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G> I:inseguimento
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CONTESTO STORICO
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econdo gli ordini dii.ramati dal Comando Supremo, i movimenti delle truppe al fronte dovevano terminare entro il 10 ottobre e le azioni offensive da parte di tutte le armate coinvolte sarebbero dovute iniziare il giorno 16 ottobre, con l'azione determinante sul Piave. Invece, le piogge e la piena del fiume avevano tenuto bloccato il Regio Esercito in pianura, impossibilitato a superare in forze le acque vorticose del corso d'acqua. Per questa ragione, l'attacco fu procrastinato di una settimana, mentre l'azione principale venne spostata sui monti. Di conseguenza, sul Grappa la 4a Armata dovette iniziare l'offensiva, prevista per il 24 ottobre, da sola. Infatti, se inizialmente aveva ricevuto ordine di cooperare con un attacco preparatorio e diversivo all'azione principale dell'8a , 10a e della 12a Armata, successivamente gli ordini erano cambiati: ora doveva attaccare a fondo, doveva dare ai nemici l'impressione che lo sforzo principale, finalizzato allo sfondamento, fosse incentrato sui monti, a partire dal massiccio del Grappa.Proprio li, fra le cime del noto massiccio, si trovava il Monte Pertica, uno dei baluardi più contesi della Prima Guerra Mondiale. Legato a cima Grappa da un ripida cresta, si rivelava una postazione di estrema importanza sia per una fazione che per l'altra. Le linee difensive del Pertica proteggevano l'accesso alla ben più importante roccaforte di Cima Grappa e per questo i cannoni della Galleria Vittorio Emanuele m le tenevano sotto controllo, cannoneggiandole senza tregua non appena l'esercito imperiale ne prendeva possesso. Gli austriaci, d'altro canto, avevano pensato bene di occupare la dorsale alle spalle del Pertica, il Vallon, ricco di cavità nelle quali poter ammassare grandi quantità di uomini e materiali, al riparo dal fuoco dell'artiglieria italiana. Un grande concentramento di forze veniva dunque periodicamente impiegato da parte austriaca nel mantenersi saldi alla vetta, mentre con altrettanto impegno veniva ritentata la conquistata da parte italiana, al fine di mantenere le truppe avversarie il più lontano possibile dal passaggio che conduceva alla cima. Fu così che quel monte finiva tanto più spesso a rassomigliare ad un inferno, in un perenne ribollire di scontri a corpo a corpo e terribili bombardamenti, inferti dalle artiglierie di entrambi gli schieramenti, che spesso non riuscivano stare al passo con i repentini cambi di possesso delle trincee. La mattina del 24 ottobre, le linee austro-ungariche di Monte Pertica erano occupate dalle truppe della 4ga Divisione della 1 a Armata. Le Brigate italiane Pesaro e Cremona, dopo un intenso fuoco di preparazione di artiglieria, erano andate all'attacco dal costone che univa il Grappa al Pertica, riuscendo a conquistare le trincee nemiche ma dovendo in seguito ripiegare a causa di un poderoso contrattacco austriaco. Fallito il primo tentativo, due battaglioni appartenenti al 239° e 240° Fanteria ebbero l'ordine di andare alfassalto della cima, erano quasi le 10 del mattino.
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onte Pertica, 24 ottobre ore 09:45
(Illustrazione 19 a p. 114) I soldati italiani del 240° fanteria fremono nelle 1oro postazioni sul costone che porta a cima Pertica. Poche ore prima avevano visto le mitragliatrici austriache della cima falcidiare i commilitoni all'attacco, giacché dovevano correre esposti sulla pietraia che conduceva sulla sommità del monte. Ora, c'è da pregare che l'artiglieria sul Grappa abbia individuato dove si trovano i nidi di mitragliatrice e sia pronta a fare fuoco. Filippo Bucci, uno dei veterani, un ventiquattrenne che di anni se ne sente quasi quaranta, guarda un giovanissimo sottotenente, teso come un arco, pronto a scattare allo scoperto nella corsa disperata verso la vetta. Si era appena fatto largo fra i soldati per passare avanti ed essere fra i primi ad uscire dalla trincea. "Non arriverà a sera", pensa tristemente il veterano, aveva persino cercato di farlo ragionare nei giorni precedenti, "non abbia fretta di morire!" gli aveva detto. La forza e l'ostinazione di quei giovinetti, a malapena diciottenni, non finiva di stupirlo. Riuscivano a contagiare con il loro patriottico entusiasmo persino gli "anziani", che oramai di quella guerra non ne potevano davvero più. Romano e superbo, ecco cos'era quel ragazzetto dal cognome difficile, Cadlolo. Romano e superbo come l'antica stirpe da cui discendeva e di cui vantava le virtù millenarie, lo sapeva bene Bucci, giacché era nato a Rieti. In Cadlolo l'amor di Patria rifulgeva come un astro nascente, brillando negli occhi ed illuminando ogni suo discorso o parola. Lo aveva sentito ripetere spesso che la Patria non doveva aver definizioni: "è un qualcosa che ci sta qui, nel cuore e nella gola, per cantarla e per amarla!" sosteneva. I suoi discorsi erano riusciti ad infervorare le nuove leve ed ora, primo della fila, era pronto a dare in prima persona l'esempio. "Non ha alcuna paura di morire, quel ragazzo non arriverà a sera" ripeté fra sé e sé il veterano, cercando di allontanare l'affetto che, suo
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Alberto Cadlolo sventola il tricolore
malgrado, in quei giorni aveva sentito nascere nei suoi confronti. Ora, si concentra sul fucile, sulle pietre che conosce a memoria e che tra poco deve superare, correndo con tutto il fiato che ha in corpo. Decide di affrontare l'ascesa prendendo la sinistra, evitando la cresta e scendendo un po' sulla costa. Occorre fortuna. L'artiglieria italiana finalmente diminuisce il fuoco, viene dato il segnale. Escono tutti dagli appostamenti correndo e urlando come invasati, Cadlolo è davanti a tutti. Bucci riesce ad attraversare la terra di nessuno, si salva evitando per miracolo scoppi di granate e raffiche di mitragliatrice, solo una scheggia gli sfiora la guancia, sente il sangue colare giù per il collo. Riesce a superare il parapetto della trincea appena in tempo per vedere Cadlolo sferrare fendenti in un furioso corpo a corpo. Una grossa macchia vermiglio scuro gli imbratta i pantaloni laceri sul ginocchio, Bucci tenta di accorrere in suo aiuto ma un austriaco gli si para davanti. La lotta è tremenda ma viene interrotta da un colpo di granata alle spalle dell'austriaco che lo uccide. Gira lo sguardo verso Cadlolo e lo vede riverso sul parapetto della trincea: con la voce straziata dal dolore, grida rivolto ai compagni che ancorarisalgono la china "Forza Italia!", una mano tesa in alto a sventolare il tricolore.
Quel che accadde dopo
Alberto Cadlolo perirà quel giorno, colpito a morte da un colpo di fucile alla tempia, meritando la Medaglia d'oro al valor militare. Filippo Bucci morirà il giorno seguente cercando di riconquistare quelle medesime trincee, Medaglia d'argento al valor militare.
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CONTESTO STORICO
a mattina del 24 ottobre, tutte le cime del massiccio del Grappa furono interessate da violenti scontri. Fra queste vi è anche il monte Valderoa, un contrafforte che dal nodo centrale di Cima Grappa si diparte verso settentrione. Caduto in mano austriaca durante la Battaglia del Solstizio, la sua riconquista era fondamentale per aprire la via verso Feltre e facilitare così la marcia verso Vittorio Veneto dell'8a e della 10a Armata che a breve avrebbero oltrepassato il Piave, piena permettendo. Incaricate della conquista del Valderoa erano le truppe del 5° e del 6° Reggimento della Brigata Aosta, comandate dal Gen. Bencivenga. Egli, dall'inizio della guerra fino ad un anno prima, aveva fatto parte del gruppo dei più stretti collaboratori di Cadoma, divenendo infine il Capo Ufficio della Segreteria del Comando Supremo, seguendo e coadiuvando tutte le decisioni più importanti. Ma ad agosto del '17, a causa di alcune divergenze con Cadoma, venne bruscamente allontanato e si vide infliggere tre mesi di arresti in fortezza. Venne quindi inviato a combattere sul Grappa, poi sul Piave ed infine ancora sul Grappa, dove ora comandava la Brigata Aosta. Fino a 'quel momento si era distinto sul campo non meno che nella pianificazione strategica che aveva portato il Regio Esercito ai successi in Trentino, a Gorizia e sull'Isonzo. Ora toccava al Valderoa. Aveva stabilito di optare per quella che veniva definita una manovra "antitattica", ossia far compiere ai proprio soldati un attacco che contraddiceva tutte le regole basilari previste per un'offensiva. In pratica, voleva far percorrere loro la via più difficile e pericolosa, quella che avrebbero escluso persino gli avversari. Fino a quel momento gli attacchi alla vetta erano stati attuati partendo dalle postazioni in cresta o a mezza costa, situate sui pendii meno aspri del rilievo. Per contro, mai si era tentato l'assalto per il versante di massima pendenza: la ripida salita era troppo difficoltosa, inoltre nidi di mitragliatrici nemiche erano posizionati sui fianchi della via, ad impedirne il passaggio. Ma Bencivenga, proprio perché tale opzione era considerata impraticabile, era certo che con un po' di fortuna, sfruttando l'effetto sorpresa, i suoi uomini sarebbero riusciti a risalire la china ed a cogliere gli austriaci di sorpresa, mentre erano impegnati a tenere d'occhio le consuete vie d'assalto al monte.
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