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«RUMAGNA » '

La Musa D ialetta le è stata sino a ier i negletta nella nostra Romagna

Eppure dal romano Trilussa al bolognese T estoni, dal napoletano Pi Giacomo al veronese Barbarani tutte o quasi le altre terre d'Italia vantano una poesia che, nella lingua p2.rlata d'ogni giorno, esprime le pas· sioni., le collere , le melanconie, gli odi e gli amori de l'umile gente . Ma, 8razie a Spallicci, anche il nostro dialetto s'elevà a form e artistiche e questa raccolta di sonetti cosl fin emente illustrati dai croqJJis del Rossi, non può dirsi un primo passo incerto, ma già una felice conquista. Sono note le difficoltà che il nootro d ialetto presenta. Come ben rileva Antonio Beltramelli nella Lettera ch e serve di prefazione al volume « la nostra parlata è asprissima, rude, saltellante: tutta a scatti, a sincopi, a impeti; densa di consonanti, ricca d'disioni, povera di desinenze, monca ed irsu ta. II temperamento del nostro popolo l'ha creata cosl senza mollezze, senza e-arenos i abbandoni quasì dovesse servirgli unicamente al comando, alla battaglia, all'ora convulsa , alla minaccia, alla bestemmia». Ebbene, Spallicci ha superato gli ostacoli - ha «piegato » la rozza materia - ha dato uno« spirito » a ciò che pareva refrattario a manifestazioni poetiche - ha saputo trarre delle armon ie da ciò che sembrava sordo e difforme e nella lette ratura dialettale contemporanea il volume dello Spall icci può essere segn alato come una vittoria e una promessa. Il primo dei cinquanta sonetti d corda l'invocuione Pascoliana : Romagna soldJia do/(t pan, e ci offre rapida mente il ·nostro profilo etn ico e spirituale Cosl i sonetti che seguono possono riguardarsi come tanti q uadri della vita di nostra .gente. l'Autore ci rivela uno squisito senso di osservazione, Eg li non esagera il << colo re loca le». La Sua ispfrazione è facile: i motivi poetici non tradiscono mai uno sforzo o una penosa ricerca della frase, ddl'im· mag ine, della rima; v·~ naturalezza., spontaneità Osservate con quale grazia egli sorprende le genuine espressioni popolari sulle labbra delle nostre donnicciuole e con quanto movimento pittorico ci descrive Al f'ugttrtm della n~tte di S. Giovanni. Par di sentire le campane squillanti nella quiete serale - par di vedere i fuochi di gioia che a mille trapungono il verde sterminato della campagna. Poi, lo Spallicci de. plora la triste fin e dei pioppi che ornavano jJ viale del Ronco, ci tratte,uia un Vagabondo sobriamente e senu viete tirati morali, ci fa assistere nel Da cant a e fug a un cerchio di famiglia contadina esprimendone tutta l'agreste semplicità, ci conduce al mercato e udiamo i caratteristici « parlari » che accompagnano la stipulazione di un contratto. Ma ecco un « predestinato )) che dà. - comicamente - sfogo alla piena dei suoi dolori, quindi un quadro della vita estiva nelle nostre piccole città d i provincia - vita che si ri~ume in una smorfia, in uno di quegli sbadigli che per usare l'espressione efficace del poeta - par che deb. bano « spaccare la bocca ».

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N e 1 murru la « barbara rudezza » della nostra parlata si piega a lle dolcezze del madrigale.

Sono due innamorati che s'inoltrano nel più fitto del canneto forse per consumare nel mistero dell'ombra il dolce sacrificio d' amore latanto le cavallette stridono e passano neJl'acqua del lago tutte le stelle. I t'll· nocchi guardano cogli occhi dilatati , p oi al rumore troppo forte di un bacio si rituffano nell'acqua. Segue una nota di tristizia. La morte s'è abbattuta sopra una casa, Questo sonetto nella sua veste umile com· muove. N pn le solite grandi frasi. La semplicità delle espressioni corrisp onde alla semplicità degli affetti. t una povera donna del popolo che piange. Ogni « verbosa prolissità » scompare.

Noto una reminiscenza pagana in quella bajor.a che dovrà compcn· sare il « bianco nocchicr dei trapassati ». ·

La corda del burlesco torna a vibra re nel ritratto di Don Zinzin. e il prete campag11uolo lunatico, stravagante, a volta s. volta veterinario, maestro, notaio, sensale - la cui vita fornisce materia di chiacchiere alle parrocchiane devote. Questo minìstro di Dio consola i sofferenti q uasi come uno stoico antico :

Fa.Jiv curagg, purell, Jt1ff rì t du/o r Pi111è ch'un è mori J'ijtar ad sie miii.

Nel seguito compare un altro pcete il quale si lagna delia nequaia dei tempi. Il saggio quanto vecchio cowme di portar uova e poni in canonica va tramontando e il buon pievano conclude naturalmente che in questo basso mondo non c'è più relig ione

Tutta. la mestizia sconsolata dell'autunno ci passa nell'animo leg · gendo:

E (htJ(a al foi.

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