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LA CONFERENZA

Dopo Un Mese

L'altro giorno il Temps sintetizzava la situazione in questa constatazione melanconica: mentre la Germania sconfitta si riunisce a Vienna, l?Jntesa v ittoriosa si « disperde )) a Parigi. Dìfatti, i Premiers sono partiti o si accingono a partite. Ci sarà, quindi, una sosta nella confereru:a della pace. La situazione generale ha tre aspetti, che vale la pena di esaminare.

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Primo : un senso di disagio morale, con manifestazioni sempre più visibili che si sono avute specialmente nella stampa parigina e anche nella Camera dei Comuni. Senza cadere nel pessimismo di co.Ioro che accusano la conferema di Parigi di non aver combinato nulla e di avere sino ad oggi piétiné sur piace tra vaghe affe:rma:zioni ideali e continue dilazioni delle soluzioni concrete, pur ammettendo, come noi facciamo, che un po' di attivo ci sia in questo primo b ilancio, certo che l'opinione pubblica dei paesi vittoriosi avrebbe preferito una più sbrigativa t.t:attazione degli affari. Di ciò si rendennno conto i plenipotenziari tornando a contatto coi loro popoli. Il lavoro preliminare dovrebbe essere finito . È tempo di sistemare tealmente e giustamente l'Europa. Tant o più che le lungaggini di questo primo periodo hanno cet tamente contribuito alla « ripresa » tedesca Non bisogna allarmarsi eccessivamente di fronte a certi atteg giamenti di superbia tedesca, che sarà d omata dalle nuove condizioni

Stizio , ma non bisogna nemmeno svalutare le sigrùficazioni di certi segni, molti dei quali sono ignorati dal grande pubblico informato o non informato dai grandi giornali. È grave, è minacciosa la dichiarazione del deputato Kamze e di altri suoi collegW alla Costituente di Weimar, ma ci sono altri documenti più gravi ancora. Indubbiamente, per stimolare la « ripresa >> tedesca., i pangerman.isti possono « lavorare » quel fondo di mistidsmo che è uno degli elementi della mentalità della loro razza. 11 socialista eletto presidente dell"assemblea nazionale di Weimar, nel suo discorso elettorale di Magonza h a detto:

« L'mUti della Gennania dev'essere in testa a tutti i programmi. Quando io dico Germania. non intendo soltanto gli Stati federali che la componevano prima della guerra, ma anche i paesi tt'deschi della vecchia Austri3.. Co.sl la nostra patria non uscirà diminuita da questa guerra, ma più grande e più forte t'd è dò che dev' essere» .

, Un appello, diramato da Monaco, alla gioventù tedesca, allo scopo di « 1alvare lo 1pirito tedtsto in Alsazia», è ancora più significativo. Esso comincia con queste parole: " '

«Gioventù tedesca, conserva lo spirito tedesco dell'Alsazia. Non è vero che nel 1871· sia stata compiuta una ingìusti2:ia. C è stato un ristabilimento dell' antico ordine tedesco dopo un di guerre e di incendi plurisecol.ari provocati dallo spirito di conquista della Francia ».

Ciò che accresce l'importanza di questo appello sono le fi rme: 3 0 professori deWuniversità di Erlangen; 10 di quella di Tiibingen; 50 di quella di KOni gsbexg; 10 di Stoccarda; 40 di Hannover1 in totale I 50 pxofessori, con alcune unioni studentesche. Chi conosce la profonda influenza dell'università su11a vita tedesca è in grado di misurare l'importanza di questo appello.

La serie dei documenti potrebbe continuare, ma è superfluo. La « ripresa » tedesca è un fatto. Non si spingerà sino alla guerra. Ma farà di tutto per sabotate la vittoria degli Al1eati, giovandosi anche - vedi interVista Rathenau - del <(ricatto)) Jeninista. L'interesse supremo degli Alleati è quello di affrettare le decisioni definitive. Non v'è altro mezzo per evitare le crescenti inquietudini dei popoli vittoriosi.

Un altro elemento della situazione è il dissidio fra serbi e croati; dissidio di cui la conferenza di Parigi è stata investita ufficialmente. Sino a ieri, gli episodi di questa fiera lotta erano materia di g iornali; oggi d troviamo dinanzi a un atto diplomatico che può essere « ignorato >> dalla democrazia rinunciataria italiana, ma che è di una importanza capitale, ai 6ni della nostra politica. Avendo sotto gli occhi il testo del telegramma spedito da Zagabt:ia a Parigi, si può tranquillamente intonare il De profundù alla Jugoslavia. La poverina è morta. Prima ancora di essere nata, è morta. Piangete dunque a calde lacrime, voi, prèfiche rinunciatarie della democrazia italiana l

In realtà, c'era da aspettarselo. La nazione dei tre nomi, non poteva finire diversamente. Oltre a molti fattori d'indole secondaria - lingua. religioni, costumi, tradizioni, ecc. - che differenziano l'un jugoslavo dall'altro, l'antitesi fra Serbia e Croazia era insita nelle tendenze delle due politiche: quella serba, tendente ad accentrare tutto a Belgrado, queJla croata, rivendicante se non l1indipendeoza, l'autonomia. A Ginevra si tentò di « sanare » il dissidio . Fu scartato il vec- chio Pietro. Fu portato alla ribalta il giovane AleMandro. Tutto vano. Il dissidio croato si vernicia di repubblica. Un solo fattore univa i tre popoli: l'odio contro ma con questo fatto re negativo non si realizza una politica unitaria, non si fondono elementi tradizionalmente avversi. 11 conflitto sopito in faccia (Italia), prorompe daH'interno. &co il telegramma impressionante di Zagabria. Possono vivere insieme due popoli che si accusano :reciprocamente delle peggiori atrocità ? Addio patto famoso di Corfù l I croati protestano che fu fatto senza appello al croati e approvato soltanto da coloto che sino all'ultimo momento servirono gli Absburgo. La quale affermazione interessa da vicino il croato Trombit, grande manipolatore della Jugoslavia l

Ma oramai di Jugoslavia non s,i può più parlare. È un ricordo , di storia o di cronaca. L'avevano «inventata» Io Steed, H SetonWa tson, il generale Mola e un gruppo di barbuti e barbosi professori ita1iani. Finita l I croati vogliono essere croati; i serbi, naturalmente, serbi; gli sloveni, si cap isce, sloveni. E intanto si azzuffa no, si bastonano, si jmpiccano fraternamente e riempiono d ei loro clamori atroci jl cielo quasi wilsoniano di Parigi. Come nella vecchia Austria è ancora la corda che funziona. Come nella v ecchia Austria d sono ancora i La ng. L'idolo della Jugoslavia è a te:r:ra, in fnntumi l È un'altra giornata di lutto stretto per la sempre più scarsa frateria dei rinunciataci italiani. MUSSOLINI

Da I l p.,po!o- d'lttflia, N. 46, 15 febbraio 1919, VJ.

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