciatari che .vogliono graziosamente regalare tutta la Dalmazia a quei cortesi gentiluomini che sono e saranno i croati: i reprobi sono g li altri. Siamo noi. Jl mio carissimo amico Nenni mi cataloga fra i repr obi e quasi mi accomuna cogli imperialisti. Non glie ne voglio. Sarebbe troppo bello e noioso andar sempre d'accordo.

Ora, la situazione è questa. Il democratico perfetto deve ignorare la Dalmazia. Se voi non reclamate Zara, se voi ve ne infisch iate della so rte degl.i ottantamila italiani che vivono in Dalmazia (cifra che una revisione delle statistiche p otrebbe anche grandemente aumentare), voi siete un democratico coi fiocchi, un campione della democrazia, che, secondo taluni curiosissimi ciechi, deve essere sempre e necessariamente anti-imperialista; un degno «candidato>> insomma · della democrazia. Ma se voi non i ntendete di abbandonare Zara alla violenza croata, siete un democratico sospetto. Se poi accettate il Patto di Londra per il litorale dalmatico, non siete più un democratico, anche se per avventura foste repubblicano in politica e sindacalista in economia. Se da ultimo, Dio vi scamp i e libe ri, osate spingervi oltre punta Planca, sino a Spalato, voi diventate di colpo l'anti-democratico per eccellenza, cioè un reazionariO, un forcaiolo, un.... imperialista degno d i lapidazione.

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Ora niente di più arbitrario di questa distinzione. Niente di più ridico lo di quest'antitesi che si vuole stabilire fra idealità democratiche e rivendicazioni italiane sulla Dalmazia. Qui mi piace di affermare chiaramente che le idealità democratiche, intesa la parola democrazia nel senso di libertà e di progresso, rkeveranno un'offeia gravissjma nella sola ipotesi che ta1uni democratici italiani vagheggiano e propug nano: quella cioè di un'annessione della Dalmazia italiana alla Jugoslavia, per la semplice ragione che la n ostra civiltà più democratica nello spirito e nelle forme di quella .... jugoslava. Il solo confronto, al quale siamo cOstretti per la necessità della. polemica, ci umilia profondamente. Insomma, sempre tenendoci sul terreno della democrazia, quale delle due soluzioni è la migliore dal punto di vista democratico ?

Io penso c he la soluzione più democratica sia quella che nòn sacrifica la minoranza italiana più civilè, quindi capace di ulteriori progressi, alla maggioranza primitiva e selvaggia degli slavi. L a soluzione assolutamente anti-democratica è precisamente -l'altra, quella che consegnerebbe la parte della popolazione « civile » - italiana - all'altra che non è affatto « civìle )) e lo ha dimostrato b rutalmente in questi giorni.

Siamo noi che ci troviamo sul terreno della vera democrazia, noi reprobi, n on gli altri. Ma, in fondo, noi ce ne infischiamo tranquillamente delle etichette e siamo disposti a passare anche per imperialisti. Tutto ciò n on cambia la situazione dell'Adriatico Quelli che non giurano nel verbo democratico rinunciatario, devono prendere seriamente in esame questi dati d i fatto . In Dalmazia es istono ottantamila italiani . Etùtono. Vivono in D almazia, da secoli. Vi rappresentano l'elemento e la capacità di progresso. Da Zara a Traù, a Spalato c'è quella continuità etnica e linguistica di cui t anto si parla. Di più. Se in Italia ci sono dei democratici rinunciatari, in Dalmazia non ci sono degli haliani rinunciatari. Non è altamente s ignificativo e quasi simbolico che il-primo irredento impiccato dall'Austria sia stato lo spalatino Rismondo, dal bel nome italiano? Questi dalmati non si rasseg nano a diventare croati.

Cè chi si preoccupa oltre misura di un eventuale lrredentismo serbo-croato, ma non si pensa all'irredencismo italiano, che manda fra noi i suoi esuli, sitibondi di italianità? Com'è triste sentir parlare di « ricatto sentimentale >> esercitato dai profughi dalmati l Non è la stessa accusa che i socialisti ufficiali, in altri tempi non ancora dimenticati, movevano a Cesare Battisti contornandola di fraterne sassate ? Non è supr emamente odioso tacciare di « ricattato ri sentimentali )> uomini come il Ghiglianovich di Zara la Santa, come l'a n. Salvi di Spalato ·la Romana in un sol giorno ben 11400 cittadini si inscrissero alla «Dante Alighieri ))), uomini che sono venuti fra noi, dopo aver evitato per miracolo la forca austriaca, con una sola pas.sione e una sola fede: l'Italia ? .

Un a.Itro « dato )) bisogna tener presente, a p roposito della Dalmazia, ed è importantissimo. Gli italiani di T re nto e ·d i Trieste, attraverso grandiose manifestazioni di popolo, hanno dimostrato di n on essere « rinunciatari )), Da Trento è partita una voce alta per le nostre rivendicazioni dalmatiche, a Trieste l'opinione pubblica è unanime. La « Democrazia Sociale Irredenta )), mentre rivendica Zara, non ha mai rinunciato esplicitamente, secondo dichiarazioOi fattemi da Edoardo altre terre italiane della Dalmazia. Dopo Trento e anche Fiume ha foimulato l'identico voto. E poiché si è parlato di un « baratto » per cui Fiume. diventerebbe nostra mediante la rmuncia del1a Dalmazia italiana, Fiume ha protestato veementemente , Come si può godere della libertà quando sia pagata c olla schiavitù di altri fratelli ?

Terzo dato e decisivo. Infranto il nesso imperiale austriaco, in seguito unicamente alla nostra vittoria, l'Italia e la più o· meno formata Jugoslavia sono venute a contatto. Sloveni, croati e serb i si sono immediatamente rivelati, attraverso mille episodi, che vanno dalla tentata truffa della Rotta, alla protesta diplomatica contro l 'occupazione di Trieste, alle violenze personali, perpetrate a Fiume e in tutta la Dalmazia, prima dell'arrivo delle nostre truppe.

Si è visto che i croati non smentivano la loro fama. Senza l' Austria, continuavano a fare contro gl.i italiani quello che facevano con l'Austri a. Come è possibile, domandiamo noi, dopo la prova affettaci, abbandonare gli italiani della Dalmazia alla dominazione croata ? Come ci si può fidare delle << garanzie» eventuali di quella gente ?

Noi crediamo fermamente che .il congresso di Parigi &uà soddisfazione alle esigenze italiane. Noi accettiamo tutte le transazioni possibili sul terreno economico e culturale, ma la « croata l> del problema dalmatico è talmente assu rda, pericolosa e anti-democratica, che non può nemmeno essere prospettata. Si stenta a immaginare come possa essere accarezzata da italiani degni di questo nome. MUSSOLINI

Da Il Popola d'ltttlia, N. 8, 8 genn3io 1919, VI.

COSTRUIRE NEL TEMPO...

La « Famiglia Italiana della Lega delle Nazioni », p rima di diventare lo scoglio al quale si ·aggrappano tutte le vecchie e melanconiche ostriche rioundatarie della sedicente de mocrazia italiana, ebbe alcuni precedenti che forse non è del tutto inopportuno ricordare. La prima idea, dopo Ja vasta discussione che si svolse su queste colonne, sorse in seno al Comitato d'Azione fra i Mutilati e un giorno una Commissione di esso Comitato, venne a farmene parola. Aderii in massima. Alla sede del Comitato ebbero, quindi, luogo alcune riunioni private preparatorie alle quali partecipai. Traccia di ciò deve esistere. In una di queste, gli intervenuti, dopo aver accettato H mio ordine di idee, diedero al dottor Mario Bo rsa, e a me l' incarico di concentrarle·in un ordine del giorno. Nell'assemblea inaugurale del « movimento >> che ebbe luogo la sera del zo ottobre al Conservatorio, fu affidato a me l'incarico di illustrare l'ordine del giorno. Non pecco di eccessiva superbia -io credo - se affermo che, prima col giornale, poscia colla parola, h o tenuto a battesimo questo « movimento>> wilsoniano, in Italia. Nel discorso inaugurale io insistei molto su questi due punti:

J. Che la Lega delle Nazioni n on poteva sostituire la vittoria, come pensavano alcuni pacifisti ing lesi tipo Lansdowne e qualche disfattista italiano;

2. Che la Lega delle Nazioni non poteva costituire una specie di « surrogato>> del compimento delle nostre legittime rivendicazioni nazionali.

Un altro punto dell'ordine del giorno io volli, fra il consenso unanime dell'assemblea, illustrare diffusamente e cioè che la costituzione della Lega Universale delle Nazioni doveva procedere necessariamente per gradi e che non poteva uscire bell'e pronta e armata, come Minerva dal cervello di Giove. Diceva testualmente l'ordine del giorno:

« Ole sin da questo momento ritiene debba costituirsi, con atto e soleMe dei rispettivi Governi, la Lega fra le libere Na.z:ioni, che dovrà comprendere le Nazioni in armi contro il blocco austro..tcdesco, quelle che hanno rotto le relazioni·diplomatiche colla Germania, quelle che non sono ancora assurte, ma a$su rgeranno certamente domani alla costituzioné statale, quelle neutrali che accettano i principi fondamentali di Wilsoo, in attesa e coll'auspicio che possano a«edervi g li stessi popoli nemici, redenti - per la sconfitta d el loro militarismo e delle loro dinastie -a nuova vita politica di libertà e di dernocruia ».

Questo diceva l'ordine del giorno iniziale del movimento. Da allora un dissidio si è manifestato sempre più preciso fra noi e alcuni dirigenti della <<Famiglia Italiana della Lega delle Nazioni», un dissidio che presenta due aspetti, uno nazio nak, l'altro internazionale. Noi non crediamo che la bandiera bellissima della Società delle Nazioni debba coprire il contrabbando rinunciatario. Al Conservatorio non si parlò di Fiume e di Dah:nazia. Nessuno disse e pensò che il vero « societario » debba essere pronto a regalare la Dalmazia ai croati. Questa antitesi fra l'ideale del1a Lega delle N azioni - ideale che noi abbiamo propugnato e propug neremo e attueremo con tutti coloro che vouanno essere soci (esclusi ben inteso quelli che ci dànno pugni negli occhi) - e l'annessione italiaria Dalmazia è assolutamente grottesca. Abbiamo smontato ieri l'altra antitesi assurda: Dalmazia italianaantidemocrazia. Ci è facile dimostrare, oggi, l'assurdo della seconda antitesi. Non c'è bisogno per attuare la Lega fra le Nazioni, di con,segnare ottantamila italiani purissimi · al capestro croato. Del resto, non tutti i soci della « Famiglia I taliana della Lega delle Nazioni » sono bissolatiani. È probabile, anzi, j} contrario.

L"3.ltro aspetto del dissidio è d'ordine più vasto. Ripetiamo ancora una volta che tutti in Italia siamo wilsonian.i . Tutti crediamo che una Lega fra le Nazioni debba e possa uscire dal cataclisma della g uerra mondiale. Ma un dissidio c'è anche qui. È un dissidio, in un certo senso, procedurale. La Lega delle Nazioni deve venire prima o d opo ? Dev 'essere il primO atto della conferenza della pace o dev 'essere invece l'atto conclusivo della pace stessa? Insomma: una pregiudiziale o una conseguenza ? Ebbene, noi «;l.iciamo che la formazione della Lega fra le Nazioni non può non avvenire in due tempi, come si legge nell'ordine del -giorno votato all'assemblea del Conservatorio. In un p r imr> tempo deve costituirsi la Lega fra le Nazioni del blocco anti-tedesco: una vera alleanza di pace, per un lungo periodo di tempo: cinquanta o cento anni. Questa alleama di pace deve costituire il nucleo attorno al quale, in un secondo t empo, si raccoglieranno le altre nazioni, non escluse quelle· nemiche quando abbiano pagato quello che devono pagare. forse qualcuno che pensa di ammettete senz'altro i tedeschi nella Lega fra Je Nazioni, prima ch'essi abbiano restituito il maltolto ?

Sl. C'è qualcuno Qualche super stite campione del neutralismo tedescofilo coltiva questa illusione: se i t edeschi diventano soci della Lega, non pagano la nota o diventerà più difficile e pericoloso fargliela pagare. Ebbene, noi pensiamo che solo in un Jttondo tempo,- i tedeschi, , malgrado la l oro repubblica, potranno far parte della Lega delle Nazioni.

Queste idee sono quelle dominanti in Francia. Non può essere nel pensiero di Wilson di creare immediatamente una società di pari, prima che giustizia sia stata fatta. Da Parigi può e deve partire all'inizio della conferenza un'affermazione di principio societario e wilsoniano. Ma l'attuazione deve essere « tempestiva }), Nessuno pensa di escludere dalla Lega delle Nazioni la Germania. L'opinione di Clemenceau, si debba tenerla un poco in quarantena, è anche - modestamente - la nostra. Ci sono quelli invece che, amici della Germania, vorrebbero ·vederla subito ammessa nella Lega e altri, amici ancor-a più devoti della G ermania, non disperano ch 'essa, mercé l'adesione alla Lega, possa salvare l'Alsazia-Lorena e il resto. Qui è H pericolo. Qui è il tranello e il trucco. Cominciamo invece - ed è più natur-ale - col suggellare un patto d'alleanza pacifica, fra le cinque nazioni dominatrici del mondo: un patto che garantisca per un secolo almeno la pace. Il patto abbia tali clausole che possano essere accettate lealmente successivil.mente o simultaneamente da tutti i p opoli. Contentiamoci di questo che molto, che è grande. La politica insegna a costruire nel tempo, poiché la vita degli uomini è limitata. Non contendiamo agH dei il privilegio di costruire per l 'eternità. MUSSOLINI

Da l/ Popolo d'Italia, N. 9, 9 gennaio 1919, VI*·

* N ello stesso numero, MussoJini pubblica una lettera di Pietro Leoni, facendola precedere dal seguente «cappello »: « appena finilo di il mio a-rticolo, che il capitano Pietro Leoni mi ha conugnaJo la lellera che segue. Eua quanto io af/n-mo: " che non llltti i mutila/i del ComitakJ d'Azione" .tono di.tfJosti a uiuire la politica criminosa t balorda dei rinunriaJari, LA fJubblico volentieri». (UNA Ll'!"ITERA S IGNIFICATIVA DI DIWISS IONI}

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